LA SHOAH: IL GENOCIDIO DEGLI EBREI D'EUROPA

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‘genocidio’ sia stato coniato dal giurista americano Raphael Lemkin nel 1943). Pur senza risalire nel tempo sino all’eccidio degli armeni (1894-1918), rammento che nei Lager nazisti furono sterminati anche gli zingari, i testimoni di Geova, i malati mentali, gli omosessuali. E poi ci furono gli inferni comunisti dei Gulag, ci furono i genocidi nell’Ucraina collettivizzata, ci furono le stragi perpetrate in Cambogia dai khmer rossi di Pol Pot. E poi, in tempi più vicini a noi, l’Europa è stata il teatro delle ignobili ‘pulizie etniche’ inscenate dai popoli balcanici, condannate retoricamente da tutti e ben presto dimenticate dai più. Ancora una volta, ‘pulizie etniche’ quali semplici incidenti di percorso. Ancora una volta, come già negli anni della Shoah, eventi catastrofici lasciati accadere in un clima di diffusa apatia e insensibilità. Detto ciò, a mio parere il genocidio ebraico, compiutosi nel cuore stesso di quella cultura europea che era stata la culla della modernità, è e continuerà a essere la matrice fondamentale per la comprensione del nostro tempo storico. Evento rivelatore del contrasto tra il potere spaventoso degli uomini e la loro inettitudine a crescere sul terreno della civiltà, si porrà per sempre quale paradigma e testimonianza della millenaria follia del mondo. Come ha scritto Gershom G. Scholem (1897-1982), “per quanto sublime possa essere l’arte di dimenticare, noi non possiamo praticarla”. Queste parole sono un monito a non lasciare che le memorie dello sterminio si inabissino nel rimosso della storia. Ne accolgo la necessità, insieme con l’auspicio e la convinzione che “solo conservando la memoria di un passato che per altro non potrà mai essere compreso veramente fino in fondo, potremo coltivare la speranza [...] di una riconciliazione tra coloro che sono stati separati”. 10

La dialettica dei bicipiti: botte e lacrime a Vienna e a Berlino Vienna, febbraio 1921. L’impero austro-ungarico ha cessato di esistere da meno di tre anni. In un teatro viene messo in scena Girotondo, e fulmineamente si scatena una gazzarra sessuofobica, sùbito strumentalizzata sul terreno politico. Girotondo è una pièce che quel ‘sudicione ebreo’ di Arthur Schnitzler (1862-1931) ha scritto circa venticinque anni prima, e che nel frattempo gli ha procurato una serie di processi in tribunale e noie senza fine con la censura. Gli scritti teatrali di Schnitzler – probabilmente le espressioni drammaturgiche più significative nella Vienna a cavallo dei due secoli – brillano soprattutto per la penetrante capacità di rappresentare la decadenza della borghesia viennese: donne e uomini tesi con disperata vuotaggine a soddisfare i propri desideri immediati, come nelle operette di Strauss e di Lehar; un mondo esteriormente scintillante, ma minato alla radice da un egoismo diffuso e da un’insuperabile difficoltà nel comunicare. In Girotondo Schnitzler illustra con ironia graffiante proprio tale tematica. Mette infatti in


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