ebraica affidata a un Judenrat8 di 24 membri e a un corpo di circa due mila poliziotti ebrei dotati di soli randelli. Come altri Consigli ebraici istituiti dai nazisti per amministrare ghetti e comunità, lo Judenrat di Varsavia persegue a lungo l’illusorio obiettivo di rendere meno brutale la realtà della progressiva liquidazione. In pratica, esso funziona soltanto da strumento passivo d’esecuzione delle direttive tedesche. Se altri ghetti della Polonia sono dichiarati ‘aperti’, nel senso che da essi ci si può allontanare quotidianamente per ragioni di lavoro con regolari lasciapassare, il ghetto di Varsavia è ‘chiuso’, cioè non offre alcuna possibilità di uscire. Gli ebrei che vi sono ammassati, perciò, sono condannati a un assoluto distacco dal mondo esterno, senza alcuna possibilità di partecipare alla vita economica della città e del paese. In queste condizioni la maggioranza degli abitanti, già costretta a confrontarsi con tassi di sovraffollamento inverosimili (in alcune fasi, 10-12 persone per locale), cade ben presto sfinita dalla fame e dagli stenti. Tra il gennaio e il giugno 1941, oltre 13 mila persone soccombono per fame. La vita in comunità di coabitazione promiscua, l’insufficiente alimentazione, la sporcizia e il freddo fanno rapidamente registrare i primi casi mortali di tifo. Nell’aprile 1941 i decessi superano di sette volte quelli del novembre 1940. Gli abitanti cominciano ad abituarsi passivamente alla morte: “Quasi ogni giorno per le strade c’è gente che sviene o stramazza morta” annota nei suoi Appunti Emmanuel Ringelblum (1900-1944), l’impavido organizzatore degli ‘archivi’ del ghetto di Varsavia. “La cosa non fa più tanto effetto. Le strade sono sempre più affollate di nuovi profughi. I carri e i camion carichi di materassi degli ebrei poveri costituiscono una scena impressionante.”9 Il 5 luglio 1942 così riassume la situazione il giornale clandestino “Sturme”: “Siamo stati rinchiusi fra le mura soffocanti dei ghetti, spesso non sappiamo che cosa accade ai nostri vicini e i nostri vicini non sanno come noi veniamo assassinati”.10 Per la gran massa di questi sventurati, lo Judenrat è un’istituzione decisamente impopolare che, oltre a non combattere efficacemente il mercato nero, le speculazioni e la corsa agli accaparramenti, non riesce a risolvere neppure in parte i vari problemi che affliggono il ghetto, e tanto meno ad alleviare la disastrosa situazione sanitaria e alimentare. Ma soprattutto il Consiglio ebraico, il cui presidente Adam Czerniaków morirà suicida nel luglio 1942, si rende odioso poiché è ritenuto colpevole di favorire i benestanti e discriminare i meno abbienti. Il danaro diventa infatti l’arbitro sovrano di una lotta sempre più angosciosa per la sopravvivenza. Chi dispone di un po’ di danaro o di situazioni facilmente sfruttabili trova il modo di individuare, tra i funzionari dello Judenrat, alleati condiscendenti; tutto allora può risolversi con la corruzione, con il patteggiamento: si può comprare, per esempio, l’accesso a una fabbrica, a uno di quei tanto ambiti posti di lavoro, erroneamente ritenuti la più sicura difesa contro qualsiasi deportazione da cui sono esenti gli addetti alle industrie legate all’economia di guerra. E, sempre dietro compenso, si evitano la requisizione della propria casa, i campi di lavoro coatto, la possibilità di cadere in uno dei continui rastrellamenti condotti con il sistema ‘a pettine’ (Durchkammung) ‘per il trasferimento a Est’. Tuttavia, dopo l’aggressione tedesca all’Unione Sovietica nel giugno 1941, le retate di giovani da avviare ai lavori di fortificazione sul nuovo fronte diventano ormai una consuetudine quotidiana. E poco più di un anno dopo, tra il 22 luglio e il 3 ottobre 1942, ossia nel breve spazio di settantuno giorni, a Varsavia verrà messa in atto la cosiddetta ‘grande azione’, cioè la deportazione, mascherata da ‘trasferimento a scopo di lavoro’, di 310 mila ebrei a Treblinka, nelle cui camere a gas saranno eliminati al ritmo di 5-7 mila al giorno. È abbastanza straordinario che, pure in questo contesto di disumana ferocia, per un paio d’anni un pugno d’esseri umani oppressi, cenciosi, umiliati e votati allo sterminio si riveli ancora capace di iniziative comunitarie di rilievo: scuole clandestine, primarie e secondarie, o