1 Virgilio Ilari
La parata del 2 giugno. L’omaggio repubblicano all’esercito “Dobbiamo forse sottrarci al disonore di oggi rifugiandoci nel glorioso passato? Non può bastarmi che i nostri antenati furono uomini d’onore e perciò stimati; (...) ogni lode che si tributa loro, è uno scherno in più che colpisce noi” Carl von Clausewitz, lettera a Maria von Bruehl 5 ottobre 1807
1. Addio alle armi in piazza San Pietro L’addio alle armi dell’Italia tardodemocristiana avviene in piazza San Pietro il 4 aprile 1999, domenica di Pasqua, cinquantenario del Patto Atlantico e 12° giorno della guerra del Kosovo. In piazza, alla testa delle rappresentanze militari italiane - inclusa l’Aeronautica che, circondata dall’ipocrita reticenza di stato, sta picchiando duro sui serbi - c’è Oscar Luigi Scalfaro. E’ il comandante delle Forze Armate, l’ottavo presidente della Repubblica, il quinto democristiano, il terzo - dopo Segni e Cossiga - proveniente dal cruciale ministero dell’interno, perno del più longevo regime italiano e scrigno dei suoi arcana. Insperabilmente, l’offensiva aerea sulla Serbia ha appena rilanciato il rinnovo del suo mandato al Quirinale, ora sostenuto dai settori della maggioranza, cattolici e comunisti, contrari alla guerra “umanitaria”. Le polemiche esternazioni pacifiste del Quirinale, clamorosamente dissonanti dall’obbligato lealismo atlantico del primo governo a guida postcomunista, hanno fatto da sponda alla durissima requisitoria giuridica del senatore a vita Andreotti e alle aperture filoserbe del ministro andreottiano degli esteri. Scalfaro pregusta compiaciuto lo scontato anatema papale sull’“inutile strage” voluta dai governi protestanti e laicisti - ai quali si è aggregato anche quello italiano - che hanno cinicamente rifiutato l’appello cattolico e ortodosso per la “tregua pasquale”. Andreotti, nei cui confronti è stata appena richiesta la condanna all’ergastolo quale asserito mandante di un presunto omicidio di stato, riceverà quel giorno il dolente e clamoroso abbraccio del papa. Invece Scalfaro sarà gelato dal prudente discorso di Giovanni Paolo II, che invoca semmai l’urgente apertura di un “corridoio umanitario” per salvare i kosovari, vittime della “pulizia etnica” decretata dal regime serbo. Si suicida così, per un calcolo sbagliato, in piazza San Pietro, l’Italia democristiana. Era nata alle sei del pomeriggio del l9 luglio 1943, quando Pio XII uscì per la prima volta dal Vaticano per accorrere a San Lorenzo bombardata dai B-17 americani (con a bordo anche Clark Gable) mentre un gruppo di popolane disperate metteva in fuga l’automobile del re, seppellendo di disprezzo Porta Pia e Vittorio Veneto (De Simone 1993: 252-57). Cinquantasei anni dopo, l’autocensura pontificia sul bombardamento americano di Belgrado congeda l’ultimo zuavo e riconsegna Monte Cavallo al nuovo bersagliere. Condizionata dal pregiudizio pacifista e antimilitarista, ma in realtà antistatuale e