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5 L’attività dell’Egeli. 1939-1943
140 Ilaria Pavan
5 L’attività dell’Egeli. 1939-1943
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A conclusione dell’analisi riguardante le vicende patrimoniali degli ebrei italiani durante il quinquennio 1938-1943, un’attenzione particolare va ancora rivolta all’attività svolta dall’Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare (Egeli), l’Istituto nato nell’inverno 1939 247 con la specifica funzione di amministrare i beni immobili «eccedenti» (terreni e fabbricati) e le imprese espropriate agli ebrei in vista della loro alienazione a terzi. Anche per ciò che riguarda le competenze dell’Egeli è opportuno assumere come discrimine l’autunno 1943 248, poiché l’attività dell’istituto mutò quantitativamente e qualitativamente in seguito all’introduzione della nuova legislazione antiebraica emanata dalla Repubblica Sociale Italiana e di cui si darà conto nel successivo capitolo. Amministrato da un consiglio di dieci membri nominato interamente dal duce 249, l’Ente tenne la prima riunione il 26 maggio 1939 presso la sua sede romana. Per rendere maggiormente incisivo il proprio operato, l’Egeli coinvolse nel progetto le sezioni di credito fondiario di alcuni istituti bancari della penisola; la scelta di delegare ed affidare parte del lavoro a istituti gestori era motivata dall’esigenza di contare a livello locale su organismi tecnicamente preparati a svolgere l’imponente mole di lavoro che sarebbe derivata, come in effetti avvenne, dall’applicazione delle norme antiebraiche 250. Complessivamente, tra personale e dirigenti, lavora-
247 Lo stesso decreto del 9 febbraio 1939 prevedeva agli articoli 11 e 12 la nascita dell’Ente il cui statuto venne quindi approvato il successivo 27 marzo e pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 10 maggio. All’istituto veniva assegnata una somma iniziale di 20 milioni di lire per lo svolgimento della propria attività. 248 In questo paragrafo sarà dato conto dell’attività dell’Egeli sino all’ultima riunione tenutasi prima del 25 luglio 1943, ovvero l’adunanza del 7 luglio di quell’anno. Rimandiamo al capitolo successivo il resoconto sull’attività posteriore a tale data. 249 Si trattava dei senatori Ugo Sirovich, Demetrio Asinari di Bernezzo, Giuseppe Marino, Michele Delle Donne, del consigliere nazionale del PNF Michele Pascolato, di Alessandro Baccaglino, rappresentante del Ministero delle Corporazioni; di Ettore Usai, rappresentante della Confederazione Fascista dell’Agricoltura; di Luigi Biamonti, rappresentante di Confindustria, di Bonaventura Deganello, delegato dalla Banca d’Italia, del Gr. Uff. Erasmo Carnevale. Nel corso degli anni successivi, alcuni membri furono sostituiti; tra gli altri fu nominato membro del consiglio di amministrazione dell’Ente anche Antonio Le Pera, già direttore della Demorazza. 250 Nel corso del 1940, all’Egeli venne anche affidata la responsabilità della gestione dei cosiddetti «beni nemici», quelli appartenenti a cittadini o società di paesi in guerra con
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vano infatti per l’Egeli solo sessanta persone. Gli istituti di credito fondiario delegati dall’Ente furono stabiliti nel giugno 1939 251 e varie banche non mancarono nelle settimane precedenti di avanzare le loro autocandidature per la gestione dei beni espropriati ai perseguitati; così fecero, ad esempio, la direzione del Monte dei Paschi di Siena o la presidenza della Federazione Nazionale Fascista delle Casse di Risparmio, che scriveva già nel dicembre 1938 al Ministero dell’Interno:
le casse di Risparmio […] chiedono di essere chiamate, anche in questa occasione, a prestare la loro opera disinteressata per l’amministrazione fiduciaria delle proprietà suddette 252 .
Nell’inverno 1939, in assenza di dati statistici precisi relativi al totale della proprietà immobiliare ebraica in Italia, l’ufficio studi della Banca d’Italia lo stimò in circa 10 miliardi di lire, ben un trentesimo di quella italiana complessiva; tenendo conto che la sola «quota eccedente» doveva essere oggetto di trasferimento allo Stato ed escludendo dalla stima i beni degli ebrei presumibilmente discriminabili, si prevedeva che l’esproprio dei beni immobili dei perseguitati potesse quindi fruttare all’erario una cifra piuttosto consistente, pari a circa 2,5 miliardi di lire 253. Queste previsioni si riveleranno completamente errate per eccesso. Tale azzardata valutazione era, da una parte, il segnale di una sovrastima, piuttosto consueta da parte delle autorità fasciste, del patrimonio immobiliare ebraico, ma – come si dirà meglio in seguito – era anche frutto di un’aspettativa troppo ottimistica circa l’applicazione della legge del 9 febbraio 1939, che si rivelerà infatti lenta e farraginosa.
l’Italia. Le pratiche che l’Egeli gestì aumentarono notevolmente nel corso dei mesi: dalle 706 della fine del 1940 si arrivò alle oltre 3.500 del 1945. Con la legge 16 giugno 1939 n. 942 era stato inoltre assegnato all’Egeli anche il compito di acquistare, gestire e vendere i cosiddetti «beni esattoriali». 251 Si trattava dell’Istituto San Paolo di Torino per Liguria e Piemonte; della Cariplo per la Lombardia; del Monte dei Paschi di Siena per la Toscana; della Banca Nazionale del Lavoro per Lazio, Marche, Umbria e Abruzzi; del Banco di Sicilia per la Sicilia; del Banco di Napoli per Campania, Puglia, Lucania e Calabria; delle Casse di Risparmio di Parma, Bologna, Reggio Emilia, Modena, Forlì, Gorizia; della Banca Agricola Mantovana per Mantova; dell’Istituto di Credito Fondiario delle Venezie e della Regione tridentina per Trento e Bolzano. 252 ACS, MI, Demorazza 1938-43, b. 11. f. 28. 253 Cfr. Commissione Anselmi, Rapporto Generale, cit., p. 250.
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Dopo oltre tre anni di attività dell’Egeli, la cosiddetta proprietà «eccedente» espropriabile a favore dello Stato fu valutata infatti in 726 milioni di lire, divisi più o meno equamente tra fabbricati e terreni; il valore così ottenuto comprendeva peraltro anche le proprietà degli ebrei discriminati, sottratte le quali, la cifra in teoria incamerabile dallo Stato scendeva a 445 milioni di lire 254. Si trattava, con minime variazioni, della stessa somma ottenuta dalle denunce dei perseguitati già alla fine del 1941; la dirigenza dell’Istituto faceva infatti presente che «in epoca successiva ai primi anni di applicazione delle norme limitative (1939-1940), le denunce dei beni ebraici erano state di modesta entità, in quanto, cessato l’afflusso delle denunce iniziali, quelle presentate in seguito riguardavano soltanto gli aumenti di patrimonio sopravvenuti per causa di successioni» 255 .
Al di là dell’attività di esproprio dell’Egeli, l’analisi delle autodenunce presentate dai perseguitati consente anche di avanzare qualche breve osservazione sulla dimensione effettiva dei patrimoni immobiliari complessivi posseduti dagli ebrei alla fine degli anni Trenta. Si tratta di dati che non vanno tanto considerati in assoluto – non può infatti essere esclusa la possibilità di immobili non dichiarati, specialmente da parte dei maggiori proprietari – ma che qui vengono proposti per segnalare i contrasti fra le varie realtà ebraiche della penisola ed evidenziare ancora un volta la natura composita e articolata dell’ebraismo italiano di fine anni Trenta. Ciò che emerge è ad esempio l’inesistenza di un rapporto diretto tra dimensioni della Comunità, numero delle auto-denunce presentate ed estimo dei terreni e/o dei fabbricati, a testimonianza di interessi economici differenziati e di una composizione sociale non omogenea nei singoli contesti urbani e provinciali. Erano, ad esempio, gli ebrei padovani, undicesima comunità ebraica d’Italia per grandezza, quelli che vantavano il più alto estimo per i terreni, sia complessivamente che in rapporto al numero di denunce, seguiti dagli ebrei di Ferrara, Bologna e Mantova. Per quel che riguarda i fabbricati, se era logico che fossero invece gli ebrei romani, prima comunità del paese, a registrare il più elevato reddito imponibile complessivo, in rapporto al numero di denunce presentate, erano invece rispettivamente gli ebrei bolo-
254 Prevalevano le denunce di quote eccedenti relative ai fabbricati, pari a 410 milioni di lire, mentre la quota eccedente per i terreni era pari a 316 milioni di lire. Cfr. ACS, Egeli, b. 46, Verbali manoscritti del consiglio di amministrazione dell’Egeli, Bilancio 1943. 255 Ibidem.
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gnesi, torinesi e padovani a vantare, come media procapite, il più alto imponibile per gli immobili 256 .
Dopo il primo anno di attività dell’Ente, il bilancio del 1940 si concludeva con 187 pratiche di esproprio giunte definitivamente all’Egeli, mentre altre 331 erano ancora in giacenza presso gli Uffici Tecnici Erariali che insieme a quelli delle Imposte Dirette si occupavano della definizione e divisione del patrimonio immobiliare dei perseguitati tra quota «eccedente» e «consentita». Una volta conclusasi l’istruttoria legale, la Prefettura o l’Intendenza di Finanza emettevano il decreto di confisca che poi veniva notificato all’Egeli; solo a questo punto l’Ente incaricava il Credito Fondiario delegato ad eseguire la confisca effettiva dell’immobile. La cosiddetta «immissione in possesso» era quindi la tappa finale di un lungo iter burocratico che durava mesi, se non addirittura anni; per cui non solo nessuna vendita era stata effettuata, ma neppure una sola delle proprietà ex ebraiche era stata effettivamente presa in possesso dall’Egeli o dagli istituti da esso delegati durante il 1940. Cominciava così ad emergere l’estrema lentezza di tutte le procedure previste dalla stessa legge 9 febbraio 1939 n. 126 per il trasferimento allo Stato dei beni immobili espropriabili. Il ritardo con cui soprattutto gli Uffici Tecnici Erariali stavano evadendo le pratiche relative non deve peraltro essere in alcun modo collegato ad un possibile boicottaggio delle varie amministrazioni coinvolte nell’applicazione delle norme, quanto alla farraginosa e complicatissima procedura burocratica prevista dalla legge stessa e soprattutto «al ritardo nella decisione delle numerose domande di discriminazione». Questo fattore aveva infatti «notevolmente rallentato l’attività degli uffici catastali in quanto ad essi era venuta a mancare la certezza che il loro lavoro non sarebbe stato reso vano dal sopraggiungere del provvedimento di discriminazione» 257. L’Ente prevedeva che, «ove si fosse mantenuto l’attuale ritmo di lavoro, solo verso il 1946 si poteva avere la completa evasione delle pratiche giacenti» e proseguiva denunciando i danni di tali ritardi, «in quanto negli immobili eccedenti si verifica[va]no sempre più deperimenti rilevanti» 258. Oltre
256 Va inoltre segnalato che ben in 23 province non si registrò alcuna «quota eccedente», né per fabbricati, né per terreni; in 8 province nessuna eccedenza relativamente ai terreni e in altrettante nessuna «quota eccedente» per i fabbricati. Cfr. F. LEVI (a cura di), Le case e le cose, cit., pp. 37-40. 257 Cfr. ACS, Egeli, b. 46, Verbali manoscritti del consiglio di amministrazione dell’Egeli, Bilancio Egeli 1943. 258 Ibidem.
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all’incertezza dovuta all’accettazione o meno delle domande di discriminazione, molte istruttorie erano inoltre rimaste inevase proprio per «l’ingranaggio delle norme di legge [che] ritardava enormemente il compimento delle singole pratiche»; l’Egeli ricordava infatti che
la provvista della documentazione dei beni, che ben s’intende non viene mai facilitata dall’ebreo espropriando, comprende i certificati catastali, quelli delle iscrizioni e trascrizioni, nonché le copie di tutti gli atti di trapasso e di operazione intervenuti nel trentennio retro 259 .
Per ovviare a questi ‘inconvenienti’ la direzione dell’Egeli aveva pertanto prospettato, già a partire dalla primavera 1940, la necessità di una modifica di alcune norme della legge 9 febbraio 1939 n. 126 «allo scopo di raggiungere una maggiore celerità nella definizione delle pratiche stesse» 260 e nel corso dell’autunno 1941 aveva infatti deciso autonomamente di rinunciare ai criteri sino a quel momento applicati: scavalcando la norma che prevedeva che fosse il perseguitato stesso a fornire i documenti necessari, aveva deciso che fossero gli stessi istituti di credito delegati dall’Ente a chiederli presso gli uffici competenti riducendo inoltre il numero di certificati da presentare 261 . Ciò nonostante, l’attività continuò con estrema lentezza anche nel corso degli anni successivi 262: alla data del 7 luglio 1943 le proprietà ebraiche di cui l’Egeli era entrato effettivamente in possesso erano 143 nonostante che, a quella stessa data, fossero ben 398 le pratiche già definitivamente trasmesse all’Ente dagli Uffici Tecnici Erariali 263. Sino al primo semestre 1943 l’Egeli aveva inoltre effettuato complessivamente 29 vendite di immobili a terzi, 3 nel corso del 1941, 18 durante il 1942 e 8 nei primi sei mesi del 1943 264. La di-
259 Ibidem. 260 Cfr. F. LEVI (a cura di), L’ebreo in oggetto, cit., p. 65. 261 Ibidem, p. 67. 262 Archivio Storico Monte dei Paschi, Fondo Egeli, b. 7, lettera dell’Egeli a tutti gli istituti gestori, datata 28 ottobre 1941. Si decideva di limitare la presentazione dei documenti alla sola copia dell’ultimo atto di trapasso della proprietà in oggetto. 263 Al termine del 1941 erano 67 le proprietà ebraiche di cui l’Ente era entrato effettivamente in possesso, su un totale di 213 pratiche rimesse all’Egeli; al termine del 1942 le immissioni in possesso erano salite a 100, su un totale di 390 pratiche pervenute all’Ente. Cfr. ACS, Egeli, b. 47, Verbali Egeli, adunanze del 14 aprile e 3 dicembre 1942. 264 Sempre al luglio 1943 rimanevano in istruttoria presso gli Uffici Tecnici Erariali ancora 163 pratiche.
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rigenza sottolineava che il valore degli immobili incamerati era «sensibilmente superiore» a quanto l’Ente aveva speso per il loro esproprio: l’utile netto ricavato dalle vendite nel corso del 1942 corrispondeva infatti al 154% delle spese sostenute 265. Riguardo all’andamento pur non irrilevante delle vendite – poco meno di un quarto, rispetto al complesso dei beni di cui l’Egeli era entrato effettivamente in possesso –, va sottolineato che non era certo per colpa dell’Istituto o a causa della pochezza delle richieste di acquisto che l’alienazione dei beni ebraici procedeva così lentamente; anche in questo caso il motivo era da ricercarsi nelle complesse procedure da seguire per la vendita dei beni che prevedevano, tra l’altro, l’autorizzazione finale da parte del Ministero delle Finanze. La direzione dell’Egeli faceva presente che la «buona conclusione delle vendite» dipendeva molto spesso anche dalla velocità delle trattative, ricordando come «le offerte di acquisto esi[gevano] una decisione immediata». Durante le sue periodiche riunioni, l’Egeli aveva in effetti autorizzato complessivamente 67 vendite, un numero più che doppio rispetto a quelle effettivamente perfezionate sino al luglio 1943.
Agli ebrei che si erano visti espropriati andava corrisposto, a norma di legge, un certificato nominativo trentennale non trasferibile emesso dall’Istituto stesso che avrebbe fruttato al perseguitato un interesse annuo del 4%; il pagamento doveva essere effettuato «dopo 90 giorni dalla pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» del Regno, del decreto di attribuzione dei beni all’Ente» 266. Ma nel settembre 1941 il direttore generale dell’Egeli faceva presente come questo articolo non fissasse un termine preciso entro il quale il pagamento dovesse essere effettuato, bensì unicamente che la somma non doveva essere corrisposta prima della decorrenza dei 90 giorni; l’Ente avrebbe poi provveduto al pagamento «non appena lo [avesse consentito] lo stato di ciascuna pratica» 267. I primi tre certificati nominativi vennero emessi soltanto nella primavera del 1941, ma talvolta alcune Conservatorie delle Ipo-
265 ACS, Egeli, b. 46, Verbali manoscritti del consiglio di amministrazione dell’Egeli, Adunanza del 7 luglio 1943. Dalla lettura dei verbali è stato possibile accertare solo i nomi dei proprietari dei due primi episodi di vendita avvenuti entrambi nel corso del 1941; si trattava di immobili appartenenti a Giuseppe Fano, di Mantova, e a Lella Della Seta, romana. 266 Abbiamo dati che si riferiscono alla fine del 1942: per i 21 immobili venduti a quella data, l’Ente aveva speso lire 4.932.580,80 e realizzato lire 12.532.500. ACS, Egeli, b. 46, Verbali manoscritti del consiglio di amministrazione dell’Egeli, Adunanza del 15 aprile 1942. 267 Cfr. R.dl. 9 febbraio 1939 n. 126, art. 36.
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teche accesero d’ufficio obblighi ipotecari contro l’Egeli a favore degli espropriati che non avevano ancora ottenuto il risarcimento, nonostante che le proprietà fossero già state definitivamente incamerate dall’Istituto; si verificò anche il caso limite di ebrei cui i certificati nominativi successivi all’esproprio non furono mai consegnati 268. Dalla lettura dei verbali dell’Ente emerge peraltro che il consiglio di amministrazione, sino al luglio 1943, aveva ufficialmente autorizzato l’emissione di 104 certificati nominativi trentennali, un numero quindi inferiore al totale di immobili di cui era entrata effettivamente in possesso a quella stessa data.
Nel 1943, il consiglio di amministrazione dell’Egeli, nel corso di una sua periodica riunione, faceva presente come l’Istituto avesse comunque svolto con cura la complessa procedura prevista dal decreto 9 febbraio 1939; all’attenzione e allo zelo dimostrati dall’Ente erano però seguiti, oltre a tutti i ritardi già segnalati in precedenza, anche i «sistematici ricorsi degli ebrei alle Commissioni Provinciali con frequenti opposizioni giudiziali al rilascio dei beni, ricorsi per revocazione e cassazione», comportamenti ovviamente bollati come «espedienti dilatori messi in atto dagli espropriati per ritardare la consegna dei beni eccedenti» 269 .
268 Cfr. Commisione Anselmi, Rapporto Generale, cit., p. 423. 269 Ibidem, p. 424. Il ricorso da parte degli ebrei interveniva solo dopo la definitiva notificazione del passaggio dei beni all’Egeli. Il numero di ricorsi presentati dai perseguitati alla data del 15 marzo 1942 – ultima riunione del consiglio di amministrazione dell’Ente che riporta notizie in merito – era di 44, circa un terzo delle pratiche trasmesse all’Egeli.