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3 La piccola e media imprenditoria

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rientarsi verso il commercio significava operare in un settore in cui tutti i partecipanti – almeno teoricamente – potevano avere un uguale accesso al mercato, un mercato sostanzialmente libero, rivolto direttamente e unicamente al consumatore finale.

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Secondo quanto previsto dall’art. 52 del già citato R.dl. 9 febbraio 1939 n. 126, ogni ebreo era tenuto a denunciare presso i rispettivi Consigli Provinciali delle Corporazioni tutte le ditte, le aziende o i semplici negozi di cui era proprietario o socio. Le denunce, cui non erano tenute le società per azioni, vennero pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale» a partire dall’estate del 1939, suddivise nei cosiddetti elenchi «A», «B» e «C». Le tre categorie distinguevano le imprese dichiarate dalla legislazione persecutoria: «interessanti la difesa nazionale» – aziende di tipo «A» –, le imprese con oltre 100 dipendenti – aziende di tipo «B» – e tutte le altre imprese non rientranti nelle due precedenti categorie – aziende di tipo «C». Complessivamente furono 3.436 le imprese commerciali o industriali denunciate dai perseguitati nel corso dei mesi successivi, che coinvolgevano almeno 3.737 ebrei, tra proprietari e soci a vario titolo 39. Queste cifre sono con molta probabilità inesatte per difetto, non potendosi infatti escludere la possibilità di mancate au-

39 Il precedente dato provvisorio corrispondeva ad un totale di 3.120 ditte (cfr. Commissione Anselmi, Rapporto Generale, cit., p. 67), rilevate dalla consultazione della «Gazzetta Ufficiale»: per l’anno 1939, cfr. i nn. 258, 264, 266, 276, 277, 287, 293, 294, 298 e per l’anno 1940, cfr. il n. 14. A tale dato sono stati qui aggiunti i successivi aggiornamenti relativi alle autodenunce delle ditte ebraiche, aggiornamenti provenienti da varie città italiane e pubblicati sempre sulla «Gazzetta Ufficiale» del 1940, cfr. i nn. 85, 167, 168, 193, 194, 202, 244, 246. Per quanto riguarda le ditte ebraiche di Brescia, Padova, Roma e Ferrara, il totale così ottenuto è stato poi ulteriormente aggiornato attraverso le informazioni contenute in ACS, MF, Beni ebraici, b. 17, ff. 42, 49, 71 e in ASF, Gabinetto di Prefettura, cat. 30, b. 2, f. Situazione degli ebrei. Quanto invece al dato relativo alle ditte ebraiche di Trieste pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale», è stato corretto con la documentazione proveniente dall’Archivio della Camera di Commercio triestina, Fondo Registro Ditte, che ha consentito di individuare altre 71 imprese, le cui autodenunce non risultano pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale». Poiché dal maggio del 1940 la denuncia delle proprie attività commerciali e imprenditoriali competeva anche agli ebrei apolidi residenti in Italia, sono state anche aggiunte le complessive 100 ditte denunciate da

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todenunce da parte dei perseguitati, nonostante che in tal caso, o nell’eventualità in cui si fossero fornite informazioni inesatte o incomplete, fosse prevista un’ammenda sino a lire 10.000. Non è ovviamente possibile stimare la percentuale delle mancate denunce, anche se è utile segnalare che, come previsto dalla legislazione, le stesse autorità fasciste potevano effettuare controlli per verificare l’attendibilità delle dichiarazioni dei perseguitati e le eventuali inottemperanze alla legge. Non è infatti infrequente imbattersi in elenchi aggiuntivi pubblicati in un secondo tempo sulla «Gazzetta Ufficiale», frutto di quelle indagini, a testimonianza del fatto che l’applicazione delle norme fu portata avanti con attenzione e rigore.

Dal punto di vista della distribuzione geografica, come era forse scontato attendersi, le autodenunce confermano che la maggioranza delle imprese e delle attività commerciali ebraiche era concentrata in poche regioni e, più precisamente, in alcuni grandi poli urbani del Centro-Nord 40. Questo dato è conforme al quadro generale relativo all’inurbamento della popolazione ebraica nazionale, come attestano ad esempio le percentuali registrate a Roma: nella capitale si concentrava infatti il 41,40% del totale degli esercizi denunciati e ugualmente predominante era il numero di ebrei che vi lavorava, pari al 39,50%, percentuali che in sostanza coprivano quasi per intero il dato complessivo della regione Lazio 41. Scorrendo i dati regione per regione, al Lazio seguivano la Toscana (12,60%), il Friuli Venezia Giulia (11,90%), la Lombardia (8%) e il Piemonte (7,90%) 42. In realtà, come nel caso del Lazio, la percentuale nettamente predominante di imprese si registrava nel capoluogo: in Lombardia, ad esempio, l’84% delle ditte ebraiche si concentrava a Milano, l’81,10% di quelle giuliane era attiva nella sola Trieste e il 76,90% di quelle liguri operava a Genova. Diversa la realtà in Emilia, Toscana e Pie-

parte degli ebrei apolidi di Fiume, Gorizia, Bologna, Milano, Imperia, Brescia e Napoli, per le quali cfr. «Gazzetta Ufficiale», anno 1940, nn. 158, 168, 203, 222, 234, 239. Infine, sono state anche sommate le 32 nuove costituzioni di ditte ebraiche realizzatesi tra l’estate del 1939 e la fine del 1941, tutte relative alla comunità romana, per le quali cfr. «Gazzetta Ufficiale», anno 1940, nn. 14 e 201 e anno 1941, nn. 122 e 222. 40 Sia nel 1931 che nel 1938, oltre il 97% della popolazione ebraica italiana risiedeva nell’Italia settentrionale e centrale. 41 Praticamente irrilevante era infatti la percentuale di imprese denunciate dai perseguitati nel resto della regione, pari allo 0,30% delle ditte ebraiche complessive dell’intero Lazio. 42 Con percentuali inferiori seguivano Emilia Romagna (5,80%), Veneto (4,20%), Liguria (3,70%), Marche (2,30%).

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monte, dove si attestava una distribuzione relativamente omogenea e ramificata della componente ebraica all’interno di tutta la regione, che rivelava una certa vitalità e persistenza anche nei piccoli centri, soprattutto in quelli piemontesi, come Moncalvo, Mondovì, Casale Monferrato, Saluzzo, Torre Pelice, Alba, oppure in quelli emiliani, come Cento, Carpi e Finale Emilia.

Per quanto riguarda poi la tipologia delle imprese censite attraverso le autodenunce, solo una quota modesta di esse, il 6,50%, era attiva nell’ambito della produzione, mentre la percentuale nettamente predominante lavorava nel settore del commercio, sia al dettaglio (il 46,30%) che all’ingrosso (il 5,70%) a coprire un significativo 52%. All’interno di questo dato, decisamente consistente risultava inoltre la quota dei semplici venditori ambulanti, quasi la metà degli esercizi commerciali e circa un quarto del totale delle autodenunce presentate: delle 3.436 ditte complessivamente denunciate, 831 erano infatti le attività di ambulante, pari al 24,30%. La loro distribuzione era altamente diseguale tra le varie comunità del paese: a Livorno si concentrava la percentuale maggiore con il 44,70%, seguita da Roma con il 41,40%, Firenze con il 17,20%, Venezia con l’11,20% e Bologna con il 9%, a disegnare il profilo di comunità in cui la componente popolare non era certamente irrilevante. In questo senso, in ambito regionale, la comunità toscana si distingueva nel suo complesso per la maggior presenza percentuale di ambulanti, ben il 29,30% del totale.

Allo stesso modo variava in modo significativo la distribuzione territoriale delle imprese impegnate nel settore più propriamente produttivo: era il Piemonte in questo caso ad ospitare il maggior numero di piccoli e medi imprenditori con il 12,40% del totale delle ditte denunciate. Può invece sorprendere che città come Milano o Genova avessero, dal punto di vista della presenza ebraica, una connotazione prevalentemente commerciale: la percentuale di piccole imprese nel milanese era ‘solo’ del 7,10%; ugualmente poco rappresentativa si rivelava la piccola o media imprenditorialità a Genova, dove non superava il 4,50% delle ditte ebraiche cittadine. È inoltre interessante sottolineare come, tanto per le ditte impegnate nel mondo della produzione, quanto per quelle indirizzate al commercio o alla vendita ambulante, fosse il ramo tessile a coinvolgere il maggior numero di esercenti ebraici: quasi un’impresa su quattro di quelle denunciate lavorava infatti ‘con la stoffa’.

A completare il quadro generale dei dati relativi alle ditte attive nei vari settori, il 9,60% dei perseguitati dichiarava di gestire imprese di rappresentanza, mentre l’esigua quota restante denunciava di essere proprietaria di imprese impegnate nel settore bancario e assicurativo – che coprivano in entrambi i casi appena lo 0,50% del totale – alberghiero, della ristorazione, dell’import-export, immobiliare, artigianale, ecc. (vedi Tabella 1).

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Tabella 1. Settori in cui sono impegnate le imprese ebraiche (ad esclusione delle società per azioni) % sul totale delle società denunciate sulla base del R.dl. 9 febbraio 1939 n. 126 commercio (dett. e ingr.) 52,00 venditori ambulanti 24,30 rappresentanze di comm. 9,60 produttivo 6,50 mediatori 1,40 alberghiero 1,10 artigiani 1,00 ristorazione 1,00 import-export 0,80 spedizionieri 0,60 immobiliare 0,50 assicurativo 0,50 bancario 0,50 altro 0,20

Fonte: «Gazzetta Ufficiale», annate 1939-1941, nostre elaborazioni.

Dai dati del censimento razziale era già emerso che il settore del credito e dell’assicurazione non coinvolgeva, tra impiegati e dirigenti, una quota particolarmente significativa della popolazione ebraica del paese, lavorandovi infatti il 5,90% del totale degli ebrei censiti. Anche i dati delle denunce pubblicate sulla «Gazzetta Ufficiale» confermano peraltro come il settore bancario, o quanto meno il settore della banca privata ebraica, avesse ormai perso rilievo e importanza rispetto al passato. Nel 1939 si contavano infatti solo 12 tra banche e cambiavalute a gestione ebraica – la maggior parte delle quali si trovava in Piemonte – che non fossero organizzate con la struttura della società per azioni 43. Le profonde modificazioni che il settore bancario aveva conosciuto in seguito alle difficoltà del primo dopoguerra avevano dunque segnato il definitivo declino dei piccoli e medi istituti di credito pri-

43 Si trattava del Banco Cambio Levi Moise di Mondovì, del Banco Bachi di Torre Pelice, della Banca Nizza Davide di Torino, della De Benedetti & Levi di Asti, della Vit-

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vati con conseguenti ed evidenti riflessi anche sul mondo bancario ebraico che in passato aveva tradizionalmente optato per la struttura della banca privata a gestione prevalentemente familiare.

Un dato utile per connotare e definire con maggiore precisione il quadro delineato dalle autodenunce ebraiche è quello relativo alla forma giuridica delle ditte e al numero complessivo di dipendenti impegnati. Si trattava per la maggior parte di piccole o piccolissime imprese: nel 66,10% dei casi erano infatti ditte individuali, composte dal solo proprietario, cui possiamo aggiungere anche gli ambulanti, facendo così salire la percentuale dei piccoli o piccolissimi esercizi addirittura all’88,20%. Il quadro si completa con il riferimento al numero dei dipendenti: nel 76% dei casi non si registra infatti alcun lavorante o impiegato; nel 15,50% del totale si contano da 1 a 5 dipendenti, scendendo poi nel dato percentuale sino ad arrivare allo 0,50% rappresentato dalle ditte che impiegavano oltre 50 dipendenti 44. Ancora una volta sembra essere il Piemonte a distinguersi dal resto delle regioni italiane: il 12% delle ditte complessivamente denunciate impiegava infatti più di 20 operai 45. Naturalmente, esistevano nel paese anche realtà di notevoli dimensioni, come l’impresa F.lli Pesaro di Piacenza, una società in accomandita semplice per la produzione di maglieria che impiegava 90 operai, l’impresa edile Piero Morpurgo di Senigallia o la ditta vercellese per lo stampaggio di prodotti plastici Segre & Tedeschi, che occupavano rispettivamente 76 e 89 operai. Ma al di là di casi singoli e relativamente isolati, sembra nel complesso delinearsi l’immagine di un’imprenditorialità in larga misura individuale e con finalità di autosostentamento, circoscritta spesso alla dimensione di un’attività commerciale al dettaglio, per lo più cittadina se non addirittura rionale. Un’ultima informazione che merita di essere sottolineata è quella relativa agli eventuali soci «ariani» coinvolti all’interno dei 3.436 esercizi ebraici denunciati: si trattava di una percentuale assai modesta, visto che solo nel 2,70% dei casi si registrava la presenza di non ebrei all’interno della ditta. La percentuale così calcolata comprendeva anche gli eventuali congiunti «ariani» presenti nelle varie aziende e nella maggior parte dei casi – il 46% – si trattava del coniuge. Sembra dunque profilarsi il quadro di u-

ta Ovazza di Torino, della Banca Sigismondo Mayer di Firenze, della Salmon Saul & F.lli di Livorno, della Finanziaria Acquistapace di Francesco Calef e della Edmo Gerbi, entrambi di Milano, della Gino Prato di Napoli, della Isacco Klein di Trieste e infine Amalia Bolaffio Succ. N. Bolaffio e Castiglioni di Trieste. 44 Il 4,20% delle ditte aveva dai 6 ai 15 dipendenti e il 4% dai 16 ai 50. 45 La percentuale raggiunge il 57%, se consideriamo soltanto le ditte impegnate nel settore strettamente produttivo.

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