POLITICA E STRATEGIA IN CENTO ANNI DI GUERRE ITALIANE VOL II TOMO II (PARTE SECONDA)

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(parte seconda)


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STATO

MAGGIORE UFFICIO

DELL'ESERCITO STORICO

MARIO MONTANARI

POLITICA E STRATEGIA IN CENTO ANNI DI GUERRE ITALIANE

VOLUMEII (parte IL PERIODO LIBERALE

TOMO II LA GRANDE GUERR

ROMA

2000

seconda)


PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Tutti i clirilti riservati. Vietata la riproduzione anc he parziale senza autorizzazione © Copyright: by Stato Maggiore Esercito Ufficio Storico IS BN 88-87940-16-9 Roma 2000

Stampa: Tipografia Mancini s.a.s. - Via Empolitana km. 2,500 - 00019 TIVOLI (Roma) Tel. 0774411526


PRESENTAZIONE

In questo volume l'autore, esaurita la trattazione delle guerre coloniali di fine '80p ed inizi del XX secolo, prende in esame la partecipazione italiana alla prima guerra mondiale, immane tragedie che costò la vita ad oltre 600.000 soldati italiani, ma che alla fine proiettò la Nazione a pieno diritto nel novero delle potenze egemoni dell'Europa. L'Esercito Italiano, entrato nel conflitto impreparato ad affrontare una guerra di posizione affermatasi già dal 19 J4 sui vari fronti europei, riuscì a tener testa ad uno degli eserciti più potenti ed organizzati del mondo, risullando nell'autunno del 1918 un temibile strumento bellico, discretamente arnwto ed equipaggiato, sufficientemente addestrato e motivato, in grado di reggere il confronto con gli eserciti alleati inglese e francese. Fu una guerra lunga e sanguinosa come non m.ai, che rivoluzionò completamente le dottrine tattiche d'impiego degli eserciti e le strategie di guerra tra nazioni. Il rapido progresso della scienza e della tecnica mise a disposizione dei belligeranti nuovi strumenti di lotta particolarmente distruttivi, quali il carro armato, il lanciajìamme, i gas, gli aerei da combattimento. Fu una guerra tolale che comportò la mobilitazione di tutte le risorse umane ed economiche del Paese, accelerando a grandi passi l'industrializzazione e la modernizzazione dell'apparato produttivo italiano. La guerra consentì all'Italia di portare a termine l'unificazione, concludendo idealmente il periodo risorgimentale, con la liberazione delle ultime terre irredente e l'eliminazione dalla scena internazionale dell'impero asbu,gico, storico ed acerrimo nemico delle aspirazioni patriottiche italiane. Merito dell'autore è stato quello di aver saputo inquadrare lo .~forzo bellico italiano nel più ampio contesto delle operazioni militari dell'Intesa, mettendo in risallo i condizionamenti e le imposizioni subite dal Governo e dal Comando Supremo da parte dei Paesi alleati, ai quali, è bene ricordarlo, l'Italia era quasi completamente debitrice per il r(fornimento di materie prime, indispensabili per l'industria bellica nazionale.


IV

LE PRIME GUERRE COLON IALI

Rinnovo, pertanto, al Generale Montanari il ringraziamento dell'Ufficio Storico per l'Impegnativo lavoro a cui si sta dedicando, che costituisce uno studio completo ed esauriente in grado di meglio far comprendere gli avvenimenti militari italiani e la storia del nostro Paese. Il Capo dell 'Ufficio Storico Col. Enrico PINO


SIGLE usate nel volume

ACS

Archivio Centrale dello Stato, Roma.

AP

Atti Parlamentari.

AUSSME

Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore dell' Esercito.

B.D.

British Documents on the Origins of the War 1898-1914.

CCSM

Comando del Corpo di Stato Maggiore.

D.D.F.

Documents diplomatiques français relatifs aux origines de la guerre de 1914 (1871-1914).

D.D.I.

Documenti diplomatici italiani.

G.P.

Die Grosse Politik der Europaischen Kabinette (1971-1914).

H.I-1.St.A.

Haus Hof und Staatsarchiv, Wien.

l.G.M.

Istituto Geogrnfico Militare

M.A.E.

Ministero degli Affari Esteri.

Oe.-U.

Oesterreich-Ungarns Aussenpolitik von der Bosnischen Krise 1908 bis zum Kriegsausbruch 1914.

R.M.I.

Rivista Militare Italiana.

S.H.A.T.

Service Historique de L' ArrnĂŠe de Terre.

S.M.R.E.

Stato Maggiore Regio Esercito.

USSME

Ufficio Storico Stato Maggiore dell'Esercito.

USSMM

Ufficio Storico Stato Maggiore della Marina.

USSMRE

Ufficio Storico Stato Maggiore del Regio Esercito.



INDICE GENERALE

Cap. XIII. La campagna del 1917 l. Gli opposti disegni strategici ............................. 2. La 10• battaglia dell'Isonzo....... ................................ 3. La breve estate fra la I O" e l' Il' battaglia dell'Isonzo . 4. L' 11• battaglia dell 'lsonzo ................................... .................................. . Cap. XIV. Dall'Isonzo al Piave I. Le premesse per la sconfitta.. ...................................................... 2. La 12" battaglia dell'Isonzo ........................................ 3. La crisi politico-militare............. ........................................................ 4. La battaglia d'a1Testo (1° battaglia del Piave) 5. Considerazioni sulla campagna del 1915 .............. .................................. Cap. XV. La campagna del 1918 l. La situazione militare all'inizio del 1918 .............. 2. La battaglia del Solstizio (2• battaglia del Piave) 3. L'isolamento politico e militare dell'Italia .......... 4 . Vigilia di battaglia 5. La battaglia di Vittorio Veneto (3 3 battaglia del P iave) ............. .. 6. Considerazioni sulla campagna del 1918 .....................................................

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Cap. XVI. Considerazioni conclusive 1. La condotta della guerra di Cadorna ..................................... 2. La condotta della guerra di Diaz .................................................... 3. I rappo1ti con gli Alleati. ..................... ................................. 4. Consuntivo

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815 828 833 837

Indice dei nomi ....................

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Capitolo XIII LA CAMPAGNA DEL 1917 1.

GLI OPPOSTI DJSEGN1 STRATEGICI

Sul fitùre del 1916 tutti i governi avvertivano il peso e le incognite deUe guerra. Tutti gli eserciti sentivano il logoramento delle sanguinose battaglie e della vita di trincea. L'Intesa aveva visto fallire la grande offensiva contemporanea su tutti ~ fronti, sulla quale si erano appuntate tante speranze. Sul teatro d'operazioni occidentale la guerra d i posizione permaneva senza essere superata né dai gas asfissianti né dai prinù cmn armati, e le spaventose perdite subìte da ambo le parti nelle battaglie di Verdun e della Somme avevano lasciato immutata la situazione strategica. Sul teatro d' operazioni italiano le battaglie di Asiago e di Gorizia avevano consentito vantaggi tattici non trascurabW sul fronte dell'Isonzo, ma non la rioccupazione di alcune posizioni importanti perdute sugli Altipiani. A prescindere dalla difficilissima situazione interna nella quale versava la Russia e dalla disfatta rumena, le Potenze occidentali si accinsero ad affrontare il terzo anno di guerra consapevoli di possedere r.isorse superiori a quelle degli Imperi Centrali, ma anche riconoscendo una realtà bellica poco soddisfacente. Non era ben chiaro come riuscire a prevalere. Ovunque esistevano attriti fra uomiuj di governo e capi militari ed ovunque lo scontento per la guerra faceva veni.re a gtùla il desiderio di cambiamenti. Nessun sintomo lasciava prevedere i tre clamorosi fatti nuovi del 1917: la decisione tedesca della guerra sottomarina ad oltranza, la rivoluzione russa e l'entrata in guerra degli Stati U1ùti. Le conferenze alleate per pianificare un disegno strategico da sviluppare nel 1917 furono quattro e precisamente: conferenza politica di Parigi (15-16 novembre 1916); 4" conferenza rnilitare di Chantilly (15-16 novembre 1916); conferenza politico-militare di Roma (5-7 gennaio 1917); conferenza politico-militare di Pietrograclo (1-17 febbraio 1917). A queste si aggiunsero tre convegni militari svolti in Italia per studiare l'eventuale concorso francese e britannico alle operazioni sul nostro fronte: convegno Cadoma-Nivelle a Udine (1-2 febbraio 1917); convegno Cadoma-Robertson-Weygancl a Udine (23 marzo 1917); convegno Cadorna-Foch a Vicenza (7-8 aprile 1917).

* * * LA CONFERENZA POLITICA ALLEATA Dl PARIGI

Nell'autunno del 1916 i governi cli Londra e di Parigi, l' uno indipendentemente dall'altro, presero l'iniziativa di organizzare una conferenza interalleata


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mirante ad individuare il modo di abbattere «completamente e definitivamente la potenza militare della Germania». Però il governo britannico, partendo dal concetto che la condotta de.Ila guerra appartenesse alla responsabilità politica, propose una conferenza dei soli ministri della Gran Bretagna, della Francia e dell'Italia, alla quale stu-ebbe seguita una conferenza militm·e per tradurre in termini operativi le conclusioni politiche. Il governo francese, invece, pur concordando sulla preminenza dell'aspetto politico, appoggiò la proposta di Joffre di dar corso direttamente alla conferenza militare, probabilmente anche perché in Francia non esistevano dubbi sul peso decisivo per le sorti del conflitto rivestito dal fronte francese. Partirono entrambi gli inviti e, avendo Joffre ricusato di posticipare di una settin1ana la conferenza militare, le due riunioni ebbero luogo negli stessi giorni. Una volta accordatisi sulla linea di condotta da segu ire, i rappresentanti politici e militari occidentali si sarebbero recati a Pietrogrado per rendersi esatto conto della situazione russa e per trovare il modo di realizzare la migliore cooperazione sotto tutti gli aspetti. La delegazione italiana era composta dal ministro del Tesoro Carcano, ultrasettantenne e ben poco al corrente delle questioni internazionali, dal dimissionario Tittoni e dall'ambasciatore Salvago Raggi. Nella prima seduta Briand riassunse gli avvenimenti del 1916, ammettendo che l'Intesa non aveva conseguito gli auspicati obiettivi, tuttavia sembrava raggiunto il sopravvento su tutti i fronti(!) ; quindi non rimaneva che continuare sulla stessa strada, perché «si è anivati al momento di portare il colpo decisivo al nemico». Il p1i mo scopo da prefiggersi era lo schiacciamento della Bulgaria e la messa fuori causa della Turchia 1• La conferenza si chiuse nel pomeriggio del I 6 novembre con l'intervento dei rappresentanti militari, i quali avevano già dato forma concreta al piano strategico, ovviamente impostato su uno sforzo principale da esercitare sul fronte francese.

* *

*

LA4• CONFERENZA MILITAR E DI CHANTILLY Da rilevare subito che, nonostante le pressioni di Briand e di Joffre affinché Cadorna fosse presente 2, questi preferì delegare il generale Porro a rappresentarlo: «Quei Francesi - scrisse a casa - diventano alquanto insolenti, secondo il loro carattere, e mi vogliono obbligare a mandru·e altre truppe a Salonicco, men-

' Salvago Raggi a Sonnino in data 15.11.1916, D.D.J., s• serie, VI, doc. 703. ' Tittoni a Sonnino in data 4.11.1916, ibidem, VI, doc. 661, e Joffre a Cadoma in data 5.11. 19·16, CCSM, Relazione ujjiciale cit. IV, tomo l bis , doc. 112.


LA CAMPAGNA DEL 1917

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tre io non voglio: ho risposto per le rime. Se andavo io a Parigi, chissà che attacco mi davano, mentre se va Porro, non ha che trincerarsi dietro i miei ordini» 3 • Il riepilogo della situazione complessiva, illustrato in un Memorandum dello Stato Maggiore francese", poneva l'accento sul sostegno offerto nel 1916 dalla Gennania alla Duplice Monarchia, nonché sul suo febbrile sforzo di incrementare al massimo la propria efficienza bellica. «Enfin et surtout, l'Allemagne (. .. ) a realisé, dans l'unité de front, l'unité du comman.dement alleman.d». In sostanza, la Germania essendo riconosciuta come il nemico più temibile, «sinon notre unique ennemi>), la sua disfatta avrebbe inevitabilmente trascinato seco quella dei suoi alleati. Perciò le operazioni eia porre in atto nel 1917 dovevano proporsi di distruggere l'esercito tedesco sul «fronte unico» della coalizione, combint ndo opportunamente gli attacchi sui singoli «fronti parziali)) di cui si componeva. Su questo panorama venne prospettata la valutazione dell'imp01tanza dei vari teatri d' operazioni. Il fronte franco-anglo-belga rivestiva un evidente valore capitale perché i tedeschi vi impiegavano la maggiore e la miglior parte delle loro truppe. Una sconfitta di portata strategica qui sub1ta da loro avrebbe provocato ripercussio1ù nùlitari e psicologiche determinanti. Quindi questo teatro doveva vedere il massimo impegno dell'Intesa. L'importanza del fronte italiano era anch'essa rilevante perché un'invasione della pianura padana avrebbe costituito un pesante scacco per l' Intesa e messo notevoli risorse a disposizione degli Imperi Centrali. Tuttavia, sul piano risolutivo bisognava riconoscere che ìl terreno offriva agli austriaci buone condizionj di difesa; e nell'unico scacchiere utilizzabile per un'azione alleata in profondità, quello giulio, la progressione dell'offensiva, costretta a trafilarsi in un ambiente naturale montano e molto rotto, non poteva che prevedersi assai lenta. Ne derivava che le operazioni in Italia, nelle circostanze del momento, dovevano limitarsi a fissare consistenti corpi austriaci ad essenziale profitto della Russia. Circa il fronte russo, appariva chiaro che, malgrado gli aiuti, le armate russe soffrivano ancora di troppe carenze e che per molto tempo era dubbio potessero far pesare la potenza delle loro masse. Ciò posto, il compito della Russia si traduceva nell'infliggere un durissimo logorìo agli Imperi Centrali, in concomitanza con le operazioni sui fronti occidentali. Naturalmente, si imponeva la necessità, nell'interesse generale, di agevolare la Russia nel ripristino della sua potenza. E analogo discorso doveva farsi riguardo alla Romaaia, il cui fronte cosstituiva in pratica un prolungamento di quello russo. Infine il teatro balcaiùco. Il fronte russo-rumeno ed il fronte macedone rivestivano per la Coalizione un rilievo di particolare e spiccato interesse. Dopo

' L. CAoORNA, Leuerefamigliari cit., p. 176. 2

CCSM, Relazione 11fficiale cit., IV, tomo I bis, doc. 114.


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l'occupazione della Serbia, gli Imperi Centrali avevano costituito un blocco unico con le alleate Bulgaria e Turchia e si avvalevano di una preziosa linea ferroviaria che consentiva ogni scambio e movimento interno. «(...) se l'Intesa - diceva Joffre - riuscisse a dominare il nemico nella penisola balcanica, isolando la Turchia dagli Imperi Centrali, potrebbe imporre la pace a questa, mettere fuori causa la Bulgaria, ristabilire comunicazioni dirette con i russo-rumeni, contrastare le mire della Germania sbm-rando la strada della sua espansione verso Oriente, stringere il blocco terrestre e, infine, attaccare da sud-est i territori austriaci ed ungheresi, che le armate russo-rumene invaderebbero da est e da nord-est». L' Intesa aveva dunque una convenienza immediata e fondata ad impegnarsi seriamente in operazioni tendenti agli obiettivi predetti. Tra l'altro, non era da trascurare l'influenza indiretta, ma pesante, che simili eventi avrebbero esercitato sulle vicende belliche degli altri teatri d' operazioni. Un'offensiva vigorosamente condotta avrebbe infatti inevitabilmente richiamato nel teatro balcanico cospiscue forze austriache e tedesche. In conclusione, le priorità vennero riconosciute come segue: prima il teatro occidentale, dove poteva e doveva esser 1icercata la rapida soluzione della guerra; poi il fronte 01ientale, suscettibile di risultati decisivi a più lunga scadenza. Il teatro italim10, date le sue caratteristiche, appm"iva meno importante, nelle circostanze presenti, però poteva facilitare molto le operazioni sul fronte orientale. Detto questo, si trattava di limitare la libertà di manovra degli Imperi Centrali e di assestare loro colpi determinanti nei settori più sensibili. Quindi, per completare il lavoro cominciato nel 1916, la Coalizione doveva proporsi: durante l'inverno 1916-17, di riordinare ed aumentare le proprie forze, bloccare e logorare quelle avversarie, mettere fuori causa la Bulgaria; nella primavera del 1917, di cercare la decisione con una serie cli offensive concordate e coordinate. Dopo la lettura e la discussione del Memorandum, Joffre fomrnlò alcuni quesiti, sui quali chiese che la conferenza si pronunciasse 1• Limitiamoci ai principali. Il piano d'azione generale suggerito era molto semplice: continuare nel corso dell'inverno offensive locali nella misura consentita dalle condizioni ambientali; esercitare in primavera il massimo sforzo congiunto per concludere la guerra. Tutti concordarono. Anche sul piano d' impiego delle forze in p1imavera si riscontrò unanimità di vedute: un'offensiva potente e decisiva sul fronte occidentale; una ripresa di attacchi su quello italiano; consistenti sforzi sul fronte orientale la cui definizione era lasciata al Comando Supremo russo. Sulla data approssimativa per le operazioni in primavera affiorarono opinioni diverse, connesse con fattori particolari (climatici o di preparazione). TI ge-

' CCSM, Relazione ufficiale cit. , IV, torno I bis, doc. 116.


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nerale Haig disse che il gruppo di armate britannico sarebbe stato in grado di attaccare il l O febbraio, ma per esercitare lo sforzo massimo sarebbe stato preferibile attendere il l O maggio. Il generale Policyn propose di non fissare subito date, comunque, tenendo presente il clima, specificò che un'offensiva russa era attuabile in febbraio-marzo, per una durata di circa sei settimane, e poi dal maggio. Il generale PoLTo indicò la preferenza per il mese cli maggio, in quanto l'esercito italiano avrebbe avuto modo di ricevere altre quattro divisioni e di ricostituire le scorte di munizioni. Prima di tale data era possibile uno sforzo sul basso Isonzo ed in alcune zone del Trentino, ma, dovendo agi.re in settori ristretti, per il nemico sarebbe stato facile respingere l'attacco. Il punto che suscitò maggiori discussioni risultò il eia farsi nel teatro balcanico. Riconosciuta la necessità di metter subito fuori combattimento la Bulgaria, bisognava definire a grandi linee il piano d' operazioni, stabili.re le forze ed i compiti delle offensive russo-rumena e del.I' A rmée d 'Orient. li pensiero francese contempla va due offensive concomitanti, partente l'una dal Danubio e l'altra dalJa Macedonia; nonché un'A rmée d ' Orient pmtata a 23 divisioni (7 britanniche, 6 francesi, 6 serbe, 3 italiane ed l russa), livello massimo utilizzabile in rapp01to ai vincoli cli natura logistica. Il rappresentante serbo - sostenuto dal russo - ricordò che il proprio Alto Comando aveva proposto 30 divisioni, ed osservò che il Memorandum francese lasciava supporre che la decisione contro la Bulgaria venisse cercata sul fronte russo-rumeno, mentre per la Serbia migliori apparivano le prospettive dal fronte sud in direzione di Monastir, del Varclar e della Struma. Ma il generale Robertson tagliò corto, dichiarando non trattarsi né di valutaziotù personali, né cli sentimenti, né di alta strategia, bensì solo e semplicemente di possibilità logistiche. La discussione più accesa, però, derivò dal rifiuto dell'Italia di portare a tre divisioni le sue forze in Macedonia (cioè di inviare altre tre brigate, che, con le tre già in posto, avrebbero consentito l'entità desiderata). Joffre cercò di appigliarsi agli accordi cli Saint Miche! de Maurienne, ma Po1TO gli ricordò la lettera molto esplicita indirizzatagli eia Caclorna il 9 novembre, tranùte il generale de Gondrecou1t. Nonostante le insistenze di Joffre e dei rappresentanti serbo e russo, Porro non fece piega, presentò cinque dettagliate memorie (le forze disponibili dell'Italia e loro impiego; le esigenze d'impiego delle forze sul teatro d' operazioni italiano; le possibilità e probabilità di un'offensiva austro-tedesca dal Trentino; la neutralità svizzera ed i pericoli che presentava; le forze italiane nei Balcani) e le fece allegare al processo-verbale della conferenza 1 • Poi si irrigidì nel diclùararc di doversi attenere alle dichiarazioni ed istruzioni di Cadorna 2 •

' Ibidem., lV, tomo I bis, doc. 116, pp. 285-288; 288-289; 290-292; 292-294; 296-297. ' Joffre commentò che Porro sostituì Cadoma «come meglio poteva ( ...), nonostante cbe a più riprese avessi l'impressione ch·egli fosse un po' soverchiato dalle importanti questioni che si dibattevano di nanzi a lui» (C.J.J. Jorr-RE, 1\tfemorie cit.. ll, pp. 323-324).


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Le risoluzioni adottate sull'argomento furono, in sostanza, che l'Armée alliée d'Orient sarebbe stata portata a 23 divisioni «aussitòt che possible» e che .il governo italiano, infonnato delle intenzioni fennamente espresse dal Comando Supremo russo, sarebbe stato sollecitato ad elevare a tre divisioni le sue truppe in Macedonia. Quanto alla Bulgaria, le due offensive - russo-rumena e dell'Armée d'Orient - dovevano risultare combinate in modo da ottenere la decisione sull'uno o sull'altro fronte, a seconda dello sviluppo delle operazioni. Tra le questioni minori, una delicatissima fu rappresentata dalla richiesta serba cli arruolare nelle proprie file i prigionieri di guerra cli etnia serba fatti dall'Italia e dalla Russia. Porro dichiarò subito che il problema era politico. Per quanto ci riguardava, si trattava di circa 3 mila prigionie1i, ma il metterli a disposizione dei serbi signifkava esporre a rappresaglie i nostri prigionieri in mano austriaca. Pertanto il governo italiano era intenzionato a concedere libertà individuale per i volontari. Joffre espresse piena soddisfazione per le conclusioni cui la conferenza era pervenuta, tanto che il 29 novembre riunì al Gran Quartier Generale i tre comandanti di gruppo d'armate interessati ad una ripresa della battaglia della Somme, ma su fronte più ampio, da avviare in febbraio: Foch, del gruppo d'armate del Nord; Pétain, del gruppo d'annate del Centro; Haig, del gruppo d'armate britannico. Era più che persuaso che la battaglia ciel 1916 avesse sconvolto a tal punto l' orgaiùzzazione difensiva tedesca che «un nostro sforzo supremo non poteva fare a meno di procurarci risultati decisivi» 1• Quanto alla dibattuta questione balcanica, più tm·di osservò con amarezza che «la disfatta romena s'incaricò cli risolvere il problema sul quale gli interessi particolari degli Stati dell'Intesa non giungevano ad accordm·si» 2 • Dopo la conquista di Monastir, la campagna di Macedonia fu considerata per quell'anno finita 3 ed iI generale Sarrail si dispose a sistemarsi saldamente sulla nuova linea lago Prespa-Monastir-Dobro Polje-lago Doiran. Joffre non aveva tenuto conto del malcontento parlamentare nei confronti ciel Comando Supremo, accusato di insoddisfacente coordinamento degli eserciti dell'Intesa, di insipienza in occasione dell'entrata in campo della Romania, cli errori cli condotta nella battaglia della Somme, cli insufficiente utilizzazione dcll'Armée d 'Orient. L'agitato dibattito parlamentare dei primi cli dicembre provocò una mossa di Briand. Il 3 dicembre chiamò Joffre. Gli illustrò la propria inquietudine e gli disse che «per riportare alla calma il Parlamento non vedeva che una soluzione: una profonda rifonna ciel!' Alto Comando, senza cli che il Ministero sarebbe caduto», cosa che avrebbe inevitabilmente provocato serie difficoltà in

'Ibidem, p. 337. 'Ibidem, p. 300. 'CCS M, Relazione ufficiale cit., {V, tomo l bis, doc. 120.


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campo operativo. Fra le personalità militari, di cui l'animosità parlamentare chiedeva l'allontanamento, c'erano i generali de Castelnau, Pellé e Foch. La crisi ministeriale sboccò nel rimpasto del governo Briand. Il 13 dicembre uscirono i decreti che istituivano il Comitato di guerra, composto da Briand, presidente del Consiglio e nùnistro degli Esteri; Ribot, ministro delle Finanze; generale Lyautey, ministro della Guerra, ammiraglio Lacaze, ministro della Marina; A. Thomas, ministro delle Armi e Munizioni. Joffre venne nominato «Generale in capo delle annate francesi», consigliere tecnico-militare del governo, membro consultivo del Comitato di guerra. Il generale Nivelle fu il nuovo «Comandante in capo» delle armate del Nord-Est, e Sarrail rimase comandante in capo dell'Année d'Orient, alle dipendenze del mitùstro della Guerra. L'ammi raglio Gauchet, ricevette la nomina a Comandante Superiore di tutte le forze navali alleate nel Mediterraneo. Per parecchi giorni le obiezioni di Joffre, di carattere personale e di organizzazione dell' Alto Comando, tennero le cose in un clima di sensibile instabilità, che si concluse il 26 dicembre con le dimissioni del generale. Lo stesso giorno Poincaré lo nominò maresciallo di Francia 1•

* * * LACONFERENZA POUTICO-MILITARE DI ROMA Dopo la 4' conferenza di Chantilly, si verificarono due avvenimenti che confortavano il nostro rifiuto a mandare altre truppe in Macedonia. Il primo fu la situazione interna della Grecia, caotica al punto che Joffre prospettò petfino il timore di dover agire anche contro forze elleniche per dare sicurezza ai corpi dell'Intesa 2• Al rinnovato parere negativo di Cadorna, BoseUi osservò che le incognite greche, affrontate con conveniente tatto, potevano trovare soluzione senza giungere ad uno scontro; comunque riteneva possibile togliere 10 mila uomini alla Libia per Salonicco ' . Il secondo evento fu costituito dal diffondersi del timore di una violenta offensiva austriaca, sostenuta questa volta dai tedeschi, dal Trentino. Sonnino ne fu allarmatissimo: «Si confem1a ogni giorno di piì1che si accumulano nel Tren tino materiali e trnppe tedesche oltreché austriache per preparare una g:rande offensiva contro l'Italia da farsi appena possibile, probabilmente subito dopo carnpagna di Romania, e qualunque ne sia l'esito( .. . )»,

'C.J..I. JOFFRE, Memorie cit., Il, pp. 372-408. Il giudizio che il maresciallo Montgomery ha dato sul personaggio è reciso: «Joffre era duro e brutale, un uomo che non avrebbe mai rinunciato alla sua linea di condona, incurante delle sofferenze che essa avrebbe comportato. ed inoltre era anche stupido. Egli vinse la ballaglia della Marna per pu ra fortuna» (BERNARn LAw MONTGOMERY, Storia delle guerre, p. 493). ' Cadorna a Boselli in data 5.12.1916. D.D.L, 5" serie, VI, doe. 796. ' Bo~elli a Cadoma in data 6. 12 .1 916, ibidem, VI, doc. 810.


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telegrafò agli ambasciatori a Londra, Parigi e Pierrogrado, affinché si guardassero bene dal caldeggiare impegni italiani fuori dalla penisola 1• Senza dubbio era ancora vivo nel suo animo J'impatto emotivo della Strafexpedition , perché finì per rivolgersi a Boselli in tennini che tradivano un 'apprensione esagerata. Sottolineò l' inquietudine per il moltiplicarsi degli indizi di una «non lontana offensiva austro-tedesca di grande stile, specialmente nel Trentino ma non solo nel Trentino, e qualunque sia l'esito dell'attuale impegno contro la Romania». Manifestò massima preoccupazione perché, a quanto riferito da «militari di ogni grado, come da borghesi provenienti dalla zona di guerra», i provvedimenti presi dal Comando Supremo od in corso erano «scarsi ed insufficientissimi. Che può fare il governo?». E continuò: «Tulta la nostra politica estera resta intanto paralizzata in cetio modo dalla dolorosa si tuazione in cui si trova il governo. di non poter obbligare il militare a provvedere adeguatamente al grave pericolo che sovrasta, irnpcrocché non è possibile, finché 1ale minaccia resti sospesa, consenùre a qualunque distrnzione di forze col parteci pare ad altre imprese guerresche degli alleati, per quanto possa110 apparire uti li per la causa comune. Che fare dunque? Lo domando a Te».

Ed invitò Boselli a chiarire la situazione prima con Cadoma, e poi, se necessario, con il Re 2• Il Comando Supremo non mostrò di dar peso né di considerare molto attendibile quell'ipotesi tanto catastrofica. Ritenne invece assai più preoccupante la notizia, secondo la quale, in base ad un recente accordo, la Svizzera si sarebbe non soltanto impegnata a mantenere una benevole neutralità nei confronti della Germania, ma avrebbe anche tollerato un eventuale passaggio di uuppe tedesche attraverso il suo teITitorio J _ A prescindere dalle predisposizioni assunte per la costituzione di nuove unità, Cadorna stimò sufficienti gli ordini già impartiti per l'inverno. Tutte Je tu-mate dovevano adottare uno schieramento di sicurezza, rispondente quanto meglio possibile alle necessità difensive e richiedente il minimo dispendio di forze (ma non molto inferiori a quelle locali del nemico) per ritemprare i reparti '; nonché costituire un nucleo di riserva, artiglieria compresa, a disposizione del Comando Supremo 5 • Così, per il l O marLO, salvo imprevisti, si poteva contare di raccogliere una forte riserva nella pianura veneta 6 • A queste misure, Cadorna aggiunse l'organizzazione di una linea clifens iva in corrispondenza della frontiera svizzera, affidata al «Comando occupazione avanzata frontiera nord» 7 • Poi, dallo Stelvio a Monfalcone si succedevano: la 1•

' Sonnino ad imperiali, Salvago Raggi e Carloui in data 16.11.19 16, ibidem, VI, doc. 706. =Sonnino a Boselli in data 27. I 1. 1916, ibidem, VI, doc. 753. ' Romei a Co1mmdo Supremo in data 11.12. 1916, CCSM, Relazione t{f}ì<:iale cit. , 1V, tomo 1 bis. doc. 6. Cfr. L. Cadorna,Altre pagine sullo no.l'Ira guerra cit. pp. 31-34. • Ibidem. lV, tomo I bis. doc. 72, 73, 74 e 75. ' Ibidem. doc. 80, 81 e 82. '' Ibidem, doc. 75 e 76. 7 Ibidem, doc. 108.


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armata sino alla val d' Astico; la 6° armata, già Comando Truppe Altopiano, sino alla val Vanoi; la 4• armata nel Cadore; il XII corpo d' armata in Carnia; la 2• armata nell' alto e medio Isonzo; la 3° armata sul Carso. Però il pensiero di Cadoma era volto all'offensiva «risolutiva», raggiungibile colpendo l'Austria, l'avversario più debole. In vista della conferenza di Pietrogrado, fissata per metà dicembre (ma poi rimandata) suggerì a Boselli di far prendere in considerazione la possibilità di una grande offensiva alleata dal fronte italiano, qualora si fosse constatata l'incapacità di pervenire a risultati conclusivi sul fronte occidentale '. Boselli, sentito Sonnino, rispose che «ragioni politiche di somma importanza sconsigl iano tale proposta, che potrebbe sminuire il prestigio e l'efficacia dell'azione nostra in gravissime questioni diplomatiche pendenti»! 2• Senonché i primi di dicembre, in seguito aJJa caduta del Gabinetto AsquiLh, Lloyd George divenne Primo ministro. Suo primo atto fu la costituzione del Comitato di guerra (9 dicembre). Seguì, a ruota, un attento riesame della situazione militare volto ad individuare possibili modifiche alle conclusioni delle conferenze di Parigi e Chantilly, alle quali era profondamente contrario 3• Respinta la teoria del logoramento, «che è il solito giuoco del giocatore inetto»; vista la cattiva volontà di prendere un'offensiva nei Balcani, per la quale nessuna misura concreta era stata adottata dai militari; messo il tedescofilo re Costantino di Grecia con le spalle al muro; considerata la retorica della «famosa fronte comune intorno a cui Briand ed Asquith hanno speso tante belle parole», Lloyd George si chiese se le progettate offensive franco-bri tannica ed italiana, nei lispettivi teatri d'operazione, presentassero affidabili elementi di successo. Concluse trattarsi «della solita tattica per cui si guadagnava un piccolo pezzo cli terreno e si perdeva un gran numero di uomini e, naturalmente, ogni aUeato doveva agire indipendentemente sulla propria fronte»•. Non riteneva possibile modificare del tutto le determinaz.io1ù prese a Parigi senza il consenso dei capi militari che su di esse si erano trovati d' accordo. Né poteva seriamente sperare su una revisione imposta dai capi di governo alleati. Secondo il suo giudizio, Briand era «un uomo indolente e che amava il quieto vivere, incapace di assumere un'iniziativa»; Boselli era «un galantuomo di mediocri qualità» e Sonnino «non era atto a condurre una guerra» perché non si interessava della lotta degli eserciti; lo z.ar era «un debole autocrate», per giunta distratto da una realmente paurosa crisi interna. La sua attenzione si soffcm1ava sul fronte italiano. Qui vedeva, da un lato il composito esercito austro-ungarico sotto tono, poco motivato e logorato, e dal-

' Cadorna a Boselli in data 4.1 1.1 916, O.O.I., 5' serie, VI, doc. 791. ' Boselli a Cadoma in data 11 . 12. 1916, ibidem . VI, doc. 822. ' Cfr. D AVlD L LOYD G EORGE, Memorie di guerra, Mondadori, Milano 1935, li, cap. ID. • Ibidem, II, p. 62.


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l' altro un esercito italiano che meritava molto piì:1 credito di quanto godesse, alla luce di quanto aveva fatto con artiglierie inadeguate sotto ogni aspetto. Se le parti fossero state inve1tite, e cioè gli italiani si fossero trovati in condizioni di netta superiorità di artiglieria, gli austriaci avrebbero resistito nelle trincee? Lloyd George era sicuro di no. Qualora gli austriaci fossero stati attaccati dalle trnppe alleate sul fronte italiano, i tedeschi sarebbero stati in grado di inviare loro, con rapidità, più rinforzi di quanto possibi le all'Intesa. Oppure, i tedeschi avrebbero approfittato della momentanea superiorità in terra cli Francia per battere l'Intesa. «Ora - diceva Lloyd George- queste ipotesi non potranno verificarsi contemporaneamente. Ma la mentalità militare, anziché prospettare l'una o l'altra, le metteva insieme tut• te e due»'. Poi esisteva il fattore sorpresa, da ricercare nel senso d i attaccare inaspettatamente in un settore reputato cli improbabile scelta oppure di attaccare con una violenza non prevista dal nemico. Perché non tentare una sorpresa sulla fronte italiana? Perché colà, s.i obiettava, «non era possibile alcuna sorpresa(...). Non passò mai per la testa dei due Stati Maggiori [inglese e francese] un diverso tipo di sorpresa [1ispetto a quella convenzionale], che avrebbe potuto avere come risultato la rottura della fronte e un grande successo prima che i tedeschi avessero avuto tempo e modo di correre in aiuto dei loro alleati sbm·agliath 2• Bastava dare agli italiani, che già possedevano la superiorità numerica, un rinforzo alleato ed anche la superiorità in artiglierie. Perciò Lloyd George propose una nuova conferenza a Roma per dissuadere la Francia dall'offensiva sul fronte occidentale a favore di un grosso sforzo sull'Isonzo. «Ma ero sicuro - commentò - che gli Stati Maggiori inglese e francese sarebbero stati ostinati. Meglio la morte (per altri soldati) sul fronte occidentale che la vittoria (per altri generali) sopra qualsiasi altra fronte» ' . Il 23 dicembre - pochi giorni prima della conferenza anglo-francese per discutere la risposta da dare alle recenti proposte di pace tedesca e del presidente Wilson -ebbe una lunga conversazione con l'ambasciatore Imperiali, informando che «qualora generale Cadorna ritenesse possibile svolgere durante l' inverno una nuova vigorosa azione, allo scopo di affrettare la presa cli Trieste e magari cli Pola», il Gabinetto britannico avrebbe esaminato con molto favore una formale richiesta italiana di artiglieria pesante 4. Come è comprensibile, sentito questo, Sonnino cambiò atteggiamento, giacché, spiegò a Boselli, simile offerta di collaborazione era cosa ben diversa da un «appello nostro agli alleati perché facessero del nostro fronte il centro principa-

1 Ibidem, Il, p. 71. ' Ibidem, Il, p. 81. 3 Ibidem, Il, p. 82. ' Imperiali a Sonnino in data 23.12.1916, D.D.l., 5' serie, VI. doc. 89


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le di azione» 1• Ulterio1i ptuticolari vennero forniti dal colonnello Greppi, addetto militare a Londra: Lloycl George «(... } ha esplicitamente dichiarato ali' Ambasciatore che non vede la possibilità di giungere ad alcun risultato di grande entità né sulla fronte occidentale, né su quella russa; il solo modo, a suo giudi;::io, di ponare un colpo decisivo alla coalizione nemica è quello di intensificare le operazioni contro l'Austria, la più stanca della g uerra e ridotta ora veramente a mal partito per la grave situazione interna che va peggiorando ogni giorno. Per ottenere q uesto scopo, il P1imo Ministro - coll'unanime consenso del Consiglio di guerra - è promo a far prestare a noi rullo il materiale di grosso calibm che il Comando Supremo ritiene necessario e suf!ìciente per esplicare una vigorosa azione offensiva destinata ad ottenere risultati tangibili, di clfello non puramente militare, ma anche morale e politico, quale sarebbe, ad esempio, la presa di Trieste (...}. Per poter fare questo, però, il Consiglio di guerra vuole avere una domanda esplicita, specifica e dettagliata da parte del Regio Governo, accompagnata dal! ' assicurazione che, cogli aiuti richiesti, sarà eseguita, a breve scadenza, una grande operazione, su qualsiasi settore della nostra fronte( ...)» ' .

Da rilevare che, secondo la citata comunicazione ciel nostro addetto militare, le decisioni del Comitato di guerra si basavano «sulla necessità impellente di non tenere, per mesi inte1i, materiale così prezioso pressoché inutilizzato», che considerava la cessione delle artiglierie «per un periodo piuttosto breve» e che voleva l'assicurazione cli un'operazione eseguita «a breve scadenza» . Siffatti elementi limitativi non rientravano nel pensiero di Lloycl George, a giudicare dalle sue memorie e dalla sua esposizione nella conferenza di Roma, però furono recepiti da Cadoma. Dall'avance fatta ad Imperiali derivò la convocazione della conferenza cli Roma - ritenuta preferibile all'iniziale desiderio di un colloquio a Londra con Sonnino - , chiesta dal governo britannico «perché noi pensiamo che, nella presente situazione, sia opportuno avere fra noi una franca discussione non solamente per ciò che rigmu·da i recenti avvenimenti nei Balcani e in Grecia, ma ancora l'insieme della campagna del 1917» 3• Il 5 gennaio 1917 si riunirono, dunque, nella capitale italiana le tre grosse delegazioni occidentali (capi di governo, ministri degli Esteri, capi di Stato Maggiore ecc.) ed i delegati russi (ambasciatore de Giers e generale Policyn). Rimandato alla conferenza di Pietrogrado quanto concerneva la Russia, gli argomenti principali si riducevano a due: l'atteggiamento da assumere nei riguardi della Grecia e le possibilità operative sulla fronte italiana. Circa il problema ellenico fu stabilito di invitare il governo reale a sgomberare la Tessaglia e con-

' Sonnino a Bose.lli in data 25.12.1916, ibidem, VI, doc. 908. ' CCSM, Relazione ufficiale, cit., IV, tomo I bis, annesso al doc. I 18. ' Memorandum preparato da Lkiyd Georgc per la confereoza (D. LLOYD G EORG F., Memorie di guerra cit., Il, p. 84). Cfr. CCSM, Relazione ,if.ficiale cit., IV, torno 1 bis, doc. 122.


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centrare entro quindici giorni le sua truppe nel Peloponneso. Diversamente, le Potenze alleate avrebbero ripreso libertà d'azione per assicurare, con i loro mezzi, la sicurezza dell'Armée alliée d'Orienl. Sul secondo punto Lloyd George esercitò tutta la sua forza di persuasione. Indicò, anzitutto, la possibilità di un attacco nemico, sferrato nella previsione di incontrare un' aitiglieria italiana a corto di batterie di grosso calibro. Ebbene, perché non 1inforzare l'Italia con artiglierie pesanti e relativo personale, in guisa di trasformare un possibile scacco italiano in una disfatta austriaca? Oppure si poteva pensare ad una offensiva alleata partente dall' Isonzo e diretta alla conquista di Trieste e di Fiume; ed anche in tale evenienza si rendeva necessario un congruo rinforzo di artiglierie.

«li vantaggio strategico - spiegò - che si guadagnerebbe con tuia simile aiione ci appare grandissimo. Esso costituirebbe probabilmente una grande sorpresa per il nemico; melterebbe l'Italia in grado di spiegare tutta la sua forza; obbligherebbe il nemico a difendere una linea più estesa; darebbe anche un effetto immediato, alleggerendo le fronti russa, rumena e balcanica; metterebbe gli Alleati in grado di attaccare Pola e probabilmente di distruggere la flotta austriaca(...). ( ... ) Infine permetterebbe agli Alleati di utilizzare quel periodo durante il quale il clima oon è favorevole allo sviluppo di una grande offcsiva sulla fronte occidentale( ...)>> '.

Il concetto era va.lido e per noi auspicabilissima la sua accettazione, però, obiettivamente, presentava un lato debole: che l'offensiva potesse essere attuata d'inverno, attraverso le Alpi Giulie, senza creare incompatibilità con l'offensiva in Francia. Difatti, Briand prese subito posizione. Si dichiarò pronto all'esame di qualunque progetto, a condizione di non compromettere la prossima offensiva sul fronte francese che il generale Nivelle assicurava foriera di risultati decisivi. La sua obiezione di fondo si basava sul fatto che l'azione italiana avrebbe avuto bisogno di due o tre mesi di preparazione, il che la poneva in contrasto con quella francese, Cadoma, intervenuto nel dibattito, espresse l'opinione che forse l'obiettivo di Lubiana sarebbe stato prefe1ibile alla conquista dell'Istria 2 • In merito ai tempi, precisò che, calcolando almeno un mese per il trasporto e lo schieramento delle artiglierie, l'attacco poteva .iniziare attorno al 20 febbraio e prolungarsi sino alla primavera. Senonché, dai generali Lyautey e Robcrtson (entrambi per niente entusiasti di un'offensiva alleata sul fronte italiano) aveva saputo che il materiale sarebbe dovuto essere restituito entro il mese di aprile 3 , e questo vincolo

' Ibidem, doe. 122. 'TI generale RoberLson toccò l'argomento in tono piì1 riepilogativo cbe preciso, perché scrisse: «D Primo Ministro sorprese nitle le persone presenti esponendo un piano di offensiva franco-italo-britannico at1raverso le Alpi Giulie fino a Lubiana e Vienna, con robiettivo di mettere l'Austria fuori dalla guerra» (Will iam Robertson, Conduite génùale de la guerre, pp. 515-516, c it. in E. F.I\LDELLA, La grande gl-lerra cit., I, p. 264). ' Lloyd George scrisse «emro il mese di maggio» (D. LLOVD GEORGE, Memorie di g uerra cit., II, p. 102).


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era troppo pericoloso. Senza contare, poi, la plausibile prospettiva di un attacco avversario in maggio, dopo lo scioglimento delle nevi, dal Trentino 1• Lloyd George si affrettò a dichiarare fom1almente che, almeno le batterie inglesi sarebbero rimaste a disposizione di Cadoma per tutto il tempo necessario; però inserì nel discorso un quesito che lasciava intravvedere finalità di fondo sostanzialmente diverse da quelle sin lì sostenute: «La questione - scrisse - che noi volevamo sottoporre al gener.ùe Cadoma e su lla quale desideravamo che egli esprimesse il suo pensiero era la seguente: se i cannoni pesanti gli fossero stati prestati, avrebbe egli potuto intraprendere una grande e, possibilmente, decisiva opcra.done per conto degli alleati?» ' ·

Perché «per conto degli alleati»? In sede di conferenza aveva parlato, ai fi. nidi un'offensiva «grande e vittoriosa», di un rinforzo all'Italia non soltanto di artiglierie, bensì anche di truppe! Mentre prima aveva ben distinto l'ipotesi di una difensiva italiana vittoriosa (con artiglierie alleate) da quella dell'offensiva combinata dei tre alleati occidentali (esercito italiano con divisioni ed artiglierie alleate), adesso sembrava chiedere un'offensiva italiana prima della anglo-francese! Lloyd George si stupì e si rammaricò della «mancanza di entusiasmo» di Cadorna; comunque chiese una risposta ponderata. Secondo Bencivenga, effettivamente Cadoma non manifestò entusiasmo per il progetto avanzato da Lloyd George. Due erano le ragioni d'ordine operativo che, a suo avviso, sminuivano il valore di un cospicuo apporto alleato in un'offensiva italiana. Il fattore sorpresa sarebbe risultato molto attenuato, in quanto l'afflusso di intere divisioni dalla Francia poteva essere agevolmente e tempestivamente bilanciato dagli Imperi Centrali. L'azione di forza avrebbe avuto bisogno di una vasta testa di ponte sul medio Isonzo, per poter acquistare slancio e continuità di sforzo. Questa premessa mancava, perciò la si sarebbe dovuta creare in precedenza. lnoJtrn, sempre a dire di Bencivenga, Cadoma in cuor suo preferiva non fare appello agli alleati per risolvere la guerra «italiana» 3• Quale che fosse il pensiero di Cadoma in quel periodo, il suo atteggiamento suscitò l'impressione, appunto, di una «mancanza di entusiasmo» sconfinante con il rifiuto. In tal senso l'interpretò iJ capo di gabinetto di Sonnino, Aldrovandi Marescotti, il quale ne trasse motivo di commento negativo sul terreno diplomatico: la presenza militare inglese sul fronte italiano «avrebbe importato una più stretta cordialità di rapporti» fra i due Paesi, che indubbiamente si sarebbe estesa dal campo militare a quello politico •.

' L. CADORNA , La guerra sulla fronte italiana c it., IJ, p. 36. ' D. LLOYD Gt:ORGE, Memorie di guerra cit., U. p. 104 (corsivo nostro) . ' Cfr. R. BENCIVF.NGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV. pp. 48--49. ' L. ALnROVANOI MARESCOTn, Guerra diplomatica, Mondadori, Milano 1936, p. I 14. L' Al· drovandi aggiunge che «il rifiuto di Roma, escludendo il concorso italo-inglese, ebbe come conse-


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Ad ogni modo, cogliendo l'invito di Lloyd George, che però non rifletteva più l'intenzione di modificare le decisioni collegiali prese, e visto che una delle conclusioni cui la conferenza di Roma era giunta «permette di considerare l'eventuale concorso di truppe alleate sulla nostra fronte a scopo offensivo», il 17 gennaio Cadorna presentò a Sonnino una nota da trasmettere a Lloyd George, prospettando «il grande rendimento che ci si potrebbe ripromettere da tal concorso, ed in quale misura e con quali modalità esso dovrebbe avvenire». In sostanza, la nota illustrava un'offensiva condotta a cavallo del Yippacco, lungo la direttrice Go1izia-Aidussina-Prevallo-Lubiana, con la Bainsizza ed il Carso ai lati. La nùsura dell'aiuto franco-britannico indispensabile era valutata pari ad almeno 300 pezzi di grosso e medio calibro e, se possibile, ad almeno otto divisioni di fanteria. La data d' inizio non era procrastiJ1abile oltre il 1° maggio; quindi i traspo1ti alleati sarebbero dovuti cominciare verso la metà di febbraio. Questi i dati essenziali '. Come si vede, il disegno non teneva conto del presupposto di utilizzare le artiglielia inoperose dmante l'inverno in Francia, e nemmeno del programma generale concordato a Chantilly, di sferrare l'offensiva p1incipale sul fronte occidentale proprio in primavera. Cadoma ignorava alcuni particolari. Non appena nominato comandante in capo delle armate del Nord-Est, il generale Nivelle si era affrettato a mettere da ptute il progetto di Joffre, giudicandolo, non del tutto a torto, foriero di un nuove ed inutile logoramento. «Noi romperemo - annunciò in una nota del 14 gennaio - la fronte tedesca quando vorremo, a patto di non attaccare nel punto più forte e di eseguire l'operazione di sorpresa e d'impeto, in ventiquattro o quarantott'ore» 2• La forza d'urto era rappresentata dal gruppo d' armate di riserva (600 mila uomini ripartiti in tre armate). Il fronte di rottura era stato individuato fra Soissons e Reims, a cavallo dell' Aisne, in direzione dello Chemin des Dames. Il 15 gennaio Nivelle si recò a Londra per presentare il disegno di manovra e riuscì a convincere senza troppa difficoltà gli inglesi della sua superiorità rispetto all'offensiva programmata da Joffre per il febbraio. L'inizio fu previsto per il I O aprile. È chiaro che, dopo queste premesse, l'accoglimento della proposta cli Cadorna diventava assai problematico. Sonnino trasmise la nota del capo di Stato Maggiore a Londra per la consegna al Premier e questi, in via del tutto riservata, dettò ad Imperiali la risposta personale per Sonnino e Cadorna:

guenza l' intensificazione di quello franco-inglese», ma non sembra si possa condividere questo apprezzamento. La cooperazione franco-inglese derivava inevitabi lmente dalla guerra combattuta fianco a fianco in Francia, e comunque non «ammorbidirà» affatto l'atteggiamento acutamente britannico di Robe1tson verso «gli altri». 'Cadorna a Sonnino in data 17. 1.1917, D.D.I., 5" serie, IV, doc. 113. 'Cit. in A. TOSTI, Storia della guerra mondiale c it., 11, p. 19. Peraltro il generale Lyautey, nùnistro della Guerra, quando vide il progello, promppe: «Ma questo è un piano per l'esercito della granduchessa di Gerolstein!», alludendo alla notissima operella di Offenbach (R. e J.P. CARTIER, la première guerre mondiale cit., Il, p. 153).


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«La proposta Cadoma giunge u·oppo tardi per un 'azioue immediata. Nostro piano sulla fronte occidentale in Francia contempla grande altacco prima che il piano Cadorna possa maturare e noi intendiamo consacrare ad esso il massimo nostro sforzo. Se attacco conduce ad un successo completo, Ital ia ne raccoglierà i frutti in grado uguale ai nost:Ji, in quanto saremo riusciti a battere il nostro principale antagonista. Se invece, siccome io prevedo , il successo sarà solo parziale, ricacciando cioè nemici indietro ed in tliggendo gravi perdite, allora sorgerà questione del dove converrà infliggere al nemico il secondo colpo, ed io ho fortemente raccomandato il piano Cadorna, come quello che offre la migliore possibilità di un grande successo. 11 generale Robertson è favorevole a questo progcito; egli si propone ad una data prossima visitare il front.e italiano per discuterne con Cadorna ( ...)» '.

Il verbale conclusivo della Conferenza di Roma precisava: «7. La Conferenza è persuasa delle opportuni tà che I.a fronte italiana offrirehhe per una offensiva combinata da parte dei tre alleati occidentali. La questione dell'aiuto da darsi dagli alleati agli eserciti italiani sul Carso deve essere dererita ai consiglieri militari dei vari Governi perché i tre Governi abbiano poi a prendere in merito una decisione» ' .

Come è agevole vedere, la decisione era stata presa dai govenù francese e britannico e non «dai tre governi». Alcune osservazioni si impongono. Qual i che fossero le intenzioni e la buona volontà di Lloyd George, l'opposizione che incontrò ne.i francesi fu insormontabile. Egli se ne rese conto ben presto e ne individuò i motivi. Se Nivelle era convinto di riportare una vitto1ia che lo avrebbe condotto alla riconquista del1' Alsazia, perché avrebbe dovuto rinunciare al trionfo per consentire a Cadorna di prendere Trieste? E Briand e Thomas, in precedenza caldi sostenitori di un'operazione contro l'Austria dalla Macedotùa, cambiarono immediatamente atteggiamento davanti alla prospettiva di un 'offensiva alleata guidata dall ' ltalia. Mentre erano eloquentissimi nel dimostrare la necessità cli inviare divisioni ed artiglierie al generale Sarrail, «quando si trattava di fare al.trettanto per la fronte italiana, allora né un sol uomo, né un solo cannone si dovevano distogliere clall 'offensiva progettata da Nivelle!» 3• La contrarietà di Robertson, imparziale nella poca simpatia per gli stranieri, si connetteva al fatto che il grosso dell'esercito britannico si trovava in Francia, e quindi preferiva qui un successo limitato piuttosto che una mossa decisiva altrove. Da parte nostra fu clùara la scarsità di peso politico internazionale. Ad essa sommò i suoi effetti negativi il carattere spigoloso di Cadoma. Si è già avuto modo di constatare quanto egli tenesse a mantenere gli impegni assunti con gli al-

' Jmpcrial i a Sonnino in data 9.2.1917, CCSM,Relazione 11.fjìcialecit., TV, tomo 1 bis, doc. 127. Imperiali era stato ricevuto da Lloyd Georgc «dopo ci nque infrnttuosi tentativi,,. ' D. LLOYD G !iOR(;E, Memorie di g uerra ci i., II, p. 107. ' Ibidem, II, pp. 119-121 . Lloyd George aggiunse: «Questa è la prima volta che io ho avuto occasione di notare negli uomini di Stato e dei diplomatici francesi un atteggiamento di inv idia e di alterigia nei riguardi dell'Italia».


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leati. Inoltre la inadeguata comunicativa non giovava al sostegno delle sue tesi nei consessi internazionali e, per l'intima consapevolezza di questo limite personale preferiva farsi rappresentare dal generale Porro. A Roma intervenne perché convocato dal governo, ma, secondo i ricordi di Lloyd George, prima della conferenza dovette subi re le pressioni di Robertson, Nivelle e Lyautey, che gli rammentarono la linea strategica accettata a Chantilly ed insistettero perché ad essa tenesse fede 1 • E così l'intuizione del Premier biitannico e la sua strategia «italiana» naufragarono di fronte ali ' egocent1ismo francese, particolarmente acceso in quel periodo, per cui veniva definito interesse comune ciò che di fatto era interesse francese 2, e, in parte anche a causa di meschine visioni particolaristiche, personaJj e nazionaM dei vertici mi litari franco-britannici, che pregiudizialmente mai avrebbero accettato il piano di Cadorna.

* * * L A CO.l\FERENZA POLITIC0- \11LITARE 01 P rETROGRADO

Anche questa era stata richiesta dalla Gran Bretagna, al termine della riunione di Parigi. Si aprì il 1° febbraio e, per l' Italia, pruteciparono il ministro Scialoia ed il generale Ruggeri Laderchi. Occorreva detemlinare che cosa la Russia potesse fare nel 1917 e di quali materiali fosse possibile rifornirla. Le perplessità occidentali sull'efficienza militare russa erano nutrite, né poteva essere diversamente, alla luce dell'arenarsi dell'offensiva Brusilov, della lentezza nell' intervento a favore del la Romania, delle palesi insufficienze della macchina bellica di quella Potenza. «Se vi ha un paese - aveva scritto l'ambasciatore Carlotti sin dalla metà di dicembre - ove sia necessaria una preparazione di lunga mano nei piani e la energica loro esecuzione, è questo, la Russia (...)» 3• Non soltanto, dunque, La mancanza cli coesione fra i membri dell'Intesa continuava a manifestarsi - come venne subito apertamente riconosciuto all'inizio della conferenza' - ma sull'auspicata convergenza di intenti e di sforzi pesò un purtroppo giustificato scetticismo circa la concreta capacità dell'esercito russo di attum·e uno sforzo massiccio a breve scadenza. Tra l'altro, considerato lo stato delle comunicazioni e dei mezzi di trasporto, i materiali bellici che la Russia poteva ottenere dagli alleati in segtùto alla conferenza, non sarebbero risultati

' Ibidem . p. 111. ' TJ commento di un noto redattore politico clelr Echo dc Paris è significativo di un certo modo di pensare: «L' Itali e a11ra le droir de parler se11/e111en1 quand elle a11ra èi son actif une Marne, un. Verd1111» (NICOi.A B RAi-CACno, /11 Francia durame la g11erra, Mondadori, Milano 1926, p. 67). ' Sonnino a Cadoma in data 16. 12.1916, CCSM .. Relazione t@ciale cit.. lV. tomo l bis. doc. 128.

' lbidem.doc. 143.


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utilizzabili prima della fine del 1917! È pur vero che il nuovo capo di Stato Maggiore, generale Gurko, aveva reiterato formali assicurazioni che la riorganizzazione ed il completamento dell 'esercito russo sarebbero stati ultimati entro il mese di aprile e che per quell'epoca intendeva sviluppare la propria offensiva', ma uno sguardo alla situazione del momento induceva a molta cautela. Gurko non era il solo a manifestare ottimismo. Un osservatore esterno, il generale inglese .KJ1ox, presso la Stavka sin dall 'inizio della guerra, scrisse che «(...) le prospeuivc per la campagna del 1917 Cr'.mo piì1 brillanti di quanto lo fossero state nel 1916 per la campagna di quell'anno( ... ). Le scorte di anni, di munizioni e di mezzi tecnici erano quasi piÌl abbondanti che al momento della mobilitazione(...). La direzione operati va andava migliorando di giorno in g iorno. L'esercilo era fondamenlo.hnente sano (... ). Non vi può essere dubbio che se la compagine nazionale avesse resistito sul fronte interno (... ) secondo ogni probabilità umanamente prevedibile la pressione da loro I= le armate russe] eserci1a1a avrebbe reso possibile una vittoria dell'Intesa entro la fine dell'anno»'.

Il generale Knox aveva decisamente sottovalutato la c1isi logistica e non soltanto questo. Più avanti scrisse «se la compagine nazionale avesse resistito sul fronte interno ... ». E invece, davanti alle drammatiche condizioni in cui versavano l'agricoltura, l'industria, i trasporti e, soprattutto, le istituzioni, quella compagine non resse. Le determinazioni finali della conferenza furono comunque le seguenti: 1° - Le singole campagne del 1917 avrebbero mirato ad effetti decisivi, quindi occorreva che le offensive sui diversi fronti venissero preparate e condotta con il massimo dei mezzi disponibili. 2° - Alla data ciel 15 febbraio, ogni fronte principale doveva trovarsi in grado di impedire al nemico di riprendere l'iniziativa. 3° - Se per conseguire tale scopo uno degli alleati si fosse visto costretto ad iniziare le operazioni prima di questa data, gli altri alleati sarebbero intervenuti, a loro volta, entro un termine massimo di tre settimane. 4° - Ove consentito dalle circostanze, le singole offensive dovevano esser prese su tutte le fronti entro un periodo di tempo chiaramente definito dai rappresentanti militari. 5° - Avendo il teatro d' opcrazioni balcanico perduto buona patte della sua importanza, l'operazione contro la Bulgaria, mirante all'isolamento della Turchia, veniva abbandonata. Il compito deU' annata di Salonicco, mantenuta al livello attuale, si riduceva a resistere ad ogni eventuale attacco ed a conservare Monastir. In caso di notevole diminuzione delle forze che lo fronteggiavano, sarebbe però passato ali' offensiva per tagliare la fcn-ovia Belgrado-Costantinopoli. 6° - Era confermato il mutuo appoggio fra alleati, già stabilito a Chantilly '.

' Ruggeri Ladcrch i a Cadoma in data 4.3.19 L7, ibidem, doc. 140. ' ALFRED KNox, With the Russia11 Am1y, 1914-1917, London 1921, pp. 551-552. 1 Carlotti a Sonnino in data 14.2.1917 eRuggcri Laderchi a Cadoma in data 16.2. 1917, CCSM. Relazione ufficiale cit., l V, tomo l bis, doc. 141 e 142.


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Fatto singolare, inspiegabile e gravissimo, nessuno dei partecipanti riuscì a percepire l 'esu·ema precarietà della situazione interna russa, esplosiva al punto da sfociare nel giro di tre settimane in una vera e propria rivoluzione. L'ambasciatore Carlotti, vedendo la frattura fra la Corona e la Duma, la giudicava «penosa ma non allannante» 1• E, sollecitato da Sonnino a fornire un apprezzamento più preciso, sostenne di non ritenere possibile una rivoluz.ione. Ad ogni modo, anche se la Duma avesse fatto crollare l'autocrazia zarista, sarebbe subentrato un regime costituzionale e l' impegno bellico ne avrebbe tratto vantaggio, giacché soltanto la vittoria militare avrebbe dato sostegno ai prutiti liberali 2• Ma, con il protrarsi della conferenza, si palesò con evidenza crescente una situazione di emarginazione e di inferiorità dell'Italia nel consesso, acutamente avve1tita da uno dei nostii diplomatici. L'Italia, egli annotò, doveva assolutamente conquistru·si fra gli alleati una parte assai maggiore di quella presente. «In questo lungo viaggio, infatti, si ebbe l'impressione costante che Francia ed in Inghilterra abbiano voce e direttive ben superiori all'Italia, che non sembra fra pari». Dipendesse da deficienze di vario tipo da parte nostra o da particolari attività ed abilità da parte altrui, era «indubbio che lo sforzo ed i sacrifici enonni che fa l'Italia non sembra ricevano il giusto apprezzamento che loro spetta)>. In troppe questioni ci trovavruno isolati e questo assumeva un preoccupante valore negativo, tenendo presente che né la Francia né l'Inghilterra nutrivano speciali motivi di contrasto con l'Austria-Ungheria, il piincipale nemico dell'Italia 3 • * * * IL CONVEGNO CADORNA-N IVELLE A UDIN E

Prima ancora dell' arrivo a Udine del generale Nivelle, Cadorna fu colto da uno scrupolo. Da un insieme di sintomi si profilava la probabilità di un'imponente offensiva tedesca sul fronte occident~ùe. La segnalazione di grosse masse nemiche nella regione renana lasciava supporre l'intenzione di realizzare un'irreparabile rottura delle linee alleate. Del resto, la mobilitazione della Svizzera concorreva a far ritenere attendibile un'ipotesi del genere a ridosso delle frontiere della Confederazione. Stando così le cose, non era da escludere che il generale Nivelle accennasse all'eventualità di un pericolo per i franco-britannici cos) forte da richiedere l'aiuto italiano. «Come è agevole comprendere - scrisse Cadoma a Boselli, esponendogli le circostanze - , si tratterebbe non di un concorso nostro da dare ad un'offensiva francese contro la Germania, ma di un aiuto per salvare da una situazione pericolosa un'Alleata minacciata, ai uto che sarebbe non soltanto doveroso per i nosù·i vincoli d'alleanza e che risponderebbe al criterio della reciprocità, ma, soprattutto, salvaguaJderebbe il nostro stesso interesse, il quale sarebbe terribilmente compromesso, quando gl i Imperi Centrali conseguissero una vittoria decisiva in Francia ( .. .).

Carlotti a Sonnino in data 00.2.1917, D.D.l., 5• serie, VII, doc. 95. ' Carlotti a Sonnino in data 00.2.191 7, ibidem, VII, doc. 130. 1 L. ALDROYAND1 MARESCOTII, Guerra diplomatica cit., p. 114. 1


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LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Ho crcduco necessario cd urgente segnalare all'E.V. quanto sopra perché, se il generale Niveile ponesse la questione io la tratterò a fondo, riguardando essa un argomento di su·etto ed esclusivo carattere militare ( .. .)» '.

Boselli, sicuramente ispirato da Sonnino, non soltanto rifiutò di considerare la cosa di stretto carattere militare, ma affem1ò la preminenza politica in un aiuto del genere. Aiuto che, questo era il punto, non aveva alcuna intenzione di concedere. Il principio della reciprocità non si poneva, a suo avviso, perché la Francia si era impegnata nel caso in cui l'Italia fosse attaccata attraverso la Svizzera, cioè attraverso uno Stato neutrale. «L' ipotesi pertanto di un nostro invio di uorn.in.i in Francia - disquisì - è pfo ampia di quella fatta per l'eventuale invio di truppe francesi in Italia e piì1 probabile a veri[icarsi. Per conseguenza, mentre la Francia avrebbe preso un impegno che difficilmente la porterà ad una prestazione effettiva, noi invece prenderemmo un impegno che ci condurrebbe quasi ce1iamente all a effettuazione della prestazione promessa».

Naturalmente, «in caso di estremo bisogno» non avremmo negato la collaborazione; tuttavia, dovendo temere un simultaneo attacco degli Imperi Centrali in Francia ed in Italia, se noi avessimo in precedenza già mandato unità sul fronte occidentale, la nostra situazione avrebbe presentato «pericoli di eccezionale gravità». Insomma, prima di prendere qualsiasi obbligo, Cado ma doveva riferire al governo 2 • Cadorna replicò ponendo in risalto che l'aiuto francese in Italia era stato previsto anche in caso cli pericolo di sfondamento austriaco nel Trentino o sul1' Isonzo, e difatti era stato studiato il concentramento delle truppe alleate sia nel triangolo Vicenza-Treviso-Padova, sia presso il Tagliamento. In secondo luogo, l'insufficienza delle forze anglo-francesi a contenere un massiccio urto tedesco doveva esser presa in considerazione per un elementare rispetto del principio della reciprocità, però sembrava assai improbabile. Infine, era estremamente dubbio che gli Imperi Centrali fossero in grado di sferrare due grosse offensive contemporanee, e, se lo avessero fatto, la pericolosità degli sforzi sarebbe inevitabilmente scemata di molto. Perciò, fenna restando l'attenta valutazione delle nostre esigenze, Cadorna chi.edeva «nel trattare col generale Nivelle, quella libc11à che si mantiene nei limiti delle operazioni militari, prevedibili nei casi contemplati. Trattandosi di un provvedimeuto militare, in ua caso che è fin

' Cadoma a Boselli in data 27.1.1917, CCSM, Relazione u/Jìciale cit., IV, tomo l bis, doc. 145. Il fotto più curi oso è che nello stesso periodo agli Imperi Centrali giunse la notizia che truppe francesi ed italiane avrebbero violato il territorio elvetico per procedere verso la Germania od il Tirolo occidentale ; motivo per cui Conrad prese contatto con il capo di Stato Maggiore dell'esercito sviz,zero offrendo aiuto. ' Boselli a Caclorna in data 29.1.19 17, ibidem, doc. 146.


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d' ora prevedibile, se io non lo potessi concordare senza prima riferirne al Governo, il mio prestigio presso gli S1ati Maggiori Alleali non ne uscirebbe ccrtamemc accresciuto» ' ·

Senza alcun entusiasmo Boselli concesse la «libertà di trattare col generale Nivelle nei limiti delle operazioni militati prevedibili nei due casi contemplati e tenendo sempre in mente tutte le contingenze cui può essere esposto nostro Paese» 1. I colloqui ebbero luogo nei giorni 1 e 2 febbraio . Cadoma ne ragguagliò Boselli in termini assai poco soddisfatti. La questione dell'aiuto diretto rimaneva al livello di principio ed al momento poggiava semplicemente sull' impostazione degli studi per i traspo11i ferroviari dalla Francia all' ltalia e viceversa. Ma il peggio era ,che <<(...) daU-insicmc dei discorsi del generale Nivelle ho trailo la impressione che se un impegno di aiuto direuo da parte francese verrà assunto, esso sarà circondato da cautele tali che lo renderanno assai problematico. Ueone.orso (T,U1cesc verrebbe iufalli assolutamente escl uso quando sulla fronte oceiden1alc fosse in corso. o prevista, un 'offensiva francese o un attacco tedesco, e, come è faci le comprendere, una siffatta limitazione è sufficiente per imporre a noi !"obbligo di non fare asscgnamcnt.o sul concorso altrui».

Tenendo presente anche l' incertezza sulla temporanea cessione di artiglieria di grosso calibro da parte britannica, «la conclusione di tutto ciò è pertanto quella che noi dobbiamo fare assegnamento per la guen-a, sulle nostre fronti , sulle nostre sole forze e mezzi». Il che significava la necessità del massimo intervento governativo per intensificare la produzione del materiale bel lico e per I' approntamento di complementi istrniti )_ Nivell.e nùse per scritto gli argomenti principali discussi nel convegno, compiacendosi «de constater que nous étions entièrement d'accord». ln sintesi, e per quanto concerneva una nuova e più forte offensiva austro-tedesca dal Trentino, cioè il caso più temuto da noi, «vous étes (. . .) en mesure - affermò fiducioso de fai re /ace à une offensive meme puissante pendant un temps suffiscmt pour que les ojfensives alliées, entreprises sur d' aut res thél?tres, viennent vous déiager ou que, si les circonstances le pennettent, desforces vous soient envoyées en appui direct». D' altrondc una simile eventualità non sarebbe stata possibile che a partire dal mese di maggio, ammesso e non concesso che gli alleati pennettessero al nemico di assumere l'iniziativa delle operazioni. E, comunque, essi avrebbero compiuto ogni sforzo per alleggerire la pressione sul nostro fronte . Per finire: si riservava di comunicare quanto p1ima la data concordata col generale Haig per la ripresa sul fronte occidentale e contava che il preavviso di quindici giorni, sa-

' Cadoma a Bosclli iu data 30.1.19 17, ibidem, doc. 147. ' Bosclli a Cadoma in data 31. 1.1917. ibidem, doc. 148. ' Cadoma a Boselli in data 5.2. 1917, ibidem, doc. 149.


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rebbe stato sufficiente per un nuovo attacco italiano sul «beau champ de bataille du Carso», dove i nostri successi «ouvriront définitivement les routes de Trieste et de Laibach» 1• Cadorna replicò il 21 febbraio, osservando che l'attività offensiva alleata sulle altre fronti poteva rivelarsi misura efficace durante il periodo della preparazione del nemico, ma non certo una volta che questi avesse riunite le forze ed i. mezzi cd il piano fosse in corso d'attuazione. Quanto al credere che un'azione altrove potesse influire sull'isolato scacchiere italiano, l'esperienza acquisita rendeva molto scettici. Tenuto conto dell'andamento della linea di contatto, un'offensiva austro-tedesca condotta con una schiacciante superiorità di forze e di artiglieria poteva facilmente creare una situazione assai critica. Soltanto un tempestivo appoggio diretto era in grado di compensare lo squilibrio esistente a nostro danno. Rispondendo alla domanda di Nivelle sul programma italiano, Cadoma assicurò di aver preso ogni provvedimento per muoversi all 'inizio di aprile sull'altopiano dei Sette Comuni, se consentito dalle condizioni meteorologiche, e sull' Isonzo. Qui, però, l'offensiva era legata ai rapporti di forza che si fossero riscontrati in primavera. Ove sfavorevoli, diventava inevitabile limitarsi ad un'attività aggressiva di fissaggio 2• Non si creda, tuttavia, ad una perfetta convergenza di idee tra francesi ed inglesi. Dopo il convegno di Udine, i principali esponenti delle due Potenze si incontrarono ancora a Calais il 27-28 febbraio. In parte le consultazioni fra i due alleati avevano una ce1ia caratteristica cli superiorità 1ispetto agli altri membri delJ' Intesa, ma in buona misura erano giustificate dal fronte in comune e non infrequentemente dall'affiorare di attriti fra i comandanti. Ora, per l'appunto tra Haig e Nivclle si era creata una certa ruggine, antipatia a parte, perché il primo, sostenuto dal capo di Stato Maggiore Imperiale, Robertson, non manifestava molto entusiasmo per il piano francese e di gran lunga avrebbe preferito attaccare per proprio conto nelle Fiandre, per cacciare i tedeschi dalla costa. In questa occasione Briand e Lloyd George tentarono di realizzare un'importante novità: il comando unico sul fronte occidentale. Difatti, dopo molte discussioni, il Comitato di guerra britannico riconobbe formalmente che «la direzione generale della campagna debba essere affidata al comandante in capo francese». Peraltro questa decisione venne infirmata da alcune clausole fortemente riduttive: Haig si sarebbe attenuto agli ordini di Nivelle «eccetto il caso in cui egli consideri ciò pericoloso per la salvezza del suo esercito o tale da pregiudicare il suo successo» e, in ogni modo, era «libero di scegliere i mezzi da impie-

1

Nivclle a Cadorna in data 9.2.1917, ibidem, doc. 150. 'Cadoma a Nivellc in data 21.2.1917, ibidem, doc. 151.


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g,u-e ed i metodi con cui utilizzare le sue truppe in quel settore d'operazioni a lui affidato». Come se non bastasse, tre giorni dopo la conferenza di Calais, Robe1tson e Haig inviarono ciascuno un memorandum a Lloyd George, «protestando contro gli accordi a cui avevano apposto la firma»! Robertson obiettava che con quel documento si era stabilito un pericoloso precedente per il futuro e comunque prospettava «un cumulo di difficoltà» d'ordine pratico. Haig, già sospettoso di suo, era allarmato per le presunte intenzioni francesi di incorporare tout court nel proprio esercito le frazioni del gruppo di armate britannico. Fu necessaria un' ulteriore conferenza a Londra per smussare angoli ed allontanare sospetti '.

* * * IL CONVEGNO CADOR NA-ROBERTSON-WEYGAND A UDINE

Dopo l'abboccamento Cadorna-Ni vclle si verificarono a lcuni imprevisti. A fme febbraio si seppe che i tedeschi stavano ripiegando nel settore di Bapaume, davanti agli inglesi. Non lo si poteva ancora capire, ma era in atto la ritirata strategica destinata a pesare sul fallimento dell' offensiva Nivelle. Il 4 marzo il generale Ruggeri Laderchi avvertì da Pietrogrado che: «( ... )Comando Supremo russo intende sviluppare propria offensiva con tutti mezzi e for..:e disponibili verso fine aprile. Ho però impressione che tale data sru·à fatalmente ritardata di due o tre settimane. Gli intendimemi Comando Supremo russo circa direzione principale del proprio sfono non sono stati comunicati né è stato possibile intuirli dalle disposizioni prese che si mantengono segretissime( ... )» ' .

Il probabile ritardo, che oltrepassava di gran lunga la data terminale del l 0 maggio stabilita a Pietrogrado, impediva perciò quella concomitanza di sforzi tanto tenacemente raccomandata. Il 6 marzo il capo della missione militare italiana presso il Gran Qua1tier Generale francese comunicò che gli inglesi , a causa dell'intensificarsi della guerra sottomarina, potevano esser pronti per metà aprile . Cadoma era perplesso. Non intendeva certo muoversi sul Carso se non dopo che tutti gli eserciti alleati si fossero impegnati nelle grandi operaziorù •, ma valeva la pena di rispettare la data ultima del 1° maggio? Volendo accettare il

1 D. LLOYD GEORGE, Memorie di guerra cit., TI , pp. 157-161. ' CCSM, Refozio11e 1tfJici(l/e cit., IV, tomo I bis, doc. 140. Qualche giorno più tardi, il 9 marzo, Ruggeri Laderchi fu ancor pi(1 netto:«(... ) !"esercito rnsso non potrà svil uppare nel prossimo maggio un vasto attacco a carattere risolutivo(...)». A meno che il nemico non ripeta l'errore de lla scorsa primavera, è prudente attendere da tale sforzo questo risultato soltanto: che esso impegni seriamente le forze ed i mezzi avversari su quella fronte e. nella migliore delle ipotesi, possa richiamarne anche altri , ma in assai modesta misu ra. ' L. C,,D()RNA, La guerra allafro11re italiana cii., U, pp. 42-44.


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principio della contemporaneità, gli sembrava preferibile preparare bene tutte le offensive e tenerle allo stato potenziale sino al momento in cui la situazione non consigliasse di prevenire l'avversario. In tal modo si sarebbero avvicinate nel tempo le offensive occidentali a quella russa. Ne scrisse a Nivelle e, giacché c'era, accennò, con intenzione, agli avvenimenti sulla fronte britannica: «La ritirata tedesca in questo scltore potrebbe essere stata determinata da esigenze tattiche, nel qual caso essa avrebbe valore puramcme episodico e locale; ma 1>otrebbe anche - e questa ipotesi enuncio con le dovute riserve - segnare l'inizio di un nuovo piano tedesco sulla fronte occidentale»'.

Poi inviò copia della lettera al generale Robertson. Nivelle osservò di non sentirsi affatto impressionato dall'arretramento dei tedeschi; anzi gli sembrava «assurdo vogliano perdere il terreno senza combattere. Se ciò avvenisse, sarebbe soddisfatto» 2• Robertson non fece commenti. Ma intanto il governo italiano, persuaso dell'utilità di un concorso britannico sul nostro fronte, aveva incaricato il ministro Bissolati di prendere contatto con Lloyd George, «rappresentandogli non più tanto i vantaggi di un'offensiva nostra sul fronte carsico, quanto l' utilità di prevenire il pericolo di un'offensiva austro-tedesca contro di noi». Su invito del Premier, il 1° marzo Bissolati aveva esposto al Comitato cli guerra le ragioni della richiesta, appoggiandosi alla nota di Cadoma, ed il Gabinetto aveva incaricato il capo di Stato Maggiore Imperiale di esaminare la questione in occasione della sua prossima visita in Italia J . li generale Robertson, dunque, ben informato e disposto a riconoscere un certo fondamento all'ipotesi di un violentissimo attacco degli Imperi Centrali sul teatro italiano, e di conseguenza a reputare opportuni «adeguati preparativi per farvi fronte» con un aiuto diretto da parte alleata, preavvisò Cadorna del suo imnùnente arrivo a Udine. Nel contempo, suggerì la presenza di un rappresentante di Nivelle. Tenne, tuttavia, ad avve1tire che l'invio delle truppe dipendeva «in gran parte dalla situazione militare del momento e dalle 1iserve disponibili sul fronte occidentale», e che il problema dei trasporti ferroviari doveva essere risolto dalla Francia'. Circa la presenza dì un generale francese, il desiderio era giustificato dalla decisione, presa in comune, di stabilire per 1'8 aprile l' inizio dell'offensiva anglo-francese e dalla richiesta di Nivelle, evidentemente anch' essa concordata con Robertson, all'Ita lia di «exécuter ses attaques vers le début ou le milieu d'avril», per realizzare il riconosciuto indispensabile sincronismo. Del resto, a Cadorna non poteva sfuggire che «Les offensives des armées f rcmçaises et anglaises, sur

'CCSM, Relazione uj]iciale ci t., IV, tomo I bis. doc.155. ' Ibidem, doc. l54. ' Boselli a Cadoma in data 14.3. 1917, ibidem. doc.158. • Robertson a Cadoma in data 16.3.1917, ibidem, doc.156.


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le front occidental, constituent actuellement la meilleure collaboration que les armées puissent donner aux armées italiennes». Se le operazioni alleate si fossero svolte come auspicato, avrebbero man mano attirato forze nemiche sempre più consistenti; se, invece, si fossero arrestate ed il nemico si fosse rivolto contro l'Italia, «peut-etre nous sera-t-il possible, vers la fin de mai, de vous donner un appui direct» 1• Queste le argomentazioni di Nivelle. Da non trascurare il fatto politico della caduta del governo Briand che le brusche dimissioni del generale Lyautey, irritato dalle mene parlamentari, avevano provocato. Il 19 marzo si era costituito il governo Ribot, con Painlevé al ministero della Guerra. A dispetto del tono disinvolto e sicuro, Nivelle avvertiva un vago dubbio sulla sitliazione militare in Francia, nonché la chiru.·a insoddisfazione italiana. Il 20 marzo si rivolse a Cadorna. Ormai era evidente: i tedeschi avevano esteso il ripiegamento anche fra la Somme e l' Aisne ed intendevano ru.Tetrare sino alla cosiddetta «linea Sigfried», per sottrarsi alla battaglia. Allo scopo di impedire loro di approfittare dell'accorciamento del fronte per costituire cospicue riserve e riprendere l'iniziativa, bisognava anticipare l'offensiva alleata ai primi di aprile. Però occorreva anche che i Comandi Supremi russo ed italiano attaccassero contemporaneamente, con ogni loro energia. Come era naturale, spiegò, a Cadorna non poteva sfuggire il fatto che «jamais la situation ne se présentera devant son front, com.me d'ailleurs devant le front russe, d'une manière plus favorable»! Nell'eventualità di uno scacco per l'operazione franco-britannica e di un'azione avversaria contro il fronte italiano, «si à ce moment nous possédons nous-meme des disponibilités suffisantes, la question d'un. appui direct pourra étre examinée par le Comité de Guerre» 2 • Evidentemente poco fiducioso sulla forza di persuasione dei suoi ragionamenti, iJ giorno successivo pensò bene di scrivere a Painlevé. Gli disse che i rinforzi austriaci inviati sul Carso e l'attendibilità di un grosso attacco austro-tedesco dal Trentino - attacco che egli aveva inizialmente stimato impossibile prima della metà di maggio, ma che adesso sembrava da temersi sin dalla metà di aprile, tenendo anche conto dell'arretramento germanico sul fronte occidentale - avevano aumentato le preoccupazioni italiane, rendendo il Comando Supremo meno disposto a collaborare con gli alleati. Poiché l' offensiva itaUana era indispensabile sia per la buona riuscita delle operazioni in generale, sia nello stesso tornaconto italiano, giudicava opportuno un interessamento diplomatico «pour exiger que le général Cadoma se cm~f'orme aux décisions prises anterieurement>> .i. Il 23 marzo Robertson ccl il generale Weygand si incontrarono con Cadorna. Questi esordì riepilogando le caratteristiche strategiche negative della nostra

' Nivclle ,1 Ca<lorna in data 17.3. 1917, ibidem. doc.J 57. ' Nivelle a Cadorna in data 20.3. 19 17, ibidem, doc. 168. ' DE ClVR IEUX, Pages de verité. L'offensive de 1917 et le Commandeme/11 du Géneral Nivelle, Paris 1919, pp. 123-124.


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frontiera, caratteristiche non eliminate dalla salda sistemazione difensiva raggiunta a fine 1916, e che quindi rendevano indispensabile non trascurare l' eventualità di un'offensiva avversaria condotta con tale schiacciante superiorità di forze da sfociare in un successo decisivo. ln sostanza, per quanto riguardava la richiesta di Nivelle - del quale lesse e commentò la lettera - precisò che, perdurando la situazione attuale, era costretto a contenere il proprio programma operativo in questi limiti: offensiva sull'altopiano dei Sette Comuni al più presto possibile ed in contemporaneità, ove concesso dalla stagione, con la grande offensiva alleata; contegno aggressivo sulla fronte giulia, sì da impedire al nemico qualsiasi sottrazione di forze; preparazione di una energica offensiva da sferrare sull' Isonzo o nel Trentino, una volta dìleguatasi la minaccia nemica dal Trentino 1• E, in tema di pericoli per l' Italia, sottolineò che le offensive di alleggerimento, di cui tanto si parlava, si erano dimostrate del tutto inefficaci. Perciò per il teatro italiano non restava che prendere in seria considerazione l'aiuto diretto. Il generale Robertson osservò che la grande operazione alleata, di imminente inizio, avrebbe fissato i tedeschi sul fronte occidentale, impegnando le loro riserve ed impedendo ogni iniziativa altrove. Stando così le cose, conveniva subordinare una decisione circa l'aiuto diretto all'esito dell'operazione in questione. Cadoma ribatté subito che ciò non dispensava affatto dallo studio delle varie ipotesi, compresa quella che i tedeschi riuscissero ad evitare la battaglia e, una volta ben organizzatisi a difesa in Francia, rivolgessero contro l'Italia le riserve strategiche. Robertson si sottrasse ad una conclusione. A suo parere, bastava intanto prendere in esame le predisposizioni per l'aiuto diretto. Le decisioni definitive spettavano, «a buon momento», ai rispettivi Comitati di guerra. Cadorna - che si vedeva opporre proprio l'evasività suggeritagli da Boselli nei confronti di francesi ed inglesi - chiese allora che i Comandi alleati sollecitassero dai Governi la facoltà di concretare liberamente scambievoli accordi militari, in modo da renderli di pronta attuazione all'atto dell'emergenza 2 • I suoi interlocutori assicurarono il fattivo interessamento, però i risultati lasciarono parecchio a desiderare. Nivelle, come preved ibile, confermò che le condizioni del concorso diretto dipendevano dalle circostanze in cui il caso si sarebbe verificato. Per questo a Chantìlly non era stato specificato il tipo di appoggio, se diretto oppure indiretto. Peraltro, gli studi in corso attestavano la sua premura ed egli si impegnava personalmente cli precisare ai Comitati di guerra alcune condizioni di base per l'impiego di truppe anglo-francesi in Italia. Inoltre preannunciò l' invio a Udine di una missione militare per accordi in proposito 3•

' Cadoma a Nivelle in data 24.3.1917, CCSM,Re/azjnne ujjicialecil., IV, tomo I bis, doc. 169. ' Ibidem, doc. 160. ' Ni velle a Cadoma lll data 28.3.19 17, ibidem, doc. 162.


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Robertson rispose di aver «l'impressione che presentemente non vi siano dati che accennino a concentramento di forze ed è da sperarsi che il nemico sarà prevenuto dal farlo dalle operazioni degli Alleati sugli altri fronti. Ma se anche ciò non si avverasse, il Ministro della Guerra spera, data la forza ed il valore delle truppe italiane, che queste potranno affrontare qualsiasi attacco che il nemico dovesse scatenare contro di loro». Poi riferì che, secondo il Consiglio di guerra la questione dei rinforzi, «come ben capirete, deve dipendere natunùmente dalla situazione del momento»! In compenso, promise l'invio di dieci batterie di obici da 152, dimostratisi ottimi. Fin qui la lettera di Robertson era in certo modo scontata. Ma il finale dovette lasciare Cadoma letteralmente sconcertato. Premesso (forse per smussare quanto seguiva) di essere rimasto impressionato nel' constatare le difficoltà opposte dal terreno nel teatro d' operazioni italiano, e quindi la necessità di disporre di comandanti «energici ed anche fisicamente forti», Robertson scrisse: «So che in pace il regolamento italiano sull'avanzamento è largamente basato sull 'anzianità di servizio, col risultato che i comandanti pii• anziani sono probabilmente alquanto vecchi per la loro posizione. Lo stesso sistema prevaleva nel nostro esercito prima della guerra come pure nell'esercito francese, ma entrambi abbiamo trovato necessario di cambiare l'ordinaria routitie di pace e di seleòonarc gli ufficiali comandanti di annate, corpi d'annata ed altre u1tità, senza riguardo alla loro anzianità, adoperando solo quelli che hanno lUtte le qualità fisiche e mentali per sopponare i gravi doveri che devono sopponare i comandanti in questa guerra. Credo che anche Voi avrete la possibilità di scegliere i comandanti su questa base e non sarete legati irragionevolmente dalla solita rv11ti11e di pace come sono sicuro che nessuno sa meglio di Voi in qual grado l'efficienza combattiva delle truppe dipenda dalla personale sovrintendenza stimolatrice data ad esse dal loro comandante» '.

Si ignora che cosa abbia fornito lo spunto per considerazioni che non soltanto costituivano una autentica gaffe, per l'inammissibile ingerenza e l'indebita ed irriguardosa critica, ma proprio mal si conciliavano con la valanga di esoneri in corso nei quadri dell' esercito. Ed è assai strano che Cadoma, ombroso com'era, abbia lasciato cadere l'argomento con Robertson, non ne abbia parlato con Boselli e nemmeno si sia sfogato in una lettera a casa e neppure nelle sue memorie. Forse per altero disdegno? Il 31 marzo Cadoma si recò a Roma per esporre la situazione al Consiglio dei ministri. In questa sede, basandosi sulle informazioni di cui era in possesso, si adoperò per dileguare i timori di una nuova Strafexpedition, che -dopo lo scoppio della 1ivoluzione russa (11 marzo), l'abdicazione dello zar e la nomina del governo provvisorio (14 marzo) - avevano preso piede nel modo politico 2• *

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'Robertson a Cadoma in data 5.4.1917, ibidem, doc. 164. ' L. CAOORNA, La guerra allafro111e italiana cit., Il, p. 45.


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LAPRJMA GUERRA MONDIALE

l L CONVEGNO CADORNA-FOCH A VICENZA

111° aprile il generale Foch, esonerato dal comando e messo a disposizione del Gran Quartier Generale dopo la battaglia deUa Somme, giunse a Vicenza dove lo attendeva Caclorna. L'esame del problema difensivo italiano venne condotto a fondo , in particolare sotto il profilo di uu doppio tentativo operato dagli Imperi Centrali. Secondo Foch, un cedimento sull'Isonzo non avrebbe comportato gravi conseguenze, mentre uno nel Trentino rischiava cli mutarsi in un disastro. Perciò, mentre un aiuto alleato non appariva necessario per la difesa sull' Isonzo, in caso di sconfitta nel Trentino l'intervento diventava indispensabile per tenere Vicenza e Padova, le porte del Veneto. Cadoma chiarì che, per l'appunto, in previsione di due sforzi simultanei da est e da nord, aveva già individuato alcune linee strategiche arretrate (sostanzialmente quelle già studiate all'epoca della Strafexpedition) e che, nell'eventualità del forzato abbandono della linea dell'Isonzo, avrebbe concentrato il grosso dcli' esercito ad ovest del Piave e della zona fortificata di Treviso. A conti fatti, le divisioni alleate dovevano giungere in Italia in tempo per rinforzare lariserva o per costituire una nuova riserva. Cadorna calcolava di ricevere informaz ioni sull'offensiva nemica non oltre tre o quattro giorni dall'inizio della radunata delle ttuppe austro-tedesche, cioè una diecina di giorni prima dell' attacco. Per ottenere un successo simile a quello conseguito nel 1916 sugli Altipiani, l'avversario avrebbe avuto bisogno di due o tre settimane. In definitiva, la necessità di un ripiegamento dell' esercito italiano si sarebbe profilata circa 25 giorni dopo l' allarn1e. Foch assicurò che entro quei termini di tempo gli alleati avrebbero fatto arrivare fra Vicenza, Verona e Padova dicci divisioni ed adeguata artiglieria pesante. Nel caso, invece, della violazione della neutralità svizzera, le unità alleate si sarebbero raccolte fra Milano e Novara '. Con Boselli, Cadorna si dichiarò soddisfatto. Per lui rivestiva fondamentale importanza stabilire i punti fermi dell'accordo e riservarsi il momento in cui decidere l'intervento alleato. Intervento, per inciso, di cui sperava non sorgesse il bisogno, grazie alla forze a sua diposizione ed alla salda preparazione quasi ultimata i _

'CCSM, Relazione ufficiale c il. , I.V, tomo I bis, verbale dell a riunione, doc. 166. Dopo l'offensiva Nivclle, i contatti fra gli Stati Maggiori condussero ad accordi militari , che avrebbero però avu10 esecuzione soilanto su decisione dei governi in1eressati. La Francia prevedeva l'invio di 160 mila uomini e 50 mila quadrupedi per lrC distinte ipotesi: difesa confine svizzero, difesa Trcnlino, difesa Isonzo. La Gran Breiagna considerava due sole ipotesi: difesa confine svizzero e difesa Trentino. con l'impegno di 120 mila uomini e 24 mi la quadrupedi. Le zone di radunata erano que lle stabilite fra Cadoma e Foch. {n aggiunta ad esse, fu definita una temi zona per l" aiuto francese a favore della difesa dell' Isonzo, e cioè la zona Gemona-Udine-Ccrvignano-Mestre-Castelfranco (cfr. R. B t:NCIVENGA , Saggio critico .rnlla nostrc, guerra cit., IV, pp. 64-65. ' Cadoma a Boselli in d,,ta 10.4. I 9 17, ibidem, doc. 167.


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Dal lato degli Imperi Centrali la situazione era guardata come priva di sviluppi favorevoli. Si comprendeva che l'Intesa sarebbe tornata all'attacco ovunque, gettando sulla bilancia il peso della prop1ia superiorità numerica ed il forte impulso confe1ito all'industria bellica. Si prevedevano nuove battaglia di logoramento in diversi settori e si affacciò il timore che, alla lunga, ogni accurata misura volta a sostenere i durissimi confronti difensivi potesse rivelarsi insufficiente. Sul fronte occidentale, sin dal settembre 1916 la Germania aveva iniziato l' approntamento di forti posizioni arretrate - la linea Siegfried, davanti a Cambrai-Saint Quentin-Laon, e la linea Saint-Miche!, a sud-est di Verdun -, che consentisst?ro l'accorciamento del fronte ed il rispam1io di forze. Nulla di pmticoJare, invece, fu previsto per il fronte orientale. Tornarono sul tappeto due questioni di fondo: la guerra illimitata dei sottomarini e la carta della pace attraverso il presidente americano Wilson. L' Ammiragliato tedesco man ifesta va l'assoluta fiducia che la guerra dei sommergibili fosse in grado di ottenere effetti decisivi entro sei mesi e questa persuas ione, unitamente ai molti dubbi sull'accoglimento dell'offerta di pace, spinsero Hindenburg a telegrafare a Bethmann-Hollweg: «(... ) Vostra Eccellenza, come Cancelliere dell'Impero, si arroghi l'esclusiva responsabilità [della decisione] ma lasci che io naturalmente intervenga con tutte le mie forze e con pieno sentimento di responsabilità per la fine vittodosa della gue1Ta, e militarmente si faccia ciò che io dt.engo giusto per raggiungere questo scopo» '. Bethmann-Hollweg aspettava le risposte alla nota del 12 dicembre presentata alle Potenze dell' Intesa tramite il governo americano. Senonché, le reazioni suscitate dal tono del la lettera, assai più di sfida che concilianti, furono negative. La Francia giudicò trattarsi di un tentativo di dividere gli alleati; la Russia proclamò doversi fare la pace soltanto dopo la vittoria dell'Intesa; l'Italia ritenne la mossa propagandistica e consigliò di chiedere a Berlino di formulare le condizioni di pace; il Belgio si espresse analogamente e lo stesso dicasi per il Vaticano; la Gran Bretagna, che aveva sondato alleati e neutrali, concluse proponendo una risposta comune, confutante le asserzioni tedesche e rilevante l'inutilità di una pro posta priva di concreti punti di riferimento. La risposta, consegnata il 30 dicembre 1916, fu inequivocabile: «(...) i Governi alleati(...) si rifiutano di cons iderare una proposta che è vuota ed insincera». Anche gli Stati Uniti si mossero. TI 20 dicembre Wilson comunicò la sua nota di pace: i belligeranti erano invitati a dichiarare le condizioni, in base alle quali si potesse mettere termine alla guerra. Le Potenze dell'Intesa precisarono subito i numerosi argomenti che sarebbero dovuti essere risolti nel trattato cli pace. Fra questi spiccavano l'autodetemùnazione dei popoli (che significava, in prati-

' E. LUl)ENDORFF, ! miei ricordi di guerra cii., l, p. 201.


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ca, la fine dell'impero austro-ungarico, cosa mal vista dalla Francia) e «l'espulsione dall'Europa» dell'impero ottomano. La risposta degl i Imperi Centrali trovò luogo in una nota confidenziale del 31 gennaio 1917, consegnata dall'ambasciatore tedesco von Bemstorff al colonnello House, consigliere di Wilson, e contraddistinta da una straordinaria cecità politica. Il governo imperiale non era disposto a rendere pubblica alcuna condizione di pace, visto che quelle pubblicate dall'Intesa miravano «a disonorare cd a distruggere la Germania ed i suoi alleati». A puro titolo di cortesia nei confronti del presidente americano, si indicavano i punti sui quali prima sarebbe stato possibile trattare: annessione di parte della Lorena, della Polonia e di territori russi; pagamento di indennità di guerra; revisione degli imperi coloniali; garanzie in territoriali in Belgio; revisione di tutti gli accordi economici stipulati in precedenza. Dulcis infundo, il governo imperiale non poteva più procrastinare il blocco sottomarino ed era convinto che detto blocco «porrà fine rapidamente alla guerra» 1• Poi, lo stesso giorno, l'ambasciatore von Bernstorff consegnò al segretario di Stato americano un documento ufficiale con il quale la Germania annunciava che «allo scopo di servire il bene dell'umanità in un senso più alto, e per non fare del male al proprio popolo, era ora costretta a continuare la lotta impiegando in pieno tutte le anni che erano in suo possesso» 2 • Il 3 febbraio il governo americano ruppe le relazioni diplomatiche con la Germania. 1n Austria-Ungheria gli orientamenti erano alquanto differenti. Il 21 novembre l'arciduca Carlo era succeduto a Francesco Giuseppe. Nel proclama iniziale ai suoi popoli il giovane imperatore espresse subito il desiderio di porre fine il più presto possibile agli orrori ed ai sacrifici della gue1n. Disapprovava la nota tedesca, ma il suo suggerimento di formulare nuove proposte di pace venne respinto seccamente da Guglielmo II. Negli ultimi giorrù di gennaio 1917, allora, si 1nise in contatto con il cognato, il principe Sisto di Borbone-Parma, che serviva nell'esercito belga, e poco dopo gli fece pervenire un documento del nuovo ministro degli Esteri, conte Czemin, subentrato aJ barone Buriàn, inteso a cercare una via per la pace. Le trattative andranno avanti segretamente per sei mesi, sino al definitivo fallimento provocato dalla nessuna intenzione austriaca di cedere territori della monarchia all'Italia 3 • Le previsioni sulle intenzioni militari dell'Intesa inducevano ad aspettarsi una ripresa delle offensive in Francia, sull'Isonzo ed in Macedonia verso la metà di aprile. Di conseguenza, la linea di condotta da tenere nel 1917 fu , per i tedeschi, molto semplice: attuare il piano Alberich, lasciando nel saliente abbandonato un terreno tanto «inospitale» da imporre ai franco-britannici seri e lunghi

' D. LLOYD GEORGE, Memorie di guerra cit., Il, pp. 49-50. Ibidem, p. 240. ' A. TOSTI, Come ci vide l'Austria imperiale, Mondadori, Milano 1930, cap. X e XI.

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lavori prima di poterlo utilizzare per montare un attacco; organizzarsi bene a difesa sulla linea Siegfried 1, completata con trincee in cemento; lasciare poi ali' offensiva sottomarina il tempo sufficiente per un pieno effetto. Per Conrad il pensiero dominante restava il metter piede nella pianura veneta. A questo scopo accarezzava il disegno di 1ipetere l'offensiva dal Trentino con 12 divisioni in prima schiera e 6 in seconda, ma con il concorso di un'altra offensiva sferrata da Tolrnino. Il concetto-base era di operare lo sfondamento del1' intero sistema difensivo italiano su un ristretto fronte di rottura ed un poderoso fuoco di artiglieria. Conrad ripeteva sempre che «la via per la Francia passa per l' unica che possa condurre, con ogni probabilità, alla pace». Perciò completò il suo disegno contro l'Jtalla e il 23 gennaio propose a Hindenburg una grande operazione in comune per la seconda metà di maggio. Una massa di 23 divisioni, di cui 6 tedesche, al comando dell'arciduca Eugenio, avrebbe esercitato lo sforzo principale sull' altipiano dei Sette Comuni, mentre una seconda massa di 19 divisioni, di cui 6 tedesche, al comando del maresciallo von Macke nsen, avrebbe attaccato sul1' Isonzo, gravitando con lo sforzo nel settore di Tolmino. Purtroppo per lui, il Comando Supremo germanico si dichiarò contrario ad impegnare tante truppe, e per un lasso di tempo difficilmente calcolabile a priori, in un teatro d'operazioni meno pericoloso rispetto a quelli occidentale ed orientale. Come capo di Stato Maggiore, Conrad aveva le settimane contate. L'imperatore Carlo decise di assumere il comando in capo delle forze annate austro-ungariche, con l'arciduca Federico in qualità di sostituto. E volle, altresì, spostare la sede del Comando Supremo da Teschen a Baden. li 27 febbraio, poi, si sbarazzò di Conrad, con il quale i rapporti erano assai freddi. A ricoprire la carica di capo di Stato Maggiore chiamò il generale Arz von Straussenburg. A Conrad assegnò il comando del gruppo d 'esercito del Tirolo, ma della progettata offensiva in Italia non si parlò più, probabilmente anche per non turbare le trattative di pace. Il 10-12 aprile Carlo I, accompagnato dal generale Arz, visitò il fronte isonlino. Al ritorno, Arz dichiarò che «l' Italia non ha creduto sinora di iniziare una nuova offensiva, non ostante le sollecitazioni degli alleati. Noi non ne sappiamo i motivi; ma è certo che parte almeno delle cause del ritardo è da ricercarsi negli avvenimenti russi. Ad ogni modo noi attendiamo i prossimi eventi con la ferma fiducia che può avere solo chi ha la coscienza di sentirsi forte» 2 •

' La linea difensiva sulla quale venne allumo il ripiegamcnlo tedesco fu, nel suo complesso, denominata «linea Hindcnburg». Ai suoi vari tratti e rano stati dati nonù di personaggi nibelungici (Wolan, Sicg.fried. Brunhilde. ecc.). ' A. Tosr1, Come ci vide l'Austria imperiale cil., p. 180.


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2. LA 10° BATTAGLIA DELL'!SONZO I Comandi alleati, in sostanza, avevano posto ogni cura nel dare per assodati due punti: l'Italia non correva seri rischi; l'Italia doveva collaborare, come da impegni presi, alla buona riuscita della grande offensiva sul fronte occidentale con una propria azione. Cadoma, dal canto suo, si riconfermò nell'opinione espressa a Boselli il 5 febbraio, che l'Italia dovesse «non fare assegnamento sul concorso alleato». Naturalmente, egli avrebbe preso tutte le misure più idonee per offtire la collaborazione richiesta, tenendo però ben presenti alcuni limiti che sarebbe stato pericoloso ignorare. Il primo era quello della sicurezza. Per tutto il mese di marzo si susseguirono disposizioni per fronteggiare un tentativo nemico sulla fronte giulia che sempre più consistente indizi davano per violento ed imminente. Alle prime direttive del 7 febbraio per la difesa del tratto «Gorizia-mare» 1, era seguita il 7 marzo la costituzione del Comando della Zona di Gorizia con i corpi d'anmua XI, XXVI e Vlll, agli ordini del generale Capello, richiamato dal Trentino. In pari data la 2• armata, ai corpi Il e VI rimastile, aggiungeva il XII, estendendo la sua giurisdizione alla Carnia 2 • Il 17 marzo i Comandi della 3• armata e della Zona cli Gor.izia ricevettero ordine cli predisporre la difesa ad oltranza della linea Sabotino-piazza di Gorizia-testa di ponte di Lucinico-corso dell'Isonzo-testa di ponte di Savogna-Yallone di Doberclò. Al verificarsi dell'attacco austriaco, le posizioni davanti a questa linea strategica, dovevano essere «presidiate con mitragliatrici e con veli di truppe col compito di svolgere azione temporeggiante e di logorare il nemico». TI fab bisogno per la difesa ad oltranza era stato calcolato in 4 divisioni più una brigata per la Zona di Gorizia ed in 8 divisioni per la 3• annata. Tutte le unità eccedenti, O dal I aprile passavano a disposizione del Comando Supremo quale riserva 1. Queste nuove direttive, non soltanto modificavano, in termini cli forza impiegabili, le precedenti del 7 febbraio, ma introducevano un nuovo concetto di difesa. In sintesi, si intendeva svolgere un'azione temporeggiante e di logoramento nella fascia antistante la linea di difesa principale, e poi irrigidire la difesa su quest'ultima, in migliori condizioni di efficienza mate1iale e morale. Non basta. Se il 17 marzo Cadorna aveva ordinato di esser pronti al più presto, adesso precisò: «non oltre in ogni modo il 7 aprile che potrebbe verosimilmente segnare l'inizio dell'offensiva nemica sulla fronte giulia; dato che questa preceda, come è probabile, l'operazione sulla fronte tridentina». È bene specificare che le misure cui dar corso subito comprendevano l'arretramento delle artiglierie pesanti e dei depositi munizioni, l'esaurimento dei magazzini avanzati e l'impianto di nuovi a tergo della linea di difesa ad oltranza, ccc. ''.

' CCS.M, Relazione 11fficiale cit., IV, tomo l bis, cloc. 86. ' Ibidem, doc. 91, 92 e 93. ' Ibidem, doc. 98. • lbidem, cloc. 99.


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Il 6 aprile, in base ad un nuovo ordine del 31 nu u·zo, passarono ad esclusiva dipendenza del Comando Supremo i corpi d'annata XIV, XX fV e XXV[ e le divisioni I 2", 54•, 57• e 60• 1 • TI secondo vincolo, sempre tenuto presente da Cadom a, concerneva le condizioni della montagna per J'offensiva sugli Altipiani e quelle meteorologiche sul fronte dell'Isonzo. Che le possibilità di concorso italiano dipendessero in grado elevato dalle predette circostanze di sicurez.za e cli ambiente, era stato chiarito in maniera inequivocabile da Cadorna con Nivelle, Robertson e Weygand. I primi di aprile, in Francia, affiorava una forte tensione . • Il ripiegamento tedesco 2 metteva sempre più in dubbio la convenienza di dar corso alla grande offensiva alleata. Il generale Messimy, ministro della Guerra nel 1914, disapprovava il piano Nivellc e sosteneva non esistere più alcun motivo per attuarlo; il generale Pétain, pur cauto, lasciava capire di non credere al successo dell'operazione; il generale l'vlicheler, comandante del gruppo d'armate di riserva, incaricalo dello sfondamento, non esitava a formulare commenti scettici. Nivelle, invece, era privo di dubbi ed il 4 aprile diramò le direttive per l'offensiva, stabilendo fasi e tempi di intervento con l'assoluta fiducia in un pieno successo. Lloyd George attribuì la persistenza di Nivelle nel disegno ad un fattore psicologico: una volta studiato il problema operativo e trovata la soluzione per la vittoria, il piano conseguente diventava «una passione a cui no n si poteva resistere». Anzi, quanto più si levava la voce dell'opposizione, tanto più «i l piano diventa un' ubriacatura e l' ubriacatura un delirio» 3, trascurando perfino l'insorgere di inattesi elementi negativi , quali, ad esempio, in questo caso la conoscenza del piano giunta ai tedeschi \ Nivelle era a tal punto sicuro di sé che non sollevò obiezioni al desiderio del presidente Poincaré di tenere una riunione di minist.li e di comandanti di g1uppo d ' armate a Compiègne, per decidere se autorizzare o bloccare in extremis I' offensiva. Era tardi, invero, giacché la rinuncia ad un'operaz.ione nella quale apertamente, ed incautamente, si erano concentrate tante speranze, avrebbe significato il fallimento di ogni proposito risolutivo, l'inutilità di preparativi di mesi e

' Ibidem, doc. 102. ' Fra il 15 ed il 25 mano, nel settore fra Arras e Soissons, i tcdesclù arretrarono per una profondità massima di una cinquantina di chilometri. Il terreno abbandonato era un deserto: perfino la popolazione civi le era stata evacuata. L'avanzata alleata nel mare di distruzione e di rovi ne, operato in ba~e al piano Alberich, inii.iò verso il 20 1mm:o giungendo a contatto con la «linea Hindcnburg» il 26. Ben presto le ricognizioni aeree rivelarono che tale li nea era una vera e propria fascia fortilicata profonda, in 1aluni traui, sino ad una dozzina di chilomel.Ji. ' D. Lloyd George, Memorie di guerra cit., II. pp. 168- 169. " Ibidem, TI., p. 162. «Amici ed avversari sapevano ormai tullo quello che si pote va sa1>ere del piano» (ibidem).


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l'ammissione dell'impotenza. Questo basti ad indicare la drammaticità della riunione che ebbe luogo il 6 aprile, il giorno della dichiarazione di guerra degli Stati Uniti alla Gerrnaiùa. Dopo un'iniziale botta e risposta fra Painlevé e Nivelle, Poincaré chiese a quest'ultimo il permesso di sentire il parere dei militari convocati. I generali (Castelnau, Pétain, Franchet d'Espérey, Micheler) in presenza del generalissimo si espressero con qualche reticenza, ma tutto il loro atteggiamento rivelava un ' eloquente, decisa contrarietà al piano 1• Allora Nivelle si alzò: <<Le Conseil - disse - connait maintenant l' opinion de mes généraux. En ce qui me concerne, je tiens à dire ceci: si le gouvemement estime que desfacteurs nouveaux sont de nature à. déterminer un changement dans la nature de la guerre, qu'il le elise. C'est son rcJ!e et seul il a qualité pour le remplil: Mais, en des circonstances de haute gravité (... ) ,i'ai l'honneur de remettre entre !es maìns de monsieur Le président de La République ma lettre de commanclement des armées clu Nord et du Nord-Est». Alla vigilia dell'offensiva, quando era principiata la preparazione d'artiglieria nel settore inglese, era impossibile accettare le dimissioni e Poincaré disse seccamente: «Général, s'il le faut, je vous donnerai l'ordre de resterà votre poste!» 2• La tensione poi si allentò e, dopo un paio di giorni di esitazione, Nivelle ritornò sulla decisione. Il mattino del 9 aprile la 1" e 3° annata britanniche attaccarono in A1tois su un fronte di circa 24 chilometri. Il buon successo inizi~le, agevolato da 4 mHa pezzi di artiglieria, suscitò l'entusiasmo del generale Haig. Nel contempo gli orientamenti operativi di Cadoma si modificavano. Il 10 ap1i le il notiziario informazioni del Comando 1• armata, riepilogando le notizie raccolte sino al 2 aprile, segnalò l'arresto imprevisto del piano di offensiva austro-tedesca nel Trentino. Secondo alcune fonti era definitivamente sfumato a causa dell'opposizione tedesca; secondo altre non si poteva dirlo, considerando l'ostinazione di Conrad e l'avanzatissimo stato delle predisposizioni. Erano si-

' Painlevé ha scritto che Pétain, Franchet d"Espérey e Micheler erano «unanimi nel dire che, se noi non avessimo attaccato, avremmo dovuto, senza ritardo, mandare un esercito nel Trentino. Non fecero pressioni al riguardo, sia perché la p(eparazione d' artiglieria hritaunica nel settore di Arras era già cominciata, sia perché l'opinione pubblica francese non avrebbe sopportato la delusione dell 'abbandono dell'operazione e l'invio di trnppe in Italia» (ibidem, 11, pp. 166- 167). AL!oyd George disse che Pétain ed altri generali avevano manifestato serie perplessità sull' imminente offensiva e che «sarebbero stati pit1 propensi, come alternativa, a mandare in Italia 8 divisioni: 4 inglesi e 4 francesi». Aggi unse anche che, a suo personale avviso, un auacco alleato dal fronte ital iano non soltanto avrebbe ponilo far uscire l'Austria dall 'alleanza con la Germania, ma addirittura costituire un colpo decisivo per le sorti del conflitto. Ma Robertson sostenne che al l' Italia era sufficiente mandare cannoni e che anche «le autori là militari francesi erano contrarie ad inviare truppe in Italia» (ibidem, II, pp. 422-423). D'altronde, l'offens iva britannica ad Arras era già cominciata. 'R. e J .P. C ARTIER, La première guerre mondiale cit., n, p. 162.


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cure sia la sospensione del preannunciato arrivo del rr corpo d'armala e di un paio di divisioni dal fronte russo, sia la partenza di alcuni battaglioni per altra destinazione 1• A quella data gli schieramenti contrapposti dallo Stelvio al mare vedevano: da parte austriaca il gruppo d'esercito Conrad (li• armata nel Trentino, sino alle Alpi di Fassa, e XX corpo nel Tirolo sino a San Candido), 10• armata in Carinzia sino alla testata dell' Isonzo, 5" annata sino al mare; da parte italiana la I" armata (gen. Pecori Giraldi) sino all' Astico, la 6· armata (gen. Mambretti) sino alle Alpi di Fassa, la 4• armata (gen. di Robilant) nel Cadore, la 2• armata (gen. Piacentini) in Carnia e sull 'alto Isonzo, la Zona di Gorizia (gen. Capello) sul medio Isonzo e la 3" armata (duca d' Aosta) sul basso Isonzo. L' 11 'aprile, dunque, considerata la «evidente sosta» dei preparativi nemici nel Trentino e l'impossibilità di trarre valide deduzioni al riguardo, nonché la mancanza di elementi per accertare «se si tratti di differimento o di rinunzia alla progettata offensiva», Cadorna preavvisò il duca d' Aosta ed il generale Capello della sua intenzione di «riprendere l'originario piano offensivo verso oriente, operando verso l'altipiano di Bainsizza e le aJture dell'anfiteatro goriziano e verso l'altipiano carsico». Naturalmente, una volta visto clùaro nella situazione e constatate impiegate altrove le riserve strategiche dell 'avversario. A parte una precisazione, il c ui intento di «maggiore clùarezza» appare non certo raggiunto - «Lo sclùeramento delle artiglierie in atto permanga fino a nuovo ordine difensivo, in preparazione sia offensivo»-, il preavviso in questione si chiudeva con una previsione-ordine che vale la pena di riportare: «Infine, in via di doverosa previsione, devesi pur considerare l'ipotesi che proprio durante questa fase di allesa potenziale, si pronun.d un'offensiva nemica di stile sulla fronte giulia: e se tale ipotes i dovesse avverarsi p11r rimanendo i11111111tara la linea tla me fissata per la difesa'"' oltranza. s'impone, come corollario dei concetli ~opra espressi, una pila tenace e durevole resistenza sulle lince avanu11e, dato il valore che le at1.uali nostre posizioni, nessuna esclusa, hanno ai lini dell'offensiva in discorso. Soggiungo che siffatta maggiore resistenza delle linee avanzate si oucrrà con una occupazione ragionevole più densa delle lince stesse, ma soprattutto con una più efficace azione delle artiglierie quale certamente consente l'assegnazione delle aliquote e dei nuclei sopra detti in più del quantum occorrente per la difesa ad oltranza. In una parola, l'incremento delle rutiglierie deve conferire alla difesa tale superiorità sulr attacco da schiacciarlo cd infrangerlo prima che giunga alle linee avanzate»'·

Non si può negare una certa perplessità, non soltanto per il susseguirsi di diretti ve che lasciavano traspa1ire un costante sensibile timore di un'improvvisa offensiva austriaca e nel contempo una tranquilla certezza di solida resistenza; non soltanto per l'alternanza di disposizioni difensive e di propositi offensivi; ma altresì per il brnsco cambiamento di impostazione della condotta difensiva, dal-

' CCSM, Relazione ufficiale cit., IV. tomo I bis. doc. 185. ' Ibidem, <loc. 175.


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la arretrata linea di difesa ad oltranza alla «più tenace e durevole resistenza sulle linee avanzate», avanti alle quali l'artiglie1ia doveva «schiacciare ed infrangere» l'avversario. Sembra lecito chiedersi se, in tema di chiarezza, questa sequenza cli direttive-spiegazioni-disposizioni-orientamenti-ordini poteva risultare proficua per il trasferimento del pensiero di Cadorna dal piano concettuale a quello esecutivo. Il 16 aprile prese slancio l' offensiva sull' Aisne condotta dal grnppo d'armate di riserva con le armate 6°, 5°, 10• e, più a tergo, La 1• (in complesso 52 divisioni, 3.500 pezzi di medio e grosso calibro con 33 miliotù di colpi a disposizione, e 200 carri d'assalto) contro la 7• e la 3• annata tedesca (21 divisioni), bene organizzate su posizioni tatticamente dominanti. Già il secondo giorno Nivelle si rese conto che la partita si presentava più ardua di quanto immaginato. Fece entrare in azione il gruppo d'a1mate del Centro, che, dopo un'avanzata di un paio di clùlometri si arrestò. La rottura non era riuscita. Il 15, alla vigilia, aveva telegrafato al generale de Gondrecourt, capo della missione militare francese presso il nostro Comando Supremo: «A diverses reprises, S.E. le général Cadorna a promis d'agiJ sur son front dans le méme tcmps que s'effectuerail l'offensive des Alliés. Yeuillez me faiJe savoir exactemcnt quelles soni !es intcntions de S.E. le général Cadoma à ce sujet et dans quelles conditions il comtc clfcctuer ses opérations. La menace ellllem.ie sur le Trenti.i1 paraissant moins cc1taine, ]es renseignemcnts indiquanl manifestemenl qu' une offensive ennemie ne peut avoir lieu à brève échéance dans cene région, 1'arrnée italienne pourrait en etre d 'autant plus puissante» '.

La spronata era inequivocabile; ma Cadoma, che pure aveva appena orientato la Zona di Gorizia e la 3• armata a muovere, prese tempo : «( ... ) I preparativi nemici per l'offensiva - fece rispondere a Nivelle - hanno recentemente su-

b.it<i una sosta; è una constatazione sicura che però non consente per il momento deduzioni altreltaul.o fondate. Nulla in.fatti autorizza ad afferma.l'c che il nemico abbia rinunziato ai propos iti offensivi così lungamente accarezzati e preparati, o piuttosto che si sia adatiato ad un differimento, anche a causa della stagione, que.st'anno insolitamente arretrata. Sulla fronte giutia permane un forte schieramento di trnppe e di artigl ierie avversarie, forse in allesa della prossima nostra offensiva che attraverso molti indizi risulta prevista nonché desiderata (... )» ' ·

Ciò premesso, assicurò che sull'altiopiano dei Sette Comuni avrebbe agito «al più presto possibile» - ma tenendo presente che, con ogni probabilità, ancora per qualche settimana le condizioni della montagna S[u·ebbero rimaste proibitive - e nei limiti concordati per La concomitanza con l'offensiva alleata in cor-

' Ibidem, doc. 170. ' Ibidem , doc. 171.


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so. Per il fronte dell'Isonzo, i provvedùnenti presi erano tali da poter sferrare l' offensiva «con fulminea prontezza, non appena io lo giudichi opportuno». E concluse: «Questo è quanto la situazione attuale, tuttora oscura, consiglia» '. Nessuna meraviglia se oltralpe la delusione fu vivace. L'offensiva francese incontrava resistenze tremende sullo Chemin des Dames e l'opinione pubblica era sconvolta dalJe notizie sulle perdite subite in tre giorni 1 • Si cominciò a criticare l'Jtalia-verso la quale il grosso pubblico non aveva mai nutrito grandi simpatie - perché, dopo aver tanto reclamato l'aiuto alleato nell'eventualità di un attacco austro-tedesco dal Trentino, adesso, sfumato con certezza questo pericolo grazie all'operazione franco-britannica, si attardava a discutere invece di agevohu-c gli alleati come da accorcli sottoscritti 3• li 19 Painlevé si precipitò a Compiègne, al Gran Qmutier Generale, per ricordare a NivelJe la sua promessa di interrompere l'operazione dopo 48 ore in caso di scacco. Nivclle si difese sostenendo che la battaglia era quasi vinta e che non occorreva che un poco di perseveranza ancora ·•. Poi telegrafò a Cadorna: «Je reçois votre lélégramme du I 8 avril. J'en conclus que vous n' estimez pas étre encore suffisammcm fixe sur Ics intentions et poss ibili1és des Allemands, pour engager vos disponibilités dans une offensive de grande envergure sur l' Isonzo,,.

Spiegò che la battaglia era ingaggiata da Lens ad Auberive, che i tedeschi, impegnatissimi, non sarebbero stati in condizione di mandare trnppe altrove per molto tempo e che, quindi, era giunto il momento più favorevole per un'offensiva italiana. D' altra parte, poiché la stagione ed i preparativi compiuti consentivano di attaccare a breve scadenza sull'Isonzo, «je vous demande - scrisse Nivelle - très instamment d'executer cette offensive», cosa possibile, considerata anche l'entità di artiglierie di cui disponeva l'esercito italiano 5•

' Ibidem. ' «( ... ) È interessante, quanto snipefacente - riferl il nostro addeuo militare a Parigi - , il rilevare che quell'agitazione estesa all'interno del Paese trova la sua base nella leggerezza con la quale il Sot1osegre 1ario de lla Sanità, on. Godard, annunciò le prime perdite. Come abbia fauo i calcoli non si sa: certo egli ed i suoi collaboratori inquirenti sull a l'ronle ammnciarono che quella offensiva aveva causalo nei primissimi giorni oltre 100.000 moni ( ... ). Tut10 ciò è falso. I mcmi sono stati da 15 a 16 mila: le perdite quelle che segnalai, sui 70 mila uomini circa ( ...)». Painlevé credene subito a queste notizie e prese posizione, anche per «rastio personale [nei confronti di Nivcllel per le frequenli e continue rimostranze de l Generalissimo contro l'ingerenza degli uomini politici e deUa s1ampa, ma specie dei p1imi, nella condoua delle operazioni» (Breganze a Cadon,a in data 19.5. 19 I 7, D.D.I .. 5' serie, vur, doc. 29). ' N. B RAJ\CACTI0.111 Francia d11ra111e la guerra cit.. p. 91. In quel periodo Brancaccio annoiò anche: «(...) è due anni che seguitiamo a dire che la nostra guerra incontrn difficoltà tecniche di prim' ordine. Lo ahhiamo tallio <leuo e propagato che tutli lo sanno e sono stufi d i sentirlo, ed ormai a simi li osservazioni c i rispondono che. se alla nostra fronte si incontrano tante difficollà ad operare, non v' è che da mandare i nostri uomin i alle allre fronti , sulle qua li vi è la possibi lità di oper;,re» (ibidem, p. 92). ' R. e J.P. CAIITI ER, La première guerre mondiale cit.. ll, p. 174. ' CCSM, Relazione 11fficiale c it. , lV, tomo I bis . doc. 172.


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LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Prudenza a parte, Cadoma era veramente intenzionato di interve1ùre, rendendosi conto, fra l'altro, che ragioni di prestigio nazionale imponevano di rompere gli indugi. Peraltro lo scopo che si riprometteva era quello di raggiungere una sistemazione difensiva così solida da resistere a qualunque sforzo nemico, nel caso in cui la Russia avesse consentito all'Austria di trarre divisioni da quel fronte per portarle contro di noi, o, peggio, avesse fatto una pace separata. Una volta presa la lunga barra Kuk-San Gabriele, elinùnata la pressione su Gorizia ed ottenuta sicurezza sul Carso, diventava possibile osservare gli eventi e decidere con calma 1• A metà aprile le notizie che possedeva sul dispositivo nemico sull' Isonzo erano aderenti alla realtà. La S3 armata austro-ungarica risultava potenziata come mai. Dal monte Nero al mare si succedevano il XV corpo (gen. von Scotti) nel settore I di Tolnùno; il XVII corpo (gen. von Fabini) nel settore Ila di Plava; il XVI corpo (gen. Krabicek) nel settore IIb cli Gorizia; il VII corpo (gen. Schariczer) ed il XXID corpo (gen. Schenk) sotto il feldzeugmeister Wurm nel settore III del Carso. A tergo, una brigata a Ternova, una divisione a sud-est di Idria e quattro divisioni fra Comen e Trieste. Su queste basi, il 18 aprile, dopo un colloquio con i comandanti della 2• e 3• annata e della Zona di Gorizia, Cadorna aveva disposto che la 2" armata cedesse il suo corpo d' annata di destra, il Il, alla Zona di Gorizia in modo da accentrare in una sola mano le operazioni sul medio Isonzo 2 • Il 19 riepilogò glielementi principali relativi ali' operazione V, a titolo di «avviamento allo studio delle prossime operazioni offensive)) e di «direttive preliminari» 3 • Lo svolgimento dell'offensiva, da Canale al mare, era previsto in tre fasi: - 1• fase (durata tre o quattro giorni): azione dimostrativa di fuoco senza azione di fanteria da parte della 3• aimata, allo scopo di disorientare il nemico e dare la sensazione di preludere ali' auacco; - 2• fase (con inizio l'ultimo giorno della precedente e di durata non definita): azione .rnssidiaria della Zona di Gorizia, volta a conquistare gli obiettivi di monte Kuk-monte Santo-monte San Gabriele-monte San Marco, ma regolata dal Comando Supremo «a buon momento, traendo norma dallo sviluppo e dai risultati dell'azione»; - 3' fase (con inizio e durata da stabilire): allaeco a fondo, cioè principale, della 3• armata, operando su Trstclj per far cadere per manovra le dil'ese dell'Hermada, ultimo ostacolo sulla via di Trieste.

La Zona cli Gorizia doveva contare su 12 divisioni più un gruppo alpino; la 3• armata su 15 divisioni. Al Comando Supremo sarebbero rimaste due divisioni per fronteggi,u-e eventi improvvisi. Per far massa con le artiglierie pesanti, la

A. GAITI, Caporetlo, li Mulino, Milano 1964, p. 3. ' CCSM, Relazione ufficiale cit., IV, tomo l bis, doc. 186. U passaggio di dipendenza era previsto per le ore zero del 21 aprile. ' Sin dal febbraio il Comando del TI corpo era stato incaricato <li avviare studi per un'operazione dalla testa di ponte di Plava verso la Bainsiua. In mar,:o il Comando della Zona di Godzia ve1rne investito della questione (ibidem, doc. 178 e I79). 1


LACAMPAGNADEL 1917

4 11

3° armata doveva prestare un centinaio di pezzi alla Zona di Gorizia per la durata della 2• fase, mentre la Zona di Goiizia avrebbe restituito detti pezzi con l' aggiunta cli altrettanti suoi alla 3• armata per l'esecuzione della 3° fase. L'inizio delle tre fasi era indicato convenzionalmente con le lettere a(fa, beta e gamma. Tutti i preparativi dovevano essere ultimati considerando il 10 maggio come giorno beta '. Dopo di che, il 20 ap1ilc, presa visione del messaggio di Nivelle, Cadorna si affrettò a rispondere assicurando il concorso italiano nella prima settimana di maggio. Comunicò altresì che, praticamente dileguatisi i timori per il Trentino, aveva cominciato ad emanare gli ordini per «intraprendere una grande offensiva sulla fronte giulia», nella quale si proponeva di impiegare una trentina di divisioni e circa l .300 pezzi cli medio e grosso calibro 2. Arrivati nel contempo, com' era inevitabile, i commenti impazienti ed anche malevoli della stampa d'oltralpe al Comando Supremo, Caclorna fece pervenire direttamente al ministro Painlevé ed a Nivelle il suo risentimento. Prima di tutto, rimarcò, le sollecitazioni della stampa francese non avevano il potere di abbreviare i tempi tecnici della complessa serie cli preparativi; in secondo luogo, doveva risultare chiaro all' Alto Comando ed al governo francesi quanto siffatti a1ticoli attirassero l'attenzione del1' avversario ed annullassero poco o tanto l' elemento sorpresa. Ebbene - concluse in tono secco - se il nemico fosse riuscito a concentrare ingenti truppe ed artiglierie sul pressoché obbligato fronte di attacco, «io sarei costretto, per non logorare inutilmente le forze in un'impresa quasi ce1tarnente votata all'insuccesso, a differire la propalata offensiva ad epoca più propizia» ' .

* *

*

Nella primavera del 1917 il programma di potenziamento dell'esercito italiano si trovava in pieno sviluppo (cfr. pagine seguenti). I Comandi di corpo d'armata da 20 erano saliti a 22 e le divisioni da 48 a 59; l'artiglieria ed il genio stavano ricevendo un forte incremento in tutte le specialità; l' aeronautica era ordinata in modo più rispondente alle necessità ed aniverà in autum10 a 650 apparecchi di vario tipo contro i 600 cli fine 1916, e con un numero triplo di piloti; l'organhzazione logistica si arricchiva sensibilmente. Si pensi che la mobilitazione industriale durante l'inverno 1916-17 produsse un milione cli tonnellate di materiale bellico, anche se purtroppo la produzione di muniziotù non era assolutamente all'altezza del fabbisogno. Quanto al personale, la costituzione delle nuove unità ed il completamento di quelle esistenti vennero assolti dall' intera classe 1897 ".

' Ibidem, doc. 208. ' Ibidem, doc. 173. ' Ibidem, doc. 174. 'Sui provvedimenti assunti nel 1917 per l' ampliamento dell'esercito cfr. CCSM, Relazione uf· ficiale cit.. IV, tomo I, cap. I.


4 12

LA PR IMA GUERRA MOND fALE

Specchio delle G.U. costituite fino alla data del 24 ottobre 1917

Armata o Grande Unità autonoma

Corpi di Armata

-~

·;;

NOTE

o

m I" Armata

Ordine numerico progressiv(>delle G.U. esistenti alla data del 24 ottobre 19 17

·c::

Grandi Unità Corpi Divisioni e unità autonome diAm1ata

5'- 6'

XXIX

37• - 27'

V

55' 69"

1" Armata

1

II

2• 3' 4"

5"

(20 gennaio 19 l 7) ( 16 luglio 1917)

III

Truppe altipiani

X

32• - 9•

XXIV

12·-11·

XXll

57•

2" Armata

(12 febbraio 191 7)

4' Annata

Zona Carnia

xvm

29" 52"

IX

17' - 18'

I

l"

XII

56" - 36"

VI

(10 gennaio 1917) 3' Annata

51" - l.S" 56'

VIl

VIII

IX 4' Annata

2• Armata

so•

TV

46' -

V!J

43• • 34' 3•

xxvu (20.7. 1917)

XXIV

II

62' 19' - 22• 64" 65"

s· 9• 10• Il' 12"

13• V

xx

IV

6· 7•

X

( J I aprile 1917)

XI

(16 luglio 1917) (1 5 lugJio 1917)

Xli Com. tnippc altipiani

10' - 49" 68"

(16 luglio 1917)

xm

8' - 44• 67'

(15 luglio 1917)

XIV

14" IY 16· 17" 18" 119" 20" 21• 22' 23• 24" 25" 26" 27• 28" 29' 30-' 31' 32' 33' 34• 35• 36' 37" 38' 39' 40' 41" 42" 43'

[segue a pagina successiva]


4 13

LA CAMPAGNA DEL 1.9 17

[segue da pag. precedente]

Armata o Grande Unità autonoma

Corpi di Armata

2• Armata

VI

'i= o ·~ ·;;

Ordine numerico progressivo delle G.U. esistemi alla data del 24 ottobre 1917 Note

o

24'

66'

vm I

XIV

Divisioni Grandi Unità Corpi e unità autonome di Annata

(18 luglio 1917)

Com. Zona carnia

XVI

44• 45• 46"

7' - 48" 59' 60''

( 1.2.1917) già selt. Zugna (1° aprile 1917)

53'

( !O gennaio 1917)

XXVlll

47• 48" 49•

xx

50' 51"

25" - 30'

52"

xxvm (22.8.1917) 3' Annata

Xl

13• - 23' 47' 31• 5g•

Com. truppe AlbaniH

xxa

53• 54• 55•

XXlll

(12 febbraio 1917)

56° 57'

xm

l4' 54'

xxm xxv

xxx Com. truppe occupaz. Alban ia Corpo spedizione Macedonia Comando generale arma di cavalleria

XXTV

59"

60"

61" (10.4 . 1917) 28" - 45•

(10.4.1 917)

58" (20 gennaio 19 l7)

4° - 33° 20° 63°

(7 aprile l 9 I7)

61'

Com. Corpo di spedi:done Macedonia

xxv

63· 64"

xxvu

(10 aprile l 9 l 7)

62·

65' 663

(5.10. 19 [7)

16° 2 1°

XVl

38"

67"

XX.VIII

68" 69"

Com. gene(ale am1adi cavalleria 35• 1· - 2· 3" - 4"

.1· di cavalleria XXIX 2" di cavalleria 3" di xxx cavalleria 4" di cavalleri a 25

69


414

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Brigate e reggimenti di fanteria costituiti uel 1917

Nome delle brigate

Centro di mobilitazione della Brigata

Reggimenti assegnati

Data di formazione

Lazio .............

233-234

gennaio 1917

Piceno ...........

235-236

))

Ascoli

17

Grosseto ........

237-238

))

Pisa

22

Pesaro ............

239-240

»

Frosinone 59

Teramo. ........

241-242

»

Avellino

32

Cosenza ........

243-244

»

Cosenza

19

Siracusa.........

245-246

))

Reggio Cal. 20

Girgenti .........

247-248

»

Girgenti

Savona

NOTE

41

Circ. 10.000 G. del 15.10.19 16 modificata dalla Circ. 700 G. deJ 22.1.19 17

5

Pallanza .........

249-250

febbraio 1917

Novara S. 24

Massa Carrara

251-252

)>

Reggio E. 66

Porto.maurizio

253-254

))

Mantova

Veneto ...........

255-256

))

Udine

2

Tortona ..........

257-258

»

Brescia

77

Murge ............

259-260

)>

Tonona

43

Elba ...............

261-262

))

Ferrara

27

Gaeta ......... ...

263-264

>)

Gaeta

16

Lecce......... ...

265-266

aprile 1917

Taranto

9

Caserta (già A)

267-268

maggio 1917

Pistoia

83

Aquila (già B)

269-270

»

Udine

2

Potenza (già C)

27J-272-273

luglio 1917

72

Circ. 700 G. del 22.1.1917 modificata dalla Circ. 1300 G. del 2.2.1917

Circ. 500 G. del 13.1.1917

Circ. 2500 G. del27.2.1917

Circ. 4800 G. del 27.4. 1917 Circ. 7000G del 22.6.1917

Milano E.

7

Belluno (già D) 274-275-276

»

Monza

8

Vicenza (già E)

277-278-279

)>

Piacenza E. 25

Foggia (già F)

280-28 1-282

)>

Piacenza O. 26

~~~-':~/~.i.~.9~.

[63-164

))

NovaraN. 23

Circ. 5950 G. del 21.5. 1917 cCirc. 95500. del 9.8.19 17

......................

165? (a)

ottobre 1917

··············•·······

......................

99° (b)

»

......................

Telegr. 130.709 0 .M. del 14.10.1917

(a) (b)

Circ. 8700 G. del 19.7.1917 e Circ. 9550 G. del 9.8.1917

In data 20 ottobre venne destinato quale terzo reggimento alla Brigata Liguria. 1116 ottobre 1917 venne assegnato quale terzo reggimento alla Brigata Valtellina.


415

LA CAMPAGNA DEL 19 17

Elenco dei reggimenti bersaglieri costituiti durante il 1917

N. dei bauaglioni assegnati

Data di costituzione e circolare

Centro mobilitazione

17°

LX! V, LXV e LXVI (di nuova costituzione)

6 febbraio 1917 (circ. 10000 G. del 15 ottobre l 9 I 6)

Deposito li 0 bers.

18°

LXVll, LXVIII e LXIX (di nuova costituzione)

3 1 gennaio 1917 (circ. 10000 G. del 15 ottobre 1916)

Deposito 12° bers.

19°

XLI, XLII e XLV (già di M.M.)

15 febbraio 1917 (circ. 4000 bis G. del 17 aprile 1917)

Deposito 4° bers.

LXX, LXXI e LXXII

I O aprile 1917 (circ. 4000 bis G. del 17 aprile 1917)

Deposito 4° bers.

27 aprile 1917 (circ. 5000 G. del I maggio 1917)

Deposito 1° bers.

N. del reggimento

I

20°

(già di marcia)

21°

LXXIII, LXXIV e LXXV (già di marcia)

O

Elenco delle brigate bersaglieri costituite durante il 1917

della Brigata

N. dei reggimenti assegnati

Data di costituzione

rrr

17° - 18°

18 mano 1917 (circ. 4100 bis G.)

!V

14° - 20°

l • aprile I 917 (circ. 4100 bis G.)

V

4° - 21 °

18 giugno 19[7 (circ. 7470 G. del 23 giugno 1917)

N.

Elenco dei battaglioni e delle compagnie alpini costituiti durante il 1917 (1) Assegnazione

Denominazione dei Battaglioni

Numerazione delle compagnie

Centro mobilitazione

Reggimento

M. Pasubio

290-291-292

Magazzino Vicenza

6° alpini

M. Tonale

293-285-286

Magazzino Morbegno

s· alpini

M.Nero

294-295-296

Magazzino Casarsa

8° alpini

297-298-299

Deposito Cuneo

2° alpini

M. Marmolada

300-301-284

Deposito Belluno

7° alpini

Pallanza

302-282-283

Magazz.ino lntra

4° alpini

Magazzino Pinerolo

3° alpi ni

Cuneo

Counnajeur

303-304-305

(1) Costituiti in data 20 maggio 1917 (circ. 6600 G. del 3 giugno 19 17).


4 16

LA PRIMA GUERRA MONDIALI::

A fine 1916 si trovavano alle armi le seguenti aliquote di personale: Nell'esercito operante ............................................................................................. 1.800.000 u. In territorio:

- nuove unità ............................................ 100.000 u. - complementi ......................................... 300.000 u. - ballaglioni .M .T. ............................... ... l00.000 u. - compagnie presidiruie ............................ 25.000 u. - carabinieri .............................................. 35.000 u. - stabilimenti produzione ......................... 70.000 u. - non idonei fatiche guerra ..................... 165.000 u. - in luogh i di cura ........ .. ........... 150.000 u. - in convalescenza ........................... ...... I00.000 u. 1.045.000 u . .

.... 1.045.000 \I.

TOTALE ALLE ARMI .................. 2.845.000 u.

Per l'alimentazione dell'esercito operante era calcolato un fabbisogno mensile di complementi pmi a 300.000 uomini. Come osservazione di carattere generale, si può cit,u-e il Bencivenga: «Il nostro esercito nel 1917 fu uno strumento bellico formidabile. Ebbe una crisi di crescenza fino alla battaglia di maggio, ché numerose furono le filiazio1ù di nuove unità dal ceppo originario» 1• In realtà gli inconvenienti derivanti dall'aumento di unità non furono Uevi perché essenzialmente si riferirono alle deficienze di inquadramento e di comando: non si improvvisano i sottufficiali, né gli ufficiali, né i Comandi, né i comandanti. E le esigenze di amalgama e di addestramento non si soddisfano in tempi brevi. Alla crisi predetta fu cercato rimedio con un addestramento intensissimo e con un migliore impiego dell'artiglieria. Il Baj-Macario si espresse in termini differenti, sia pure riferendosi solo al morale: «In complesso appena mediocre: due anni cli penosa guerra di posizione presso il confine anziché la sperata facile avanzata verso le città irredente avevano profondamente stancato e sfiduciato la Nazione e l'esercito» 2• In entrambi i giudizi sembrano affiorare eccessività. Peccava per un verso il Bencivenga, apparendo obiettivamente esagerato definire «formidabile» il nostro strumento bellico. Nonostante l'inunenso sforzo del Paese, le cure e le provvidenze ministeriali e l' assetto complessivo dato dal Comando Supremo - ed astraendo dagli inconvenienti provocati dalla «crisi di crescenza», in quanto comuni a tutti gli eserciti - , basterebbe por mente alla persistente palla al piede costituita dall'inadeguatezza dell'artiglieria e dall'insufficiente disponibilità cli munizioni. Ma esisteva anche un'altra grossa caren-

1 R. B ENCIVl;NGA , Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 25. ' G. B ,\ J- M ACAR IO, Kuk-Vodice-,Hontesanto, "La Prora", Mi lano 1933, c it., p. 32.


Li\ CAMPAGNi\ DEL 1917

4 17

za. La più grossa. Fu sottolineata proprio dal Bencivenga: la cattiva organizzazione di comando al vertice, derivante dal carattere fortemente accentratore di Cadorna. Il Comando Supremo non era attrezzato per la battaglia ed il difetto risultava ingrandito dalla mancata istituzione, nella scala gerarchica, del livello Comando di gruppo d ' armate 1• Il peso negativo di tale carenza si era già fatto sentire nel 191 6; si aggraverà in occasione della 10" e deU'll 0 battaglia dell'Isonzo. Peccava di pessimismo il Baj-Macario, nel giudicare «appena mediocre» il morale delle trnppe, alludendo anche al fatto che «la propaganda disfattista dilagava». In verità, non pare che in p1imavera le tinte fossero così preoccupanti quanto lo divennero nell'estate. Peraltro sembra innegabile che, almeno nei Comandi di grande unità, Cadorna fosse «più o meno velatamente criticato» 2• D 'altra parte, neppure i I morale dell'avversarlo risu Ita va altissimo: «La tensione nervosa che si era impadronita dell ' Armata dell'Isonzo fin dai g iorni della perdita di Gorizia - ha scritto il Weber - cominciò ad allentarsi, ma lentamente {... ). Ma non erano soltanto le condiziorù materiali che esau1ivano i soldati fin nelle fibre più interne. Molto più grave era il decadimento della resistenza morale, inevitabile in quelle condizioni {...) . Avevamo perduto il monte San Michele, il Podgora, il Sabotino così eroicamente difesi(.. .). Non si erano potuti liberare dell'inferno del Carso( ...). Gli italiarù erano a Gorizia(.. .)» 3 •

* * * Secondo le direttive preliminari diramate il 17 aprile, Cadorna si proponeva di «riprendere l'originario piano offensivo» a cavallo della direttrice GoriziaLubiana, per la via del Vippacco, impadronendosi delle spalle, vale a dire l'altopiano carsico di Comen a sud e quelli della Bainsizza-Tarnova a nord. Si trattava di un grosso sforzo, ma non risolutivo, perché, come egli aveva ben spiegato nella nota del 17 gennaio inviata a Lloyd George, tramite Sonnino, «l'esercito italiano non ha i mezzi necessari e sufficienti per condurre una violenta e potente offensiva sulla fronte dell' Isonzo»•. Per arrivare alla displuviale delle Alpi Giulie occonevano almeno otto d.ivisioni alleate e relativi supporti, specie in artiglierie pesanti. Quindi, gli obiettivi da raggiungere con la 10" battagl ia costituivano solo un importante passo avanti, che avrebbe consentito l'ampliamento della testa di ponte di Plava e la sicurezza sul Carso, quali premesse per lo sviluppo dell'offensiva. L a, in ce1to modo, ridotta portata dell 'operazione era sottolineata da alcuni elementi di fatto. Anzitutto, il Comando Supremo aveva stabilito di conservare

R. B éNCIVc:>IOA, Saggio critico sulla nostm guerra cit. , IV, pp. 35-36. ' G. B AJ- M ACARIO, K11k-Vodice-Mo11tesa1110 cit.. p. 32. ' F. WEIIER, Dal Mome Nero a Caporeuo cit .. pp. 260-265. ' CCSM, Relazione ufficiale c it. , IV, tomo l bis, <loc. 123 ci t.


41&

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

per gli imprevisti appena due divisioni ed avvertito la 3" annata e la Zona di Go1izia di non contare su ulteriori assegnazioni di forze, il che significa che toccava alle due grandi unità avanzare secondo un concetto di manovra suggerito dalle circostanze '. In secondo luogo, ognuna di esse doveva approntare un nucleo mobile di un centinaio di pezzi di medio e grosso calibro, sì da poter fare massa con essi, prima a favore della Zona cli Gorizia per lo sviluppo della 2" fase, e poi della 3• a1mata per la 3" fase. Inoltre, nel mettere in guardia da una preparazione di artiglieria attuata eccessivamente in profondità, venne posto in evidenza che gli esigui risultati dell'offensiva francese sull' Aisne erano da addebitare al proposito di «operare un grande sfondamento in profondità» 2 • Infine, il Comando Supremo, non potendo governare l'operazione con l'intervento di consistenti riserve, si riprometteva di condurla con un sapiente gioco di graduazione di sforzi e di successione di tempi, tenendo presenti gli sviluppi che sarebbero potuti derivarne lungo la direttrice di Tolmino e sullo sblocco delle truppe raccolte nella conca di Gorizia ,. Non per niente il 2 maggio Cadoma sentì l'opportunità di avvisare il duca d'Aosta di non reputare il piano troppo rigidamente vincolativo: «occorre, cioè, considerare l'eventual ità che la battaglia impegnata nel goriziano determini, analogamente a quanto in più ristretto raggio è accaduto sul Carso nel lo scorso agosto, un'assai grave rottura di equilibrio nella fronte nemica. Ove tali circostanze si verificassero, dovrà la 3" annata, mercé geniale adattamento della preparazione compiuta alle necessità contingenti, porre in opera tutti i mezzi di cui disporrà per cogliere prontamente i maggiori vantaggi da una situazione particolarmente propizia e promeuente (...)» ·1•

Tutto può accadere nel corso di una offensiva ed è giusto che se ne tenga conto in sede di pianificazione, però simile avve1ti.mento dato alla 3• armata, cui era stato affidato il compito principale, meraviglia un poco. Ma c'è un altro punto sul quale vale la pena di soffennarsi brevemente. Il generale Capello rimarcò che: «È noto come il prinùtivo concetto generale strategico della guerra: la marcia iniziale s11 Lubiana e su Trieste, si rosse, di fronte alla impossibilità di attuarlo, andato man mano restringendo co-

sì che l'obiettivo finale apparve non solo a noi, ma anche agli alleati e perfino ai nemici limitato alla conquista di Trieste» 5.

Bencivenga ha negato la validità di questa interpretazione del disegno cli manovra dalla 10" battaglia dell' Isonzo, respingendo l'idea che Cacloma si ripromettesse di arrivare a Trieste: «Mai e poi mai il Comando Supremo italiano ha informato i suoi disegni colJa mira di un obiettivo terrestre, fosse pure Trieste!» 6 •

' R. B ENCIVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 78. ' CCSM, Re/azione ufficiale cit., IV, tomo I bis, doc. 220. " Cfr. R. B ÈNCIVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 75. ·• CCSM, Relazione ufficiale cit., TV, tomo l bis, doc. 263. ' L. CAPELLO, Note di guerra cit. , p. 46. • R. BENCtVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 77.


LA CAMPAGNA DEL 19 17

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In effetti, che per Cadoma Trieste abbia rivestito minor valore strategico rispetto a Lubiana è innegabile. Lui stesso si espresse in tal senso con Lloyd George a Roma. Tuttavia nella nota del 17 gennaio, inviata al Premier britannico, scrisse che «il concorso degli alleati è( ... ) indispensabile per attaccare a fondo sulla fronte dell'Isonzo e poter raggiungere l'obiettivo di Trieste e le Alpi Giulie» '. E 1'8 aprile, secondo il verbale della conferenza con Foch, a Udine, nel riepilogare gli avvenimenti precedenti sul fronte italiano, Cadoma aveva spiegato di aver attaccato nella direzione di Trieste e non di Trento, da un lato perché Trieste, punto sensibilissimo per le Potenze Centrali, avrebbe richiamato per la sua difesa forze più consistenti, a tutto profitto del fronte occidentale; e dall'altro perché l'insufficiente disponibilità di artiglieria pesante rendeva impossibile un attacco al campò trincerato di Trento 2• Quindi, ritenere che il capo di Stato Maggiore avesse assegnato alla 3" armata l'obiettivo dell'Hermada e definito il suo compito come principale proprio pensando a Trieste, non pare del tutto inattendibile, per cui si può anche convenire con Benci venga che Trieste sia sempre stata valutata da Cadoma come obiettivo «particolare», senza per questo togliere credibilità alla versione di Capello. L'elemento fondamentale sul quale il Comando Supremo aveva puntato per conseguire i risultati sperati era rappresentato dal rapido trasferimento delle artiglierie fra 3• armata e Zona di Gorizia (2" fase) e viceversa (3• fase) , superando una distanza di una c.i nquantina di chilometri in linea d'aria, per di più su un percorso in buona parte di difficile transito. Le predisposizioni assunte dal Comando artiglieria della 3• annata furono meticolosissime, ma che tutto andasse per il meglio non era semplice. Il concetto di manovra del generale Capello era stato illustrato ai comandanti dipendenti in una serie di conferenze, di circolari, di direttive e di nom1e d'impiego per le unità di fanteria e per le artiglierie. Le direttive conclusive vennero comunicate al Comando Supremo ed ai Comandi delle annate 2• e 3" il 3 maggio. In sintesi, Capello si proponeva di svolgere tre azioni distinte. La principale, affidata ai corpi d' annata Il (gen. Garioni) e VI (gen. Gatti), mirava ad affermarsi sulla dorsale Kuk-Vodice-m. Santo-m. San Gabriele al duplice scopo di ampliare la testa di ponte di Plava e di garantire la spalla sinistra della conca di Gorizia. Un'azione secondaria, affidata all'VIIJ corpo (gen. Carignani) doveva occupare il San Marco e spingersi sui costoni orientali nell'intento di dare sicurezza al fianco destro della conca di Gorizia e di recidere il saliente nenùco di Biglia, con il concorso dell'XI corpo della 3" armata (gen. De Albertis). La terza azione, prevista all'estrema sinistra del VI corpo, consisteva in uno sforzo del-

'Cadoma a Sonnino in data 17.1.19l7, O.O.I., 5• serie, TV, doc. 113. ' CCSM, Relazione uf]ìcia/e cit., TV, tomo l bis, doc. 166. Non dimentichiamo che il 31 agosto 1916 Cadorna aveva scritto al figlio Raffaele la sua «alquanta fiducia» di entrare a Trieste prima dell'inverno (L. C\OORNA, Lettere famigliari cit., p. 168).


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la 47° divisione sul tratto Loga-Bodrez, oltre Isonzo, per concorrere aJL' attacco al Kuk da nord e sui rovesci. Senonché, dopo un ultimo calcolo delle forze nemiche in zona, fu deciso il semplice intervento di un paio di battaglioni ai fini dimostrativi. Le direttive del duca d'Aosta per la 2• fase riguardtu-ono l'XI corpo (gen. Cigliana), che doveva attaccare e raggiungere la linea di Golnek-Ranziano per dare appoggio all'azione della Zona di Gorizia contro il San Marco. Per la 3• fase, contemplarono un' avanzata dell'intera armata con obiettivo la linea TrsteljVoiscica-Hermada. In particolare, l'XI corpo, con il XXV in seconda schiera, doveva raggiungere la linea Trstelj-Voiscica; il XIII corpo (gen. Ciancio), con il XXIII (gen. Diaz) in seconda schiera, doveva attaccare al centro e poi, superata la linea Voiscica-Krapenka, volgersi sui rovesci dell'Hermada; il Vll corpo (gen. Tettoni), con il XIV (gen. Sagramoso) in seconda schiera, attaccare frontalmente l'Hennada. Il mattino del 7 maggio l'artiglieria della 3• armata avrebbe dovuto cominciare l'azione di fuoco programmata quale l • fase cieli' offensiva, ma le avverse condizioni meteorologiche prima costrinsero a procrastinare la data e poi indussero il Comando Supremo ad una modifica del piano. La l • fase venne abolita e, per recuperare in parte il tempo perduto, il 12 maggio la battaglia ebbe inizio con il tiro di disuuzione stabilito per la 2• fase, quindi sull'intero fronte da Tolmino al mare. L' attacco delle fanterie della Zona di Gorizia e dell 'XI corpo della 3• armata doveva aver luogo dopo tre giorni di preparazione. A questo punto si verificò un episodio significativo di un ce1to modo di agire. Il generale Garioni, che con il Il corpo doveva sortire dall'angusta testa di ponte di Plava, lasciò trapelare qualche dubbio sulla possibilità di successo del!' impresa. Capello allora non esitò a chiederne l'esonero e la sostituzione con il generale Badoglio, in atto capo di Stato Maggiore del Comando Zona di Gorizia. Fu immediatamente accontentato. Il maggior generale Badoglio prese l'incarico come comandante interinale e portò seco il colonnello Ago, quale nuovo capo di Stato Maggiore del II corpo. Così, alla vigilia dell'offensiva, cambiarono comandante e capo di Stato Maggiore del corpo d'am1ata avente il compito principale, nonché il capo di Stato Maggiore della Zona di Gorizia. Prescindendo dalla già dimostrata capacità del generale Badoglio, francamente non si comprende come la sostituzione del generale Ga1ioni sia stata decisa in extremis, . quando da almeno un paio di mesi l'offensiva era in concreta gestazione. L'uomo era conosciuto e cosl pure il suo pensiero. Se Capello riteneva di aver motivo di non fid,u-si, poteva e doveva chiedere la rimozione per tempo! Non stupisce, peraltro, il pronto consenso di Cadorna, ponendo mente alla consuetudine instauratasi di facile ricorso agli esone1i, senza riguardo per le circostanze operative e senza molto riflettere sulle conseguenze. Talvolta, infatti, la sostituzione sui due piedi può anche imporsi, ma innegabilmente crea una crisi di comando. Si ritornerà sull'argomento in sede di conclusioni.


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li mattino del 14 le fanterie uscirono dalle trincee. Per il Comando della 5° armata austro-unga1ica non esistettero dubbi: anche se tutto il fronte si incendiava, lo sforzo principale italiano si sarebbe concentrato sul Carso per puntare su Trieste. Nel primo pomeriggio le notizie provenienti dfùla Zona di Gorizia apparvero cosl promettenti che Cadoma ordinò il trasferimento di un terzo de lle batterie del grnppo mobile alla 3• armata in quella stessa notte sul 15, ed il resto nella notte seguente, in modo che al pii:l tardi nel pomeriggio del 18 la 3° armata potesse sicuramente sfe1rnre l'attacco. Poiché, però, tutto ciò fu comunicato al Comando della 3• armata sottolineando la flessibilità del programma e che, comunque, il Comando Supremo si riservava di differire l'attacco ove imposto da «evidenti necessità>), il duca d' Aosta fece presente che, risultando «cosl accresciuta indeterminatezza noto movimento», forse si sarebbe stato il caso di spostare l'avanzata delle fanterie al 19 maggio. Ma Cadorna confermò che «in qualunque modo codesta mmata deve essere in grado completare tiri di distruzione giorno 17 et mattino del 18» per attaccare nel pomeriggio 1• Nella mattinata del 15 il vento cambiò. TI Ku k era dato per conquistato (lo fu invece il giorno successivo), gli attacchi al monte Santo cd al San Marco erano falliti e la testa di ponte di Ajba si trovava a mal partito. Recatosi a Vipulzano, al Comando della Zona di Gorizia, Cadoma fu accolto da un Capello euforico più che ottimista: se gli si fosse lasciata l'artiglieria, era sicuro di impadronirsi della dorsale Kuk-monte Santo. Cadoma a malincuore cedette. Il mattino del 16 Capello si recò al Comando Supremo annunciando la conquista definitiva del Ku k e l' attestamento del VI e dell' VTII corpo rispettivamente alle pendici del monte Santo e del San Marco. In realtà, nella piana di Gorizia il Vl e VIII corpo furono «pestati come in un mortaio» e l'VIII corpo non fu più in grado né di prendere il San Marco né di concorrere all'azione dell' XI corpo sul Fajti 2• Gli scarsissimi risultati ottenuti ne ll 'anfiteatro goriziano avevano di fatto scisso la connessione operativa fra l'azione della Zona cli Gorizia e quella della 3• armata, e fatta perdere l'originaria imporlanza alla immediata successione delle fasi 2• e 3°. Per ciò Cadoma decise di concentrare sforzi e mezzi contro la dorsale Kuk-m. Santo «fino a completarne l'espugnazione o quanto meno a realizzarvi una felice situazione tal1ica». A tempo debito si riservava di ordinare una ripresa offensiva dal monte Santo al mare, con gli obiettivi ciel San Gabriele-San Marco per la Zona di Gorizia e Trstelj-Hermada per la 3° armata. Solo per quest'ultima azione la Zona di Gorizia avrebbe ceduto alla 3• armata la maggior parte delle artiglierie schierate a nord del Sabotino 1•

1 A fine aprile la 3' armata a,•cva 1icevu10 un raggruppamento di artiglieria britannico , su due gmppi, ognuno su c inque bauerie da 152. ' A. GAnt, Caporerro cit., pp. 46-47. 3 CCSM, Relazione uj]ìciale cit., LV, tomo I bis, doc. 297.


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Bencivenga, allora capo della segreteria del Comando Supremo, commentò con disappunto la decisione: «La rinunzia del generale Cadorna al proprio disegno operativo, non solo faceva perdere un · occasione favorevole, frustrando l'effetto della sorpresa sulla quale si face va assegnamento, ma po11ava fatalmente ad una lotta estremamente logoratrice sul medio Isonzo: lotta che, per ovvie ragioni , il Comando Supremo non voleva, come stavano a dimostrare le direttive date al riguardo nell 'autunno del 1916» '.

Stranamente, il 16 maggio anche il Comando della 5° annata austro-ungarica mutò pensiero sulla condotta della battaglia. I primi tre giorni erano stati di dubbio, in quanto l'andamento dei combattimenti non aveva corrisposto alle previsioni,l'>ì che «la notte sul 16 maggio, per l'incertezza, fu una delle più snervanti di quella lunga battaglia» 2• Visti diminuire d'intensità gli attacchi nel settore di Gorizia, Boroevié mandò rinforzi al XVIII corpo. Poi riferì al Comando Supremo, a Baden, che, considerata la probabilità di un nuovo tentativo italiano sul Carso, era «opportuno prevedere fin d'ora che cosa si potrebbe invitu-e all'armata, qualora la battaglia si trascini molto a lungo» 3• Quanto alla 3• annata, il danno provocato dal differito ed incompleto trasferimento delle artiglierie fu sensibile. Le ultime batterie arrivarono sul Carso la sera del 1.8, spostando l'attacco al 20. Il sopraggiungere ciel maltempo causò poi un ulteriore rinvio al 23 maggio. In quei cinque giorni Boroevié, che già aveva mandato sulla Bainsizza due delle sue quattro divisioni di riserva, poté orientare al Carso le altre due, essendo stato avve1tito dell'arrivo di due nuove divisioni dalla fronte russa. Il generale Capello asserì polemicamente che lo spostamento delle artiglierie era già avvenuto, pregiudicando la grande vittoria deUa Zona di Gorizia: «(...) La battaglia si doveva considerare ancora allo stato iniziale del suo sviluppo. Le artiglierie non avevano ancora finito il Loro compito e malgrado ciò si toglievano le batterie in pieno combattimento per portarle altrove. Danno morale e materiale( ...). In seguito ai favorevoli risultati ottenuti colla conquista del Kuk e del Vodicc, si poteva rit.e nere che lò sfondamento delle linee nemiche in quel settore fosse felice mente iniziato. Sarebbe quindi stato bene continuare a premere in quella direzione, rinvigorendo l'attacco ed estendendolo sulla Bainsizza, approfittando del riuscito passaggio ad Auzza [recte: Ajba] ( ...)» '.

La contrarietà di Capello, assai marcata, in effetti non era del tutto ingiustificata, anche se il suo commento risente di qualche sopravvalutazione: nessuno sfondamento «felicemente iniziato» perché il 15 maggio la dorsale si trovava ancora in mano austriaca; nessun «riuscito passaggio» ad Ajba perché la piccolis-

' R. BENCTVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 94. ' A. BOLLATI, Riassunto della relazione ufficiale austriaca cii., p. 325. ' Ibidem, p. 337. ' L. CAPEtLO, Note di guerra cii., p. 60.


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sima testa di ponte risultava già arginata dal nemico e per giunta il ponte era stato interrotto alle spalle dei reparti oltre Isonzo. Tuttavia innegabilmente perse di incisività. Dopo una breve, inevitabile, sosta, il 23 maggio si riaccese la battaglia da Plava al mare e la 3• annata cominciò il suo violento attacco sul Carso con l'appoggio di 130 aerei. «Con un'ostinazione degna di essere riconosciuta, gli Italiani continuarono nei loro sforzi anche nei giorni 24, 25, 26 maggio per aprire la via di Trieste}> scrisse il von Pitreich 1, ma la manovra che doveva portare l' XI corpo (ora comandato dal gen. Petitti di Roreto) ed il XIII ad avvolgere da nord l'Hermada non riuscì nell'intento, anche a causa dell' intervento delle riserve aust1iache. Parve, il 26, che il VII corpo potesse pervenire all'Hermada, ma il tentativo fu vano. Quel giorno l'offensiva risultò alle ultime battute. Nel pomeriggio il colonnello Bencivenga presentò a Cadorna un promemoria delineante le «future possibilità operative». Cadorna l' accettò ed il 28 ordinò di sospendere l'offensiva, di consolidarsi sul teneno conquistato e di riordinarsi 2• La battaglia ebbe ancora qualche sprazzo, poi lentamente si esaurì. Il 31 maggio era foùta. Il consolidamento dei vantaggi conseguiti doveva comprendere «alcune particolari operazioru, le quali, oltre a rafforzare la nuova fronte, riescano caratteristicamente utili ai fini della futura offensiva». E cioè: nel Goriziano, la completa conquista del monte Santo; sul Carso, un'offensiva parziale per spingere il VII corpo a po1tata di espugnazione dell'Hermada ed il XIII sino a Kostanjevica-Stara Lovka!. È pm vero che queste «azioni isolate» erano ordinate previa «ponderata valutazione» delle probabilità di successo e che, qualora approvate, sarebbero state svolte verso la fine di giugno, tuttavia a ragione Capello si stupì che il Comando Supremo reputasse realistico conquistare con «aziotù isolate» obiettivi non raggiunti nemmeno con i mezzi impiegati ed i sacrifici sopportati durante la 10a battaglia. Anche il duca d'Aosta rappresentò l'inoppo1tunità di tali prolungati sforzi e Cadoma rinunciò al proposito 3•

* * * Il bilancio della battaglia presenta tre aspetti: risultati operativi, commenti alleati e nemici, perdite umane. I risultati sono sicuramente soddisfacenti, pur se ancora una volta incompleti. La Zona di Gorizia aveva finalmente ampliato la testa di ponte di Plava im-

1

Cit. in R. BENCJVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 197.

' CCSM, Relaziorie iyficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 148. ' Cfr. G. B AJ-ÌMACARIO, Kuk-Vodice-Montesanto cit., pp. 69-70. Il Baj-Macario postillò l'ordine del Comando Supremo con un «Questo è l'attacco perpetuo!». Cadoma ammise la rinuncia «pel logoramento che avrebbero prodotto e pel dubbio esito, trattandosi di offensive parziali» (L. CADORNA, La guerra alla frome italiana cit., II, p. 80, nota I).


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padronendosi della dorsale Kuk-Vodice, però questa rimaneva isolata oltre Isonzo; la 3• armata aveva «investito» l'Hermada da ovest e da nord occupando la regione Fomaza e portandosi sulla linea di Fiondar, però aveva creato una situazione tattica che il nemico non poteva tollerare a lungo. Insomma, gli obiettivi cui il Comando Supremo tendeva non erano stati conquistati ed occorreva una nuova battaglia. All'origine dell'incompletezza del risultato dobbiamo collocare un piano che il Comando Supremo si riprometteva di attuare con un gioco di tempi e di adattamenti alle circostanze, senza peraltro disporre di mezzi per intervenire a ragion veduta. Ogni protagonista, Zona di Gorizia e 3• armata, aveva ricevuto trnppe e mezzi ritenuti adeguati al compito, con una certa rigidità di prescrizioni) che 'contraddiceva la conclamata flessibilità. Il Comando Supremo, da un lato assegnò obiettivi rivelatisi ambiziosi; dall'altro, non ritenne necessaiia una consistente forza alla mano (possibile in qualche misura attingendo alla 1• ed alla 6" armata) per cogliere il momento del successo tattico e realizzare il successo strategico. In sostanza, si pose nelle condizioni di non poter esercitm·e sino in fondo l'azione di comando durante la battaglia. Significativa è sotto questo aspetto la considerazione che il colonnello Gatti annotò sul suo diario sotto la data del 27 maggio: «Mi pare quasi certo, ora che ho visto con i miei occhi, che il gen. Cadorna non esercita un'azione di comando, nemmeno sulla fronte giulia. Mi spiego meglio. Il gen. Cadorna fa il piano, lo dà ai comandanti delle armate; tiene per sé una piccola riserva. Poi dà l'avanti, e da quel momento non è più il direttore(...)» 1• Al riguardo, alcune riflessioni del Bencivenga ne costituiscono una innegabile conferma. «Sullo sfondo luminoso di questo quadro - ha scritto, riferendosi alla 1o• battaglia - apparivano però talune ombre ... Non poteva sfuggire a noi, che eravamo a così stretto contatto col Generalissimo ed i suoi diretti dipendenti, alcuni fatti che dovevano poi sempre più aggravm·si, a mano a mano che l'opinione pubblica si orientava con tanto favore verso il generale Capello e si inasprivano i rapporti tra il generale Cadoma ed il Governo. Il generale Capello era soldato di indiscutibili qualità: genialità nel concepire; perseveranza nell'attuare il proprio disegno. Ma accanto a queste qualità erano difetti( ...). La genialità nel concepire aveva(... ) fatto nascere nel Generale una soverchia fiducia in se stesso; e la tendenza a sostituire, o per lo meno a deformare, il concetto operativo del Comando Supremo, a tutto danno di quello spirito di cooperazione, senza il quale i più bei disegni sono destinati al fallimento. La perseveranza degenerava poi spesso in quella che meglio potrebbe chiamm·si ostinazione; la quale traeva origine ed alimento in una certa difficoltà psicologica di prendere atto della realtà, quando questa contrastasse coi suoi disegni, colle sue aspirazioni, le sue ambizioni» 2•

1

A. GATTI, Caporetto cii., p. 47.

2

R. BENCIVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 111


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In altri termini, duranle la battaglia i difetti presero il sopravvento. Mentre il Comando Supremo intendeva svolgere una specie di manovra per linee interne con le artig lierie, fra il medio ed il basso Isonzo, non appena aperta la testa di ponte di Plava, Capello volle imporre il proprio progetto di una grande battaglia sul medio Isonzo a tutto detrimento dell'azione della 3° armata. Avrebbe voluto Lornare al piano iniziale del 1915, cioè rompere nel tratto Tolmino-Canale, giungere sull'altopiano della Bainsizza e da qui, volgendo a sud, minacciare il Carso 1• «Alla doverosa insistenza nel superare le difesa avversarie - continuaBencivenga - egli sostituisce una irragionevole ostinazione a perseguire obiettivi come il Vodice e il monte Sanlo, che l'esperienza delle prime giornate ha dimostrato essere, se non im1ggiungibili, certo non tenibili dopo averli conquistati». In definitiva, affrontò una lunga lotta di logoramento. E, riprendendo un atteggiamento già tenuto durante la battaglia di Gorizia, destò «l'impressione che l'ostinazione( ...) non sia ispirata dalla fede nel successo, ma piuttosto dal proposito di lasciare all'inevitabile intervento del Comando Supremo la responsabilità della rinunzia alla lotta e del conseguente fallimento dell' impresa» 2• Si potrebbe, invero, replicare che qualunque proposito avesse Capello manifestato, la decisione spettava pur sempre a Cadorna. Ma fra i due uomini esisteva una differenza di temperamento che, nel dialogo, avvantaggiava Capello. «Capello - scrisse Gatti il 17 maggio, quindi a battaglia favorevolmente iniziata - va da Cadorna con un'idea, la scaraventa fra i piedi dell ·altro: 1' altro, che non l' ha pensata ancora, non si difende bene. Capello ottiene, parte, fa la prova del suo pensiero: quando le cose non vanno bene, al Iora Cadoma giunge e, a poco a poco, ritira ciò che aveva concesso» J _ I commenti limitarono - secondo la logica ed il metro valutativo dell'epoca - l'esame «a caldo» a due elementi di base: le posizioni conquistate e l'impegno delle truppe. Le prima costituivano un risultato assai più valido e concreto di quello raggiunto sul fronte occidentale dall'offensiva Nivelle. La Relazione ufficiale austriaca, infatti, si espresse molto esplicitamente al riguardo: «Già dopo la decima battaglia, i comandanti della /sonz.o-Armee • e della Fronte SudOvest avevano, al pari del Comando Supremo, compreso che la lsonzo-Armee avrebbe finito col soccombere in conseguenza ciel logorantissimo procedimento di lotta. Non si poteva pensare ad una difesa clastica o a sottrarsi, a causa della vicinanza di Trieste, agognatissimo obiettivo delle offensive italiane. Se il nemico avesse sfondato la fronte e avesse piantato le sue bandiere sull'Hermada, Trieste e l'appoggio al mare sarebbero andati perduti: l'ala si1ùstra sarebbe ri-

' A. GAlTJ, Capore110 cit., diario in data 20 maggio, p. 17. Cfr. L. Capello, Note di guerra cit., Il, pp. 46-47. ' R . B r:NCIVENGJ\, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 11 2. ' A. G ATII, Caporetto cit., p. 13. • Durante la 10" banaglia. l'imperatorc Cado, in visita al fronte Sud-Ovest, elogiò le truppe con un vibrante ordine del giomo e cambiò la denominazione della Y alìllala in /sonzo-Annee.


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masta in aria, mancando forze per prolungarla. E con lo sfondamento del la fronte isontina gli Italia1ù avrebbero anche ape1ia una breccia decisiva nella muraglia circondante le Potenze Centrali assediate come in una piazzaforte; e l' Intesa avrebbe potuto trovare in quella breccia l'occasione da tempo bramata di spiegare liberamente la sua preponderanza di forze e di mezzi» 1• Clrca l'impegno delle nostre truppe, le testimonianze dei corrispondenti della stampa francese ed inglese formarono un coro unanime di elogi 2 • E non da meno furono gli apprezzamenti ufficiali. «Oggi fui a colazione con Robertson e LI'ammiraglio] Jellicoe - telegrafò da Londra l'ambasciatore Imperiali durante la battaglia-. Entrambi mi hanno alla lettera colmato di rallegramenti in termini entusiastici cordialissimi pel generale Cadoma e per le gloriose nostre truppe» 3 •

Ma bisogna anche parlare del costo umano. Fu elevatissimo. La Zona di Gorizia perse 44 mila uomini fra morti, feriti, prigionieri e dispersi, di cui 23 mila del solo Il corpo d 'armata. La 3a armata ebbe più di 68 mila perdite complessive. In totale, 13.500 moiti, 74.000 feriti e 24.000 prigionieri e dispersi. Gli austriaci ebbero 7.300 morti, 45.000 feriti e 23.400 prigionieri e dispersi.

* * * Il 30 maggio il Comando Supremo stabilì una nuova ripartizione delle truppe sulla fronte dell' Isonzo. Alla Zona cli Gorizia lasciò quattro corpi d'armata per complessive 9 divisioni più una brigata; alla 3a a1mata altri quattro, anch'essi per un totale di 9 divisioni. La rimanenza delle forze, pari a 1O divisioni e 6 brigate non indivisionate, costituì la riserva generale a disposizione del Comando Supremo e venne dislocata a tergo delle armate, articolata in due parti press' a poco uguali. I Comandi della Zona di Gorizia e della 3" armata ebbero il compito e la responsabiJità del sollecito riordino e dell'addestramento di tale riserva•. Il 1° giugno il Comando Zona di Gorizia fu soppresso e la 2• annata riprese il fronte da Plezzo al Vippacco, perdendo il XII corpo che, come Zona Carnia, ritornò a.Ile dirette dipendenze del Comando Supremo. In tal modo, la 23 armata, affidata ora al generale Capello 5, presentava in prima schiera, da nord a sud, i corpi IV, XXIV, Il, VI e Vili; la 3" annata aveva sul Carso i corpi XI, XXV e VII e, a tergo, il XXIll.

' Cit. in CCSM, Relazione ufficiale cit., IV, mmo 1, pp. 3 I7-318. Bencivcuga attestò che, quando nel luglio successivo accompagnò Cadoma a Parigi per la conferenza interalleata, «tutte le rappresentanze diplomatiche vollero essere presentate al genera.le Cadorna per eomplin1enuu-Jo della hclla vittoria» (R. BENCIVENOA, Sagxio critico sulla nostra guerra cit., CV, pp. 111. ' Imperiali a Sonnino in data 25.5. 1917, O.O.I., 5' serie, VITl. doc. 88. "CCSM, Relazione 11fficiale cit., IV, tomo 2 his, doc. 149. ' li generale Piacenti ni, già comandante dell a 2• annata, accettò di assumere il comando del I corpo, nel Cadore. 1


LA PRIMA GUERRA MONDlALE

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Ma nel frattempo l'avversario valutava il nuovo andamento della linea di contatto. La perdita giudicata più preoccupante fu la posizione di Flondar, a nordovest dell'Hemrnda. Fino dal 26 maggio il generale Schenk aveva proposto di riprenderla ed i primi di giugno, affluiti rinforzi, fu deciso il contrattacco. Dopo una finta effettuata la sera del 3 giugno sul Dosso Fajti, il mattino seguente, a seguito di una preparazione d'artiglieria di appena 40 minuti ma violentissima, un gruppo di due divisioni e due brigate da montagna, si scagliò contro il saliente di Flondar, cogliendo un successo «strabiliante» 1• La linea tenuta dal VII corpo da Brestovica alla foce del Timavo, insufficiente come appiglio naturale, non ancora organizzata ed in crisi di avvicendamento di unità 2, fu sfondata e non più ripresa nei tre consecutivi giorni di lotta. Il combattimento, estesosi ai settori di KostanJevica e del Fajti, si concluse con perdite nostre particolarmente gravi: circa 22.000 uomini, di cui 12.600 dispersi.

3. LABREVE ESTATE FRA

LA

10" EL' 11' BATTAGLIA DELL'lSONZO

I risultati dell'offensiva Nivelle e della 10" battaglia dell'Isonzo, deludente la prima e non del tutto soddisfacente la seconda, lasciarono traccia negli animi perché trovarono terreno fertile nella stanchezza generale e nella più forte aspirazione alla pace immediata sostenuta dai socialisti e dai pacifisti. Nel settembre 1915 a Zimmerwald ed a fine agosto 1916 a Kienthal, in due convegni internazionali socialisti, la formula di Lenin, che a puntava a trasformare la gue1Ta imperialista in guerra civile, era stata battuta dalla tesi della maggior parte dei convenuti, che vedevano la lotta della classe operaia contro la guer ra volta non a provocare I.a rivoluzione, bensì ad ottenere una pace immediata «senza annessioni né indennità di guerra», nonché a «riconoscere ai popoli il diritto di disporre di se stessi». Nel marzo 1917 lo scoppio della rivoluzione russa aveva naturalmente regalato un notevole sostegno alla propaganda socialista. In Francia, per la prima volta dall' inizio della guerra, si cominciò a criticare capi e Stati Maggiori. Ma sin dall'inverno precedente le relazioni sul morale delle truppe da vano a riflettere. Joffre nel dicembre .l 916 riteneva che soltanto la minaccia di una punizione terribile ed immediata fosse capace di frenare insubordinazion.i, atli di indisciplina collettiva e diserzioni. A fine febbraio 1917, in un documento inviato al mi1ùstero della Guena per l'inoltro al ministero dell'Interno, il generale Nivelle aveva accusato socialisti ed anarchici cli subornare

' F. WEBER, Dal Moflte Nero a Caporetto cit., p . 328. 'Il VII corpo aveva in linea tre division i, ognuna delle quali con una brigata in prima schiera. proprio nella notte sul 4 giugno la brigata centrale, la Puglie, era in corso di sostituzione con l'A11co11a. Per giunta ve1mero modificati i li.mi ti di settore.


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i soldati, già pieni cli amarezza e di rancore nei confronti degli operai che non rischiavano la vita e ricevevano alti salari. Anatole France aveva scritto: «On croit mourir pour la Patrie et on meurt pour des industriels». Le notizie da Pietrogrado venivano commentate ed amplificate dalla propaganda pacifista. Il famigerato Prikaze n. 1, emesso il 1° marzo dal Soviet di Pietrogrado, che consentiva ai soldati di non obbedire agli ufficiali e di prendere da sé ogni decisione, era stato accolto come una via diretta verso la pace. Al fronte si registravano grida sediziose, obbedienza svogliata e recalcitrante. Il 15 maggio Nivelle fu sostituito dal generale Pétain, chiamato pressoché a furor di popolo a comandare le armate dell'Est e del Nord-Est. li generale Foch venne nominato capo di Stato Maggiore Generale, vale a dire consigliere militare ciel governo per quanto concerneva la condotta generale della guem1, la cooperazione con gli alleati, i piani cl ' operazione, i programmi delle fabbricazioni militari. A metà maggio l'ondata degli ammutinamenti divenne preoccupante. Pétain non nutriva dubbio alcuno sulla responsabilità determinante rivestita dalla propaganda socialista negli atti di indisciplina collettiva. Era dall'interno del paese che proveniva la gravissima minaccia al morale delle truppe al fronte, con l'esaltazione della rivoluzione russa, le critiche continue agli ufficiali e la denigrazione dei capi. Nella seconda metà ciel mese gli ammutinamenti si diffusero a macchia d' olio fino a contagiare ben 54 divisioni, ossia la metà dell' esercito francese 1• Alla fine di maggio scoppiarono disordini in otto divisioni che avevano combattuto sullo Chemin des Dames o che dovevano recarvisi. Il 31 maggio Poincaré, in una seduta del Comitato di guerra, chiese a Pétain: «Se c'è un congresso internazionale socialista a Stoccolma ed i delegati francesi si abboccano con quelli tedeschi per discutere le condizioni cli pace, conservereste in pugno l'esercito? otterreste che continui a battersi?» Pétain, molto nettamente, rispose: «No». L'inizio di giugno vide il momento più critico. Si verificarono vere e proprie rivolte con sventol)o di bandiere rosse ed appelli alla rivoluzione. Il turbamento penetrò perfino in alcune unità fra le più valorose. Le fucilazioni non bastavano. Painlevé confessò tristemente: «Pendant plusieurs jours - et je vous demande que ceci soit tu - il n 'y avait plus, entre Soissons et Paris, au moment où une attaque allemande étail rédoutahle, que deux divisions sur lesquelles on put absolument et intégralement compter». L'opera di Pétain fu lunga, difficile ed accorta. In quattro mesi riprese l'esercito alla mano, ma si reputò necessario fare concessioni: un periodo di licenza ogni quattro mesi (il che significò 200 mila uomini in meno nelle prime li-

' Cfr. PAUL AIJ .ARD, Les dessous de la guerre, Les Editions de la France, Paris l 932. Secondo Guy Pedronci ni gli amm utinamenti si sarebbero estesi in 68 divisioni (Les 11wrineries de 1917, P.U.F., Paris I 967).


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nee); aumento del numero degli operai e dei contadini «indispensabili» nelle fabb1iche e nelle campagne (il che si tradusse in altri 700 mila uomini in meno nell'esercito di campagna). In Italia gli avvenimenti francesi erano seguili con la preoccupazione che qualcosa del genere si comunicasse anche al nostro esercito. È indubbio lo scossone provocato da una simile guerra in uno Stato per vari motivi ancora fragile sul piano politico. Che in tale congiuntura il governo Boselli abbia potuto raccogliere la fiducia parlamentare è chiaro indice della diffusa mediocrità, sentimenti patrii a parte. Non soltanto governo e Parlamento iisultavano inferiori al compito, con manifesta incapacità di reggere con fermezza il timone della politica sia campo nazionale sia in campo internazionale, ma ormai in tutto il Paese erano entrati in circolo reali e diffusi fattoli di debolezza, quali la nemmeno troppo dissimulata ostilità del clero alla guerra ed al regime, la rinvigorita azione dei neutralisti contro gli interventisti , i variegati propositi dei socialisti e dei sovversivi. E sempre più frequenti si facevano le manifestazioni pacifiste con l'attiva partecipazione delle donne. Poiché queste proteste popolari si svolgevano in forma episodica e non organica, nonostante casi di violenza, non venivano considerate come una reale minaccia alle istituzioni. Comunque la situazione complessiva era dal nùnistcro dell'Interno riconosciuta «non buona» 1• Maggior pericolo era attribuito alla propaganda sovversiva, i cui effetti si manifestavano principalmente nel comportamento dei complementi e dei soldati che tornavano al fronte dopo una licenza. A prescindere dal risentimento, molto frequente in guerra, del combattente contro chi stava a casa, della fanteria contro tutte le armi, dei contadini-soldati contro gli operai-esonerati, sta di fatto che nell'animo dei combattenti cominciava a farsi strnda lentamente la sensazione non tanto dell'inutilità del sacrificio, quanto di essere soltanto loro a doversi sacrificare. Dopo la 10" battaglia il colonnello Gatti riconosceva che «effettivamente, qu.ùche cosa di nuovo comincia a muoversi, che al principio della primavera non c'era» 2 • Il diario di Gatti, pur risentendo cli una continua serie di colloqui e di apprezzamenti legati a situazioni diverse e contingenti e pur mancando spesso di personali clementi di giudizio sull'andamento di singole operazioni, è significativo degli umori circolanti nell'ambito del Comando Supremo, dei commenti a vario livello durante e dopo le prove piL1 impegnative. Più di una volta si leggono espressioni cli perplessità sul morale delle tmppe, sul non esattamente valutato logorio della trio-

tu

' Cfr. P. MEl, OORAN I, Storia politica della grande guerra ci l. , cap. V. TI 23 luglio un giornal ista accreditato presso il Comando Supremo scriverà: «I preparativi per la prossima offensiva sono giganteschi; ma. purtroppo, lo stato d'animo delle truppe non è più quello del mese di aprile,, (RINO ALESSI, Dall'Json:.o t,I Piave, Mondadori, Verona 1966, p. 8 I). ' J\. GArrr. Caporelto cit., sollo la data del 7 giugno, p. 92.


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cea, sullo squilibrio fra perdite e risultati, sulla mancanza di riposo fisico e psichico di ufficiali e soldati 1• Tutto ciò non poteva non essere addebitato alle lacune nell'azione di comando. È chiaro che, per alcuni versi, gli errori di condotta del combattimento risultavano più comprensibili. Il Gatti, dunque, sotto la data del 4 giugno 1917 riportava alcune riflessioni del generale Giardino, in atto comandante del XIV corpo d'armata: «Il Comando Supremo non è mai stato agile di pensiero: non è agile nemmeno questa volta. Non segue cioè i tempi. Non considera l'esercito che come un'unità astralta. Non vede in esso uomini. Vede sempre una macchina, alla quale vuole imprimere un certo lavoro non in conformità, an zi in contrasto con i tempi. PiÌI avanti andiamo, e piÌI dovremmo pensare a fare una guerra diversa. Con gli ufficiali stanchi, l' esercito stanco del pari, non bisogna pensare a macchinose offensive, larghissime, che impegnino tante forze, che portiuo tante perdite, che non diano poi risultati mirabolanti (...)»'.

Giardino auspicava che «con strumento mutato, bisogna mutare metodo di guerra». E che lo strumento fosse mutato era innegabile. L'ingrandimento dell'esercito aveva «improvvisato» comandanti di reggimento e di battaglione, inevitabilmente privi della necessaria esperienza, e per giunta depauperato i quadri, specialmente nelle unità di fanteria; l'afflusso delle classi 1878-79-80-81 aveva rinnovato molti reparti in peggio, trattandosi di classi anziane, con addestramento scadente e con molti analfabeti; si era verificato un forte squibbrio cli età tra gli ufficiali inferiori e la truppa; il rifornimento del personale aveva luogo senza che, prima dell'inunissione nei reggimenti, i soldati ricevessero un'accettabile istmzione. A questo quadro bisogna aggiungere il peggioramento dei rapporti fra i generali Cacloma e Capello. Dopo l'offensiva di maggio si accentuò nel Paese il convincimento che, come già accaduto durante la battaglia di Gorizia, il successo pieno non sarebbe sfuggito alla 10" battaglia dell'Isonzo se Capello non fosse stato frenato da Cadorna. Simile persuasione derivava da una vera e propria opera di propaganda, svolta in ambito parlamentare e sulla stampa da amici del primo e nemici del secondo, che - a detta di Bencivenga - ferì profondamente l'ipersensibile Cacloma nell'orgoglio e lo convinse sempre di più dell'ostilità governativa nei suoi confronti. «È a partire eia questo momento che i rappo1ti fra Comando Supremo e Governo si fanno così tesi da offendere anche i normali rapporti di cortesia fra così alte personalità» 3• E tale stato di cose provocò «non solo una incipiente freddezza fra i due generali, quanto la tendenza del Capello

' Ad esempio, il colonnello hrigadiere De Negri, comandru.11e della brigata Mantova, raccon1ava di avere uonùni privi di licenza da beo 17 mesi; che la brigata, andata a riposo il 28 o 29 maggio sul Carso, dopo tre giorni dovette ritornare in tutta fretta al eombauirnento (A. GAn1. Caporetto cit., p. 107). ' Ibidem, p. 73. ' R. B ENCIVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 34.


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a strafare, e proporsi cioè iniziative non in armonia coi fini perseguiti dal Comando Supremo; e nel generale Cadoma una sempre minore reazione a questa tendenza a mano a mano che avvertiva il crescere del favore popolare del suo dipendente, e in pari tempo l'ostilità o la freddezza del Governo nei suoi riguardi» 1• Come se una situazione del genere non provocasse già abbastanza imbarazzo, anche i rapporti fra Cadoma e Porro si fecero difficili. Da tempo guest' ultimo non mascherava l'insoddisfazione per essere praticamente tenuto in disparte. Dopo la 1o• battaglia Cadoma pensò di rivedere l'organizzazione interna del Comando Supremo, abolendo la emica cli sottocapo di Stato Maggiore (che non aveva mai visto di buon occhio) ed elevando le funzioni del capo dell'ufficio segrh eria e del capo reparto operazioni. Il generale Porro non approvò affatto il progetto e le cose rimasero com'erano, con l'aggravante, però, di un' incrinatura nell'atmosfera di cordialità del Comando Supremo 1 . * * * Per Cadorna c' era qualcosa in sospeso. Qualcosa che da sempre egli desiderava sistemm·e in modo tale da nulla aver più da temere da quella parte: il raggiungimento di una linea difensiva nel Trentino di forza tale da permettergli di 1ivolgere in tutta sicurezza e liberamente ogni attenzione al settore isontino. Dopo l'estate 1916 si era aggiunto «il malcelato desiderio cli cancellare le tracce di uno scacco)>, del quale non pochi attribuivano a lui la responsabilità \ La nostra controff ensiva sugli Altipiani non era 1iuscita a riprendere le posizioni perdute ed il lungo protrarsi della battaglia di G01izia non aveva consentito di riportare lo sforzo sul Trentino prima dell'inverno. Sull'obiettivo non potevano esistere dubbi: la dorsale Cima P01tule-Bocchetta di Portule, che avrebbe migliorato radicalmente la difesa dell'altopiano dei Sette Comuni. La cosiddetta «azione K», prevista per la metà di ottobre 1916, poi differita al 10 novembre e poi ancora al 17 novembre ed infine definitivamente rinviata, venne ripresa in considerazione dal Comando Supremo nel gennaio 1917. 11 Comando 6" a1mata (gen. Mambretti), interessato in me1ito, giudicò possibile intraprendere la preparazione soltanto all'inizio del mese di aprile, a causa delle condizioni meteorologiche, ma intanto studiò a fondo l'operazione e dette il via ai provvedimenti di cm·attere logistico, strade e baraccamenti in primo luogo. Il problema non appariva semplice, giacché il lll corpo austro-ungarico (gen. von K.rautwald), inquadrato nella 11 • annata (gen. von Scheuschentuel), che dalla val Sugana si stendeva sino alla val d' Astico, aveva avuto tempo e modo di

' R. BENCIVEKGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, pp. 113-114. ' A. GA.l TI, Caporetto cit., pp. 35-36. ' R. B EKCI VEl\<GA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 137


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BORGO

li piano d 'attacco del Comando 1ì"uppcAllipiano per l'azione K (6 novembre 1916).


LACAMPAGNADELl9l7

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(azioni arti9.li1ria • pattugli•)

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L'ordine di operazione della 6" armata (28 maggio 1917).


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rafforzare le proprie difese investite su posizioni già naturalmente molto forti, dal I' Ortigara a monte Zebio. Di conseguenza, l'originario progetto per l'azione K venne ampliato, rendendo necessaria una maggiore assegnazione di forze e di artiglierie. Su queste basi il 28 maggio il generale Mambretti fu in grado di emanare l'ordine cl' operazione per la «Difensiva uno», come convenzionalmente era stata denominata l'offensiva 1• Scopo da realizzare era l'occupazione del contrafforte Cima Po1tule-B0cchetta di Portule-monte Meatta e del tratto di dorsale monte Mosciagh-monte Rasta, sì da ricacciare il nemico dal margine nordest dell'altopiano. L'azione principale fu affidata al XX corpo (gen. Montuori) ed al XXII corpo (gen. Negri d.i Lamporo). Da sud il XXVI corpo (gen. Fabbri) avrebbe svolto un'azione concorrente su monte Rasta. Più a nord il XVIII corpo (gen. Etna) aveva compito sussidiario in val Sugana. Per quanto la data d'inizio fosse ancora da determinare, il generale Mambretti dispose che il lavoro preparatorio verùsse concluso entro la prima decade di giugno, tenendo conto che fra il 1° ed 5 giugno sarebbero afl1uite tre divisioni ed una brigata bersaglieri in rinforzo 2• Senonché il 5 giugno, Cadorna, come sappiamo appena rientrato da Roma, ordinò di accelerare i tempi per alleggerire la pressione sul Carso e Mambretti decise di attaccare il giorno 9, data all'ultimo momento spostata di ventiquattro ore a causa delle sfavorevoli condizioni atmosferiche. Il terreno si presentava impervio e scoperto; la saldezza deU'orgaiùzzazione difensiva aust1iaca era conosciuta; sulla sorpresa non si poteva contare; sul fronte della 3• armata non si riscontravano più indizi di iniziative nemiche. C'era di che riflettere sui vantaggi di un'offensiva in quelle condizioni. La nebbia ostacolò la preparazione d ' artiglieria e quindi l'apertura dei varchi. La pioggia battente accolse le fanterie quando uscirono dalle trincee per andai·e ai reticolati, quasi intatti. La sera del 1O i corpi XX e XXII avevano perduto più cli 6 mila uomini ed il fallimento clell' offensiva si profilava in piena evidenza. Lo sforzo principale, esercitato dalla s2• divisione (gen. Como Dagna) - costituito da 14 battaglioni alpini e 6 batterie da montagna, cui si aggiunsero la brigata Piemonte ed il 9° reggimento bersaglieri - , doveva portare alla conquista dell' Ortigara-Passo dell' Agnella e di monte Campigoletti e poi proseguire in profondità sino agli obiettivi di Cima Portule-Bocchetta di Portule. Dopo qualche incertezza, a tarda sera il generale Mambretti stabilì la continuazione clell' attacco per il giorno seguente, concentrando lo sforzo del XX corpo sull'Ortigara e quello del XXU su monte Zebio e svolgendo su tutto il resto

' CCSM, Relazione ufficiale cit., lV, tomo 2 bis, doc. 70. ' Ibidem, doc. 71.


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del fronte azione dimostrativa ed impegnativa 1• All'alba dell' 11 però, le proibitive condizioni del tempo lo indussero ad arrestare J' impresa «salvo piccole azioni per migliorare situazioni locali» 2 • Nel primo pomeriggio, ricevuta la visita ed il concorde parere di Cadorna, avvisò i corpi d'armata che la ripresa non avrebbe avuto luogo «in nessun caso prima di Lre giorni» 3. Quest'ultima precisazione aveva una specifica ragion d'essere: i comandanti dovevano trame «norma nella dislocazione u·uppe». Senonché, per non abbandonare talune posizioni conquistate o comunque raggiunte, si preferl procedere ali' alleggerimento delle prime linee ed i reparti rimasero dov'erano, esposti al fuoco avversario ed in uno stato di grave disagio. Il colonnello Bencivenga disse al colonnello Gatti: «Ah, che male abbiamo fatto a non liquidare questa questione del Trentino l' anno scorso, almedo nel settembre!»•. Anche il nemico, però, stava attraversando un momento difficile. Il generale Krautwald, nel!' informare il Comando 11 • armata delle misure adottate, chiese rinforzi per poter reagire, spiegando: «le perdite dcli' ala sinistra della 6• di visione sono enormi. T battaglioni sono ridotti a brandelli. Le riserve portate in linea servono soltanto per raffittire l'occupazione e per formare una prima linea di appoggio fra Cima Dodici e monte Chiesa» )_Riuscì a sferrare un contrattacco nella notte sul 15, ma venne respinto al termine di una lotta accanita. Subentrò una breve pausa, fatale perché consent) a noi di correre ai ripari, ed all'alba del 19 la s2· nostra divisione conquistò di slancio la cima dell'Ortigara, infliggendo dure perdite all'avversario. Purtroppo non si riuscì ad ampliare la breccia, e nemmeno 1iusciremo a conservare la nuda, pietrosa dorsale del1'0rtigara, scoperta e battuta incessantemente. La sera del 19 giugno il generale Mambrelti si rassegnò a comm1icare al Comando Supremo che «non riconoscendo per ora probabilità riuscita dell'avanzata su Altipiano» per le insuperabili difficoltà opposte dal terreno e dall'efficienza della sistemazione aust1iaca, aveva deciso di fermarsi riprendendo atteggiamento difensivo in tutto il suo settore, tranne all'estrema destra del XX corpo, ove la s2• divisione avrebbe cercato di migliorare il possesso dell'Ortigara 6 • Cadorna rispose: «Prendo atto approvo disposizioni» 1 • Da parte austriaca si cercava, invece, cli rip1istinare la situazione. Dall'Isonzo era arrivata la 72' divisione, il cui comandante, generale Goiginger, fu su-

'Ibidem, doc. I09. Il gen. Cabiati. all'epoca souocapo di S.M. del XX corpo. ne l ricordare l'alternarsi delle speranze e degli scoramenti di quei giorni, scrisse che «ci si illuse 1111 po' tutti di poter con~eguire con la costanza quello che non si era potuto raggiungere di primo slancio; e si decise di andare avanti» (ALDO CABIATI, Ortigara, ed. I 0° alpini, Roma 1933, p. 7 1) . ' Ibidem, doc. 110. , Ibidem, doc. 11J. • A. GATTI, Caporeuo cit., p. 99. ' L. SEGATO, L'Italia nella guerra mondiale cil.. U. pp. 404-405. • CCSM, Relazione ufficiale cit., lV, tomo 2 bis, doc. 139. ' Ibidem, doc. l40.


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bito destinato a sostituire il comandante della 6• divisione, morto i119. Come viatico, Conrad gli disse di «riconquistare le posizioni di Lepozze [= Ortigara), altrimenti l'intera fronte non è più mantenibile» 1 • Rapidamente fu montato un contrattacco, basato su questi criteri: azione notturna; preparativi conclusi entro le ore 2; preparazione di ,utiglieria brevissima (dieci minuti), tanto da permettere aJle colonne di arrivare alle posizioni italiane; assalto cd irruzione eseguiti con rapidità estrema 2 • Alle 2,30 del 25 cominciò il tiro di preparazione delle banerie austriache, alle 2,40 i gruppi d'assalto erano sui pochi reticolati della nostra 52° divisione. Alle 3,15 l'azione principale era finita, i difensori annientati e le batterie da montagna, che si erano volute in prima linea, perdute. La reazione delle unità in secondo scaglione fu pronta e spontanea, ma sporadica e disordinata. Gli errori si susseguivano. Un nuovo sforzo generale nella notte successiva, compiuto dalla 52" divisione in condizioni disastrose, inevitabilmente condusse solo ad un sanguinoso risultato: 6 mila perdite in ventiquattr'ore. Si vollero conservare ancora le poche posizioni conquistate, nonostante risultasse ormai chiara l'inutilità di proseguire l'offensiva. Soltanto quando un ripetuto contrattacco austriaco nella notte sul 29 riprese il Passo dcli' Agnella sopraffacendo i difensori, fu ordinato di tornare sulle linee di partenza. Perdite italiane: circa 24 mila uomini complessivamente, di cui 18 mila del XX corpo. Su 22 comandanti dei gruppi e battaglioni alpini, 16 vennero posti fuori combattimento. Lo stesso dicasi per buona parte dei comandanti di compagnia. Gli austriaci contarono circa 9 mila perdite. Cadorna apprese l'insuccesso nel primo pomeriggio del 26, al ritorno dal convegno alleato di Saint Jean de Maurienne. Scrisse a casa: «Gli Austriaci, dopo una grossa preparazione di a1tiglieria ci hanno assalito e ci hanno ripreso I' Ortigara, malgrado una difese strenua(. .. ). Insomma è stato un fiasco solenne e siamo al punto di prima (... )» 3 • In conseguenza, ordinò che la progettata operazione sul Pasubio non avesse più luogo. Il colonnello brigadiere von Sloninka, comandante della 98" brigata Kaiserschuetzen criticò i generali Mambretti e Como Dagna per essersi accontentati di un successo iniziale, di per sé insignificante: «Quali possibilìtà di successo si sono lasciati sfuggire g li italiani! (...) nessun comandante austriaco, a disposizione del qmùe fossero state due dozzine di battaglioni d'élite, si sarebbe appagato del possesso della posizione dell'Ortigara, di fronte ad una fanteria nemica totalmente battuta e quasi annientata e di una artiglieria ridotta quasi senza munizioni» 4. A prescindere dalla facile obiezione che non sempre è facile per chi attacca, percepire la situazione critica del difensore, il generale Cabiati escluse sia

1

A. B oli.ATI, Riass111110 della relllzio11e 11J]icillle a11s1riaca cii.. p. 349. ' Cfr. A. CABIATI, Ortigara cit.. p. 408. ' L. CAOORN,\, LettereJàmigliari cii'., p. 207. 1 • Cit. in L. SEc,,:ro, l'fu,/ia nella guerra mondiale c it.. II, p. 423.


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mancata da parte nostra una visione corrella delle necessità strategiche e tattiche che imponevano l'avanzata, «non fosse che per l'impossibilità materiale di restare sull'Ortigara, dove non c'era assolutamente spazio e dove ogni metro quadrato era inesorabilmente battuto da tutti i punti cardinali». L"avanzata fu tentata, ma le pattuglie spinte innanzi furono arrestate dal fuoco delle mitragliatrici e delle artiglielie austriache. Per proseguire e tendere a l contrafforte delle Portule, su una striscia di terreno rotto ed accidentato, dominato e scoperto, occorreva «costituire un'altra e nuova operazione, e 1ichiedere un'altra e nuova preparazione d'artiglieria ed accorgimenti adeguati alle difficoltà del terreno e del nemico. Le ballerie da montagna che erano sull'Ortigara avrebbero bensì potuto accompagnare l'avanzata, ma erano assolutamente insufficienti a prepararla». 11 tuttocsenza pal'lare del problema logistico: «l reparti che hanno vissuto sul1'0rtigara dal 10 al 25 giugno ricordano ancora come, quando e che cosa mangiavano; come, quando e cosa bevevano». La conclusione del generale Cabiati sembra mettere efficacemente a fuoco l'essenza della questione: «Nella battaglia dell'Ortigara, come già in altre circostanze, e come si verificò anche dopo (sebbene in misura minore) troviamo di fronte due metodi nettamente distint i: l' italiano che saturava di forze le lince e le immediate retrovie, l'austriaco che cercava di raggiungere i suoi obiettivi col miiùmo impiego di truppe e con un accentuato scaglionamento in profondità. È bensì vero che noi sull'Ortigara attaccavamo, ma c'è ugualmeme da domandarsi se la nostra prodigalità non sia stata eccessiva, portando- per effetto soprattutto del terreno - a perdite assai rilevanti anche fra le tn1ppe non direttamente impegnate, perdite che produceva no una depressione morale grandissima e difficilmente superabile» '.

* * * Il mese di giugno vide, così, il termine della 10• battaglia dcli' Isonzo e della battaglia dell 'Ortigarn. In entrambe affiorarono elementi che turbarono Cadoma. All'inizio del mese era stato convocato a Roma. Durante la sua assenza la forte reazione austriaca sul Carso aveva ti preso una buona parte del terreno perduto in precedenza. A mezzogiorno del 5 Cadorna rientrò a Udine. Il bollettino austriaco di quel giorno annunciava la cattura dì 6.500 prigionieli italiani. Secondo i primi sommari (ed inesatti) ragguagli fomiti dal Comando 3a armata, tre reggimenti, costituiti in maggioranza da siciliani, si sarebbero a1Tesi sen:t.a combattere. Cadorna si impennò. La notizia dei tre reggimenti fatti prigionieri «illesi» lo indignò fuor di mjsura e ne sclisse subito (6 giugno) al presidente Bosel11, senza evidentemente rendersi conto dell'inoppo1tunità di portare a livello governativo una questione del genere, prima ancora di averla approfonditata ~:

'A. CADIATl, Ortignra cit., p. 128. 'Cadorna si riservò di appurare i fatti, è vero, però, mentre scrivendo a casa riconobbe che la questione era «meno grave di quanto si credeva» (lcltera del 10 giugno), stando a Bencivenga «questa verità non [u mai appurata» e la notizia prese piede (R. Br.NC'lVtlNGA, Saggio cririco rntla nostra guerra cit., IV, p. 117).


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«(...) Se la informazione coo:isponde a verità, le defezioni non potrebbero che essere nuovo fruito della propaganda contJO la guerra che si svolge in Sicilia e che ha ridotto l' isola a un covo pericoloso di renitenti e disertori, i quali secondo le segnalazioni del Ministero della Guerrn superano i 20 mila (... ). È inutile che io dica e provi alla Eccellenza Vostra che la indisciplina che minaccia di corrompere la compagine dell'Esercito nostro deriva e dipende dalla tolleraJJZa con cui si lasciano impunemente diffondere nel Paese le pitt perverse teorie da parte di nemici interni (... ). Ho già avuto altre precedenti occasioni di accennare esplicitamente a ciò nelle mie precedenti comunicazioni al Governo; vi ritorno oggi perché quanto avviene in questi giorni in alcuni reparti delle nostre truppe è di così minacciosa gravi tà che io mancherei al primo dei miei doveri se non manifestassi( ... ) quello che io ritengo essere la causa precipua del ma.le e l'unico rimedio possibile».

Due giorni dopo, 1'8 giugno, tornò alla carica, sulla base di una notizia (poi risultata inconsistente) fornita dal Servizio Informazioni del Comando Supremo: «(...) Confermo quanto ebbi a scrivere nel mio foglio in data 6 corrente sull'opera nefasta che il Partito Socialista sta compiendo ai danni dell 'Esercito e della Patria in guerra, e per insistere sulla necessità che tale opera non sia lasciata svolgere indisturbata, ma venga invece soffocala dall'azione energica dei pubblici poteri (... ). Il Comando Supremo provvede qui in zona di guerra (... ), ma occorre che l'opera perseguita nell ' interno del Paese dai soeiaHsti (i nomi dei più pericolosi agitatori sono sulle bocche di lulti) sia troncata senz' altro ritardo da energiche e immediate misure alle sorgenti stesse da cui emana (... ). Grave colpa sarebbe (della quale io intendo con ogni mezzo a.llontanare da me la responsabilità) se la propaganda socialista pacifista non fosse adeguatamente e sollecitameme combattuta e resa impotente».

Il 14 giugno, al ritorno dalla accennata visita al Posto Comando della 6° armata, nel corso della quale aveva dovuto concordare con il generale Mambretti sull'opportunità di desistere da ogni sforzo, scrisse una terza lettera a Boselli. Considerava causa ptincipale dcli' insuccesso il diminuito spirito combattivo di parte delle truppe per effetto della propaganda sovversiva 1• Pose in evidenza come nel mese di maggio fossero state pronunciate tre condanne alla fucilazione, «senza tener conto dei numerosi casi nei quali per necessaii o immediato esempio, si è dovuto addivenire alla fucilazione», e proseguì: «( ... ) mentre la assoluta necessità di tenere salda la compagine morale dell'Esercito mi obbliga a reprimere con mezzi estremi ogni atto di indisciplina, sono convinto che ( ... ) i veri responsabili sono al sicuro, impuniti. Ripugna alla mia coscienza il pensiero di dover essere obbligato a continuare repressioni esteriori che non toccano i veri responsabili e lasciare intatta la radice del ma.le. Per questo ho creduto mio dovere di chiedere la attiva collaborazione del Governo, che può e deve trovare i sobilJatori nascosti e le origini di un movimento di cui nell 'Esercito si rivelano oggi i segni indubbi( ...). Sono queste le gravi considerazioni che mi inducono a insistere presso V.E. perché il Governo voglia prendere in esame questo pr~iblema, in cui gli interessi dell'Esercito e quelli del Paese sono troppo streuamcnte collegati perché esso possa essere risolto da un lato solo.

' L.

CADORNA,

La guerra allajirmte italiana cit. , il, p. 24.


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Prego perciò V.E. di volermi dire con conese sollecitudine quali criteri intende adottare il Governo in proposito a norma della mia condotta»'.

Boselli, tra l'altro invischiato in una crisi ministeriale 2, passò le lettere ad Orlando, mjnistro dell'Interno, ma questi minimizzò, non ravvisando l'esistenza di alcun pericolo per la situazione interna del Paese. Convinto che alcuni esponenti socialisti, come l'on. Turati e l'on. Treves, stessero svolgendo azione frenante nei confronti degli elementi più esagitati del partito, non voleva compromettere l'efficacia di tale atteggiamento moderatore con misure di carattere straordinario. Inoltre si professava persuaso che in Italia non fosse possibile la fonnazione di un movimento politico tanto inquietante da danneggiare la guerra italiana. Perciò si offrì di sostenere questo punto di vista con il capo di Stato Maggiore dekeserc ito. Peraltro, riLenendo che, per la sua rilevanza, il problema non dovesse essere «rimpicciolito nei limjti della competenza di un ministero», suggerì che l'argomento venisse esaminato e discusso a livello governativo, in una riunione presieduta da Boselli e con la partecipazione, naturalmente, di Cadorna. L'incontro non avrà luogo prima di settembre, a causa - secondo Orlando, di «interferenze di carattere interno» non ben precisate '. Se per Cadorna i socialisti di varia tendenza causavano un grave danno alla compagine morale dell'esercito, se per Orlando sul piano politico non esistevano pericoli reali per la saldezza dell'esercito, uno sguardo più attento alla situazione sembra essere quello di Salandra sin dalla metà di gennaio: «( ... ) ~i è data quindi l'impressione che i governi dell'Intesa abbiano per programma una guerra di durata inde[inita ( ... ) .

Ora, non bi sogna farsi illusioni circa il semimcnto pubblico, almeno in Ttalia, e quru1do dico "pubblico" vi comprendo l'esercito, la flot1a ed i loro capi. Sarebbe da bambini il credere coi giornali che la diffusione della tendenza pacifista sia soltanto opera di socialisti ufficiali e di giolittiani, che una politica interna più vigorosa potrebbe ridurre all'impotenza. Sarà bene impedire, per quanto si può, la propaganda deprimente; ma tale possi bilità è assai limitata quando le tendenza pacifi ste invadono, per via della stanchezza e della delusione, gli strati medi, i più numerosi dell a popoh1zione ragionante, la grande maggioranza che non acclamò alla guerrj, ma l'aveva accettata, a grado a grado, come una necessità. Questa grande massa si va ribellando, come ad un capriccio di governi esaltati, ad un progranuna di guerra continuativa sino alla realizzazione di propositi che om1ai, alle persone medie, appaiono i1Tealizzabi li» ' .

'Le lettere sono pubblicate nella relazione della Commissione d'inchiesta, Dall'Iso11zo al Piave (24 ottobre-9 novembre 191 7, Poligrafico dello Stato, Roma 19 I9, U, pp. 506-5 J 4.1118 agosto, come vedremo, Cadoma scriverà una quart a lettera. Cfr. L. CADORNA, Pagine polemiche c it., pp. 33-39. 1 La crisi era stata detern1inata dal «proclama di Argirncastro» del 3 giugno, con il quale il gen. Ferrcro, comandante del corpo di occupazione d'Albania dall' 11 dicembre 1916, aveva annunciato - beninteso su decisione di Sonnino - «I 'unità e rindipeaden1.a di tutta l'Albania sotto egida e protezione del Regno d'Italia. provocando vivaci reazioni in campo internazionale cd anche in senso al governo. Tre mini stri, fra cui Bissolati, dettero le dimiss ioni in segno di protesta per aver saputo dai giornali la notizia» (cfr. M. MONTANARI, Le truppe italiane in Albania cit., pp. I 02- 112}. 1 V fITORJO EMANUELE ORLANDO, Memorie ( 19 l 5-1919}, Rizzoli, J\.1iJano 1960, pp. 59-61. Cfr. P. MELOGRANI, Storia politica de/1<1 grande guerra cit., pp. 352-353. 'Salandra a Sonnino in data 14. 1.1917, BRUNEI.LO V1GEZZI. / problemi della neutralilà e della guerra nel carteggio Salandra-Smmi110 1914-1917 c it., pp. 70- 71.

r


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A prescindere dai rapporti fra governo e Comando Supremo, e per rimanere nell'ambito della cura del personale, non pare che in quelle circostanze si possa riscontrare una conoscenza della psicologia del soldato, o, piuttosto, un'attenzione alle elementari esigenze del soldato tale da condurre all 'adozione tempestiva di provvedimenti atti ad alleggerire l'immensa tensione nervosa esistente nelle truppe. La crisi ministeriale si concluse con un rimpasto. Orlando rimase ministro dell'Interno, il generale Giardino subentrò al generale Morrone quale mi1ùstro della Guemt e l'ammiraglio Triagli all'ammiraglio Corsi quale mi1ùstro della Marina. Il generale Dall'Olio diventò ministro delle Armi e Munizioni, con il generale Alfieri quale sottosegretario.

* * * Al termine della 1o• batragl ia dell' Isonzo, il Comando Supremo riepilogò le notizie ricevute sul nemico, giungendo a conclusioni allarmanti: tre divisioni e mezzo austro-ungariche erano già arrivate sul nostro fronte provenienti da quello orientale, altre cinque e mezzo risultavano in viaggio ed otto ancora erano segnalate di probabile trasferimento. In totale, 17 divisioni con numerose artiglie rie di grosso calibro. Considerando che sul fronte occidentale i tedeschi potevano disporre liberamente di 18 divisioni, e che l'attività franco-britannica si riduceva ad una pressione piuttosto blanda, c'era da temere il peggio per noi e Cadoma rappresentò ai generali Foch e Pétain la «superiore necessità» di fissare le forze germaniche in Francia 1• Le risposte furono tranquillizzanti. Pétain avvisò che una grossa offensiva alleata era in programma per la seconda metà di luglio e che per la fine di giugno si poteva sperare in un'offensiva russa. Comunque, in caso di spostamento di divisioni tedesche verso l'Italia, la Francia avrebbe ceduto un corrispondente numero di sue unità 2• Foch concordò con quanto comunicato da Pétain, si dichiarò favorevole a cedere artiglierie e munizioni e propose un convegno dei tre capi di Stato Maggiore per discutere insieme della situazione militare 3 • Sorvolò, però, su un particoJ.u·e. L'8 giugno aveva avuto un abboccamento con il generale Robertson ad Abbeville per intendersi con lui sulla linea di condotta da tenere nel secondo semestre di quell'anno e, esaminate le circostanze, si erano trovati d'accordo per attenersi ad azioni locali, ad obiettivo limitato, in attesa dell'arrivo delle truppe americane. Questo atteggiamento di relativa stasi sul fronte occidentale doveva essere bilanciato da un'offensiva italiana (per la quale era previsto un rinforzo di artiglierie pesanti e munizioni), possibilmente in conco-

' Cadoma al col. De Marinis Stendardo, capo deUa missione militare italiana presso il Comando Supremo francese, in data 7.6.1917, CCSM, Relazione ufficiale cit, lV, tomo 2 bis, doc. 1. ' De Marinis al Comando Supremo in data 8.6. 1917, ibidem, doc. 2 ' De M.irinis al Comando Supremo in data 10.6. 1917, ibidem, doc. 3.


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mitanza con analoga offensiva russa, intesa a mettere fuori causa l'Ausuia, grazie anche ai tentativi diplomatici di an-ivare ad una pace separata con Vienna'. Non si comprende come potesse essere considerata foriera cli successo un' offensiva veramente decisiva da parte della sola Italia, quando Cado ma aveva esplicitamente detto e ripetuto esser necessario, per una impresa del genere, un rinforzo non soltanto di artiglierie, ma anche e soprattutto di una diecina di divisioni alleate! In precedenza - riferendosi alla allora imminente 10• battaglia dell'Isonzo, ma evidentemente il discorso conservava piena v,ùidità - l'ambasciatore inglese a Roma, Rodd, aveva acutamente osservato a Lloyd George che, anche se l'offensiva di Cadoma si fosse risolta in un grosso successo, l'Austria per orgoglio non sarebbe stata disposta a fare concessioni all'Italia, mentre se la sconfitta foss'e stata provocata da un intervento alleato, Vienna avrebbe senza dubbio visto le cose con altro occhio 2•

* * * lL CONVEG:'\0 DI SAINT JEAN DE MAURIB,'NE

Il 25 giugno Foche Cadoma si incontrarono alla stazione di St. Jean de Maurienne. Il generale Robertson era assente a causa di impegni connessi con la sua carica, ne si fece rappresentare, e Lloyd Gcorge ha spiegato assai bene tale comportamento. Sia Robertson sia il generale Haig sia il generale Wilson, capo della missione militare britannica presso il Comando Supremo francese, erano irremovibilmente convinti della necessità, per la Gran Bretagna, dì attaccare nelle Fiandre per eliminare le basi dei sottomarini tedeschi daJle costa fiamminga prima dell'inverno. lo ciò trovavano validissimo sostegno nell'anuniraglio Jellicoe, il quale dichiarava categoricamente essere vitale cacciare i tedeschi eia Zeebrugge, pena l'impossibilità di continuare la guerra per mancanza di navi 3• Vale la pena di rilevare che, in questo quadro di assoluta determinazione dei vertici militari britannici, il generale Wilson aveva presentato al Comitato di guerra un rapporto redatto nel preciso intento di «giustificare una grande offensiva inglese», tacendo peraltro delle reali condizioni dell'esercito francese e della disapprovazione espressa da Foch e da Pétain circa l'operazione in questione. Poco dopo, il generale Haig illustrò l'impresa al Comitato di guerra, riunitosi il 19 giugno •, facendo credere che francesi e belgi vi avrebbero partecipato e che l' esercito tedesco risultava ormai esausto e demoralizzato.

' FF.RDINAND Foc H, Memorie, Mondadori, Verona 1931, Tntermczzo dell'editore francese. pp. 315-3 16. ' D. LLOYD GEORGE, Memorie di guerra cit., Il. p. 424. ' Ibidem, p. 405. 'ln realtà si riunì una commissione del Comi lato. nominata 1'8 giugno «per stud iare ciò che si doveva fare su tulle le fronti per mare e per terra».


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Jn quella sede Lloyd George, molto scettico sulla validità del progetto, espose un suo dettagliato memorandum, mirante a spostare ancora una volta l'attenzione sul fronte italiano contro l' Austria. È opportuno ripo1tarne ampio stralcio: «Nessuna pace può soddisfare le lcgiuime domande dcli' Italia, e nessun uomo di Stato italiano farebbe la pace senza avere il Trentino e Trieste. Ora mi ri sulta che l'Austria sarebbe disposta a cedere il Trentino anche adesso. Quanto a Trieste, l'Austria non la può abbandonaJC se gli Italiani non la conquistano. Ma se Trieste fosse presa, allora sarebbe più facile per l'Austria cederla (...). Ci si dice che con un·orrensiva vigorosa noi potremmo respingere l'esercito tedesco con le sue fonc ben equipaggiate(... ) per un trailo di 30 o 50 chilometri, e catturare Zeebruggc e Ostenda. Dovremmo dunque avere maggiori probabilità di successo di respingere per 14 o 15 chilometri l'esercito austriaco. più demoralizzato, più eterogeneo (...). Gli Italiani (...) hanno una superiorità fra il 50 ed il 100 per cento sugli austriaci; essi hanno invece bisogno di ca11no1ù e di munizioni. E di questi noi li possiamo rifornire(...). j . ( ... )

2. Se i tedeschi spostano truppe dalla fronte occidentale a quella dell' Isonzo, allora sarebbe il

momento di altaccare le loro lince in Francia, ed anche se noi mandassimo alr.ri 300 canno1ù alla fronte italiana ci rimarrebbe sempre il doppio di cannoni pesanti e almeno tre vo lte tanto di mun izioni di quanto avevamo al principio della Somme. 3. Che cosa importa se noi combattiamo i tedeschi nel nord della Francia o in Italia? La sola differeuza è che se noi li combattiamo i.ti Francia lo faremmo a spese delle nostre trnppe, mentre in llalia noi possiamo usare le enormi riserve italiane(... ). 4. ( ...) Le perdite italiane sono state relativamente leggere. e gli alleati fino ad ora non hallllO fatto un uso vantaggioso della capacità in uomini dell' llalia. Non è venuta la volta degli italiani di fare la loro parte in combattimenti gravosi?(... ). (... ) Gli italiani sono ansiosi di effettuare questo piano [di aprirsi una via fino a Trieste]; essi sono disposti a rischiare i loro uomini, e il piano proposto dal generale Cadoma ha avuto il pieno appoggio del generale Foch, che probabilmente è il più abile stratega dell'esercito francese. Anche se il piano non riesce a raggi ungere pienamente il suo obiettivo, che cosa potrebbe succedere di male? Che l'esercito italiano. dopo di essersi avanzato di pochl chilometri, sarebbe costrello a fcnnarsi; avrebbe sofferto gravi perdite, ma, anche in un caso sinùle, avrebbe indebolito l'esercito austriaco (... ) ed avrebbe così aiutato i russi nella loro nuova offensiva, progettata per il seltembrc» '·

Parlava al muro. li generale Robertson replicò che le probabilità di ottenere buoni risultati non erano più elevate in Italia di quanto lo fossero sul fronte settentrionale francese; che l'Italia aveva già più cannoni di quanti potesse impiegare e perciò bastava mandarle munizioni; che non esisteva ragione perché l'Italia rimanesse inattiva d'inverno, avendo essa truppe e mezzi a sufficienza e potendo operare sull' Isonzo sino a tutto gennaio! 2 • A rincarare la dose formulò dubbi sulla capacità di Cadoma di condurre l'offensiva e manifestò preoccupazioni di una controffensiva austriaca dal Trentino mentre fosse in corso quella sull'Isonzo 3 • Il 21 giugno Lloyd George fece un ultimo tentativo per persuadere Robertson e Haig ad abbandonare la loro posizione, proponendo un esame del proget-

' D. LLOYD G t::ORGE, Memorie di guerra cit., Il, pp. 407-408. Ibidem, II, p. 409. ' Ibidem, Il. p. 4. 2


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to italiano sul posto, insieme con Cadoma. Tutto inutile. Peggio ancora, sempre secondo l'amara e seccata ammissione del Premier, al Comitato fu tenuto nascosto che «tutti i generali inglesi consultati da Sir Douglas Haig avevano espresso i loro timori ed i loro dubbi sul successo di una tale impresa(...) . Se tutta la verità ci fosse stata esposta, noi avremmo certamente messo il veto all'offensiva [britannica]» 1• Il Comitato, dunque, approvò il disegno operativo, ma con l'intesa che se lo svolgimento dell' attacco non avesse corrisposto alle aspettative, «le operazioni si dovessero immediatamente sospendere per dare agli Italiani un efficace aiuto nella loro offensiva» 2 • Nel colloquio con Foch, a St. Jean de Maurienne, Cadorna ebbe cura di toccare, fra gli altri, un argomento assai delicato. TI 1° maggio Sonnino gli aveva comunicato, in assoluta segretezza, l'inattesa esplicita presa di posizione alleata nei confronti dell' Italia a proposito delle concessioni in Asia Minore. Il governo britannico aveva «desiderato mettere in chiaro che l'attribuzione dei territori da noi richiesti può difficilmente giustificarsi con gli sforzi fatti sinora dall'Italia nella guerra in paragone dei sacrifici già fatti da Gran Bretagna, Francia e Russia, specialmente nella lotta contro la Turchia in cui nessuna forza italiana sinora ha preso parte». E, dopo aver esaltato l'apporto bellico delle tre Potenze contro la Turchia, «il Gabinetto di g uerra fa vive premure al Governo italiano affinché faccia un maggiore sforzo affine di cooperare con gli Alleati contro il comune nemico, ed è sicuro che esso intenderà che il realizzarsi delle aspirazioni italiane nell 'Asia Minore deve essere subordinato al fatto che questo sforzo si effettui». Naturalmente Sonnino aveva protestato con veemenza, tirando in campo la tesi del fronte unico alleato; tuttavia non si nascondeva il pericolo che gli alleati si irrigidissero nella pretesa. Perciò gli premeva sapere se apparisse possibile un qualche sforzo «oggi o in un avvenire prevedibile, su altri fronti che non quello principale» 3 • Cadoma si era associato all'impennata ili Sonnino, accusando di incoerenza e di intenzionale genericità la richiesta britannica, dopo l'aperto riconoscimento della necessità di un aiuto diretto all'Italia in caso di offensiva nerrùca. Ad ogni modo, stante l'innegabile rilievo politico della questione, aveva specifica-

' W 1U.. IAM Rc.>BERTSON, Comi11i1e gé11érale de /(I guerre, pp. 561-563, cit. in E. f.<\WE.LLA, La gra11de guerra cii., 1, p. 303. ' Ibidem, U, pp. 410-411.

' Sonnino a Cadoma in data 1.5.1917. CCSM. Relaz,ione ufficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 5. O 19 aprile si era svolto un convegno politico a St. Jcan de Maurienne con la partecipazione di Lloyd George, Ribot, Boselli e Sonujno. Scopo «ostcnsibile» della conferenza era la questione dell'Asia Minore (Smirne con un'ampia zona circostanze fu «assegnata» all'Italia); in realtà, secondo i ricordi di Lloyd Georgc e di Ribot, essa era stata provocata dai sondaggi di una pace separala avanzati dall'Austria, sondaggi. che furono nettamente stroncati da Sonnino. Sul convegno cfr. MARIO TOSCANO, Gli accordi di Sa11 Giova11ni di Moriana, Milano 1936, e L. A1,0ROVAN01 MAREScorn, Nuovi ricordi e framment i di di'1rio, Mondadori. Milano 1938, pp. 117- 190.

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to che, senza «a priori categoricamente negare la possibilità (... ) di un nostro concorso su altre fronti», rimaneva in attesa di conoscere dove ed in quale misura l'Italia avrebbe dovuto esercitare la maggiore presenza richiesta da Londra 1• Davanti all'energica replica di Sonnino Lloyd George rinunciò all'idea di subordinare il riconoscimento delJa zona italiana in Asia Minore ad una consistente partecipazione, e si limitò ad esprimere la «fiduciosa speranza» che il governo di Roma avrebbe accolto qualunque indicazione di sforzo italiano considerato desiderabile «dalle autorità militari alleate in consultazione con quelJe italiane, in sfera d'operazioni fuori dal fronte italiano». Secondo Robertson, questo impegno poteva tradursi nell'invio di un eventuale contingente in Palestina, oppure di personale non combattente per servizi ausiliari, lavori, ecc. sul fronte di Salonicco 2 • Tutto questo Cadorna mise sul tappeto con Foch. Naturalmente cogliendo l'occasione per alcune puntualizzazioni: ogni invio di truppe in scacchieri esterni rappresentava una «biasimevole e dannosa dispersione di mezzi a scapito dello sforzo che deve esser fatto sulla fronte italiana»; l'Italia stava trattenendo nel suo teatro forze nemiche doppie di quelle esistenti nel 1915, «e ciò con inunenso vantaggio per la coalizione»; il contributo offerto dall'Italia in Albania ed in Macedonia costituiva già «un ingente peso che gli alleati dovevano ammettere ed apprezzare». Foch convenne sulla ragionevolezza di tali osservazioni, così come rinnovò il suo orientamento favorevole alla cessione cli artiglieria, che Cadoma si riservò di indicare con maggiore esattezza. Tuttavia chiese, come corrispettivo da parte italiana, un contributo in mano d 'opera, anche in funzione dei lavori occorrenti per la sistemazione in Francia delle truppe americane 1. Il fabbisogno segnalato da Cadoma fu di 25 batterie a tiro prevalentemente curvo, con una dotazione di almeno mille colpi per pezzo. Foeh propose a Pétain ed a Robertson di fornirle metà per ciascuno. Pétain spiegò di non poter aderire «stante operazioni anglo-francesi che si effettuerebbero a fine luglio» e Robertson si riservò di dare una risposta 4 • Allora Cadoma inviò a Foch un telegramma che voleva essere di pressione, ma che si prestava a dubbi sulle sue reali intenzioni. Riferendosi alla programmata 11a battaglia: «Ho tutto predisposto - comunicò - perché offensiva su fronte giulia possa sferrarsi prima decade di agosto». Poi proseguì: «Debbo però far presente che mezzi di cui dispongo sarebbero assolutamente insufficienti se Austria mantenesse su fronte giulia artiglieria nella misura attuale», ma allora quale significato concreto doveva attribuirsi alle predisposizioni assunte per l' of-

' Cado ma a Sonnino in data 5.5. I 9 17, CCSM, Relazione ufficiale cii., IV, tomo 2 bis, doc. 6. ' Sonnino a Cadoma in data 15.6.1917, ;b;dem, doc. 7. ' Cadorna a Sonnino e Boselli in data 27.6.1917, ibidem, doc. l2. ln primavera l'Italia aveva mandato in Francia JO mila operai. 'Cadoma a Sonnino in data 5.7.1917, D.D.I. , s• serie, Vili, doc. 545.


LACAMPAG~ADEL

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fens iva? E poi: «In tale ipotesi, per evitare gravissime perdite et scacco morale sarei costretto differire azione offensiva in attesa situazione più propizia», ma questo differimento in quali tennini di tempo era considerato possibile? E infine: «Ritengo che perdurando attuale situazione nemica, nostra offensiva potrebbe avere probabilità di successo solo se estesa su fronte più ampia di quella da noi attaccata nello scorso maggio. Ma per tale maggiore estensione si richiederebbe aumento di almeno 300 pezzi provvisti di adeguato munizionamento» 1• Quindi l'offensiva predisposta per la prima decade di agosto, estesa a nord sino a Tolmino, non aveva probabilità di successo? Il fabbisogno segnalato da Cadoma - 25 batterie a tiro prevalentemente curvo, su quattro pezzi, con una dotazione di almeno mille colpi per pezzo - fu sollecitata il 13 luglio per «affrettare il più possibile nostra offensiva», approfittando del favorevole inizio dell'offensiva russa. Diversamente non sarebbe stato possibile l'attacco prima della fine di agosto ' . Anche questa richiesta ha una formulazione strana. Dopo aver «dimostrato che 100 cannoni con 1000 cariche ognuno ci sono assolutamente necessari Lcorsivo nostro] per sopperire alla deficienza di munizioni r?J», Cadorna dichiarava di accontentarsi di «almeno una parte delle batterie»! Che cosa dovevano pensare gli alleati? La richiesta giunse al Comitato di guerra britannico «quando Haig stava dando gli ultimi tocchi ,ùla sua insensata avventura della Fiandra ( ...). I canno1ù che Cadoma desiderava erano già piazzati e puntati sulle trincee tedesche davanti a Ypres» 3 • Al Comitato arrivò anche un dispaccio dell' addetto militare inglese a Parigi, dal quale si desumeva con quanto interesse fosse stata accolta dal Comando Supremo fran cese l' intenzione di Caclorna di sferrare una nuova offensiva al più presto: «Il pensiero del generale Foch è il seguente. È necessario prendere Cadorna in parola, in modo che egli non abbia una scusa per non attaccare. Se Cadorna crede che il momento sia favorevole per un attacco, si deve fare tutto il possibile per aiutarlo( .. .)»'. Senza commenti. Per inc iso, a metà maggio il ministro Painlevé, in un'intervista al Daily Express, aveva reso noto il piano scelto dalla Francia per la futura condotta delle operazioni: «Nos armées exerceronL une p ression continue sur les f orces aLlemandes et porteront par intervalles des coups puissants et inattendus quiferont chanceler l' enne,ni quelque fo rt qu'il puisse étre». Una simile d ichiarazione aveva naturalmente trovato larga eco nella stampa francese «in omaggio a ll'uomo che incarna l'esponente della politica attuale» 5 . E il 7 luglio, lo stesso Painlevé

'Cadorna a Dc Marinis Stendardo in data 5.7. 1917, CCSM, Relazione 11fjicia/e cit.. l V, tomo 2 bis, cloc. 16. 2 Cadorna a De Marinis Stendardo i n data 13.7. 1917, ibidem, doc. 17 . 1 0. LLOYD GRORGf, Memorie di guerra cil., li , p. 428. • Ibidem.II, p. 429. 'Breganze a Cadoma in data 19.5.1917 . D.D.I.. 5" serie, Vlll, cloc. 29 .


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comunicò alla Camera, per motivi unicamente parlamentari, che non si sarebbe più parlato cli grandi operazioni di stampo napoleonico, ma la Francia si sarebbe linùtata a continuare «la pressione sul nemico» fino all'arrivo degli americani! 1• Ovvio l'interesse tedesco per questa sconcertante dichiarazione, che aveva suscitato proteste indignate nello stesso Parlamento. In conclusione, Pétain, superando qualche difficoltà, decise cli spedire subito 6 batterie da 155 e dieci batterie pesanti e Haig mandò dieci mortai pesanti. Robertson, su pressione del Comitato cli guerra, si riservò cli parlare dell'argomento con Cadom a in occasione della conferenza convocata a Parigi per il 16 luglio, poi rinviata al 25, per esarninare la situazione nei Balcani.

* * * LA CONFERENZA Dì PARIGI

1124 mattina ebbero luogo a Parigi due conferenze preliminari: una militare con i generali Cadorna, Foch e Robertson; l'altra navale con gU ammiragli Le Bon, Jellicoe, Sims e Thaon di Revel. La conferenza militare partì da una significativa puntualizzazione inglese: le operazioni in atto erano state previste dalle conferenze precedenti e non esisteva motivo alcuno per modificarle. La messa fuori causa dcli' Austria-Ungheria sembrava raggiungibile. Essa doveva ricercarsi attaccando le forze tedesche sul fronte occidentale per fissarvele, ed attaccando quelle austriache sui due fronti, italiano e russo, per sconfiggerle. A parte ogni considerazione derivante dal visibile esaurimento dell'offensiva Kerenskij e dal prevedibile sfacelo dell'esercito russo, Cadoma cercò subito di portare la discussione sull'offensiva alleata dal teatro d' operazioni italiano. Si dichiarò sicuro, con l'ausilio cli 10 divisioni anglo-francesi e 400 pezzi di grosso calibro, di infliggere alt' Austria una sconfitta realmente determinante. Foch lo appoggiò, anche perché non nutriva né fiducia né speranze nell'operazione inglese nelle Fiandre. «Ma Robe1tson tenne duro - ricordò Lloyd George - e non volle sentire ragioni. Il Comitato aveva dato il suo consenso ed egli non voleva che vi si tornasse sopra. Aveva comunicato a Haig il nostro impegno. Il generalissimo inglese aveva il nostro permesso cli attaccare» 2 • Lloyd Gcorge criticò Cadoma per aver ceduto ancora una volta, ma non si vede proprio che cosa avrebbe dovuto fare per vincere «l'irragionevole ostinazione» di Robertson, il quale «non si preoccupava che dell'offensiva delle Fiandre. Non era là per conferire o riflettere. C'era per dire: 'l'impegno' . E lo disse. Non si mosse dalla sua posizione e ottenne quello che volle» 3•

' M. CARACCIOLO, L'Ttalia e i SIIOi alleati cii., pp. 126-127. ' ibidem, Il , p. 429. ' Tbidem, ll, pp. 430-431.


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In definitiva, venne messo a verbale che «da un lato probabilmente l'Italia non riuscirà a disporre di tutti i mezzi occorrenti per ottenere la disfatta decisiva dell' Austria, e dall'altro per l' Inghilterra e la Francia è impossibile per il momento fare di più». Una volta tenninate le operaziotù in corso, gli alleati avrebbero esaminato la sirnazione risultante e l'opportunità e la possibilità di cedere all'Italia le forze ed i mezzi necessari per mettere fuori causa l'Austria. Peraltro, Cadorna si affrettò a precisare di non essere assolutamente in grado di dire se gli sarebbe stato possibile sferrare una seconda offensiva e, nel caso, di che cosa avrebbe avuto bisogno 1• Per quanto riguardava il fronte di Salonicco, tenendo conto del previsto concorso dell'esercito greco e del nessun vantaggio pratico che sarebbe derivato da un'offt!nsiva da tale fronte, Robertson propose il trasferimento di una divisione con un'aliquota di artiglierie pesanti dalla Macedonia alla Palestina. Cadoma e Foch si opposero. Prima di tutto non reputavano opportuno alleggerire l'Armée d'Orient perché eterogenea, insufficientemente dotata e con effettivi molto variabili; e, d'altronde, non si prevedeva l'entrata in linea delle truppe e lleniche che all' inizio del 1918. In secondo luogo, preferivano tenersi in condiziotù di poter passare ali' offensiva qualora si fosse verificato un grosso successo russo-rumeno. Tutt'al più, la questione poteva esser ripresa in ottobre, a situazione più chiara. L'argomento di maggiore importanza fu discusso nella conferenza del 26 luglio, alla quale parteciparono anche i generali Pétain e Pershing, il comandante americano. Si trattava di studiare come affrontare l'eventualità del crollo della Russia. Sotto il profilo politico era ovvio che i governi dovessero rivedere gli scop.i politici da perseguire; sul piano economico, occorreva tener presente il grande vantaggio che gli Imperi Centrali avrebbero ricavato dalle immense risorse russe; dal punto di vista psicologico, sembrava inevitabile che la Romania seguisse le sorti della Russia. Con queste prospettive davanti agli occhi, vennero delineate le peggiori ipotesi di carattere militare. Per il fronte occidentale era plausibile il massimo sforzo degli Imperi Centrali co11tro di esso, trasferendo in Francia tutte le truppe tedesche ed austriache schierate contro la Russia. A conti fatti, alla data del 1° giugno 19 l 8 il nemico avrebbe potuto raccogliervi non meno di 273 divisioni. Evidentemente, in siffatta evenienza ogni possibilità anglo-francese doveva essere riservata al fronte occidentale, in attesa degli americani. Comunque la superiorità numerica raggiungibile dagli Imperi Centrali non era stimata sufficiente a rompere una siste-

'CCSM, Relazione ufficia/e cit. , IV, tomo 2 bis, doc. 20, nota l . Lloyd George commentò: «La conseguenza fu che noi non siamo mai giunti in vista di Ostenda, e non arrivammo in Italia se oon in novembre, per appoggiare l'esercito italiano messo in rotta dalle divisioni tedesche 'demoralizzate ed esaurite', che erano state portate via da Passchendaele, dove noi non andavamo né avanti né indietro perché i nostri piedi si erano sprofondati nel fango fiammingo;, (D. LWYD GEORGE, Memorie di guerra cit. il, p. 430).


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mazione difensiva bene organizzata, come dimostrato da tre anni d i guerra. Inoltre, la sperequazione de!Je forze sarebbe dinùnuita se, l'Italia, alle prese con appena una quarantina di divisioni austriache, avesse mandato in Francia un'aliquota delle sue riserve. Sul fronte italiano si poteva prevedere un fortissimo sforzo congiunto austro-tedesco, pronto a scattare verso la metà di maggio 19 1.8, ma a quell'epoca l'esercito italiano avrebbe opposto all'offensiva da 80 a 90 divisioni e perciò sarebbe stato in grado di respingerla con i propri mezzi o con un robusto concorso alleato 1• Quanto al fronte macedone, pur apparendo probabile l'intenzione degli Imperi Centrali di elinùnar!o, si preferì rimandaJe lo studio del prob!cma a tempo debito, essendo in relazione alla decisione di privilegiare in modo assoluto il fronte occidentale. La conferenza navale si incentrò sulla disponibilità del tonnellaggio, sia per i rifornimenti agli alleati sia per il trasporto dell'annata americana. In sintesi, fino all'ottobre 1918 era calcolabile un periodo se non di crisi, quanto meno di strello razionamento; dal novembre e con l'aiuto americano la situazione sarebbe nùgliorata e le perdite dovute alla guerra sottomarina compensate dalle nuove costruzioni navali 1•

* * * L A CONFERENZA DI LONDRA

Il 7-8 agosto, mentre le armate britanniche 5• (gen. Gough) e 2• (gcn. Plumer), con l' ausilio della 1° armata francese (gcn. Anthoine), stavano attaccando nel settore di Ypres su un fronte di 24 chilometri, si svolse a Londra una nuova conferenza interalleata. Per l'Italia patteciparono Sonnino 3 ed il generale Al-

1 Il Bencivenga, presente alla conferenza, ha ricordato: «ebbi la sensazione che ognuno ostentasse 1111 ot1imisrno che non sentiva. Solo sincero fo il generale Cadorna colla sua coraggiosa affer· mai ione che /'Italia avrebbe potuto f<ir frome colle sole me forze a 111110 l'esercito austriaco nel 1918, dato che in tale anno l'Italia avrebbe potuto disporre da 80 a 90 divisioni (a Ire reggimenti)!» (R. BENCIVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 184). Non ci sentiamo di condividere il suo commento, posto che Cadorna aveva sempre manifestalo la preoccupazione di vedersi arrivare addosso l'intero esercito austriaco, giuslilicando appunto con tale evemuaUtà la richiesta del concorso alleato. E sempre aveva programmato le sue offensive con lo scopo di raggiungere posizioni che gli dessero la sicurezza di poter resistere ad una potellle controffensiva. oltre che costituire base di panenza per un successivo sforzo. > CCSM, Relazione ufficiale cit., 1V, tomo 2 bis, doc. 20 cit. ' L'8 agosto il generale Giardino. ministro della Guerra, si sfogò con il colonnello Gani: «(...) gli duole- annotò Gaui - che tutto il ministero sia una massa di ombre! Per avere un' idea della ~ua forza, basti dire che Cadorna e Sonnino sono andati al convegno di Parig i senza che il consiglio dei ministri avesse detto loro che cosa dovevano dire. sicché hanno lranato di testa loro; e che Soruùno è a Londra, senza che nessuno dei ministri (all'infuori di Boselli) sappia che cosa combù1a» (A. 0 1\'rTI, Caporeuo cit., p. 163).

• I


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bricci, in rappresentanza di Cadorna, impegnatissimo negli ultirni ritocchi alla preparazione del l' 11° battaglia. Sonnino riprese la questione della collaborazione alleata ali' imminente offensiva italiana. Pur rendendosi pienamente conto delle esigenze anglo-francesi connesse con lo sforzo in corso, rappresentò la fondatissima probabilità del pericolo che l'azione italiana fosse, ad un ce1to punto, costretta ad arrestarsi perché non più adeguatamente SOffetta dal fuoco dell'artiglieria. Il generale Albricci scese nei pruticolari. In breve, la nostra offensiva sarebbe cominciata verso il 15 od il 20 del mese. Dopo di essa, il cui costo in termini di sangue e di munizioni sarebbe stato sicuramente altissimo, il Comando Supremo non riteneva realistico pensare ad una successiva operazione sul Carso prima della primavera del 1918, essendo necessruio evitare in modo assoluto sfavorevoli condizioni meteorologiche. Ora, se il concorso alleato già prospeuato nella conferenza di Parigi non risultasse fornibile sino alla citata primavera, il Comando Supremo - pur gratissimo per l'ausilio già dato in artiglierie - chiedeva per L'esigenza attuale un ulteriore e più consistente aiuto di 12-14 batterie inglesi da 152 con molte munizioni, nell'interesse comune dell'alleanza 1• Molto giustamente Bencivenga ba posto in evidenza un equivoco sorto più di una volta nei colloqui, vale a dire il confondere, nel calore della discussione o per un diverso riferimento mentale, le due distinte modalità del concorso a nostro favore. L' una, quella ritenuta valida ai fiiù della risoluzione del conflitto, era costituita dalla partecipazione massiccia di un certo numero di divisioni (prima 8 poi 10) e di artiglierie di grosso calibro (prima 300 e poi 400 bocche da fuoco); l'altra, intesa semplicemente a colmare le deficienze italiane in artiglierie e munizioni, dal rinforzo di 200-300 pezzi con un migliaio di colpi ciascuno. Possiamo anche aggiungere L'uso molto disinvolto dell'espressione «offensiva decisiva», quando, a ben vedere, l'operazione non andava oltre i limiti della grande tattica. Secondo Lloyd George, l'intervento del generale Foch a sostegno dell 'idea di un vigoroso urto sul Carso per raggiungere Trieste e, forse, riuscire a convincerei' Austria alla pace separata, sembrava aver sbloccato la situazione, ma «quando si vide che gli alleati erano seriamente disposti a considerare un'offensiva combinata in Italia, lo Stato Maggiore italiano cominciò a tirarsi indietro e ad esitru·e)). E quando il generale Albricci spiegò che l'offensiva italiana, se non lanciata entro la fine di agosto, sarebbe slittata più o meno alla metà maggio I 918, «questa risposta, naturalmente, fece abbandonare ogni idea di un attacco combinato contro l'Austria» 2 • Il rimprovero di Lloyd George suona strano, ricordando come nella conferenza di Parigi l'ostinazione del generale Robertson - prima Ostenda e poi l' Lta-

1 CCSM, Relazione ufficiale cii., lV, tomo 2 bis, doc. 23. ' D. LLOYD GEORGE, Memorie di gtterm cii., Il, pp. 432-433.


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lia! - avesse fatto scartare qualsiasi previsione di un'offensiva combinata in Italia per quell'anno, né appariva credibile che il generale Haig fosse disposto ad interrompere la sua offe nsiva per trasferire truppe e mezzi sull'Isonzo. E, d'altro canto, non si poteva tenere la macchina offensiva italiana, già pronta, in un' attesa indefinita, considerando anche il fatto che il trasporto di divisioni e materiali dalla Francia ali' Italia e Lo schieramento sull' Isonzo avrebbero compo1tato una spesa di tempo non inferiore alle quattro-sei settimane. Quanto poi alle opinioni di Foche di Robertson, esse non sembrano riportate con esattezza da Lloyd George. I due generalj si appartarono per esaminare, su richiesta di Sonnino, quante batterie potessero trasferire sul fronte italiano per l'impiego nel prossimo settembre. Dopo aver richiamato e riconfermato le conclusioni della conferenza di Parigi, Foch dichiarò esser troppo tardi per modificare i piani accettati per il 1917, e Robertson, non soltanto si mostrò dello stesso avviso, ma rilevò l'impossibilità di prevedere quando l'offensiva anglo-francese in corso sarebbe terminata anche secondo il generale Haig potevano passare «parecchie settimane» prima di raggiungere l'obiettivo principale (la 3• battaglia di Ypres andrà avanti sino a novembre con risultati sconsolanti). In sostanza, visto il promettente inizio dell'offensiva in Fiandra, questa doveva continuare in conformità ai piani; quindi le armate in azione non potevano cedere alcunché all'Italia'. Cadoma volle allora che il generale Albricci ponesse bene in chiaro la materiale impossibilità italiana di attuare una seconda offensiva in autunno, occorrendo non meno di quattro mesi per ricostituire le dotazioni di munizioni delle 5 mila bocche da fuoco, e non consentendo, la nostra disponibilità di complemenLi, due successive operazioni in grande stile a breve distanza una dall'altra. E altresì spiegasse che, volendo attendere per utilizzare le batterie aUeate, e arrunesso che queste fossero fornite il 1° settembre, l'offensiva sarebbe iniziata ad ottobre avanzato, vale a dire in una stagione infelice, e per giunta quando, «spentasi la lotta sul fronte orientale e forse anche su quello occidentale», il nemico avrebbe avuto libera disponibilità delle sue riserve 2• La conferenza si chiuse con la decisione dei rappresentanti dei tre governi di invitare gli Alti Comandi a consultarsi sulle operazioni da compiere per colpire l'Austria; indicare dove poter ottenere successi sostanziali inverno durante; studiare come provvedere ad inviare cannoni pesanti all'esercito italiano, traendoli dalle disponibilità esistenti o dalla nuova produzione; e far conoscere il risultato delle loro consultazioni. La prossima conferenza era prevista a Parigi fra il 1O ed il 15 senembre 3 •

' CCSM, Relazione uj]ìciate cii.. ' Ibidem, doc. 26. 1 Ibidem, doc. 22.

rv, tomo 2 bis, doc. 24.


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Il finale di queste discussioni sulla cooperazione degli alleati è costituito dalla lettera che Robertson scrisse a Cadorna il 17 agosto, all'insaputa di Lloyd George, e di cui questi venne a conoscenza molto più tardi. «La comunicazione - commentò il Premier nelle sue memorie - è così tipica del suo atteggiamento generale che vale la pena di riprodurla» 1• Ci limiteremo ad osservare che Robertson esponeva il suo pensiero sui punti per i quali i rappresentanti dei governi desideravano risposta per metà settembre. E, in uno stile assai forbito, «troncava nettamente - per cfufa con Lloyd George- le deboli speranze che Cadoma ancora aveva di ricevere un efficace aiuto, in uomini e cannoni, dall'esercito inglese» 2 • Cominciava con il riconoscere che per eliminare l'Austria occorreva portare il colpo dal fronte italiano. Però si imponevano due condizioni: che la Russia, rimessa in efficienza, riuscisse a trattenere le divisioni austriache in Galizia, e che la Germania, attaccata sul fronte occidentale, non fosse in grado di inviare rinforzi all'Austria in Italia. «Se le due condizioni suddette non vengono soddisfatte, non pare che, per ora, sia possibile portare un colpo decisivo all'Austria». Poi accennò all'epoca utile per iniziare l'offensiva contro la Duplice Monarchia e, francamente, si resta perplessi davanti al seguente ragionamento: «(...) Vostrn Eccellenza, solo, è in grado di decidere ed io sarei grato di sentire se Vostra Eccellenza abbia, in qualsiasi modo, modificato le vedute espresse alla conferenza di Parigi il giorno 24 luglio 1917 [se, cioè, acconsenta a rimandare l'offensiva od a sferrarne poi una successiva1, In relazione con questo io non posso predire quando le.operazioni, ora in corso in Fiandra, possano terminare, ma continueranno certamente per mùlle settimane ancora e, finché non ne sia conosciuto il risultato e finché lo sviluppo della situazione sulla fronte russa non possa essere meglio prevista, non sarà possibile per me il dire se sarà o non sarà consigliabile trasferire trnppe o artiglierie da quel teatro alla fronte italiana, né quando un tale trasferimento, se consigliabile, possa essere iniziato,>.

È perfino difficile formulare un giudizio su un discorso del genere. Robcrtson continuò. Circa l'eventuale prestito o cessione di cannoni, assicurò che: «( ... ) non vi è possibilità, per ora, di dire quante batterie possano essere dispo1ùbili e nemmeno se, di fatti, possano essere mandate. In quanto alla possibilità di fornire a Vostra Ecce!lenw cannoni dei nuovi stocks, sto facendo indagini presso il Ministero delle Munizioni britannico (...), ma Vostra Eccellenza sa che anche questo dipende dai bisogni delle Annate britanniche in Francia, che, alla loro volta, dipendono dallo sviluppo delle operazioni in corso» ' .

Cadorna rispose, prendendo atto di quanto comunicatogli e ribadendo che per un'offensiva alleata indicava il maggio 1918, «nella considerazione che le

Memorie di guerra cil., IT, p. 435. Lloyd George commentò anche: «Cadorna stava per lanciare un altro attacco; non era questa una lettera stimolante da m,1ndare ad un generale alla vigilia della battaglia» (ibidem, II, p. 437). ' CCSM, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 29. ' D. LLOYD GEORGE,

1


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nostre offensive, tuttora in pieno sviluppo nelle 1ispettive fronti, non consentono ce1to di intraprendere un altro e più arduo offensivo entro l'aimo corrente» '. Anche Foch scdsse a Cadoma. Fu favorevole e concreto. Non nascose che tutto sarebbe dipeso dagli avvenimenti invernali e dall'approvazione dei governi, comunque prospettò quelle che, a suo avviso, potevano rappresentare le basi per la realizzazione dell'offensiva alleata in Italia: - due annate distinte (una inglese ed una francese) agli ordini di Cadoma, ciascuna con 200 pezzi di grosso calibro ed un proprio settore d'azione; - un tratto di fronte unico franco-inglese, data l'onnai acquisita abitudine ad agire in collegamento, sulla destra della 3• annata, per evitare la zona montana, alla quale le truppe francesi ed inglesi non erano abituate; - trasferimento della massa alleata in Italia nel più breve tempo ed il più tardi possibile per sfruttare il fattore sorpresa ' ·

Cadorna approvò pienamente questi concetti, con due sole osservazioni. GJj sembrava preferibile che le due armate alleate fossero sotto un comando unificato, francese o inglese, alle dipendenze del Comando Supremo. Inoltre, pensava di inserirle fra la 2• e la 3• armata 3. Si noti che Cadorna non parlò della costituzione cli un «gruppo d'armate alleato» e che, evidentemente, riservava ai franco-inglesi il goriziano.

4. L' 11• BATTAGLIA DELL'!SONZO La sospensione della 10• battaglia lasciava irrisolto il problema strategico che con essa si era sperato di concludere. Infatti, le posizioni raggiunte, di cui alcune ottime, quali basi di partenza per un'offensiva di grande rilievo non possedevano adeguato respiro e nemmeno completezza tattica; e quali perni su cui imbastire una solida difesa presentavano carenza di dominio e di profondità. Cadoma, che sempre aveva nutrito la preoccupazione di una «uscita in tempo» del nemico o di una controffensiva eia questo o quel settore, a maggior ragione temeva che il cedimento russo inducesse ed agevolasse uno sforzo violento da parte degli Imperi Centrali. Felice soluzione per Je due diverse esigenze operative appariva il raggiungimento dell'altopiano di Bainsizza Santo Spirito sino al Vallone di Chiapovano a nord 4, della linea Trstelj-Hennada a sud e del semicerchio collinoso ad odente di Gorizia al centro.

' Ibidem, doe . 31. ' Ibidem, doc. 30. ' Ibidem, doc. 32. ' 11 vasto altopiano compreso fra l'Isonzo, l' Idria cd il Chiapovano è diviso in due dal ton-ente Avscek. Quella setten trionale era nota come regione dei Lom, quella meridionale come altopiano della Bainsizza propriamente detto.


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La concezione del Comando Supremo per l' undicesima battaglia dell' Isonzo.

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Ciò premesso, le «Note sulle future possibilità operative», sottoposte dal colonnello Bencivenga all'approvazione di Cadorna il 26 maggio, contenevano gli elementi essenziali per gli studi relativi alla successiva offensiva, che sarà poi la 11 • battaglia dell'Isonzo o della Bainsizza. Esse stabil.ivano come obiettivi di attacco gli altipiani di Temova e della Bainsizza per la Zona di Gorizia e quello di Comen per la 3• armata. Due i fronti di attacco: Tolmino-San Gab1iele e Vippacco mare. Nell'anfiteatro goriziano avrebbe agito un complesso di forze autonomo a guisa di cerniera. La Zona di Gorizia poteva contare orientativamente su 18 divisioni e 850 pezzi di medio e grosso calibro; la 3° armata su 20 divisioni e 700 pezzi; il grnppo centrale su 4 divisioni e 150 pezzi. In riserva del Comando Supremo restavano 4 divisioni. A complemento di questi cenni, diremo che l'estensione della fronte sino a Tolmino derivava dall'intento di forzare l'Isonzo in massa nel tratto di Canale per attaccare il bordo nord-occidentale dell' altopiano della Bainsizza ', altopiano da considerarsi «obiettivo di transizione e come zona di manovra per facilitare la conquista dell'altopiano di Temova e consolidarne il possesso» l. Cadoma, dunque, si accinse alla 11 • battaglia per conseguire una situazione di tranquillità strategica che gli avrebbe permesso di prepararsi con calma alla grande offensiva del 1918. A prescindere dall'impegno assunto con gli alleati, a queste ragioni egli più tardi indicò due altri motivi: il desiderio di evittu-e che un periodo di completa inattività sino alla primavera successiva incidesse sullo spilito combattivo delle truppe e sulla resistenza morale del Paese; e la speranza che «vibrando nuovi e fotti colpi, il nemico sarebbe stato finalmente indotto a cedere» 3 • Non sembrano motivi molto convincenti. Se si può convenire sull'opportunità di migliorare la situazione quale si presentava al termine della 10• battaglia, è difficile riconoscere l'utilità di una nuova sanguinosa offensiva ai fini della combattività dei reparti e del morale interno; ed ancor meno valida appare la speranza che la battaglia in preparazione fosse tfùe da indurre l'avversario a cedere. Certo avrebbe procurato agli austriaci un ulteriore logoramento, ma nei recenti colloqui con gli alleati proprio Cadorna aveva ammonito che uno sforzo .isolato deII'Italia non avrebbe potuto offrire risultati di portata decisiva.

Il 28 maggio, con la decisione di chiudere la 1 battaglia, Cadoma diramò le direttive per il prossimo scontro, fornendo i dati sui quali il generale Capello ed il duca d'Aosta dovevano impostare i rispettivi progetti. I primi cli giugno, poi, precisò che la 2" armata poteva contare su 26 divisioni e mezzo più una di cavalleria, 2.366 pezzi e più di 900 bombarde; e Ja 3° armata su 18 divisioni, 1.200

' Cfr. R. BENCIVENGA, Saggio criiico sulla nostra giterra cit., IV, pp. 108-109. 'L. CADORNA, La guerra alla fronte italiana cit., II, pp. 78-79. Giustamente il Baj-Macario ha contestato la possibilità di sfruttare l'altopiano della Bainsizza quale zona di manovra quanto privo di acqua e di strade.


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pezzi e quasi 700 bombarde. Al Comando Supremo rimaneva una riserva di 6 divisioni e mezzo, più una divisione e mezzo dj cavalleria. La limitata entità di questa riserva fornì lo spunto a Cadoma per un'importante precisazione di natura strategica. Poiché le due armate risultavano separate territorialmente ed i loro obiettivi lontani l'uno dall'altro, aveva ritenuto opp01tuno «abbondare fino dal principio» nell' assegnazione delle forze alle annate, sì che le riserve necessarie e sufficienti.per l'alimentazione della battaglia fossero, per così dire, a pié d'opera. Le poche divisioni tenute alla mano dal Comando Supremo dovevano servire soltanto per fronteggiare eventi imprevisti. «Erano ( ...) due battaglie pressoché indipendenti, solo coordinate nel tempo. Conseguiva perciò la poca opportunità di costituire una riserva centrale molto forte ed organicamente riunita in una grossa e pesante armata» 1• Il discorso, in apparenza conseguenziale, era viziato in effetti da una premessa singolare, che alla lunga doveva rivelarsi pericolosa: l'accettazione di un'offensiva basata su due battaglie «pressoché indipendenti», il che equivaleva a lasciare ai due comandanti di armata una sostanziale autonomia nella condotta dell'azione, rompendone l'unitarietà. In realtà, Cadoma aveva in mente non solo di regolare nel tempo ed in base ai risultati l'avanzata delle due armate, ma anche di disporre eventuali travasi di forze sull ' una o sull'altra direttrice. In sostanza, con quel «pressoché» egli voleva sottintendere che l'indipendenza delle armate era solo apparente e comunque assai limitata, come più tardi i fatti si incaricarono di dimostrare, almeno per una di esse. Cadoma ha inoltre tenuto a sottolineare che la concezione operativa sulla quale poggiava la 11 •battagliasi discostava dal principio seguito in precedenza. Nelle offensive sino allora sferrate la lotta era stata iniziata con azioni dimostrative per attirare o bloccare l'attenzione e le riserve nemiche in settori diversi da quello investito dall' attacco principale; questa volta, invece, «la ingente disponibilità di artiglierie permise di estendere l'attacco contemporaneo ali' ampia fronte che si estendeva dal mare fino a sud di Tolinino» 2 e - ecco il concetto di fondo - «in tal guisa, se il nemico distribuiva unifom1emente le sue tmppe, a noi notevolmente inferiori, sull'ampio fronte, sarebbe stato debole ovunque; se invece fosse più forte in alcuni settori, sarebbe stato più debole in altri, ed ivi sarebbe stato più facile lo sfondamento», che le riserve d'annata e del Comando Supremo, dislocate «lungo tutta la fronte», avrebbero rapidamente ampliato 3 • La validità del proposito sembra piuttosto opinabile. Poteva reggere, in linea pmamente teorica, su un terreno piano, pressoché privo di fratture e di appi-

' Ibidem, Il, p. 85. Si raffronti questa affermazione con le richieste di artiglierie rivolte agb alleati a Parigi in luglio ed a Londra i primi di agosto. ' A strelto rigore le riserve del Comando Supremo non sarebbero dovute intervenire nello sfondamento, perché ipotecate per frooteggiare glj imprevisti. 2


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gli consistenti, ed in presenza di un dispositivo avversario di fresca sistemazione e non bene riconosciuto. Ma qui si aveva a che fare con un'organizzazione difensiva salda e da tempo individuata perché proprio noi, con le continue offensive, ne avevamo provocato il progressivo rafforzamento qualitativo, quantitativo ed in profondità. Il terreno era in generale collinoso e difficile, in più tratti rotto ed aspro, con vie tattiche sin troppo usate ed obiettivi anche troppo evidenti. Non c'era spazio, in altre parole, per uno spunto operativo nuovo, oiiginale, per un «colpo d'ala» risolutivo. Ma nemmeno si poteva pensare di delineare un qualsiasi progetto operativo prescindendo dalla schieramento nemico e ritenendo di riuscire ad individuare il settore debole da sfondru·e grazie ad un attacco generale. Il concetto di «premere dappertutto il nemico in modo che questi non sapesse dove precisamente mirare» era così radicato in Cadoma che il 17 settembre, passato alla difensiva, in un colloquio con .il colonnello Gatti, tenne a sottolineare che la battaglia della Bainsizza era stata impostata, sviluppata e vinta appunto sulla base di quell'intento 1• Resta il fatto, però, che il concetto, ribadito da Cadoma nelle sue memorie, non trova riscontro nelle direttive del 28 maggio. Al contrario alla 2• armata venne prescritto di non esercitare uniformemente lo sforzo offensivo sulla sua così ampia fronte e di distribuire e graduare nei vari tratti l'intensità di detto sforzo, ricorrendo ad azioni dimostrative e ad operazioni risolutive «con giusto riferimento alla funzione reciproca dei due obiettivi (Bainsizza e Ternova)» 2 • Quanto alla 3' am1ata - visto che essa si proponeva di «attaccare contemporaneamente e poderosamente su tutta la fronte per( ...) mantenerlo[= il nemico] inizialmente indeciso sulla fronte di sfondamento prescelta; gravitare con l'azione di sfondamento all'ala sud ed al centro», _ Cadorna intervenne per rimarcare: «anzitutto l'indeterminatezza del concetto operativo che oscilla fra due temùni contra<ldit.tori quali l'attacco contemporaneo e poderoso su tulta la fronte e la scelta preventiva di par,:iali fronti di sfondamento. L'intera fronte di attacco deve costituire fronte di sfondmnenro, giacché gli sfondamenti parziali conducono ad occupazioni isolate ed a portare avanti forze che possono facilmente essere avvolte ai fianchi( ...)» ·•.

Non basta. OccoJTe accennare anche ad una circolare diramata dal Comando Supremo il 15 giugno, concernente gli «Insegnamenti tratti dalle recenti ope-

1 A. Gxm, Caporetto cit., p. 236. Si badi che nell a circolare addesu-ativa I0005 del 17 giugno I916, ali' oggetto «Esperienze<legli ultinù combattimenti», Cadomaaffermava: «Nell'attacco la pressione unifom1e su ttllta la fronte non ha efficcia alcuna. Occorre sfondare le linee avversarie nei loro tratti pi ù deboli; le forze preponderino perciò in corrispondenza di questi» (CCSM, Relazione 1((ficia/e cit., VI. p. 270). 2 CCSM, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 2 bis, <loc. 148 cit. ' Ibidem., doe. 156. ·• Ibidem, doc. 157 (corsivo nostro).


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razioni sulla fronte carsico-goriziana». In merito all'attacco, il documento si esprimeva in questi tennini: « l . L'esperienia ha confennato la necessità di rinunciare alle manovra complicate, basate su combinazioni di attacchi parziali interdipendenti, su aggiramenti ecc.. Sulla fronte carsico-goriziana tali manovra non sono riuscite. È apparso invece chiaro che l'attacco, per avere probabilità di riuscita, dev 'essere sferrato violento e contemporaneo sull'inlerafro,ue prescelta, in guisa da scardinare ovunque le difese del nemico. Solo dopo ciò riesce possibile la manovra, che si esercita mediante l'impiego delle riserve ( ...)» '.

Non sembra che da quanto ripo1tato emerga un ben definito orientamento dottrinale di base, cui i dipendenti comandanti potessero e dovessero riferirsi per una conveniente disciplina delle intelligenze. D 'altronde, i comandanti delle due armate studiarono e cercarono di risolvere il rispettivo problema operativo sulla base dello schieramento austriaco, degli obiettivi da conquistare e di come raggiungerli. Inoltre, per conseguire uno sfondamento di portata strategica sarebbero occorse ben più ampie e minuziose predisposizioni ed in primo luogo l'esatta individuazione del tratto di fronte da rompere e da cui dilagare. Ma sappiamo che in realtà l' 11• battaglia fu considerata come la prosecuzione e la conclusione del!' opera iniziata con la 10• e che si proponeva semplicemente alcuni importanti risultati territoriali. Ultima osservazione. Le direttive del 18 maggio non furono seguite da altre disposizioni scritte per meglio curare la conservazione del segreto 2 • Anche questa misura appare discutibile, dato il li veli.o dei Comandi interessati. A parte il fatto che inevitabilmente circolarono molti documenti espliciti fra Comando Supremo e Comandi d'annata prima del 18 agosto, non bisogna dimenticare che l'ordine sc,ilto è chiara e doverosa assunzione di responsabilità e che costituisce il mezzo migliore per esprimere la volontà del comandante e per evitare improvvide iniziative di comandanti in sottordine nonché per ben delimitare i margini di autonomia eventualmente loro concessi.

* *

*

Il compito assegnato alla 2• annata si traduceva nella conquista dell'altopiano di Temova passando da quello della Bainsizza S. Spirito. Sul bordo occidentale cl.i quest'ultimo, costituito dall'allineamento montano Yrh-Kuk 711-Jelenik-Kobilek, correvano le trincee austriache che si allacciavano alle difese, più a sud, del monte Santo.

'ibidem, doc. 169 (corsivo nostro).

'L. CADORNA, La guerra alla fronte ilalian.a cii., li, p. 88.


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Il 2 giugno il generale Capello trasmise al Comando Supremo un promemoria con il quale esponeva i suoi intendimenti ' - Tre erano le azioni «risolutive» di primo tempo. La principale partiva dal massiccio del Vodice in due direzioni: l'una per raggiungere lo Jelenik in concorso con un'azione da Ajba e Canale; l'altra per arrivare alla sella di Dol, passando poi sui rovesci di monte Santo, con il concorso di un' attacco frontale dall'Isonzo. La seconda azione risolutiva era quella da Ajba. Una volta occupato il bordo dell'altopiano della Bainsizza, doveva proseguire d'intesa con l'azione dal Kobilek sino ad affacciarsi sul Vallone di Chiapovano. La terza azione si presentava senza molto risalto e quasi a se stante: attacco da Doblar verso i Lom di Tolmino e di Canale per la conquista del-Cukli Vrh e del Veliki Vrh. Sulla sinistra, più a nord, era previsto l'attacco alla testa di ponte di Tolmino (S. Maria e S. Lucia) «con forze e mezzi tali da potersi pottare a fondo non appena possibile». Ancora: in concomitanza con l'azione su monte Santo, doveva aver luogo un attacco al San Gabriele e poi la prosecuzione dello sforzo sull'altopiano di Ternova. Infine, un'azione autonoma ad oriente di Gorizia affidata all'VIII corpo, con valore essenzialmente impegnativo e comunque di collegamento con quelle della 3° annata. Da un confronto con le direttive di Cadorna non paiono riscontrarsi differenze di interpretazione nel promemoria del generale Capello. La mossa contro la testa di ponte di Tolmino poteva benissimo essere utile per impegnarvi forze austriache; l'avanzata verso i Lom di Tolmino e di Canale poteva considerarsi protezione della progressione sull'altopiano della Bainsizza; il raggiungimento dell'altopiano di Temova dalla sella di Dol, evidentemente se possibile, anziché dalla Bainsizza, non nuoceva in fondo aU' assolvimento del compito. Bencivenga ha individuato, a posteriori, nel promemoria di Capello il pensiero recondito di espugnare la testa di ponte di Tolmino. Qui sta, a suo parere, l'inizio di quell'equivoco «che non sarà chiaiito sino al 15 agosto, giorno nel quale il generale Capello esporrà in esteso il suo piano)> 2• Ed ha notato ancora, il Bencivenga, che ogni qual volta al Comando Supremo sorgeranno dubbi sulle reali intenzioni della 2• armata e da Cadorna verranno richiami all'osservanza delle direttive del 28 maggio, Capello sempre assicurerà di restare nella linea esposta con il promemoria del 2 giugno. Documento al cui riguardo Cadoma ebbe a scrivere: «Ho esaminato la Memoria di V.E. circa il progello della futura offensiva da sviluppare sulla fronte della 2' armata e nulla ho da obiettare circa le linee generali del disegno operativo prospettatomi( ...)» ' ·

' CCSM, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 154.

'R. BENC!VENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 203. ' CCSM, Relazione ufficiale cii., IV, tomo 2 bis, doc. 155.


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La 3• armata doveva occupare l'altopiano cli Comen, il che significava impadronirsi del Trstelj e dell 'Hemiada. Il 5 giugno il duca d'Aosta presentò il proprio progetto al Comando Supremo. Era semplice: con la sinistra premere contro il Trstelj, con la destra attaccare l'I-Ie1macla, con il centro rompere la cortina intermedia e concorrere alla conquista de.i due pilastri. Cioè, investimento dell'intero settore e gravitazione della «fronte cli sfondamento>> al centro ed a sud 1• Abbiamo visto i.rilievi concettuali formulati eia Cadoma in meiito 2• TI duca d' Aosta replicò che le espressioni usate non avevano reso perfettamente il suo pensiero I e dimostrando, ove ve ne fosse stato bisogno, che la terminologia militare dell'epoca purtroppo non era così precisa da evitare false interpretazioni. Ma più strano appare il comportamento di Cadorna. Avendo voluto, o almeno consentito, due battaglie pressoché indipendenti, sarebbe stato naturale lasciare carta bianca alle due armate, dopo aver fissato compito ed obiettivi ed assegnate le forze ritenute occorrenti, e previo controllo dell' esatta impostazione dei progetti delle annate stesse nello spirito e nella lettera delle direttive. Orbene, mentre per la 3" am1ata egli non soltanto si soffermò nella disamina critica delle direttrici di attacco dei corpi cl' armata, ma altresì entrò nel meiito della composizione delle forze, della densità della 1• schiera, della 1ipartizione delle riserve cli corpo d'armata e d'armata " - così interferendo pesantemente nella sfera d'azione del sottordine - per la 2• annata, la cui offensiva si snodava attraverso «una combinazione di attacchi parziali interdipendenti» - procedimento in aperto contrasto con la perentoiia circolare del 15 giugno-, nulla trovò da ridire e l'approvazione fu immediata. A fine giugno Capello ebbe un ripensamento sulla disponibilità di bocche da fuoco di medio e grosso calibro, e chiese un congruo aumento di pezzi rispetto all'assegnazione iniziale. Davanti alle obiezioni del Comando Supremo, prospettò allora la convenienza-necessità cli «li1nitare le operazioni della 2° m111ata al tratto Jelenik-Vippacco», qualora non avesse ricevuto altri 400 pezzi, oltre i 1000 già stabiliti 5, Iinunciando quindi all'azione da Dobar ed a quella contrn la testa di ponte di Tolmino. Ora, il mancato impegno a fondo delle forze austriache a nord ciel torrente Avscek avrebbe, con ogni probabilità, compromesso seriamente la penetrazione da Ajba-Canale verso la Bainsizza, e questo era indispensabile per la conquista del Kobilek. Cadorna perciò risolse di fare uno strappo a quanto già fissato. Alle 616 bocche da fuoco di medio e grosso calibro di cui disponeva la 2° armata, ai 436 pezzi in arrivo dalle altre armate, più quattro batteiie di nuova costituzione previste entro il mese di luglio, aggiunse altri 250

' Ibidem, doc . 156. ' Ibidem, doc. 157 cit. '' Ibidem, doc . 158. ' Ibidem, d(lc. 157 cit. ' R. BE:-ICIVEN<iA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 204.


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pezzi. Inoltre c'erano 1.000 bombarde, delle quali oltre metà di grosso calibro. «Ciò - precisò il 9 luglio - rappresenta l'estremo limite dello sforzo a cui, senza il concorso degli alleati io potrò giungere, ove V.E. mi dichiari che con tali mezzi ampliati avrà quanto occorre per l'attuazione piena dell'operazione, secondo le mie direttive fondamentali» 1• Capello rispose l' 11 luglio di ritenere «assicurata la possibilità di attuare senza, alcuna limitazione il progetto d'operazione comunicato con la lettera 1891 del 2 giugno u.s.». E, concluse dicendo che neU'eventualità di un ulteriore rinforzo di batterie pesanti, queste avrebbero trovato «utilissimo impiego per rinforzare l'azione a nord dello Jelenik, dove è mio intendimento esercitare inizialmente il massimo sforzo per produrre la disorganizzazione della difesa nemica dell'altipiano di Bainsizza e facilitare il conseguimento degli obiettivi che mi prefiggo di raggiungere sull'altipiano di Temeva» 2• A quanto pare nella segreteria del capo di Stato Maggiore la lettura di questa formulazione suscitò non poche perplessità. Che cosa si intendeva con il «massimo sforzo»? e se per «nord dello Jelenik» ci si riferiva al nord del torrente Avscek, quale rapporto esisteva con le difese nemiche della Bainsizza? Bencivenga scrisse: «Il generale Cadorna non ritenne necessario approfondire le due questioni; egli non intendeva intervenire nel campo cl' azione del comandante del1' armata ( ...)» 3• È senz'altro ipotizzabile una certa sua «soggezione» nei confronti dell'impetuoso Capello, ma è anche probabile che, molto più semplicemente, egli non trovasse vaLide obiezioni da sollevare all'opera del suo dipendente. Il 24 luglio, mentre Cadorna partiva per partecipare alla, conferenza interalleata di Parigi, il Comando 2° armata inviò al Comando Supremo, per conoscenza, l'elenco degli obiettivi stabiliti per i corpi d'armata, nei tre tempi in cui aveva articolato lo sviluppo della prossima battaglia. In sostanza, il primo tempo concerneva la conquista dei Lom di Tolmino e di Canale, l'affermazione sulle posizion.i occidentali dell'altopiano della Bainsizza e la conquista ciel Kobilek-monte Santo; il secondo tempo comprendeva l'eliminazione della testa di ponte ausu"iaca cli Tolmino, costituzione di una nostra testa di ponte ad 01iente di Tolmino, l'occupazione dell'altopiano di Bainsizza e la conquista del San Gabriele; iI terzo tempo riguardava l'avanzata verso il Vallone di Chiapovano e I' altopiano di Ternova ". In altri termini, nel disegno operativo di Capello era inclusa la conquista della testa di ponte nemica e la costituzione di una testa di ponte

'CCSM, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 220. In questi dati erano compresi almeno 150 pezzi e 300 bombarde per il gruppo autonomo di Gorizia. ' Ibidem, doc. 22.1. I nuovi arrivi di artiglieria alleate (6 batterie inglesi da I52 e dieci pezzi francesi di grosso calibro) furono assegnati alla 3' armata (ibidem, doc. 185). ·' E. B ENCIVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., fV, p. 205. ' CCSM, Relazione ufficiale c it., IV, tomo 2 bis, doc. 224.


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a nostro favore ad oriente della linea fluviale Tolrninski-lsonzo-Idria, il tutto con precedenza sull' occupazione dell'obiettivo di Temova. Il documento venne subito spedito a Parigi, dove, a quanto sembra di capire, venne guardato con diverso occhio da Cadorna e dal colonnello Bencivenga. Quest'ultimo giudicò pericolosa l'arbitraria azione contro ed oltre Tolrnino, e grave la mancata manovra dalla Bainsizza su Ternova, mentre .il capo di Stato Maggiore, tutto so1runato, non reputò i tempi e gli obiettivi stabiliti dalla 2• m·mata in contrasto con le proprie direttive 1• Difatti il 1° agosto, appena rientrato ad Udine, tenne rapporto ai due comandanti d'annata ed in questa sede non risulta abbia fo1mulato rilievi né vincoli ai propositi di Capello. Invece al duca d'Aosta prescrisse che «la seconda fase della prossima offensiva( ... ) debba considerarsi come un'operazione a sé, da intraprendersi solo dietro mio ordine», a meno che circostanze particolarmente favorevoli non suggerissero di sfruttare il successo. L'accenno a questa «seconda fase» era una novità e doveva ritenersi connessa non tanto con gli sviluppi dell'operazione complessiva, quanto con le necessità tecniche imposte da un'avanzata sul Carso: «Conseguentemente occorre che gl i obiettivi della I• fase siano non intermedi o d i transizione, ma tali da poter, all'occorrenza, diventare definitivi, e che la fase stessa sia condotta e sviluppata tenendo presente l'eventualità che, per cause che mi riservo di vagliare, si debba rinunciare alla 2" fase»'·

Non si spiega la palese intenzione di tenere a redini co1te la 3• armata in confronto alla, diciamolo pure, discrezionalità concessa alla 2• armata. Forse maggiori dubbi sul successo della prima? O piuttosto il velato proposito di regolare l'andamento della battagli.a sulla progressione della seconda? Non sappiamo. Il 2 agosto Cadorna ripartì per una ispezione nel Cadore. Per quanto un paio di settimane prima avesse avvertito i comandanti delle due annate che, secondo accordi presi con gli alleati, «in deteiminate eventualità strategiche» l'offensiva doveva iniziare il 15 agosto 3, nessuna preoccupazione sembrava sfiorare la sua mente. Sembrava quasi si apprestasse al giro di ispezione, come ad un periodo di riposo 4. In compenso era la sua segreteria ad agitarsi e, certo su incarico del

' Il Bencivenga si espresse in questi termini: «Il generale Cadorna, preso dai lavori della conferenza, non poté dedicare molto tempo all'esame del documento, riser vandosi di studiarlo meglio ad Udù1e; manifestò tuttavia l' avviso che, se le disposizioni del generale Capello fossero veramente state in contrasto colle direttive del Comando Supremo, la cosa saJebbe stata rilevata dalla segrete1ia del C.S. in Udine» (R. BENCfVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., lV, p . 208). È chiaro che un simile discorso non persuade! 2 CCSM, Relazione ufficiale cit., !V, tomo 2 bis, doc. 190. L'ordine è impartito al solo comandante della 3' armata. ' Ibidem, doc. 183. ' Appena arrivato a Lorenzago, Cadorna scrisse all a figl ia Carla:<<( . .. ) Domani comincerò i giri iniziando da Cortina d'Ampezzo. Ho con me la mia fedele compagnia, Bencivenga, Pintore Cavallero( .. .). Ho poi la beatitudine di non essere seccato perché fin qui non ani va nessuno, mentre a Udine è una processione continua di persone moleste!» (L. C.WORNA, Lettere famigliari c it., p. 212).


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colonnello Bencivenga, chiese al Comando della 2" annata copia dell'ordine d ' operazioni per controllare se le disposizioni esecutive confennassero la supposta deformazione della concezione del Comando Supremo. A questo punto si ebbe un'.illmninante dimostrazione dell'infelice organizzazione di comando al vertice. A Udine erano rimasti alcnni e meno qualificati ufficiali della segreteria, più che sufficienti alla bisogna se, in assenza di Cadoma, le redini fossero state tenute dal sottocapo di Stato Maggiore, con una vera e prop1ia funzione vicaria. Ma la segreteria era insieme il «cuore» ed il «cervello» del Comando Supremo, non aveva «sostituti» ed i suoi principali esponenti (la «fedele compagnia») erano con il capo in Cadore. I Comandi in sottordine percepivano nettamente la assenza cli referenti responsabili in loco, tanto che, con comodo, «solo il 7 agosto il capo cli Stato .Maggiore della 2• armata rispose alla richiesta [della segreteria], spiegando che un ordine d ' operazione vero e proprio non era stato compilato, perché i I comandante deU' annata aveva dato istruzioni particolari a.i singoli corpi cl' armata; e che, ad ogni modo, potevano bastare al C.S. i documenti trasmessi (e cioè il Promemoria del 5 giugno, ed il dispositivo ciel 24 luglio) e quello accluso a detta risposta, dove erano disegnate le zone di inuzione delle fanterie» 1• Dopo reiterate insistenze, e solo quando fu certo del rientro di Cadorna a Udine, il generale Capello presentò un «Promemoria riflettente le prossime operazioni» datato 15 agosto! 2• Il documento, molto dettagliato, illustrava il concetto d'azione, le principali modalità esecutive, l'impiego delle artiglierie e la dislocazione delle 1iserve. Gli elementi indicati in precedenza (tempi ed obiettivi) erano confermati e convenientemente inseriti in un quadro armonico. In sintesi il primo tempo comprendeva: - un'azione principale condotta dai corpi XXVll, XX!V e li per l'affermazione sulla sinistra dell'Isonzo fra l'Idria e l' Avscek (XXVJT corpo), sul bordo occidentale dell 'altopiano di .Bainsizza S. Spi ri to (XXIV corpo) e sul Kobi!ek-monte Santo (Il corpo), con gravitazione dello sforzo a nord; - due azioni secondarie per la conquista del Mrzli a nord (IV corpo) e di Grazig:na a sud (Vl corpo); - azioni dimostrative s ui rimanen ti Lratli delle fronti del lV e del Vl corpo.

Il secondo tempo prevedeva: la prosecuzione del l'azione principale per il raggiungimento del Tohninski (IV corpo); l'eliininazione della testa di ponte di Tolmino ed una conveniente espansione a sud di Canale (XXVII corpo); l'occupazione dell'altopiano della Bainsizza (XXIV e II corpo); la conquista ciel San Gabriele (VI corpo). n terzo tempo, da sviluppa.re secondo le circostanze, mirava ad acquisire il completo controllo della depressione Idria-Chiapovano ed alla conquista del-

R.BENCIVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 209. ' CCSM, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 228.

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l'altopiano di Temova. Mentre si confermava la gravitazione delle forze sulla sinistra (XXVII e XXJV corpo), cioè nella direzione «strategicamente più opportuna per le ripercussioni sulla testa di ponte di Tolmino e per le minacce che esercita sulla valle del Chiapovano», si ammetteva l' eventualità di non riuscire a forzare l'Isonzo e, per contro, la possibilità di un inatteso più favorevole successo del II corpo. «Allora - chiariva il promemoria - converrà manovrare eia questo lato, estendendo man mano l'azione per dilatamento e per manovra, verso il fronte del XXIV e XXVIl corpo». Insomma, meglio orientatosi dopo il primo tempo, Capello si riservava di regolare la battaglia in base alle circostanze «per poter sfruttare il successo ovunque esso si manifesti». Il disegno, dunque, a prima vista appmiva conforme al pensiero di Cadorna: attaccare ovunque e penetrare laddove si creasse la breccia. A ben guardare, invece, esistevano almeno due punti che «potevano» far pensare ad una distorsione sostanziale ciel concetto strategico del Comando Supremo. Uno era costituito dall' esplicito proposito di eliminare la testa di ponte di Tolmino e dagli sviluppi più o meno inevitabili di tale azione, il che rischiava di spostare l'impegno dell'armata verso nord a danno dell'obiettivo principale assegnatole (Ternova). Il secondo, dal fatto che l'interpretazione estensiva dell'indipendenza fra le due battaglie, accettata dal Comando Supremo, portava al rischio della perdita del collegamento nel Goriziano e di una evoluzione verso lo slegamento totale, con problemi per l'impiego delle riserve, giacché in siffatta evenienza le divisioni in mano al Comando Supremo sarebbero state utilizzate subito in questo settore e non, come aveva stabilito Cadoma, per fronteggiare «imprevisti». Il Comando Supremo ricevette il promemoria troppo tardi, quando, anche volendo, non sarebbe stato più in grado di intervenire. La preparazione d'artiglieria ebbe inizio nel pomeriggio del 17 agosto nel settore della 2• m1nata ed ali' alba del 18 in quello della 3• armata. Nulla però sembra provare che Cadorna abbia avuto il desiderio di introdurre modifiche nel disegno d.i Capello. Anzi, il suo atteggiamento era sempre stato di approvazione. E, a proposito della testa di ponte di Tolmino, che tanto impensieriva il colonnello Bencivenga, egli nelle sue memorie scriverà che la struttura, «difficile ad attaccare frontalmente, sarebbe caduta quando noi avessimo conquistato l'altopiano dei Lom che ci avrebbe consentito di isolarlo e di batterlo a rovescio» '. Quindi la pensava come Capello. Il duca cl' Aosta impostò la battaglia della 3" armata su un attacco generale fra il Vippacco ed il mm·e per «impadronirmi dell'attuale sistemazione austriaca che ha per capisaldi l'Hennada, la regione Stol-Trstelj ed il San Marco». Quest'ultimo era assegnato come obiettivo all' VUT corpo d'armata, inizialmente alle dipendenze della 3• armata. In relazione alle disposizionj del Comando Su-

' L. CADORNA, La guerra alla fronte iwliana cit., II, p. 77.


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premo l'offensiva era ,uticolata in due fasi. La prima si riprometteva di conquistare «almeno la linea degli obiettivi intermedi, corrispondente ali' incirca alla seconda fascia dei trinceramenti nemici». La seconda, da avviare dopo il ripristino delle forze e lo spostamento delle rutiglierie, doveva raggiungere gli obiettivi più avanzati. Valeva il principio che, in caso favorevole, la linea degli obiettiv.i intermedi potesse essere superata «fino al limite oltre il quale può risultare compromessa la possibilità del collegamento con le unità laterali». L'artiglieria doveva «spazzare la via» alla fanteria sull'intera fronte di attacco ed accompagnare metodicamente l'avanzata dei reparti 1• * * * Il Comando Supremo austro-ungarico non era rimasto inattivo nel considerare gli avvenimenti sul fronte dell'Isonzo. Aveva, anzi, subito divisato di riprendere il Kuk 611 ed il Vodice, ma ne era stato dissuaso dal Boroevié, il quale dichiarò di non sentirsi in condizione di mettere in atto un'offensiva del genere 2• Per contro, riteneva di poter contenere, senza molti timori un nuovo sforzo italiano sul Carso, nonché le possibile azioni minori nel settore di Tolmino e dalla grande testa di ponte di Plava. In proposito, pur prevedendo di essere investito con violenza sul medio Isonzo, attribuiva a tale mossa intento semplicemente diversivo. L'urto determinante, disse il Pitreich, era atteso sul Carso come in maggio 3• Per questo motivo tre divisioni della riserva rimasero dislocate a nord di Trieste ed una sola a Temova (una quarta era in riordino verso Lubiana). Il lavoro per sostenere una dura lotta suUa Bainsizza era stato febbrile, dovendo allestire convenientemente una posizione cli circa 25 chilometri in ristrettissimi termini di tempo. In agosto l' organizzazione difensiva austriaca era ormai di tutto rispetto e, grazie all' intesa ricognizione aerea, ben conosciuta ai nostri Comandi 4 • A nord, la pericolosissima testa di ponte cli Tolmino con ai lati i baluardi del Mrzli e della .regione dei Lom; al centro l'altopiano della Bainsizza e poi l'anfiteatro goriziano; a sud, il Carso. Il settore fra monte Nero e I' Avscek era affidato all'XI corpo (gen. von Scotti), costituito di truppe da montagna. Comprendeva la testa di ponte di Tolmino e la regione dei Lom. La difesa della prima linea a Tolmino poggiava su

' CCSM, Re/,izione idficiale cit., lV tomo 2 bis, doc. 250. ' Fu in questo periodo che, dopo aver abbandonato il proposito di una nuova offensiva dal Trentino per le gravi difficoltà logistiche e per la necessità di dover attendere la stagione favorevole, il Comando austro-ungarico cominciò ad esaminare la possibilità di uno sfondamento nella regione Tolrn.ino-Plezzo. 1 G. BA.i-MACA RIO, Kuk-Vodice-Montesanto cit., p. 124. ·• CCSM, Relazione i({ficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 264 e 265 della 2• annata; doc. 266 della 3• annata.


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due tùlineamenti di robusti capisaldi impiantati sulle al.ture dominanti - con l' antemurale delle posizioni cli S. Maria e S. Lucia - e sugli sbanamenti degli accessi alla piana di Tolmino. La prima linea, impedendo l'attacco diretto a quella arretrata, concorreva ad aument.u11e la robustezza, tagliava a mezza costa il pendio dei capisaldi di monte Nero, Sleme, Mrzli e Vodil, era protetta da due o tre ordini di reticolati e disponeva di numerose caverne. La seconda linea, più poderosa, assolveva la vera funzione della testa di ponte: il mantenimento delle comunicazioni fra il medio Isonzo e l'interno del paese (valle della Sava, conche di Krainburg e di Lubiana), nonché, attraverso l'arroccamento del Vallone di Chiapovano, la continuità difensiva sino al Vippacco. La regione dei Lom possedeva tre linee di trincee: una bassa, lungo la 1iva sinistra Uell'lsonzo, in gran parte difettosa; una alta, corrente in vetta, ed una intermedia, entrambe parzialmente incomplete e di scarso valore impeditivo. 1n complesso rappresentava il tratto più delicato del fronte, peraltro si avvautaggiava del fatto di trovarsi quasi a strapiombo sull' Isonzo. Le funzioni tattiche dell'altopiano della Bainsizza consistevano nella difesa del Vallone di Chiapovano e, nel contempo, nella protezione da sud della regione dei Lom e da nord delle alture orientali di Gorizia. La linea principale di difesa, verso l'Isonzo, si basava anch' essa su un triplice ordine di u'inceramenti e si imperniava sullo Jelenik. A tergo, due linee trasversali e radiali tagliavano l'altopiano. L'una (Jelenik-Oscedrik-Leupa) sbarrava l'accesso a Bainsizza S. Spirito anche dopo il forzamento del solco cieli' Avscek, e l'altra (Jelenik-SlemoMadoni) mirava ad arrestare un'irruzione dopo la caduta del Kobilek. Lo Jelenik, dunque, era il pilastro della difesa. Seguiva la zona collinosa ad oriente di Gorizia difesa dal XVI corpo austroungarico (geu. Kralicck). In questo tratto la sistemazione difens iva era caratterizzata eia una fascia fortificata consistente in un groviglio di trincee successive, intersecate da cam.rn.inamenti. I punti di appoggio erano fomiti dai capisaldi del San Gabriele, dal San Daniele e dal San Marco. Sul Carso era schierato il grnppo Wurm, con il VII corpo (gen. Schariczer) ed il XXIII corpo (gen. Csicserics). Vi si succedevano quattro sistern.i difensivi, nessuno dei quali completo: Fajti-Kostanjevica-Flondar-Duino (n. 1); Ranziano-Krapenca-Hennada-Duino (n. 2); Mandria-Trijesnek-Temnica-Vojscica-Sistiana (n. 3); Gradiscutta-S. Ambrogio-Mavhinje (n. 4). Solamente il primo possedeva i nom1ali tre ordirli di u'incee; il secondo ed il terzo erano costruiti appena per metà ecl il quarto risultava molto sommario. Nell'ambito di ognuno correvano numerosi Riegelstellungen (sbarramenti) tendenti a creare compartimenti stagni. La regolamentazione austriaca per la costruzione e difesa delle fortificazioni campali prescriveva una distanza di due-tre chilometri fra un sistema ed il seguente, ma la prossinlità del fronte all'obiettivo di Trieste aveva reso necessario ridurre .in modo drastico questa distanza.


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La segretezza attorno ali' offensiva, benché tanto ricercata dai nostri Comandi, non aveva potuto mascherare a lungo i giganteschi approntamenti. Il Pitreich asserì che «già al p1incipio dell' agosto i prepm·ativi avversa1i erano stati rilevati, a punto tale da dover calcolare da un giorno all'altro su un attacco». A suo avviso, «questa volta gLi italiani non si erano molto curati di celare i loro intendimenti; l'offensiva di Kerenskij sulla fronte austro-russa li induceva a non fare calcolo su possibilità controffensive da parte delle Potenze Centrali, tanto più che col I agosto la lotta si era riaccesa anche sulla fronte occidentale» 1• La ripresa italiana dunque, già attesa per la fine di luglio, divenne certa a partire dal 7 agosto. 1l 17 agosto, dal Rombon al mare, Cacloma presentava alla battaglia 1.250.000 uomini, 3.800 pezzi dj artiglieria e 1.500 bombarde, 202.000 quadrupedi. Per un raffronto tra le opposte forze cli fanteria vale il seguente specchio z: O

In prima e seconda li nea dal M. Nero al mare .............. ............. big.

In riserva nelle retrovie dal M. Nero al ma.re ............btg. di marcia

Austro-ungheresi

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152

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49 148

In 1iserva nelle retrovie dallo Stelvio a!M. Nero ...... bgt. di marcia

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Come apparivano le nostre forze all'avversario? Riportiamo un giudizio che sembra spassionato:

,,In questi due anni (...) il nenùco si era trasformato radicalmente. Forse, a quest'ora aveva già superato lo zenit della saldezza interiore (...) eppure rimaneva un fatto inoppugnabile: che aveva imparato a morire, che aveva fallo l'abitudine alle perdite più cruente e che bastava la più vaga speranza di u1.1 successo per renderlo addirittura temerario (... ). L"artiglieria italiana, oltre a essere forte per il numero e la potenza dei calibri, sapeva fm·e un uso ben diverso, adesso, delle munizioni, non le sprecava più senza scopo e senza rispamiio come nelle prime battaglie. Il suo tiro era diventato nùcidiale, colpiva tutti i punti immaginabili (...). 1 Cit. in A. Bou_,rn , I rovesci più caraueristici degli eserciti durante la guerra 1914-1918, Roma 1936, pp. 437-438. ' CCSM, Relazione r1/]ìciale cit.. IV. !omo 3, p. I92. Si tenga presente che i battaglioni austriaci ed italian i potevano essere valutali di forza pressoché uguale, anche se i primi erano si quattro compagnie fuci lieri e<l una oùtraglieri, mentre i nostri avevano una compagnia fucilieri in meno.


LA CAMPAGNA DEL 19 l 7

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E poi c'erano gli aviatori italiani, assai più numerosi dei nostri e con apparecchi infinitamente migliori a disposizione. Coraggiosi lino a sfiorare l'incoscienza, avevano già procurato grossi dispiaceri au·imperial-regia armata dell'Isonzo( ...). Per tutta questa serie di motivi, il Comando dell'armata dell'Isonzo nutriva serie preoccupazioni nelriminenza della nuova offensiva(...)»'.

* * * In agosto, poco prima dell'inizio di sé importante prova, si ebbe un'ennesima dimostrazione dello scollamento esistente tra governo e Comando Supremo. Il giorno 8 il colonnello Gatti, recatosi a Roma, si presentò al generale Giardino, il quale gli comunicò confidenzialmente le proprie perplessità: nulla sapeva di preciso ~ull'imm.inente battaglia ed aspettava Cadorna il 14 per ricevere lunù. Aveva pensato di recarsi personalmente ad Udine, ma poi preferito attendere il ritorno di Sonnino da Londra. 1n tema di programmi operativi, in linea di principio riteneva soluzione migliore lo «stare sulla difensiva, se non si può o non si sa limitare il proprio obiettivo. Nessuna grande azione, nessun volo, nessun obiettivo troppo lontano: basta lasciarsi cullare da idee chimeriche». Ecco quanto avrebbe voluto dire a Cadorna, ma tanto valeva rinviare a «dopo l'offensiva, perché questa - se si farà - non potrà ormai essere fermata» 2• A quanto pare il generale Giardino si esprimeva così senza conoscere impostazione, scopi ed obiettivi della battaglia, fatto certamente singolare per un ministro della Guerra. Non possiamo quindi negare un' acuta perplessità per simile discorso. Che Boselli e Sonnino fossero a conoscenza dell'offensiva da tempo è indubbio perché il ministro degli Esteri aveva partecipato alle conferenze di Parigi e cli Londra. Che un poco di più ne sapesse Bissolati è altresì molto probabile, perché era «di casa» al Comando Supremo. Anche ammettendo che possedessero solo notizie sommarie, come poteva il governo, in quanto tale, lasciar fare al Comando Supremo, astenendosi da un elementare diritto-dovere di chiedere precise informazioni, visti oltretutto i dubbi del nù1ùstro della Guerra, e specialmente dopo la programmazione della visita al fronte del presidente francese, il quale per cetto avrebbe toccato l'argomento? Orlando, interpellato a suo tempo dalla Commissione d'inchiesta su Caporetto, alla domanda se la battaglia della Bainsizza fosse stata preventivamente discussa in Consiglio dei ministii, rispose: «Non ricordo ed ho motivo di escluderlo>} ! E nelle sue memorie scrisse che il governo avrebbe voluto trattare della questione con Cadoma, ma non poté convocarlo a Roma a causa dell'arrivo di Poincaré, il quale fu a Udine dal 13 al 15, accompagnato da Boselli e da Sonnino ' .

' F. W EBER, Da Monte Nero a Caporetto cit., pp. 337-338. 'A. GAnt. Caporelto cit., pp. 162-163. Ma, ammesso e non del nllto concesso che Giardino facesse un simiJe discorso a Cadorna, che senso aveva farlo dopo la banaglia? ' crr. L. J\WROVANDl MARESCOTrJ , Guerra diplomatica cii., pp. 120-123


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Secondo Angelo Gatti, «Nessuno, né Sonnino né Giardino né Orlando né io né l'Italia, per dire tutti alla rinfusa, volevano l'azione. C'erano mille paure, mille dubbi. Cadoma solo, chiuso nella sua torre, lontano dal mondo, strainfischiandosi di tutti, l'ha voluta» 1• È probabile abbia ragione Emilio Faldella nel concludere che tutti intendevano evitare di compromettersi: «se le cose fossero andate male, avrebbero proclamato la loro opposizione in pectore; se fossero andru·e bene, si sarebbero fe)jcitati dell'esito della battaglia» 2 • D'altro canto, il ministro Bissolati il 6 agosto si era recato a Lorenzago ed in que lla circostanza avrebbe consigliato Cadoma di andare a Roma «prima di ordinare la prossima offensiva, in modo che la sorte del Comando Supremo e del Governo sia unica per tutto quello che possa capitare di bene o di male» 3• Ma Cadoma era ormai preso dalla visita di Poincaré e del re, con Boselli e dai recenti gravi fatti (disordini, ammutinamenti e diserzioni con passaggio al nemico) verificatisi in alcune unità e dall'ormai prossima offensiva. Orlando tenne a puntualizzare che della resistenza morale del Paese Cadorna non doveva occuparsi, essendo le questioni di politica interna di competenza del governo. Giusto, ma certo non poteva sostenere di tenere sotto pieno contro! lo la situazione e, in fondo, a Cadorna premeva solo evitare che il disfattismo di alcuni gruppi politici, riuscendo a far «montare» il malessere della popolazione, incidesse sul morale dei soldati. Alle soglie di quella che si prospettava come la più grande offensiva italiana, il governo nutriva in realtà fondati motivi di turbamento per le vicende della situazione interna. La propaganda per la pace ad ogni costo cominciava ad acquistare consistenza a causa della stanchezza della popola:l.ione, di cui i seg1ù crescenti erano visibili. Socialisti e clericalj insistevano nella loro azione. Il 12 luglio l'on. Ferri terminò un suo discorso alla Camera con il famoso cenno alla necessità di ascoltare «la voce che sale da tutte le trincee da cui è squarciato il seno della madre terra: il prossimo inverno non più in trincea». Il 4 agosto, con l'autorizzazione di Orlando, una delegazione del Soviet di Leningrado arrivò a Torino, accolta con tutti gli onori dai socialisti al grido di «Viva Lenin» ed infiammò i convenuti alla Camera del lavoro affemumdo che «solo l'opera proletaria internazionale - e non l'azione diplomatica - varrà a por fine alla conflagrazione mondiale»'. Il 16 agosto un'edizione straordinaria dell'Osservatore Romano divulgò la nota del 1° agosto inviata dal papa Benedetto XV ai capi degli Stati belligeranti. Essa proponeva una pace senza annessioni e se11za indennità; taceva sulla sorte della Serbia e della Polonia; auspicava la sopravvivenza, indispensabile per l' Europa, di una grande nazione cattolica (cioè l' Austria-Ungheria) e, per fini.re, invitava a mettere termine a «questa lotta tremenda la quale ogni giorno più apparisce una inutile strage». Sonnino commentò:

' A. GATI1, Caporeuo cit., p. 178.

E. FALDELLA, La gr(Uu/e guerra cit.. I, p. 3 17. ' R. A1..Ess1, Dall'Isonzo al Piave c it.. p. 89.

1

• A.MALATESTA, 1 socialisti durante la guerra, Mondadori, Milano 1926, p. 153.


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«Con tutto il rispetto per la persona e le buone intenzioni del Santo Padre, il Suo intervento non poteva avvenire in un momento più inopportuno. Aveva tutto l'aspetto di essere stato prima concertato con J' Austria, con la connivenza della Gem1ania (. ..)» 1 •

Il compiacimento dell'Avanti fu assoluto: «Benedetto XV porta il linguaggio di Zimmerwald!» Constatando l'impressione suscitata dalle parole del Papa 2, i socialisti credettero di poter cogliere un'occasione felice e, approfittando di una settimana di disordini, assalti a negozi alimentari e scontri con la forza pubblica (con 27 morti) in corso a Torino, proclamarono uno sciopero generale ' . In questo clima, i casi di indisciplina collettiva che si verificavano nei reparti non facevano che rafforzare in Cadoma la convinzione del grave pericolo rappresantato dall'opera co1Tosiva e disfattista proveniente dal paese e l'indigirnzione per la cattiva volontà governativa nel mettere a tacere coloro che mjravano ad indebolire la compagine dell'esercito. Non diversamente, del resto, da quanto in Francia faceva Pétain, il quale attaccava il governo ammonendolo che se le agitazioni fossero continuate, egli non avrebbe 1isposto della ripresa del!' esercito 4. Il 18 agosto, subito dopo la visita di Poincaré e sulla scia cli alcuni gravissimi recenti episodi, Cadorna scrisse a Bo.selli una quarta pesante lettera: «Più volte in questi mesi io ho dovuto segnalare all 'attenzione dell' E.V. e del R. Governo fatti e sistemi dimostranti l'affievolirsi della disciplina fra le truppe, l' accrescersi del fenomeno della diserzione, il rnolLiplicarsi dei reati militari più gravi e le sanzioni che eransi dovute applicare(... )'. Particolarmente coi fogli( ...) del 6, dell'8 e del 15 gi ugno i.nvocavo che il Governo provve-

'Sonnino alle ambasciate e legazioni d'Italia in data 20.8.l 917, D.D.1. 5' serie, VIII, doc. 906. 'Il 18 agosto Alessi scrisse: «Qui i giomali sono spariti in un batter d'occhio. Ieri ero sulla linea dell'lsonzo, davanti a Tolnùno. Nonostante che ancora non si conoscesse il testo ufficiale del documento diplomatico, non si parlava d' altro! E questo proprio nel corso della più grande battaglia del nostro fronte !» (R. A1.Ess1, Dall'lsonzo al Piave cit., p. 96). 3 Secondo Bissolati, l'impressione che i moti di Torino, originati dalla seai:sità di farina e quindi di pane, avevano suscitato al fronte era stata «Pessima ed ottima ad un tempo. I soldati che si sottomettono a tanti sacrifici, e rimai1gono a volte delle intere giornate senza rancio, erano furiosi a sentire che i fortunati che non corrono nessun pericolo e guadagnano salari enomù alle loro spalle, facessero una rivolta per un po' di scarsità di pane. Se fossero condotti contro i rivoltosi ne fai·ebbero macello ( ... )» (OLINDO MALAGODJ, Conversazioni della guerra (1914-1918), a curn di B. Yigezzi, Mi.lano-Napoli 1960, 1, pp. 165- 166). 'Se in Italia Orlai1do era criticato perché «non amava la maniera fo1tc», per dirla con Boselli, In Francia il ministro dell'Interno, Malvy, era in vestito da una vera bufera. Nel Comitato segreto del Senato, sedute del 19 e del 22 luglio, Clemcnccau lo accusi'> di «tradire gli interessi della Frai1cia», riprendendo la tesi di Pétaio e di molti altri generali, che consideravano gli ammutinamenti come il risultato dell'azione sobillatrice dei socialisti e degli anarchici. Dopo una violenta campagna di stampa, connessa con l'affaire J\bnereyde, fondatore del Banner Rouge, Malvy rassegnerà le dimissioni, trascinando seco la sorte del Gabinetto Ribot. Il 7 settembre subentrerà il govcmo Painìevé. > Cadorna alludeva alla rivolta di eccezionale gravità verificatasi nella notte sul 16 luglio nell'ambito della brigata Catanzaro poche ore prima della sua partenza verso la prima linea e repressa con la fucilazione sommaria di 28 nùlitari e la denuncia di altri 135; nonché al passaggio al nemico di due cospicui gruppi di mi litari del 206° e del 117° fanteria avvenu ti proprio io quei giorni.


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desse senza ulteriore ritardo a troncare - con energiche ed appropriate misure -1' opera nefasta e sempre più palese dei partiti in una propaganda orale e scritta che minaccia di distruggere nel Paese e di conseguenza nell'Esercito i sacrosanti sentimenti di Patria, di disciplina e di onore militare. Ho indarno finora atteso una risposta alle mie sollecitazioni e, quello che è più grave, nessun indizio è apparso il quale riveli da parte del Governo il proposito di un 'azione ferma e risol uta diretta a combattere con mezzi efficaci la propaganda minacciosa, per la efficienza dell 'eserc ito, che si svolge nel Paese. La questione da mc posta ( ... ) è di estrema gravità e non la si risolve col non rispondere alle insistenti sollecitazioni del Comando Supremo e col non affrontarla decisamente(... ). Non mi occorrono altre parole per dimostrare quanto il male sia peggiorato e come giorni tristissimi ci attendano se non verranno rimosse la cause di tamo male. E le cause(... ) sono ce11amente queste: l'influsso deprimente che dal Paese giunge e si propaga nell'esercito; la tolleranza che è largita ai sovversivi di ogni specie ed ha i suoi fnllti nelle trnppe; talché queste - nella imminenza di una grande offensiva - non sono quali dovrebbero essere( ...). Nelle grandi guerre sempre - ma specialmente nelle guerre moderne - l'azione del Governo nei riguardi della politica interna ha effetti decisivi ed immediati sul.lo spirito delle tntppc (... ). Ora io debbo dire che il Governo italiano sta facendo una politica interna rovinose per la disciplina e per il morale del] 'esercito, contro la quale è mio streuo dovere di protestare con tutte le forze dell'ani1no» 1 •

* * * Le due battaglie, della 2' e della 3• armata, ebbero sorte diversa. Mentre la lotta di quest'ultima sul. Cm·so, pur avendo ottenuto taluni vantaggi, lasciò la situazione senza apprezzabili modifiche, la 2' annata conseguì sull'altopiano della Bainsizza risultati di assoluto risalto. Per tale motivo l'intera offensiva prese per noi il nome di battaglia della Bainsizza. A premessa generale è doveroso porre in piena evidenza l'eccellente preparazione compiuta dalle due armate. A buon motivo Cadorna volle riconoscere l'elevata qualità del lavoro svolto, in particolare dalla 2•, il cui compito si presentava come di gran lunga più arduo: «( ...) invero, il passaggio di viva forza di un fiume inguadabile fu sempre considerato come una della imprese più difficili che la guerra presenti. Ma il passarlo con grandi masse di truppe attraverso gole montane, il gettare 14 ponti in condizioni difficilissime di terreno e sotto il fuoco nemico, lo scalare suhito dopo una ripida falda montana alta 500 metri espugnando tre successive e fortissime linee di difesa, il condurre interi corpi d'armata sul sovrastante altipiano privo di buone strade, di risorse e perfino d'acqua, ed ivi rapidamente organizz,are tutti i servizi e trasportare tutte Le grosse artiglierie, fu impresa nuova negli annali dèlla guerra» ' .

Per la verità, purtroppo sull'altopiano della Bainsizza non fu, poss.ib.ile, né poteva esserlo, superare rapidamente le difficoltà cli natura logistica, in specie

' ll 1° sellembre, Boselli, in visita al Comando Supremo, accennando alla lettera, rispose a Cadorna: «Lei ha un bel dire che vuole la risposta alle sue lettere. Ma come posso io risponderle se Orlando vuol fare a modo suo?» (L. CADORNA, Lettere famigliari cit., pp. 40-42). 'L. CADORNA, La guerra alla fronte italian.a cit., H, pp. 116-117. Sulla sinistra dell'Isonzo si, trovavano soltanto il V! cd il Il corpo, colà affemiatisi dopo la 6" e la 10• battaglia.


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per quanto concerne il trasferimento delle artiglierie oltre Isonzo; comunque è da rimarcare l'intensa, minuziosa e precisa attività svolta dal servizio informazioni, concretatasi in una serie di notizie, schizzi e memorie diffusi siuo al livello dei repaiti. L'offensiva si divise in due fasi. La prima ( 17-21 agosto) comprese la preparazione d'artiglieria - che, iniziata nel pomeriggio del 17 nel settore della 2• armata, si estese all'alba del 18 anche anche al settore della 3" armata, con carattere di distruzione -, l'attacco alla testa di ponte di Tolmino ed all'altopiano della Bainsizza da parte della 2• annata, e la ripresa dell'offensiva sul Cm-so da parte della 3". La seconda fase (22-31 agosto) vide l'affermazione della 2• armata sulla Bainsizza ed il consolidamento della 3" sulle poche posizioni raggiunte nel • successo sul Carso. mancato Le fanterie lasciarono le basi di paitenza nelle p1ime ore del 19. Le truppe della 2• armata erano state particolarmente preparate in funzione del forzamento dell'Isonzo e prevedendo di operare in terreno aperto, una volta portata l'azione oltre le trincee nemiche 1• L'operazione contro la testa di ponte di Tolmino era affidata essenzialmente al XXVII corpo (gen. Vanzo), con il concorso della 46" divisione del Yl corpo (gen. Cavaciocchi) contro il Mrzli. Quest'ultima, nonostante i ripetuti tentativi, non 1iuscì ad avere successo, sia per l'asprezza del terreno, sia per il ben studiato fuoco d'aiTesto austriaco. Alla caduta del giorno il comandante della 46' divisione comunicò francamente al Comando del TV corpo d'annata che «un'azione che si ritentasse domani con le stesse tJ.uppe credo non potrebbe avere risultati migliori». Il XXVII corpo doveva forzai·e l'Isonzo a nord dell' Avscek ed impadronirsi del.la regione dei Lom per nùnacciare di rovescio la testa di ponte. Non appena arrivato sulla dorsale del Cukli Vrh, la sua 19° divisione avrebbe attaccato frontalmente le posizioni di S. Maria e di S. Lucia. Il compito era superiore alle possibilità del corpo d' m111ata, tanto più che il materiale predisposto per il ponte di Javor venne distrutto dallo scoppio di una bombarda nella giornata del 18, motivo per cui fu giocoforza scendere si.no a Dobar e qui, con molte difficoltà, gittare un ponte ed una passerella e risalire poi la sinistra dell'Isonzo. Fu un contrattempo dalle gravissime conseguenze perché fece sfumare la sorpresa in un settore difeso, quel giorno, appena da poche compagnie di Landsturm. In sostai1za, anziché un'avanzata rapida verso il Cukli, il V raggruppamento alpino e

' Nel quadro degli speciali indirizzi addestrativi, spicca la costituzione dei primi due repc1rti d'assalto per l'iniziativa dei generali Capello e Grazioli. L"irnpicgo di questi reparti, molto curati ed esentati dagli sfibranti turn i di trincea, era limitato a «vincere l'attrito del primo distacco» o a dare il colpo decisivo (L. CAPEU.O, Note di guerra cit., 11, p. 108). Sui reparti d'assalto cfr. G. Roc11AT, Gli arditi della grande guerra, ed. Goriziana, Gorizia 1990.


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Gli ordini del XX VII C.A.


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la 22" divisione, che si sperava raggiungessero i Lom la sera del 19, si trovarono inceppati e solo il raggruppamento e la brigata Ferrara poterono attaccm·e a nord dell' Avscek. Conquistarono la testata del Siroko Njiva, poi però rimasero imbottigliati '. Il 20, sopraggiunti altri reparti, la 22" divisione fece ancora qualche passo avanti, senza arrivare a toccare il torrente Vogercek. Capello, che attribuì il deludente risultato alla mancanza «dell'energico impulso che sarebbe stato necessario» 2, ordinò di continuare: «le concordi infonnazioni avute assicurano che il nemico non ha più riserve; le ha portate tutte in linea( ... ). Le deboli resistenze nemic he avrebbero dovuto oggi permettere una più notevole avanzata su gtan parte della fronte. È necessario non lasciarsi sfuggire questo momento per noi così favorevole ed avanzare risolutamente» ' ·

In complesso era ottimista •, tuttavia anche il 21, a dispetto delle perentorie sollecitazioni, il tentativo di raggiungere il costone sull'Idria, per cominciare a far sentire sin dall'indomani la nostra presenza sul rovescio di S. Lucia e rendere possibile l'attacco frontale della testa di ponte il 23, fu vano. Ben differente sviluppo stava avendo l'azione del XXIV corpo (gen. Caviglia). Superando qualche inconveniente, il forzamento dell'Isonzo era riuscito, cosicché nel pomeriggio del 21 la 47" divisione si portava su q. 716, a nord dell'Oscedrik, e su Vrh, e la 60" divisione occupava Kuk 71 1.11 bordo dell'altopiano era in mano nostra. Invece di orientarsi a sfruttare questo successo, Capello, che sempre guardava alla testa di ponte di Tolmino, volle spingere a fondo la penetrazione del XXVII corpo, a suo giudizio assai poco incisiva.

1 Il Pitreieh disse al Baj-Macario: «Se gli italiani avessero risolutamente infilato e risalito il vallone dell' Avscek [in direzione, cioè, dell a BainsizzaJ incuneandosi fra il XV ed il XXIV corpo d'annata [austriaci] nessun serio ostacolo avremmo potuto opporre loro» (G. BAJ -MACARIO, Kuk-Vodice-Mo11tesa11to cit., p. 145). 2 L. CAPELLO, Note di guerra cii., ll, p. li l. ' CCSM, Relazione u/jiciale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 308. ll tono di rimprovero era indirizzato in particolare al gen. Vanzo, messo estremamente sotto pressione (cfr. A. GATII, Caporetto cit., pp. 212-213), talché l'ordine che Vanzo rivolse alle sue divisio1ù rifletteva uno stato d'animo molto mrbato: «L'avversrufo scosso, mancante di riserve ci pone in una situazione che sarebbe vergognoso non sfmttare. Domani perciò si deve a qualunque costo raggiungere gli ohiettivi fissati al corpo d 'armata pel primo tempo. Non ammetto motivi di arresto né decisioni ambigue» (CCSM , Relazione 1ifftciale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 309). ' Nel pomeriggio di quel giorno, il colonnello Gatti si recò al Comando 2• armata, e Capello, di buon umore, gli disse: «Non sanno cbe torrente dell 'umanità sto scaraventando loro addosso. Questa sera prepru·o tutto per inserire fra il XXVII ed il XXIV corpo d'armata il XTV (Sagramoso). Bisogna che col XXVU (Vanzo) rni affacci alla parte nord del vallone d i Chiapovano, col XIV alla media, col XXIV (Caviglia) alla orientale e col Il co1po (Badoglio) alla meridionale. Poiché vedo che il lI incontra molta resistenza ad andare innanzi contro il tratto Descla-Kobilck-M. Santo, bo detto che segni il passo. Andranno avanti quelli del nord; mangeremo la pera quando sarà matura» (A. GA,n, Caporetto cit., p. l 74).


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1111 corpo (gen. Badoglio) doveva attaccare fra lo Jelenik ed il monte Santo. Pur trovandosi già sulla sinistra dell'Isonzo, il suo compito non poteva definirsi agevole, perché in quel tratto le difese avversarie erano consistenti. Attaccò frontalmente con le sue tre divisioni in linea, senza molto profitto, eccezion fatta alla sua sinistra, dove la 3• divisione si avvicinò a q. 747 a sud dello Jelenik. E questo divenne allora l'obiettivo della divisione, allo scopo di agevolare il XXIV corpo impegnato appunto contro lo Jelenik. La sera del 21, peraltro, la situazione era stazionaria. Sul Carso i primi successi erano stati vivacemente contrastati prima e sottoposti a violenti contrattacchi poi, però l'apprezzamento del Comando 3• am1ata era positivo: «La fiera lotta di oggi ha logorato intensamente la resistenza del nemico, che ha già impegnato la maggior parte delle sue riserve e che sta lanciando nella battaglia la parte cha ancora gli rimane>) '. Il Comando Supremo fu molto più cauto, tanto eia prescrivere alle 8 del 20- in termini di «tassative e categoriche direttive» 2 - che la prosecuzione dell'offensiva avesse pieno e libero corso soltanto nella favorevole che il combattimento «risultasse impegnato con decisivo vantaggio per le nostre trnppe>> e promettesse di conseguire concreti risultati tattici. In caso contrario, ossia nell'eventualità di un affievolimento della lotta, piuttosto che sottoporre le truppe a sterile logoramento, era preferibile arrestare l'attacco ed impiantare, appena possibile, una operazione ex-novo. Il tentativo della 3' annata fu sterile. «Specie nel pomeriggio - riferisce la Relazione austriaca - gli italiani attaccarono col coraggio della disperazione; era comprensibile il loro sforzo per scuotere una buona volta la 43• divisione a Kostanjevica e giungere così alle spalle dell' Hem1ada, ed invero essi non lasciarono intentato alcun mezzo per raggiungere lo scopo. Rùiscirono a penetrare ripetutamente nella prima linea della posizione, ma furono sempre costretti ad abbandonarla rapidamente( ... ). Le loro masse avanzarono con forte scaglionamento in profondità; sebbene le pr.ime ondate venissero letteralmente falciate, le successive riuscirono finalmente a metter piede nella prima linea; ma il valoroso reggimento n. 39 eliminò presto tale penetrazione. Poco dopo il tenace avversario avanzò di nuovo (.. .)magli attacchi si infransero contro il fuoco dell'artiglieria. Nonostante tale insuccesso, alla sera gli italiani attaccm·ono di nuovo tutta la fronte della 17" divisione e ne derivò in vari punti una selvaggia mischia (...)» ' . Neppure il 21 Io slancio delle colonne d' attacco pervenne a sfondare. Quella sera, alle 22, Cadorna chiuse la 1• fase della battaglia. Viste scarsissime le speranze di un buon risultato sul Carso, decise di fermare la 3• armata e di lasciar proseguire lo sforzo della 2• annata, alle cui dipendenze fece passare !'VITI corpo (gen. Ricci Annani) con un cospicuo numero cli bocche da fuoco di medio e grosso calibro per la conquista del San Marco ".

1 CCSM. Relazione ufficiale cii., IV, tomo 2 bis, doc. 301. ' ibidem, doc. 302. 'Relazione ufficiale austriaca, VI, pp. 448-449. ' CCSM, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 3 I 5.


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Le giornate del 22 e 23 agosto furono in certo modo determinanti per la lotta sul medio Isonzo. All'alba del 22 CapeUo inserì il XIV corpo (gen. Sagramoso) con due divisioni, fra il XXVII ed il XXIV, fermi restando gli obiettivi fissati per questi ultimi: rispettivamente il ciglione sull'Idria, fra Grudenka e S. Lucia, ed il bordo orientale della Bainsizza, sul Vallone di Chiapovano. Per il X.XVII corpo il 22 agosto cominciò male e foù peggio. Nella notte precedente il V raggruppamento alpino (gen. Tarditi) avrebbe dovuto superare il Vogercek e procedere in direzione di Lom di Tolmino con la brigata Taro sulla sitùstra. Dopo di che la conquista di Cukla Vrh sarebbe stata assicurata e l'obiettivo raggiunto. Ma om1ai il generale von Scotti aveva ricevuto sei battaglioni dal Trentino e dalla Carinzia. Al mattino il generale Tarditi, constatate le difficoltà del terreno e la resistenza avversmfa, sospese l'azione, con il risultato di essere ipso.facto sostituito nel comando del raggruppamento. La ripresa del combattimento condusse a rinnovate perdite senza consentire il risultato voluto. Né meglio andarono le cose sulla destra del corpo d'armata: la 22• divisione rimase bloccata sulle pendici nord-ovest del Na Gradu e del Veliki Vrh. E Capello decise l'esonero del generale Vanzo, del suo capo di Stato Maggiore e del comandante della 22• divisione. Per il XXIV corpo, invece, il 22 fu la giornata di un meritato trionfo. Al mattino l'Oscedrik venne investito di fronte e sul fianco, nel pomeriggio fu la volta dello Jelenik. Nel tardo pomeriggio le due posiziotù erano in mani italiane e le tre linee di trincee appoggiate allo Jelenik aggirate. Quella sera Capello diramò il seguente telegramma ai suoi sette corpi d'armata, ai quali quarantott'ore più tardi si aggiungerà l'ottavo, il XXVIII (gen. Albricci) di nuova formazione: <<Le truppe che hanno raggiunto i loro obiettivi vi si sistemino e si rafforzino, liete dei successi ollenuti. Quelle che ancora non Li hanno raggiunti vi tendano con tutte le loro forze spinte dal rammarico del dovere non ancora compiut.o e dall 'emulazi.one che in loro deve suscitare il successo ottenuto dai compagni che hanuo saputo cost1ingere il nemico alla fuga» '.

Cadorna aveva assistito all'azione del XXIV corpo dall'osservatorio ciel generale Caviglia. Si rese conto della grande impo1tanza dell'ape1tura cli una breccia. A Capello, a confem1a dell'orientamento anticipato il giorno precedente in un colloquio a Vipulzano, ordinò di prendere il San M~u-co, concentrando contro di esso tutte le artiglierie disponibili 2 • Al duca cl' Aosta rappresentò che gli eventi in corso sulla Bainsizza e nel Goriziano avrebbero potuto provocare uno spostamento di truppe nemiche dal Carso verso nord; di conseguenza, la 3° arn1ata doveva tenersi pronta a sfruttare l'occasione favorevole ove si fosse presentata 3•

' Ibidem, doc. 320. ' Ibidem, doc. 331. ' Ibidem, doc. 330.


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Alle 9,30 del 23 agosto il generale Badoglio, lasciato il corpo al generale Montuori (fatto arrivare dall'altopiano dei Sette Comuni, dove comandava il XX corpo) assunse quello del XXVII. Guardò, studiò la situazione e poi, nel pomeriggio, comunicò al Comando 2" armata: «Situazione invariata. Allo scopo riorganizzare i repaiti e provvedere coordinamento azione, ho ordinato di sospendere qualunque azione» 1• L'azione sospesa era l'avanzata disposta la sera prima, su pressione di Capello, dal generale Vanzo in questi termini: «(...) Confermo l'assoluta impellente necessità che detti obiettivi siano raggiunti, soggiungendo che nessuna ragione dovrà ritardare l' esecuzione di questo ordine e che riterrò personalmente responsabili i comandanti della sua non completa esecuzione ( ...)>} 2_ AIJ ' alba del 22 agosto l' imperatore Carlo, accompagnato dal generale Arz., era g iunto alla stazione di Postumia recandosi subito al Comando della Isonzoarmce, per farsi esporre l'andamento della battaglia. Poi aveva fatto un giro sul fronte. Le prospettive non erano tranquillizzanti sulla Bainsizza, dove l'ininterrotto fuoco del!' artiglieria italiana faceva presumere la persistenza dello sforzo. E la perdita de llo Jelenik preoccupava. «Alla sera del 22 - riferisce la Relazione uffic iale austriaca - ad Adelsberg [Postumia], gli animi erano depressi». li generale Goiginger, comandante della 73' divisione spostatasi sulla Bainsizza per contrattaccare, per quanto cercasse di guadagnare tempo per impiegare unitariamente ed ordinatamente la propria unità, fu costretto a cominciare la lotta con la brigata di testa. Boroevié era indeciso. Dal Carso gli pervenivano notizie di qualche scontro locale a sud cli Kostanjevica, ma evidentemente la 3° armata aspettava solo il momento propizio per riprendere l'attacco. Perciò non c'era da pensare di togliere le due divisioni ivi rimaste in riserva; neJ Goriziano sembrava fosse subentrata una pausa. Alle 21 chiamò il generale Le Beau, capo di Stato Maggiore, ed il colonnello Pitreich, capo ufficio operazioni, e partecipò loro la detenninazione di abbandonare l' altopiano della Bainsizza. Il XXIV corpo, appoggiandosi con la sinistra al San Gabriele, doveva effettuare una conversione stendendosi sul margine settentrionale dell'altopiano di Temova e su quello orieotale del Vallone di Chiapovano . Il XXV corpo, addirittura, doveva abbandonare

' A prescindere dalla sua capacità e dai suoi reali meriti , il generale Badoglio er.i particolarmente «nella manica» di Capello. Ricordiamo che all'ini,,io della 10'' battaglia dell'faonzo, Badoglio, allora capo di Stato Maggiore della Zona di Gorizia. era stato mandalo sui due piedi a sostituire il generale Garioni nel comando del n corpo. La sera del 22 agosto, come viatico per il nuovo compito, Capello gli telegrafò : «AI valoroso 11 corpo che con spirito di sacri ficio ha sopportato la lotta durissima per assicurare la vittoria, la mia gratitudine ed mio augurio». E la tranquillità con la quale il nuovo comand ante de l XXVJJ corpo informava di avere annullato la prosecuzione dell'azione, già ordinata da Vanzo, è indice eloquente della certe:t,za di sapere accenma dal Comando d'annata la propria decisione. È bensì vero che Badoglio con una lettera personale aveva spiegato a Capello la situazione (ibidem, doc. 333). ' Ibidem. doc. 332.


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La giornata del 23 agosto (2' annata).


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le sue posizioni ed arretrare sulla linea dei Lom cli Tolmino e cli Canale. li colonnello Pitreich, pur consapevole della serietà del momento e della gravità della decisione, fini per non giudicare eccessivamente pericoloso l'abbandono della Bainsizza, perché «attirando gli italiani su un terreno scarso di strade, ci mettevamo in una condizione vantaggiosa per contromanovrarc scagliando dall' altopiano dei Lom, sul fianco sinistro [italianoj, le unità fresche che erano in viaggio per la val Baca. Dilagare verso il Chiapovano senza possedere l'altopiano dei Lom sarebbe stato rischioso per gli italiani» 1• Ad ogni modo suggerì di altendere notizie dal generale Goigingcr, prima di ordinare lo sbalzo indietro e Boroevié consentì 2• Alle 9 del 23 agosto, nessun cambiamento positivo essendosi verificato, l'ordine di sgombero della Bainsizza e del monte Santo, «tenendo fermo sull~altopiano di Lom a nord e su que llo di Ternova e sul monte San Gabriele a sud», venne diramato, con esecuzione a partire dalla sera di quel giorno. Ma alle 11 il generale Goiginger telefonò a Boroevié descrivendo una situazione assai meno pesante di quanto inizialmente temuto, anche perché gli italiani sembravano provati. Tn sintesi, proponeva di limitarsi a portare le truppe fuori tiro delle artiglierie italiane e guadagnare tempo per l' approntan1enlo di uno schieramento a1Telrato. Una successiva intesa fra Goiginger cd i comandanti del XV e del XXIV corpo condusse, nel pomeriggio, ad una diversa soluzione: arrestarsi nel centro dcli' altopiano della Bainsizza, fuori gittata, in attesa dei rinforzi prev.isti per il 29. Boroevié rimase convinto ed assentì. Il mattino del 24 un folto gruppo di disertori si presentò alle nostre linee. Data l'assenza di una qualunque reazione avversaria al ripreso fuoco delle artiglierie della 2" annata, vennero spinte avanti pattuglie. Tornarono con l 'incredibile notizia che le trincee austriache dell'Oscedrik erano state abbandonate. Anche il monte Santo era stato sgomberato! Ovviamente l'intero fronte dell'armata si rimise in movimento e nel primo pomeriggio Capello imparù i nuovi ordini: «La nostra avanzata ba preso il carattere di un inseguimento di nemico in rotta[!]. La nostra meta ormai è al di là del Vallone di Chiapovano. Dobbiamo raggiungere il margine occidentale del Vallone e spingerci arditamente al di là senza trascurare di costituire una base sul ciglione occiden -

tale».

Di conseguenza, il !V corpo doveva prendere il Mrzli; il XXVII, il XIV ed il XXIV, arrivare ad affacciarsi sul Vallone; il Il ed il VI corpo (gen. Gatti), avvolgere il San Gabriele per farlo cadere; l'VIII, tenersi pronto ad agire, nel caso di una ritirata nemica in corrispondenza del suo settore 3• Parlare di ottimismo è poco.

' Rel.11.ionc ufficiale austriaca. VI, pp. 455-457. 'G. BAJ-MACAR IO, Kuk-Vodice-Monresafllo cit., pp. 172-175.

' CCSM. Relazione ufficiale cit., IV, tomo 2 bis, doc. 346.


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Il 25 Foch, primo fra gli alleali, fece pervenire a Cadorna un telegramma di felicitazioni per i brillanti successi riportati, dichiarando che «la vaillance et l 'endurance de vos troupes victorieuses (. .. ) fait I'admiration del'armée française» •. E Cadoma, contagiato dall'euforia di Capello 2, non suppose che invece per la Jsonzo-armee la crisi fosse superata. Quella sera l'ufficio operazioni del Comando Supremo austro-ungarico presentava un promemoria che sarà all'origine della 12° battaglia: «Ancorché l' l l" battaglia dell'Isonzo non sia ancora finita è permesso sperare che, ancora per questa volta, gli italiani non raggiungano il loro obiettivo militare: Trieste. Si può anche sperare che noi potremo recuperare, almeno in parte, il terreno perduto. Ma se si vuole eliminare radicalmente il pericolo di 11011 porer ad 1111 cerro mome1110 tener resra al nemico, è indispensabile passare ali' offensiva poiché questa sola può conseguire il risultato cercato».

L'offensiva si reputava attuabile dal l' Isonzo, e precisamente dalla zona Tolmino-Plezzo con direttrice Cividale, grazie alla maggior ricchezza di comunicazioni verso il fronte di rottura. Era soluzione pressoché obbligata, in quanto la stagione avanzata non consentiva di svolgere operazioni nel Trentino. Quanto al1' entità di truppe necessarie, sull'Isonzo si trovavano circa 40 divisioni italiane e 20 austriache; poiché l'Austria non disponeva di altre 20 divisioni per raggiungere almeno la pruità numerica, «la cooperazione delle forze tedesche è indispensabile» 3• Dal 25 al 31 agosto la battaglia perse gradatamente vigore. Il 26 Capello, nonostante annotasse sul diario storico della 2• armata che «la resistenza del nemico aumenta ovunque», presentò la situazione alle truppe con un breve ordine d'operazioni: «Il nemico spende i suoi ultimi battaglioni unicamente per ritardare l'avanzata e guarnire la sua linea di difc..~a dell'altipiano di Tcmova. Queste notizie sono confermate da varie fonti. l rinforzi che att.endc dalla Galizia arriveranno troppo tardi (... )».

E così, l' indomani le ali dell'armata dovevano attaccare a fondo: il X.XVII corpo sui Loro ed i corpi VI e vm contro il San Gabriele ed il San Marco. Questo avrebbe facilitato L'avanzata del XIV, XXIV e II corpo verso il Vallone di Chiapovano ·•. Senonché, proprio quel giorno, mentre una pioggia torrenziale impediva lo spostamento in avanti delle artiglierie, Cadoma tornò a considerare il

' Ibidem, doc. 33. ' Quel giorno Cadoma scrisse a casa: «Sono completame111e soddisfano delle operazioni. Ieri si prese il monte Santo. Oggi la 2• annata ha dilagato sul vasto altipiano della Bainsizza (fra il medio Isonzo cd il vallone di Chiapovano) che domani sarà completamente nostro I,!], risultato inspernto. Ora si attaccherà il m. S. Gabriele. Gli Austriaci non si aspettavano un attacco a fondo dal medio Isonzo e furono sorpresi. Sono logorati, demoralizzati e disorganizzati: è il momento di incalzare. Speriamo bene» (L. CADORNA, Lenerefamigliari cit., p. 216). ' G . BAJ-MACARI(), K11k-Vodice-Mo111esanto cit., pp. 239-240. 'Ibidem, doc. 354.


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Le giornate · del 25 e 28 agosto (2• annata).

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Carso con una strana attenzione. Stimando evidentemente conclusa la spinta della 2• armata, volle impostare la 2• fase dell'offensiva riportando il pendolo sul Carso. Prese atto che le vicende sulla Bainsizza non avevano provocato ripercussioni in corrispondenza del settore della 3" armata, la quale perciò non poteva illudersi su una flessione dell'efficienza difensiva delle truppe che aveva davanti. Quindi, visto che le forze ed i mezzi assegnati alla 3• armata per l' 11° battaglia si erano dimostrati insufficienti, e riconosciuta l'inutilità di azioni parziali, incaricò il duca d'Aosta di: «preparare il futuro dispositivo di attacco suJJa base di una cessione da parte della 2" arm.ata n codesta da 300 a 400 pezzi di medio calibro cd inoltre del concorso di tutte le artiglierie dcli' ala destra della 2• annata efficacemente impiegabili contro gli obiettivi di codesta. La cessione dovrà avvenire subito dùpo compiuta l'opera,ione contro il S. Marco. L'apparecchio offensivo sarà inoltre rinforzato da tutte quelle batterie di bombarde( ... ) da cedersi parimenti dalla 2' annata ove per il momento non sono più necessarie( ...)» '.

La lettera era indirizzata, per conoscenza, anche al generale Capello. È facile immaginare l'effetto che tale orientamento produsse nell'ambito della 2• armata 2• Capello commentò: «È l' antico concetto di far servire l'azione della 2• armata al raggiungimento diretto ed immediato degli obiettivi della 3", così come già si era fatto per l'offensiva di maggio. È sempre il concetto preminente della puntata frontale su Trieste». Cadorna contestò l'accusa di volere ad ogni costo puntare su Trieste. «A me - scrisse - era i11differente che la rottura della fronte nemica avvenisse in direzione di Trieste od in quella di Lubiana, purché avvenisse in qualche tratto della fronte, essendo essa ovunque difficile. Avvenuta in qualunque luogo la rottura, si sarebbe manovrato in modo da allargarla e di avanzare verso gli obiettivi di Trieste e di Lubiana» '. A prescindere dalla questione di Trieste o Lubiana, è innegabile un contrasto fra simile proposito offensivo per raggiungere obiettivi strategici di importanza determinante e le direttive del 28 maggio, con le quali si riprometteva di occupare posizioni difensivamente utili. Comunque la rimostranza di Capello nei confronti del Comando Supremo riguardava essenzialmente il punto che venivano sottratti importanti mezzi alla 2• armata prima che avesse ultimato il suo compito. Ma se le vicende della Bainsizza non avevano avuto ripercussionni sul Carso, ciò derivava non già dall'esaurimento della spinta della 2• armata, bensì dal fatto che lo sfondamento da essa ottenuto non era ancora giunto ad un «sufficiente grado di profondità». Quindi molto meglio sarebbe stato insistere con la 2" armata, gettando nella breccia

' Ibidem, doc. 365.

' «È storico - bn scritto Baj-Macario - che in quei giorni negli S.M. della 2' am1ata e di talune grandi unità vi fu sfiducia e malumore verso il Comnndo Supremo» (G. BAJ-MACAR IO, Kuk-Vodice-Montesafllo cit., p. 199). ' L. CAl'>ORNA, Pagine polemiche cii .. pp. 302-303.


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aperta dal XXIV e dal il corpo sulla Bainsizza forze sufficjenti per procedere ed affermarsi sull'altopiano di Ternova, facendo cadere per manovra il San Gabriele, il San Daniele e l'anfiteatro goriziano: allora i risultati sarebbero arrivati ! Insomma, «è il solito sistema di non condurre mai a fondo nessuna azione ... per continuare a rompersi la testa contro l'Hermada» 1• li 27 agosto la resistenza austriaca appariva sempre più organica, mentre da parte italiana il problema di portare oltre Isonzo le artiglieria di medio e grosso calibro incontrava serie di fficoltà. Ma Capello non desisteva. Alle 9,10 telefonò al generale Sagramoso, per spronare il XIV corpo: «(...) ripeto ancora una volta la necessità che con ogni sforzo si punti risolutamente su Koren. V.E. renda responsabili deU'esecuzione precisa di quest'ordine i Comandi dipendent i. come io ne rendo responsabile V.E.» ' .

Ed alle 13 incitò il generale Badoglio (però il tono era di fferente):«(...) non è ammissibile che con 1000 bocche eia fuoco non si riesca ad avere ragione di poche mitragliatrici, dove il nemico non ha linee d ifensive(...)» 3• Alle 18,30 inviò a tutti i corpi d'armata l'ordine d'operazioni per l' indomani così concepito: «Avanti: avanti tutti per la vittoria completa!»•. La sera scrisse sul diario storico dell'armata: «La resistenza nemica è ovunque intensissima». Nel pomeriggio del 29 Cadorna si recò a Yipulzano con l'intenzione cli rinunciare allo sforzo della 3• armata sul Carso, preventivato dalle dirctrive del 26 agosto, e di arrestare anche l'attacco contro il San Marco, che, cominciato il giorno precedente, dava chiari segni di tradursi in un inutile logoramento. Capello si mostrò fiducioso di riuscire a concludere la giornata con un risultato tale da invitare a proseguire la lotta e Cadoma, presumibilmente con riluttanza, consentì a tenere l'ordine in sospeso per alcune ore. A notte inviò la direttiva, confermando quanto già anticipato via breve a Capello: «(...) Il consumo di forze e di munizioni finora riscont rato durante l' alluale offensiva impongono di ridurre il disegno operativo di codesta annala, essenzialmente per concentrare i mezzi ed indiriuare lo sforzo offensivo verso quegli obiettivi la cui conquista può avere dirette favorevol i ripercussioni per l'azione deUa 3• armata sull'altipiano carsico».

Perciò, sospensione di qualunque operazione offens_iva, tranne quelle locali già disposte; urgente attuazione di un'organizzazione difensiva, compreso lo schieramento delle artiglierie, che desse sicurezza; studio di un attacco - operando da nord verso sud e da ovest verso est - inteso a far cadere le difese del!' anfiteatro goriziano (San Gabriele e San Danie le inclusi) con un impiego di ar-

' L. CAPELL.0. Nore di guerra cit., il, pp. 125- 126. 'R. B ENCIVl'.''IGA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV. p. 264. ' Ibidem. "CCSM, Relazione 11}Jiciale eit .. IV. tomo 2 bis, doc. 357.


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tiglieria «che sia il più formidabile possibile». Scopo di questa azione, da attuare verso la metà di settembre: preparare l'ulteriore avanzata della 3• armata 1• Le perdite italiane ammontarono a 19 mila morti, 90 mila feriti e 35 mila dispersi. Quelle austriache a 9 mila morti, 45 mila fciiti e 30 mila prigionieri. Il consumo di munizioni da parte nostra sui 4 milioni di colpi, cli cui poco meno di un terzo di medio e grosso calibro; quello delle bombarde, sul nulione e mezzo circa.

* * * Per quanto concerne la condotta dell'offensiva, pensiamo di poter collocare

in primo piano l'osservazione di Benci venga che taluni fattori psicologici pesarono in modo tutt'altro che trascurabile sugli avvenimenti: «l'ostinazione del generale Capello nel perseguire l'obiettivo della testa di ponte cli Tohnino; nonché il timido intervento del generale Cadoma, sia nel rimettere, come suol dirsi, in carreggiata il comandante della 2• armata la sera del 21, sia nell'esitazione ad porre l'alt la sera del 25, sia nella rinuncia ali' azione della 3• armata sul Carso» 2• Ma ascoltiamo i commenti dei principali protagonisti: il capo di Stato Maggiore dell'esercito, il comandante della 2• armata ed il comandante del XXIV corpo d' armata.

un-

Cadoma espresse subito molta soddisfazione per la battaglia vinta. A suo giudizio era la più grande svoltasi in Europa. Riconobbe di essere stato costretto ad interromperla, però si riprometteva cli riprenderla a metà settembre e cli portarla a termine, facendo cadere le posizioni nemiche sulla Bainsizza fino al Vallone di Chiapovano, per poi impadronirsi del San Gabriele e del San Marco e successivamente attaccare sul Carso. Il fine che perseguiva era, tutto sommato, difensivo. Intendeva raggiungere la linea Vallone di Chiapovano-collinc orientali di Gorizia-Trstelj-Hermada per poter trascorrere l' inverno in sicw-ezza. Faceva un pensiero per la testa di ponte di Tolmino, però si riservava di studiare la questione dopo il raggiungimento della linea suddetta. A primavera, d'accordo con gli alleati, si sarebbe mosso per conquist,u·e Trieste. Gli obiettivi citati rivestivano valore tattico, ma non aveva alcuna intenzione di impadronirsene con atti slegati, come verificatosi i giorni 28 e 29 agosto contro il San Gabriele ed il San Marco per ottenere «due disastri» 1• In sostanza, era orientato ad una nuova

' Ibidem, doc. 359. ' R. BliNCIVEN<,A, Saggio critico .ml/a nostra guerra cit.. l V, pp. 269-270. ' Cfr. A. GATfl. Caporello cit., p. 210. È caratteristico del modo di pensare di Cadoma l'im-

medinto collegamento da lui fatto tra il vano attacco delle fanterie al San Gabriele cd a.I San Marco (nonostante il fornùdabile concentramento di bocche da fuoco) ed i disordini verificatisi in quei giorni a Torino. Non aveva dubbi: il «troppo poco slancio» della fanteria derivava dalla propaganda sovversiva dell' interno! Le sue leltere a casa in quel periodo traboccano di indignazione nei confronti del governo (L. CADORNA, Le11erefa111igliari cil., lettere in data 29 e 31 agosto, 1° e 4 settembre).


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offensiva a brevissima scadenza, più o meno come desiderato dagli aUeati. Secondo l'ammissione dello stesso Cadoma, l'ostacolo principale, che prima rallentò e poi arrestò la progressione sulla Bainsizza, fu costituito daJL' assoluta mancanza di rotabili adducenti all'altopiano e dalla grande scarsità di comunicazioni su di esso. Questo serio inconveniente impedì la celerità cli movimento delle truppe e, peggio ancora, fece rimanere sulla destra dcli' Isonzo le artiglierie pesanti campali e pesanti. Allora viene da osservare: poiché le numerose ricognizioni aeree erano in grado di fornire informazioni di ogni genere sugli altipiani della Bainsizza e di Ternova, o esse non erano state convenientemente indirizzate, il che mise bruscamente Comando Supremo e 2• armata di fronte ad una sorpresa che poteva essere almeno in parte evitata, oppure gli obiettivi stabiliti dal Comando Supremo per la 2• annata peccavano di ottimismo. Così come, del resto, risultarono quelli assegnati aUa 3• armata. In merito alla ripresa, Cadoma tracciò un quadro della situazione creatasi e delle prospettive che ne derivavano. Tn sostanza, premessa la non nuova, triste constatazione che l'attacco non riusciva a sfondare il sistema difensivo nemico nell'intera sua profondità, per superare le improvvisate, ma su posizioni dominanti, linee austriache occorreva «scuoterle con molta artiglieria»; perciò bisognava migliorare la rete stradale, portare sulla sinistra dell' lson:w tutta l'artiglieria, riordinare le truppe, riassestare i servizi e mettersi in condizioni di poter rapidamente dar corso al consolidamento sulle posizioni non appena conquistate. Qualora, prima cli attendere la messa a punto del lavoro preparatorio, avesse tentato cli aprirsi la strada jmmettendo nel combattimento le riserve ancora dispo1ùbili, sarebbe andato incontro a sanguinose perdite senza scopo. «Occorreva perciò una lunga sosta» '. Stimò sufficienti un paio di setti.mane. Vedremo in settembre come sia stata seguita questa conclusione. Capello, dal canto suo, criticò nettamente l'impostazione dcli ' offensiva fatta dal Comando Supremo. Esaminando l'assegnazione degli obiettivi e la distribuzione delle forze, saltava agli occhi il disegno di una battaglia frontale da Tolmino al mare. Nessun accenno di manovra strategica, non avendo il Comando Supremo costituito una sua grossa riserva da gettare sul fronte dell'una o dell'altra armata per risolvere decisamente la lotta. Solo le armate potevano mettere in atto una manovra, pur se entro certi limiti. Le conseguenze cli siffarta ristretta visione del problema ·strategico fu che un effimero successo della 3° armata venne subito bloccato dalla reazione nemica ed un successo iniziale di gran rilievo della 2• armata non poté tradursi in piena e completa vittoria. In entrambi i casi mancò l' intervento superiore 2•

' L. CADORNA, La guerra t1/lafro11te italiana c il., Il, p. 102. L. CAPELLO. Note di guerra cit.. Il , pp. 120-121. Alle critiche di CapcUo. Cadorna replicò in Pagine polemiche cit., pp. 295-305. 1


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A prescindere dalla idea fuorviante che Capello si era fatta del risultati ottenuti nei giorni 22 e 23, il discorso pare molto opinabile. Per prima cosa, entrambe le armate sapevano benissimo che ognuna doveva condurre la propria battaglia con le forze di cui disponeva. Questa era la soluzione, corretta o errata che fosse, data dal Comando Supremo al problema strategico. In secondo luogo, in partenza la 2• armata aveva tenuto in riserva iJ XIV corpo con quattro divisioni ed una brigata, più una divisione di cavalleria, ed altre tre divisioni autonome, per complessivi 90 battaglioni di fanteria. Il 22 agosto, a battaglia iniziata, Cadoma assegnò all'annata sei brigate della riserva del Comando Supremo, e poi altre tre, più altrettante della riserva della 3° armata. Secondo Baj-Macario, il 25 agosto I.a 2• armata aveva disponibili 14 brigate ancora intatte, un gruppo alpino e 9 battaglioni di bersaglieri ciclisti 1• Quindi l'accusa di un mancato sostegno da parte del Comando Supremo non sembra fondata 2• Capello esaminò anche lo svolgimento dell'azione della 2• armata, ponendosi un preciso .interrogativo: «L' inizio della battaglia fu superbo e parve legittimare qualunque speranza, poi la spinta perdé vigore, finché s.i arrestò. Quali le ragioni?» ... A suo avviso inf1uirono fattori diversi. Anzitutto quelli, per così dire, naturali, cioè comprensibili, quali il forzamento dell'Isonzo con ciò che comportava, le difficoltà opposte dal terreno, l' impossibilità di portare rapidamente avanti le artiglierie pesanti, il problema logistico sulla sinistra dell'Isonzo, la resistenza avversaria sempre più salda, la crescente stanchezza delle truppe. Altro motivo fu il «difetto d'impulso» del XXVTI corpo d'armata, al cui riguardo, tuttavia, riconobbe trattarsi di casi frequenti nelle grandi battaglie e superabili con un pronto impiego di riserve per sostenere l'azione. Se l'implicito rimprovero era rivolto al Comando Supremo, non si vede quale consistenza possa avere, in quanto la forza del XXVll corpo era stata evidentemente mal commisurata al compito; l'inserimento del XIV corpo con sole due divisioni, benché decisa subito da Capello, non era stata prevista tempestivamente né sembra abbia ricevuto convenienti ordini iniziali; e, infine, molto probabilmente sarebbe stato più opportuno rinforzare direttamenlc il XXV li corpo. Il terzo fattore riguarda le trnppe. Capello ha accennato a «deficiente abilità manovriera e, forse, impreparazione morale e tecnica di alcuni reparti». Può essere benissimo e non si vede motivo di scandalo, specie tenendo presenti l' immissione di numerosi complementi e la presenza di unità di nuova fom1azione con comandanti spesso di recentissime promozione. Peso ben altrimenti incisivo, sl da condurre ad uno spezzettamento dei combattimenti superiore all'accettabile, è invece da attribuirsi alla persistente mancata osservanza dei legami organjci. Anche in questa battaglia si è assistito al normale impiego alla spicciola-

' G . BAJ-MAC:ARIO, K11k-Vodice-Mo111e.w11110 cit.. pp. 194-195. ' Cfr. E. F ALDl:1.1.A, La grande guerra cit., I, pp. 338-339. ' L. CAPELLO, Note di guerf{/ cit., [I, pp. 118- 119.


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ta di brigate e reggimenti, rompendo l'unitarietà divisionale. Prassi diventata pressoché normale a tutti i livelli, a dispetto della circ. l 0005 del 17 giugno 1916, con la quale Cadorna, insistendo sull'importanza del fattore coesione, affermava che «anche nei reparti maggiori sono sorgente di forza collettiva lo spirito di corpo, le tradizioni comuni, l'affiatamento fra le varie unità, fra i comandanti di vario grado» ed ammoniva che «le dipendenze sul campo di battaglia sono sorgenti di coesione e quindi di forza, solamente se coincidono coi tradizionali vincoli organici e disciplinari». Nessun motivo di meraviglia, allora, per i disorientamenti, le difficoltà di comprensione, i riflessi negativi nel funzionamento dei servizi, soprattutto ove si aggiunga l'uso e l' abuso delle sostituzioni di comandanti e pi capi di Stato Maggiore nel bel mezzo dell'azione! Su uno dei 1ilievi formulati dal Baj-Macario conviene soffem1arsi brevemente: riguarda i reparti rnitraglieri. La scarsa preparazione tecnico-tattica riscontrata inizialmente in detti reparti era venuta a ridursi nella difensiva per l'esperienza acquisita ed anche perché in questa azione l'impiego risulta relativamente semplice; ma non c'è da stupirsi che nell'offensiva si presentassero inconvenienti di altro tipo, giacché occorreva non soltanto che i loro comandanti fossero addestrati per tale azione, ma altresì che i comandanti di battaglione sapessero come armonizzare il fuoco dei miu·aglieri con l'avanzata dei fucili eri, cosa non precisamente facile. lnoltre, e questo concerneva l'azione offensiva in generale, l'imbattersi in una accanita resistenza provocava troppo spesso la convulsa, affrettata, proiezione in avanti dei rincalzi per superare l'ostacolo col peso umano. Si potrà addebitare l'errore a carenze professionali, ma, a parte il fatto che un'accusa del genere ad ufficiali promossi dopo pochi mesi di corso è ovviamente mal collocata, basta guardare sulle carte topografiche a grande scala il dispositivo di attacco per rendersi conto che l' ammassamento diventava più o meno inevitabile. Difatti si verificava su ogni fronte. Il generale Caviglia ritenne che il 23 agosto, conquistati lo Jelenik e l'Oscedrik, il suo XXIV corpo d 'armata avesse realizzato un vero e proprio sfondamento ed aperto la porta anche al II corpo. Da questa porta, ampia una quindicina di chilometri , occorreva che il Comando della 2• armata facesse irrompere tutte le uuppe disponibili e «procedesse risolutamente verso il vallone di Chiapovano, con l'intendimento di aggirarlo, cli superarlo e di separare gli Austriaci dislocati a nord dell'altopiano di Temova da quelli a sud, tagliando loro la ritirata su Lubiana», mentre altre forse, con una manovra laterale sulla destra, avrebbero consentito la penetrazione del grosso deU'arrnata. Dalla ipotetica breccia e dalle possibilità operative che ne conseguivano, fece discendere la convinzione che «tutta la fronte austriaca dell'Isonzo in quel giorno cd in quello successivo doveva sentirsi scossa» e che perciò anche la 3° armata avrebbe forse dovuto attaccare sul Carso per approfittare della circostanza più che favorevole. Ma - osservò con rammarico - il Comando Supremo, che


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pure avvertì l' attjmo fuggente, impartì gli ordiru troppo tardj, Che il Comando della lsonzo-armee si sia sentito tremare la terra sotto i piedi è vero, ma nulla autorizza a pensare ad un indebolimento difensivo del gruppo Wlirm. La conclusione di Caviglia fu recisa: «Io ero convinto allora, e lo sono sempre, che si presentò quel giorno [il 23 agosto] la possibilità di far cadere Tolmino da una parte, l'anfiteatro goriziano, il Carso e Trieste dall'altra, e, ciò che più importa, di frU" perdere agli austriaci gran p,ute delle loro battedc e delle loro truppe». La sosta del 23, provocata dal dovere attendere che il XN ed il Il corpo si portassero avanti, che alcune brigate esaurite ricevessero il cambio, che altre venissero immesse in linea, consentì agli austriaci di imbastire una nuova posizione nel centro dell'altopiano della Bainsizza . Evidentemente - è il pensiero di Caviglia -1' abitudine a credere che le fanterie non dovessero essere spinte oltre la gittata massima dell'artiglieria, impedì che il Comando Supremo e la 2° armata individuassero la possibilità di manovra che il XXN corpo aveva creato. Oppure i due Comandi superiori si ritennero soddisfatti dei risultati colti '. Indubbiamente l'ordine impartito da Capello la sera del 22 per fermare il XXN corpo («lieto dei successi ottenuti») e per spronare il XXV li («spinto dal rammarico del dovere non ancora compiuto») si rivelò inopportuno e regalò al nemico un prezioso tempo di respiro; tuttavia bisogna riconoscere che la ritirata del XXIV corpo austro-ungarico ebbe corso nella notte sul 24 e non sul 23, che il 23 era quasi ovunque tenace, che parlare di «sfondamento» era assolutamente improprio e che meno ancora si poteva accennare ad una «manovra oltre le linee nemiche». In definitiva, secondo Caviglja, la vittoria della Bainsizza, posta in rapporto alla estensione della battaglia ed alle prospettive che si erano presentate, fu «appena un mediocre successo» 2• Ad ogru modo rimase la sensazione in alcuni, il convincimento in altri, che fra il 23 ed il 24 agosto sia veramente apparsa un'occasione uruca sul la Bainsizza, una di quelle occasioni che solo può cogliere il capo che abbia «il colpo d'occhio sicuro e la prontezza nello sfruttare le situazioru favorevoli», come osservò il Pitreich 3 • Pensiamo che l' apprezzamento più fon dato sui risultati della 11• battaglia dell' Isonzo sia per l'appunto quello formulato dall'avversario. È vero che il bol lettino del Comando Supremo austro-ungarico si limjtò a dire che «Gli italiani hanno raggiunto qualche successo solo sull'altopiano della Bainsizza, ove il nostro Comando Supremo ritenne utile ritirare la linea di 2 a 7 chilometri, per una lunghezza di 15 chilometri», però il generale Glaise-Horstenau, il quale nel dopoguerra divenne capo dell' Oesterreichen Kriegsarchives, ammise che «vi fu-

' E. C AVIGLIA, /.,(1 ba11aglia della Bai11si?.lft cit., pp. 100-1 OI. ' Ibidem, p. 112.

' G. BAI- M ACARIO, Kuk-Vodice-Mo111esa1110 cit., p. 227.


LAC/\MPAGNADEL 1917

503

rono, anche durante questa battaglia, dei giorni e delle ore, in cui tutta la sorte dell'esercito austro-ungarico parve sospesa ad un filo: se il nemico fosse riuscito a sfondare, non solo erano perduti l'Isonzo e Trieste, ma tutto il sistema difensivo delle Potenze Centrali avrebbe ceduto in uno dei settori più pericolosi, e pruticolarmcnte favorevole allo spiegamento della preponderanza avversaria» '. Da paite tedesca, il maresciallo Hindenburg scrisse: «D nostro alleato austro-ungarico ci dichiarò che non avrebbe avuto più la forza di resistere ad una dodicesima offensiva italiana sull'Isonzo». Una dichiarazione che lasciava intravvedere il timore del possibile crollo della capacità difensiva della Duplice Monarchia. Hindenburg scrisse ancora: «Nell'undicesima battaglia del!' Isonzo, Cadoma aveva realmente guadagnato molto· terreno. Tutte le perdite di terreno fino alldra avvenute erano state tali da potervisi rassegnare(... ). Ma ora le linee di resistenza austro-ungariche erano respinte ali' orlo estremo: se gli Italiani avessero guadagnato nuovo terreno dopo rinnovata preparazione, la situazione del1' Austria nei riguardi cli Trieste non avrebbe potuto più reggere. Quindi, Trieste è serirunente minacciata. Ma se quella città cade, guai!( ...) . Epperò è necessario che sia salvata: e, visto che non si può salvarla altrimenti, occorrono aiuti germanici» 1 .

I E DMUND VON G LAISE-HORSrENAU.

li crollo di

1111

Impero, Garzanti, Milano 1935, pp. 106-

107. 2

PAUL VON H1NDENllURG,

Dalla mia vita, USSME, Roma 1925, p. 193.



Capitolo XIV DALL'ISONZO AL PIAVE 1. L E PREMESSE PER LA SCONFITI/\

Abbiamo visto le dirertive inviate dal Comando Supremo al Comando 2• armata il 29 agosto. Elementi di fatto, quali il logorìo delle truppe ed il consumo delle munizioni, imponevano l',uTesto di ogni iniziativa offensiva, «salvo quelle per le'quali gli ordini fossero già stati emanati e che trovassero giustificazione in utili rettifiche di carattere tattico», due condizioni chiaramente definite. La ripresa delle operazioni, considerata opportuna per far cadere «tutto il blocco delle organizza:òoni difensive nemiche cieli' anfiteatro goriziano» (inclu::;i il San Gabriele ed il San Daniele), era prevista per metà settembre. Nell'intervallo si doveva procedere al consolidamento sulle posizioni raggiunte, «problema di importanza tale da risolversi al più presto ed in modo perfetto». Che la sosta si imponesse agli occhi del Comando Supremo è avvalorato dall'ordine immediatamente successivo.1130 agosto le due armate furono informate dell'arrivo in corso di forze austro-ungariche dalla fronte msso-rumena alla nostra. Occorreva aspettarsi «attacchi irruenti e di sorpresa, preferibilmente contro le posizioni che abbiamo conquistato di recente», quindi bisognava tutto predisporre per «garantire l'integrità delle nostre posizioni contro qualsiasi atto avversario» '. Ma al Comando 2• armata «lo stato d'animo offensivo era in perenne stato di grazia» 2 • Cosl, il generale Capello il 30 agosto comunicò ai suoi corpi d'armata che a partire dal giorno seguente subentrava una «breve sosta» per riprendere l'azione con maggiori mezzi, specificando però che i comandanti di corpo d 'armata erano autorizzati «ad eseguire quelle piccole operazioni che credessero opportune per rettificare e migliorare» le posizioni raggiunte l . li che non corrispondeva esattamente al pensiero cli Cadorna. Poi, a quanto risulta, Capello si affrettò a presentare al Comando Supremo il San Gabriele ed il San Daniele come obiettivi rispondenti a necessità immediate e quindi da conquistare in anticipo rispetto all 'accennata offensiva ". E Caclorna si lasciò convincere. Più tardi

'CCSM, Relazione 11fficiale ci t. , lV, tomo 2 bis, doc. 366. 'E. C ,w1GL1A, Le, dodicesima bmtaglia (Cavore110), Mondadori. Milano 1933. p. 23. i CCS M, Relat ione uffìciule cil., IV, tomo 2 bis, doc. 360. • Capello giustificò l'azione contro il San Gabriele come mezzo per «trattenervi rattenzionc del nemico» e «costringerlo ad impegnarvi le forze disponibili» a profitto della sistemazione difensiva della Bainsiz,m (L. C.>\PELto, Note di g11erra cit., Il, p. 131).


506

LA PR IMA G U ERRA MONDIALE

spiegò che «il Comando Supremo intendeva sbarazzarsi ad ogni costo di quell'intoppo che rendeva più difficile le ulteriori operazioni offensive», sorvolando sulla contradilizione esistente con le proprie direttive '. L'azione contro il San Gabriele venne iniziata il 4 settembre, d'improvviso, ad opera del I battaglione d'assalto, il quale conquistò di slancio la posizione, spingendosi addi1ittura sino al San Daniele. Purtroppo, non sorretto tempestivamente da altre unità, non resse al solito contrattacco avversario ed il vantaggio acquisito rimase annullato. Però Capello aveva ora argomenti per insistere e Cadoma consentì anche l'allargamento dell'attacco al semicerchio collinoso, senza dare il dovuto peso aUe remore della situazione della forza e delle munizioni. Fu una vera e propria offensiva, che coinvolse il VI e !'VIII corpo d'armata, con 700 pezzi d'artiglieria ed un centinaio di bombarde, e che ottenne risultati «di molto inferiori alle speranze concepite», per usare l'eufemismo cli Cadoma 2 • II 10 settembre il Comando Supremo partecipò alla 2" armata che l'inizio della programmata offensiva era spostato alla fine del mese. Con l'occasione, Cadorna confermò lo scopo dell'operazione: «far cadere il blocco delle organizzazioni nemiche dell'anfiteatro» per agevolare l'avanzata della 3• armata. Nelle direttive del 29 agosto aveva precisato: «Includo, come è ovvio, nel blocco il Monte San Gabriele ed il Monte San Daniele>>; adesso, naturalmente, questi erano "stralciati". Nella circostanza Cadorna pose un esplicito veto, che con ogni probabilità si collegava ad un'altra proposta avanzata da Capello via breve: «Le operazioni contro l' altipiano de.i Lom in primo tempo e contro la conca di Tolmino non rientrano nel quadro delle operazioni da me volute, perché non compatibili colla presente disponibilità di uonùni e cli munizioni» 3. Nei due giorni successivi il nemico sferrò vigorosi conu·attacchi, a stento fronteggiati dalle nostre unità, ma Capello non demordeva. Propose di stringere il San Gabriele in un «assedio di fuoco» e Cadorna, benché nuu·isse «forti dubbi sul risultato», autorizzò l'espe1imento. Dopo altre tre giornate cli combattimenti, al ritmo di 15 mila colpi al giorno e constatando una perdita complessiva di circa 14 mila uomini senza frutti concreti, ordinò la sospensione •. L'azione, conu·aria alle direttive sotto ogni profilo, può spiegarsi unicamente con la prepotente personalità di Capello e con la speranza di Cadorna che, chissà, la tenacia potesse alla fi ne regalare un successo che avrebbe compensato il differimento dell'offensiva e l'avrebbe resa più agevole.

' L. CADORNA, la. guerra alla fronte i1aliana cit., II, p. 107. ' Ibidem., p. 108. 'L. CAPELLO, Note di guerra cit., Il, p. 129. Cfr. L. CADORNA, La guerra alla fronte italiana cii., II, p. 110, ove la data della lettera è indicala erroneamente «I O settembre». ' L. CADORNA, La guerra a/la fronte iwliana cit., Il, p. 108.


DALL'lSONZO AL PIAVE

507

Dopo l'attacco al San Gabriele i rapporti fra Cadorna e Capello divennero molto freddi 1• È da presumere che il primo, non soltanto fosse seccato per le aumentate difficoltà ad una sollecita messa a punto dello stJ.umento bellico, ma altresì rimproverasse a se stesso la condiscendenza mostrata col comandante della 2" annata. 11 quale, dal canto suo, conunentò: «Anche questa azione fu troncata quando forse si stava per raccoglierne i frntti» 2 • Ad ogni modo, all'incirca sino a metà settembre la visione di una felice ripresa dell'iniziativa dovette sorridere a Cado1:na. * * * I

A fine agosto l'ambasciatore Imperiali aveva presentato a Sonnino le felicitazioni di Lloyd George per i nostri «brillantissimi» risultati. Con l'occasione il Premier lo aveva informato di essere stato sollecitato dal suo ambasciatore a Roma, Rodd, a prendere in esame «I' oppo1tunità di inviare subito alla nostJ.·a fronte adeguata quantità di artiglieria per permettere al generale Cadorna di intensificare i successi già ottenuti». Lloyd George si era dichim·ato disposto ad entrare in tale ordine di idee, «se il generale Cadorna ritiene possibile di raggiungere qualche risultato di primaria importanza, a really big result. ln caso contrario gli parrebbe inutile spostare al momento le artiglierie dalla fronte occidentale». Aspettava, dunque, la risposta «con grande impazienza» :;_ In effetti Lloyd George, obiettivamente il meglio disposto verso uno sforzo alleato in Italia, il 26 agosto aveva scritto al generale Robertson, palesandogli il disagio provocato dai rapporti del generale Delmé-Radcliffe, capo della missione militare britannica presso il nostro Comando Supremo. A quanto pareva l' offensiva italiana procedeva bene, tanto da sembrare prestarsi «a grandi possibilità, se queste fossero pienamente e prontamente sfrnttate». Ora, il generale Cadoma temeva che tali possibilità sfumassero «perché le riserva italiane di munizioni stanno per esaurirsi». Davanti a questo pericolo, non era il caso di «agire immediatamente per sostenere l'attacco italiano, colmare le deficienze e fare in modo che la ritirata austriaca si converta in rotta?)>. In conclusione: «Se crede che la vittoria italfana possa essere tale da avere notevoU effetti, non sarebbe il caso che Ella si portasse inunediatamente su quella fronte, per giudicare da sé e forn1arsi un giudizio indipendente» sull' opportunità di fare un sacrificio per aiutare l'alleata? ". Come si è detto, Lloyd George ignorava la risposta negativa che il generale Robertson aveva dato a Cadoma i I 17 agosto, ma ne conosceva i I modo di pen-

' R. B ENCJVENCA, Saggio critico sulla nostra guerra cit., IV, p. 172.

' L. C APELLO, Note di guerra cit., II, p. 132. 'Imperiali a Sonnino in data 3l.8. l9J7, D.D.I., 5• serie, Vili , doc. I O17. ' D. LLOYD GEORGE, Memorie di guerra cit., Il, p. 438.


508

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

sare, perciò insistette sulla «nuova situazione» da non perdere e cercò di mettergli davanti agli occhi una prospettiva seducente. Un paio cli giorni più tardi, Imperiali riferì che Lloyd George attendeva nervosamente notizie da Rodd, in quanto anche il generale Foch, venuto a Londra, gli era sembrato incline a mandare artiglieiie in Italia 1• L' 11 settembre Lord Derby, ministro della Guerra britannico, in visita in Italia, ebbe un lungo colloquio con Cadorna. Dopo un giro d'orizzonte sulla situazione e sul progranuna in atto, l'interesse di fondo si concentrò sui progetti per la primavera del 1918. Lord Derby promise l'invio di 160 bocche da fuoco di medio calibro, chiedendo però che nel contempo le sei batterie da 152 già sul nostro fronte fossero restituite alla fine d'aprile, per essere spedite in Egitto. Cadoma non ebbe difficoltà ad acconsentire. Caclorna si trovava ad un bivio. Il logorio delle trnppe ed il consumo di munizioni, anche se pesanti, non avrebbero cli per sé impedito la ripresa a fine settembre di uno sforzo inteso a «non dar tregua all'avversario e a fiaccarne, almeno per alcuni mesi, la capacità combattiva con un poderoso colpo pari al precedente». Poi l'inverno avrebbe consentito di ricostituire le scorte di munizioni e di rinvigorire l'esercito. Per converso il successo non si presentava affatto come sicuro e, in caso di tentativo anelato a vuoto, il prezzo pagato sarebbe stato eccessivo. Inoltre, pur ammesso qualche risultato, si profilava l'eventualità di trovarsi in mano posizioni cli scarso valore difensivo e quindi da abbandonare a seguito di una decisa reazione nemica. A queste fondate considerazioni, che i11 verità potevano essere già fatte a fine agosto ma che evidentemente acquistarono peso dopo l'inutile combattimento contro il San Gabriele, si aggiungevano vaghe notizie cli una possibile offensiva austriaca sull'Isonzo; notizie suffragate dalla gravissima crisi dell'esercito rnsso 1 . Perciò il 18 settembre Cadorna spiegò al ministro Giardino la situazione, sottolineando cli ritenere «non improbabile una violenta offensiva austriaca sulla fronte giulia, offensiva che già sarebbe in avanzata preparazione» (?) ed anzi adclfrittura non escludendo che detta offensiva «abbia a pronunciarsi anche altrove che sulla fronte giulia)), cioè dal Trentino, ove era stato segnalato l'arrivo del!' Alpenkorps 3. Lo stesso giorno illustrò la decisione presa ai Comandi della 2• e 3• annata: «li continuo accrescersi delle forze avversarie sull a fronte giulia fa ritenere probabile che il ne-

micù s i proponga di sferrare quivi prossi mamente un serio attacco, tanto più violento quante màg-

' Imperiali a Sonnino in data 2.9.1917, D.D.l., 5" serie, IX, doc. 3 . Il telegramma finiva con «In questo momento (ore 21,55) mi telefonano dal War Office la notizia de lla caduta del San Gabriele>>! Purtroppo la conqui sta era stata temporanea. ' Cfr. L. C..\DORNA, La guerra alfr:1Jro11te italia11a cit. , Il, pp. 110-1 l l. ' USS!vlE, Re/azio11e ufficiale cit., IV, tomo 3 bis, doc. 26. Giardino lispose il 20, condividendo il pensiero di Cadorna e comunicando l'approvazione di Boselli e di Somùno.


DA.I.L'ISONZO AL PIAVE

509

Unità dell'esercito mobilitato (escluse le truppe cli Libia e dell'Egeo)

Unità

Maggio 1915

Battaglioni di alpin.i (compresi gli sciatori) J3attaglio1ù di bersaglieri (compr~i i ciclisti)

Maggio 1917

35

43

59

- 441

- 543

- 654

Divisioni di fanteria Battaglioni di fantc1ia di linea

Maggio 1916

56()

52

693

78

830

89

-

Ouobre 1917

65

-

708

879

84

-

87

_ 67

_72

373

392

444

452

28

95

161

208

e so1neggiate

74

125

169

169

Batterie d 'assedio

40

473

700

750

Bauerie di bombarde

-

37

204

Ballerie da campagna e a cavallo Batterie pesanti campali

87

Bauerie da montagna

191 più

216 sezioni

Armi dell'esercito mobj)jtato (escluse le truppe di Libia e dell'Egeo)

Maggio 1917

Ouobre 1917

?

8200

8700

~

?

5100

-

114 1066 586

135 1966 728

2188 881

Artiglierie pesanti camp,1li (bocche da fuoco)

112

120

518

83 l

Bombarde

-

?

156()

2402

Armi Mitragliatrici Pistole mitragliatrici Alt.iglicria d 'assedio (bocche da fuoco) grosso calibro medio calibro piccolo calibro

Maggio 1915

600

-

14 132

Maggio 1916

158


510

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

giori forze potrà distogliere dalla fronte russa, dove la situazione sembra precipitare a tutto vantaggio dei nostri avversari. Tenuto conto di ciò, della situazione dei complementi e del munizionamento( ... ) decido di rinunciare alle progettate operazioni offensive e di concentrare ogni attivi!.'\ nelle predisposizioni per la difesa ad oltranza, affinché il possibile attacco ci trovi validamente preparati a rintuizado. A tale precisa direttiva prego( .. .) di orientare fin da ora ogni predi posizione, l'attività de]Je tmppe, lo schieramento delle aitiglierie ed il grado di iu·genza dei lavori» '·

In realtà Cadorna era persuaso che l'attacco in grande stile fosse da attendersi in primavera, con l'affluenza sul nostro fronte di buona parte delle divisioni austro-ungariche dal fronte russo 2 • Difatti, in chiusura di lettera al generale Giardino, aveva precisato il suo intento di organizzare una salda difesa ad oltranza sull'intero fronte «in modo che nessuno degli avvenimenti che potrebbero de1ivare dalla irreparabile disgregazione dell'esercito russo abbia a trovarci impreparati» 3• Ed il generale Capello non mancò di far notare che il quel periodo il Comando Supremo aveva già manifestato l'intenzione di rinunciare alla nuova battaglia, «basandola sulJa previsione di una offensiva avversaria che si sarebbe potuta temere nella primavera del J9 I 8 per effetto del crollo della fronte russa» . Previsione, per inciso, non avventata. A quell'epoca, 1iconobbe Capello, il pensiero di un attacco nemico per la primavera successi.va appariva «il più razionale ed il più attendibile»'. Ed il 21 settembre, nella comunicazione ai capi delle missioni militari alleati, il pericolo di una temibile iniziativa austriaca venne espresso da Cadorna in temlini piuttosto generici ed in prospettiva: «( ...) Se la si tuazione russa dovesse precipitare ai1cbe maggio1mente, noi potremmo trovarci già in questo scorcio di stagione operativa, e ce1tamente a primavera, di fronte ad un nemico decisamente superiore di numero cd animato dal proposito di at.taccarci a fondo. Perciò il Comando Supremo italiano, considerando che un eveotuale insuccesso potrebbe avere gravissime conseguenze per la causa degli alleati, e che tale insuccesso si produrrebbe fatalmente qualora l'attacco nemico ci cogliesse in crisi di complementi e di munizioni, ho dovuto, con grandissimo rincrescimento, prendere la decisione di sospendere gli apprestamenti per la progellata ripresa offensiva ( ... )» '·

In campo alleato, e segnatamente britannico, la decisione suscitò un mare di proteste, tanto più accese in quanto le truppe britanniche dalla fine di luglio si trovavano sanguinosamente impegnate nelle Fiandre, senza molto profitto, per giunta. Imperiali trasmise subito una significativa nota di Lloyd George:

' USSME, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3, p. 46. Con l' occasione Cadorna, prendendo spunto dal falliment(> dell 'episodio di Carzano, sciolse il Comando della 6" armata. Il XVIII corpo passò alla 4' annata e gli al tri tre corpi (XXVI, XXII e XX), raggruppati sotto un comando tattico (Comando truppe al topiano), passarnno alla 1• armata, la quale perse il III corpo, ad occidente del lago di Garda, preso alle dirette dipendenze dal Comando Supremo (ibidem, IV, tomo 3 bis, doc. I). 2 L. CADORNA, Leuere famigliari cit., p. 122. l USSME, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3 bis, doc. 26 cii. (corsivo nostro) . ·• L. CAPELLO, Note di guerra cii., IT, p. 135. ' USSME, Re/azione ufficiale cii., IV, tomo 3, pp. 46-47.


DALL' lSONZO ALPIJ\VE

511

«11 Capo di Stato Maggiore Imperiale ha ricevuto un telegramma dal generale Cadorna, nel q uale questi dichiara che si propone di sospendere fino alla prossima primavera ogni ulleri.ore offensiva sulla fronte italiana. Il Governo di Sua Maestà b.a 1icevuto questa notizia col maggiore dispiacere e sorpresa, tanto piì1 che esso era Stato assicurato da Lord Derby, che lasciò il fronte itali ano soltan to sette giorni fa, e da Sir Rennel Rodd, che lo lasciò al principio dell a con-ente sellimana, che a quelle date questo grave cambiamento di detenninaz.ione non era ce1tamente contemplato dalle autorità e politiche italiane. n consenso dei governi britannico e francese a mandare cento cannoni pesanti dal fronte dell'Ovest, dove grandemente mancano, fu dato unicamente allo scopo di aiutru·c una vicina offensiva italiana . L'attacco ora sviluppantesi nelle Fiandre fu in trapreso come una parte di un piano generale per il quale tutti i fronti nemici dovevano essere assoggettati a pressioni simultanee. Gli al leati s i aspettavano che in questo piano generale l'Italia avrebbe reso una parte proporzionale alle risorse a sua dispo~izionc. L'adozione adesso da pane sua di un contegno puramente difcnsi vo annullerà l'intero progetto e gli Imperi Centrali sarrurno sollevati da ogtù timore di operazioni ostili da Riga ali· Adriatico. Le ragioni poste innanz i sino ad ora dal generale Cadorna per questa nuova decisione sembrano al Gabinetto inadeguate a giustificare un così grave cambiamento ( . .. )» •.

Quindi, l'incaricato d'affari a Roma era pregato di insistere affinché il governo italiano inducesse il Comando Supremo a tornare sulla decisione. Cadorna rispose a Sonnino: «Questo Comando soltanto possiede tutti i dati di fatto per gi udicare della situazione su questo fronte, anche rispello agi.i interessi generali della coalizione. A nessu no più che a me dispiace di aver dovuto sospendere operazioni offensive, ma tali deliberazioni debbono essere prese freddamente e ri.soluta1uente, col mutare delle circostanze che in guerra mutano da un giorno all'altro. Ora situazione è certamente mutata, dopo partenza Lord Derby, per quanto riguarda piega presa da avvenimenti russi e continuo minaccioso aumento forze austriache ( . ..)» '.

Osservò anche di non vedere quale danno il nostro atteggiamento potesse causare aU'offensiva in corso neUe Fiandre, essendo noto che la nostra azione non sarebbe comunque iniziata prima della fine del mese. E chiese che le artiglierie alleate non venissero allontanate «fino al completo dileguarsi della minaccia di un'operazione in forze su fronte giulio» 3• La giustificazione rappresentata dall'incombente possibile attacco austriaco, a quell'epoca, era obiettivamente piuttosto debole, tuttavia le recriminazioni alleate non avevano sostanziale motivo d' essere. Sul piano formale, è vero, il mutamento d'intenti poteva venir preso e comunicato prima, posto che nessun fatto concreto era intervenuto ad avvalorare il timore di una potente aggressione

' Sonnino a Cadoma in data 22.9. 1917, D.D.l. , 5• serie, IX, doc. 101. L'accenno britimnico al sospiro di sollievo che gli Imperi Centrali avrebbero tirato, alla notizia della decisione di Cadorna, è pri.vo di senso. Dopo tulio Giardino non aveva annunciato come Painlevé, né Cadorna detto come Pétain: «Aspettiamo gli americani». ' Cadoma a Sonnino in data 23.9.J917, ibidem, lX, doc. I I t. ' Ibidem.


LA PRIMA GUERRA MONDIALE

51 2

a breve scadenza; ma alla fin fine la ripresa offensiva italiana, a complemento della 11" battaglia, era stata divisata da Cadoma in relazione a specifiche esigenze operative nostre e nulla aveva a che vedere con la situazione sul fronte occidentale. E il capo di Stato Maggiore Imperiale non poteva aver già dimenticato quanto Cadorna gli aveva scritto il 29 agosto: «Riguardo a ciò che si dovrà fare durante l'inverno, esclusa, data la stagione, la possibilità di operazioni che potrebbero dare risultati sostanziali e decisivi, io credo con Lei che ciascuno dei nostri eserciti dovrebbe preoccuparsi della propria fronte( ... )» '. Tutto ciò aprescindere dal fatto che il fronte italiano era sempre stato considerato da francesi ed inglesi solo in funzione dell'alleggerimento che poteva recare alla pressione degli Imperi Centrali sui fronti occidentale, orientale e balcanico. Il generale Robertson, sempre contrmio ad aiuti all'Italia, inviò una breve, altezzosa, se non proprio sprezzante, comunicazione: «Poiché VS. ha deciso di adottare atteggiamento difensivo e poiché le 16 batterie di obici britannici vi sono state mandate per propositi offensivi, compiacetevi disporre che siano ritirate dalla fronte immediatamente, avendo io bisogno di destinarle ad altro teatro» ' .

Se credeva di intimidire Cadoma si sbagliava di grosso. La replica fu immediata e secca: «Dispongo perché le 16 batterie britanniche siano immediatamente ritirate dal fronte e poste a Vostra disposizione. Circa la fonna usata nel richiederle, vi faccio osservare che io solo sono competente a giudicare della situazione su questo fronte in relazione ai nostri interessi cornbinati con quelli della coalizione, ed a prendere quei provvedimenti che ne derivano, dei quali rispondo direttamente a S.M. il Re ed al Governo italiano» ' ·

Quando Sonnino ebbe visione dei due telegrammi commentò: «lo avrei risposto anche peggio» •. Poi prese in mano la questione per evitare incresciose nubi diplomatiche e si affrettò a scrivere all'incm"icato d ' affari a Londra: «( ...) È doloroso eh.e per un movimento avventato di cotesto capo di Stato Maggiore si rninacci di disfare wtto quanto era già stato stabilito nella ultima conferenza di Londra in favore di una piìt stretta cooperazione italo-britannica e di una maggiore comune azione offensiva sul fronte italiano, e ciò a danno della causa collettiva con solo vantaggio netto del nemico. Prego V.E. spiegare sua azione in questo senso presso codesto Governo( ... )»'.

L' intervento di Sonnino fu opportuno perché da parte alleata la cosa non era stata affatto bene accolta, ed infatti fu subitanea una analoga 1ichiesta d.i ritiro

' ' ' ' '

CCSM, Relazione ufficiale cit. , IV, tomo 2 bis, doc. 31 cii. Robertson a Cadorna in data 24.9. 1917, ibidem, IV, tomo 3, p. 42. Cadoma a Robertson in data 25.9.1917, ibidem, IV, tomo 3, p. 43. L. ALDROVANl)J M ARESCOlTI, Guerra diplomatica cit., p. 129. Somùno a Borghese in data 26.9.1917, D.D.I. , s• serie, IX , doc. 12.


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delle artiglierie francesi 1• Lord Derby non nascose cli considerare «seriamente la situazione personale» creatagli dalla decisione di Cadorna, assunta «senza minimo cenno di consultazione o discussione con alleati». Egli aveva dato credito alle assicurazioni di Cadoma circa l.a «prossima sicura offensiva» italiana, tanto eia ripeterle, passando da Parigi, a Painlevé ed a Pétain, ed ora, ricevendo pochissimi giorni più tardi la notizia inattesa della r.inuncia, u·aeva l'impressione «non fosse accorciata necessaria importanza affidamento datogli alla fronte .italiana>>. D'altronde, secondo gli accordi presi con il Comando Supremo a Udine, non appena l'offensiva fosse terminata (presumibihnente verso il 10 ottobre), almeno sei delle batterie inglesi potevano essere ritirate senza conseguenze. Da questo era cle1ivato l'apprezzamento britannico che la situazione prospettata per il 1Oot• tobre fosse ancor più valida il 23 settembre. Comunque, Lloycl George assicurò che le spiegazioni successive 2 avevano chiarito l'episodio. TI generale Robe11son non aveva avuto alcuna intenzione cli mancare di cortesia e nessuno metteva in dubbio la competenza del solo generale Cadorna nel giudicare la situazione militare sul fronte italiano, anche se Robertson riteneva «temuta offensiva austriaca non molto probabile» (in alUi termini: non ci credeva per niente). Rimaneva il vivissimo desiderio di una piena cooperazione 3• In conclusione, lord Derby espresse a Cado ma il suo rincrescimento per l'equivoco e Robettsonspiegò di aver ricevuto la comunicazione del 21 soltanto il 29 settembre ed ignorato il desiderio del Comando Supremo di trattenere le batterie per scopi difensivi. Venuto a conoscenza di tale desiderio, era disposto a lasciare in Italia cinque delle sedici batterie, nonché i depositi cli munizioni e materiali vari «per facilitare l'eventuale invio di nuove artiglie1ie inglesi in primavera» 4 • Si pone inevitabile una domanda: Cadorna credeva veramente alla gravità della minaccia sul fronte dell'Isonzo, così come aveva scritto a Sonnino? È estremamente dubbio. In quel!' epoca i trasporti per il concentramento delle truppe austriache e tedesche per l'offensiva non erano ancora cominciati e gli unici indizi di qualche significato potevano rinvenirsi nella chiusura delle frontiere con la Svizzera, allo scopo di nascondere intensi trasporti militari, e nella prima apparizione di reparti dell'Alpenkorps nel Tirolo meridionale. Egli era convintissimo che la battaglia della Bainsizza avesse inferto all'avversa1io un duro colpo, a riaversi dal quale sarebbero occorsi per l' AusUia diversi mesi e comunque il richiamo di ingenti forze dal fronte orientale, grazie al collasso dell 'esercito russo. Secondo la sua mentalità, dopo il crollo della Rus-

' Sonnino a SaJvago Raggi e Borghese in data 28.9.1917, ibidem, lX, cloc. 129. ' LI 24 settembre Sonnino aveva trasmesso a Borghese, Salvago Raggi e Carlotti copia delle ~piegazioni di Cadoma (ibidem , IX. <loc. 11 1). ' Borghese a Sonnino in data 29.9.1917, ibidem, IX, doc. 132. 'Borghese a Sornùno in data 2. 10.1917, ibidem, IX, doc. 145.


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sia gli Imperi Centrali avevano ogni convenienza a sbarazzarsi dell'Italia, scopo ottenibile con un duplice contemporaneo grosso sforzo dal Trentino e dall'Isonzo. Ma pensava che l'Austria, per orgoglio, si sarebbe astenuta dal chiedere un aiuto determinante alla Germania e, d'altro canto, si convinse presto dall' assenza di un reale pericolo dal Trentino. Quindi, sempre a suo modo di vedere, un' azione «in grande stile» contro l'Italia per l'autunno era del tutto improbabile e per l'inverno praticamente impossibile. La grande prutita si sarebbe giocata nella primavera del 1918, come offensiva austro-tedesca da affrontare oppure come offensiva alleata da sferrare dall'Isonzo, anticipando quella nemica. Per lo scorcio 1917 Cadoma anunetteva solo un'offensiva austriaca, più o meno rilevante ma intesa a riprendere qualche posizione perduta durante l' 1• battaglia.

* *, * Moltke il vecchio mise in guardia da una critica basata unicamente sui risultati bellici: «Non dimentichiamo - scrisse - che ciò che a tutto prima sembra inagionevole e sbagliato, assai meno appare tale non appena si conoscano i moti vi, i mille attriti della macchina e le difficoltà che in guerra si inseriscono nella esecuzione». In sostanza, occorre cercare di collocru·si mentalmente nel momento e nell' ambiente in cui maturò e si svolse il fatto guerresco; di esaminare la situazione di partenza, l'apprezzamento compiuto sulle intenzioni del nemico ed i conseguenti provvedimenti. Nell'autunno 1917, sul fronte italiano, i ruoli erano inequivocabilmente assegnati: agli austro-tedeschi quello dell' attaccante, a noi quello ciel difensore. Eppure, pur consapevoli di ciò, subimmo una sorpresa in campo strategico ed in campo tattico. Fummo lungi dall' immaginare che sul fronte dell'Isonzo, sul quale combattevamo da due anni, un successo tattico potesse trasfonnarsi in un successo strategico ad opera cli un avversario complessivamente inferiore di forze. Vediamo dunque come il Comando Supremo ed il Comando della 2• armata valutarono la portata dell' offensiva nemica - attesa - e come si accinsero ad affrontarla '. Secondo l'organizzazione interna ciel Comando Supremo nel settembre 1917, l'ufficio informazioni (col. Odoardo Marchetti) riceveva le notizie essenzialmente dai Comandi delle grandi unità direttamente dipendenti e le passava all'ufficio situazione (col. Calcagno), che provvedeva alla loro valutazione, riepilogando poi le deduzioni in promemoria che ilJustrava personalmente al capo cli Stato Maggiore, se in sede. L'ufficio situazione dipendeva dal sottocapo di Sta-

1 Nella trattazione delle vicende dell'autunno 1917, ci limiteremo di proposito a considerare ciò che risultava ai Comandi italiani, in modo da far risaltare convenientemente la grave difficoltà di orientamento verificatasi.


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to Maggiore, mentre l'ufficio operazioni di guerra (col. Gabba), già ufficio segreteria 1, che doveva lavorare sulla base delle notizie elaborate, dipendeva dal capo di Stato Maggiore. Ne risultava che, se Cadorna, esaminando le conclusioni cui era pervenuto il capo ufficio situazione, esprimeva un'idea, avanzava un dubbio od una convinzione e, in altri tennini, contrapponeva la propria valutazione a quella presentatagli, il pensiero del capo ufficio sit11azione poteva restarne in qualche misura influenzato. «Così questi - ricorda il generale Bencivenga finì[va] col deduJTe dalle notizie che possedeva, non già quello che era logico dedurre, ma quello che era il pensiero di Cadoma, il quale, a sua volta, si confermava nella propria convinzione» 2• Era accaduto nell'aprile-maggio del 19 I 6, a dispetto dell'opinione dell'ufficio informazioni del Comando 1• armata, ed ac• cadrà nell'ottobre 1917, a dispetto degli avve1timenti dell'ufficio informazioni del Comando 2• armata. Peraltro, nel 1916 Cadoma, pur non credendo alla probabilità di un attacco nel Trentino, aveva finito per assumere misure cautelative atte a fronteggiare tale ipotesi sul piano strategico; nel 1917 questo non fece perché, sempre più tranquillo per il Trentino, considerò la prevedibile battaglia sull'Isonzo circoscritta all'ambito tattico e quindi sotto la responsabilità dei comandanti di armata, senza la necessità di un coordinamento da parte del Comando Supremo. Secondo il maresciallo Caviglia, il fatto di vivere staccato dagli altri uffici per ragioni di segretezza, di non avere contatti con i Comandi dipendenti e neppure responsabilità dirette, dinùnuiva la sensibilità operarativa dell'ufficio situazione. Si aggiungeva a tale difetto l'aggravante della difficoltà mentale a considerare quanto si riferiva alla difensiva. Dall'inizio della guerra l'ufficio situazione era abituato alla nostra iniziativa nelle operazioni e perciò «non era disposto a ricevere ed a valutare le notizie dalla parte nemica di natura offensiva». Non era "affinato" a tale valutazione J.

' L'ufficio segreleria era stato retlo sino al 29 agosto dal colonnello Beneivenga, il quale, promosso colonnello brigadiere dopo la 10' battaglia deJl'Isonzo, dovette lasciare l' incarico per ragioni di organico. Destinato al comando di una brigata, Bencivenga, che a quanto pare contava di rimanere aJ Comando Supremo anche con il nuovo grado, si recò a Roma per una breve licenza e si sfogò con colleghi ritenendosi poco apprezzato dal capo di Stato Maggiore. Deinde irae di Cadorna, che gli inflisse tre mesi di arresti di fortezza. Quanto all'organico della segreteria, vale la pena di rimarcare come in realtà non fosse affatto rigido. Difatti dal 30 agosto comprendeva ben quattro colonncJJi di S.M. (a parte il col. Gatti): il col. Gabba, venuto a sostituire Bencivenga quale capo ufficio, ed i colonnelli Cavallero, Gazzera e Pinlor, tutti promossi in agosto per mc1ito di guerra. ' Cfr. R. BENCIVENGA, La sorpresa strategica di Caporetto cit., pp. 23-24. Emilio Faldella ba interpretato questa considerazione come un ' accusa al capo ufficio situazione di «avere scientemente ingannato iJ generale Cadorna soltanto per dimostrarsi compiacente verso sue personali opinioni», ma un rimarco del genere sembra fuori luogo. La valutazione, specie quando deriva da notizie frammentarie e talvolta incerte o contrastanti, non è matematica e non deve meravigl iare che l' esperienza, il prestigio, la personalità del capo possano influenzare psicologicamente il dipendente. ; E. C..WIGLIA, La dodicesima bauaglia ci!., pp. 26-27.


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C'è del vero in entrambi i giudizi, di Bencivenga e di Caviglia, ma indubbiamente nelle valutazioni dell'ufficio situazione affiorano incoerenze comprensibili solo in quanto derivanti da un preconcetto. li promemoria passato dall'ufficio situazione all'ufficio operazionj il 28 settembre concludeva con ottimismo che «non si debba escludere la possibilità di operazioni offensive nemiche che, però, data la stagione, non dovrebbero poter assumere importanza che sulla fronte giulia, mentre nel Trentino non dovrebbero avere che carattere diversivo» 1• I successivi promemoria non mutarono tono. Il 30 settembre, pur dando per certo l'arrivo clell'Alpenkorps nel Trentino, l'appunto affermava: «Pare che il Comando nemico abbia abbandonato, per il momento, l'idea di eseguire una grande offensiva sulla fronte giulia». E si spingeva a pronosticare che «A malgrado delle numerose voci di offensive austriache che aft1uiscono eia ogni parte( ... ) non è improbabile che tutto debba semplicemente essere riferito al timore austriaco di una nostra ripresa offensiva del genere di quella del mese scorso( ... )» 2 • Il 2 ottobre l'ufficio situazione riferiva la voce, riportata eia un ufficiale polacco «molto attendibile», di «una prossima offensiva» in grande stile che gli austriaci tenterebbero sulla fronte italiana con truppe germaniche, con un accenno alla testa di ponte di Tolmino. Ma, in assenza cli altri dati, concludeva che «un'eventuale azione nemica dalla testa di ponte di Tolmino non potrebbe che avere il carattere di operazione locale, e non di una offensiva in grande stile contro le forti nostre posizioni cli destra Isonzo>> 3• Un giudizio piuttosto affrettato. Il promemoria del 7 ottobre lascia interdetti. A quanto risultava, l'Austria, libera dall' incubo della Russia ed illusa circa la situazione interna italiana, definita alhmnante, mirava «ad avvicinare con un'operazione militare la conclusione della pace». Però «lo Stato Maggiore austriaco per questioni di prestigio intende risolvere da solo e con i propri mezzi 1a guerra contro l'ltalim> ed aveva quindi ridotto al minimo la richiesta di concorso. Per cui: «probabile offensiva sul medio Isonzo allo scopo di 1iprendere in tutto od in parte l'altipiano della Bainsizza; operazioni locali sul resto della fronte con carattere diversivo nel Trentino. Concorso ge1manico molto limitato»". In qual modo l'obiettivo, per giunta p~u-ziale, della Bainsizza potesse avvicinare la fine della guerra non era spiegato. Il 9 ottobre il generale Capello segnalò al Comando Supremo che «presenza truppe germaniche può dirsi ormai accertata e propositi offensivi del nemico sono avvalorati da molteplici deposizioni». Adesso sempre più venivano con-

' USSME, Relazione 1f[jiciale cit., !V, tomo 3 bis, doc. 5. ' Ibidem, doc. 6. ' Ibidem, doc. 8. 'Ibidem, doc. 10.


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fermate le notizie della «poderosa offensiva che si starebbe preparando nel campo nemico contro la fronte dell'Isonzo», talché la situazione delineata «deve essere seguita con attenzione» 1• Dal canto suo, l'ufficio situazione minimizzava l'entità delle tnippe tedesche affluite, scartava l' idea cli un grosso sforzo avvers~u-io dal Trentino e, pur accogliendo le notizie di un attacco «in modo sicuro e senza alcuna riserva» sul tratto da Kal a Tolmino (Bainsizza), giudicava che la probabile offensiva austriaca, «in relazione ali' entità ed a.I valore delle forze che vi risultano disponibili, non potrà prefiggersi grandiosi risultati>>. Ed inclinava a dare credito alle voci che riducevano L'intenzione autriaca a ripristinare la situazione esistente nel maggio precedente. Quanto alla data, l'ufficio situazione riportava quella del l Ocome poco credibile, quella del 19 come probabile, ma propende0.i per l' ultima decade di ottobre 2• Il 10 ottobre l'ufficio situazione comunicò che nel Tirolo-Trentino sembrava potersi escludere per l' anno in corso un attacco avversario, specie considerando la stagione. Rimaneva <<( .. •) invece sul medio Isonzo una situazione più minacciosa. Vi è ormai accertata la presenza di una massa a .u., più o meno in efficienza, di 17 division i che potrebbero anche salire a 20, e di una massa di truppe germaniche non ancora bene precisata nell a sua entità. È pere> opinione diffusa di in formatori molto attendibi li, e.~pressa anche in qualche deposizione di prigionieri, che la raccolta di una siffatta massa di forze non sia stata fatta con intenzioni offensive, ma piuttosto a scopo difensivo, per arginare cioè un'eventuale 12" battaglia dell 'Isonzo, temuta dal nemico, e da esso ritenuta molto prossima( ... ). Pare quindi di poter concludere che la spinta all'attuale concentramento di forze nemiche sul medio Isonzo debba ricercarsi in un concetto difensivo o controffensivo; non è però da escludere che, avendo gli Imperi Centrali ormai approntati tutti i mezzi per una seria e tenace di fesa, essi non pensino ad approfittare della situazione per muovere a loro volta ad operazioni offensive della cui portata non è possibile avere per ora un concetto esatto» ".

Francamente, simile conclusione - che potesse accadere qualunque cosa non appare accettabile. Infatti Cadorna vide ingrossarsi la minaccia: «Si rende molto probabile una grossa offensiva austriaca contro la 2" armata» scrisse a casa 4, e indirizzò a Capello una lunga lettera sulla quale ritorneremo 5 • Il promemoria ciel 13 ottobre desumeva dalle notizie ricevute che «l'offensiva austriaca dovrebbe iniziarsi fra il 16 ed il 20 corrente, [e] si può concludere che un'azione offensiva nemica nel settore da Tolmino a M. Santo debba considerarsi come molto probabile e prossima» '·.

' L. C APELLO, Note di guerra cit., II, pp. 308-311. 'USSI\1E, Relazione t!}Jiciale cit.. I V, tomo 3, pp. 92-93. Cfr. le infonnazioni date dal Comando 2' armata, ibidem, tomo 3 bis, doc. l 3 e 14. 3 Ibidem, IV, tomo 3 bis, doc. 15. 'L. CADORNA, Leuere famigliari cit., p. 225. ' USSME, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3, pp. 106-107. • Ibidem, pp. 93-94.


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Il 16 ottobre venne sottolineata la concordanza cli varie informazioni circa l'offensiva contro la 2' armata ma specificando due punti a nord di Gorizia: verso la Bainsizza e verso M. Santo. L'inizio, dapprima fissato per il 7 ottobre, poi spostato al 17, sembrava rimandato a fine mese 1• Cadoma accettò queste considerazioni. «Le informazioni giunte sino al 16 ottobre - scrisse più tardi - confermavano dal più al meno le precedenti. Mancavano però tutti quegli indizi che potevano indiscutibilmente assicurare l'approssimarsi di una grande operazione». Per contro l'attività della nostra aviazione forniva elementi che stavano ad indicare una «attiva preparazione di un'azione offensiva, che non avrebbe potuto avere inizio che verso la fine cli ottobre» 2• Il 17 ottobre l'insieme delle notizie circa un concentramento di truppe e di artiglierie fra Tolmino e Plezzo portava ad affermare che «non sembra fuor di luogo attribuire al nemico l'intendimento di contrastare una eventuale nostra avanzata con un'azione controffensiva diretta sul fianco sinistro ed a tergo delle nostre truppe operanti sull'altipiano della Bainsizza»! 3• 1118 ottobre si dette spazio alle discussioni fra una cinquantina di ufficiali austro-ungm"ici catturati in quel periodo dalla 2• annata. Nessuno metteva in dubbio una prossima offensiva austro-tedesco, anche senza poterne specificare l' entità; nessuno conosceva limiti ed obiettivi dell'operazione, però si parlava con insistenza della testa di ponte cli Tolmino e si pensava probabile il coinvolgimento della Bainsizza e di qualche tratto del Goriziano"'. Ma nei giorni 17 e 18 il generale Capello impartì disposizioni ai comandanti di corpo d'annata sulla base dell'ipotesi di un «massimo sforzo nemico dalla testa di ponte di Tolmino, estendendo l'azione con carattere probabilmente risolutivo più a nord, fino a M. Nero e, probabilmente, anche nella conca di Plezzo. È da presumersi, però, un'azione predominante nella zona di Tolmino appoggiata eia un'azione vigorosa pmtente dall'altipiano dei Lom>>. E formulò anche una valutazione: «un attacco nemico che dalla conca di Drezenca e dalla testa di ponte di Tolmino arrivasse al Kolovrat ed al Matajur sarebbe assai pericolosa perché, vincendo dalle alte val[j del Judrio e del Natisone, girerebbe tutte le difese della 2• e della 3• ~mnata» 5 • Infatti. Il 20 ottobre il Comando 2• armata comu1ùcò al Comando Supremo che, secondo un ufficiale czeco, presentatosi alle nostre linee sul Iv1rz1i, fra il Vodil e S.

' Ibidem, IV, tomo 3 bis, doc. 16. ' L. CAl)ORNA, La guerra alla fronte italiana cit., Il. p. 122. ' Commissione d ' inchiesta, Dall'lsoT1zo al Piave cii., l, p. 14. 'USSME, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3 bis, doc. 18 e 19. 5 Ibidem, doc. 41. Nel settore delIV corpo si riscontrava , in origine, un 'atmosfera piuttosto singolare. Secondo Capello, data la forza intrinseca delle posizioni «tutti vivevano ne Ua più serena tranquillità. Uno sfondamento a Plezzo e un attacco dello Sto! per la valle Uccea erano ipotesi inammissibili, che da Tot.mino il nemico potc-s se impadronirsi del Glogocak, dello Jeza, del Kolovrat o giungere a Caporetto era un'idea paradossale. La difesa riposava, più che altro, sulla forza naturale delle posizioni e sulla persuazione che il nenùco non avrebbe attaccato». (L. CAPELLO, Caporetto, perché? cit., p. 115.


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Maria doveva «incastrarsi contingente germanico imprecisato», destinato allo sfondamento in quel tratto di fronte con obiettivo il Kolovrat 1• La notte sul 2 1 due ufficiali rumeni disertarono sul Vodil, recando notizie dettagliate dell'intero piano offensivo e consegnando copia dell'ordine cl' operazione reggimentale, con relativi schizzi, per l' attacco contro il Mrzli e la retrostante linea di monte Pleka. Lo sfondamento, attuato con pruticolare forza e «.inaudita abbondanza delle artiglierie e bombarde» da nove divisioni tedesche nel settore Plezzo-S. Maria, doveva consentire di raggiungere nella prima giornata l'obiettivo di Caporetto. Nei giorni successivi la penetrazione doveva tendere allo sbocco nella pianura friu lana. Nel Trentino e nel Goriziano erano previsti attacchi dimostrativi. La data sembrava stabilita per il 25 o il 26 ottobre 2• AUe ore 5 del 23 ottobre venne intercettata sullo Sleme la frase convenzionale, conosciuta dal nostro servizio infonnazioni, «11 rancio deve essere prelevato al Vodih>, per indicare l'imzio dell'afflusso dei battaglioni in primo scaglione sulle basi di partenza. Alle 11 un'altra intercettazione indicò che alle ore 2 del 24 sarebbe cormnciato il tiro di preparazione. li che avvenne. Indubbiamente, pur con le inevitabili incertezze e Lacune tipiche di ogni ricostruzione di situazioni e di ogni valutazione sulle intenzioni dell'avversario, le notizie ricavate non difettarono né di tempestività, né di conferme, né di concretezza. La nostra relazione ufficiale ha puntato il dito contro l'idea preconcetta che impedì di collocare in un armonico quadro globale le informazioni, cosicché queste mancarono «di vigore orientativo e di capacità persuasiva» 3• È vero, tuttavia sembra doversi fare una netta distinzione fra Comando Supremo e Comando 2• armata. Il primo, spesso ben poco convincente delle sue argomentazioni, si mostrò scettico sulla probabilità di un'offensiva potente sul fronte dell'Isonzo sino alla vigilia della battaglia. Non per niente, ancora il 20 ottobre Caclorna scriverà al generale Capello separando la «ipotesi di una prossima offensiva nermca», per la quale impartiva generiche direttive circa l'azione della 2• annata, dal pericolo che «nel venturo anno si pronunciasse contro di noi uno sforzo imponente degli Imperi Centrali» •. Peggio ancora, nel primo pomeriggio del 23 ottobre, a Carraria, dopo un colloquio con Capello ed i comandanti del VII e ciel XXVII corpo cl'rumata, Cadoma dichiarò che la minaccia alla sinistra della 2• annata gli sembrava così azzardata da non escludere trattarsi di «una finta per coprire un'azione più potente su altra parte ciel fronte» , cioè sul Carso od anche a Gorizia 5 • E, ancora, il mat-

'USSME, Relazione 11./Jiciale cit., rv, tomo 3 bis, doc. 22. ' Ibidem, doc. 24 e 25. ·' USSME, Relazione ufficiale cit., lV, tomo 3, p. 97. ' Ibidem, pp. 114-l!S. 'Ibidem. p. 156.


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tino del 24, addirittura a battaglia cominciata, confermerà il suo scetticismo sulla ampiezza di nùre strategiche dell'offensiva avversaria, invitando a tener presenti le necessità di munizioni della «operazione ventura primavera» 1• Il Comando della 2• armata, invece, trasse ben presto deduzioni assai più pertinenti dalle notizie ricevute. Basti dire che fin dal 30 settembre Capello aveva delineato ai comandanti del IV corpo (gen. Cavaciocchi) e del XXVII corpo (gen. Badoglio) la «possibilità di un' offensiva austriaca partente dalla testa di ponte di Tolentino, offensiva che potrebbe tendere ad impadronirsi della testata di valle Juclrio ( ... )» 2 • E ben presto sia il comandante della 2• armata, sia i comandanti dei due corpi maggio1mente interessati, il IV ed il XXVII, guardarono con più spiccata attenzione i tratti ove, per l'appunto, il nemico sfonderà. Atmeno dall'8 ottobre il Comando 2• armata credette alla possibilità di un violento attacco da Tolmino 3 e dal giorno 11 si previde anche dalla conca diPlezzo, benché in fonna ipotetica e dubitativa, laddove il Comando Supremo continuava a ridurre i propositi austriaci alla riconquista della Bainsizza e, soprattutto, non escludeva l'estensione dell' offensiva fino al mare. Questa eventualità, in particolare, sembra avere preoccupato Cadorna sì da indurlo a prendere provvedimenti atti a respingere «qualunque attacco sulla fronte giulia», può attribuendo il dovuto riguardo al settore indicato come più minacciato. «È facile - ha osservato - il dire col senno del poi che non dovevamo attendere l'attacco che dalla regione Plezzo-Tol!nino; ma chi dirige le operazioni deve ragionare col senno del presente ossia sul fondamento degli elementi reali e possibili che gli sono forniti sul nemico dagli informatori e dal proprio raziocinio» •. Appaiono opportune alcune parole in merito all'atteggiamento di assoluta tranquillità, nei confronti dell'offensiva, manifestato da Caclorna. Il 30 settembre era rientrato a Udine da Roma, dove aveva esposto al Consiglio dei nùnistri la situazione militare ed i motivi che lo avevano spinto a passare alla difensiva 5 •

' Ibidem, p. 322. ' L. CAPELLO, Note di guerra cit., II, ali. 20, p. 331 . 3 li 7 ottobre Capello concesse una licenza al generale Cavaciocchi. Il giorno dopo. sentite le

informaziolli fomite da disertc>ri, lo richiamti im1T1ediatamente e Cavaciocchi riprese il comando del IV corpo l' 11 ottobre. 'L. CADORNA, Ln guerra alla fronte italiana cit., II, p. 128. Non dimentichiamo che Cadorna era fautore dell'attacco su ampia fronte per irrompere là dove trovasse un cedimento. > Secondo Bissolati, Cadoma «concluse dichiarando che nella difensiva il nostro esercito, sulle sue posizioni, avrebbe potuto resistere a qualsiasi urto degli austro-tedeschi». In quella circostanza Cadorna toccò anche il tasto «del1'<1vvelenamento dell'esercito» recato dai COITlplementi e da coloro che rientravano ai reparti dalla licenza. Avendo cit.at.o qualche episodio siciliano, Orlando «seppe di fendersi mostrando che non si trauava di movimenti politici, ma di cose locali di altro genere» (OLINDO l.VIALAGODI, Conversazioni della guerra cit., I, pp. 231-232, nota in data 8 dicembre 1917). fn merito alla propaganda disfaltista, Orlandv rece notaJe che essa appariva «fenomeno inarrestabile di cui non gli venivano offerte prove positive», che la depressione morale delle tmppe doveva ascriversi a fattori militari e che l'influenza negativa proveniva dal fronte verso il paese. piuttost.o che viceversa. Cadoma non volle replicare (Commissione d' inchiesta, Dall'Isonzo al Piave cit., TI. p. 517; cfr. L. CADORNA, Pagine polemiche cit... pp. 43-44).


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Le notizie trovate al Comando Supremo prospettavano l' abbandono da parte austriaca. almeno per il momento, dell'idea di una grande offensiva sull'Isonzo. Due giorni più tardi, le voci, riferite da fonte attendibile, dj un' offensiva austro-tedesca in grande stile dalla testa di ponte di Tolmino venivano minimizzate dall'ufficio situazione. Il 4 ottobre Cadorna lasciò Udine: «Adesso sto una quindicina di giorni a Vicenza - disse al colonnello Gatti -, verso il 20 tornerò. Vedremo che cosa farà il nemjco; metteremo un po' d'ordine alle cose, poi prenderemo i quartieri d'inverno. Allora cominceremo a rivedere il lavoro della storia. Passeremo così l'inverno» 1• Secondo il colonnello Gatti, Cadorna si recò a Vicenza «per riposarsi un poco». IL generale Faldella ha contestato la «grave inesattezza» di questa affemiazione, in quanto lo scopo dello spostamento di Cadorna sarebbe stato dovuto ad una ispezione nel Trentino, già in programma (ed in effetti fu svolta), «per assicurarsi personalmente che le porte alle spalle fossero ben chiuse» 1 . Non vediamo quale rimprovero si possa muovere a Cadoma per il bisogno di allentare per qualche giorno la tremenda tensione nervosa cui era sottoposto, tanto più che lo si è visto - non nutriva apprensione alcuna per la situazione ·1 e giornalmente era tenuto al corrente di tutto. Francamente, assai meno sembra giustificata la asserita necessità di ispezionare personalmente il fronte trentino, sul quale regnava la calma, piuttosto che il fronte dell'Isonzo, dove un'offensiva era data per probabile con sempre maggiore insistenza e tanto più che il responsabile di quel settore, il generale Capello, sofferente di nefrite, era costretto a letto, affidando il comando interinale dell'armata al generale Montuori. Sin dal la fine di settembre Cadorna era informato daU' ufficio situazione che, in paite per il riordino delle truppe austriache ed in parte per la stagione, nel Trentino non potevano verificarsi che azioni diversive. E da Vicenza I' 11 ottobre rispose ad Orlando, che gli aveva fatto cenno cli voci di offensiva nemica giunte a Roma: «(...) Malgrado tutto, io non sono alieno dal credere ad un bluff, nei quali i nostri nemici sono maestri, e vedo con piacere che anche Lei non lo esclude. Ciò non toglie che i.o non dovessi dare e non abbia dato tulli gli ordini per far fronte ad un attacco anche improvviso, prendendo le necessarie misure precauzionali anche sul fronte trenlino, per quanto l'imminente stagione nevosa renda improbabile un attacco da queste paiii ( ... )» ·•.

Il 13 ottobre Cadorna convocò i capi ufficio inforn1azioni della 1• annata (ten. col. Marchetti) e della 4• armata (col. Vigevano). Il Marchetti non solo tornò

'A. G.>\TTJ , Caporeuo cit., pp. 250-251 . ' E. F,\LDELLA, La gramle gu.erra cil., II, p. 19. 1 Cadoma rie ntrò a Udine il 19 ottobre . Il 22 scrisse a casa che il maltempo gli rendeva difficile una visita alle linee, «d'altra parte il mal.tempo ostacola questo attacco [austriaco] che non potrà aver luogo che nell'estate di San Martino, se pure quest'estate ci sarà» (L. CADORNA, Leuerefwnigliari cit., p. 225). ' ACS , Carte Orlando, b.2 (Cadorua).


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a confermare la calma assoluta regnante sugli Altipiani, ma, quando Cadorna chiese esplicitamente se ritenesse probabile una grande offensiva austro-tedesca sull'Isonzo, si dichiarò convinto, sulla base cli quanto gli constava, che l'offensiva si sarebbe pronunciata «e grande e presto» ' . ll 24 ottobre, verso le 18, Cadorna - secondo il colonnello Gatti - sarà ancora incerto se il nemico «faccia sul serio» a Tolmino o se faccia «un bluff'per attaccare altrove, per esempio sul Carso» 2• * * * Stranamente, nonostante la maggior chiarezza di idee nel Comando della 2• annata riguardo alle immediate possibilità di un'offensiva nemica, il dispositivo dell'armata stessa persisteva nel mostrare elementi di debolezza in campi diversi: schieramento delle truppe e delle artiglierie, diramazione di ordini, consisten7.a dei reparti, norme d'impiego. La soluzione da dare al problema difensivo, pur se orientata da direttive generali, era stata lasciata ai singoli Comandi d'armata e questo spiegava le differenze esistenti nei vari settori. Tuttavia comprendeva ovunque almeno tre linee: avanzata, di resistenza ad oltranza e di armata. Gli sbalzi compiuti nelle successive battaglie dell'Isonzo avevano inoltre provocato una serie di tratti di raddoppio e di compartimentazione, più o meno compresi nel sistema. La linea avanzata era in pratica determinata dalla congiungente dei punti sui quali si erano fermate le unità di fanteria nel corso degli ultimi combattimenti. Ne derivava lo scarso significato tattico rivestito in genere dalle posizioni su cui essa si snodava. In molti casi si trovavano in penosa soggezione di quota rispetto al nemico; in altri la vita di trincea era disagiata sino aJ limite del sopp01tabile. Particolarmente intensi erano i lavori sulla Bainsizza a causa dei noli propositi controffensivi. La linea di resistenza ad oltranza poggiava su posizioni naturali molto forti, scelte con attenzione e rese difficilmente superabili dai cospicui lavori di rafforzamento svolti da reparti del genio. Queste due prime linee si svolgevano interamente sulla sinistra dell'Isonzo a nord di Tolinino, poi passavano sulla destra, fronteggiando la testa di ponte austriaca, e infine ritornavano sulla sinistra a sud di Scio. In alcuni tratti la carenza di profondità o l'intrinseco valore impeditivo della zona avevano indotto a fondere la linea avanzata con quella di resistenza ad oltranza (da Cima Krasié a monte Nero, davanti alla testa di ponte di Tollnino, davanti al San Gabriele. La linea d'armata si appoggiava a posizioni solidissime, anche se le trincee erano costruite secondo il modello iniziale della guerra. Il suo significato difen-

' Tuu.10 M ARCHElTI,

Ve11to110 a1111i nel servizio i11fom,azio11i, Museo Tremino del Risorgi-

mento, Trento 1960, p. 265. ' A. GAlTI, Caporeuo ci t. , p. ~58.


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Le lince difensive sul fronte giulio.


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sivo era intermedio fra queUo di un' ultima resistenza ad oltranza e queUa di una posizione di contenimento. Complessiv,ui1ente il sistema difensivo era solidissimo nella 2" e nella 3" linea. [n qualche punto poteva e doveva esistere motivo di seria preoccupazione, ma ciò era dete,minato dal modo con il quale le linee erano presidiate: quella avanzata era occupata, le altre no. L'ordine di Caclorna era stato chiaro: concentrare ogni energia sull'organizzazione della difesa ad oltranza, lasciando poche forze «sulle posizioni avanzate». Capello lo attuò al solito a modo suo, prescrivendo di «iniziare la difesa fin dalle prime linee con la massima energia». 11 risultato fu una spiccata gravitazione delle trnppe sulla linea avanzata, con l'aliquota minore schierata e quella maggiore pronta al contrattacco di eventuali penetrazioni. Né il Comando Supremo dispose di ritirare i reparti sulla linea di resistenza ad oltranza, né i Comandi d'armata lo proposero. Le conseguenze si tradussero in pesanti inconvenienti.L'occupazione della linea avanzata generò fattori di elevata sensibilità nella conca cli Plezzo e davanti al la testa di ponte cli Tolnùno, proprio nei punti dai quali partì e si sviluppò la manovra strategica austro-tedesca. Lo sbocco dalla conca di Plezzo era sbarrato dall 'ottima linea di resistenza ad oltranza alla stretta cli Saga, senonché le truppe presidiavano la linea avanzata, la quale, per quanto bene appoggiata alle ali (monte Rombon a nord e monte Polonig a sud), nei tre chilometri della parte centrale si svolgeva in aperta pianura, battuta dalle vicine alture in mano nemica. Una rottura di questo centro avrebbe lasciato «per aria» le ali ed incontrato iJ vuoto sino a valle Uccea. Si aggiunga che sul nodo montano del Canin correva il li11ùte di settore fra la 2• armata ed il XIl corpo (Zona Carnia) disteso su un fronte alpino di un centinaio di chilometri, per cui, se la sinistra del IV corpo fosse stata costretta a ripiegare a causa dello sfondamento a Plezzo, l'attacco avrebbe avuto via libera per la valle Resia verso l'alto e medio Tagliamento. Davanti alla testa di ponte di Tolnùno la linea avanzata si trovava nella piana di Volzana in totale soggezione di vista e di tiro rispetto alle circostanti posizioni austriache. Rompendola, l'avversario poteva risalire l'Isonzo verso Caporello, alle spalle del IV corpo ecl accedere alle vie che scendevano !:ili Cividale e Udine o verso il Tagliamento; oppure poteva scendere l'Isonzo alle spalle del grosso della 2• armata e della 3• armata. Gli ordini di Capello per sbarrare la penetrazione su Caporetto furono contraddittori e, alla fine, male eseguiti. Subito a nord di Tolmino esisteva un altro tratto delicatissimo: la linea avanzata si trovava a mezza costa dello Sleme, del Mrzli e del Vodil in condizioni a dir poco pietose. Poiché in quella zona, a sud-est di Gabrije, correva il limite di settore fra IV e XXVII corpo, soltanto i l Comando d'amiata poteva ordinare ad entrambi i corpi di abbandonarla, per evitare all' uno o all'altro un fianco scoperto. In conclusione, unica di scarsa consistenza - e talvolta in modo accentuato - era la linea avanzata, purtroppo anche la sola ad essere permanentemente oc-


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cupata. Le altre due, assai forti, non erano presidiate: lo dovevano solamente se e quando richiesto daUe circostanze. Ciò significa che, qualora la fragile linea avanzala avesse ceduto di schianto - e tutti davano per scontato il successo iniziale dell'attacco nemico, data la violenza della preparazione - sarebbe mancato il tempo per attivare quelle retrostanti, che perciò sarebbero risultate inuti li.

Le riserve del Comando Supremo alla vigilia della battaglia comprendevano 1O battaglioni (tre alpini e sette cielisti) nel territorio della l • armata; 5 battaglioni ciclisti con la 4• armata; 2 divisioni di fanteria, 2 brigate non indi visionate ed 1 divisione di cavalleria nel settore della 2• armata, fra Cividale e Connons; 4 divisioni di fanteria, due delle quali inquadrate nel XXX corpo, ed 1 divisione di cavalleria nel settore della 3• armata, fra Palmanova ed il Tagliamento. · n criterio d'impiego si limitava all'eventuale intervento settoriale in caso di necessità ed alla sostituzione di unità logorate. I due complessi volti all'Isonzo, uno evidentemente orientato per intervenire sul medio Isonzo e l'altro sul Carso, si trovavano in massima parte addossati aU' orga1ùzzazione difensiva con il vantaggio di poter utilizzare le strade parallele al fronte come arroccamenti per gli spostamenti a favore della 2• o della 3" armata; ma con il grosso rischio di venir coinvolti in un improvviso sfond::unento delle lince, o avviluppati da una manovra strategica nemica ad ampio raggio. Per l'eventualità di un impiego verso l'ala sinistra della 2• annata esisteva inoltre l'inevitabile interferenza con i movimenti di carattere operativo e logistico della grande unità. La dislocazione delle riserve della 2° armata era rimasta fortemente influenzata dal disegno controffensivo di Capello, per cui il XIV corpo (sei brigate) si trovava a cavallo dell'Isonzo, fra Anhovo e Canale, a portata della Bainsizza, ed il XXVIII corpo (due brigate ed un raggruppamento alpini) fra Gorizia e Connons, a tergo dell 'VID corpo. Le riserve si concentravano dunque nella parte meridionale del settore dell' armata. Nulla era previsto a nord di Tolmino, a parte le riserve settoriali del IV e del XXYll corpo, per opporsi a penetrazioni verso il medio Tagliamento. Lo schieramento delle artiglierie, suddivise in due masse, l'una nell'ambito del XXVII corpo e l'altra in quello del II e Vl corpo, era anch'esso proiettato in avanti, al punto da presentare sulla Bainsizza, come sappiamo, batterie oltre la linea di resistenza ad oltranza. Peggio ancora, lo scaglionamento in profondità era modestissimo, tanto che lo stesso CapeUo il 9 ottobre l'aveva giudicato «eccessivamente offensivo». Esso comprendeva i calibri minori e le bombarde aridosso della linea avanzata, i pezzi da campagna in genere a tergo della linea di difesa ad oltranza ed i raggruppamenti d'armata o di manovra a non più di due o tre chilometri dalle posizioni avanzate. In parte queste caratteristiche derivavano da una mentalità e da un'abitudine create da undici battaglie offensive combattute su quel medesimo scacchiere, in parte dalla concezione controffensiva di Capello, troppo tm·cli rifiutata esplicitamente da Caclorna. Lo schieramento con cui l'artiglieria della 2" armata affrontò la 12• battaglia era quello, pressoché inalterato, con il quale si era conclusa la battaglia del-


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la Bainsizza. Dopo il 10 ottobre furono ritirati dalla Bainsizza e dal Goriziano 120 pezzi di medio e grosso calibro su 730 esistenti nel XXIV, Il, VI ed Vlll corpo, e non per far loro prendere posizione più arretrata, bensì per rinforzare il IV corpo. Siccome il provvedimento fu deciso ali' ultimo istante, le batlerie non g iunsero in tempo per partecipare alla lotta del IV corpo e, per di più, provocarono intralcio ed ingorgo del traffico in un momento estremamente critico . L'impiego dell'artiglieria non si discostava dai criteri in vigore negli altri eserciti. Il tiro di preparazione consisteva in un violentissimo bombardamento esercitato su tulli gli elementi vitali della difesa, dai reticolati alle zone di dislocazione delle riserve settoriali, nonché sulle batterie ritenute più pericolose. Esso preludeva direttamente all' assalto delle fanteri e. Però la sua durata non segui va r~gole fi sse; a volte durava alcuni giorni, in altre occasioni era brevissimo. Nel primo caso la fanteria si portava sulle basi di partenza solamente verso il suo termine; nel secondo caso, invece, si muoveva subito per essere pronta a scattare ali ' assalto. Il difensore, che cercava di stroncare l' attacco con la contropreparazione, di retla essenzialmente sulle trincee di prima linea, di fronte alla non conosciuta durata del tiro di preparazione si trovava nella incertezza sul momento più conveniente per aprire il fuoco. Se la preparazione nemica fosse durata giorni il consumo di munizioni poteva diventare insostenibile e scarsamente producente. Di solito, specie quando le opposte linee erano relativamente vicine, l'allungamento del tiro poteva significare il momento dell 'assalto, ma spesso l'attacco cercava di ingannare la difesa allungando il tiro e poi riportandolo indietro, oppure sospendendo la preparazione per riprenderla all'improvviso dopo una pausa più o meno lunga. Insomma, per la difesa molto dipendeva dalla sensibilità dei comandanti de ll' artiglieria. Se temevano l' attacco, tendevano ad ordinare subito la contropreparazione ; se invece nutrivano dubbi sulla sua imminenza, tendevano a ri tardare l'ordine. La scelta, o meglio la decisione sulla linea di condotta da tenere era anche fortemente influenzata dalla disponibilità delle munizioni. Il Comando 2• armata aveva da tempo stabilito di dare poco spazio al tiro di contropreparazione a favore di un violentissimo sbarramento davanti alle posizioni avanzate per arrestare la fanteria nemica lanciata all'assalto. Di nom1a ai medi calibri competeva la contropreparazione ed ai piccoli calibri spettava lo sbarramento, ma era tutt'altro che semplice, specie di notte od in presenza di nebbia, afferrare i due distinti momenti per l'apertura del fuoco, tanto più che in campo italiano esisteva una scarsissima dimestichezza con l'azione difensiva 1• *

* *

' C fr. E. CAVICil.lA, La dodicesima barwglia cit., pp. 87-97.


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LA PRlMA GUERRA MONDlAlE

Il 18 settembre, ripetiamo, Cadoma aveva ordinato alla 2• ed alla 3° armata di «concentrare ogni attività nelle predisposizioni per la difesa ad oltranza», il

che comportava ovviamente una revisione dei dispositivi. La direniva era, invero, piuttosto generica, giacché non stabiliva alcun preciso indirizzo per l'impostazione di una battaglia difensiva, né j comandanti d 'armata si sentirono indotti a diramare un preciso ordine d 'operazione. Comunque il duca di Aosta si attenne fedelmente alla direttiva ed i suoi successivi ordini furono ad essa intonati. 11 generale Capello, invece, fu spinto dalla sua indole ad «interpretarla» '. Il giorno precedente, in vista di una ventilata azione austriaca sulla Bainsizza, aveva manifestato il suo pensiero ai comandanti dei corpi d'armata schierati sull'altopiano: il XXVTI, il XXIV ed il II corpo dovevano «fare argine» per guadagnare due o tre giorni, sufficienti per consentire un contrattacco della riserva cl' armata «nella direzione più opportuna». In sostanza, «lo schieramento deve provvedere ad assicurare la difesa della fronte ed a preparare la grande manovra controffensiva ( ... )» 2• Ricevuta, però, dal Comando Supremo la comunicazione della rinuncia alla prosecuzione dell'offensiva e del passaggio alla difensiva, il mattino del 19 settembre Capello si recò a Udi11e e, nel colloquio che ebbe con Cadoma, spiegò i suoi propositi circa la difesa della Bainsi:lZa, consegnando anche uno schizzo indicante le linee difensive: quella raggiunta dalle truppe avanzate (Selo-Kal-est di Podlaka-est di Zagorije-pendici occidentale del San Gabriele, linea bisrro); quella di di fesa ad olu·anza (Kracl Vrh-Siroka Nijva-Osceùrik-Jelenik-Kobilek-Yodice-M. Santo, linea gialla) ; quella di protezione delle artiglierie, nel tratto Sleme-Madooi-Gargaro (linea auurra), ove le artiglierie del li e del XXIV corpo erano schierate davanti alla linea di resistenza. Caclorna condivise l' illustrazione fattagli: «Nel!' eventualità di un· offensiva nemica in grande stile, approvo che la difesa ad oltranza dcli' altipiano di Bainsizza si svolga nella zona indicata nello schizzo che V.E. mi ha personalmente rimesso e che risulta compresa rra la linea azzurra( . .. ) e la linea gialla ( ... ). L'attuale linea delle truppe bistro è invece da considerarsi come un 'occupazione avanzata: pertanto essa sarà presidiata da poche forze che dcwranno resistere fino a che sar:ì possibile, ma non essere rinforzate, pena un precoce dannoso logoramento dell'energia della difesa ( ...)».

In merito alle artiglierie, volle avvertire che, essendo quelle della 2" armata «di gran lunga esuberanti» alle necessità di una valida resistenza, si riservava, qualora si fosse mostrato indispensabile dover rinforzare gli schieramenti delle altre armate, di togliere alla 2° «almeno 270 pezzi di medio calibro e almeno 15 batterie di piccolo calibro» ,_

' L'espressione è di E. FALDELL,,, La grande g11erra cit., Il , p. 21. 'L. CAPf;LLO, Per la 11erità cit., pp. 257-261. ' USSME, Relazione 11.IJiciale cit., IV, tomo 3 bis, doc. 31. Sul momento Capello tacque, ma il 1° 011ohre, profil andosi sempre più definita la minaccia, chiese la sospensione del lo spostamento almeno fino a situazione schiarita (L. C APEU.o, Capore110, perché? cit., p. 101).


DAI.L'ISONZO AL PIAV E

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Nel pomeriggio Capello parlò nuovamente ai comandanti già convocati il 17 e partecipò loro che «per speciali condizioni sopravvenute occorre, per il momento, che sul concetto offensivo che era allo studio abbia il sopravvento un concetto difensivo-controffensivo». Bisognava completare, prima di tutto, con la massima cura la linea di resistenza ad oltranza, dando ugual carattere alla linea di protezione delle ruiiglierie. Poi chiarì che «siccome il nostro concetto atruale non è offensivo, ma di difesa manovrata», i comandanti dei corpi d'annata dovevano esruninare l'opportunità o meno di arretrare le artiglierie troppo avanzate, fermo restando il principio di «lasciru·e avanti quanto è necessario per garantirci le posizioni e poter passru:e alla controffensiva». Capello concluse la conferenza ammonendo che «se il concetto difensivo ci deve guidare in questo periodo, in doi tutti deve essere sempre presente il concetto controffensivo, che deve essere quello animatore» '. Nelle sue memorie Cadoma scrisse di aver trovato il pensiero espresso da Capello in questa riunione pomeridiana assolutamente in linea con le proprie direttive. L'accenno alla d ifesa manovrata, cioè fondata sulle reazioni di movimento, non gli panie tale da suscitare dubbi di errata interpretazione delle direttive. E nemmeno la frase di lasciare avanti, delle artiglie,ic, «quanto è necessario per garantirci le posizioni e poter passare alla controffensiva» gli fece supporre che, a dispetto del «perentorio e chiaro mio ordine del 18 ottobre, il generale Capello meditasse ancora di lasciare avanti tutte o quasi le artiglierie pesanti per poter procedere a lla controffensiva in grande stile; ché se l'avessi sospettato sarei tosto intervenuto» 2 , Veramente non si può sostenere che questo fosse il preciso intento di Capello; infatti aveva esplicitamente demandato ai comandanti di corpo d'armata, d'intesa con il comandante dell'artiglieria d'annata, l'esame e l'indicazione dello schieramento ritenuto più consono alle circostanze. Non sappiamo in quali termini si sia svolto il colloquio del 19 mattina a Udine. Tuttavia ci sembra che, anche volendo ammettere una certa evasività del comandante della 2• armata, la sola constatazione di una inconsueta «linea di protezione delle artiglier ie» sullo schizzo consegnato eia Capello in quella occasione avrebbe dovuto indun-e a chiedere specifici chiarimenti sulla questione e sulla portata della divisata controffensiva. A complemento e confem1a di quanto detto nella citata conferenza del 19 pomeriggio, il 22 settembre Capello riepilogò gli ordini impartiti circa l'assetto difensivo da dare al terreno conquistato durante la t 1° battaglia. L'apprestamento della linea avanz.ata era affidato ai Comandi di corpo, mentre i lavori sulle due linee arretrate (che avevano in comune la parte sud-orientale del monte Santo ed il tratto Oscedrik-Siroka Nijva), entrambe variamente raccordate, si svolgevano

' USSME, Relaz,ùme 11/ficia/e cii., IV, tomo 3 his, doc. 32. ' L. CADORNA, Pagine polemiche c ii., p. 316.


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.ALTOPlANO della

BAINSIZZA Scala I: 200.000

Le linee dife nsive sull 'altopiano della Bai nsizza. Linea bistro • • • • • • • • • _• Unea az:;11rra ______ Linea gialla _ _ _ _ _ _


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sotto la direzione e la responsabilità del comandante del genio d'armata. Tutte le linee dovevano comprendere «fasce multiple ed imponenti» di reticolati, caverne numerose e vaste, nidi di mitragliatrici e depositi di vario tipo, nonché essere raccordate da strade. Ma nella circolare del Comando 2• armata figurava, con molta evidenza, un principio sulla cui base venivano prescritti lavori per uno scopo differente: «Quanto sopra non ci deve far perdere di vista la possibilità di un'offensiva alla quale dobbiamo tendere e che potrebbe maturarsi anche pr.ima di quanto non si creda». Così, nel settore del VI corpo la sistemazione difensiva doveva essere coordinata con «avanzamenti offensivi» tendenti ad avviluppare la posizione di S. Caterina; in quelli del Il, del XXIV e del XXVII corpo i lavori per la preparazione offensiva dovevano mirare a consentire il raggiungimento degli obiettivi già indicati a suo tempo. «Ripeto - chiuse Capello - che oltre i lavori difensivi si deve tendere ad organizzare la linea avanzata delle fanterie come linea di partenza per azione offensiva, quindi vi si debbono costrnire caverne offensive, capaci di mantenere al coperto truppe d'attacco» 1• Il documento fu inviato per conoscenza al Comando Supremo. Da un calcolo compiuto dal Comando genio della 2• armata, e trasmesso al Comando Supremo il 30 settembre, i lavori sulle linee azzurra e gialla, iJ cui sviluppo si aggirava sui 75 chilometri complessivi, avrebbero conseguito un discreto grado di efficienza entro due mes i e sarebbero stati completati entro non meno di quattro mesi 1 • Considerando che il computo comprendeva naturalmente anche i lavori per la «preparazione offensiva» e vista l'insistenza delle voci di un prossimo attacco austriaco, è strano che il Comando Supremo non abbia quanto meno imposto la precedenza all'apprestamento difensivo. Ad ogni modo 1'8 ottobre Capello, mostrando di attribuire una non trascurabile attendibilità a qneste voci, rivolse una «comunicazione urgente» (f. 5757) ai Comandi dipendenti per stabilire alcu1ù concetti di fondo: difesa iniziata sin dalle prime linee con la massima energia ma senza esaurire le truppe; condotta della resistenza basata essenzialmente sui contrattacchi ai fianchi delle eventuali penetrazioni nemiche; arresto delle irruzioni compiuto sulle «linee retrostanti»; effettuazione dei contrattacchi anche ad opera di unità dei settori viciniori. Detto questo, Capello cambiò nettamente tono: «Non bisogna dimenticare - ricordò - che spesso un'offensiva nemica arginata e paralizzata può dare favorevole occasione per una più grande azione controffensiva». Ed indicò gli obiettivi di contrattacco dei corpi d'annata: per il XXVH ed il XXTV, il bordo orientale dell' altopiano della Bainsizza; per il II corpo, la soglia di Ravnica. Il IV corpo, a nord, e l'VIII, a sud, dovevano sostanzialmente attenersi alla difensiva ' ·

' Ibidem, doc. 33. ' Ibidem, doc. 34. ' L. C APELLO, Note di guerra cit., fl. ali. 11 . Cfr. USSME. Relazione ufficiale cit., IV. torno 3, pp. 102-104.


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L'indomani, in un'altra conferenza a Cormons, dal suo letto, Capello formulò la previsione di un'offensiva austriaca di rilevante portata a breve scadenza (8-1 Ogiorni), non escludendo l'eventualità di una vigorosa puntata anche prima. Stando così le cose, «quando il pericolo è previsto e si è preparati cessa di essere un pericolo e diventa un'occasione favorevole. Occo1Te soltanto essere pronti e noi dobbiamo esserlo non solo per la difensiva, ma anche per la controffensiva». Era presunùbile un attacco dalla testa di ponte di Tolmino per avvolgere l'altopiano sino a.I costone M. Santo-Yodice, sfondando le Linee del XXvrr corpo sulla sinistra dell'Isonzo; oppure un doppio avvolgimento da nord e da sud, sfondando rispettivamente le linee del XXVII e del II corpo. Il possesso della conca di Yrh (XXlV corpo) avrebbe consentito la manovra controffensiva. Si poteva, peraltro, pensare anche ad un'operazione strategica partente da Tolm.ino in direzione di Cividale, con obiettivo il nodo montano della testata dello Judrio, ma questa ipotesi era «già stata considerata a fondo» ed i lavori difensivi ordinati appunto in relazione a questo pericolo. Il generale Badoglio doveva studiare bene la questione e riferire. Neppure adombrato era il verificarsi di un attacco nel settore di Plezzo, all' ala sinistra del IV corpo. Sulla base di queste conclusioni, Capello impartì direttive per lo schieramento delle artiglierie, per la dislocazione delle riserve e per l' apparato logistico. Lo schieramento delle artiglie1ie in atto era eccessivamente offensivo, quindi occorreva modificarlo, almeno in parte, per adattarlo al compito di fensivo [L' ordine di Cadorna di passare alla difesa ad oltranza] ed insieme per consentire la manovra controffensiva «in modo non solo da arginare, ma da ributtare e guadagnare terreno. Non deve quindi essere né troppo ardito né eccessivamente prudenziale; deve invece permettere la validissima difesa e la fulminea controffensiva». Sulla linea avanzata le batterie di medio calibro dovevano essere sostituite da quelle più leggere. Per le riserve era prevista la dislocazione di tre nuclei, rispettivamente a tergo del XXVII, del XXIV e del il e VI corpo. Quanto aHe predisposizio1ù di natura logistica, vista l'esperienza del 1916 nel Trentino, «oltre l'Isonzo deva stare soltanto l'indispensabile, tutto ciò che è inutile deve essere sgombrato» 1• Cadorna ricevette l'ordine n. 5757 dell'8 ottobre ed il riassunto della conferenza ciel 9 a villa Camerini, ove si era portato il 5 ottobre. Lesse i documenti e vide chiaro il proposito di Capello di sfeITare una controffensiva di armata, ma pensò trattarsi di una reazione dinamica da eseguire dopo che l'offensiva nemica fosse stata «già arginata e paralizzata», ossia di una reazione da porre in atto a ragion veduta, a seguito della difesa ad oltranza prescritta il 18 settembre. Di conseguenza, questa controffensiva di armata, alla quale avrebbero certo con-

' USSME, Relazione 1ifficiale cit.. IV, tomo 3 bis, doc. 37.


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Gli opposti schieramenti il 23 ottobre 1917.

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corso le riserve del Comando Supremo, costituiva un secondo tempo e ad essa «si sarebbe pensato poi, secondo il risultato raggiunto colla difensiva» 1• È difficile capire in qual misura Cadorna abbia soppesato i documenti. Che sia sorta in lui qualche perplessità sembrerebbe evidente, posto che, invece di chiedere chiarimenti, si ritenne in diritto di credere che la sua risposta a Capello, con cui impartiva disposizioni di carattere strettamente difensivo, «bastasse a dileguare qualsiasi equivoco». In merito allo schieramento delle artiglierie, ancora «eccessivamente offensivo» per ammissione dello stesso Capello, la notizia «essendo stata scritta nel largo sunto di una conferenza, anziché nelle direttive dell'8 ottobre, mi è probabilmente sfuggita - spiegò Cadorna - , occupato com'ero, in quel momento, in ricognizione lungo la fronte trentina» 2• Il motivo addotto appare poco convincente, perché il capo di Stato Maggiore doveva esprimere l'approvazione o non del pensiero del comandante della 2• armata. Cadorna rispose il I O ottobre in questi termini: «(. . .)Concordo con codesto Comando nel ritenere pOS$ibi1e una offensiva nemica su codesto fronte e sopratruno nel giudicare necessari ed urgenti rutti i provvedimenti intesi a rronteggiarla adeguatamente. A questo fine bene rispondono le direttive n. 5757 diramate J'8 corr. ai Comandi dipendenti cd inviatemi in comunicazione. Le approvo in massima e, particolarmente, richiamo l'attenzione di codesto Comando su alcune questioni di importanza capitale per la condotta della difesa (... )» '·

I punti fenn.i erano i seguenti: resistenza sulla linea avanzata affidata a poche truppe ben sorrette del fuoco delle mitragliatrici e dell'artiglieria; gravitazione delle forze del XXVII corpo sulla destra dell' Isonzo; batterie di medio e grosso calibro sulla Bainsizza limitate a quelle più mobili e, comunque, pronte ad un tempestivo ed ordinato ritiro; violentissima contropreparazione nostra, concentrando il fuoco delle batterie pesanti can1pali e pesanti al fine di «disorganizzare ed annientare l'attacco prima ancora che si sferri; disorganizzazione cd annientamento che il nostro poderoso schieramento di art iglieria sicuramente consente». Cadorna ricordò che l' attacco della fanteria austriaca era solito partire «dopo brevissima preparazione». Non collegò questo particolare alla precedente prescrizione, eppure era importante. Se occorreva utilizzare l'intero poderoso fuoco cli artiglieria per annientare l'attacco già al suo nascere, liUlla Bainsizza bisognava lasciare qualcosa di più delle batterie di medio calibro più mobili. E se

' L. CADORNA, Pagine polemiche cit., p. 318. ' A paniaJe sua scusante, Cadorna rilevò che criteri così importanti non dovevano trovar luogo in una conf"crenza, bensì nelle direttive (Pcigine polemiche cit., p. 3 17). Si può concordare, ma en-

tro certi limiti. li riassunto, fumato da Capello. era documento ufficiale. Piunosto, c'è da meravigliarsi che nessuno degli ufficiali che Cadoma aveva seco abbia fatto notare la palese inosservanza delJ · ordine del 18 settembre. ' L. CAOORNA , Pagine polemiche cit., p. 333. nota I. Cfr. L. CAPELLO, Caporetto, perché'. Einaudi, 1orino I967, p. 342.


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la preparazione nemica era brevissima, necessariamente la contropreparazione della 2• armata doveva essere immediata per non risultare tardiva. Innegabilmente Cadorna perse, o non volle cogliere, l'occasione per risolvere subito la divergenza concettuale. È possibile che non abbia percepito i segni di un orientamento mental.c non in sintonia con la propria decisione; è probabile che abbia prestato scarsa attenzione aJ riassunto della conferenza, a causa della relativa importanza che attribuiva ad un'azione nemica limitata aUa Bainsizza; è sicuro che il suo atteggiamento nei confronti di Capello era ben diverso rispetto a quello tenuto con gli altri comandanti d' annata. Basterebbe a dimostrarlo il fatto che, nonostante lo sapesse seriamente sofferente, non lo sostituì nell'incarico e lasciò che dal IO ottobre il generale Montuori esercitasse il comandofoterinale dell'a1111ata sotto l'occhio di Capello per quanto atteneva alle operazioni. I motivi psicologici di tale riguardo sono accennati apertamente dallo stesso Cadoma: al riconoscimento delle notevoli capacità militari e dei successi riportati da Capello, si univa la consapevolezza del1a latente rivalità provocata dall'ambizione di questi. Qualunque atto di diretto controllo rischiava di essere strumentalizzato quale gelosa e meschina interferenza nell'opera di colui che da molti, anche in ambito politico, era indicato come il successore designato, e che non aveva fatto mistero di essere stato fermato dal Comando Supremo a Gorizia e sulla Baiusizza quando stava per cogliere la piena vittoria strategica. Peggio ancora se Io avesse sostituito, sia pure a causa della comprovata grave malattia '. Ricevuta la lettera di Cadoma, Capello da un lato ricavò motivo di credere che i suoi propositi incontrassero la piena approvazione del Comando Supremo; dall'altro notò la contraddizione fra la violentissima contropreparazione da svolgere e lo sgombero dall'altopiano della maggior parte dei pezzi pesanti e pesanti campali 2• Ed anche rilevò che nessuna concessione di rinforzi - della cui necessità finora non aveva fatto parola - , indispensabili per la controffensiva di armata, gli veniva fatta. Non essendo in condizioni di alzarsi dal letto, chiese che il capo di Stato Maggiore venisse a Cormons per un urgente colloquio chiarificatore. Andò a trovarlo il generale Porro (11 ottobre), il quale rife1ì immediatamente a Cadoma. Premesso che Capello stava meglio e che tre o quattro giorni di riposo sembravano sufficienti per la ripresa del comando(?), il sottocapo rifcrl che:

' Il generale Capello fu costretto a letto dal 4 al 18 ottobre, il 19 si recò a Udine per un colloquio con Cadoma, il 20 venne ricoveralo in clinica a Padova, la notte sul 23 tornò a Cormons per riassumere il comando dell 'armata, il 25 ripartì per Padova a causa dell ' aggravarsi delle sue condizioni. 2 Capello sottolineò questa contraddizione con considerazioni di natura tecnica davanti alla Commissione d" inchiesta per Caporeuo. Cadoma replicò che se riteneva contraddittori gli ordini ricevuti avrebbe dovuto chiedergli spiegazioni e lui gli avrebbe dimostrato l'inesistenza di contraddizione. Ma il ragionamento addotto non convince (USSl'vfE. Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3 bis, doc. 39.


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«(... )Generale Capello ha accennato che qualora preveduto attacco nemico avesse a manifestarsi avrebbe in animo sviluppare manovra controffensiva da fronte XXVII corpo et per fare ciò sentirebbe necessità conservare in quel settore su sinistra Isonzo congrua quantità a11iglierie».

Il prosieguo del telegramma suscita più di una perplessità. Il generale Porro aveva ricordato a Capello che sulla sinistra del fiume dovevano rimanere solo le a1tiglierie mobili indispensabili, ma si era astenuto dal chiedere «ulteriori schiarimenti circa suo concetto di manovra per non affaticare ammalato» l '. In ultimo, preoccupato per una «possibile diversione nemica nella conca d.i Plezzo», Capello aveva chiesto per quel settore un rinforzo di uno o due gruppi alpini. Il Comando Supremo aderì alla richiesta e dispose il trasferimento del II grnppo alpini dalla 1° al la 2• annata. Però non sollevò obiezioni né domandò precisazioni sulla controffensiva ciel XXVU corpo in direzione nord-est sulla Bainsizza, pur sapendo che per esplicito ordine del capo di Stato Maggiore detto corpo avrebbe dovuto tenere la maggior pmte delle sue trnppe sulla destra dell'Isonzo. Il 15 ottobre, saputo della perdurante assenza cli Cadoma da Udine, Capello chiese un nuovo abboccamento con il sottocapo. Non potendo il generale Porro assentarsi dal Comando Supremo, si recò a Cormons il colonnello Cavallero, addetto all'ufficio operazioni cli guen-a. Gli argomenti esposti da Capello nel lungo colloquio erano connessi con una premessa di carattere operativo: wia risoluta controffensiva costituiva il mezzo più sicuro per rintuzzare l'attacco avversario; la conca di Vrh si prestava benissimo quale base per tale controffensiva; le possibili direttrici puntavano verso est (Veliki Vrh e oltre) e verso nord-est (Ravnica e oltre); occorrevano artiglierie e, soprattutto, bisognava tenere gli schieramenti sulla Bainsizza relativamente avanzati per poter soffocare l'attacco sul nascere. Inoltre, sempre in previsione dell'attacco nemico, Capello chiedeva fin d'ora un altro corpo d'annata su tre divisioni. Non intendeva utilizzarlo in un compito di difesa statica, ma disloc,ufo dietro la regione del monte Jeza (ovest di Tolmino), pronto ad attuare «a buon momento la fulmineità della controffensiva» 2• Cadoma fermò la sua attenzione su una frase del promemoria con il quale il generale Porro lo metteva al corrente della conversazione Capello-Cavallero: «( ... ) il generale Capello ha ripetuto [corsivo nostro] che egli considera unarisoluta controffensiva come il mezzo più sicuro per rintuzzare l'attacco nemico; e che tale controffesa egli si propone cli sviluppare dalla conca di Vrh ( ... )». Si chiese se la controffens.i va in questione fosse prevista dopo l'arresto del!' offensiva austriaca oppure se l'intenzione era di lanciarla proprio all' inizio della rnos-

' USSME, Re/azione ufficiale cit., tomo 3 bis. doc. 39. ' Ibidem , IV, tomo 3, pp. !09-110.


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sa avversaria. Concluse che doveva trattarsi del primo caso, perché in armonia con la lettera di Capello dell' 8 ottobre 1• Rispose di conseguenza ed il suo telegramma «sconvolse» Capello. Se attaccato, egli doveva fare assegnamento sulle forze di cui disponeva. Unici rinforzi, almeno per ora, erano il Comando VTI corpo d'armata (gen. Bongiovanni), senza truppe, per l' inquadramento della progettata massa di manovra, più un reggimento di artiglieria da campagna e due gruppi d'artiglieria da montagna. Tutto qui 2• «Si ammetteva ancora la manovra e non me ne venivano dati i mezzi)} si dolse Capello J, e nei giorni 17 e 18 indicò ai comandanti di corpo dipendenti le linee generali del piano di difesa «forzatamente modificato». In sostanza, considerando il massimo sforzo nemico dalla testa di ponte di Tolmino, esteso sino al monte Nero e probabilmente anche a Plezzo: resistenza manovrata in ogni tratto della linea di resistenza ad oltranza; incapsulamento nella conca di Drezenca, ad opera del IV corpo, dell'eventuale penetrazione nel monte Nero; schieramento del VII corpo sul costone Mataj ur-Kolovrat-passo Zagradan, con il compito di costituire rinforzo alle a li interne dei corpi IV e XXVII, presidiare quelle posizioni di seconda linea e manovrare controffensivamente al momento opportuno; controffensiva d'am1ata da predisporre tempestivamente e partente dalla conca di Vrh, cd appoggiata da un forte complesso di artiglieria stabilito in detta conca. Tre le possibili direttrici: verso nord-est per paralizzare un anacco proveniente da S. Lucia; verso est per rompere le lince austriache e puntare al Vallone di Chiapovano; verso sud-est per mettere piede sull 'altopiano di Ternova e puntare sulla grande linea difensiva nemica dell'altopiano. Più probabile la direttrice verso nord-est ". 11 18 ottobre, davanti ad un quadro reso sempre più preciso dalle molteplici informazioni, il Comando Supremo si decise finalmente a fare il punto della situazione e chiese al Comando 2• armata, per le ore 12 del 19, la trasmissione d i tutti gli ordini e d isposizioni diramati dopo la conferenza tenuta dal generale Capello il giorno 9 ottobre ai comandanti di corpo d'armata. L'indomani ebbe luogo il colloquio fra Cadorna, rientrato da Vicenza, e Capello. li riepilogo dei

' L. CAOORNA. Pagi11e polemiche cit., p. 323. Secondo la Commissione d'inclùesta, in questa circosta.11za «sembrò che il generale Capello, nell'intenzione di riprendere l'offensiva che era in fondo ai suoi desideri , temporeggiasse per superare quell a che egli ri teneva una crisi del pensiero del generale Cadorna, e nascondesse le proprie precise intenzioni». Perciò, a questo proposito, Cadorna avrebbe detto: «Del resto il gener.de Capello deve obbedire; se non obbedirà, non ostante tulla la riconoscenza che gli devo. lo tratterò come gli altri; qu i si tratta di una questione molto grave e uno solo deve comandare» (Dall'Isonzo al Piave cit. , 11, p. 290). 'USSME. Relaziu11e ufficiale cit., IV, tomo 3, p. 11 1. ' L. CAPELLO, Caporello, perché? cit.. p. 105. «V.S., se auaccato-diceva il telegramma di Cadorna - può fare assegnamento sulle forze di cui anualmeate dispone. colle quali perw1110 è 11eces· sario proweda alla cosri111 ~ione della r1roge11ara massa di manovra» (corsivo nostro). ' USSM E, Relazio11e ufficiale cit. , IV, tomo 3 bis. <loc. 41 .


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concetti fondamentali circa l'azione difensiva della 2" armata fu messo per scritto da Cadoma il giorno 20, come «Direttive per la difesa»: «( ...) J1 disegno di V.E. di contrapporre all'attacco nemico una controffensiva di grandissimo stile è reso inattuabile dalla presente situazione della forza presso le unità di fanteria e dalla gravissima penuria di complementi '.V.E.conosce l'una e l'altra, e sa che per questo appunto ho dovuto con grande rammasico rinunciare alla seconda fase della nostra offensiva, fase che si delineava promettente di fecond i risultati. Ciò posto, è necessario ricondurre lo sviluppo del principio controffensivo, base di ogni difesa efficace, entro i reali confini che le forze disponibili consentono. D progetto della grande controffensiva d'armata ad obiettivi lontani deve essere abbandonato (.. .). Trovera1rno posto, invece, nel quadso di una tenace difesa attiva, risoluti contrattacchi ( .. .), ma con carattere locale, contenuti cioè entro il raggio tattico ( ... ). Per tutte le esigenze di una siffatta difesa i 336 battaglioni di cui l 'a.imata dispone debbono largamente bastare. V.E. tenga presente che se nel venturo anno si pronunciasse contro di noi uno sforzo imponente degli Imperi Centrali, la necessità di fronteggia.i·e attacchi in altre direzioni [cioè dal Trentino] e di conservare una potente riserva generale a mia disposizione non mi consentirebbe certo di lasciare su codesta fronte, per la difesa ad oltranza, forze pari a quelle che ora vi si trovano( .. .)» 1 .

Ogni possibilità di equivoco cessava. Ma era tardi. Capello masticò amaro, ritenendo che, con il rifiuto di consentire una controffensiva d 'armata, gli venisse tolto «il più valido e sicuro elemento di successo» 3. Cadorna aveva esplicitamente scartato la soluzione data da Capello al proprio problema operaùvo, senza però fornire alcun concreto indirizzo per la battaglia difensiva. I «concetti fondamentali» da lui stabiliù si limitavano ai seguenti: no alla controffensiva d'armata; sì al contrattacco in campo tatùco; piena sufficienza delle forze e delle aitiglierie della 2• armata per le necessità cli una resistenza ad oltranza; previsione di un prossimo invio di alcune migliaia di complementi. Queste non possono chiamarsi direttive! Molto probabilmente lo sforzo austro-tedesco non era visto come imminente e tale previsione impedì la percezione della gravità del momento. Anche in tema di 1iserve si riscontrava una certa lentezza psicologica nel!' adeguarsi alle prospetùve suggerite dalle infomiazioni sul nemico, per incerte che potessero apparire. La previsione di una potente offensiva avversaria nella primavera ciel 1918 aveva sostanzialmente conùnuato a pesare su costituzione e dislocazione della riserva generale.

'Nelle tre battaglie sostenute dal maggio al seuembre l'esercito aveva perduto circa 350 mila uomini: 132 mila morti e feriti e 25 mila dispersi nella IO' battaglia; 24 mila morti e feriti e 2 mila dispersi ali ' Ortigara; 148 mila morti e feriti e I8 mila dispersi nella l I" battaglia e nell'attacco al San Gabriele. La forza presente dei reparti di fanteria superava di poco la metà dell'organico. ' USSME, Relazione 1(/}iciale cit., IV, tomo 3, pp. 114-115. Il 24 onobre i battaglioni erano saliti a 353 con 2.500 pezzi e 1.134 bombarde. 3 L. C APEI .LO, Caporetto, perché? cit., p. l 07.


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ALTOP(ANO d.(.ilo.

f>A lNSt7.ZA

Le previste direttrici di coutroffeusiva della 2' am1ata sulla Bainsizza.

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Le tmppe tenute dal Comando Supremo a propria disposizione non possedevano i requisiti di una vera riserva. Si trattava di unità logore e stanche, da poco ritirate dalle trincee indipendentemente dai leganti organici, il loro livello ordinativo non superava la brigata, mancavano di coesione e di efficienza. Il 20 settembre Cadoma aveva preavvisato le armate 2• e 3• di voler costituire, appena possibile, una riserva del Comando Supremo di circa 200 battaglioni, attingendo alle due annate. Per il momento chiese alla 3• m111ata due divisioni senza artiglieria '. Il 3 ottobre, «essendo ormai avviata la sistemazione delle nuove linee», impartì gli ordini per il passaggio a disposizione del Comando Supremo dei seguenti Comandi e unità: dalla 2• annata: un Comando di corpo d'arn1ata con i corrispondenti servizi; 5 divisioni, complete di servizi ma senza artiglierie; un reggimento bersaglieri e due gruppi alpini; dalla 3• annata: due Comandi di corpo d'armata con i relativi servizi; 5 divisioni complete. Data di esecuzione del provvedimento il 20 ottobre. A partire da tale giorno i due Comandi d'annata «dovranno provvedere alle esigenze del proprio schieramento unicamente colle forze che rimarranno a loro disposizione dopo effettuate le cessioni di cui sopra». Naturalmente anche le riserve d'armata dovevano essere tratte dalle forze rimaste. In realtà - ha spiegato Bencivenga - il progetto di costituire una riserva generale cli 15 divisioni derivava da un piano dì sistemazione invernale, studiato nell'agosto precedente in relazione alla constatata necessità di 1iordinare e riprendere alla mano le divisio1ù quando venivano ritirate dalla Linea per il previsto turno di riposo. Non esisteva, dunque, un nesso fra le disposizioni di natura difensiva e la questione della riserva 2• Per tale motivo l'articolazione rispondeva principalmente alle esigenze di un serio addestramento e l'attuazione venne prevista senza alcuna fretta. Il gruppo centrale - tre corpi d' armata su due divisioni ciascuno, agli ordini del sottocapo di Stato Maggiore 3 - denominato armata C.D. (corpi a disposizione) doveva dislocarsi a cavallo del medio Tagliamento in località adatte per costituire «comodi campi di istruzione (in massima uno per ciascuna divisione di fanteria)». Le rimanenti truppe si suddividevano in tre gruppi minori, i quali rimanevano nell' ambito ed alle dipendenze amministrative e disciplinari rispettivamente delle armate 1•, 2• e 3". l Comandi cl' armata potevano avvalersene unicamente per effettuare cambi di unità in linea, beninte-

' USS!YIE, Relazione ufficiale cit.. IV, tomo 3 bis, doc. 27. ' R. BENCIVENCA, ù1 sm7Jresa strategica di Caporeuo cii., pp. 39-40. 3 Si noti che Cadorna aveva pensato di porre al comando della riserva il sottocapo di Stato Maggiore dell'esercito e di dargli come capo di Stato Maggiore il generale addetto aJ Comando Supremo. Cosicché al Comando Supremo sarebbe rimasto un solo generale: Cadorna! Per inciso, il generale Porro declinò J' incarico.


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so con l'immediato reintegro; l'impiego era riservato al Comando Supremo 1• Peraltro l'ordine non ebbe esecuzione in quanto si giudicò che la minaccia nemica interessasse, per le sue prevedibili caratteristiche, assai più le annate che il Comando Supremo. * * * Fra il 20 ed il 21 ottobre la prevista offensiva austro-tedesca acquistò toni più definiti grazie al gran numero di disertori che confermavano le notizie già raccolte, e l'attenzione generale si portò di colpo sulla testa di ponte di Tolmino e sulla conca di Plezzo. Cadoma, fino a quel punto astenutosi dall'interfe1irc sul dispositivo della 2• armata (che conosceva dalle situazioni grafiche da questa inviate al Comando Supremo), adesso volle infomiazioni, se non proprio garanzie, sull'efficienza della linea Stol-Volnik-m. Cuccopasso Zagradan-Globocak-Korada-Platùna (linea d'annata) ed in patticolare del tratto m. Cucco-Globocak, fronteggiante le provenienze da Tolmino 2 • Poi si recò direttamente al Comando del IV corpo, fece alcuni rilievi sullo schieramento, ordinò che venisse occupata con la massima urgenza la stretta di Saga e dispose che il Comando d'armata rinforzasse il IV corpo con una divisione tratta dal VII corpo, che in cambio avrebbe ricevuto la 62• divisione dalla J: annata 3• Quindi mise in guardia il XII corpo (gen. Tasso1ù), in Carnia, affinché provvedesse ad assicurare l'inviolabilità delle testate delle valli Dogna-Raccolana e Resia, nonché il collegamento tattico con il IV corpo, e st11diasse la possibilità di azioni controffensiva contro il fianco destro di un'eventuale penetrazione austro-tedesca dalla conca di Plezzo verso Saga ·•. Anche il generale Capello stava correndo ai ripari, ma erano tutte misure prese frettolosamente, sotto l'imperiosità del troppo tardi riconosciuto pericolo e perciò inorganiche e confuse, con ripensamenti repentini, non rinunciandosi alle velleità controffensive. Il maresciallo Caviglia riconobbe che «tutte le disposizioni date dopo il giorno 21 furono tardive, per cui alcuni reparti e le batterie non giunsero in tempo al posto loro assegnato, oppure non ebbero agio di orientarsi, cli eseguire i ti1i e cli fornirsi cli munizioni» 5•

1

USSt..1E, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3 his, doc. 28 e 29. Ibidem, doc. 43. 1 Ibidem, doc. 46. 'Ibidem, doc. 45. li gen. 1:1ssoni rispose che l' unica possibilità di un'azione nella conca di Plezzo era legata alla praticabilità della Sella Prevala, in quell'epoca fortemente innevata. Comunque avrebbe av uto bisogno di almeno 6 battaglioni, di cui 3 alpini, e di 3 hat1erie da montagna. Ovviamente non ebbe nulla. ' E. C,WIGLI,\, La dodicesima bauaglia cii., p. 80. Alle conferenze pomeridiane che Capello teneva al Comando d 'annata, partecipavano i comandanti di corpo, i loro capi di Stato Maggiore ed i loro comandanti d 'aitiglieri:1, il che significa che per quel giorno tutLO si bloccava o quasi, in attesa degli ordini che sarebbero stati impartiti. Il maresciallo Caviglia ha giuswmenle osservato che, a quel punto, sarebbe stato preferibile l'invio di direttive, ordini, disposizioni per scritto, lasciando i comandanti di corpo al loro lavoro (ibidem, p . 75). 2


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Nella notte sul 23 Capello, tornato da Padova, riprese il comando dell'armata. Di buon mattino si recò al Comando Supremo ed ebbe un colloqu.i o con Cadoma, di cui alle 11,30 fece cenno al generale Cavaciocchi, quando si recò con Montuori al Comando del IV corpo: «Come al solito - raccontò Capello - , per prima cosa mi ha fatto una sfuriata, ma poi mi ha dato tutto quello che volevo» 1• Gli ordini verbali che impmiì furono subito confermati da direttive scritte «nella dannata ipotesi che il nemico riesca a sfondare». Il VII corpo doveva assumere la difesa di tutta la linea da sud di M . Jeza al Matajur, collegandosi con il IV corpo per dominerà con il sistema Matajur-Cin1a Stariski lo sbocco da Caporetto e coprire la linea del Natisone, con un'eventuale reiterazione sul fronte Matajur, monte Mia 2• Tuttavia tre precisazioni complicavano queste direttive [corsivi nostri] : <<(.. .)Ciò ben s'intende 11011 vuol dire che si debba a priori distendere tutte le U"L1ppe sulla fronte indicata, anzi la grandissima; maggioranza di qt1este deve essere tenuia alla mano per poter manovrare. Ricordo ancora una volta che nella manovra e nella controffcsa sta l' essenza della difesa ( . . .). La difesa della conca di Caporctto ( ...)ripiegandosi la sinistra( ... ) dovrà esercitarsi ulteriormente sul fronte Mataj ur-M.Mia in tal caso l' azione sulla <lestta del Natisone cade nella competenza del N corpo d 'am1ata (... ). Ricordo infine la necessità di economizzare le forze ( . ..) dando tempo ai Comandi Superiori di intervenire con le loro riserve( ... )».

Da un lato sembravano eliminate le non poche incertezze destate dal precedente ordine del 17 ottobre: «sorreggere le difese avanzate, costituire un rinforzo dietro le ali del IV e del XXVII corpo d'armata e manovrare controffensivamente a momento opportuno»; ma in realtà sussistevano precisi motivi di perplessità. Come conciliare le esigenze imposte dall'organizzazione di una difesa statica con quelle del contrattacco e con quelle di un movimento .retrogrado? Pensare di essere in grado di scegliere ed attuare prontamente la linea di condotta ritenuta del caso, sotto la pressione del nemico, presentatasi improvvisa e forte, aveva i l sapore di un ottimismo fuori luogo. Riepilogando, alla vigilia della 12• battaglia la precisazione del Comando Supremo di considerare inattuabile la controffensiva d'annata pose improvvisamente la 2" armata nella necessità di rivedere i11termnente lo schieramento, del tutto sbilanciato a sud di Tolmino, con una linea avanzata a prevalente carattere offensivo. Ma il dispositivo dell 'annata derivava da un insieme di ordini solo genericamente improntati al criterio della grande controffensiva partente dalla Bainsizza. Non esisteva un vero e prop1io progetto in tal senso e, a quanto ptu·e, in Capello non si era sciolta l'incertezza fra una controffensiva «in tempo» o a pe-

' P.

ASTENGO,

l a relazione Cavaciocchi sulla balta.glia di Caporello, Ipotesi, Rapallo 1982,

p. 8.

'USSME, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3, pp. ll8-ll9 (corsivi nostri).


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netrazione nemica arrestata. Se al Comando Supremo può essere addebitato il ritardo nel chiarimento, al Comando della 2• armata spetta la critica maggiore di non aver tempestivamente presentato un esplicito disegno operativo con relativa richiesta di mezzi cli vario genere. Dopo tutto il Comando Supremo era stato chiaro nell'ordinare il passaggio alla difesa ad oltranza pura e semplice. Il generale Faldella ha riconosciuto il dissidio concettuale esistito sino al 19 ottobre fra Cadorna e Capello, però ha negato che possa avere influito sull'impianto della battaglia. Capello, difatti, pur avendo parlato a più 1iprese di controffensiva, in realtà mai aveva diramato ordini e soltanto il J.5 ottobre chiese i rinforzi che riteneva necessari. Ricevuto, il 19, il netto divieto alla controffensiva d'annata, non ne infonnò subito i comandanti cli corpo, benché Cadorna gli avesse detto cli farlo . Fu il 23 ottobre, e sulla spinta di nuove informazioni fornite da dise1tori ausu·iaci, che comunicò di aver abbandonato il «concetto» della controffensiva d'annata. Ma non modificò né abrogò ordini precedenti perché non ne aveva dati 1• A prescindere dal fatto che proprio per l'assenza di predisposizioni, impossibili eia improvvisarsi all' ultimo momento, è stata ravvisata un'incertezza di fondo di Capello sull'ru·gomento, sembra indubbio che la 2• armata fosse orientata a sferrare una controffensiva dalla Bainsizza con i corpi XX.VII, XXIV e II. Per l'appunto tale orientamento cond.izionò la dislocazione delle riserve. È vero che comunque consentiva di bloccare qualsiasi tentativo di sfondamento nel Go1iziano, però era innegabile il prevedibile tardivo intervento nell'alta valle Isonzo ed alla testata ciel Natisone e del Torre. Come si è accennato in precedenza, il 23 ottobre Cadoma si recò a Carraria, presso Cividale, dove stava trasferendosi il Comando della 2• annata, ed alle 14 conferì con i generali Capello, Badoglio e Bongiovanni. L'incontro è stato riferito in vari modi. Il capitano Sforza, ufficiale di collegamento fra il Comando Supremo ed il Comando XXVII COL})O d'armata, ha fornito una descrizione fortemente drammatica del convegno. Egli si trovò presente perché invitato dal generale Badoglio a seguirlo, quindi è in qualità di testimone oculru·e che ha preso nota dei fatti. Peraltro il suo racconto, così come ci è stato proposto 2, presenta strane incongruenze che inducono a considerarlo con una ce1ta cautela. Prima di tutto l'incontro viene collocato nel pomeriggio del 22 ottobre, il che è errato perché vi partecipò Capello, il quale solo alle 2,30 del 23 aveva ripreso il comando della 2• annata. Inoltre Cadorna è detto «in quei giorni» assente da Udine ed atteso di rientro da Vicenza, mentre era tornato al Comando Supremo il 19. A prute ciò, lo Sforza ricorda che, durante il tragitto in macchina con Badoglio, in valle Judrio incrociarono reparti in marcia verso il fronte. Erano male

' E. FALDF.LLA, La grande guerra cit. , 11, pp. 33-35. Badoglio a Caporetto in «L' Astrolabio» 25 dicembre 1964, pp. 23-25.

' ALESSANf>RO SFORZA,


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in arnese e palesemente stanchi e Badoglio, impressionato da quel quadro, si fece cupo e, coprendosi il volto con le mani, avrebbe esclamato: «È venuta l'ora del castigo, abbiamo giocato tutti a mosca cieca, tutti ce la siamo data ad i1Jtendere gli uni con gli altri, e ora è finita, non c' è più nulla, neanche lo stellone». In quel momento, ptima ancora della battaglia, un siffatto desolato pentimento da parte di Badoglio francamente non ha senso. Potrebbe aver motivo d ' essere solo se collocato il 24 sera od il 25, ma non il 23. Alla palazzina del Comando, il generale Capello ed il colonnello Cavallero stavano attendendo Cadorna, il quale arrivò poco dopo, accompagnato dal colonnello Gabba. Il racconto testuale dello Sforza è il seguente: «C!pello parlò con accento grave della situazione, ma senza retorica e senza recrinùnazioni. "Abbiamo la manovra -diceva - ci resta la manovra, e le vittoriose Divisioni della Bainsizza in piena efficienza nella loro dis locazione potranno calare come una sarncincsca (ricordo questa parnla) sulla sinistra dei reparti nemici avanzati , sulla Jeza e a Foni". "E lo Jeza ed il Kolovrat e lo Zagran [sic1 ed il Mia e lo Sto] - gridò Cadorna - e i mie i ordini! Mio padre ha preso Roma e tocca a me perderla!". Seguì un silenzio profondo» '.

Rammentando che nella mattinata Capello era stato al Comando Supremo ed aveva parlato con Cadoma; che questi aveva appena ordinato al VII corpo la difesa di tutta la linea da sud dello Jeza al Matajur «nella dannata ipotesi che il nemico riesca a sfondare»; nonché ordinato al IV corpo l' occupazione dello Stol e di M. Mia ed assegnato due gruppi alpini e 17 batterie per rafforzare la difesa di queste posizioni e di Saga 2; il grido di Cadoma appare di difficile spiegazione. Per giunta, M . Mia era situato a sud e al di fuori della linea d ' armata prescritta dal Comando Supremo. Capello avrebbe subito assicurato: «Abbiamo tutto predisposto per le Hnee di resistenza», ma «Avete alterato i miei ordini - replicò Cadorna - ed ora correte ai ripari quando non vi è più tempo». A parte la mancata precisazione degli ordini che sarebbero stati alterati, si impone una domanda: solo allora Cadorna si sarebbe accorto di tale alterazione? Il 19 aveva ricevuto notizie dettagliate e tranquillizzanti dai colonnelli Testa e Calcagno, del Comando Supremo, inviati ai corpi d'armata di sinistra e di centro della 2• annata; il 21 aveva avuto un colloquio con il generale Montuori a Udine e chiesto notizie sulle condizioni della linea d ' annata; il 22 si era recato a Creda, al Comando del IV corpo per esaminare la situazione con il generale Cavaciocchi e, dopo aver ordinato di chiedere al Comando d'armata una brigata per tenere saldamente la stretta di Saga, aveva concluso: «Ma che il nemico voglia cacciarsi nella conca di Plezzo io non ere-

1 Piero Pieri riporta il discorso di Capello con un' interpolazione:«(...) sulla sinistra dei reparti avanzanti, annientati dalle nostre artiglierie e fermati dalle nostre divisioni sullo Jeza ed a Foni ( ... )» (P. PlEIU e G. ROCHAT, Badoglio, UTET, lorino 1974, pp. 310-311). 2 USSME, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3, pp.1 35-136.


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do ancora ... Se poi i tedeschi vogliono attaccarci, vengano pure; li faremo prigionieri e li manderò a passeggiare per Milano» '. Nonostante, dunque, da quattro giorni stesse esaminando, o meglio controllando il nostro schieramento, solo adesso si accorgeva che qualcosa non era stata posta in essere secondo le sue cliretti ve? Al termine del colloquio Cadorna, avvicinatosi al generale Badoglio e postagli una mano sulla spalla, gli avrebbe chiesto: «Chiel, chiel, l'on caf'Cl chiel? Lei, Lei, cosa fa Lei?». «Io - avrebbe risposto Badoglio - sono a posto, ho tutto predisposto, sono tranquillo, non mi manca nulla». E poi avrebbe proseguito con un sorriso ttltero: «Ho soltanto dimenticato di predisporre un campo di concentramento prigionieri per j nemici che cadranno nelle nostre mani». Questa battuta fuo1i luogo è possibilissima, però non risulta affatto in sintonia con «l'ora del castigo» citata in precedenza. Infine, fra lo sbalordimento dei presenti, Cadoma si sarebbe allontanato con il colonnello Cavallero, il cui viso era stravolto, senza nulla di conclusivo aver detto a Capello, dopo l'accusa di aver travisato gli ordini. Il che è assai strano. Le altre versioni sono molto più stringate. Il diario storico del Comando Vll corpo d'armata riporta questa sintesi del generale Bongiovanni: «Alle ore 14 S .E. il Generale Cadoma ( ... ) si reca a Carraria sede di questo Comando, per conferire col sottoscritto e col generale Badoglio, comandante del XXVII corpo d 'annata. S.E. esamina nlinutamente la situazione in base ai dati di fatto e alle notizie che si hanno sul nemico e sul progetto d'azione e conclude che se non verrà meno la vigilanza e se le truppe faranno il loro dovere la minaccia austro-tedesca non può avere probabili tà alcuna di successo. Aggiunge ancora che tale minaccia gli sembra così azzardata da non escludere che si tratti di una finta per coprire uu'az.ione improvvisa e più potente su un altri punto della nostra fronte ( . ..)»'·

Cadorna, dal canto suo, si Lin1jtò a 1icordare che il generale Badoglio si era mostrato animato «dalla più grande fiducia» ' e la Commissione d'inchiesta riportò la frase finale di Cadorna al colloquio cli Carraria: «Per poco che le truppe tengano, non c'è nulla da temere)) 4. Partito Cadoma per Udine, Capello tenne a sua volta una riunione ai comandanti cli corpo d'annata. Riportiamo buona parte della conferenza perché si-

'P. ASTENGO, Relazione Cavaciocchi cit., p. 7. 'USSJ.'v1E, Re/azione ufficiale cit., l V, tomo I. p. 156. ' L. CADORNA, La guerra al/a fronte italiana c it., H, p. 162. Che il generale Badoglio si sentisse più che sicuro è attestato anche dall'allora ten. col. Geloso. capo di Stato Maggiore della 65" divisione (dislocata sulla Bainsizza). Incontralo il 2 1 o 22 ottobre sull' Ostry K.ras Badoglio, questi «nel dirmi come si stesse attivamente e particolam1cntc occupando della difesa del fronte della 19' divisione (testa di ponte di Tolrnino), dove, per dati assai attendibili riteneva che si sarebbe sferrato con la maggior violenza l'attacco nemico, mi confermò la sua sicurezza nella nostra resistenza. E la sua fiducia era da tutti condi visa(.. ,)» (CARLO GELOSO, La 65" divisione, CCSM, Roma 1934, p. 67). 'Commissione d ' inchiesta, Dall'Isonzo al Piave c it., Il, p. 73.


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gnificativa di come ai suoi occhi, ma anche a quelli dei suoi dipendenti, si presentasse l'imminente prova bellica. Disse subito che l'offensiva austro-tedesca appariva di notevoli proporzioni sia per quanto concerneva le forze impiegate, sia in relazione agli obiettivi presumibili. Era accertata la presenza tedesca, probabilmente di 9 divisioni; delle forze austriache, fra il Rombon e Tolrnino risultavano presenti 6 divisioni. «adunque nessuna preoccupazione circa il rapporto di forze», concluse, specialmente tenendo conto dell'inferiorità morale degli austro-ungarici rispetto a noi. Poi continuò: «( .. .)Quanto agli scopi, essi nùrano a risultati strategici.

Noniè chi non veda che sboccando dalla testa di ponte di Tolmino e raggiungendo le posizio· ni del Kolovrat-Matajur-M.Mia quali gr.andi vantaggi si ottengano a tutto nostro danno; danno per la 2• e 3• am,ata ( ... ). Come ho dello, il nemico tende alla sinistra del nostro schieramento e più propriamente sulla destra del IV corpo e su ll a sinistra del XXVII: pare anche che tenti un attacco concomi.tante verso la conca di Plezzo per raggiungere la stretta di Saga. Se dovessimo ascoltare le notizie, verso Plezzo sarebbero destinate tre divisioni, ciò che evidentemente è esagerato. Pare certo che vogliano tentare di far cadere M. Nero agendo per la conca di Drezenca. Naturalmente il Comando Supremo ed il Comando 2" rumata hanno seguito gli apprestamenti ncnùci ( ... ) addensando sulla sinistra dell'aimat.a i mezzi necessari c prendendo tutte le misure per paraxe l'attacco, per inl"rangerlo sul nascere, per respingerlo; del resto vi è da pensare che in una bauaglia dal!' azione così vasta se, mettiamo, si perdesse la conca di Plezzo nessun mutamento ne verrebbe alla s ituazione generale( .. .). Nel complesso lo schieramento generale è buono e prudenziale. Si è già predisposta la occupazione delle linee di difesa con una sottile maglia di truppe. Dico subito che non intendo sia falsato il conceuo nel senso di stendere tulle le !ruppe sulle linee difensive( ... ) perché il grosso, il grosso va tenuto neHe mani del comandante per la manovra( . . .). Sono state imbastite le maglie della occupazione a difesa della stretta di Saga, sul Polounik, sullo Sto!, sul Matajur, stù M. l\1ia e sono siate messe artiglierie in posizioni ardile nella conca di Plczzo per sfn1ttare al massimo e sino all'ulti.11)() momento tutto il loro prezioso rendimento. Pertanto le predisposizioni prese ci consentono di guardare gli eventi con serenità e fiducia. Per le protezioni dalle offese della lesta di ponte di Tolnùno abbiamo buone dil"ese sul Pleka ed abbiamo in seconda linea il Vll corpo d 'annata al quale in seguito darò altre a1tiglierie. Venendo al resto del l"ronte la situazione è immutata, le lince conosciute, le zone probabili di irruzione conosciute, schieramento di truppe ed artiglierie ottimo, perciò non vi trattengo. Loro saru10 che nel conceuo del Comando dell'armata vi era la controffensiva strategica; portare cioè, mentre si para r anacco che sferra il nemico, lo sforzo su un punto della fronte nemica per creare lo squilibrio e per procurarci vantaggi. Considerazioni però d i varia indole hanno consigliato escludere il concetto di tale azione in grru1dc stile ( . .. ). In merito al modo di esplicarsi della resistenza ad ollranza, insisto che essa dovrà essere falla verso le prime linee; intendiamoci, rare la difesa verso le prima linee significa mettersi in condizioni di sferrare il contrattacco con sicura probabilità di riuscita( .. .). Sembra accertato che il nem.ico dopo quattro ore di tiro a gas asrissianti esegua un'ora e me,;zo circa di fuoco tambureggia.ile. L'eccessiva brevità di durata di questo tipo ci porta a due considerazioni: - per sferrare J'auacco dopo 5 ore 1/2 di fuoco le truppe debbono essere molto serrate sulla prima linea. Noi terremo presente questa circostanza per aprire il fuoco di controprepara,:ione sulle trin· ccc di partenza e sulle zone di raccolta del nemico poco dopo iniziato il bombardamento, tenen· doci pronti ad eseguire violentissinù tiri di sbarramento appena il nenùco accenni a muoversi o meglio appena si ha indizio che il nemico accenni a muoversi;


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- poiché le trnppe nemiche sono serrate molto sotto alle prime linee, alle nostre truppe rimarrà a disposizione un tempo brevissimo per guarnire le trincee. Noi quindi dovremo metterci in condizione di esercitare la massima vigilanza in trincea durante il tiro nemico ( .. .)» '.

In sostanza: niente controffensiva strategica dalla Bainsizza, resistenza ad oltranza «verso» le prime linee, inizio della contropreparazione «poco dopo» l' apertma del fuoco di bombardamento nemico, violentissimo sbarramento al primo «indizio» che il nemico accennasse a muoversi. Concetti chiari, ma di applicazione soggettiva. Molto irnpo1tante era la disposizione che tendeva a semplificare l'intervento dell'artiglieria: bastava aprire il fuoco con tutte le batterie non appena l'avversario desse il via al bombardamento. Secondo il maresciallo Caviglia «quest'idea passò inosservata o non fu intesa come un ordine» 2, oppure, rientrando ai rispettivi Comandi a tarda ora, i comandanti di corpo d' am1ata non ebbero il tempo di diramare gli ordini relativi in modo così netto da eliminare qualsiasi incertezza sull'apertura del fuoco. Le informazioni sul nemico davano per quasi sicuro l'inizio alle ore 2 del 24 di un bombardamento della durata di quattro ore con un tiro prevalentemente a gas, e verso le 6 di un brevissimo (una o due ore) tiro di distruzione. Su queste basi la sera del 22 il generale Montuori aveva diramato gli ordini in tema d 'impiego dell'artiglieria. In sintesi, non appena il nemico avesse cominciato il tiro di distruzione i mezzi di medio calibro e le bombarde dovevano aprire il fuoco sulle linee nemiche, mentre i piccoli calibri ed i medi a tiro rapido si sarebbero messi in condizione cli scatenare il tiro di sbarramento al primo sintomo del1' assalto 3• Poco persuaso di dover attendere le ore 6-6,30 per fare entrare in azione i medi calibri, il generale Ricci, comandante l'rutiglieria dell'annata, interpellò .il capo di Stato Maggiore, il quale confermò l'ordine. Di conseguenza, sia il generale Badoglio sia il generale Cavaciocchi la stessa sera prescrissero che i medi calibri intervenissero all'inizio del tiro di distruzione. II non aver Capello corretto esplicitamente quanto indicato da Montuori poté dunque far sorgere l' equivoco sull'inizio del tiro cli contropreparazione: al principio ciel bom.bardamento o delji.wco tambureggiante, per usare le espressioni di Capello? A confem1a dell'equivoco- che davvero non sarebbe stato difficile chiarire immediatamente! - il 6° raggrnppamento d'assedio, alle dirette ciel Comando artiglieria dell'armata, non intervenne quando cominciò il bombardamento a gas ". Per quanto un ce1to nervosismo affiorasse nell'immediata attesa dell' offensiva austro-tedesca e trasparisse nelle frettolose disposizioni prese in extre-

' USSME, Relazio11e ufficiale cit., IV, tomo 3 bis, doc. 50. ' E. C,Wl<iLI A, La dodicesima battaglia cit., pp. 96-97. ' USS.ME, Relazio11e 11.fficia/e cit., IV, torno 3, p. 118. 'Ibidem, p. 148. Cfr. N. PAPAF,WA, Da Caporeuo a Viuorio Veneto cit., pp. I IO-I 13; F. FArnN I, Caporetto dalla parte del vincitore cit., pp. 252-253.


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mis, è innegabile che Comando Supremo, Comando d'armata e Comandi di corpo d'armata si accingevano alla prova con assoluta fiducia in se stessi, nelle uuppe e nell'organizzazione in atto. Questa fiducia poggiava anche su determinati dati d'esperienza. Il rapporto di forze, considerando le truppe in grado di trovarsi sul campo di battaglia in 24 ore, era più che favorevole perché dal Rombon a Tolmino presentava 195 battaglioni italiani contro 169 avversaii; le posizioni naturali sulle qualj si imperniavano le linee di resistenza ad oltranza ed' am1ata possedevano indiscutibile robustezza intrinseca; le grandi battaglie combattute anche sul teau·o d'operazioni occidentale attestavano che dopo un limitato, inevitabile, successo iniziale l'attacco si arenava contro le linee anetrate a causa del fuoco d'arresto e dei contrattacchi. Bi~ognerebbe concludere che, essendo tutto previsto e preparato, anche per fronteggim·e l'attacco avversario a nord di Tolmino, nessuna sorpresa fosse possibile. Purtroppo le predisposizioni erano sminuite da intrinseche carenze. Ma nessuno, occorre riconoscerlo, avrebbe mai potuto immaginare che in dodici ore sarebbe stata sfondata persino la linea d'armata! II 23 ottobre Cadoma ragguagliò il ministro Giardino sulla situazione: «Le mie previsioni si avverano. Il nemico ha onnai completato sulla fronte giulia il concentramento di forze e di artiglieria da me segnalato s in dal J.8 seuembre u.s., e sta per scatenare l'attacco( ... ). Tale offensiva si dovrebbe svilu ppm·e sull'intero fronte da Plezzo al mare, con preponderanza di sforzo fra la conca di Pleizo e la testa di ponte di Tobrùno, entrambe comprese: obiettiv i principali la dorsale del Kolovrat e la linea Matajur-M. Mia, per poi invadere la pianura girando da nord le nostre linee di difesa dell' intera fronte giulia (2" e 3" armata). L'azione principale dovrebbe essere sussidiata da attacchi diversivi in Carnia, in Cadore ed in Tren tino ( ... ). Nel tratto di fronte compreso fra la conca di Plczzo ed il Vippacco - tratto dove dovrebbe pronunciarsi il maggiore sforzo nemico - lo schieramento delle ai1iglierie avversarie è stato potentemente rafforzato e sarebbero anche entrate a farne pa1te un centinaio di batterie tedesche . Nello stesso settore le forze nemiche assommerebbero oggi ad un totale di 365 battagliorù, di c ui 82 germanici( . .. ). ( . .. ) Ho tuttavia preso provvedimenti tali che mi consentono di attendere l' u1to nemico con la serena fiducia di poterlo respingere vittoriosamente(... ). L'attacco nemico ci trova preparati, armati di uno sch ieramento di artiglieria adeguato -se pure non abbondantissimo specie nei piccoli calibri - e con una sufficiente disponibilità di munizioni. Solo motivo di seria preoccupazione è la deficienza di complementi ( .. .). Se avrò, come non dubito, tale concorso da parte dell' E.V. ho ferma fiducia che lo sforzo che ci apprestiamo a compiere sai·à vittoriosamente superato. Prego V.E. di voler dare comunicazione di quanto sopra a S.E. il Presidente del Consiglio dei Ministri»'.

' USSME, Relazione uffìdale cit. JV, tomo 3 bis, doc. 51. Come si vede Cadorna non fece cenno del persistente scetticismo di cui aveva fatto mostra quello stesso giorno al Comando de l Vll corpo.


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2. LA 12a BATTAGLIA DELL'ISONZO Secondo il generale von Cramon, dopo l'll" battaglia dell'Isonzo al Quartier Generale Imperiale austro-ungar.ico cresceva ogni giorno di più il numero di coloro che vedevano in un'offensiva la soluzione migliore per uscire dalle difficoltà in cui la lotta sulla Bainsizza aveva lasciato le truppe del generale Boroevié. A prescindere dall'andamento assunto dalla linea sulla quale adesso si fronteggiavano gli avversari, il logorio umano danneggiava assai più gli austriaci che non gli italiani. Anche il conte Czernin, ministro degli Esteri, si rassegnò a lasciar cadere le complesse iniziative di pace, rendendosi conto che la speranza di aiTivare ad una pace separata con l'Italia era iJTeabstica fino a quando questa avesse potuto contare sulla ricompensa stabilita con il patto di Londra. Cominciò dunque anch' egli a pensare ad un'offensiva che, assestando una buona sconfitta all'esercito italiano, avrebbe potuto provocare nel nostro Paese una rivoluzione di tipo russo. Pervenuti a queste conclusioni, i capi austriaci rimossero lo scarso entusiasmo che sempre avevano nutrito nei confronti di un aiuto diretto tedesco. L'arrivo dell'Alpenkorps nel 1916 era stato accolto senza eccessivo piacere e la sua partenza dopo pochi mesi non aveva lasciato rimpianti. Il 28 agosto 1917 il generale von Waldstatten, su incarico del generaleArz von Straussenburg, si presentò a Bad Kreuznach, sede del D.0.H.L., per propon-e un' offensiva congiunta contro l'Italia 1• La situazione creatasi a seguito dell' 11• battaglia preoccupava ed esigeva un radicale miglioramento. Un nuovo attacco, che avesse consentito agli italiani di raggiungere i Lom e di affacciarsi sul Vallone di Chiapovano, avrebbe provocato inevitabilmente la caduta della testa di ponte di Tolmino. Rimanere nelle foreste di Ternova e di Pivo presentava grossi inconvenienti a causa delle estreme difficoltà di vita, quindi si sarebbe reso necessario un più profondo an-etrarnento, non esattamente definibile. La possibilissima caduta del S. Gabriele avrebbe poi recato seco il crollo del!' anfiteatro goriziano, con drammatiche ripercussioni sul Carso. Il punto era che sulle posizioni attuali, il fronte sud-ovest non risultava in condizioni di reggere a lungo. Non rimaneva che cercare respiro avanti o indietro. Cioè, avanzare o retrocedere. Per il Comando Supremo austro-ungarico l'offensiva si offriva come l'unica via d'uscita accettabile. Ad ogni modo, qualunque fosse la decisione, occorreva prenderla in fretta. Il disegno operativo illustrato dal generale von Waldstatten riguardava un attacco nel settore da Caporetto a Tolmino: «Per quanto· le posizioni nemiche si trovino ad altitudine considerevole, tuttavia sono poco scaglionate in profondità;

1 Suli' argomento cfr. il fondamentale Konrad Krafft von Dellrneosingen, 19 J7. Lo sfondamento dell'Isonzo (a cura di G. Pieropan), Arcana ed., Milano 1981.


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in modo che, se si riesce ad occupare la dorsale del Kolovrat ad ovest di Tolmino, si apre la possibilità di continuare rapidamente nell'offensiva sino ai piedi delle alture prossime a Cividale, così potendo cogliere alle spalle il fronte meridionale dell'Isonzo( ... )». L'urto principale da Tolmino doveva essere esercitato da 8-10 divisioni; la protezione sulla destra, da Plezzo, da 3 divisioni. Complessivamente la manovra richiedeva 13 divisioni, di cui 8 tedesche di truppe da montagna. Altre 3 divisioni tedesche era opportuno agissero sul fronte trentino a scopo dimostrativo. Si noti che lo Stato Maggiore austriaco si riprometteva lo scopo di giungere non alla risoluzione della lotta contro l'Italia, bensì semplicemente ad un miglioramento della situazione strategica, vale a dire all' all.eggerimento della pressione cùi era sottoposto ed a respingere le forze italiane oltre Isonzo. Il progetto traeva origine dal promemoria del generale Conrad redatto il 23 gennaio di quel l'anno - di cui si è detto in precedenza - nel quale l'attacco all'Italia era visto contemporaneamente lungo due direttrici: dall' Isonzo e dal Trentino. Più tardi, il 1° agosto, venne accennato al D .O.H.L. un altro progetto, limitante l' offensiva ad un' azione principale nel settore di Go1izia con obiettivo Udine, agevolato da uno sforzo minore lungo la direttrice Plezzo-Caporetto-Cividale. Ma il disegno fu lasciato cadere a causa degli avvenimenti belLici in corso sui fronti occidentale ed orientale. il piano illustrato dal Waldstatten era, dunque, un rimaneggiamento del progetto Conrad. 11 generale Ludendoiff si mostrò ince1io: più di l Odivisioni non riteneva di poter concedere, stante l'impegno nella battaglia delle Fiandre; e, tutto sommato, gli sembrava preferibile riprendere l'interrotta offensiva in Galizia per occupare la Moldavia. Il maresciallo Hindenburg finì per prendere tempo. Un rappresentante qualificato tedesco si sarebbe recato in Italia per studiare sul posto possibilità ed inconveni.enti e, al suo rientro, avrebbe fornito elementi più concreti per una decisione a ragion veduta. A questo punto non mancò il colpo di scena. Un corriere dell'imperatore Carlo po1iò una lettera personale per il Kaiser: «( ... ) Tu comprenderai certamente quanto io tenga a compiere l'offensiva contro l'Italia soltanto con le mie truppe. Tutto il mio esercito chiama la guerra contro l'Italia la nostra guerra. Ogni ufficiale ha fin dall'infanzia ereditato il sentimento ostile dei suoi padri, il desiderio ardente di combattere il nostro secolare nemico. Se ci aiutassero truppe tedesche, questo produrrebbe un effetto deprimente e paralizzante per l'entusiasmo delle nostre truppe ( ... )» 1• E rinnovò la richiesta di concorso nella forma sempre desiderata da Conrad: sostituzione di divisioni austro-ungariche sul fronte orientale con di visioni tedesche ed invio di batterie di artiglieria pesante. Ma Guglielmo II, pur riconoscendo il più che legittimo desiderio dell'alleato di affron-

'ALDOC ABl ATI, La balta.glia dell 'ottobre 1917, Corbaccio, Milano 1934, p. 28.


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tm·e «da solo» l'Italia, si dichiarò dolente di non poter aderire perché altrimenti sarebbero state compromesse le operazioni tedesche contro Riga ed in Moldavia. D'altronde, «esistono serie ragioni in favore della progettata impresa sull'Isonzo. Se la situazione generale e la stagione lo permettono, essa potrà essere eseguita in collaborazione dalle nostre armate. Tu puoi essere certo - assicurò Guglielmo II a Cmfo - che non soltanto nel mio esercito, ma anche in tutta la Gennania sarebbe una vera esplosione di gioia se truppe tedesche, in compagnia dei tuoi bravi combattenti dell'Isonzo, riuscissero a battere la spergiura Italia. Dio voglia che questo giorno venga per noi» '. Così il generale Krafft von Dellmensingen, già comandante dell'Alpenkorps, fra il 2 ed il 6 settembre eseguì numerose e dettagliate ricognizioni sull'alto e medio Isonzo. La sua relazione presentò il problema nei seguenti termini (particolarmente interessanti alla luce di quanto poi accadrà): «Le difese italiane si stendono su varie linee di fronte alla testa di ponte di Tolmino e nella vallata dell'Isonzo fino a Caporetto, tanto nel fondovalle come sui pendii e infine su l crinale che segna il confine, il quale si eleva dagli ottocento ai mille metri sopra l'Isonzo, garantendo una visuale completa su lutt.a la valle. La linea più avanzata si spinge fin sollo le trincee austro-ungariche situate su i rilievi di S. !viaria e di Kozmarice ed appare continua e ben protetta. A occidente di Tolmino essa traversa l'Isonzo e si arrampica sul nodo del M. Nero; a tale linea si può atu·ibuirc tuttavia S(>lamente il significato d i avamposto. Essa è sovrastata da numerosi cd eccellenti capisaldi posti lungo le fiancate che salgono aJ Kolovrat ( . .. ). Qui trovasi la linea principale( ... ). L'a1iiglieria nemica dispone in complesso di eccellenti osservatori verso valle, che diventano un po' meno buoni sui pendii di riva destra dell'Isonzo( ... ). ( .. .)è da escludersi completamente la possibilità di cogliere i difensori di sorpresa, oppure di raggiungerli nelle caverne durante il tiro di repressione. Tutti i vantaggi stanno dunque dalla parte del nemico; ma anche riuscendo a penetrare nelle posizioni principali ancora non si è al termine delle difficoltà. Una fase pericolosa comincia proprio non appena si perviene in alto, e perciò fuo1i dal raggio d 'azione delle artiglierie sistemate per l'offensiva intorno a Tolmino. Dal fondo della va) d'Isonzo non esiste alcuna strada c he salga alla dorsale del Kolovrat ( . .. ). Poco si conosce delle posizioni italiane più arretrate( ... ). I nostri svmltaggi sono acuiti dalla completa inferiorità aerea: quotidianamente passano squadriglie di aeroplani italiani che non incontrano opposizione; ed i bombardamenti contro la stretta rotabile ed i magazzini ammassati nelle valli sono tenùbili. Uno schieramento verso Tolmino pone i Comandi davanti a problenù eccezionali che, secondo i principi stessi della logistica, risulterebbero irresolvibiU. Un successo è sperabile unicamente in base alle esperienze già fatte in altre operazio1ù in montagna ( .. .). Molto poi dipenderà dalla stagione e dal tempo( ...)» ' .

In sostanza, l'operazione appariva «ai limiti del possibile» e, per questo, con un elevato grado di rischio. Ciò nonostante il generale Krafft espresse ugualmente

' AMEDEO Tosn, Come ci vide l'Austria imperiale, Mondadori, Milano 1930, pp. 207-208. La lettera finiva con una frecciata per il conte Czernin: «lo spero che J'eventualit:1 di un' offcnsi va in comune dei nostri due eserciti valga a risollevare il morale del tuo Ministro degli affari cstc,i». 'K. KRAFFf VON DELLMENSIGEN, Lo sfondamenro dell'Isonzo cit., pp. 52-55.


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parere favorevole all'attuazione, motivandolo prima con la garanzia offerta dal migliore addestramento delle truppe tedesche, che avrebbe permesso loro di superare più agevolmente la resistenza opposta dagli italiani, e poi con il livello effettivamente critico della situazione strategica austriaca, che non poteva essere ignorata. Quest'ultima considerazione ebbe un peso determinante nella decisione. Ludendorff, che aveva attentamente ascoltato la relazione, ruppe il successivo breve momento di silenzio, ammettendo l'inderogabile necessità di intervenire in qualche modo in soccorso dell'alleato; però, date le evidenti e pericolose incognite dell'impresa, pose il vincolo che essa venisse immediatamente sospesa se la rottura del fronte italiano non fosse riuscita subito '. Hindenburg dette I' as' senso conclusivo e l'offensiva ricevette la denominazione convenzionale di Waffentreue (Fedeltà d'armi). Nella nuova organizzazione concordata, il comando in capo fu affidato all'imperatore Carlo, alle dipendenze ciel quale erano posti il gruppo d'esercito del Tirolo (maresciallo Conrad) nel Trentino-Alto Adige ed il fronte sud-ovest (arciduca Eugenio) da Tarvisio-Villach al 1mu·e. In questo settore avrebbero agito la 10• armata austro-ungarica (col. gen. Krobatin), la 14" aimata tedesca (gen. von Below) ed il gruppo d' esercito Boroevié con la 1• e 2• lsonzo-Armee 2 • Le divisioni tedesche assegnate erano solo sette, ma ottime sotto ogni riguardo. L' «Ordine delle operazioni contro l'Italia» abbozzato dal Comando del fronte sud-ovest il 12 settembre si ispirava al concetto di migliorare la situazione in atto, ributtando gli italiani sulla frontiera e «possibilmente sino al Tagliamento». 11 compito cli sfondare le linee italiane, partendo dalla testa cli ponte di Tolmino, era affidato alla 14• armata tedesca. L'obiettivo si traduceva nell'allineamento Cividale-monte Korada. La protezione sulla destra era compito del gruppo Krauss, austriaco, il quale doveva puntare su Saga e poi, occupato lo Stol, proseguire fino a Bergogna. Una volta realizzato lo sfondamento, il gruppo d'esercito Boroevié avrebbe attaccato frontalmente le posizion.i italiane eia Gorizia al Carso. Le obiezioni cli fondo tedesche furono due. La prima concerneva l'obiettivo: per eliminare le preoccupazioni austiiache occorreva arrivare non possibilmente ma almeno al Tagliamento. Quando il generale von Below manifestò que-

' «Alla fine del mio rapporto - ricordò il generale Krafft - gli ascollatori rimasero palesemente impressionati; non si sentiva volare una mosca. Ci si rese conto che io mi ero assunto una massa di responsabilità fuori dell'ordinario. Se io avessi avuto appena qualcosa in contrario oppure avessi presentato al generale Ludendorffun punto debole nelle mie dedu;:ioni, dell'impresa non si sarebbe certamente fatto più nulla» (K. KRAFFf VON DELLMENSINGEN, ibidem, Note introduttive di F. Fadini, p. 42). 2 li 30 agos10 il Comando dell 'lsonzo-Armee era stato elevato al rango di Comando di grnppo d csercito (co l. gen. Boroevié), con la l" /sonzo-Annee (gcn. Hemiquez) e la 2" lsonzo-Annee (gen. Wunu), entrambe su tre corpi d'armata. 0


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sta intenzione, Boroevié si mostrò pit1 che scettico: «Non lo raggiungerete mai! Mai! Mai!» esclamò 1• La seconda obiezione riguardava le modali.tà di coordinamento per l'attacco e la rottura. Impegnare a fondo la sola 14• armata significava esporla al contrattacco di tutte le riserve italiane, quindi bisognava che nello stesso tempo il gruppo d'esercito Boroevié attaccasse verso l'Isonzo. E inoltre, al fine di meglio armonizzare la manovra di sfondamento, era opportuno che il grnppo Krauss venisse incorporato nella 14" annata. L'arciduca Eugenio approvò e stabilì: «Scopo dell'operazione è di cacciare gli italiani fuori dai confini dell'impero e, se possibile, anche al di là del Tagliamento. A tale scopo l'esercito scatenerà su tutte le linee del fronte un'offensiva in data che rimane ancora da stabilire ( . ..)».

Però nel fissare i compiti si mantenne cauto. La 14' annata doveva sfondare il fronte nel settore monte Jeza-Plezzo e raggiungere le alture a nord di Cividale ed a nord-ovest del Korada. La 2" lsonzo-Armee, agendo con la sua destra in sintonia con la penetrazione della 14' annata, doveva po1tarsi a nord-ovest del1' allineamento Korada-M. Santo. Alla l" lsonzo-Armee era riservato il compito di attirare su di sé l' attenzione del maggior numero di forze italiane. Per l'inizio dell'operazione si indicò orientativamente la data del 22 ottobre. Anche in campo avversario c ' erano comandanti d' armata che forzavano, o quanto meno interpretavano a loro modo il disegno cli manovra del comandante in capo. U generale von Below non rimase soddisfatto. Si era convinto non soltanto di poter realizzare la rottura, ma di riuscire a spingersi in profondità fino al Tagliamento. Anzi, guardò al di là del Tagliamento, rendendosi conto che, una volta superato il fiume, ogni passo avanti avrebbe provocato il crollo di una parte del fronte settentrionale italiano. E, in questa ottica, riservò al grnppo Krauss un compito che superava la semplice protezione del fianco esposto dell' armata: arrivare a Gemona, dove il Tagliamento, sboccato in pianura, presentava minori difficoltà di superamento. Tutto ciò comportava una gravitazione delle forze verso la destra già all'inizio dell'operazione, in modo da non lasciare il gruppo Krauss isolato nel forzamento della stretta di Saga. Quindi, da Tolmino bisognava sferrare un duro colpo verso Caporetto-Robié, risalendo per un tratto l'Isonzo. L' ordine d'operazione del generale von Below fissò quindi il concetto di manovra in questi tennini: «li nemico deve essere sloggiato dal Carso e ricacciato dietro il Tagliamento. La 14• armata sfonderà la linea avversruia a Plezzo ed a Tolm.ino, onde conqu istare in un primo tempo la linea Gemona Cividale. Fin dall' inizio ed in mod() costante essa concentrerà le sue energie sull'ala destra»'·

' Cfr. FRANCESCO FADJNJ, Caporelfo dalla parte del vincitore, Vallecdli, Firenze 1974, p. 324. K. KRAFfT VON 01:LLM ENStNGEN, lo sfondamef!/o dell'Isonzo cit., pp. 65-67.

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11 piano oper:uiv o aus1ro-1edcsco contro l'hai'1:l.

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Il dispositivo previsto era il seguente: il I corpo austro-ungarico (gen. Krauss), con quauro divisioni, di cui una tedesca, sulla direttrice Plezzo-Saga-Tarcento-Tagliamento; il ID corpo bavarese (gen. von Stein), su quattro divisioni di cui una austriaca, sulla direttrice Tolmino-Caporetto-Robié-Cividale; - il LI corpo tedesco (gen. von Berrer), su due divisioni, sulla direttrice Jeza-Cividale; il XV corpo austro-ungarico (ten. mar. Scotti), su due divisioni di cui una tedesca, sulla direttrice M. Globocak-altura est di Cividale. I preparativi procedettero senza intoppi sino al IO ottobre. A questo punto, e per alcuni giorni, parve che il concorso tedesco venisse sensibilmente ridotto a causa del fortissimo impegno provocato dalla battaglia delle Fiandre, che già aveva bloccato due divisioni destinate alla 14• armata. In parte per le proteste dell'ascoltato generale von Below ed in parte per il graduale esaurimento dell'offensiva britannica, l' emergenza cessò. Tuttavia «rimase la sensazione che il Comando Supremo intendesse concludere al più presto con la partecipazione tedesca all'offensiva contro l'Italia» 1• L'afflusso delle unità tedesche fu organizzato in modo encomiabile. I grossi movimenti ferrov itu-i si fermarono a qualche tappa dal fronte cd il concentramento delle forze ebbe luogo nelle vallate della Sava e della Drava. Poi, con meticolosa attenzione, iniziò L'avvicinamento, pianificato in sei giorni di marcia e due di sosta, per scaglioni, verso Plezzo e Tolmino. Le misure adottate per curare la segretezza riuscirono in certo modo a superare le notizie che i disertori austriaci potevano portare in campo italiano. La diserzione di due ufficiali mmeni, avvenuta la notte sul 21, tuttavia fece temere la caduta del fattore sorpresa: «Nei giorni dopo il 2 1 si ebbe la certezza che gli italiani si dessero da fare su tutti i punti che i nostri ordini avevano indicato come particolarmente importanti per la buona riuscita dell'impresa» 2• *

* *

Visto il piano austro-tedesco, torniamo alle intrinseche carenze del nostro organismo. Un semplice sguardo superticialc al dispositivo italiano la !:iera del 23 ottobre pose in ampia evidenza la assenza di un preciso disegno operativo o - se ci si riferisce alle direttive di Cadoma - la totale mancanza di conformità alle stesse. La densità delle truppe, crescente dal Rombon al mare, indicava chiaramente una maggiore preoccupazione per il settore della 3• armata, con la conseguente gravitazione in quel punto dell'assetto di fensivo. La 2• annata, per conto suo, si trovava con uno schieramento sicuramente non improntato ai criteri di

' Ibidem, p. 72. ' Ibidem, p. 76.


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sLretta difesa ad oltranza enunciali da Cadoma il 19 settembre, e neppure a quel! ' atteggiamento controffensivo patrocinato da Capello e respinto da Cadoma il 20 ottobre 1• Ma è anche innegabile l'esistenza di un certo c lima psicologico di «stasi» operativa Alla data del 20 ottobre si trovavano in licenza 3.500 ufficiali e 117.000 uomini di tnippa 2 • Quanto al presidio delle posizioni occupate, qual i che fossero, vigeva il pri ncipio ripetutamente sottolineato da Capello di tenere in rincalzo od in riserva un'elevata percentuale di uomini per il contrattacco. Così i vari tratti di linea difesi non erano in condizioni di reggere contro un forte urto, non si trovavano neppure in grado di darsi reciproco appoggio e, per converso, lasciavano ampi spazi alI' iiliiltrazione avversaria. «Per queste principali ragioni - scrisse il maresciallo Ca,•iglia - noi non opponemmo di fronte a Tolnùno una linea di resistenza continua, ma vari brandelli di linea ripartiti in profondità sulla montagna»'.

Non minore sorpresa riserva l'esame degli schieramenti dei tre corpi d 'armata che ad assai breve scadenza sarebbero stati investili dalla bufera: il IV, il XXVII ed il VII. TI IV corpo si Lrovava all'estrema sinistra della 2" armata. Con le sue tre divisioni era steso fra il Rombon e la testa di ponte di Tolmino, su un fronte di una quarantina di chilometri, con la zona impervia del M. Nero-Mrzli che separava nettamente i due tratti di maggior delicatezza, e cioè la conca di Plczzo e lo sbocco verso l'alto Isonzo dalla testa di ponte di Tolrnino. La sinistra. del IV corpo a Plezzo era collegata con la Zona Carnia mediante ... il gruppo montuoso del M. Canin-M. Cergnala. [n altri termini, dalle v~ùli Raccolana e Resia, scoperte, era poss.ibile per il nemico puntare all'alto Tagliamento isolando la Carnia. A sud il IV corpo sbarrava con due reggimenti bersaglieri la linea Plezia-Foni-Isouzo contro le provenienza da Tolmino. Senonché il 22 ottobre Capello, al quale non era sfuggila la probabilità che il nemico da Tolm ino 1isalisse l'Isonzo verso Caporetto, tolse la responsabilità dello sban-amento Plezia-Foni-Isonzo al IV corpo affidandola al XXYll, cui assegnò a tale scopo la brigata Napoli. Motivo del provvedimento fu lo spostamento del limite di

'La sinistra dell'annata (IV corpo e 19, divisione del XXVU) aveva una fronte in linea d'aria di una sessantina di chilometri. mentre il centro e la destra (XX VII corpo meno la 19" divisione. XXIV, TI , VI e VUJ corpo) erano schierati su circa trenta chilometri complessivi. ' Commissione d'inchiesta, Da/l'Isonzo al Piave cit .. TI, p. 383. Si aggiunga il fatto che i reparti di fanteri;, risentivano del le perdite subite nell 'estate e del mancato arnusso dei complcmen1j, talché la forza media delle compag,ùe in linea si aggira sui 130 fucili contro il pieno organico nemico. Sull'atmosfera del Comando Supremo cfr. R. A1.r,~s1, Dall 'Jso11w al Piave cìt., pp. 127-128, lettera del 7 ottobre. ' E. Cw 1GUA, Le, dodicesi111c1 ballaglia cit .. p. 100.


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settore fra i due corpi ali' Isonzo. È vero che la difesa dello sbarramento avrebbe comportato per il IV corpo la preoccupaz:ione di tenere proprie truppe sulla destra del fiume, ma è evidente il di gran lunga maggior interesse del IV corpo, rispetto al XXVII, a difendere con la linea Plezia-Foni-Isonw il proprio fianco meridionale. La brigata Napoli arrivò in zona il mattino del 23 e con un battaglione occupò la predetta linea nelle prime ore del 24 1• n XXVII corpo, secondo l'ordine del IO ottobre, avrebbe dovuto gravitare «con la maggior patte delle forze sulla destra Isonzo». A stretto rigore una decisione del genere sarebbe spettata al Comando 2" armata e non al Comando Supremo; sta di fatto che sino al 22 ottobre il corpo d 'armata conservò 23 battaglioni sulla destra del fiume e 27 sulla sinistra. 11 giorno 23 i quattro battaglioni del X g1uppo alpini si portarono sulla destra disponendosi sul Krad Vhr e sul Cukli, ma la variante non migliorava una ripartizione quanto meno discutibile. Sulla sinistra dell'Isonzo, e cioè sugli otto chilometri correnti dal fiume a Kal, sulla Bainsizza, erano schierate u·e divisioni con 17 battaglioni (più altri sei in riserva di corpo d'armata), mentre sulla desu·a - dove si trovavano gli sbocchi da Tolmino che consentivano all'avversario le più proficue possibilità di manovra - c'era la sola 19° divisione con ben 21 battaglioni (più altri sci in riserva di corpo d'arniata) su un fronte di 13 chilometri! Non è chi non veda l'ingiustifi cato onere operativo commesso alla 19' divisione e le sue difficoltà di comando. Occorre ancora dire che nella nott.e sul 22 la 19° divisione ritirò, su ordine del Comando XXVII corpo, i due battaglioni che presidiavano la linea avanzata nella piana di Volzana, in quanto indifendibile. Il provvedimento, di per sé più che giusto ma deciso senza il preventivo accordo con l'adiacente IV corpo, si rivelò letteralmente fatale. Lasciò per aria l'estrema destra del IV corpo (brigata Alessandria) che dal Mrzli scendeva a Gabrije, sul!' Isonzo, proprio per dare appoggio alla linea di Volzana; interruppe la continuità della difesa organizzata di fronte a Tot.mino; scoprì lo schieramento delle batterie dislocate sulle pendic i di Costa Raunza e del Kolovrat; lasciò aperto all'attacco il passaggio per Caporctto nella valle Isonzo 1 . A tergo delle ali interne dei due corpi d'am1ata in prima schiera doveva disporsi il VII corpo, messo insieme frettolosamente sotto l'assiUo dell'urgenza .1

' L'ordine impartito il 22 ouobre alle 17,35 dal gcn. Badoglio al gen. Villani, comandante della 19• divisione. imponeva «anche l'occupazione della linea Osleria-Foni-Monte Plezia-Zagradan», precisando c he il !ratto Plezia-Zagradan doveva «essenzialmente essere difeso con mitragliatrici,>. Poi concludeva: «V.S. ha da questo momento a sua disposizione la brigata Napoli. Mi raccomando di impegnare in linea il meno possibile costituendosi una riserva ( ... ). Mi comunichi quanti banaglioni della Napoli restano in riserva( ... )» (USSlvffi, Relazione 11.fficiale cit., IV, tomo 3, p. 147). ' crr. E. C,w 1GLJA, La dodicesima barwglia cit., p. lO I. ' Fra il 21 ed il 22 il Vll corpo fu letteralmente disorganizzato. Il 20 ottobre era costituito dalla 3• divisione s u tre brigate (Amo, Elba e Firenze), dalla brigata Napoli e dal 2° e 9° reggimento bersaglieri. lJ 21 i due reggimenti bersaglieri passarono, o meglio tornarono al IV corpo. In cambio il Vll corpo riccvene la brigata Foggia. li 22 la Napoli tornava ,11 XXVII corpo e la Foggia pass,tva al I V. Al VII corpo era destinata la 62° divisione.


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e francamente non in condizioni di assolvere il compito decisivo di stroncare o bloccare l'attacco austro-tedesco da Toltnino. Le sue trnppe erano stanche, prive di coesione, provenienti da varie parti, innervosite dagli ultimi recenti spostamenti. Delle due divisioni che lo costituivano, la 3a era schierata con due brigate (Arno e Elba) sul Kolovrat e su monte Piatto, a tergo della Jeza, ma senza un'occupazione effettiva della linea; la 62" arrivò in posto appena il 24 mattina 1 e le sue due brigate (Salemo e 4• bersaglieri) si accingevano ad occupare il Matajur e la seUa di Luico, ognuna con un fronte di una dozzina di chilometri e su due linee, quando cominciò la battaglia. Per concludere, il IV corpo aveva i punti deboli alle ali. A sinistra la so• divisione era proiettata in avanti nella conca di Plezzo; a destra lo schieramento della 46• divisione degradava verso l'Isonzo insistendo su posizioni infelici e senza un appoggio d'ala; al centro, su posizioni fortissime interrotte però da una via di facilitazione (la sella di Za Kraju), la 43•·divisione dipendeva da quanto sarebbe accaduto ai suoi fianchi. L'abbandono della linea avanzata e l'occupazione consistente della linea di resistenza ad oltranza sarebbe stata la più logica soluzione del problema tattico, ma il Comando Supremo ed il Comando 2• armata preferirono rinforzare il IV corpo per iniziare la difesa il più avanti possibile. li XXVll corpo aveva il tallone d'Achille sulla destra deU' Isonzo. Nell'ampio settore affidato aUa 19• divisione, i 7-8 chilometri della linea avanzata di Volzana erano rimasti sorvegliati da due compagnie; la linea di resistenza ad oltranza era necessariamente scoperta in vari tratti, compreso il pericoloso fondo valle; la linea d'armata era guardata da pochi battaglioni. Alle spalle della 19" di visione, alla testata della valle Judrio, stava la brigata Puglie, in riserva di corpo d 'annata. Il Vll corpo, poi, a mezzogiorno del 24 non aveva avuto ancora tempo e modo neppure di schierarsi in difesa. Ricordiamo che nel primo pomeriggio del 23 ottobre a Carraria, sede del Comando VII corpo d'annata, Cadoma nulla di sostanziale trovò a ridire sulla organizzazione difensiva davanti a Tolmìno espostagli dai generali Badoglio e Bongiovanni 2• Ma è doveroso riport.are il giudizio che egli espresse, in seguito, sulla sistemazione della sinistra della 2• annata: «( . .. )erano tutte posizioni fonissimc, di doppia e triplice linea fortificata. Nella conca di Plezzo eravi un tratto meno folte sul fondo vaUe, ma compensato dalla difficoltà per il nemico di far sboccare grandi forze dalle anguste valli dell'alto Isonzo e della Coritenza, il cui sbocco era efficacemente battuto dalla nostrn aniglieria. A tergo di questa prima linea eravi la fonn.idabile stretta di Saga, munita di triplice linea di difesa. Tutto questo insieme di posizioni era ( . .. ) formidabile( ... ).

1 La 62' divisione fu assegnata alla 2" annata il 22 ottobre, dopo essere passata, dal 17 ouobre, aUe dipendenze di tutte le altre annate (ncll"ordinc: 3', 6", 4• e I"). ' USSME, Relazione ufficiale cit., lV, tomo 3, p. 156.


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FRONTE DELLA 19' DIVISIONE

( xxvIl C.D'AR MATA)

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Finalmente, di fronte all a testa di ponte di Tolmino, se era innegabile l'i nconveniente di avere le tre linee di difesa molto ravvicinate, su una profondità di tre chilometri. e soggette al fuoco dell'aniglicria nemica, tale inconveniente era di molto attenuato dal fallo che le due ultime linee di difesa si svolgevano su posizioni fo rmidabil i ( . . .). 1n conclusione, la linea su ll a quale s i è combattuto consentiva ovunque una salda difesa( ... ). Le critiche fatte avrebbero ragion d'essere qualora, essendo stale difese colla necessaria energia. le posizioni avessero dovuto essere abbandonate per la call iva organizzazione difensiva ( .. .)» '.

Su questa valutazione sembra lecito osservare che effettivamente le posizioni erano naruralmente molto forti, ma tale aspetto riguardava soltanto la linea di resistenza ad oltranza e quella d'armata; che i lavori di potenziamento non consentivano affatto di parlare di «posizioni fortificate», sia perché di vecchio tipo (in maggioranza risalivano al 1915- 1916), sia perché, se recentissimi, erano ben lungi dall' essere ultimati ; che la forza delle posizioni deve sposarsi con un' occupazione adeguata, il che sicuramente non era ovunque; che, infine, la lunga tranquillità del settore del TV corpo aveva condotto ad una sottovalutazione dei possibili sviluppi di ambiziose e risolute iniziative nemiche su quel tratto di fronte, ed essa non era riparabile con misure prese all'ultimo momento.

In merito ai rapporti di forza, Capello affenn ò che fra .la 2• annata e l'attaccante esisteva superiorità numerica italiana, equi valenza complessi va fra grandi unità avanzate e retrostanti, superiorità ital iana nelle riserva; mentre sul tratto di sfondamento si riscontrava sostanziale parità dì forze complessiva e netta superiorità del nemico in prima schiera. I confronti in materia non sempre sono significativi. Chi attacca di solito è in grado d i realizzare la supe1iorità di forze occorrente per sfondare, scegliendo opporrunamente momento e settore di rottura. Si pensi al gioco degli scacchi. Difatti la 14 annata austro-tedesca attaccò con 8 divisioni un tratto di fronte difesa da 4 divisio1ù italiane; l'attacco principale a Tolinino fu sferrato da 37 battaglioni contro 15 della 19° divisione; l' attacco secondario a Plezzo fu portato da 29 battaglioni contro 9 della 50" divisione. Con l'aggravante che i battaglioni nemici erano in genere a pieno orga1ùco cd i nostri superavano di poco la metà della forza organica. 3

Il 23 ottobre Capello, che aveva appena ripreso il comando dell' armata, si trasferì a Cividale ove aveva fatto predisporre una più rispondente rete telefon ica che consentisse di seguire gli eventi nel settore di Plezzo. Nel pomeriggio, come sappiamo, impartì gli ultimi ordi1ù. Tutti i comandanti di corpo avevano dato «le più ampie assicurazioni - ricordò in seguito - sullo stato di prcpm·azione della difesa e sullo spirito delle truppe ( ... ). Si aveva dunque il diritto di essere fiduciosi e di ritenere che tutti fossero pronti ed orientati sui compiti a ciascuno assegnati. E nella notte sul 24 la tragedia della 2• annata cominciava» 2•

' L. CADOR:>IA, Pagine polemiche cit., pp. 306-3 1O. 'L. CAPELLO, Note di guerra cit., 11, pp. 180-181.


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Il quadro di battaglia italiano il 24 ottobre 1917

Ili corpo d'annata (ten. geo. V. Cameraoa) 1• armata (ten. gen. G. Pecori G iraldi) su: XXIX corpo (ten. geo. V. De Albertis) V corpo (tcn. gen. G. Zoppi) X corpo (tcn. gen. C. Bloise) Comando Truppe Altipiani (tcn. gen. A. Ricci Anuani) XXVI corpo (ten. gcn. A. Fabbri) XXIl corpo (ten. gen. A. Gatti) XX corpo (ten. gen. G. Ferraci) 4• armata (ten. gcn. M. Nicolis di Robilant) su: XVlll corpo (ten. geo. A. Tettoni) IX corpo (ten. gen. P. Ruggeri Laderchi) VI raggruppamento alpini (col. brig. Boccalandro) l corpo (ten. gen. S. Piacen1ini) Zona Car,ùa (XII corpo d'armata) (ten. gen. G. Tassoni) 2• annata (ten. gen. L. Capello) su: IV corpo (ten. gen. A. Cavaciocchi) XXVIl corpo (ten. gen. P. Badoglio) XXfV corpo (ten. gen. E. Caviglia) Il corpo (magg. gen. A. Albricci ) Vl corpo (ten. gen. S. Lombardi) Vlfl corpo (magg. gen. F. Grazioli) VII corpo (magg. gen. L. Bongiovamù) XIV corpo (ten. gen. P.L. Sagramoso) XXVIlJ corpo (magg. gen. A. Saporiti) 3• armata (ten. gen. E.F. di Savoia-Aosta) su: XJ corpo (ten. gen. G. Pennella) Xlii corpo (rnagg. gcn. U. Sani) XXlll corpo (ten. gcn. A. Diaz) XX V corpo (ten. gcn. E. Ravazza) Riserve del Comando Supremo Comando Genera.le di cavalleria (ten. gen. V.E. conte di Torino)

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LA PRlMA GUERR A MONDIAtE

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II quadro di battaglia austro-tedesco il 24 ottobre 1917 Gruppo d'esercito del Tirolo (fmar. F. Conrad von Hoetzendort) su:

Gruppo arciduca P ietro Ferdinando su: 11• armata (col. gen. V. Scheuchenstuel) su: Ili settore, Sud-Tirolo (ten. mar. G. von Kettler) 56" divisione Schiitzen (ten. mar. V. Kroupa) XIV corpo Edelweiss (gen. von Martiny) III corpo (gen. J. von KrautwaJd) 18" divisione (ten. mar. von VidaJé) XX corpo (gen. von Roth) 10" annata (co l. gen. A. Krobatin) su : 94• divisione (ten. mar. Lawroski) Gruppo Hordt (ten. mar. 1-lordt)

Fronte d'esercito sud-ovest (arciduca Euge1ùo) su: 14" annata tedesca (gen. O. von Below) su: l corpo austro -ungarico (gen. A. Krauss) JII corpo bavarese (ten. gen. von Stein) LI corpo tedesco (ten. gen. A. von Ben-er) XV corpo austro-ungarico (ten. mar. K. Scotti) Gruppo d'esercito Boroevié (col. gen. Boroevié von Bojna) su: 1• lsonzo-Arrnee (col. gen. von Wurm) su: XVI corpo (gen. K.ralicek) Vll corpo (gen. von Schariczer) XXID corpo (gen. von Csicserics) Settore Trieste (contr. von Kondelka) 21 • divisione Sclziitzen (ten. mar. Podhajski) 2" Isonzo-Armee (gen. H. von Hcnriquez.) su: Gruppo Kosak (ten. mar. F. Kosak) XXIV corpo (ten. mar. von Lu kas) IV corpo (ten. mar. von Schouburg-Hartenstein) 11 corpo (ten. mar. von Kaiser) l 06• divisione La11dst11rm (ten. mar. Kralky) Settore Fiume (ten. mar. von Istvanovié)

Riserva generale


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Alle ore 2 del 24 l'aitiglieria nemica aplÌ il fuoco. Un fuoco piuttosto intenso, ma senza la violenza prevista e paventata, diretto soprattutto contro le posizioni più arretrate, gli schieramenti di artiglieria e le retrovie. Verso le 4,30 il bombardamento calò di intensità fino quasi a spegnersi un'ora dopo. L'azione dei gas asfissianti, ostacolata dalle pessime condizioni atmosferiche, ebbe effetti significativi solo nella conca di Plezzo. Alle 6,30 il fuoco riprese con carattere di distruzione e si protrasse per circa due ore. Capello scrisse con mnarezza: «Secondo gli ordini dati, al tiro nemico si sarebbe dovuto rispondere con una violenta ed immediata contropreparazione. Questo purtroppo non avvenne» 1• I In effetti, sia nella prima sia nella seconda fase della preparazione l'intervento della nostra artiglieria nei settori del IV e del XXVII corpo fu sporadico e limitato ali 'iniziativa di singoli comandanti di gruppo o di batteria; ad alcuni fu persino negata l'autorizzazione a sparare per economizzare le munizioni. Le osservazioni formulate da parte italiana, su questo bruciante argomento sono state molto dure, quelle di fonte avversaria espressero un grande stupore. Al di là dei difetti di schieramento e dei metodi tattici di tiro, al di là della pressoché totale interruzione dei collegamenti telefonici nell'ambito del IV e del XXVIJ corpo, emerge la scarsa precisione delle direttive e degli ordini in materia di impiego del fuoco 2• Non si può che condividere, parola per parola, il commento della nostra Rei.azione ufficiale: «è davvero incredibile il fatto che una circostanza in fon do alquanto banale non sia stata chim·ita e definita in una delle tante riunioni fra comandanti, che si susseguirono fino all'ultimo momento. Era un equivoco che si sarebbe potuto dissolvere all'istante prendendo una qualsiasi decisione che, in ogni caso, sai·ebbe stata molto meno dannosa dell'ince1tezza)) 1 • Per buona parte della mattinata il Comando della 2" annata non ricevette notizie dal IV e dal XXVII corpo. Peraltro le pur sporadiche ed incomplete informazionj provenienti dagli osservatori di artiglieria erano sufficienti per far capire trattarsi di un'operazione seria. Verso le 10,30 Capello telefonò al generale Caviglia, comandante del XXIV corpo, infonnandolo che la linea del XXVII corpo era stata sfondata a Volzana e che il nenùco era arrivato a Cemponi ed a Costa Duole •. Subito Caviglia chiamò al telefono il generale Badoglio: «Va male rispose questi - ora cercherò di rimediare» 5 e la conversazione si interruppe. Assai più all'oscuro degli sviluppi della battaglia era il Comando Supremo, che a buon conto alle 9,30 ordinò alla 2" armata di presidiai·e adeguatamente la

' Ibidem, p. 182. ' Lo stesso Capello il 23 ottobre aveva ordinato di aprire il fuoco di conlropreparazione «poco dopo» iniziato il bombardamento nemico. ' USSME, Relazione ufficiale c it., IV, tomo 3, p. 234. " E. CAVIGLIA, La dodicesima battaglia cit., p. 270. ' Ibidem.


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dorsale Jeza-Globocak per impedire all'avversario cli consolidarsi sulle posizioni di Cemponi-Krad Vrk, ove fosse riuscilo a prenderle, e questo allo scopo di «assicurare in ogni evento l'inviolabilità della testata dello Judrio» 1• A siffatto e corretto provvedimento pmdenziale seguiva però una direttiva sintomatica di uno strano, persistente, scetticismo sulla reale portata dell'offensiva austro-ungarica: «( ... ) Gradirò conoscere misure adollate. Soggiungo che ten tativo iniziato stamane od altri consimili che avessero a ripetersi non devono indurci consumo munizioni che non sia preuamcnte commisurato alle esigenze della difesa. Prego perciò limitare tiro nllo strctlo indispensabile et raccomando la più oculata parsimonia munizioni in previsione dovere sostenere sforzo che anche p<>U'à essere molto prolungato et senza perdere di vista necessità assicurare forte accumulo munizioni per operazione ventura primavera» ' .

Difficile un commento al riguardo. È evidente che il Comando Supremo non percepiva la gravità della situazione nelle sue reali dimensioni. D'altronde le notizie fornite dal Comando 2• armata alle 10 sembrarono così rassicuranti che subito Cadorna, con il pensiero sempre rivolto al Carso, chiese di indicare «sollecitamente composizione di un nucleo di batterie di medio calibro 200 pezzi almeno( ... ) che farei cedere alla 3' annata nel caso che azione nemica si pronunciasse essenzialmente sulla fronte detta armata( ... )» 3 • Un'ora più tardi Capello informò di avere affidato il compito di occupare la dorsale Jeza-Globocak, prolungata sino al Matajur, al VTI corpo. Confermò inoltre la notizia di progressi nemici nella conca di Plezzo, segnalò che il nemico «pare riuscito a sfondare verso M. Rosso» ed alla sella Za Kraju, e comunicò di avere costituito a titolo provvisorio un Comando dell' ala sinistra (TV e VII corpo) affidato al generale Moutuori ·•. Non risulta abbia avvisalo dello sfondamento di Volzana e della penetrazione tedesca sino a Costa Duole e non se ne comprende il motivo. Nel primo pomeriggio le circostanze cominciarono ad apparire gravi al Comando 2° annata. Alle 15 circa giunse un telegramma spedito alle 14,55 e riferito alla situazione delle ore 13. Il nemico aveva rotto La resistenza della so• divisione nella conca di Plezzo ecl avanzava verso la stretta di Saga; sembrava che avesse occupato M. Rosso nel settore centrale della 43° divisione 5; aveva all'resì rovesciato le difese dello Sleme, di Gabrije e di Selisce ed avanzava sulla si-

' USSME, Relt,zione 11fficiale cii., IV, tomo 3, p. 322. ' Ibidem. ' Ibidem, tomo 3. pp. 32 1-322. Alle 12,15 Cadorna avvis<~ la 3" armata che pensava di farle cedere dalla 2• armata un grosso nucleo di batterie, ove si fosse reso necessario e ordinò di «studiare sin da ora Isuo] impiego» (ibitlem. p. 323). ' Ibidem, p. 322. ·' M. Rosso era stato effelLivame.nte preso dal nemico fra le 7 e le 8 del mattino per lo scùppio di una grossa uùna.


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nistra dell'Isonzo verso nord, alle spalle della 46• divisione. Ancora peggiore la successiva notizia che il nemico era giunto a Idersko, sulla destra dell ' Isonzo, proveniente da Volzana 1• Capello telefonò al Comando Supremo alle 15,15. Parlò con il colonnello Gabba e gli disse che la linea 1isultava sfondata e che una colonna austriaca marciava su Caporetto. Perciò - pur non considerando ancora drammatiche le circostanze - desiderava conferire con il capo di Stato Maggiore per prendere in esame l'eventualità di dover assumere importanti determinazioni. Subito dopo, constatato il peggioramento della situazione a Plezzo, Capello ordinò al generale Cavaciocchi di provvedere «ad ogni costo che le truppe che si ritirano dalla conca di Saga [?] guarniscano Monte Maggiore ed il costone dello Stol dove dovranno rl sistere fino alla morte» 2. A dire il vero, la penetrnzione tedesca verso Saga era ancora contenuta dalla 50" divisione, il cui fianco destro teneva saldamente il lato meridionale della conca di Plezzo, ma ormai il pessimismo si faceva largo, soppiantando l'ottimismo della prima ora. In simili frangenti - perdurando nel tardo pomeriggio l'assenza di informazioni sull' esatta situazione del XXVll corpo, ed in particolare della 19° divisione - venne addebitato al IV corpo quello che il Comando Supremo e la 2" armata reputavano l'unico evento sfavorevole della giornata. Naturalmente, Caclorna e Capello nel loro abboccamento decisero, secondo il costume invalso, l' immediato esonero del generale Cavaciocch.i. Intanto però era accaduto un altro episodio ad un tempo incomprensibile e decisivo. Verso le 15 il generale Fa1isoglio, comandante della 43° divisione, aveva ricevuto ordine di contrattaccare in direzione del fondo valle Isonzo, dove alle 14,30 una colonna tedesca era anivata all' altezza di ldersko. Insp.iegabilmente, egli interpretò la disposizione nel senso di dover agire con l'intera divisione, anziché con la sola sua riserva; perciò dispose l'abbandono della linea difensiva. L'ordine fu ricevuto soltanto da una parte delle truppe schierate, ma la sua esecuzione, ancorché parziale, compromise definitivamente la difesa dal M. Nero allo Sleme e nella conca di Drezenka. In seguito a tale episodio, che accelerava il precipitare della situazione, il capo cli Stato Maggiore del IV corpo fece sapere al generale Arrighi, comandante della 50° divisione, che, stante lo sfondamento avvenuto nel settore della 46" divisione e la situazione confusa esistente a Drezenka, la 50 divisione doveva ripiegare sullo Stol, assicurando lo sbarramento della valle Uccea 3 • D generale Arrighi iniziò il movimento retrogrado alle 18, quando ancora il nernico non aveva preso il contatto.

' USSl'vlE, Relazione ufficiale cit., [V, tomo 3, p. 240. 'L. CAPELLO, Note di g11erra cit., Il, ali. 42. ' E. FALUELLA, La grande g11erra cit. , 11, pp. 141-142.


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DELLA 46'

D IVI SIONE


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J due inopinati ed ingiustificati ripiegamenti, della 43• e della so• divisione, determinarono il crollo della resistenza del IV corpo e concessero all'avversmfo il primo passo per il successo strategico, senza, fra l'altro, consentire il recupero di truppe ancora in efficienza (fu qui che, nell'orgasmo di una ritirata precipitosa a mal controllata, si verificò il piincipale sbandamento). Nel tardo pomeriggio al Comando Supremo regnava un'atmosfera di inquietudine e d'incertezza. Secondo il colonnello Gatti, «è indiscutibile che alle 16 il generale Cadorua ha il pensiero diviso fra queste due possibilità: che il nemico faccia un bluff davanti a Tolmino e attacchi in un altro punto, per esempio nel Carso, e che il nemico faccia sul serio davanti a Tolmino» 1 • È comunque altrettanto• indiscutibile la preminente grossa preoccupazione per il collegamento con la Carnia. Visto l'andamento negativo degli eventi, esisteva il fondato timore che potesse all'improvviso saltare; così alle 18,30 Cadorna trasfeiì al XII corpo la responsabilità della valle Uccea: «Gli avve1ùmenti odierni esigono che V.E. - ordinè> al generale Tassoni - provveda a qualunque costo e con la massima urgenza alla occupazione di Monte Maggiore cd alla chiusura dello sbocco di valle Uccea e del Rio Bianco (fronte Baba-Monte Maggiore). Per valle Uccesa si ritirano i resti [?] della 50" divisione che passano alle dipendenze di V.E.» ' ·

Dopo di che, Cadorna si affrettò a far affluire forze cospicue per la chiusura della falla. Nella matti.nata aveva già ceduto la 53• divisione alla 2' armata. Adesso (ore 19,15), sempre attingendo alla riserva del Comando Supremo, dispose l'assegnazione di una divisione, destinata a Bergogna, a tergo dello Stol, nonché il XXX corpo su due divisioni da dislocare a Nimis ed a Torreano 3• Poi ordinò alla 1• armata di mandare due divisioni, e successivamente una terza, fra Udine e Tarcento 4 • Quindi chiese alla 3° armata un reggimento artiglieria da campagna e 28 batteiie di medio calibro. Alle 22, 10 preavvisò la 3• armata di approntare ancora due divisioni della riserva generale, per spostarle a nord «qualora situazione su ala sinistra 2• armata divenisse critica» 5 • La sera del 24 quasi tutte .le riserve del Comando Supremo, tranne le due divisioni del XXX corpo, erano state ipotecate per tamponare la falla. Nessun elemento giungerà in tempo al posto assegnatogli. Come si vede, tutte le cure ciel Comando Supremo e del Comando 2• armata erano state rivolte alle conseguenze della rottura del fronte di Plezzo. Non che

' A. GAlTI, Caporeuo cit., p. 258. ' Ibidem, ali. 50. Quasi contemporaneamente il generale Lequis, comandante della 12' divisione slesiana, ebbe notizia che le sue truppe avevano raggiunto Caporetlo ed avanzavano su Robié, dopo aver catturato circa 1Omi la prigionieri, fra i quali il generale Farisoglio. ' Saranno impiegab ili solo il 27 ottobre. ·' Arriveranno in Friuli il 28 ottobre . 5 USSME, Relazione iifficiale cit.., IV. tomo 3, p. 328.


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fosse sottovalutato lo sfondamento a Tolmino: semplicemente le notizie affluite erano troppo scarse e genetiche. Il Comando del XXVU corpo era rimasto coinvolto neUa preparazione d'a1tiglieria avversaria, con il risultato dell ' interruzione di tutti i collegamenti a filo e con la conseguenza che l' azione di comando del generale Badoglio, trovatosi a lungo nel piL1 completo isolamento, per l'intera giornata fu praticamente nulla. Alle 16 riuscì a mandare un messaggio al Comando d'armata, che sembra pervenuto dopo le 19: «Mi risulta che il nemico ha sfondato in direzione di Conca Gance e si dirige verso Vogriski. Ho disposto che la brigata Puglie sbarri con un reggimento V. Judrio e con l'altro reggimento occupi linea Srednje-Avska-costone del Cicer. Non ho nessuna notizia né della I 9' né delle divisioni sulla sinistra. [Isonzo]. Conto di resistere con queste trnppe contrastando l'avanzata nemica( ... ). Non ho la possibilità di connuùcare con nessuno( . ..)» '.

La successiva comunicazione delle 18,30 arrivò al Comando 2• armata dopo le 23: «Situazione sulla destra lsonzo. Costone Jesenik-Ccmponi-Varda perduto. M i risu lterebbe che generale Villani mantiene lo Jeza e intende spingersi per Ostry .Kras sino a Pusn() ( . ..).Sono in attesa di rinforti per poter arginare avanzata oemica dato anche che non ho appoggio artiglieria da campagna ( . .. )>> ' ·

Cadoma e Capello cominciarono a rendersi conto dell'importanza somma di un fattore mai preso in considerazione fino a quel momento: il morale delle truppe, il cui cedimento, inaspettato, cadeva di colpo con tutto il suo peso sul nostro piatto della bilancia. Il bombardamento nemico, rivolto in buona parte sulle retrovie, aveva provocato inizialmente solo casi isolati di sbandamento e di allontanamento arbitrario. Dalla tarda mattinata in poi il fenomeno era andato progressivamente crescendo, talché, dopo il primo sfondamento, e mentre ancora ferveva la lotta sulle posizioni avanzate, gruppi di fuggiaschi piombarono in disordine nelle retrovie con la notizia dell'irruzione tedesca nelle nostre linee. La presenza di una fitta nebbia in molte zone accentuava nei reparti il senso di isolamento e l'impossibilità di ii cevere e di chiedere ordini e chiarimenti, a causa dell' interruzione delle comunicazioni telefoniche, aumentava lo stato di confusione, diffondendo ovunque la sensazione di insicurezza e dell'imminenza del pericolo. Sulle p1ime lo sbandamento interessò in prevalenza iI personale dei servizi logistici e lavoratori civili, poi si estese anche ad elementi di reparti combattenti schierati a tergo delle linee (in genere di artiglieria) e, nel pomeriggio, con l'arrivo di colonne di fuggiaschi dalle prime linee, assunse proporzioni da esodo, al punto da provocare grossi intasamenti nel traffico stradale. Non era semplice questione di panico. Si trattava di manifestazioni confuse, difficilmen-

' Ibidem., p. 307. ' Ibidem, p. 308.


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24 ottobre J 9 f 7 - Lo sfondamento.


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te catalogabili, accompagnate talvolta da atti di indisciplina affiorati quasi d'improvviso 1• Inevitabilmente Cadoma e Capello collegarono l'entità degli sbandamenti e la stupefacente rapidità dell'avanzate nemica con la flessione dello spirito combattivo. Alle 19,50 Cadorna indirizzò una lettera ai comandanti delle due annate, toccando il tasto patriottico e della sensibilità militare. Sbagliò tono. li maresciallo Caviglia ne parlò come di «un ordine generale burocratico( .. .) come se l'azione stesse per incominciare» 2• Ma in serata Caclorna inviò alla 2• annata altre comunicazioni di ben diverso tenore. Alle 2 1,30 ordinò: «Tn conseguenza degli avvenimenti odierni V.E. disponga perché sia arretrala la nostra occupazione sull' altopiano di Bainsizza dalla prima linea alla linea di resistenza principale et prenda tutte le predisposizioni per poter, ove la situazione lo esiga, abbandonare anche quest'ulti ma linea et ritirarsi sulle posizioni destra Isonzo» ' ·

Verso le 22 il colonnello Gatti domandò al colonnello Gabba come anelassero le cose. «Non benissimo)) rispose e poi, lentamente, continuò: «Teniamo la stretta di Saga, lo Stol, la valle ad ovest di Creda, il M. Mia, il Matajur, il M. Cucco. Abbiamo perduto il M. Piatto, il M. Jeza, il Globocak: tutto il paese al di là è in mano del nemico. Il Capo si è ritirato nella sua stanza per prendere una decisione. Della 43" e delia 50" divisione non si hanno notizie. 20.000 prigionieri, forse. Tutti i cannoni perduti» •. Considerate le circostanze, Cadorna alle 22,45 si rivolse in via riservatissima al generale Capello e al duca cl' Aosta: «Prego impartire d' urgenza et con la massima possibile riservatezza necessarie disposizioni perché sia sollecitamente rimessa in efficienza linea difensiva Tagliamento. Ciascuna delle armale 2• et 3• provveda al traHo di rispetti va giurisdizione, utilizzando specialmeme mano d'opera, borghese» ' .

Subito dopo, ore 23, confermò a Capello le direttive già .impartitegli nel1.'incontro del pomeriggio. In sintesi: infonnare la difesa «fronte a nord sulla doverosa previsione di tutte le ipotesi possibili» con perno a Monte Maggiore; reiterare la resistenza su tre Jjuee successive, imperniate a sinistra su Monte Maggiore ed a destra sul Globocak e sul Korada, e creare fra di esse una serie di compa1timentazioni per localizzare e contenere l'eventuale irrnzione, evitando che l'allargamento della breccia determinasse la caduta dell'intera Unea; reggere assolutamente la linea dello Stol ed impedire il dilagamento del nemico nella con-

' Ibidem, p. 329. ' E. CAVIGLIA, La dodicesima bauaglia cit., p. 161. 3 USSME, Relazione u!fìciale cit., IV, tomo 3 bis, doc. 116. 'A. GArrt, Caporetto cit., n. 261. In realtà il Globocak era ancora in mano nostra. ' USSME, Relazione ujjìciale cit., IV, tomo 3, p. 239.


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La situazione alla sera del 24 ottobre sull a sinistra della 2• Armata.

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ca di Bergogna; garantire sempre la soldatura fra la fronte nord e la fronte est dell'annata 1• Il maresciallo Caviglia osservò che questi ordirti potevano esser posti in relazione tanto alla situazione del 23 ottobre, come a quella del 21 od a quella del 24. «Infatti La ragione che li dettava agiva già dal 21 ed anche prima, ed era la nostra situazione strategica falsa» 2 • Una critica severa, ma esatta. Quasi tutti gli ordini impartiti .il 24 resteranno superati dagli eventi. Nel frattempo Cadoma si era premurato di mettere i puntillÌ sulle i con i generali Foch e Robertson: «Le mie previsioni si avverano( ... ). Quanto oggi s.i verifica confemia la fondatezza delle mie previsioni dello scorso settembre e la bontà della risoluzione presa, di rinunciaJe ad ulteriori operazioni offensive da parte nostra. Debbo soltanto deplorare che in seguito a tale mio divisamento gli Alti Comandi Alleati. mi abbiano, con sì repentina decisione, tolto gran parte delle .loro artiglierie (. .. )e ciò sebbene io. pienamente conscio della situazione che andava maturandosi, avessi pregato di lasciarle ancora su questa fronte. E ciò tanto più io sono indotto a deplorare, inquantoché nell' azione che qui si sta per svolgere, sono in gioco non le sorti dell'Italia soltanto, ma quelle di tutta l' Intesa. Da parte mia attendo lo svolgimento degli avvenimenti e con perfetta serenità e con piena fiducia» 3•

A stretto rigore non era molto esatto che in settembre (e nemmeno in ottobre) si attendesse un'offensiva così travolgente, né che al momento fosse tanto fiducioso. Però la lettera era ben collocata se ancora il 23 ottobre il colonnello Herbillon annotava, a carico dell'Alto Comando francese: «La minaccia tedesca contro l'Italia si afferma, ma ci sono ancora degli increduli. Che cosa ci vorrà perché essi aprano gli occhi?» •. Occorreva prendere atto che l'impianto difensivo aveva retto all'mto austro-tedesco soltanto per qualche ora nella mattinata e che l' avanzata, avversaria, per quanto scontata nella fase iniziale, si stava sviluppando con eccessiva rapidità. Il bollettino complementare diramato alle 23,40 dal Comando Supremo, a, firma del generale Porro, rendeva noto che: «L'offensiva nemica è in pieno svolgimento (.. .). Masse di fanteria nemica hanno attaccato ( ... )riuscendo a progredire in direzione della stretta di. Saga ed a superare le nostre linee a sud del Mrzili, raggiungendo fondo valle Isonzo a Idersko. Nella zona di Santa Maria e Santa Lucia il nemico ha occupato il costone del Krad Vrh» ' ·

' Ibidem, pp. 330-33I. ' E. C AVIGLIA, La dodicesima bauaglia cit., p. 162. ' Sonnino a Imperi.ali in <lata 25.10.1917, D.D.l., 5" serie, IX doc. 278. La comunicazione di Cadoma è del 24 onobre. 'In M. C\KACCIOLO, L'Italia e i suoi alleati cit., pp. 142- 143. ' li bollettino delle 13 era anodino. Annunciava il concentramento di numerose forze avversarie «a scopo offensivo», ma aggiungeva un tranquilli.a.ante: «il nemico ci trova saldi e ben preparati».


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. di Cadoma <lei 24 ottobre 1917, ore 23. Le tre linee dell , ordine


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In questo modo fu dato l'ann uncio della rottura del fronte della 2• armata fra Plezzo e Tolmino. Alla rapidità dello sfondamento con-ispose il disorientamento in campo italiano. Pesarono grandemente, come si è accennato, il tempo nebbioso, che favorì l'avvicinamento dell'avversario alle nostre posizioni, e L'estesa e generalizzata intenuzione delle linee telefoniche provocata dal fuoco nemico, che rese nullo in pratica ogni contatto fra i Comandi ai vari livelli. Il sistema dei collegamenti si basava essenzialmente sulla rete telefonica campale, in quanto le stazioni ottiche erano scarse e per di più inutilizzabili date le condizioni atmosferiche e gli apparecchi radio erano in dotazione soltanto ai Comandi di grande unità. Fu così che l'abbandono del.la stretta di Saga da parte della 50' divisione venne deciso suUa base di informazioni inesatte circa la situazione della 43• divisione e l'avanzata tedesca su Caporetto; la 43• di visione rimase ben presto isolata e soltanto verso mezzogiorno riuscì a fare una telefonata al IV corpo per chiedere rinforzi; e delle vicende della 46" divisione, tagliata fuori sin dalle 6,30, il Comando IV corpo ricevette qualche notizia ince1ta, tardiva e saltuaria. Nel settore del XXVII corpo d ' annata, poi, dopo appena mezz'ora di bombardamento si interruppero tutte le linee telefoniche, eccezion fatta per quelle con la 19• divisione. E nei giorni successivi le difficoltà aumentarono sia per la perdita di apparecchi sia per gli spostamenti dei Comandi. Bisogna tuttavia riconoscere che comandanti e Comandi, pur nell'affannosa ricerca di porre in qualche misura rimedio ad avvenimenti così improvvisi ed imprevisti, dettero la sensazione di non riuscire a superare l'impaccio delle circostanze, di non riuscire ad affrontare, se non a superare, gli avvenimenti. Il che significa che le ipotesi sulle possibili azioni dell'avversario non erano state studiate a fondo e che la linea di condotta da tenere ai vari livelli non era stata, quanto meno, approfondita. D'altronde lo stesso avversario era alquanto sorpreso dalla rapidità di evoluzione dell'attacco. A mezzanotte del 24 il Comando 14' annata non possedeva ancora un quadro sufficientemente nitido della situazione. Ignorava dove esattamente fossero arrivati l'Alpenkorps e la 200" divisione del gruppo Berrer, così come non risultava chiaro se .iJ gruppo Krauss avesse superato la stretta di Saga. Sembrava però ce1to che la 12• divisione slesiana avesse raggiunto la testata ciel Natisone; che la l" divisione austro-ungarica del gruppo Scotti avesse conquistato l'Ostry Kras, sfondando le posizioni italiane di destra Isonzo. E tutte le notizie sembravano confermare che «gli italiani erano in preda a grave disordine e non minore disperazione» 1• Il 25 ottobre segnò il crollo della difesa. Capello tentò di rinvigorire le truppe affermando che i distaccamenti penetrati nel dispositivo italiano erano debo-

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KRAFFT VON D ELLM ENSJN( ;EN,

Lo sfondamento dell'Isonzo cit., p. 138.


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La sit11a1.ione alle ore 24 del 24 onobrc.

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li forze e che una serena valutazione delle circostanze avrebbe consentito di arrestare e ributtare il nemico 1; ma Cadorna guardava le cose con estrema serietà. Alle 7 del mattino esaminò, insieme co n il colonne llo Gabba, il quadro ricavabile sulla base delle notizie affluite. Era impressionato per la disordinata fuga degli sbandati e per la carente, a quanto gli veniva riferito, resistenza opposta dai reparti. Temeva per iI Korada. Se cadeva in mano austriaca avrebbe compromesso le possibilità di recupero dei corpi d'annata ancora sulla sinistra dell'Isonzo. Perciò voleva far ripiegare subito sulla destra del fiume il XXIV corpo con le residue unità del XXVII, ccl alleggerire la 2• armata, passando l' Ylli corpo alla 3°. Inoltre il duca d'Aosta doveva mettere a disposizione della 2• annata tre divisioni, mentre !'VIII gruppo alpini, proveniente dalla 1• armata, era destinato alla Zona Carnia per la difesa di Monte Maggiore e della valle Resia. li colonnello Gabba sperava che i contrattacchi del VII corpo ,i uscissero ad ottenere qualche risultato, ma Cadoma lo interruppe bruscamente: «È inutile prendere delle misure con l' immaginazione cd il sentimento. Bisogna riferirsi alla fredda realtà delle cose per impedire un disastro totale. Il fatto è che le truppe non tengono e nessuno mi può assicurare che il Korada sia mantenuto. Dia l'ordine» 1. Alle 8, LO Cadorna ricevette il duca d'Aosta e gli impartì direttive precise: sgombero delle artiglierie pesanti e meno mobili dietro il Piave; presidio fermo della linea del Vallone di Doberdò per proteggere il ripiegamento dell'armata nel caso si fosse reso necessario; assunzione di ogni predisposizione per l'eventuale ripiegamento dell'ru·mata dietro il Tagliamento. Poco più tardi arrivò anche Vittorio Emanuele lll, al quale Cadoma illustrò in sintesi gli avvenimenti e le prospettive operative. A suo dire la responsabilità de l disastro ricadeva sul IV corpo, il cui cedimento avrebbe compromesso il XXVll: «Alcuni reparti del IV corpo- scrisse nel bollettino trasmesso alle 10,49 al Ministero della Guerra - abbandonarono posizioni importantissime senza di fenderle ( .. .). Nostre perdite gravi in uomini ed rutiglierie dovute abbandonare»-'. Quindi si recò a Cividale. In un breve colloquio discusse con Capello la linea d ' azione da tenere: meglio continuare la resistenza in posto oppure cedere spazio per riprendere la lotta sul Torre o sul Tagliamento? L'opinione di Capello era molto semplice. Una crisi morale così intensa, improvvisa ed ampia non

' ibidem, pp. 359-360. ' Dal diario del ten. col. medico Casali (E. FALDaLA, La gra11de guerra cit., li, pp. 223-224; cfr. A . GArn, Caporetto cit., pp. 263-266) ' «Teri disastro completo al IV corpo - Cadorna ~crisse al figlio - Il nemico da Tolmino è ,IITi· vato a Caporetto ed oltre superando due li11ee di difesa dove evidcmemente le truppe hanno mollato. Sfondata la linea di Plezzo e ridotti alla difesa di Saga. Tagliate fuori le truppe del monte Nero, del Pleka ccc. Perduti certamente 30.000 prigionieri e 400 cannoni. Tutto questo dovuto all"azione di comando del generale Cavaciocchi( ...)» (L. CAOORNA, Lellere famigliari cit., p. 227, lettera in daIn 25 ottobre).


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pareva superabile in poco tempo '. Di controffensiva dalla conca di Vrh non era nemmeno il caso di parlare. Restava la scelta fra l'irrigidimento della resistenza utilizzando tutte le riserve ancora disponibili oppure la rottura del contatto e la reiterazione della difesa molto più indietro. La prima ipotesi rischiava di provocare ingorghi insuperabili sulle strade, di propagare il contagio dello sbandamento alle nuove brigate in anivo e di creare una situazione in-eparabile. La seconda scelta permetteva invece cli evitare, almeno in parte, inconvenienti del genere ed. offriva migliori garanzie di riprendere alla mano situazione e truppe. Questo il ragionamento cli Capello. Il punto interrogativo, sul quale egli non si pronunciò, concerneva la 3" armata. Era pressoché intatta e per qualunque ripresa occorreva basarsi su di essa. Avrebbe fatto a tempo a ritirarsi con le sue artiglierie? Nbn sembra si giungesse a conclusione, perché alle 13,30 Capello si presentò al Comando Supremo e, considerando gli ulte1iori progressi austro-tedeschi sul Kolovrat e sullo Stol, propose l'immediata rottura del contatto. Per l'azione delle necessaiie retroguardie non aveva bisogno di alcuna divisione dì rinforzo 2, Cadorna, come sembra, 1imase colpito dalle ai·gomentazioni, aderì all'idea della ritirata sul Tagliamento 3 e chiese una relazione. In quella occasione Capello rappresentò di non sentirsi più in grado di reggere il comando dell'armata a causa dell'aggravarsi delle sue condizioni di salute. Nel primo pomeriggio il Comando Supremo ordinò che il XXIV corpo iipiegasse sulla destra dell'Isonzo ed il II sulla linea Kuk-Yodice-M. Santo; confermò alla 2• minata le disposizioni date via breve; avvertì la Zona Carnia di prevedere l'eventuale ripiegamento sulla linea delle Prealpi. Prima di lasciare il comando della 2• armata, Capello dettò i concetti cli base ai quali infonnare il ripiegamento dell'annata sulla terza delle tre linee indicate dal Comando Supremo, per consentire alla 3• armata cli ritirarsi a tergo dell'Isonzo; poi sul Torre, dove dovevano subito affluire le otto brigate della riserva d'armata ed il XXX corpo. In tal modo il suo successore, generale Montuori, era sollevato dalla responsabilità della decisione. La lettera che Capello inviò a Cadorna diceva: «( ... ) La situazione è quella che ho notificalo. Sfondato il fronte del IV e del X.XVH corpo d'annata, iJ nem.ico ha dilagato facendo cadere tutte le posizioni di detti corpi d'annata sulla sinistra

' La gravità della crisi morale aveva colpito fortemente Capello, sì da farlo propendere per una netta ritirata. Si trattava, a quanto gli constava anche direttamente, <li un fenomeno stranissimo. Era uno stato di apatia, «quasi di tranquilla indifferente attesa di un destino inevitabile». Quella che abbandonava il campo di battaglia era «una folla amo1fa, non vinta ancora, ma che aveva perduto la coscienza di se stessa o che accettava uo fallo che credeva compiuto». Per di più questa massa ingombrava le strade in modo tale da rendere pressoché proibitivo andare contro corrente. Peggio ancora: aveva influenza sui repaiii cbe marciavano verso le posizioni (L. CAPELLO, Caporetto, perché? cit., p. 177). ' L. CAPELLO, Noie di guerra cit., 11, pp. 229-230. ' E. CAVIGLIA, la dodicesima battaglia cii., p. 166.


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dell ' Isonzo e passando il fiume a Caporeuo. Oggi ha avanzato su Creda, vincendo le resistenze nostre e attaccando con successo lo Stol. TI nemico ha intaccato anche la linea di cresta di riva destra dell'Isonzo al Monte Jeza e q uesta sera preme forteme nte su Lu ieo. Reparti nemici, scendenti lariva destra dell'Isonzo, hanno raggiunto Ronzina, mentre altre forti pressioni esercitano sulla fronte del XXIV e li corpo. La situazione è molto grave. L' ala si nistra dell 'annata sfondata. Le linee front.ali imaccate seriamente. La si1uazione sull'altipiano di Bainsizza insosten ibile. Se molti reparti fecero bene il loro dovere, molti altri non lo fecero non resistendo affollo o resistendo in modo irrisorio. In tale situazione ho creduto esporre all'E.V. la questione se allo stato delle cose non convenisse nell'i nteresse supre mo del Paese, anziché impiegare le ultime divis ioni per stabilire una siiuazione con scarsissime possibilità di riuscirvi, pensare piuttosto a manteoerc in efficien1.a il massi mo di uomini e di mc-a i per dominare in seguito gli eventi. Tale decisione (che a mio parere è, nel momento attuale, per quanto dolorosa, la più razionale) impone la necessità di sottrarsi allo stretto contalio ed alla pressione nemica sotto la protezione di una strenua difesa di retroguardie. Dove ritirarsi? Certo almeno fino al Torre e forse fino al Tagliamento. Quest' ultima soluzione più radicale e più dolorosa è forse in questo momento quella da adottare. li tempo lungo che i provvedimenti logistici richiedono consiglia prendere la decisione al più presto» ' .

Nel frattempo aJ Comando Supremo erano arrivate le notizie della perdita dello Stol e della sella di Luico sul Kolovrat. La prima linea di resistenza prescritta alle 23 della sera precedente era già sfondata! Ma si esitava a dare l'ordine esecutivo della ritirata. Cadorna per primo era riluttante al pensiero di abbandonare di colpo il terreno conquistato in due aruù e mezzo di gue,rn, ed altresì province e popolazioni italiane. Il telegranuna spedito ali.e 19,47 al ministro della Guerra era significativo del suo stato d'animo: «Offensiva nenùca ha ripreso sulla fronte Saga-Stol-Luico e sull'altipiano di Lom. Alt.aceo nemico ri uscito a Luico e ad /\uzza. Perdite in dispersi e canno1ù gravissime. Circa l Oreggimenti arresi in massa senza combattere. Vedo delinearsi un disastro. contro il quale lotterò fino all'ultimo. Ho disposto per resistenza possibi le nei momi e sul Carso e predisposto, senza emanarlo, ordine di ripiegamento sul Tagliamento ( ... )» ' ·

Uno degli ufficiali più contrari al movimento retrogrado era il colonnello Cavallero. Fu incaricato di recarsi a Cividale per sentire il parere del generale Montuori.

' USSME, Relazione iiUiciale ci t. , IV. tomo 3, pp. 360-361). Faldella ha messo in evidenza l'inesatta conoscenza degli eventi da parte di Capello. U nemico non aveva passalo l'Isonzo a Caporetto perché il ponte era saltato; la linea del monte Jeza non era «intaccata», bensì travolta: non una parola sulla perdita del Kolovrat, del passo Zagradan e del Globocak. Ed ha anche notato maliziosamente che, menire nel testo pubblicato da Capello - e, aggiungiamo, ora anche nella Relazione ufficiale cit., ibidem, p. 360 - è scritto: «Sfondato il fronte del IV e del XXVU corpo d 'armata, il nemico ha dilagato ... » (Note di guerra cit., Il. p. 390), nella relazione della Commissione d' inchiesta sì legge: «Sfondato il fronte del IV corpo, il nemico ha dilagato ... » (Dall'Isonzo al Piave cit., Il, p. 147).

' A.

CMIATI,

la battt1glia dell'oliobre 1917. p. 4 15.


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Al Comando della 2• annata sorse una lunga discussione fra il generale Montuori, orientato a dar corso all'indirizzo di Capello, che sapeva approvato dal Comando Supremo, ed il colonnello Cavallero che prospettava .i l pericolo di esporre, con un immediato ripiegamento, la 3" armata ad essere tagliata fuori. Per Montuori il problema era costituito dal timore che le sue truppe non riuscissero a sostenere a lungo la lotta sul posto. Alla fine interpellò per telefono i comandanti di corpo d 'armata e sulla base delle loro risposte accettò di prolungare la resistenza sulla terza linea, da M. Maggiore al Korada. In tal senso si espresse con Comando Supremo ed ottenne l'autorizzazione ad impartire gli ordini relativi '. Poco prima di mezzanotte il generale Cavaciocchi incontrò sulla strada per Nimis il generale Gandolfo, che gli comunicò di doverlo sostituire nel comando del IV t:orpo d'annata per d isposizione del Comando Supremo. Da parte nemica, sin dal mattino, quando l' imperatore Carlo visitò il Comando della 14° fumata, erano stati presi importanti provvedimenti. Anche la 2" lsonzo-Armee attaccava, approfittando della flessione delle unità italiane che la fronteggiavano, quindi si poneva il problema della continuazione dell'offensiva nella pianura friulana . Poiché il progredire della 14' armata poteva provocare un ingolfamento con le truppe della 2• lsonzo-Armee, furono decisi alcuni rimaneggiamenti nel dispositivo a favore del gruppo Krauss, in modo da rinforzarne la spinta in direzione della val Fella per aprire la strada alla 1o• annata ed in direzione di Tarcento per agevolare le successive operazioni verso l'alto Tagliamento. In serata, ricevute le ultime favorevoli notizie, il generale von Below assegnò i seguenti obiettivi: al gruppo Krauss, Resiutta in val Fella e allineamento P.ta di Monte Maggiore-M. Cavallo-M. Carnizza; ai gruppi Stein, Berrer e Scotti, le posizioni di M. Joannaz, M. Mladesena, M. Purgessimo e Castelmonte. Alla 2• lsonzo-Annee il Comando del fronte sud-ovest fissò come obiettivo il Korada. Si trattava delle posizioni ai margini della pianura che «per un nemico deciso sarebbe stata una buona linea e per contro la meno favorevole per noi» scrisse il generale Krafft 2 • Infatti Cadorna la scelse.

* * * il colonnello Cavallero tornò a Udine all'alba del 26 ottobre riferì i dettagli della conversazione con il generale Montuori a Cadorna, che ne fu sollevato. Nelle sue memorie ammise che «nel mattino del 26 mi era rinata la speranza di poter sbaU"are la strada all'invasore» 3 • Poi diramò l' ordine formale di irrigidire la di-

' CARLOC~.VAI.LfJI.0,/1 dramma del maresciallo Cavallero. M ondadori, Milano 1952, pp. 13- 16. 1<.RAr:r-r VON D ELL\1ENS1NGEN, lo sfondamenro del/'l somo cit., pp. 138-14l. • L. C."-OC>RNA, La guerra allafrome iwliana cit., li, p. 188.

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fesa sulla linea M. Maggiore-Purgessimo-Korada-Kuk-Vodice-M. Santo. «Questa linea - intimò - deve essere difesa ad oltranza, fino all'ultimo uomo. Cederla significherebbe aprire le porte all'invasore. Sopra di essa si deve vincere o morire»' . Unainutileenfasi perchésapevabenissimochesoltantoun miracolo avrebbe permesso a truppe in ritirata, cd in una situazione tattica in rapida evoluzione, di organizzare una difesa così complessa e di rimanere su queUa linea tanto estesa in rapporto alle forze disponibili. Non per niente, riflenendo sulla scarsa probabilità di riuscire a mantenersi sulla sinistra dell' Isonzo, verso sera modificò l'ordine nel senso di limitare il presidio delle posizioni Kuk-Vodice-M. Santo a poche forze e di aUacciare la difesa del Korada con le alture di riva destra Isonzo, collegandosi al Sabotino con la 2• armata z. C'è da chiedersi quale valore si potesse ancora attribuire alle posizioni di sinistra Isonw, una volta che il nemico si era impadronito deUo Jeza e quindi si affacciava sulla vaJJc dello Judrio. Nel pieno della battaglia e nella non conoscenza di quanto accadeva al fronte, si verificò la crisi di governo. La discussione alla Camera sull'esercizio provvisorio del bilancio, iniziata il 17 ottobre, si era conclusa la sera precedente con 314 voti contrari al governo BoseUi ed appena 96 a favore. Il Re, tornato quella mattina al Comando Supremo, dovette partire immediatamente alla volta della capitale. Ma intanto il nemico cominciava a premere con sempre maggior vigore in direzione della Carnia. Il problema più grosso, e non risolto, era quello dell'ala sinistra della 2• am1ata, a causa della mancanza di forze adeguate ad assicurare il possesso di Monte Maggiore, la cui difesa, affidata il 25 ottobre alla Zona Carnia, tornava il 26 aUa 2• annata. Nel corso di quella giornata il generale Montuori si trovò ad esplicare l'azione di comando in condizioni difficilissime. Le eccessive dimensioni della 2• armata avevano indotto a costituire due Comandi tattici (sinistra e destra), quali organi demoltiplicatori dell'attività operativa, senza però un adeguato suppo,to organizzativo e di mc1.zi, e quindi con insufficiente capacità di «raccordo» fra i corpi d'armata dipendenti ed il Comando d'armata. In questo delicato momento i due Comandi così improvvisati rallentarono e ritardarono sensibilmente il flusso infomrntivo verso il Comando d'armata, la cui capacità decisionale e direttiva nella battaglia in corso risultò di scarsa efficacia. Fu così che vennero emanati ordini di resistenza ad oltranza anche per posizioni non difendibili a lungo e che si pose in atto una politica di impiego delle riserve precipitosa, improvvida e spesso inutile in quanto i reparti non riuscivano a giungere a destinazione se non quando le circostanze erano mutate. Aumentarono però visibilmente le preoccupazioni di Cadoma sulla concreta possibilità di arrestare l'offensiva austro-tedesca. Alle 11,10 telegrafò al mirti-

'USSME, Relazione t(ffeciale cit., IV, lomo 3 bis, doc. 121. lbidem, doc. 124.

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DALL' lSONZO ALP.lAVE

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stro della Guena: «( ... ) Si prendono tutte le misure preventive per il ripiegamento sul Tagliamento, senza però aver emanato l'ordine. Occon-e provvedere invio complementi ed arrestarsi sul Piave>> '. Nel pomeriggio, alle 16,20, avvisò il generale di Robilant che, nell'eventualità, «che considero solo in via cli dove.rosa precauzione}>, si rendesse necessaria la ritirata della 2" e della 3' armata al Tagliamento e del XII corpo sulle Prealpi carniche, la 4° armata doveva arretrare sulla nota linea di resistenza ad oltranza e, intanto, sgomberare subito sulla destra del Piave le batterie cli medio e grosso calibro meno mobili e tutti i materiali ingombranti 2• Quindi impartì al generale Montuori ed al duca d'Aosta direttive riservatissime in previsione «dell' ipotesi più sfortunata, e che debbo ritenere poco probabile, che nessuno sforzo e nessi.fn sacrificio valgano ad impedire lo sfondamento della fronte». In tal caso sarebbe stato giocoforza ritirarsi sul Tagliamento. La delicatezza e la complessità della manovra consigliavano di studiare gli ordini opportuni in modo da poterli prontamente diramare all'emergenza. I criteri da tener presenti in merito erano i seguenti: movimento graduale sotto la protezione di robuste retroguardie con resistenze ripetute; prima linea di sosta, sul Torre-Versa; movimento della 3" armata successivo rispetto a quello della 2•, evitando però che ne risultasse scoperto il fianco sinistro della 3• ; ponte della Delizia come punto di riferimento per le due annate (a nord del ponte lo schieramento della 2• armata, a sud quello della 3•). In sostanza, le due armate dovevano condUITe la manovra in ritirata per proprio conto, nell'ambito dei rispettivi corridoi. Il Comando Supremo però si riservava di «disciplinare il movimento in relazione alle circostanze», proponimento saggio quanto cli estremamente dubbia attuabilità, visti i gravi intoppi all'azione di comando sino allora verificatisi (notiàe sempre tardi ve, ordini superati dagli eventi, ecc.). 11 pensiero di Cado ma si era rivolto al Piave a ragion veduta. Esistevano già molti studi sull'apprestamento della linea del Piave, ripresi alla mano nel tardo 1916 con l'avvio cli consistenti lavori. Nelle ispezioni al fronte trentino, compiute eia Vicenza i p1irni cli quell'autunno, Cadorna si era recato sul Grappa a dare un'occhiata alla sistemazione difensiva ordinata. Era il 7 ottobre e gli ufficiali che gli stavano vicino lo sentirono dire improvvisamente al colonnello incaricato della direzione dei lavori: «Stia bene allento, colonnello; il Grappa deve riuscire imprendibile. Deve~cssere fortissimo da ùgni parte, non sol tanto verso occidente. Anzi, metta la maggior cura nel rafforzare più che può la fronte rivolta a nord. Perché se, quod Deus advertat, dovesse avvenire qualche disgrazia sull' Isonzo, io qui verrò a piantarmi».

E, dopo un momento di silenzio, continuò:

C\BIATl, La ballaglia dell'ottobre 1917 cit., p. 416. ' USSME, Relazione ufficiale c it., IV, tomo 3 bis, doc. 122 e 123.

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LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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«Guardi bene. Laggiù l'altipiano di Asiago e le Melene; qui il Grappa; a destra il Monte Tomba ed il Monfcnera; poi il Montello e la Piave. Le ripeto, in caso di disgrazia, questa è la linea che occuperemo» '.

Quella sera del 26 ottobre Cadoma fece consegnare ai capi delle missiouj militari francese ed inglese una lettera con il riassunto degli avvenimenti dei due giorni di combattimento. Precisò di aver stabilito una forte linea difensiva volta a nord (M. Maggiorc-Purgessimo-Korada) saldata ad angolo retto alla linea della fronte giulia (Korada-Sabotino-Isonzo-Vallone di Doberdò). Su queste posizioni intendeva «resistere ad oltranza e, affrontando la so1te della battaglia, tentare di arginare 1' irruzione e respingerla». Dovendo, peraltro, tener conto anche dell'ipqtesi più sfavorevole, aveva preso ogni predisposizione per ripiegare a scaglioni sul Tagliamento e qui reiterare la resistenza. Infine, richiamandosi agli accordi stabiliti con gli altri comandanti in capo nell'apri le precedente, a Udine, concluse che «la situazione quale obiettivamente ho rappresentato sia in atto sia in rapporto alle possibilità future, basta a porre in luce la utilità somma dell'intervento diretto alleato nella misura concordata o anche in maggior misura» 2• Alle 23, pur in assenza di ulteriori notizie dalla 2" armata, Cadoma decise di assegnare nuovi rinforzi al generale Montuori. Non solo il provvedimento in sé stupisce, ma anche - e di più - il mutato atteggiamento nei confronti di quella grande unità. Prima della battaglia, infatti - quando il comandante era Capello - era stato quasi di distacco, con un marcato rispetto della sfera di responsabilità e con una notevole tolleranza per le deviazioni dalla linea d'azione stabilita. Adesso, con Montuori, Cadoma non esitava ad entrare nel merito di attività concettuali ed organizzative di specifica competenza del comandante dell'armata, inviandogli rinforzi non richiesti, indicandogli la destinazione ed i compiti degli stessi con una perentorietà che sconcerta: dare la 20° divisione al IV corpo; inviare oltre Tagliamento le divisioni 34• e 50" per ricostituirle; immediata formazione di una riserva d' armata; riorganizzazione delle unità di seconda linea e loro utilizzazione per turni sulla prima linea 3 • E ancora: costituzione di un «corpo d'armata speciale» (gen. Di Giorgio) agli ordini della 2" armata, per «garantire in ogni evento il possesso dei ponti da Pinzano a Trasaghis compresi, ed impedire ad ogni costo infùtrazioni nemiche» provenienti dalle Alpi Carniche '. Finalmente alle ore 23,30 arrivò al Comando Supremo la risposta del generale Montuori ad una richiesta telefonica fatta fare da Cadorna alle 18 per ave-

' A. GATTI, Nel tempo della tormenta, Milano 1924, p. 272. 'USSME, Relazione 11.!Jiciale cit., IV, tomo 3, pp. 614-6 16. Proprio que l g.iomo l'ambasciatore imperiali aveva telegrafato a Sonnino che Lloyd George era «visibilmente ;1Uannato per il telegramma poco prima giuntogli (era quello di Cadoma a Robertson in data 24J, con le tristi notizie dell'importante successo nemico», e soprattuuo «turbato per l 'avviso espresso dal generale Cadorna sulla serietà della nostra s iruaziooe» (D.D.J., 5 serie, lX, doc. 233). ' USSME, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3, p. 382. 'Ibidem, IV, tomo 3 bis, doc. 124.


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re un quadro quanto più attendibile possibile della situazione in atto all'ala sinistra della 2• annata. Tutto sembrava andare abbastanza bene. La linea difensiva si basava sui tre capisaldi di M. Maggiore (che nel pomeriggio aveva già respinto un attacco), di M . Cavallo e di M. Joanaz. Nelle ampie cortine inte1medie si trovavano nuclei minori. Il comandante del IV corpo si mostrava tranquillo perché stava arrivando la testa della 21 • divisione di rinforzo. Comunque il generale Etna, comandante della sinistra dell'annata, ricevette ordine di tornru·c a Nimis per portare la sua particolare attenzione su quella linea d'operazioni 1 • Purtroppo non accennava a ricomporsi il drammatico scollamento fra avvenimenti ed informaziotù. Questa volta, addirittura, fu il Comando Supremo ad avvertire il generale Montuori: «Risulta che M. Maggiore est stato abbandonato e che nostre truppe hanno ripiegato su Montea perta-SS.Trinità. Dia ordini più energici perché mediante contrattacco occupazione M. Maggiore venga subito ristabilita ( ... )» 1• Montuori dovette confennare che, sotto la minaccia deU' agginunento, quel presidio si era ritirato fin dalle 19,40 ed aggiunse, con l'occasione, che anche M. Cavallo era andato perduto. Per Cadorna l'abbandono cli M. Maggiore, cui si appoggiavano la sinistra della 2' armata e la destra della Zona Carnia ', significava l'impossibilità di difendere l'ultima linea a sbarramento della valle del Natisone. Inoltre il nemico nel suo movimento si era portato più vicino al Tagliamelo di quanto lo fossero la destra della 2" annata e La 3" annata. E non era tutto. Apertasi la direttrice della valle Resia, lo sfruttamento ciel successo da parte dell'avversario si profilava gravido di drammatiche conseguenze per noi. Occorreva dunque disporre immediatamente la ritirata al Tagliamento per salvare l'esercito •. «In soli tre giorniscrisse con amarezza Cadorna - erano cadute tutte le linee cli difesa montane, per una profodità di oltre 20 chilometri tra il M. Nero ed il M. Maggiore» 5 • * * * Entro l'alba del 27 ottobre vennero dinunati gli ordini esecutivi. Il nùnistro della Guerra venne informato con un breve telegramma:

' Ibidem, IV, tomo 3, p. 377. ' Ibidem, p. 378. ' ln realtà. nel vuoto esistente fra la Zona Carnia ed il Vfl corpo si trovavano «come pochi denti in una bocca sdentata» i resti del IV corpo ed i due battaglioni alpini di M. Maggiore. I quali tulli. mal si~temati ed isolati, si videro minacciati di avvolgimento dal b;isso e di atracco in alto (E. C,w1GLIA, La dodicesima bauaglia cit. , p. 178). '«L'idea del Capo, oggi - annotò il colonnello Gatti - è di fare un primo ripiegamento al 'làgliamento. Poi al Piave. Spera che ciò si faccia in 4 o 5 giorni. La sosta al Tagliamento per la 2• armata che arriverà sul fiume, deve essere brevissima: tale che, appena giunta, possa ripartire» (A. GATTI, Capore110 cit., p. 273). ' L. CADORNA, La guerra alla fronte italiana cit. , Il, p. 194.


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«ln seguito ulteriori progressi fatti dal nemico alla sin istra della 2" annata in regione M. Maggiore-M. Cavallo, si delinea grave pericolo completo aggiramento delle difese intera fronte giulia. In vista di tale situazione e dello stato morale ormai propagatosi fra le truppe, per almeno tentare di salvare l' esercito, ho disposto per graduale ripiegamento delle annate 2• e 3• ~una destra del Tagliamento. Movimenti si iniziera1mo oggi stesso. Comando S upremo si trasferirà a Treviso. Prego V.E. di voler dare partecipazione di quanto sopra la Governo» ' .

Però Cadorna scrisse anche al presidente del Consiglio dimjssionario Boselli, e voile puntualizzare il proprio convincimento in modo estremamente esplicito: «( ... )Alcuni reggimenti abbandonarono le posizioni senza combattere, come ubbidendo a un ordine; altri fuggono sbandandosi e gettando le armi. Se il contagio si propaga alla 3• armata, il disastro sarà completo. L'esercito cede, vinto non 'dal nemico esterno, ma da quello interno, contro il quale invano reclamai provvedimenti con quattro lettere del giugno ed agosto rimaste senza risposta» 2• 11 bollettino delle I 3 si limitò a rendere noto che «il nemico, superata in più parti la nostra linea cli confine tra M. Canine la testata dcll 'Judrio, tenta di raggiungere lo sbocco delle valli. Sul Carso ha intensificato la pressione ed eseguito forti puntate che vennero respinte» 1 • Intanto il governo si era mosso, incaricando il ministrn degli Esteri di mettere gli ambasciatori a Londra, Parigi e Pietrogrado ,ù corrente dei fatti e di chiedere iI concorso degli alleati: «Notizie dal nostro fronte - telegrafò Sonnino - indicano gnivissima la situazione. Nemico ha sfondato nostra linea io parecchi punti e sembra persegua un piano di grande stile di cui è impossibile prevedere conseguenze( ... ) . Prego V.E. richi amare subito attem:ionc di codesto Governo sulla necessità di preordinare con la massim a soUecitudione e urgenza invio contingenti secondo accordi intervenuti a suo tempo tra i vari Comandi Supremi» ' .

Tuttavia il 27 ottobre, prima ancora che a Parigi arrivasse la richiesta di concorso da parte di Cadoma, Painlevé, saputo della rottura del fronte, chiese a Pétain quante divisioni potesse inviare in Italia. Alla risposta: «Sci», dette l'ordine di farl e partire d'urgen'.la 5• Gli ordini diramati dal Comando Supremo nelle prime ore del 27 si basavano su uno schema concepito sul presupposto di poter decidere liberamente il momento della ritirata e non di essere costretti ad essa repentinamente. Cosicché, all'atto dell' esecuzione, quello schema non rispondeva più alle circostanze.

1

USSME. Relazione 1i[ficiale c it. , IV tomo 3, p. 338. ' L. CADORNA , Pagine polemiche cit.. p. 180, nota 1. Cfr. O. M ALAC.OLJI, Conversazioni della guerra cit .. J. pp. 218-219. 1A. CABIATI, La bauaglia dell'ottobre 1917 cit, p. 4 16. ·• Sonnino a Imperiali, Salvago Raggi e Carlotti in data 27. 10.191 7, D.D.I., 5' ~erie, IX, doc. 293.

' Cii. in M.

C ARACCIOLO,

L'Italia ed i suoi alleati cit., p. 14.


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H nemico aveva avuto il tempo di far defluire altre forze dalla testa di ponte di Tolmino ed ormai eserciterà un' ininterrotta pressione sull'intero fronte giulio. Gli ordini esecutivi di ritirata al Tagliamento confermavano che la 2° armata adesso articolata in una sinistra (geo. Etna con il IV corpo e le divisioni 16• e 21"), centro (gen. Petitti di Roreto con i corpi XXVlll, Vli e XXVII) e destra (gen. Ferrero con i corpi XXIV, li e VI) - doveva tenersi a nord dei ponti di Codroipo, che sino allora erano stati utilizzati dalla 2" annata. li motivo risiedeva nell'intento del Comando Supremo di assicurare il pieno recupero della 1• armata, ancora in ordine. Fu un errore aggravato da un'infelice iniziativa del generale Montuori. Avendo ricevuto l'ordine verbale di «coprire a tutti i costi e con qualunque sacrificio il ripiegamento della 3° armata», nel pomeriggio del 29 ottobre ordinò al generale Ferrero di disporsi fronte a nord da Buttrio fino al Podgora e far sfilare in piena sicurezza la 3° armata '. Ove si consideri che il 25 il Comando Supremo aveva passato l'Vill corpo alla 3• m-mata proprio affinché questa se ne servisse a protezione del fianco esposto, la misura del generale Montuori, già discutibile di per sé, rischiò di compromettere inutilmente la sorte di tre buoni corpi d'am1ata. Probabilmente l' urgente necessità di abbandonare Udine per Treviso non consentì al Comando Supremo un riesame della rispondenza degli ordini alla nuova situazione. È comunque certo che poi sarà la lontananza ad impedire una corretta valutazione delle circostanze durante la ritirata. Per fortuna l'avversario, che il mattino del 27 entrò in Cividale ed il pomeriggio in Udine, dividendo in due la 2• annata, non si gettò risolutamente verso sud. La sua lentezza, del resto almeno in parte comprensibile, consentirà alla destra della 2• armata ed alla 3• armata di salvarsi 2• Nel pomeriggio l'aliquota operativa del Comando supremo si trasferì a Treviso. Per il Friuli fu il segnale dell'imminente completa invasione e della fuga verso il Veneto. Alla mezzanotte del 27 le truppe erano dietro la linea Ton-e-basso Isonzo. Le lettere scritte da Cadorna in quei giorni alla famiglia denotano un profondo turbamento. Alcune frasi sono significativa: «Le truppe non si battono. Così stando le cose è evidente l' imminente disastro» \ «Scontiamo le divisioni e le

'USSME, Relaz.io11e ufficiale cii., IV, tomo 3, pp. 403-404. ' Nel pomeriggio del 28 il Comando della 2• armata rappresentò al Comando Supremo la necessità di far passare i suoi tre corpi di destra sui ponti di Codroipo, considerando l'arrivo del nemico a Udine e l'imerruzione del ponte militare di Bonzicco (a nord dei ponti di Codroipo). Ma alle 20.35 Cadorna rispose negativamente per non compromettere in modo grave il regolare movimento della 3" annata, essendo «superiore interesse condurre in salvo almeno la 3• annata, che si conservava salda ed efficiente» (L. CADORNA, La guerra a/la fronte italiana cit., Il , pp. 202-201). Al Comando Supremo nessuno pensò di assegnare i tre corpi , staccati dalla 2" annata, alla 3". ' L. CAOORNA, lei/ere famigliari cil., lettera al figlio Raffaele in data 25 ottobre, p. 230.


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LA PRJMA GUERRA MONDIALE

La destra della 2• armata il 27 ouobre.


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chiacchere del Paese, l'indisciplina del medesimo, la sobillazione dei socialisti e dei giolittiani ecc.» 1; «Sono accaduti altri fattacc.i. È una copia peggiorata del Trentino» 2; «Ieri una d.iecina di reggimenti si sono arresi senza combattere! Subiamo ora le conseguenze di tanto lavorìo perverso nel Paese che continua indisturbato da tanti anni» 3 • Ma è doveroso dire che, qualunque amarezza o lriste previsione stringesse il cuore di Cadorna, il suo comportamento non mostrò alcun sintomo di scoramento. Nella mattinata del 27 ottobre giunse a Udine il colonnello Marchetti, capo ufficio informazioni della 1• armata e del m corpo. Passò prima alla sede del Comando Supremo, restando colpito dall'abbattimento e dallo sgomento palesi, in mezzo ai frettolosi preparativi per la partenza. Poi si recò alla villetta in cui si trovavano l'ufficio e la segreteria di Caclorna. Incontrò il duca ti' Aosta, che, uscendo, ricambiò il suo saluto affabilmente «senza che dal suo volto trasparisse la minima emozione». QLùndi entrò nell'ufficio di Cadorna. «Non potrò mai dimenticare- 1icordò - la serenità l' indomabile volontà,, l' energia ferrea, la forza d 'animo del Capo in quei tragici momenti, tanto in contrasto col morale del suo entourage ! Lì mi apparve l'uomo! » ·1• Poco prima di mezzanotlc il generale de Gondrecourt consegnò un dispaccio del generale Foch: «Jc viens de donncr des ordres pour envoyer cn ltalie ainsi quc le portenl nos accords un corps français de renforccmcnt comprcnanl un commandcment d'arméc avec son é1at major, 4 divisi ons d 'infanterie et l'aniUerie lourdc cn proportion corrcspondante à cct effectif ( ... )» '.

Il giorno dopo arrivò la risposta del generale Robe1tson: la Gran Bretagna mandava un corpo d'armata su due divisioni 6.

* * * Purtroppo nelle prime ore del 28 il nemico riuscì a forzare il Torre a Salt cd a rompere la linea del Vll co1po a Beivars, a nord-est di Udine. Lo scompaginamento che ne derivò costrinse a proseguire rapidamente la ritirata. Cadoma descrisse la situazione alla figlia Carla in questi termini: «Jeri nulla di impurtante. li nemico non incalzi) perché anche lui deve ordinarsi. a\lcndcre artiglierie ecc .. La 3• a1TJ1ata si ritira in buon ordine; la 2•, salvo due o tre corpi, 11011 è più che un enor-

'Ibidem, lettera all a figlia Maria, in data 26 ollobre, p . 23.l. ' Ibidem, lettera alla moglie in data 26 ottobre, p. 23 l. ' Ibidem. lettera alla figlia Carla in data 26 ottobre, p. 232. 'T. MARCIIETn. Vemotto t11111i 11el sen•izio i11formavo11i cit., pp. 267-268. • USSME, Relazione ufficia/e cit.. IV, tomo 3. pp. 616-617. • Lloyd George, appena informato, aveva subito concordato suU'invio di forte inglesi, m,1 il generale Robertson, fedele al principio di «non allontanare un uomo dal fronte principale» si oppose. Allora Painlcvé dichiarò che, qualunque fosse la decisione britannica, le divisioni francesi sarebbero partite ugualmente. Finalmente Lloyd Georgc, riuscì ad imporsi su Robenson e Haig e poté annunciare che sarebbero pa.nite due divisioni, con la speranza di «poterne strappare qualche altra» a Robct1son (M. CARACClOLO, L'lwlia e i suoi a/le(lti cii., p. 150).


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LA PRIMA GUERRA MONDIAU3

mc ammasso di fuggiaschi e di sbandati che si precipita verso il Tagliamento. Essa ha subito una delle rot te p iù spavente voli della storia ed anche delle più obbrobriose, tenuto conto dcUa sua forza, della enorme quantità di artiglierie, del valore delle posizioni difensive e delle fortificazioni. Molle sono le cause e profonde e lontane alle quali non c'è for.ta d 'uomo che potesse porre riparo( ... ). li peggio che può capitare è una catastrofe completa che riduca l'eserci to a zero. Quale tradimento! Mi giunge ora notizia che alcune nostre colonne fraternizzano con il nemico. Quale orrore!» '.

In questo quadro si colloca il famoso bollettino d iramato alle 13 del 28 ottobre: «La mancata resistcn1,a di reparti dcUa 2' armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nenùco, ha permesso alle forze austro-ungariche di rompere la nostra ala si nistra sulla fronte Giulia. Gl i sforzi valorosi delle aJtre tnippe non sono riusciti ad impedire all' avvcrsilfio di peneh·:u·e nel sacro suolo della Patria. La nostra linea si ripiega secondo il piano prestabilito. I magazzini ed i depositi dei paesi sgombrati sono stati distrutti. Il valore dimostrato dai nostri soldati in tante memorabili battagl ie combnttute e vinte durante due anni e mezzo di guerra, dà affidamento al Comando Supremo che anche questa volta l' Esercito. aJ quale sono affidati l'onore e la salvezza del Paese, saprà compiere il proprio dovere» •.

3.

LA CRIS I POUTTCO-MTLITARE

La lettura del bollettino del 28 ottobre causò un autentico trauma psicologico in Italia ed all'estero, essenzialmente per quella terribile frase iniziale, che senza mezzi termini denunziava la «mancata resistenza» di reparti della 2• armata, la viltà della ritirata senza combattere e la resa ignominiosa al nemjco. Esistono due testimonianze sulla genesi del fatale comunicato. La prima, è del senatore Albertini, che, recatosi quel mattino al Comando Supremo, avrebbe trovato il generale Porro «turbatissimo» perché nella compilazione del documento doveva, su specifica inclicazione di Cadoma, stigmatizzare apertamente le «rese inesplicabili» verificatesi. Mentre i due conversavano, Cadoma sarebbe entrato nell'ufficio ricordando a Porro di far cenno anche dei reparti che si erano ritirati senza combattere. Albertini raccontò di avere allora suggerito a Porro di citare «i precedenti gloriosi dell'esercito in guerra» per attenuare l'impressione sfavorevole 3• La seconda è del colonnello Gabba, dalla quale risulta che alla lettura della bozza del bollettino da parte del generale Porro - alla presenza del ministro della Guerra, Giardino, e del ministro delle Anni e Munizioni, Dall'Olio - Cadoma, udita la prima frase, avrebbe esclamato: «No, questo no». Ma Porro avrebbe espresso con calma le ragioni che, a suo giudizio, motivavano una tal

' L. CA1>0RNA, Leuerefamigliari cit., p. 233. ' A. C\lllATI, La. battaglia dell'ottobre 1917 cit., p. 417. 1 L. AL8t:RT INI, Venti Wllli di villi politica c ii.. ITI. p. 343.


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frase e fatto notare il successivo richiamo esplicito agli «sforzi valorosi delle altre truppe». Si sarebbe quindi accesa una discussione nella quale «gli uomini politici si posero, benché blandamente, dalla parte del sottocapo, del quale l'opinione finì per prevalere» 1• Cadoma, correttamente, avocò a sé la responsabilità del bollettino, da lui riveduto ed approvato. D suo biasimo si fondava, né poteva essere diversamente, sulle notizie fornite dai Comandi dipendenti ed in primo luogo dal Comando 2" armata, nonché dalla constatazione del riflusso, sotto gli occhi di tutti, di migliaia di sbandati senz'armi. Ciò premesso, bisogna ricordare la sua assoluta, radicata, convinzione che dietro il rovescio fosse l' azione eversiva di socialisti, giolittiani e clericali svolta da lungo tempo senza che il governo volesse arrestarla e che I ora dava i suoi frutti. In secondo luogo, alla sua rigidità moralistica appariva doveroso, più ancora che giusto, additare alla riprovazione del Paese e dell'esercito il colpevole comportamento di alcuni reparti che avevano mancato alle leggi dell'onore militare, e questo anche per rendere giustizia a tutte le unità che invece avevano compiuto il loro dovere soffrendo e morendo. La Commissione d' inchiesta riconobbe l'assoluta buona fede con cui il capo di Stato Maggiore ed il Comando Supremo avevano espresso il duro giudizio sulla carente resistenza delle truppe in taluni settori «attenendosi a referti autorevoli e ad osservazioni proprie». Poi soggiunse: «Quel che invece sembra lecito ritenere si è che nei redattori del comunicato, come nel generale Cadoma, che ne assunse la piena responsabilità, sia mancata la esatta visione delle sue possibili conseguenze» 2 • Ineccepibile. E qui vogliamo riportare un ' acuta osservazione formulata dal generale Bencivenga sulla personalità di Cadoma, osservazione consentitagli da tre anni di intensa collaborazione. «Una delle qualità più spiccate del suo temperamento ricordò Beneivenga - era la vivacità delle reazioni che notizie od avvenimenti fuori dal normale provocavano in lui, dando luogo a seconda dei casi ad accentuazione di ottimismo o di pessimismo. Altra caratteristica spiccata del Generale era la irresistibile tendenza a tradurre nel campo esecutivo quei sentimenti che tali notizie od avvenimenti provocavano in lui. Si aggiunga altresì che, dopo gli avvenimenti de l maggio 1916, il dissenso manifestatosi col Governo fin dal novembre 19 15 era diventato ostilità più o meno palese, sicché sopra il suo animo avevano esagerata ripercussione quel le recrimini nazioni di interventisti ( .. .) che lamentavano nel Governo debolezza di politica interna» 3 •

'L. CADORNA, Pagine polemiche cii., p. 254.. nota I. ' Commissione d 'inchiesta, Dall'Isonzo al Pia ve cii., li, p. 547. ' R. B El\'CIVENGA, Saggio critico sulla nostra guerra cil., TV, p. 30. L'osservazione prendeva spunto dalle famose quattro lettere seri ne al presidente del Consiglio, ognuna delle quali provocala da e venti riferiti a Cadorna in modo esagerato e rivelatasi poi priva di riscomro obiettivo .


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LA PR IMA GUERRA MOND IALE

Che sia mancata la percezione di come il bollettino potesse essere interpretato è evidente. Non nella Conunissione d'inchiesta né, meno ancora, in coloro che conoscevano Cadorna, ma in altri sorse il dubbio, del tutto prevedibile, che egli avesse inteso crearsi un documento a discarico; specialmente dato il facile accostamento all'infelice dispaccio del generale Baratieii dopo la sconfitta di Adua. Che l'accostamento fosse arbitrario ed ingiusto, la differenza di tono e d'intenti essendo abissale, aveva poca rilevanza perché il grosso pubblico andava ad orecchio. Ed era fin troppo ovvio l'altrettanto facile passaggio mentale da «repmti della 2" armata» a «i nostri soldati». Che detto passaggio fosse ingiustificato ed arbitrario, le espressioni essendo ben precise, aveva scarsa importanza perché quella che conta è l'impressione suscitata nel lettore. NatlU'almente aprescindere dalla interpretazioni dei nemici personali e dai malevoli 1• Giolitti - la cui sfiducia nell'esercito era nota - scii verà nelle sue memorie che Cado ma «aveva lanciato la indegna accusa di viltà ai nostri soldati, i quali pure avevano risposto con così esemplare abnegazione e cruenti sacrifici per due anni e mezzo a tante sue richieste!» 2 • Cadorna si stupì e si indignò per i sospetti e le accuse provocate, ma era dalla patte ciel torto. Proprio per la gravità di quello che ai suoi stessi occhi appariva un disastro immane, fa meraviglia che un uomo della sua statura non abbia saputo reprimere ogni sdegno e non abbia nemmeno immaginato l'allarme che avrebbe destato nel Paese e negli alleati. Molto a proposito la Conunissione d' inchiesta sottolineò che, avendo sino allora il Comando Supremo - come tutti gli Alti Comandi, del resto - taciuto o attenuato veiità dolorose di taluni episodi, l'indice adesso clamorosamente puntato contro viltà ed ignominia, sia pure di «repmti», doveva far pensare ad una realtà ancora peggiore. Al ministero degli Esteri il capo di gabinetto aprì il telegramma contenente il bollettino verso le 17,30 di domenica 28 ottobre. Colpito dalla sua durezza, avve1tì Sonnino, che l'incaricò di 1ichiamare immediatamente l'attenzione della Presidenza ciel Consiglio affinché ne fosse impedita la divulgazione in quella forma . Purtroppo lo s.i poteva fare soltanto per l'interno. Per quanto riguardava l'estero, era già stato telegrafato direttamente, come ormai consuetudine, dal Comando Supremo ali' Agenzia telegrafica svizzera di Basilea 3. La frase incriminata fu modificata con la seguente: «La violenza dell' attacco e la deficiente resistenza di taluni reparti della 2" mmata . .. », e Sonnino telegrafò a Londra ed a Parigi perfar sostituire l'edizione originale del bollettino con quella purgata. Era tardi. L'ambasciatore Imperiali 1ispose che la pubblicazione ciel primo bollettino era stata fennata «in generale». Però sentì il bisogno di rac-

' D. Mack Smith scrive: «ln un comunicato vergognoso Cadoma parlò della viltà della 2" ar1nata ( ... )»(Storia d'Italia cii., p. 484. corsivo nostro). 2 G. G1ourn, Memorie della mia vita cit., p. 337 (corsivo nostro). ' L. ALDROVANDI M ARESCOTTJ, Guerra diplomatica cil., p. 138.


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comandare che nella futura redazione dei bollettini, il cui testo per l'estero doveva essere unico, si tenesse debito conto dell'effetto da essi destinato a produrre anche nell'opinione pubblica estera 1• E il giorno seguente fece conoscere i primi commenti: «Non debbo nascondere a V.E. che noto bolJetlino di ieri, per quanto non pubblicato dai giornali di oggi, non ha ricevuto meno larga circolazione e prodotto( ... ) penosa impressione sulla grande maggioranza di coloro che l'h:uu10 letto. I tristi avvenimenti così autorevolmente confessati accennano a generare in questa pubblica opinione(. . .) un senso cli apprensione e di dubbio non solo sulJa validità della resistenza ulteriore delle truppe, ma anche sull'energico contegno con il quale il paese nostro fronteggerà la grave situazione( ...)»'.

So11nino si affrettò ad attirare l'attenzione del Comando Supremo sulla «opportunità di tener conto, nei nostri bollettini di guerra, delle impressioni che essi suscitano all 'estero» 3• Ce n'era bisogno perché anche dalle altre nostre rappresentanze pervenivano segnalazioni della «impressione disastrosa» prodotta dal comunicato•. Da Berna si avvertì che, secondo un diplomatico di paese neutrale, i membri dell'ambasciata tedesca affermavano che l'esercito austro-tedesco «dovrebbe raggiungere Genova entro sei settimane e piombare poi alle spalle dei francesi imponendo ·1a pace p1ima dell'intervento americano». Voci insistenti riferivano del transito per lnnsbruck in ottobre, d i 200 treni militari con circa 330 mila uomini complessivamente, e di numerosissimi altri carichi di artiglierie e materiale vario 5• In Italia l'impatto non era stato meno forte. Pur nei confronti del testo modificato, l'opinione pubblica aveva reagito con un miscuglio di doloroso stupore, cli indignazione e di apprensione. Lo sconcerto provocato dalla ridda di notizie e di commenti era estremo ". Più tardi Cadorna ammise, anche se in forma piuttosto involuta, l'eccessività della famosa frase. Dopo aver dichiarato la propria personale responsabilità sul collettivo, scrisse: «Sta di fatto però che esscn-

lmperiali a Sonnino in data 28.10.1917, D.D.l.. 5• serie, IX. doc. 320. ' Imperiali a Sonni no in data 29.10.1917, ibidem, doc. 315. ' Sonnino a Cadorna in data 30. 10.1917, ibidem. doc. 320. ' L. AU)R0VAND1 MARESCOTII, Guerra diplomatica cii., p. 134. ' Paulucci a Sonnino in data 29.10. 1917, ibidem. doc. 314. • Per dare un'idea dell'attcndibil i1à delle notizie fomite o riCcrite da testimoni senza dubbio in buona fede, si riportano bra11i cli una lettera scritta tla R. Alessi al proprio direttore il 25 ntLobre (ma sicuramente leggasi 29 ottobre): «(...) Della II annata almeno 500.000 uomini sono quelli che non si ritrovano o meglio si ritroverebbero impegnati nei saccheggi di paesi del Friuli. Nuclei ubriachi scendono al Tagliamento senza armi. Le hanno buttate via in faccia al nemico, non badando pii• alle esorll1tio1ù dei comandanti(...). L'ordine ricomincia al di qua del Tagliamento( ... ). 11nemico ha inghiottito tutto in 48 ore. Pare incredibile. Cinque brigate in un colpo hanno alzato le mani. Poi è stata la fuga pazza. Si dice che Cadoma abbia già fa110 fucilare qualche generale. D' altro ca1110 non vi ha dubbio che la crisi morale ha avuto un fonclame1110 politico ( ... ). Abbiamo raccolto i fnmi della vigliaccheria interna: ecco tutto. Ho assistito di persona, con Gariaei, alla tragedia (. .. )» (R. ALESSI, Da/1'!son:o al Piave cit.. pp. 141-146). 1


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do stato compilato da altri, come di consueto, qualche aggettivo e qualche paro-

la possono, ad un più freddo esame, essermi apparsi diversi da quelli che io avrei adoperato per dire l'identica cosa)) '. Rientrava, comunque, nel suo modo di esprimersi il tratteggim·e la situazione in tal guisa da suscitare allarmato stupore nel governo, messo nelle condizioni di attendersi una sciagura nazionale senza l'indicazione di un correttivo. Accadrà ancora. Il 28 ottobre - dopo la notizia del pericolo «completo aggiramento» dell'intera fronte giulia, di un ovvimnente depresso stato morale «ormai propagatosi fra le truppe» e del tentativo in atto «per almeno salvare l'esercito» 2 - i ministri Giardino e Dall'Olio si precipitarono a Treviso per ottenere sul posto più precisi ragguagli e prendere accordi per le misure urgenti richieste dalle circostanze. Conoscendo bene il fronte isontino, anche il generale Giardino non riusciva a spiegarsi l'entità e la rapidità del rovescio se non come «effetto di un cedimento morale, qualunque ne fosse la causa o,iginaria e la primitiva importanza». Peraltro non si stupiva eccessivamente delle conseguenze del cedimento, in quanto «la trincea reticolata è fortissima finché non è girata o sfondata. Se girata, o sfondata e poi girata, diventa una trappola. E nelle trappole si demoralizza anche un leone>>3. Il punto principale - è ovvio - riguardava la fiducia nel Capo, e Giardino telegrafò subito al presidente del Consiglio che Cadorna gli appariva «grandemente pari, sotto ogni aspetto, alla gravità eccezionale degli avvenimenti» •. Poi rientrò a Roma. Orlando, presidente incaricato, nutriva qualche speranza: «Il primo colpo era da ammattire, ma ormai è scontato. Ora bisogna calmare il pubblico» 5• Il 30 ottobre fonnò il nuovo governo e conservò per sé il ministero dell'Interno. Agli Esteri rimase Sonnino, al Tesoro andò Nitti, alla Guerra fu chiamato il generale Alfieri, alla Marina rimase l'ammiraglio Del Bono. Il generale Giardino, convocato da Orlando nel tardo pomeriggio per la visita di commiato a palazzo Braschi, si ritenne in dovere di prospettare due ipotesi: se il nuovo governo intendeva mantenere al comando il generale Cadorna, doveva confennargli subito e pubblicamente la fiducia; in caso contrario, occorreva procedere immediatamente alla sostituzione. Orlando si dichiarò per la prima soluzione e nella stessa serata inviò a Cadorna due telegrammi di fiducia, uno ufficiale e l'altro personale, e li fece pubblicare dalla stampa unitamente alla Iisposta di Cadorna. Pm·agonò poi questo suo gesto all' atteggiamento del Senato romano verso Varrone dopo la battaglia di Canne<,_

CADORNA, Pagine polemiche cit., p. 253. ' Citata comunicazione al ministro della Guerra in data 27 ottobre, ore 7,15. ' GAETANO GIARDINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra, Monda<lori, Milano 1929, l, p. 86. 'Ibidem, p. 90. ' O. MAtAGOJ) J, Conversazioni della guerra cit., 1, p. 171. 6 VJTfORJO EMANUÈLE ORLANDO, Memorie ( 1915-1919), Mondadori, 1960, p. 71.

' L.


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In realtà, invitato il mattino del 28 a Villa Savoia dal Re per il conferimento delI'incarico di fonnare il nuovo governo, Orlando si sarebbe premw-ato di chiarire essergli «impossibile di governare conservando il generale Cadorna al comando dell'esercito», ed avrebbe indicato tre ragioni, ognuna delle quali sufficiente per chiederne l'esonero: la disfatta, di cui «le prime e sicure notizie» additavano la responsabilità militare; l'infelice bollettino; la sempre voluta esclusione del governo da qualsiasi decisione riguardante la guerra'. Il vero motivo, più che plausibile del resto, era quest' ultimo. In quanto agli altri, il discorso non torna. A parte la circostanza che Vittorio Emanuele III era appena tornato a Roma dal fronte, per la crisi di governo, e quindi ne sapeva p.iù di Orlando, la sera prima iJ.ministro della Guerra era partito per Treviso proprio per attingere notizie sicure al Comando Supremo e rientrerà nella capitale il 29. Il deprecato bollettino, poi, giunse al nùnistero degli Esteri nel tardo pomeriggio del 28, quindi non poteva essere ancora conosciuto quando ebbe luogo il colloquio col Re. In quell'occasione Vittorio Emanuele Ili avrebbe domandato il nome del possibile sostituto e Orlando avrebbe raccontato della eccellente impressione destata in lui, nel 1915 (!) dal generale Diaz. Trovandosi il Re d'accordo sulle scelta, fu stabilito di ritardare la comunicazione per ragioni «evidentissime», cioè «in un momento non così inopportuno come quello della rotta» . Anche questa «scelta» effettuata in un colloquio a quattr'occhi con colui che al momento era semplicemente incaricato di fom1are il governo appare poco verosimile, tanto più che il Re non era affatto incline a sbilanciarsi su un argomento così delicato e tecnico prima ancora della costituzione del nuovo nlinistero 2• Il mattino del 30 ebbe luogo in Treviso l'incontro con il generale Foch, arrivato la sera precedente. La prima impressione riportata dal colonnello Gatti fu che il punto di vista alleato appariva di una semplicità trasparente: «se la situazione italiana è rimediabile, bene, venanno; se non è rimediabile ci lascermmo soli» 3• La sensazione si avvicinava moltissimo alla realtà. Cadorna fu molto aperto con Foch. Gli spiegò la situazione, espose l' olientamento ad una manovra in ritirata, se necessario, nonché l'eventuale schieramento sul Piave, dove quattro divisioni francesi, inquadrate nella 4' annata, si sarebbero collocate sul Montello, tratto più debole della linea 4• Foch condivise

'Ibidem, pp. 228-229. Cfr. A. GAT rl, Un iralian.o a Versailles cit., p. 135. 'V.E. ORLANDO, Memorie cit., pp. 240 e 290. Sulla scarsa attendibilità di quanto sostenuto da Orlando a proposito della sostituzione di Cadoma, cfr. ALBERTO L UM BROSO, Cinque capi nella tormenta e dopo, Agnelli, Milano 1932, pp. 99-101 e 137-144. Sulla vicenda cfr. RODOLFO CORSELLI, Cadorna, Corbaccio, Milano 1937, pp. 57-71. ' A. GATII, Caporeuo cii. p. 277. ' Direttive in data 29.10. 1917 a 2• e 3" annata, USSME, Relazione uflìcialecit. , IV, tomo 3, pp. 420-422; e direttive in data 30.10.1917, ibidem, V, tomo I bis, doc . 31.


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apprezzamenti ed orientamenti, ma rifiutò categoricamente di inserire in linea le proprie truppe, preferendo tenerle in riserva per l'evenmale ulteriore ritirata dal Piave alla linea Mincio-Po(!). Non si smosse da questa decisione nemmeno quando, apparendo concreta la possibilità di un attacco nemico ad occidente del Garda, Cacloma gli chiese di dislocare una divisione nella zona di Brescia. Foch restò fermissimo nel pretendere di non scindere l'unità cieli' armata francese. Cadoma tagliò corto e acconsentì a concentrare le truppe francesi fra Adige e Mella. Il 31, verso le 1O di mattina, il ministro Bissolati ebbe un colloquio con Caclorna. Era abbattutissimo. Disse che ad entrambi non restava che farsi saltare le cervella 1• Anche Cadoma fu preso eia un momento cli scoraggiamento. Andato via Bissolati, chiamò il colonnello Gatti e si sfogò: «Mi dice - annotò questi che le cose sono disperate. Lui dovrà ordinare la ritirata verso il Piave. Non crede che possa resistere sul Tagliamento. Ha in mano un troncone, che è 1/3 della spada. Per ritirarsi dietro il Piave, però, ha bisogno di 30 giorni[!). Per questo mese è in crisi( ... ). Ma il disastro è il più grande che la storia rammenti( . .. )» 2• Il colonnello Gabba interruppe la conversazione recando un telegramma del duca cl' Aosta: «Per i ponti sul Tagliamento non passa più nessuno. Sulla sinistra del fiume, perciò, a causa di questo intasamento, sta agg_irandosi un' annata, la quale non trova nemmeno eia mangiare. Non ho notizia dei corpi: le truppe non possono più stare in piedi dalla fatica: la mia situazione è disperata» 3 • Intanto era arrivato il genera.Le Robertson. Nel pomeriggio, l'esame congiunto della situazione portò i due alleati a concludere che: « I. Le armate italiane non sono battute ... una sola, la 2" . 2. A condizione che vi si possa rirnenere ordine, esse rappresentano un vero valore, quindi: è possibile rallentare il nemico sul Tagliamento e resistere sulla Piave e nel Trentino con l' aiuto degli Alleati in fase di trasferimento e raccolti nelle retrovie. 3. D'altra parte, le forze alleate non possono che rappresentare in Italia un sostegno a favore dell'Esercito Italiano responsabile della difesa dell'Italia, il cui destino dipende perciò dalla condotta e dalla resistenza dell'Esercito italiano. 4. La difesa dell'Italia così deli11eata può essere realizzata a condizione che il comandante: a) blocchi [il nemico], attui un piano di difesa e organi,:zi la prima linea difensiva; b) faccia occupare preventivamente da truppe energicamente comandate i punti impo1tanti della lioea di difesa (sul Tagliamento prima, poi sul Piave); e) raccolga le sue truppe dietro linee cli difesa per occuparle e riorganizzarvisi»'.

Come conclusione di una riunione collegiale acl altissimo livello è, francamente, piuttosto banale. Se i suggerimenti di carattere militare erano tanto ovvi

' La stessa frase Bissolati ripeté ad Orlando, incontrandolo a Rapallo il 5 novembre (V. E. ORMemorie it., p. 269). 2 A. G ATTI, Caporetto ciL, pp. 284-285. ' Ibidem. ·• Appunto scritto dal generale Foch, USSME, Relazione ufficiale cit., TV, tomo 3. p. 619.

LANf>O,


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che Cadoma non mancò di replicare di averli già adottati, la saccente dichiarazione di cui al 3° paragrafo indicava così ch im·amente una scarsa volontà di aiuto da indurre Cadorna a 1ilevare «come la sconfitta italiana sia in sonuno grado pregiudizievole alla causa dell'lntesa» '. Foch e Robertson non intendevano esporre le loro truppe ai pericolo di un «contagio» né a quello di un coinvolgimento nella sconfitta, il che in fondo era comprensibile. Quella sera Cado ma telefonò ad Orlando prospettandogli l'eventualità di dover portare la resistenza al Piave, dove però temeva, in caso di attacchi contemporanei austro-tedeschi da oriente e dal Trentino, di non riuscire a reggere a lungo ~ di vedersi dunque costretto, in quell' evenienza, a ripiegare sulla linea Mincio-basso Adige, «unica linea sulla quale si potrebbe contendere all'avversario l'invasione del Paese» 2 • Tutta via il periodo peggiore della ritirata poteva considerarsi superato J _ Nelle prime ore ciel 1° novembre rimanevano sulla sinistra del Tagliamento soltanto le teste di ponte di Pinzano e di Latisana. Non è semplice sintetizzare le immediate ripercussioni della sconfitta nell'opinione pubblica italiana. Con og11i probabilità, se in quel pe1iodo di diffusa stanchezza generale, di delusione e di scetticismo non avessero avuto campo aperto le polemiche sempre più accese sull'attività sovversiva e sui deleteri effetti della propaganda pacifista e, di contro, sull' insufficienza dell'azione governativa, quel primo rovescio, ancorché inatteso, repentino e gravissimo, non sarebbe uscito dall'ambito militare. Fu alla luce di quelle polemiche che il paese percepì la sconfitta nelle dimensioni di una sciagura nazionale e vi intravide colpe e responsabilità 11011 soltanto militari. Interprete esemplare di siffatto stato d'animo

' Ibidem, pp. 6I8 -619. Sonnino comunicò ad Orhu1do che il generale Robertson riteneva «tLllto riparabile a patto di volerlo fortemente, di un energico lavoro di tutti gli ufficiali superiori (...); di severe punizioni e vigorosa riorganizzaz.ione dei reparti che si sono sbandati o hanno fallito il loro dovere( ... ). La sua impressione è che converrebbe difendere il Tagliamento, ma si rimette per questo ai gi udizi del nostro Comando(...)» (Sonnino a Orlando in data 1.11.1917, D.D.I., 5" serie, I.X, doc. 341). ' V.E. ORL ANDO, Memorie cit., p. 266. J Fra il 29 ed il 31 ottobre si era verificai.a una divergenza di opinioni in campo avversario, la cui composizione avrebbe potuto sortire effetti micidiali sulla 3" annata. Von Below era dell'avviso di raggiungere il Tagliamento quanto prima possibile per superare di slancio l' ostacolo e scendere verso sud, bloccando da ovest il passaggio del fiume alle forze italiane. 11 generale Hofacker (subentrato nel comando del LI corpo al generale von Berrer. ucciso al suo ingresso a Udioe) avrebbe invece preferito pu ntare direttamente su Latisana con il suo corpo d'armata e con quelle del generale Scotti, reputando il grosso della 3• annata ancora molto indieLrn. Von Below scelse una soluzione intermedia ed incaricò il gruppo Scolli, con una divisione di von Hof"acker, di dirigersi su Latisana. All'atto pratico, quindi, soltanto tre divisioni del gruppo Scolli piegarono verso sud, su una direttrice di scarso rendi111ento. Per di più la conversione verso sud provocò confusione e contrasti perché la 2' /sonzo-Armee «osti natamente continuò a far avanzare le sue trnppe verso ovest, nel bel mezzo di quelle della 14"» (K. K RAFFT VON D ELLMENS11'GEN, Lo sfondamento dell'Isonzo cil., pp. 280-281).


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fu il ministro Bissolati, che in un impulsivo giudizio considerò la rotta come effetto di uno «sciopero militare» provocato dalla propaganda pacifista di vario colore. «Enorme fu l'impressione per quell'inatteso disastro - ha scritto Bouomi - . Due anni e mezzo di guerra combauuta fuori degli antichi confini avevano persuaso gli italiani che, qualunque fosse stato l'esito dei nost1i ripetuti e frequenti attacchi, mai i nemici ci avrebbero ribullato indietro e avrebbero invaso il territorio nazionale. QueJJ 'arm.uncio, improvviso come il lampo, ebbe del lampo la virtù illuminatrice: si ricordarono le profezie di coloro che presagivano i tristi effetti della propagarida pacifista, si ricordi) il discorso del deputato Treves e il suo "non più un inverno in trincea", si vide nel contegno riservato e freddo dei giolittiani il segno di un'oscura manovra per indebolire il paese, si allribuì alla non felice frase di Benedetto XV un effetto dissolvilore. Papa, socialisti e giolittiani furono ritenuti, senza pi ù ponderato esame, i responsabili della disfatta, e l'interventismo antico, serrato i ranghi, invocò a gran voce la più energica delle azioni per salvare la patria in pericolo» '·

Gli alleati seguivano le vicende italiane con preoccupata attenzione, anche e soprattutto per le incertezze sulla saldezza politica del paese. Imperiali, da Londra, riferì cli una lunga telefonata ricevuta da re Giorgio V, impensierito per gli effetti della «intensa propaganda socialista e cle1icale», ma fiducioso nel superamento della difficile prova da parte dell'Italia, ed osservò: «Circa il contegno del nost.ro paese ritengo invece apprensioni visibili del re riproducano fedelmente l' impressione generale. Ciò mi venne confennato nel massimo segreto da persona di lìducia mia dalla quale ho saputo che già da due mesi erano giunti a Lloyd George, da fonte privata non responsabile, impressioni allarmanti sulla situazione in Italia. Segnalavansi ostilità generale contro la guerra, animosa avversione contro l'Inghilterra, intensa propaganda nell'esercito(...)» '·

E con un altro telegramma raccontò «con vero orrore» dì una voce sparsasi negli ambienti politici, secondo la quale «defezione quatto corpo d'annata sia stata. conseguenza vero tradimento di cui sm·ebbero stati complici anche i generali comandanti di unità( ... )» ! 3 • Qualche giorno più tardi Imperiali segnalò a

' I. BONOM I, La po/irica iraliana da Porta Pia a Vit1orio Veneto cii., pp. 303-304. 'Imperiali a Sonni.no in data l. J 1.1.917, D.D.I., 5• serie, lX, doc. 345. Una diecina di giorni prima dell'offensiva di Caporetto, l'incaricato d'affari a Londra, Borghese, aveva riferito: «Onorevole Morgari trovasi qui da una settimana: si è urtato con ex ministro Henderson; va conducendo intensa campagna contro nostro .Paese; ha avvicinato tutti i capi delle Trade Unions; ha dichi arato difficoltà della nostra fronte sono mere leggende e che nostri soldati rifi utano di battersi; Ramsay Macdonald ed altri gli hanno creduto e vanno ripetendo queste cose in discorsi ad operai inglesi» (Borghese a Sonnino in data 13.10.1917, ibidem, doc. 196). ' Imperiali a Sonnino i.n data 1.11.1917, ibidem, <loc. 346. Del resto perii no Cadoma accolse, inizialmente, l' ipotesi che alcuni reparti italiani a Plezzo ed a Tolmino si fossero mess.i d'accordo col nemico: «Non ci può essere stato un tradimento esteso-disse a Malagodi il 25 febbraio 1918 -; ma ci deve essere stato qualche tradimento parziale, che ha aperto dei varchi» (0 . MALAGODI, Conver- · sazionì della guerra cit., p. 285 ma anche pp. 21 1-212). Peraltro, evidentemente resosi conto dell'inconsistenza della tesi, davarlti alla Cornm.issione d'inchiesta scartò senza esitare l'ipotesi (Commissione d'inchiesta, Dall'Isonzo al Piave cit., II, p. 532).


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Sonnino che «autorevole frazione opinione pubblica» a noi favorevole era perplessa per le reticenze dei nostri bollettini, tanto più che leggeva i comunicati austriaci e tedeschi, evidentemente tendenziosi. Perciò l'ambasciatore rappresentava l'utilità di una comunicazione ufficiale, concordata fra Governo e Comando Supremo, nell.a quale fosse ristabilita la verità dei fatti 1• Evidentemente lo stesso poteva dirsi per l'opinione pubblica italiana. Ebbene, il 1° novembre il Comando Supremo compilò un comu1ùcato per l'agenzia Stefani, in cui esponeva sobriamente e conve1ùentemente l'accaduto sino al raggiungimento del Tagliamento, ma il Governo non volle fosse pubblicato 2 • E non lo saranno nemmeno i comunicati del 4 e dell'8 novembre 3 •

* * * Lloyd George era sinceramente amareggiato per il fatto che l'tmica conseguenza pratica del suo progetto di offensiva a fondo dal nostro fronte fosse stata «l'attuazione del medesimo da p,ute nenùca». Si dichiarava inconsolabile ed in stretta riservatezza fece leggere ad Impe1iali la lettera eia lui diretta a Robertson ed al gabinetto di guerra in agosto . «Pmtroppo - soggiunse - non mi hanno voluto dare retta» ". Nel frattempo aveva proposto a Painlevé un incontro in Italia con Orlando per dare un segno tangibile cli cameratismo e di anùcizia e per studiare il da farsi. L'appuntamento fu stabilito a Rapallo il 5 novembre 5. Il convegno di Rapallo ebbe una grande importanza ai fini della guerra per l'Intesa. L'occasione venne offerta dal rovescio di Caporetto, ma all'origine sta l'intento, convinto e tenace, di Lloyd George di trovare un rimedio alla palese debolezza alleata. La sua lotta era iniziata in ambito britannico. Il governo era pervenuto ad imporsi nei riguardi della guerra sul mare, ma .in merito alle operazioni terrestri aveva sempre incontrato un muro nei generali Robertson e Haig, «uomini entrambi di una eccezionale ostinatezza», rigidamente vincolati alla tesi della «fronte decisiva» e della convenienza di affrontarvi il nemico principale. A p,U'ole tutti condividevano il principio del fronte unico, ma all'atto pratico esisteva un «bie-

' Imperiali a Sonnino in data 4 .ll.1917, ibidem, doc. 369. ' Si ignorano i motivi del divieto. Sembrerebbe non fosse piaciuta l'amm issione che «il crollo ( ... ) ci costrinse a lanciare al fuoco affrettatamente, a reparti isolati, le tmppe che fu possibile far affluire nel tentativo di chiudere la breccia che con grandissima velociti, diveniva sempre pili pericolosa. L'arresto non fu possibile» (cfr. Commissione d' inchiesta, Da/l'Isonzo al Piave cit., II, pp. 61 -62). ' Peri tre comunicati vds. A. CAn lATI, La battaglia dell'o11obre 1917 ci t. , pp. 420-421 , 424-425. 428 -429. 'Imperiali a Somùno in data 4.11.1917, O.O.I., 5• serie, IX, doc. 368. ' Per la conferenza di Rapallo (6-7 novembre) vds. L. ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra. diplomalica cit., pp. 140-1 74. Cfr. D. L LOYD G EORGE, Memorie di guerra cit., 11, pp. 452-458.


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co e stupido rifiuto» ad accettarlo ed ogni Alto Comando concentrava l' intera attenzione sulla propria fronte . L'esperienza mostrava che cambiamenti nelle persone non avrebbero eliminato il difetto cui si dovevano gli insuccessi strategici. Secondo Lloyd George occorreva, dunque, cre<U'e un organismo autonomo, nel quale lavorassero insieme rappresentanti dei governi ed esponenti militati e navali qualificati. Interpellò il generale Haig, che manifestò il suo pensiero con un eloquente: «Noi dobbiamo insistere per occupare la posizione predominante ne.i consigli degli alleati, come è giusto data la nostra forza». Sentì il generale Robertson, il quale non si smosse dall'importanza attribuita al fronte occidentale: «Il principio dell' unità di comando e della fronte unica - rispose - deve essere applicato molto cautamente. In teoria è attraente; in pratica non è stato molto incoraggiante». I generali French e Wilson, invece, convennero sull'assoluta necessità di dare subito vita ad una direzione supe1iore della guerra, le cui opinioni sulle questioni di maggiore rilevanza fossero accettate come determinanti da tutti gli alleati. Trovato questo appoggio, Lloyd George si rivolse alla Francia ed il 30 ottobre fece a Painlevé un quadro onesto e chiaro della situazione. La debolezza fondamentale dell'Intesa rispetto agli Imperi Centrali risiedeva nel fatto che la direzione delle sue operazioni mancava di unitarietà. Fin dall'inizio delle ostilità la Germania aveva stabilito un controllo pressoché dispotico su tutti i suoi alleati. Aveva aiutato i loro eserciti ed assunto la direzione strategica delle operazioni e perfino preso il controllo delle loro risorse economiche, cosicché gli Imperi Centrali e la Turchia formavano adesso un impero militare con un solo Comando ed un solo fronte. Gli alleati mai avevano fatto alcunché di simile. La direzione della guerra era rimasta neUe mani di quattro Governi distinti e di quattro distinti Comandi Supremi, ognuno dei quali conosceva soltanto la propria fronte e faceva piani operativi che riguardavano le proprie forze. Si era cercato di rimediare a questo difetto col sistema delle conferenze interalleate, ma finora non si erano dimostrate producenti. Era particolaimente significativo il fatto che ogni inverno gli Imperi Centrali lanciassero un' offensiva contro il membro più debole dell'Intesa, mentre gli alleati non erano mai stati capac.i di prendere adeguate contromisure. <<Se vogliamo vincere la guerra - affem1l1 - le naz,iorù alleate devono subordinare ogni altra cosa allo scopo supremo di far sentire agli Imperi Centrali, il più eflicacemente possibile, la massima pressione militare, economica e politica. A ciò arrivere mo in un modo solo: creando un Consiglio - una specie di Stato Maggiore Generale interalleato - che prenda con tinuamente in esame per gli alleati il corso degli avvenimenti considerati come un tutto, ed elabori dei piani ( ... )».

Naturalmente, non intendeva esautorare con ciò i vari governi. Pur considerando importantissimo il pensiero ed i progetti di tale Consiglio, la decisione ultima sarebbe sempre spettata ai governi. L'intesa fu rapidamente raggiunta ed i primi di novembre, vista l'urgenza di affrontare la gravità della situazione ita-


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liana, Lloyd George e Painlevé si trovarono d ' accordo nell'inserire l'argomento nella conferenza di Rapallo 1 • Orlando e Sonnino avevano aderito di buon grado alla proposta, anche perché le notizie dal fronte, sempre oscillanti, sembravano volgere nuovamente al pessimismo. Cadorna si trovava ad affrontare un problema ìrto di difficoltà e di esigenze contrastanti. Sulla possibilità di una rapida rottura del contatto ormai c'era poco da illudersi. D'altronde bisognava guadagnare tempo per consentire il recupero della intatta 3• annata, il ripiegamento della 4• armata dalla fascia alpina ed il febbrile lavoro di rafforzamento delle posizioni Grappa-Piave. L'unica linea utile a tale scopo era il Tagliamento. Non poteva e non doveva costituire una linea sulla quale irrigidire la difesa - e difatti l'ordine di sgombero delle artiglierie pesanti oltre Piave stava a dimostrarlo - , ma Cadoma sperava consentisse di darle allo sfrnttamento del successo avversario una battuta d'arresto sufficiente per riordinarvi il dispositivo, rincuorarvi le truppe, regolare il movimento retrogrado della 4° annata, lasciar sfollare alquanto la massa confusa delle centinaia di migliaia di sbandati e di profughi friulani verso ed oltre il Piave, e infine, a tempo debito, arretrare sul Piave in accettabili condizioni. Purtroppo le cose si complicavano più del previsto. Il 3 novembre, in un momento di grave incertezza perché il nemico era riuscito a forzare il Tagliamento a Pinzano-Comino 2 e la 4• armata si trovava ancora più indietro di quanto calcolato 3, Cadorna ritenne indispensabile fare con Orlando il punto della situazione in una lunga lettera. Premessa l'intenzione di continuare a ritardare la progressione austro-tedesca in corrispondenza del Tagliamento per il tempo occorrente ad apprestare la linea del Piave ed a predisporre il graduale ripiegamento della 2°, 3• e 4• armata su di essa, doveva riconoscere la realtà di «una crisi di stanchezza su cui si è innestata la subdola propaganda di sciopero militare di fronte al nemico». La ormai constatata deficienza di combattività delle truppe lo costringeva a prendere in considerazione l'eventualità di dover, di fronte ad una grave minaccia di avvolgimento dell'intera linea, ordinare anzitempo ed affrettatamente la ritirata dal

' D. LLOYD GEORGE, Memorie di guerra cit., II, pp. 466-476. 'Quel giorno Cadorna scrisse al figlio Raffaele che il disastro era «enorme e irreparabile. L'esercito, ossia il Paese non vuol battersi. Tutto si sfascia. Abbiamo 400.000 sbandati, 200.000 prigionieri, 120.000 che erano in Jiccnw e che non ritrovano le armi. Totale 720.000 perdite senza contare i morti ed i feriti e quelli che si sfasceranno prima di arrivare al Piave. Come potremo difendere a lungo il Piave in queste condizioni'! e come ci ritireremo dietro il Mincio cd il basso Po? Siamo di fronte forse alla più grande catastrofe della storia, certamente alla più grande catastrofe morale! (... )» (L. C ADORNA, Lellere famigliari cit., p. 238). E il colonnello Gatti annotò: «Che Cadorna veda la questione in modo forse disperato, è indiscutibile» (A. GATit, Caporetto cit., p. 307). ' T. MARCHETTI, Ven.10110 anni nel servizio informazioni cit., p. 274.


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Tagliamento al Piave. Tenuto conto delle circostanze in cui questo movimento sarebbe stato effettuato, si sarebbero presentati due casi: «o un rovescio militare fra Tagliamento e Piave, ovvero schienu-e sulla Piave i resti delle amiate 2' e 3' privi di qualsiasi efficienza bellica, stremati ed impotenti a sostenere un nuovo urto nemico( ...)». Come se tali prospettive non fossero sufficienti a mettere davanti agli occhi di Orlando un quadro che definire allamrnnte è eufemistico, Cadorna aggiunse che «una così critica situazione avrebbe potuto da un momento all' altro diventare criticissima ed assumere carattere di eccezionale gravità» se l'avversario avesse deciso di attaccare dal Trentino, come molti indizi inducevano a temere. La con~lusione era in linea con quanto precedeva: «Debbo infine confermare quanto telegrafai a V.E. •, cioè che se mi riuscirà di condurre la 3• e la 4" armata in buon ordine sulla Piave, ho intenzione di giuocare l'ultima caita attendendo ivi una battaglia decisiva, perché un'ulteriore ritirata fino al Mincio ed al basso Adige, alla quale dovrebbe pure partecipare la 1• armata in condizioni difficilissime, mi esporrebbe a perdere quasi rune le artiglierie, ed annullerebbe completamente c iò che rimane dell ' esercito, ri nunciando anche all'tLltimo tentativo di salvare l' onore delle anni. Ho voluto esporre così la situazione nella sua dolorosa realtà. sembrandomi meritevole di essere considerata all'infuori della ragione nùlitare per quei provvedimenti di governo che esorbitano dalla mia competenza e dai miei doveri»'.

È veramente strano che Cadorna non si rendesse conto dell'impressione e delle reazioni che un simile modo di presentare le cose poteva suscitare in un governo tagliato fuori da qualsiasi decisione strategica e ptivo di un aggiornamento continuo e misurato degli avvenimenti militari. Nulla da dire sulla esposizione di fatti e previsioni senza voler «indorare la pillola», mal' enfasi drammatica con la quale veniva delineata l'ipotesi peggiore non era costrnttiva. E l'ultimo periodo della lettera - che egli omise nelle sue memorie 3 - a che cosa si riferiva? Era un invito al governo affinché cominciasse a pensare al da farsi ove «l'ultima carta», quella militare, fosse fallita? In altre parole, una pace separata? Secondo il maresciallo Caviglia il significato era proprio questo: «Dopo lo sfondamento della linea del Tagliamento a Comino - scrisse-. mentre [Cadoma] dava le disposizioni per il magistrale schierameoto dell'esercito sul Piave, egli dubitava cbe le truppe non avrebbero tenuto fenno su quel fiume. Perciò prospettava al Governo l'eventualità di dover fa-

1 «Linea Tagliamento, data anche sopravvenuta magra acque non offre sicurezza ( ... ). Ho ordinato ripiegamento sulla Piave dove intendo giuocare ultima carta battendomi risolutamente per quanto lo consentirà lo spirito delle truppe, perché una ulteriore ritirata su una li.nea più arretrata equivarrete allo sface-lo dell 'esercito senza salvare l'onore delle anni ( ... )» (Cadoma a Orlando in data 3.1 1.1917, O.O.I., 5" serie, IX, doc. 359). 1 V.E. ORLANDO, Memorie cit. , pp. 501-503; cfr. Commissione d'inchiesta, Da/l'Isonzo al Piave cit., n, p. 548, nota 1. ' Cfr. L. CADORNA, La guerra alla fronte italiana cii., II, p. 216.


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re pace separata col nemico. Quello fu il suo più grave errore che giustificò e giustifica ~toricamente il suo allontanamento dal Comando Supremo» '.

Raffaele Cadoma contestò l'interpretazione e addusse testimon.ianze qualificate che smentivano il pensiero di una pace separata da parte di Cadoma 2 • Sono testimonianze da accettare senza ombra di dubbio, ma ciò non toglie che talvolta sembrava davvero che Cadorna non pesasse le parole. Dal canto suo, Orlando in più pagine delle sue memorie criticò la lettera sotto ogni profilo. Concentrò lo scopo nell'ultimo capoverso, a suo dire«(. .. ) frase di colore così oscuro che coloro che l'hanno letta, l'hanno interpretata nel senso di additare al governo la via della pace separata, cioè la rassegnazione alla sconfitta ed al disonore» 3 • Circa il motivo, considerò la lettera come un documento scritto, come d'abitudine di Cadorna, quale alibi nell'eventualità del caso peggiore •. Per quanto poi concerneva la fonna, Orlando rimarcò che per una simile nùssiva «di così formidabile gravità, di così estrema delicatezza, non era pensabile altra forma di scrittura che non fosse l'autografo!». E inoltre sigillata ed inviata con un ufficiale di tutta fiducia, con l'ordine di recapitarla a lui personalmente e con la mass.ima urgenza 5• Ebbene - prescindendo dal molto opinabile autografo - per l'appunto fu il colonnello Gatti, della segreteria cli Cacloma, che si precipitò a Roma (sera ciel 4 novembre) e, essendo il presidente del Consiglio ed il nùnistro degli Esteri in partenza per il convegno cli Rapallo, fu invitato a prendere posto sul treno speciale. Gatti aveva annotato: «Il leit-motif della lettera è: battaglia sul Piave. Devo però nettamente indicm·e a S.E. Orlando che le condizioni dell'esercito sono gravissime e che dagli alleati dobbiamo quindi ottenere che gli aiuti siano portati avanti e che siano dati in numero assai maggiore di quelli dati» 6 • Dal dettagliato e gustoso resoconto del viaggio in treno che si legge nel diario di Gatti -i, risulta senza possibilità di equivoco che Orlando, non soltanto reputò 1ùente affatto urgente la lettera subito annunciatagli da Gatti, ma che allora non intese in senso così disperato la frase finale. Il colloquio di Gatti con Orlando e Sonnino, rimandato dal presidente al mattino successivo, sempre in tre-

' E. CAVIGLIA, La dodicesima bauag/ia cit., p. 257. Nella seconda edizione <lei maggio 1934, la penultima frase risultava così modificata: «Perciò prospettava al Governo l'eventualità di dover far pace col nemico nel caso che le truppe avessero ceduto al Piave». Cfr. E. C,w1GL1A, La tre baitaglie del Piave cit., p. 274. 'L. CADORNA, Lettere famigliari cit., p. 186. 3 V.E. ORLANDO, Memorie cit., pp. 269 e 576. ' Secondo Orlando «era nel suo ldi Cadoma] costume di fissare il suo pensiero in documenti che in seguito potessern essere addotti a giustificazione delle sue impressioni, decisioni e riserve» (ibidem, p. 266). ' Ibidem, p. 297. • A. Gxrn, Caporetto cit., p. 306. ' Ibidem, pp. 308-3 12 .


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no, non sembrò impressionare i due uomini politici: «Erano calmi, tranquilli». Sonnino concluse che bisognava dire agli alleati che il loro intervento era necessario, ma con cautela, senza spaventarli. Entrambi assicmarono che «a nessun costo il generale Cadorna deve essere cambiato» 1• Nelle memo1ie di Orlando non esiste cenno alcuno della consegna della lettera eia parte del colonnello Gatti, né del successivo colloquio. La spiegazione della calma e tranquillità mostrate da Orlando e Somùno risiede probabilmente nelle conclusioni cui il Consiglio dei milùstri era giunto nei giorni 3 e 4 novembre. Il 3 novembre Orlando aveva dato lettura di un telegramma di Bissolati, che comunicava la prevedibile 11011 tenuta della linea del Tagliamento e forse anche di quella del Piave. E poi osservava che «le condizioni moraU del Comantlante Supremo sono da impensierire e bisogna provvedere d'tu-genza». lJ drammatico silenzio che ne seguì fu rotto dal generale Alfieri, il quale garanti per il generale Diaz, comandante del XXlll corpo d'armata, come sostituto di Cadoma. Nitti appoggiò la candidatura ed anzi avrebbe minacciato di dimettersi se non fosse stata approvata 1 . Orlando propose allora di auto1izzare il ministro della Guerra a partire immediatamente per il fronte, munito di pieni poteri. Il Consiglio dei mi1ùstri fu d'accordo e deliberò che Alfieri, una volta sul posto, «presi gli ordini dal Re, prenda i provvedimenti necessari senza esitare e senza altra autorizzazione, avendo cura di notiziare al Presidente le disposizioni adottate» 3 • li 4 novembre Orlando comunicò ai ministri un telegranuna di Alfieri, che, eia Treviso, «studiata la situazione, dichiarava improrogabili i provvedimenti pel Comando Supremo». Per quanto si sapesse che ormai era chiamato in causa il Re, si rinnovò la discussione sul nuovo capo cli Stato Maggiore. La soluzione ventilata fu cli affidare il Comando Supremo al duca cl' Aosta, coadiuvato dai generali Diaz e Giardino, mentre il generale Zuccari avrebbe preso la 3° armata. Nel corso del dibattito Nitti osservò che se il governo non si fosse presentato alla Camera, già in fennento ed in buona parte ostile, con un programma ben definito di cose da fare, non solo eia promettere, sarebbe stato travolto. Sonnino concluse: le cose da fare per il momento erano due: cambiare il Comando Supremo ed ottenere dagli alleati l'assicurazione di volerci sostenere ed a fondo 4. La prima riunione interalleata venne tenuta il mattino ciel 6 novembre. Per l'Italia partecipavano Orlando e Sonnino; per la Francia, Painlevé e FranklinBouillon; per la Gran Bretagna, Lloyd George ed il maresciallo Smuts. Orlando aprì la seduta riassumendo gli ultinù eventi. Sotto l' urto violentissimo austro-tedesco la 2• am1ata aveva ceduto, ma la sconfitta, pur rivestendo in-

' A. GA11"J, Caporetto cit., p. 312. ' Verbale del Consiglio dei ministri del 3 novembre, in V.E. ORLANDO, Memorie cit., p. 504. ' A. LUMBROSO, Cinque capi nella tormema e dopo cit., pp. 151-159. • Ibidem, pp. 504-505.


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negabile gravità, si profilava come ampiamente riparabile. Mentre le altre annate avevano combattuto e continuavano a battersi, ed un'aliquota della stessa 2" armata era ancora in ordine, occorreva riorganizzm·e una massa di più di 300 mila sbandati. L'aiuto alleato serviva appunto per il tempo necessario a tale riorganizzazione. La linea del Piave era buona, nel suo complesso, salvo in un punto (il Montello). Po iché però l' intera 2• armata al momento non era utilizzabile, le altre truppe di cui l' Italia disponeva risultavano appena sufficienti a presidiare la linea. Di conseguenza, privo di una consistente riserva, il Comando Supremo si trovava nell' incapacità di far fronte a possibilissime rotture del fronte, in primo luogo in corrispondenza del Trentino. A conti fatti, il concorso alleato doveva essere non inferiore alle 15 divisio1ù ' ed il più possibile sollecito. In caso contrario c'era da temere di non riuscire a resistere sul Piave e di essere forzati ad una nuova disastrosa ritirata. «Dalla decisione che prendono gli alleati - finì Orlando - dipende il poter conservare l'e fficienza militare de ll'Italia, la quale, ,mchc dopo le sciagure sofferte, può sempre contenere l'urlo dell'esercito austriaco. li Governo italiano attira l'attenzione degli alleati sul fatto c he per riuscire a salvare la sirua7jone non è sufficiente contribuire in qualsiasi modo. ma occorre farlo nel modo che è necessario» .

Lloyd Georgc concordò sull ' urgenza che gli alleati facessero quanto in loro potere per aiutare l'Italia. Per ora la Francia aveva mandato quattro divisioni e l'Inghilterra due, cd altre due ne avrebbe inviate. Si trattava, dunque, di otto divisioni tutte di prim'ordine. Ma, prosegul con amichevole franchezza, bisognava accennare a considerazioni sulla cui base soltanto diventava possibile fom1U lm·e decisioni sul concorso da fornire. «Non e' è scopo - disse - di mandare le nostre truppe in Italia se non siamo sicuri che esse vi si renderanno utili. Ciò s ignifica traltarc il problema della efficienza del Comando e cioè dell'efficace comando dell' eserc ito italiano. Perché, se il Comando non sarà efficiente, c iò significherà non solo il disastro delle tnippe italiane, ma anche delle divisioni francesi ed inglesi ( ... ). L'esercito italiano non ba bisogi10 che si difenda il suo valore( ... ). Ma da tunc le informaz.io1J.i raccolte risulta che qualcosa è mancato. Vi fu mancanza di organizzazione efficiente e di opera di Stato Maggiore. Mi riferisco per questo alla autorità dei generali Robcrtson e Foch ( .. .) ' · U Comando è inadeguato. Sola eccezione l'u il Duca d'Aosta che comandò la sua armata con freddezza e capacità. Secondo le mie in.formazioni , il Comando Supremo fu preso d,ù panico come i soldati. Siamo pronti ad affidare le nostre truppe al valore della Na1jone italiana e la nostra fiducia non è diminuita dagli avvenimenti recenti; ma francamente non potrenuno affidarle al presente Comando Supremo».

' Cadoma aveva sollecitato un considerevole aumento delle divisioni alleate e la libertà di impiegarle, all' occorrenia, anche in prima linea. Diversamente «non es1 possi bile garan1ire manteni mento linea Piave-Altipiani , lo sfondamento della quale porterebbe di conseguenza nostro completo sfaccio. Divisio1J.i tedesche contro di noi da varie fonti calco late a 35 ( ... )», (USS ME, Re/azio11e 11.fficiale c it., IV, tomo 3 bis, doc. 247). ' Secondo Lloyd Goorge, l' impressione di Foch era che «l'Alto Comando in quel momeo10 fosse inerte» (Memorie di guerra cii., U, p . 454).


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Painlevé convenne con Lloyd George: «Il più importante problema è quello del Comando Supremo. In questo periodo della guerra non possiamo permettere uno scacco. Una grave ritirata sarebbe un disastro per le conseguenze che può avere sia sugli eserciti sia sulla popolazione civile( ... )». Orlando, che evidentemente si aspettava una discussione su quel delicatissimo tasto, replicò: «Il Governo i taliano ba già considerato necessaria la riorgani1.zazione dello stato maggiore. C iò è stato deliberato nell'ultimo consiglio dei minisùi, che ha dato pieni poteri a mc ed a Sonnino, d'accordo con il ministro della Guerra '. Noi non abbiamo esitazioni; ma è indispensabile considerare la difficoltà di fare mutamenti difficili. Riconfermo però che la riorganizzazione è stata decisa e ( . .. )sarà risolta con grande rapidità( ... )».

A quanto pare, non fu molto convincente perché Lloyd George, accantonando temporaneamente la questione della entità del concorso alleato, volle essere ancor più esplicito: «Se noi daremo il nostro concorso con piacere o riluttanza, ciò dipenderà dalla fiducia che noi abbiamo nel Comando Supremo. Se i generali Cadoma e Porro ed il loro Stato .Maggiore resteranno, noi non potremo avere fiducia . Dovremo sempre temere che le truppe italiane alla destra ed alla sinistra delle nostra divisioni possano lasciarci nell'imbarazzo( ... ). Se gli italiani vogliono che noi cooperiamo lietamente debbono prendere in mano la questione. Compre ndo la riluttanza in materia ( .. .) ma debbo insistere perché la questione sia ora risolta. Altrimenti mi sarà difficile avere il consenso del gabinello di guerra britannico per l'invio di ulteriori divisioni ( ... ),specie se si richiedesse che le trnppe inglesi fossero poste sotto gli ordini dei generali Cadorna e Porro nei quali non si ba fiducia( ... )».

Nella ripresa pomeridiana Lloyd George chiese la risposta del governo italiano e Orlando comunicò che, la decisione essendo già stata presa in precedenza, si trattava semplicemente di cerc,u:e la formula migliore per metterla in esecuzione. Questa era stata trovata. Aveva inteso che nella conferenza si sarebbe parlato di costituire un Consiglio di guerra interalleato. Ebbene, l'idea era di designare il generale Cadoma per rappresentarvi l'Italia 2• Scontato l'esonero del generale Porro, il generale Alfie1i doveva chiedere il consenso del Re ed in un paio di giorni la questione sarebbe stata regolata nella massima riservatezza. Furono fatti entrare allora i generali Alfieri e Porro, Robertson e Wilson, Foch e Weygand, per stabilire se accogliere o non la richiesta di Cadoma di 15 di-

'B issolati annotò in data 4 novembre: <<Colloquio [col re). Nella mattina Egli ha visto il ministro Alfieri. Si è parlato sostituzione Cadorna. Escluso Zuccari ( ... ). Proseguendo colloquio dice che si sarebbero fermati su Diaz, capo - Giardi no, sottocapo» (L. B1SSOLAT1, Diario di guerra, Einaudi, forino 1935, p. 97). Anche Alfieri accennò all'argomento con Gatti: «Siano anche venuti ad un'altra decisione. li generale Cadorna non ha fatto buona impressione agli alleati. Pare a questi che egli in questi giorni abbia perduto la sua energia. Bisogna cha il Comando si trasformi» (A. GAm, Caporetto cit., pp. 316-313). 1 n suggerimenw, a quanto sembra, era stato avanzato con discrezione da patte ing lese nell'intervallo della conferenza (L. ALDROVANDI MARESCOTII, Guerra diplo11u11ica cit. , p. 147).


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visioni alleate. La discussione fu piuttosto accesa. Robertson intervenne subito chiedendosi polemicamente perché quindici e non sedici o quattordici clivisioni 1• Riteneva l'esercito italiano ancora saldo e quindi otto divisioni erano più che sufficienti. Foch discusse i rapporti di forza col nemico, a suo avviso mal calcolati dal Comando Supremo . Entrambi ricordarono che, secondo Cadoma, dopo il 15 ottobre non erano possibili operazio1ù offensive né in Trentino né sull'Isonzo. «Come mai i tedeschi poterono attaccare in una stagione in cui gli italiani avevano dichiarato essere impossibile farlo?» domandò Lloyd Gcorge. Porro fu sottoposto ad un fuoco di fi la di interrogativi per chiarire bene la situazione militare. Privo com'era di calda facoltà comunicativa, apparve imbarazzato e poco orientato 2• Dopo una breve ìnterru.:ione della conferenza per consentire a francesi ed inglesi di accordarsi fra loro nei nostri riguardi (!), nella ripresa serale Lloyd Gcorge apparve «molto oscuro». Ammise che la situazione sul fronte italiano risultava più grave di quanto immaginato. Erano rimasti stl1piti per la d ivergenza esistenti fra i fatti, quali conosciuti dagli alleati, e quelli esposti da Porro. «Io temo - disse - che i fatti esposti dal generale Porro siano purtroppo veri. In ogni modo, non è il caso di presumere che non lo siano». In definitiva, il 7 novembre fu approvata la creazione dì un Consiglio supremo di Guerra, composto dal Primo ministro e eia un membro de l governo, di ciascuna delle tre Potenze, con il compito di «investigare la condotta generale della guerra 3 • Esso prepara proposte per la decisione dei Governi, si tiene informato della loro esecuzione e ne riferisce ai rispettivi Governi». Organo tecnico di alta consulenza era il Comitato militare permanente, di cui faceva parte un rappresentante militare con incarico esclusivo ", delegato da ogni Potenza.

'Secondo Sonnino, Robertson era tanto prevenuto che all'osservazione che i tedeschi, avendo libero il passo, avrebbero attaccalo dall'Italia, ri spondeva che era più sicuro di rendersi sulle Alpi (M. MALAGODJ, Conversazioni dellt1 guerra cit., l , p. 207). ' Ln perfella buona fede, ma in possesso di daù errati fornitigli dall'ufficio informazioni, Porro dichiarò che notizie concordi provavano «essere state dirette conlro di noi, dopo il 24 ottobre da dodici a quindici divisioni tedesche fresche, traile dall'Alsazia, dalla Russia e dall" intemo della Germania, formanti in tulio 150 battagl ioni, in aggiunta alle nove divisioni (tedesche) già esistenti prima del 24 otlobre» Sonnino al Comando Supremo in data 18.11.1917 in A. L UMBROSO, Cinque Cllpi nella tormenta cit., p. 151 ). Ovviamemc gli alleati sobbalzarono. ' All'inizio della discussione sul Consiglio Supremo di Guerra, il generale Robenson, che aveva visto respingere da Lloyd George la sua pretesa di far parte del Comitato militare permanente, lasciò ostentatamente la sala dichiarando: «Di questo io mi. lavo le mani » (D. L LOYD Gr.oRGE, Memo· rie di guerra cit. li, p. 478). ' Sulla clausola delrincarico esclusivo Lloyd George fu irremovibile ed a ragion veduta. La Francia aveva subilo designato il generale Foch. in quanto, essendo la sede del Comi lato militare permanente a Parigi (poi fu scella Versailles), solo il capo di Stato Maggiore Generale francese avrebbe potuto risiedervi, acquistando inevitabilmente la preminenza sugli alrri due delegati, inferiori a lui di rango. Quindi, in virtt, della prcdetm clausola, se Foch fosse stato con.fermato nella designazione avrebbe dovuto lasciare In carica di capo di Stato Maggiore Generale. Non intendendo la Francia cedere sulla nomina, ma dovendo rispettare la clausola. di fatto Foch ,•enne sostituito quasi subito dal generale Wcygand quale rappre.~entan1e francese (M. CARACC101.o, L'Italia e i suoi alleati cit., pp. 166-167).


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Tutti si trovarono d'accordo sul fare entrare subito in azione il Comitato militare permanente, al quale i generali Wilson e Foch furono designati, unitamente al generale Cadorna secondo il proposito italiano '. I tre rappresentanti citati dovevano fornire un quadro esauriente della situazione in Italiana e i tre governi, su un piede di peifetta uguaglianza, avrebbero giudicato il da farsi. Era senza dubbio un passo importante ai fini di un Comando unico, ma semplicemente un passo, soprattuto ben lontano dall'idea iniziale di Lloyd George. Il nuovo organismo esaminava i piani studiati dai vari Comandi Supremi, suggeriva modifiche ove necessario, li <mnonizzava, però l'ultima parola apparteneva ai governi. Peggio ancora, l'art. 3 precisava che gli Alti Comandi degli eserciti «incaricati della condotta delle operazioni militari, restano responsabili di fronte,ai loro rispettivi Governi>>. Tirando le sotmne della conferenza di Rapallo, si deve riscontrare da parte alleata una indubbia atmosfera di cordialità nei confronti dell'Italia, ma una cordialità del tipo risenrato al parente povero. I veri «alleati» erano Francia e Gran Bretagna - a prescindere dagli attriti tra comandanti in campo - e lo avevano dimostrato, riunendosi per proprio conto prima di comunicarci le loro «decisioni», perché tali erano. Orlando che si era sempre mostrato sereno e sorridente, riscuotendo per inciso un'ottima impressione, alla fine sbottò. La sera chiamò nella propria camera da letto il suo segretario, il generale Porro ed il colonnello Gatti, tutti palesemente mortificati ed irritati, ed esplose: «E credete voi che io non sia stato tutt' oggi con la vergogna al viso? Siamo stati trattati come servitori!» 2• Sicuramente il comportamento franco-britannico risentì cli preconcetti, di ambizioni personali e cli interessi politici. Non soltanto gli «alleati» non si preoccuparono affatto di garanti.re la resistenza italiana sul Piave, resistenza sulla quale pochi avrebbero scommesso a causa dell'incognita del morale, ma si schierarono dietro la linea Mincio-Adige, così insinuando, fra l'altro, nel nostro governo la suggestione di una migliore clifendibilità di questa rispetto alla linea del Piave. A conti fatti, peraltro, la cosa si tradtmà in un giusto nostro vanto della vittoria nella battaglia d'arresto. Il successivo appuntamento era a Peschiera, avendo gli ospiti manifestato il desiderio di essere ricevuti dal Re.

1 Aldrovandi Marescot.ti ha raccontato che nel corso della seduta pomeridiana del 6 novembre, Lloyd George fece incidentalmente il nome di Cadorna quale rappresentante italiano nel Comitato militare permanente. Questo implicava la sua sostituzione quale capo di Stato Maggiore dell' Esercito. «Porro rimase impassibile. Porro. su l cui volto sbiancato pareva riflettersi la tenibilità delJa situazione militare(... ) ha mantenuto tutto il tempo un contegno ammiJevole di calma posata, anche quando la discussione si faceva inquisitiva e critica sulle informazioni che egli recava, e sul Comando italiano» (Guerra diploma1ica cit., p. l 75). Ma Porro era già stato infonnato dal colormello Gatti (A. GA1TI, Caporelto cit., p. 478). ' A. GA:rn, Caporetto cit., pp. 316-128. Sulla c.onferenza di Rapallo e sulla nomina del nuovo capo di Stato Maggiore cf'r. «Due conversazioni di Ugo Ojetti», ibidem, pp. 452-458.


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La conferenza di Peschiera ebbe luogo l' 8 novembre. Non erano presenti né Cadorna né Porro. C' era però il Re, che sempre, con discrezione, si era tenuto al corrente delle operazioni. Nel generale clima di sfiducia, notò Orlando, «unica magnifica eccezione il Re» 1• Lloyd George ha raccontato di essere rimasto colpito dalla composta fermezza di Vittorio Emanuele ID in quelle dranunatiche ore. Non mostrò segno alcuno di apprensione, di incertezza o di imbarazzo di fronte agli alleati. Difese l'esercito italiano in modo semplice e dignitoso, senza medicare scuse. Indicò come cause principali la densissima nebbia che aveva favorito l'attacco ed ostacolato in senso determinante l'impiego dell'artiglieria, nonché la carenza numerica degli ufficiali di carriera, che potessero manovrare nella difficile ritirata.L'esercito aveva perduto dall'inizio della guerra circa 30 mila ufficiali ed i giovani che li avevano sostituiti non erano ancora adeguatamente preparati; né i soldati possedevano un sufficiente addestramento. Pensava eccessiva l'importanza attribuita alla innegabile propaganda socialista e clericale, e che maggior peso negativo rivestissero la durata e le sofferenze di quella guerra. Di tradimenti non era stato individuato il benché minimo indizio. In conclusione, egli non esitava a ritenere possibile la tenuta della linea del Piave e, più precisamente, pensava che si dovesse compiere ogni sforzo per tenerla, in quanto il suo abbandono avrebbe reso la situazione davvero seria. Tra l'altro, la perdita di Venezia avrebbe compo11ato il ritiro della flotta a Brindisi od a Taranto. Il punto debole, o piuttosto il punto detenninante della linea, era il monte Grappa, la cui caduta avrebbe reso inevitabile un'ulteriore ritirata. Il Grappa era in corso di organizzazione da parte nostra, ma ce1to un grave pericolo lo minacciava. L'atteggiamento ciel Re - riferì alcuni anni più tardi Orlando al generale Segato - ebbe forza convincente perché la maggiore obiezione all'invio cli truppe alleate derivava dal timore del «contagio» che il preteso sfacelo morale del nostro esercito poteva causare 2• Soprattutto la Francia aveva motivo di diffidenza, trovandosi nel momento piì:1 delicato della lotta interna contro il disfattismo e l' antipatriottismo. Dopo le dimissioni (31 agosto) del ministro degli Interni Malvy, radicale socialista, accusato di essere responsabile degli scioperi e degli ammutinamenti, 1' ostiUtà pubblica aveva investito Caillaux, ex presidente del Senato, antimilitarista convinto e fautore di una pace di compromesso. E il 13 novembre, quando Painlevé darà le dimissioni, Poinc~u·é incaricherà Clemenceau, l'uomo più rappresentativo del nazionalismo di sinistra, di fom1are il nuovo governo 3• Quanto al cambio del capo di Stato Maggiore, il Re, pur non condividendo in toto le critiche mosse al generale Cadoma, convenne sull'impossibilità di te-

1 1

V.E. ORLANDO, Memorie cit., p. 269.

L. S EGATO, L'Italia nella guerra mondiale cit., UI, pp. 254-256. ' P.M. DE LA GOR<.:E, Le armi e il potere cit., pp. 194- 195.


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nere in non cale le osservazioni avanzate da più parti. Ad ogni modo, il governo italiano aveva già scelto il successore nel generale Diaz, con a fianco, come sottocapo, il generale Giardino 1• Fu infine stabilito che i generali Foche Wilson prendessero immediato contatto con il Comando Supremo per «muovere le sei divisioni alleate verso i punti più pericolosi del fronte italiano, senza attendere ultetiori istruzioni dai loro governi» 2• Non fu così, ma in seguito a questi colloqui il concorso alleato venne portato a undici divisioni. Le sei francesi arrivarono fra il 31 ottobre ed il 2 dicembre; le cinque britanniche, fra I' 11 novembre ed il 15 dicembre. I primi reparti entrarono in linea il 4 dicembre.

4. L A BATIAGUA D'ARRESTO. (1° BATTAGLIA DEL P IAVE)

Da parte avversaria gli avvenimenti erano stati vissuti in un clima di quasi febbrile effervescenza, e non a torto. La sera del 25 ottobre il Comando del fronte sud-ovest era «preso dalle vertigini», per dirla con il generale von Below 3, giacché la prospettiva di un crollo dell' intero esercito italiano sembrava più che fondata . In questa speranza il Comando Supremo austro-ungarico aveva deciso di passare alla 10• armata l'ala destra del gruppo Krauss, non appena pervenuta a Resiutta, in val Fella. Ma von Below soJJevò subito un'obiezione. Gli sembrava di gran lungo preferibile che il gruppo d' esercito Conrad prendesse l 'offensiva dal Trentino, approfittando della possibilità di 1icevere rinforzi ed artiglierie dal gruppo d' esercito Boroevié. La proposta venne accolta dal generale Arz ed approvata anche dalla D.O.H.L. il 27 ottobre. Il maresciallo Conrad fu dunque incaricato di preparare un'azione in val Sugana, calcolando di disporre di due divisioni in rinforzo. A sua volta, però, Conrad rappresentò di aver già dato mano a predisposizioni per attaccare dall'Altopiano dei Sette Comuni con lo scopo cli impedire agli italiani di oppone resistenza ad ovest del Piave. Allora, considerando la situazione generale, il Comando Supremo austro-ungarico accettò la scelta. La data fu stabilita orientativamente per il 10 novembre. Sorse, peraltro, un nuovo impedimento. Il 29 ottobre il generale Ludendorff domandò al generaleArz quali fossero le intenzioni austriache sul proseguimento delle operazioni e ricordò che, in base agli accordi presi, le divisioni tedesche dovevano rientrare in Getmania non appena toccato il Tagliamento. L'arciduca Eu-

' La nomina di uu secondo sottocapl) di Stato Maggiore neUa persona del generale Badoglio sembra dovuta all' iniziativa del ministro Bissolati su proposta di Ugo Ojelli. Di Badoglio, che durante il ripiegamento aveva fatto bene, non si conosceva ancora la parte di responsabilità nella giornata del 24 ottobre. 'Cfr.L. ALDROVANDI M ,\RESCOTTI, Guerra diplomatica cit., pp. 178-18 1. "r. FADINI, Caporello dalla parre del vincitore, cit., p. 375.


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Fnllt1 al ZHJttoir, 1917

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Dalr lson1.o al Piave.


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genio protestò con vivacità, dichiarando che a quel punto l'offensiva, o meglio lo sfruttamento del successo, doveva assolutamente proseguire sino al Piave, motivo per cu.i le divisioni tedesche non potevano rientrare che dopo il passaggio del Tagliamento. Il 1° novembre Ludendorff tornò alla carica. Reputando sicure l'arrivo di truppe francesi ccl inglesi in Italia, consigliò di dare alla progressione sino al Livenza il carattere di «avanzata compatta da cui poter passare in ogni momento alla battaglia». Espresse poi il desiderio di recuperare truppe tedesche dal fronte orientale sostituendole con 6-8 divisioni del gruppo cl' esercito Borocvié. 11 generale Arz confermò il raggiungimento del Piave come primo obiettivo; chiese gli venissero lasciate a tal fine rune le divisioni tedesche o almeno due-tre di esse; rifiutò seccamente di mandare unità al fronte orientale per disimpegnarvi divisioni gem1aniche perché l'esercito «austro-ungarico lo avrebbe risentito come una grave offesa significante dubbi per il proprio valore intrinseco», né egli intendeva «assumersi la responsabilità di farsi rappresentare continuamente da truppe tedesche sul teatro di gueml italianm} '. Ovviamente non potevano sussistere incertezze sulla convenienza di proseguire a fondo la lotta, specialmente in un momento in cui l' esercito italiano stava organizzandosi in tutta fretta sulla linea ad angolo ottuso costituita dalle posizioni fra Brenta e Piave, fronte a nord, e dal corso del Piave a sud della stretta di Quero, fronte ad est. Cosicché le azioni offensive stabilite dal Comando Supremo austro-ungarico furono tre: la 11" armata del gruppo d' esercito Conrad ricevette ordine di attaccare il 12 novembre sull'Altopiano dei Sette Comuni per raggiungere Valstagna sul Brenta oppure, in caso di ulteriore arretramento italiano, monte Bertiaga, sul bordo meridionale dell'altopiano. li Comando del fronte sud-ovest venne invece sollecitato ad esercitare, nel contempo, una forte pressione fra Brenta e Piave. Di quest' ultimo compito fu incaricato il gruppo Krauss.

* * * Da parte italiana il mattino del 7 novembre anche l'aliquota operativa del Comando Supremo si trasferì a Padova. Alle 19 rientrarono da Peschiera il generale Porro cd il colonnello Gatti. Cadorna ricevette la notizia del! ' esonero dal sottocapo di Stato Maggiore. Il giorno successivo anivò la comunicazione ufficiale 2 • Il generale Diaz, con i due sottocapi, generali Giardino e Badoglio, entrò in carica il 9 novembre. n primo passo dopo l'insediamento necessariamente riguardava il censimento delle forze sulle quali poter fare assegnamento.

'SMRE, Riass1111to della Re/al.ione ufficiale tmstriaca cit., pp. 407-408. ' Cfr. G. G1ARD1No, Rie vocazioni e riflessioni di guerra cil., I, pp. I09- 111 ; A. OAn re//o cit.. pp. 329-343: T. CADORNA, leuerefamigliarì cit., pp. 242-243.

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Copo-


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Le direttrici d'avanwta austro-tedesche.


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Esisteva anzitutto una massa costituita dal ID corpo d'armata e dalla la armata, con poco più di 300 mila uomini, in piena efficienza. Una seconda massa comprendeva la 4• annata e la l" armata, sui 300 mila uomini, abbisognevole di un minimo di riordinamento sotto ogni profilo per riprendersi dal tremendo logorio della battaglia perduta e della ritirata. Infine c'erano i resti della 2" armata e del XIl corpo: altri 300 mila uomini, ma senz'armi e senza servizi, con 20 nùla quadrupedi e 3 mila carri, ovviamente privi di qaualsiasi affidamento. Le perdite erano stimate ingentissime, pur senza disporre ancora di dati attendibili'; del resto poco significavano ai fini del problema difensivo. Considerando la disponibilità di otto brigate di marcia e l'arrivo dall' interno di complementi e di 108 battaglioni della classe 1899 inquardrati in reggimenti etbrigate, si calcolò, con molto ottimismo, di recuperare per il 24 novembre quattro corpi d'armata e più tardi, ma senza essere in grado di stabilire date, altri tre corpi. In particolare si stimò che il XXIV corpo, tuttora impiegato, potesse essere riordinato senza eccessivi problemi con l' immissione di complementi. Il XXVII, riordinato sul posto, entrò in linea sul Grappa il 22 novembre. Gli altri corpi vennero concentrati in due blocchi ed inquadrati in due armate: la 2• nella zona di Lonigo, con i corpi VI, XXV, XX:Vill e XXX, che si pensava di completare entro la prima decade di dicembre; la 5" armata nella zona di Borgo San Sonnino, con i corpi II, IV, VII, XII e XIV, in cattive condizioni e richiedenti un tempo non definibile al momento per la rimessa in efficienza (il IV ed il VII corpo furono poi sciolti a fine novembre). Tutti gli altii repalti dovevano essere sgomberati lontano per una completa ricostituzione: a Castelfranco Emilia la fanteria; a Mirandola l'artiglieria, a Sassuolo la scuola bombardieri e lanciafiamme, a Guastalla il genio. In sostanza, dallo Stelvio al Brenta l'organizzazione difensiva poteva reputarsi sufficientemente sicura. Dal Brenta al mare la difesa era gravata da fattori negativi evidenti - incompletezza di organici, logorio dei reparti, bisogno di riassetto - e, per giunta, nel settore più delicato degli Altipiani e del Grappa si riscontravano complicazioni di non poco conto. Il generale di Robilant stava conducendo la ritirata della 4• armata dal Cadore al Grappa con preoccupante lentezza, talché il 9 novembre l'occupazione delle posizioni assegnate a ll' annata era ancora precaria 2•

' Si calcolavano perduti circa 800 mila uomini (265 mila prigion ieri, 30 mi la feriti, 1O mila morti, 350 mila sbandati e disertori ali' interno. oltre a malati cd altre perdite); oltre 3 mila pe:a.i d'artiglieria e 1.700 bombarde; 3 mila mitragliatrici, 2 mila pistole mitragliatrici, 300 mila fucili senza contare quelli dei prigionieri e degli sbandati; 22 campi d'aviazione; enorme quantità di materiali e dotazioni. ' U 17 novembre Cadorna aveva deciso l'esonero del generale Robi lane dal comando della 4' armata, ma. proprio per l'aggravarsi della situazione provocata dalla lentezza del ripiegamento dcli' annata, si fece scrupolo di non sovrapporre una crisi di comando alla crisi operativa della grande unità, e non lirmò il provvedimento già pronto (G. G 1ARD!NO, Rievocazioni e riflessioni di guerra ci t. , l. pp. 109-110).


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Insomma, al nuovo Comando Supremo la situazione si presentava con molti interrogativi, specialmente fra il Brenta cd il mare I punti più delicati erano il Grappa e il Montello. Il primo dava appoggio montano alla difesa del Piave, sbarrava la direttrice del Brenta e costituiva la cerniera dei due fronti, nord ed est. Il Montello, a tergo del Grappa, rivestiva una particolare sensibilità in quanto dominato dalla riva opposta del Piave. Le forze disponibili erano tutte in linea; nou esisteva che una riserva irrisoria (le otto brigate di marcia); soltanto dopo un paio di settimane si sperava di ricevere i primi quattro corpi rimessi in sesto. Circa l' inuninente battaglia non si possedevano, naturalmente, elementi di informazione da cui desumere applicazioni di sforzo nemico cd intensità, però la situazione strategica era più che eloquente. Pur condividendo il pensiero di Cadoma sulla necessità di arrestare la ritirata al Piave, irrigidendovi la resistenza - perché col prolungare per libera scelta la manovra in ritirata sino alla linea Mincio-Adige, nelle condizioni in cui versava l'esercito, si sarebbe con ogni probabilità corso il rischio di uno sfacelo Diaz non si sentiva affatto di escludere che le circostanze, vale a dire la rottura del fronte della l a armata sull'Altopiano dei sette Comuni, imponessero un nuovo profondo passo indietro. Lo studio di simile ipotesi condusse alla pronta emanazione di direttive (12 novembre) a titolo di orientamento generale per le predisposizioni di pertinenza delle singole annate. L'esercito si sarebbe portato in tre successive fasi dietro la linea Mincio-Adige, protetta fra Legnago e l' Adriatico dall'inondazione di sinistra d 'Adige in corso di preparazione. La manovra di ripiegamento si sarebbe concretizzata, nelle prime due fasi, in una grande conversione sulla destra con il cardine sul tratto Garda-monte Obante '. Per realizzare il minimo occorrente ai fini di uno svolgimento sufficientemente regolare della manovra in questione - imbastire una difesa sul Bacchiglione con teste di ponte a Vicenza e Padova; stabilire qualche linea di appoggio fra Piave e Bacchiglione; sgomberare la pianura veneta per ottenere l'indispensabi le libertà di movimento e d 'azione; apprestare la linea Mincio-Adige; preparare le inondazioni; organizzare gli itinerari di ripiegamento, ecc. - era stato calcolato un tempo non inferiore alle due settimane. Questo periodo assai critico, che il maresciallo Giardino descrisse «di ansie veramente angosciose e cli pericolo veramente estremo», con la spada di Damocle di una rottura del fronte e della conseguente necessità di sostenere una battaglia in campo aperto ed in ritirata, durò una ventina di giorni 2• Nel frattempo era giocoforza affrontare una battaglia difensiva a scadenza immediata e ad oltranza sulla linea Grappa-Piave. Ed anche accettare il grosso

' USSME. Relazione 11fficia/.e cii., IV, 1omo 3 bis, doc. 214. li 17 novembre seguirono altre direttive a complemento della precedente (ibidem, doc. 2 15). ' G. G1,,Rl)INO, Rievocazioni e rijfossioni di gtterra cit. , I. p. 157.


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Le direttive per l'eventuale ripiegamento sulh, linea Mincio-Adige.


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La situazione il IO novembre 1917.


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inconveniente psicologico di avere il precedente Comando Supremo indicato ad ogni combattente «qual è il grido cd il comando che viene dalla coscienza di tutto il popolo italiano: morire, non ripiegare» ', e adesso vedersi il nuovo Comando Supremo, dopo la conferma dello stesso indirizzo, assumere misure riferite ad un ulteriore arretramento. Che si corresse il rischio di indebolire la volontà di resistenza sul Piave era pressoché certo ed il maresciallo Giardino ammise ciò di averne ricevuto prova in qualche interrogativo, a carattere molto personale, postogli da comandanti di grado elevato. D'altra parte era inevitabile 2 •

*

*

*

La.battaglia d'arresto si sviluppò in due tempi: dal 10 al 29 novembre e dal 4 al 30 dicembre. 11 dispositivo italiano comprendeva la 1• annata dal Garda al Brenta e la 4' e 3° armata dal B renta al mare. La 1• armata (gen. Pecori Giraldi) aveva in linea il XXIX corpo (gen. Dc Albcrtis), il V corpo (gen. G. Zoppi) ed il X corpo (gen. Sailer) dal Garda ali' Astico ed il XX.VI corpo (gen. Fabbri), il XXII (gen. Gatti) ed il XX corpo (gen. G. Fcrrari) dall' Astico al Brenta. Gli ultimi tre corpi dipendevano da un Comando Truppe Altipiani (gen. Ricci Armani), inquadrato beninteso nella 1• armata. La 4• armata (gen. di Robilant), a ripiegamento del tutto ultimato, cioè il 13 novembre, schierava il XXVlll corpo (gen. Tettoni) sul Grappa, il IX corpo (gen. Ruggeri Laderchi) sulla barra M. Tomba - Monfenera ed il 1 corpo (gen. Piacentini) sul Montello. La 3• armata (duca d'Aosta) dal 9 novembre teneva la linea del Piave con l'Vlll corpo (gen. Graziani) nel settore di Nervesa, l'XI corpo (gen. Pennella) alle Grave di Papadopoli, il XIII corpo (gen. Sani) nel settore Fagaré-Zenson cd il Xrrt corpo (gen. Pctitti di Roreto) sul basso Piave. Per quanto concerneva gli alleati, come si poteva desumere dai convegni di Rapallo e di Peschiera, accordi ed intese si annunciavano piuttosto delicati, sia sotto il profilo del!' impiego sia, in particolare, sotto q uello fondamentale del comando.

Ultima frase dell'ordine del giorno diramato da Cadorna il 7 novembre. Essa risulta leggermente modificata dalla Commissione d ' inchiesta su Caporetro. ' La Comnùssione d'inchiesta su Caporeuo mosse severe critiche a Cadorna per avere egli, già dal 25 ottobre. indicato il Piave come meta ultima della ritirata, invece di «fino aU'ultimo momento con ogn uno tacerlo , se 110 11 pure negai-lo con tutti quan ti l' avvicinavano, fossero questi comandanti elevatissimi, fossero anche i suoi più devoti collaboratori dell'ufficio operazioni» (Da/l'Isonzo al Piave cit., II, pp. 180-181). Giustamente il maresciallo Giardino ha osservato che, oltre a condannare, bisognerebbe indicare come predisporre una manovra in ritirata di quel genere senza dare tempestivamente ordin i precisi e chiari per arretrare le artiglierie, sgomberare le impedimenta. avviaJe difese .irretratc, organizzare i movimenti ccc. (G. GIARDINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit., I, pp. 173- 175).


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Purtroppo tutto il credito che l' Italia si era guadagnato presso l'opinione pubblica, i governi ed i ve1tici militari alleati in due durissimi anni di guerra era svanito nei pochi, oscuri, giorni di Caporcllo. Aspri furono soprattutto i commenti della stampa francese. Le numerose e luminose prove date e le recenti nette vittorie di Gorizia e della Bainsizza non contarono più e «solo rimase presente nelle menti il fatto di brigate che, innanzi all'attacco nemico, si asseriva si fossero arrese al canto dell'Internazionale, e l'idea si fece che l'esercito italiano, lavorato dai leninisti, prendesse !'aire dell'esercito russo». E il Temps scriveva esser troppo comodo invocare il fronte unico per coloro che avevano sempre economizzato nei sacrifici! E la Libre Parole scriveva che finalmente l'Italia si sarebbe decisa a chiamare alle armi le classi al di sopra dei 42 anni. E il Journal des Debats scriveva che, vista l'insufficienza del Comando Supremo e dell' esercito italiano, ne derivava l'assoluta necessità di evitare di porre truppe francesi agli ordini di comandanti italiani 1• Ciò premesso, i contatti ebbero luogo lo stesso giorno 9, non appena insediato il nuovo Comando Supremo. Il generale Foch non mancò di intervenire nella concezione della difesa, suggerendo che nel ripiegamento sul Grappa la 4• armata, ancora in notevole ritardo, conservasse le posizioni di M. Roncon e dì M. Tomatico per impedire al nemico cli utilizzare l'arrocca.mento Primolano-Feltre, fra Brenta e Piave. La questione, naturalmente, era già stata presa in esame dal Comando Supremo, che però aveva finito per rinunciarvi, data l'impossibilità di tenere a lungo quelle posizioni avanzate, assai mal collegate ai lati, e considerando che, a ben guardare, l'importanza del solco di Feltre risultava sminuita clall' esistenza, poco più a nord, dell'arroccamento Castel Tesino-Agordo. È pur vero che la rinuncia a portarsi avanti comportava l'accettazione di una ridotta profondità della linea Col Moschin-Grappa-M. Tomba, ma dopotutto 1• sc,u-sità delle forze non consentiva accettabili alternative. Foch insistette cd il Comando Supremo, benché urtato per l'invadenza, cedette, consapevole di dover poi trattare con gli alleati argomenti più importanti e difficili. Quindi ordinò al comandante della 4• armata di incaricare della bisogna il XVIII corpo. Il generale di Robilant obbedì, facendo peraltro rilevare che quel. ' occupazi one avrebbe causato su tutto il suo fronte tale diminuzione di densità eia compromettere la sicurezza e che, date le prevedibili mosse ciel nemico, sia il Roncon sia il Tomatico «saranno avviluppati e io parte dominati dalle artiglierie avversarie» 2. Il maresciallo Giardino commenterà essere, quell'occupa-

' Nicola Brancaccio, /11 Francia d11ra111e la guerra, Mondadori, Milano 1926, pp. 161-165. Nella stampa come nell'opinione pubblica francese emerse la tenden,,a ad esagernre la gravitù della nostra pur grave sconfitta ed in quasi tutti gl i ambienti si reputò che il nostro eserci to non fosse pitt in grado di opporre una seria resistenza ali' invasore e che «il compito di arginare i progressi di esso dovesse ricadere interamente sugli alleati» (Bonin a Sonnino in data 2.12.1917, O.O.I., 5' serie, fX, doc. 6 12). 1 USSME, Relazione ufficiale cii., IV. tomo i. pp. 560-561.


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Il sistema orografico del Grappa.


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zione, un errore: «In meno di una settimana si dovrà. pagarlo» 1, cd il maresciallo Caviglia scriverà: «questa condiscendenza e qualche altra misura successiva poco altera non contribuirono ad aumentare il prestigio dei nostri capi presso i generali alleati» 2• 11 10 novembre, con due giorni di anticipo, Conrad attaccò a nord-est di Asiago. Quel giorno, mentre le prime azioni austriache sugli altipiani venivano respinte in un clima pressoché invernale, Orlando telegrafò a Diaz, significando che «Generali alleati incoJTerebbero in una grave responsabilità se lasciassero le loro forze inoperose mentre ci sovrasta il pericolo più imminente ed urgente» e che l'opinione pubblica era sfavorevolmente impressionata dal constatare che le divisiotù alleate stavano ben lontane dal fronte. Ma l'argomento di fondo era che: <<Anche d' accordo con Sonnino stimo affatto inul ile fare passi nel 1crreno poli1ico; sapendo in man iera assol uta che, mentre i governi sono decisamente favorevoli ad un' azione larga ed i111media1a, essi se ne rimettono ai loro rapprese111anti 1nilitari quanto aUc modalità tecniche e non assumerebbero la responsabililà di dare un ordine ai mili1ari» '.

La conclusione più eloquente figurava in un telegranuna per Bissolati: «Tutto dipende da decisioni che prendonsi costì ( ... )» •. Insomma, toccava al Comando Supremo risolvere il problema. Diaz volle mettere le c~ute in tavola. L' 11 novembre convocò i generali Foch e Wilson e spiegò che le so1t i della battaglia, appena iniziatasi sugli Altipiani ma da prevedere ben presto estesa all ' intero fronte, dipendevano dalla resistenza delle tiuppe in linea, a tergo delJe quali non esistevano riserve che potessero intervenire o almeno consentissero turni di riposo. li periodo di crisi, in attesa dell'arrivo dei complementi e dei corpi d'armata ricostituiti nonché del completamento dell'orga1ùzzazione difensiva, sarebbe durato una quindicina di giorni. Era perciò indispensabile che qualche divisione alleata entrasse in linea. «Gli alleati non accolgono la richiesta - annotò il maresciallo Giardino -. Non sono arrivate tutte le loro forze. Debbono premunire le Giudicarie. Non possono scindere l' unità delle loro truppe. 11 comando di truppe loro non può uscire dalle loro mani. La zona a tergo della linea è ancora ingombra. Ecc., ccc.» 5• Per superare la discussione, che si faceva serrata, Foch si richiamò alle istrnzioni del suò governo, concordate a Rapallo: le truppe francesi non potevano essere compromesse senza preventiva autorizzazione! La sera il Comando Supremo chiese chiarimenti a Roma. E il governo ammise che effettivamente le urùtà

' G . G IARDINO, Rie voca zioni e riflessioni di guerra cit., l , p. 177. ' E. C ,WIGLIA, Le tre bttllaglie del Piave cit., p. 39. ' In L. SEGATO, L'ltalia nella guerra 111011diale cit., !TI. pp. 392-393. ' Orlando a generale Ciltadini per Uissolati in data 10.1 l..1917, D.D.I., 5' serie, IX, doc. 406. ' G. G 1i\~r>1NO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit. , I, pp. 181- 182.


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francesi ed inglesi avevano vincoli d' impiego! In parole povere - osservò Giardino - avevano «il divieto di impegnarsi in linea finché non sia raggiunto (da noi, s' intende) una situazione che garantisca la loro sicurezza» 1• I commenti circa siffatto stato di cose sono superflui. Tutt' al più, concesse Foch, le tre divisioni francesi disponibili, a parte quelle dislocate ad ovest del Garda quale riserva (naturalmente vincolata) del ili corpo d'armata per fronteggiare la minaccia dalle Giudicarie, potevano portarsi tra Vicenza e Valdagno, a 1idosso del Bacchiglione, quale piccola massa di manovra con il compito di contrattaccare sul fianco il nemico che avesse sfondato il fronte della 1° annata. Non era certo l'aiuto a sostegno della difesa ad oltranza che a noi, serviva, ma fu accettato perché altro non restava da fare. Però da quel momento il Comando Supremo non avanzò più richieste agli «alleati». li punto era che Foch e Wilson dubitavano entrambi della concreta possibilità di resistenza sul Piave e, dopo la conferenza, si mostrarono ancor più convinti che «se le divisioni alleate non fossero mTivate prima dell'attacco nemico, gli italiani non avrebbero potuto tenere il Piave» 2• Diaz rispose a Orlando di aver fatto tutto il possibile, <<Però devo avve11ire V.E. che il barnne Sonnino mi ha rimesso il documento, a lui consegnato ufficialmente. col quale il generale [Wilsonj dice che non può impegnare le sue u11ppe in un'azione che le possa compromettere. Ag iremo da soli, coi nostri mezzi e con ogni possibile sforto!».

Il 12 novembre su tutto il fronte si accese l'offensiva austro-tedesca. La 14• armata aveva affidato al gruppo Krauss la conquista del massiccio del Grappa. Secondo il generale Krauss - il quale dalle infom1azioni ricevute si era fatto l' idea di non aver più davanti a sé un nemico in ritirata, bensì truppe fresche decise a fronteggiare gli inseguitori «già dal limite settentrionale del massiccio e quindi molto avanti alle posizioni di resistenza ad o ltranza» 3 - la penetrazione di forza sul Grappa sarebbe stata ardua e, comunque, per scendere nella pianura vicentina occorreva sbloccare le valJj del Brenta e del Piave. Si orientò dunque verso un'azione di sorpresa esercitata per l'appunto lungo le due valli, ai lati del massiccio su cui intendeva limitarsi ad impiegare poche truppe. Senonché l'ambiente naturale era ben differente da quello della zona Plezzo-Tolmino, dove, rotta una spalla, era stato possibile cercare in fondovalle la mossa risolutiva. Inoltre mancavano il fattore sorpresa e la dovizia dei mezzi d'assalto. I divisionari del generale K.rauss erano così persuasi dell'impossibilità di ottenere risultati lungo i solchi vall ivi che, deliberatamente, si scostarono da-

' Ibidem, p. 181. ' HENRY WILSON,

' K.

His Life ami Oiaries. li, p. 26, in V.E. ORLANO<>, Memorie cit., p. 270. Lo sfo11damento dell 'lso11zo. cii., p. 111.

K RAFIT VON D EU, MENSINOEN,


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gli ordini 1icevuti ed il 13 novembre attaccarono per l'alto cominciando da M. Roncon e da M. Tomatico. E prese corpo la prima novità: «Gli italiani si battevano con grande tenacia, in un modo completamente diverso dai primi giorni dell'offensiva: alcuni piccoli reparti tennero duro fino al loro completo annientamento» 1• L'attacco a quelle posizioni avanzate raggiunse lo scopo il I 6 novembre. Il 13 novembre la pressione nemica si accentuò in modo preoccupante e penetrazioni si verificarono sul Piave nell 'ansa di Zenson. Nell'ambiente politico esisteva tensione. Il 14 novembre il segretario generale agli Esteri, De Mattino, presentò a Sonnino una relazione nella quale prospettava l'eventualità del peggio. In tal caso, «allo scopo essenziale cli prevenire che gli alleati o uno di loro prenda per suo conto l'iniziativa preliminare della pace, a tutto suo profitto e danno nostro», sarebbe stato opportuno «intraprendere contatti indiretti col nemico per tramite inesponsabile e sconfcssabile ( .. ..)sulla base della seguente formula iniziale: qualora l'Italia dichiarasse agli alleati suoi che crede giunto il momento di iniziare trattative concrete di pace, che cosa ci offrono Gennania e Austria per questa iniziativa?» 2• Secondo Aldrovandi Marescotti, Sonnino passò l'intero mese di novembre. in un'alternanza di ottimismo e di sconforto. Ciò nonostante rimase nella sua linea di combattività senza cedimenti. Non prese dunque in considerazione la memoria di De Martino 3• In simile congiuntura si affacciò anche un elemento che, sul piano psicologico, non era di sicuro il più indicato per trasmettere solidarietà e fiducia a chi si batteva. La ferma decisione di resistere sul Piave dovette attraversare «un tormento che al Comandante poteva e doveva essere risparmiato>> scrisse il maresciallo Giardino 4 • Già Bissolati, venuto ad informarsi, aveva opinato preferibile la difesa della linea Mincio-Adige, in quanto avrebbe evitato il logorio definitivo delle truppe e coperto più saldamente l'Italia. Spiegatogli ciò che un nuovo tipiegamento comportava ed i rischi ad esso inerenti, il ministro sembrò persuaso. Il 15 novembre arrivarono a Padova il presidente Orlando, con i ministri Alfieri e Fera. Ali' origine - piuttosto lontana, invero - stava una lettera rivolta il 2 novembre dal capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Thaon de Revel al

'Tbidem, p. 317. ' De Martino a Sonnino in data 14.11.1917, D.D.I., 5' serie, lX, doc. 438. ' 1128 novembre, a Parigi, in una riunione aJ Quai D' Orsay C!emcnceau aveva detto: «La guerra finirà nell'agosto 1919», e S0ru1ino si lasciò sfuggire: «E come arrivru·ci?». Il giorno dopo, in un momento di sconforto, confidò ad Aldrovandi: «A Trieste non spero più.L'Italia sarà forse smembrala». Ciò nonostante rimase fermissimo nella sua linea di combattività sino alla fine (L. A l, DROVANDI MARESCOTII, / convegni di Rapallo e di Peschiera, in Nuova Antologia, 16.1.1935, p. 214, nota 1). ' G. G IARDINO, Rievoca.;,ioni e riflessioni di guerra cit., I, p. 157.


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presidente del Consiglio. L'ammiraglio, in un colloquio avuto il 30 ottobre con Cadorna, era stato informato che il Comando Supremo aveva in animo di chiedere lo sgombero delle truppe dislocate in Albania cd in Libia per utilizzarle nello scacchiere nord-est, ed alcresì della possibile necessità di dover abbandonare Venezia, qualora fosse risultata intenibile la linea del Piava. T haon de Revel, che reputava attuabile una buona difesa della piazza marittima di Venezia, pur isolata, naturalmente se rinforzata adeguatamente sul fronte a terra, prospettò l' opportunità che un consiglio di guerra definisse al più presto la convenienza di conservare o non la piazza nel caso di un eventuale ulteriore arretramento del fronte '. Il 3 novembre ribadì il suo pensiero al ministro della M arina: «Abb!mdonarc Venezia signi[ichcrebbe però rinunciare alla padronanza del!" Adriatico, esponendo le retrovie dell'Esercito a qualunque in~idia che il nemico volesse arrecare anche al sud del Po; significherebbe confinare la Marina nel Oasso Adriatico, moltiplicando le difficoltà del suo compito già grave ed i rischi di perdite di unità: significherebbe rendere dubbia anche l'efficienza difensiva della linea del!' Appennino» ' .

E, per quanto riguardava Valona e la Libia, precisò che l' abbandono della prima avrebbe reso ardua la protezione e difesa del canale d' Otranto, e quello della seconda avrebbe esposto i convogli di truppe ritornanti in Italia alle offese dei sommergibili austriaci e provocato la perdita del controllo del Mediterraneo centrale. Orlando dapprima prese tempo, anche perché c 'era di mezzo il cambiamento al vertice. Poi, constatate a Rapallo le perplessità alleate e soprattutto resosi conto come «nel campo politico e parlamentare l'opinione della preferibilità della linea del Mincio avesse numerosi e convinti fautori» 3, com inciò a preoccuparsi. Bissolati, a contatto col nuovo Comando Supremo, si esprimeva in termini drammatici: l' Austria, a mez7.o della Svizzera, aveva fatto chiedere se l'Italia intendeva dichiarare Venezia città aperta o difesa; Diaz aveva messo subito allo studio i provvedimenti più oppor1u ni per l'ipotesi di dover abbandonare la linea del Piave. Cc n'era abbastanza, secondo Orlando, per voler «esaminare» ex-novo la questione. Patrocinò, dunque, una riunione a Padova per il 15 novembre, alla presenza di Vittorio Emanuele UI. Era quello il suo primo incontro con Diaz ed anche, a suo avviso, «il convegno piLr solenne di tutta la guerra; il so lo, forse, che potrebbe definirsi come un vero Consiglio di guerra» . Vi giunse psicologicamente« caricato}>, sia perché in effetti per la prima volta dall'inizio della guerra il presidente del Consiglio ed il ministro della Guerra trattavano con il Re ed il Comando Supremo un problema strategico delicatissimo; sia perché per l'appunto il giorno precedente il Parlamento, a Camere riunite, aveva sostenuto pre-

' V.E. O RIJ\NDO. Memorie cit., p. 267. ' L. SEGATO. L'lwli11 nella guerra 111011diale cit., ILL pp. 247-248. ' V.E. 0Rt.AND0 , Memorie cit. , p. 265.


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feribile ritirarsi dietro il Mincio e questa tesi aveva avuto un sostenitore del calibro di Giolitti 1• Il quale Giolitti, conversando in quei giorni con un anùco senatore, ripeteva le ragioni che Lo inducevano ad esprimersi a favore dell' abbandono del Piave e soggiungeva: «Disgraziatamente, c'è Orlando che non vuole e che si oppone» 2• Orlando non era certo uomo da tenere in non cale gli umori parlamentari, perciò, in apertura di conferenza - che ebbe luogo quello stesso giorno 15 dalle 11 alle 12,30, a palazzo Dolfin - tenne pregiudizialmente a dichiarare che ove ai capi militari «nella loro competenza e responsabilità nùlitare, fosse apparso che l'Italia si sarebbe salvata con un'ulteriore ritirata, non dovevano preoccuparsi della formidabili responsabilità collegate con l'abbandono dj tutto il Veneto ( ... ): tale responsabilità, politica e non militare, l'avrei assunta io stesso, liberandone interamente loro» 3• Molto sottilmente eloquente. Diaz, carte topografiche alla mano, dimostrò come la ritirata sino al Piave fosse stata attuata, nonostante la pressione austro-tedesca e la presenza della massa di sbandati e cli profughi, grazie allo spazio utilizzabile. Non solo, ma la linea del Piave correva lungo una vera e propria strozzatma. Un nuovo passo indietro non avrebbe trovato in quel momento spazio per manovnu-e e, di conseguenza, con ogni probabilità si sarebbe andati incontro ad una vera catastrnfe. Quindi bisognava tenere la linea Grappa-Piave. Il ragionamento parve convincente per gli i uomini politici, tuttavia Orlando cluncluse, «pur astenendosi da consigli, che al Mincio ed all'Adige si copriva l'Italia, mentre qui ci si poteva logorare invano, ecc.»". Giardino giudicò con severità le suggestioni indirizzate, senza dubbio alcuno in buona fede, ad un comandante che già aveva preso una determinazione ragionata e che si trovava impegnato a fondo in una partita decisiva per l'Italia. Questi suggerimenti e dubbi, fonnulati senza rendersi conto delle circostanze, rischiavano di turbare la serenità d'animo del capo in un momento delicatissimo. Orlando respinse l'accusa di non aver considerato l'influenza negati.va che la sua insistenza poteva esercitare su Diaz, ma non risultò convincente. Negò di aver professato l' opinione che l'mTetramento al Mincio fosse eia preferirsi alla resistenza sul Piave, anzi affermò addirittura che «pochissimi - tra i quali io stesso - ebbero allora fede nella difesa ciel Piave» 5, però non si comprende perché mai abbia sollevato la discussione sulla scelta fra Piave e Mincio, quando il Re e Diaz avevano già confermato la decisione cli Cadorna. Thaon de Revel voleva

' Cfr. O. MALAGODI, Conversazioni della guerra cit., p. 202. Nelle memorie di Gioii lii non si accenna a questo intervento. ' V.E. ORLANDO, Memorie c it., pp. 270-271. ' Ibidem, p. 131. ' G. GIARDINO, Rievocazioni e riflessioni di g11erra cit., I, p. 159. ' V.E. 0KLANDO, Memorie cit. , p. 264.


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Le predisposizioni difensive italiane il 13 novembre 1917


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semplicemente sapere se Venezia doveva rimanere difesa oppure no, e ... lui aveva fede nel Piave. Poco più di un mese più tardi, il 22 dicembre, in un discorso alla Camera, Orlando anunise implicitamente le pressioni: «In quelle due settimane che corsero dalla fine di novembre ( .. .) il problema più assillante era questo: si poteva tener la linea del Piave'! Tenerla, intendo, pel tempo minimo occon·cnte ad arrestare il movimento di clisorgani:a.azione e ad iniziare il riordinamento? Era questione cli vita o cli morte. Parecchi intelligenti tecnici di cose nlilitari ascoltai in quei giorni. L'analisi dimostrava con disperante precisione che la linea non consentiva quel tempo minimo di resistenza. Lo stato delle nostre forze, la situazione strategica, l'entità della minaccia avversaria, pervenivano alla conclusione che non era possibile resistere. Ma i nostri soldati non ragionarono ( .. .)» '·

Simile condotta ben poco presenta di lineare. Il naturale «tecnico d i cose militari» era il Comando Supremo, scelto da Lui stesso ed appena nominato. L'ascoltare «parecchi intelligenti tecnici» - quanto meno privi di responsabilità - e, condividendone l'opinione, premere sul Comando Supremo appare estremamente discutibile. Comunque Orlando tenne ad osservare di non credere che «l' avere allora per avventura professato un' opinione diversa, possa costituire una ragione per addit,u-e alla riprovazione storica coloro che tale pensiero avessero avuto e, avendolo, l'avessero manifestato» 2• Il punto non era questo. Non si trattava di valutare il pro ed il contra di due soluzioni e di compiere poi una scelta. La scelta ormai era stata presa, quindi una discussione del genere risultava fu01i luogo. Conoscendo il pensiero di Cadoma e gli orientamenti parlamentari, Orlando avrebbe dovuto fissare un colloquio con il nuovo capo di Stato Maggiore p rima che questi arrivasse ad una decisione. Adesso, a cose fatte, dopo aver insistito (con il Comando Supremo) affinché le divisioni alleate entrassero in linea sul Piave, sapendo che erano state assunte misure opportune per il caso peggiore, non restava che farsi illustrare compiutamente la soluzione data al problema strategico e le prospettive future per ogni evenienza, senza sollevare altre ipotesi. Discutere se preferire il Piave o il Mincio, a battaglia in corso sul Piave e sugli Altipiani, era peggio che un non senso. Detto questo, è necessaria qualche nota sul Comando Supremo. La brusca decisione non era stata priva di inconvenienti. Prima di tutto bisognò «trovare» i generali Diaz e Badoglio; poi, quando il nuovo Comando si insediò (10 novembre), si rese indispensabile un minimo di tempo per raccogliere dati e farsi un 'idea suff icientemente chiara della situazione, del terreno e dei lavori difensivi. Il colonnello Gatti annotò nel suo diario: «Si ha un bell'essere uomini di tempra superiore, ma dalla sera del 7 il Comando non funziona più: e siamo al 10. C'è stato una specie di intenegno, dovuta alla politica; tutta la notte dal 7 al

1

Cfr. G. GJARl)INO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit., I, pp. 151-163.

' V.E. ORLANDO, Memorie cii., p. 265.


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1'8 e il giorno 8 sono passati alla ricerca del Capo Diaz: e qui si stava quasi fermi. Il giorno 9 c'era la sorpresa Badoglio: e Diaz e Giardino, in presenza ancora di Cadorna e di Porro, non potevano agire( ... ). Oggi è il primo giorno in cui tutti i nuovi cap.i funzionano: ma Badoglio, ripeto, è giunto soltanto alle 12, e quindi fino a quest'ora costituzionalmente non c'è nulla di funzionante. Si sono cioè perduti tre giorni di provvidenze che avrebbero dovuto invece essere immediate ( ... ))) 1• Sempre stando a Gatti, Diaz, relativamente poco conosciuto, in quel periodo iniziale era guardato con una certa diffidente attenzione, anche perché il contrasto con la personalità e la mentalita di Cadorna si palesò al primo impatto nettissimo. «lo non sono che il rappresentante militare del Governo. Mio scopo è di I agire in ogni cosa d'accordo col Governo perché ritengo indispensabile questa linea di condotta e non da oggi soltanto» avrebbe detto Diaz a.i giornalisti Barzini e Alessi 2• Tuttavia nel giro di una diecina di giorni si avvertì un grosso cambiamento al Comando Supremo. La «mossa» giusta era stata quella di ridare al sottocapo, Giardino, le sue vere funzioni, quelle di capo di Stato Maggiore di Diaz, mentre a Badoglio fu riservata la riorganizzazione delle unità. Entrambi operarono in modo eccellente 3• A patte la «novità», prima della battaglia anche in ambito militare esisteva differenza di vedute sulla difesa al Piave oppure sulla ritirata al Mincio 4• Come si è detto, non era più ora di opinioni. Sintomi di ripresa erano visibili, tuttavia affioravano anche motivi di apprensione sulla solidità delle truppe. Non per niente il 13 novembre, alla notizia che reparti austriaci di non rilevante consistenza avevano passato il Pia.v e nell'ansa di Zenson, Diaz si mostrò pensoso. Ma nel momento più difficile della battaglia diramò una circolare che, per l'argomento scottante toccato, merita di essere riportata in gran patte: «Ho dovuto constata(e un sensibile aumento di proposte di esonero di ufficiali, inoltrate da unità mobilitate. Ho dovuto anche, con rincrescimento, constatare come diverse di esse sono motivate con semplici appreuamenti personali e non invece basate su dati di fatto ben determinati. Ora è mia ferma intenzione che, in materia così delicata e di così grande importanza, si proceda con tutte le cautele e con la massima serenità e ponderazione. Questi continui esoneri, questo colpire rigorosamente chiunque e per qualunque moti,•o abbia errato, toglie ogni serenità d'animo, pur tanto necessaria nella difficile situazione presente( ... ).

' A. G,,rn, Caporetto cit., p. 358. ' R. ALESSI, Dall'Isonzo al Piave cit., p. I65. ' Gatti, fervido ammiratore di Cadorna, riconobbe: «La cosa è molto cambiata da prima. C'è nel funzionamento del Comando qualcosa di più sciolto. Il lavoro che fa S.E. Gia(dino è enorme. Badoglio ricostituisce le truppe, visitandole. S.E. Diaz, tranquillamente e se(enarnente, prende le decisioni. La calma, la fiducia sono rinate» (A. GATTI, Caporetto cit., p. 401; cfr. R. ALESSl, Da.lt'Jsonzo al Piave cit., pp. 166-167). 'Secondo Gatti, propendevano per il Mincio il duca d'Aosta, il generale di Robilante molti comandanti di corpo (Caporetto cit., p. 40 I ).


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Si colpisca chi dimostra cattiva volontà, chi è assolutamente non idoneo alle funzioni del proprio grado; ma non s'intervenga subito così duramente contro chi erra, o per inesperienza o per un'iniziativa lodevole fatalmente non coronata dal successo o per altri motivi che possono preseatarsi non gravi ad un più benevolo esame. Non si rinunci, in una parola, alla grande attribuzione del superiore, ch'è quella d'istruire, animare, guidare e correggere i propri dipendenti; e si ricorra alla grave punizione in questione solo quando o la gravità del fatto o l'avere inutilmente adoperato tutti gli altri mezzi, consiglino l'allontanamento dell' ufficiale( ... )»'.

In quel periodo a Londra non si nascondevano i timori. Lloyd George - riferiva Imperiali - «dubitava molto che noi si possa resistere a lungo sulla linea del Piave. Ciò nullamente per deficienza morale delle trnppe, ma per la sempre crescente pressione nemica, specie in fatto di artiglieria» 2• 1n Francia, dopo la caduta del governo Painlevé (13 novembre 1917), Clemenceau aveva formato il nuovo gabinetto, tenendo per sé il nùnistero della Guerra. Non vacillava: voleva vincere la guerra 3 • Dal 17 al 26 novembre la battaglia assunse un altro profilo. Sugli Altipiani e sul Piave si verificarono attacchi sporadici, tutti respinti, salvo la perdita di alcuni punti di trascurabile importanza; ma sul Grappa, perdute le posiziorù avanzate, la lotta si fece durissima e senza tregua, assorbendo le prime disponibilità di truppe del Comando Supremo: il XXVII corpo (già messo a disposizione della 4a armata il 10 novembre) ed il VI corpo, appena riordinato. La sera del 26 la difesa del Grappa era ridotta alla linea di cresta però, benché investita a più riprese, non dava cenni di cedimento e conservava ancora M. Pertica, M. Tomba ed il Monfenera. «Il nemico - scrisse il generale Krafft - impiegava sul Grappa il meglio delle sue truppe, mentre i combattimenti degli ultimi giorni dimostravano che la vicinanza di francesi e inglesi doveva avergli infuso coraggio [!]. I prigionieri si dimostravano pieni di fiducia, apparivano diversi da quelli dei primi giorni ed erano convinti che la linea del Piave e del Grappa avrebbe sicuramente tenuto» 4. 11 Comando della 14• armata tedesca non si nascondeva che gli scontri più recenti avevano consentito risultati modesti e del tutto sproporzionati alle notevoli perdite. Però due fattori consigliavano di perseverare nello sforzo. Occorreva concluderla prima che le condizioni climatiche, già invernali, lo rendessero proibitivo e prima che gli aiuti anglo-francesi si facessero sentire concretamen-

'L. SEGATO, L'Italia nella guerra mondiale cit., lV, p. 11. ' Imperiali a Sonnino in data 17.ll.1917, D.D.I., 5• serie, IX, doc. 460. ' «Sappiamo - scrisse Hindeoburg - che al di là della fronte combattente occidentale esiste un governo avente odio e sentimento di vendetta personale, e stimolante continuamente l'intima essen7.,a del s uo popolo. Quando la voce di Clemenceau risuona, sembra ch' essa dica: "Guai al vincitore di un tempo"» (PAUL VON HlNDENBURG, Dalla mia vita, CCSM, Roma 1925, p. 214). ., K. KRAFFf VON DELLMENSINGEN, Lo sfondamento dell'Isonzo cii., p. 330.


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,_...___._....,...,1cm. Le fasi della battaglia d'arresto.


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te. Per converso si anunetteva che per l'appunto negli ultimi combattimenti sul Grappa contro, il Col della Berretta, M. Pertica, M. Tomba ed il Monfenera, gli italiani. «avevano dimostrato un recupero di. energia tale che un rinnovato tentativo austro-tedesco avrebbe ottenuto probabilità di. successo soltanto a condizione di un'accurata preparazione» vigorosamente sostenuta dall'tuiiglieria 1• Il 23 novembre il generale Krnuss manifestò all'Imperatore Carlo scarsa fiducia nel1' azione del suo grnppo e così «si arrestò, a breve distanza dal proprio obiettivo, l'offensiva ricca di speranze e il M. Grappa divenne il Monte Sacro degli italiani, i quali, a buon diritto, possono andar fieri di averlo vittoriosamente difeso contro gli sforzi delle nùgliori truppe austro-ungariche e dei loro camerati tedeschi» 2 • E il generale von Below, che invece il 24 insisté per un' energica ripresa del!' offensiva, cingue giorni più tardi. si rassegnò a proporre all'arciduca Eugenio la temporanea sospensione: l'attacco del gruppo Conrad appariva chiaramente esaurito e l'azione del gruppo Krauss sul Grappa non presentava, ad onta della sua forza, prospettive di sviluppo favorevoli alla rapida occupazione del massiccio; quindi sarebbe stato necessario agi.re frontalmente sul Piave con il rischi.o di. trovarsi addosso un contrattacco in massa di una diecina di divisioni anglo-francesi già sul Brenta, nella delicata fase del forzamento del fiume. In sintesi: troppo rischio, scarsa probabilita di successo, elevate probabilità di regalare una facile vittoria agli avversaria. Meglio sospendere l'offensiva, lasciando le ulteriori decisioni ai Comandi Supremi.

* * * Il termine della prima fase della battaglia coincise con il superamento della crisi italiana. Il 29 novembre sul tratto di fronte dal Brenta a M. Tomba - inizialmente presidiato dal solo XVIII corpo, e poi dal XXVII e dal XVIII - si era inserito anche il VI corpo, e la 4° armata poteva contare sul XXV corpo come riserva. E il 29 gli alleati 3 - dopo undici giorni di trattative e discussioni dovute

' Ibidem, p. 336. E lo Schwa1te scrisse: «Pareva quasi impossibile che un esercito il quale usciva da una immane catastrofe come quella di Caporetto avesse potuto riprendersi così rapidamente» (Der grosse Krieg, V, p. 451).

'K. KRAFFT VON DELLMENS.INGEN, Lo sfondamento dell'Isonzo cit., p. 356. Secondo la stampa francese fattore determinante del successo era costituito dall'entrata in campo delle divisioni francesi e il Matin. sosteneva che la resistenza sul Piave era dovuta ei consigli di Foch (Bonin a Sonnino in data 2.12.1917, D.D.I., 5• serie, IX, doc. 612). ' Dal 29 novembre al 3 dicembre ebbe luogo una conferenza interalleata a Parigi allo scopo di prendere accordi precisi per l'unificazione degli sforzi finanziario, degli armamenti, della produzione bellica, dei rifornimenti, dei trasporti marittimi e del blocco nei confronti degli Imperi Centrali. Appena arrivò a Parigi, Sonnino fu infonuato dal nostro ambasciatore Bonin che al Quai D'Orsay gli avevano inavvertitamente fatto leggere un telegramma dal!' ambasciatore francese a Roma, Barrère, il quale, constatato il successo della nostra resistenza al Piave, suggeriva l'intervento quanto prima possibile delle tnippe francesi affinché si vedesse che anch'esse avevano contribuito all'arresto dell 'offensiva austro-tedesca (L. ALDROVANDI MARESCOTn, Guerra diplomatica cit.}.


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al fermo proposito di 1imanere autonomi I rispetto al Comando Supremo e di prendere ai loro ordini di visioni italiane- decisero di entrare in linea con il XXXI corpo francese su tre divisio1ù nel settore M. Tomba - Monfenera, in sostituzione del nostro IX corpo; e con il XIV corpo britannico su tre divisioni sul Montello, in sostituzione del nostro I corpo 2 • Così il 4 dicembre tutta l'ala destra della 4• annata veniva riti.rata ed il Comando Supremo poteva contare su una propria riserva generale (I, XXVIII e XXX corpo). Tenuto conto di tali modifiche nello schieramento, il 6 dicembre Diaz impartì nuove direttive. La situazione italiana era venuta migliorando ogni giorno di più grazie alla ferma resistenza opposta dalle truppe: le riserve erano riorganizzate, unità alleate erano entrate in linea, lo schieramento avanzato era stato rinforzalo con reparti freschi, le posiziotù difensive erano prossime a costituire un ben coordinato sistema difensivo nell'intera zona fra il Piave ed il Bacchiglione, come misura cautelativa era in corso di approntamento la linea Mincio-Adige. Tutto ciò consentiva, pur ritenendo non lontana una ripresa offensiva nemica, di modificare in parte le precedenti disposizio1ù diramate in più 1iprese durante il mese di novembre. Perciò: salda resistenza sull'intera fronte ora occupata, contendendo in ogni caso il nemico nel minimo spazio, a mezzo di pronti contrattacchi e di immediato arginamento con predisposti compartimenti stagni; reiterazione, in caso di necessità, della resistenza sulle due successive posizioni Vicenza-Cittadella-Treviso e Bacchiglione-Padova-Fusina, da considerare non più semplici Linee di arresto temporaneo bensì linee di difesa ad oltranza; ulteriore arretramento sulla linea Mincio-Adige da ritenere unicamente «ipotesi precauzionale più lontana». La difesa della linea Vicenza-Cittadella-Treviso sarebbe stata attivata tempestivamente dalla riserva generale (2" armata e riserve alleate) 3 • Sulle unità alleate conviene spendere quale parola di carattere generale. li loro arrivo nel Veneto non suscitò impressione favorevole né nell'esercito né nella popolazione. Passato il primo momento di gratitudine, non piacque l'atteggiamento frequentemente altezzoso e di ostentata sicurezza. Non piacque che rimanessero nelle retrovie mentre sul Piave e sugli Altipiani gli italiani si battevano disperatamente. Non piacque il non mascherato intento di esercitare un'azione di controllo e di comando anche sulle divisioni italiane·'. Non piacque la pa-

' L' impiego delle truppe francesi, inquadrate nella 10• armata (gen. Duchene) era regolato dal generale Fayolle, comandante in capo delle forze francesi in Italia; quello delle tmppc britanniche, inquadrate nel Xl corpo (gcn. Plumer), era regolato diJeltarnente dal generale Robertson. 'Per l'esattezza furono gli inglesi a rompere una situazione che stava facendosi equivoca. Sentendosi a disagio, il 24 si offrirono di entrare in linea sul Montello. 11 nostro Comando Supremo non cedelte, peraltro, sull'accettazione del Comando unico italiano sul nostro fronte anche da parte francese e il 29 l'accordo fu raggiunto. ' USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo l bis, doc. 39 e 40. ' M. CAR.ACCIOLO, L'Italia e i suoi alleati cit., pp. 182-186.


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lese scarsa stima per il nostro esercito 1• E non piacque constatare il miglior trattamento di cui fruivano ufficiali e soldati francesi ed inglesi. Per converso, è doveroso riconoscere che ben presto la presenza alleata fornì innegabili stimoli positivi. Non soltanto consentì una certa tranquillità psicologica, evidente essendo il conto che della presenza francese e britannica doveva tenere il nemico; ma provocò lodevole spirito di emulazione, indusse a utili ripensamenti critici nei confronti di norme dottrinali, addestrati ve ed' impiego, suggerì la necessità di un sostegno psicologico del combattente, spinse governo e Comando Supremo ad assumere provvedimenti a favore dei soldati e delle loro famiglie. Anche sul piano interno il momento più difficile sembrava superato. La formazione del governo da parte di Orlando era stata tutt'altro che esente da polemiche. Molti interventisti lo indicavano come uno dei responsabili del disastro nazionale a causa della sua irresoluta e permissiva azione, quando «neutralisti e disfattisti d'ogni specie e gradazione contribuivano direttamente o indirettamente, in buona o mala fede, a diffondere nei combattenti il senso dell'inanità del loro sacrificio» 2• Immediatamente dopo Caporetto da ogni parte si individuarono precise responsabilità politiche alla sconfitta. Indipendentemente dalla ricerca delle colpe principali e secondarie sulle quali ritorneremo, il rovescio così inatteso ed improvviso detenninò conseguenze di rilievo nella pubblica opinione, la quale, se in generale e per alcuni mesi ancora continuò a mostrarsi contraria alla guerra (non tanto per ragioni ideologiche quanto perché stanca e da essa ferita), ciò nondimeno sentì maggiormente la solidarietà per i combattenti ed il fatto che la battaglia sul Piave intendesse impedire al nemico di invadere l'Italia colpì la sensibilità delle masse, già toccate dall'invio in linea dei «ragazzi del '99». La classe operaia era sempre apparsa ostile o quanto meno indifferente alla gue1Ta, ma adesso le maestranze di molti stabilimenti si affrettarono a votare ordini del giorno di incitamento alla difesa del Piave: «( ... ) ad onta degli errori e delle colpe del governo - scrisse Rinaldo Rigola, segretario generale della C.G.L. nel bollettino ciel 1° novembre - il popolo italiano deve raccogliersi in un supremo sforzo di volontà per respingere l'assalitore. Possiamo filosofeggiare finché vogliamo sulla stoltezza della guer-

' In dicembre il deputato francese Abel Fcrry venne in Italia su incarico del Parlamento transalpino per indagare sulle cause di Caporetto e sulle condizioni dell'esercito italiano. Nella sua relazione Ferry indicò cause politiche e morali e fonnulò molte critiche ai Comandi ed ai quadri ufficiali italiani. In definitiva, per rimettere in piedi l'esercito occorreva inviare in Italia 200-300 ìstrnttori francesi, mentre altrettanti ufficiali italiani sarebbero andati in Francia ad imparare nell'esercito francese. «Enfait - concluse Ferry - une organisation de celte nature ferait du Général en Chefde l 'armée française le chef indirect de l'armée italienne». Più o meno come la Germania faceva con i suoi alleati (A. FERRY, La guerra vue d'en bas e1 d 'e11 lumt, Paris 1920, cit. in P. MELOGRANI, Storia politica della grande guerra cii., pp. 493-494). 'P. PIER!, L'Italia nella prima guerra mondiale cit., p. 125.


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ra ( ... ) ma quando il nemico calpesta il suolo della Patria, abbiamo un solo dovere, quello di resistergli)) 1• E Treves e Turati scrissero sulla «Critica Sociale)): «li socialismo è dottrina realistica anche nel sentimento ( ... ). E così quando la patria è oppressa, quando il fiolto invasore minaccia di chiudere su di essa, le stesse ire contro gli uomini e gli eventi che La ridussero a tale sembrano passare in seconda linea, per lasciar campeggiare nell'anima soltanto l'atroce dolore ( ... ) e la ferma volontà di combattere, di resistere sino all'estremo( ... )» ' .

Il 14 novembre il Parlamento si riunì in una sola seduta in un'atmosfera di generale convinto proposito di resistere senza cedimenti. Alla Camera parlarono Orlando, e poi i suoi predecessori, Boselli, Salandra ed anche Giolitti. Il tono fu univoco: nessuna recriminazione per il momento, massima concordia per affrontare il pericolo. Ed il 12 dicembre, alla Camera, Orlando pronunciò lentamente queste parole: «La nostra situazione militare, dell a quale nella tornata del 14 novembre dichiarai al Parlamento tutta la minacciosa gravità, è venuta in questo mese considerevolmente migliorando: e se, ciò malgrado, essa rimane tunora grave, il confronto dimostra quale formidabile-periodo abbiamo traversato. Non occorre diffondersi qui in analisi d.i carattere militaJC; ma bene si può proclamare che l'aver tenuto la linea del Piave in una così straordinaria concorrenza di avversità costituisce un fatto in cui incalcolabile è il valore militare e morale. E il nostro cuore si commuove e si esalta pensando che il meglio e l'onore è dei figli nostri, dei soldati d'Italia( ... )».

Anche il nemico aveva dovuto riconoscere il mutamento della situazione complessiva. Nell' ambito delle decisioni prese dagli Imperi Centrali, la seconda fase della battaglia vide la 14• armata limitarsi a nùgliorare le posizioni occupate in montagna, mirando però a dare al difensore l'impressione che l'offensiva continuasse, ed il gruppo Conrad riprese i combattimenti sull'altopiano dei Sette Comuni. Fu una serie di combattimenti intervallati e localizzati ma accaniti, che si concluderanno il 30 dicembre con la riconquista da pmte francese di un tratto della dorsale di M. Tomba rimasto in mano austriaca. Sul basso Piave gli attacclù deUa 1• lsonzo-Armee non ottennero risultati ed il 27 dicembre dovette abbandonare l'ansa di Zenson, occupata il 12 novembre. 1114 dicembre l'O.H.L. aveva intanto stabilito che L'esercito tedesco non avrebbe partecipato ad altre operazioni in Italia, dovendo preparare la battaglia decisiva sul fronte occidentale a primavera. Da quella data ebbe inizio il ritiro delle divisioni tedesche dall'Italia. U 3 gennaio 1918 il maresciallo Conrad scrisse alla moglie:

' A. MALATESTA, / socialisti italiani durante la grande guerra, Mondadori, Milano 1926, p. 160. ' F. TURATI e C. ToEvros, Proletariato e resisrenza in «Critica Sociale» del 1-15 novembre 1917.


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«Per la seconda volta la nostra offensiva si è arrestata. La prima volta le mie truppe furono aJrestate nel 19 I6 ai margini degli Altipiani; la seconda volta sono arrestate al Piave ed al Grappa quando erano prossime a raccogliere i frutti della vittoria. Per due volte abbiamo trovato contro di noi degli uomini ,ti ferro ed un Capo di ferro . Se Dio vuole quest'ultimo è stato eliminato dal Comando ital iano. Siamo riusciti a rovesciare Cadorna: questo è forse il maggiore vantaggio conseguito da tutta l'operazione. Se mi si fosse dato ascolto nella preparazione, o se subito dopo la rottura del fronte di Flitsch [Plezzo l e Tolmino mi avessero mandato le forze che io insistentemente clùedevo, noi saremmo giunti al Po e Milano sarebbe nelle nostre mani( ...). Certo abbiamo ottenuto un lungo respiro, ma non possiamo più contare sulla vittoria decisiva in Italia. Cadorna, come un vecchio leone, prima di cadere ci ha sferrato una tremenda zampata sul Piave. Egli ha saputo rianimare gli Italiani e noi abbiamo assistito ad un fenomeno che ha del miracolo. Gli Italiani si sono riavuti con una rapidità insospettata e combattono con grande valore. Quanto ai Franco-Inglesi sul fronte italiano, essi non ci danno nessun fastidio. Tutto ci fa pensarn ch'cssi in Italia siano venuti a riposare e non a combattere. È solo contro gli Italiani che abbiamo finora, combattuto>>'.

A fine anno la situazione italiana veniva così giudicata dai rappresentanti nlilitm·i pennanenti (generali Wilson, Weygand e Cadorna) presso il Consiglio Supremo di guerra di Versailles: «!. La situazione sembrn attualmente ristabilita sulla fron te italiana. L'esercito italiano ha dato prova nelle ultime sei settimane di seria capacità di resistenza che deve permettergli, col concorso delle forze alleate, di tenere la linea Piave-Grappa-Altipiani ( . ..)».

Naturalmente non sembrava in quelle circostanze né possibile né utile prendere una qualunque iniziativa offensiva, quindi l'atteggiamento da assumere si traduceva in una difensiva di assoluto affidamento, completando e rafforzando le posizioni occupate «in modo da permettere la difesa palmo a palmo». Il che non doveva tuttavia impedire il prosieguo dei lavori a titolo precauzionale già in atto a tergo del Bacchiglione e dietro la linea Mincio-Po. I rinforzi alleati in Italia risultavano adeguati alle presumibili esigenze. In conclusione, la riorganizzazione e r addestramento dell'esercito italiano dovevano proseguire con la maggiore alacrità, sia per essere in grado di fronteggiare ogni possibile eventualità, sia «per facilitare il ritiro di tutte o parte delle truppe anglo-francesi in Italia nell'avvenire più prossimo» i. A buon motivo il maresciallo Giardino pose in risalto che, senza intendere sminuire la portata ed il significato del concorso alleato, <<l'esercito italiano, dopo un rovescio immane, ha saputo fem1are e rovesciare la fortuna da solo» 3 •

'In L. SEG,xrO, L'Italia nella guerra mondiale cit., lii, p. 297. ' Nota collettiva n. 5 in data 24.12.1917 dei Rappresentanti militari pemianenti, USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 1 bis, <loc. 43. ·' G. GIARDINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit., I, p. 217.


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5. CONS IDER/\ZlONJ SULLA CAMPAGN A DEL 1917 Tirando le somme, il 1917 si chiudeva con un risul tato più vantaggioso per l' Intesa che per gli Imperi Centrali. Sembrerebbe paradossale, considerando che questi ultimi - grazie piincialente alla imprevedibile rivoluzione rnssa - avevano eliminato anche la Russia e la Romania dalla guerra, respinto sanguinosamente i tremendi attacchi francesi ed inglesi, sconquassato gli italiani. Eppure si trovavano con l'acqua alla gola: non ignoravano che nel 19 J8 l'entrata in campo dell'esercito americano si sarebbe manifestata con tutta la sua potenza decisiva; dovevano ammettere che la guerra dei sommergibili, sferrata con tali immediati ~uccessi da essere ritenuta l'arma vincente, aveva iniziato la parabola discendente; sapevano che il blocco dell'Intesa, arricchito dagli Stati Uniti, avrebbe serrato in una morsa sempre più stringente Germania ed Austria-Ungheria. Da parte dell' Intesa, tuttavia, molti più errori erano stati compiuti. Lloyd George fu lapidario: «per ciò che riguarda il bilancio della lotta, la storia del 1917 segna nostre vittorie sul mare, nonostante l'ammiragliato, mentre i nostri generali hanno fatto del loro meglio per perdere la guerra sulla terraferma, nonostante il Governo» '. Il programma militare per il 1917 stabilito nella conferenza di Chantilly era stato impostato sui criteri seguiti negli anni precedenti: la guerra doveva essere decisa sul fronte occidentale contro l'avversa.rio principale. Era quasi un dogma. Così i francesi prima (offensiva Nivelle in ap1ile, Verdun a fine agosto e Malmaison a fine Ottobre) e gli inglesi poi (AITas nell'aprile, Fiandre in giugno ed agosto-novembre, e Cambrai in novembre) si gettarono in attacchi micidiali privi di risultati strategici diretti. Lloyd George scrisse: «Debbo dire per la giustizia che i nùlitari inglesi non erano molto favorevoli al piano francese e che i francesi furono sulle prime affatto indifferenti e poi sprezzanti del pi ano inglese. Haig non credeva nella strategia di Nivelle, e Pétain e Foch misero in ridicolo la "marcia delle anitre" ideata da Haig nelle Fiandre. E gli uni e gli altri furono buoni giudici del piano altrui, non del proprio( .. .). Né l'uno né l'altro dei due piani aveva la possibilità di riuscire, per ragioni che io bo esposto prima che fossero effettuati. Ma gli Stati Maggiori alleati, tenacemente fedeli ai loro rispettivi progetti, si rifiutarono con fiera tenacia di prendere anche solo in considerazione qualsiasi alternativa. L' ltalia fu lasciata con mezzi che parvero inadeguati anche ad osservatori civili ( ... ). Ogni fronte ove c'era la possibilità di ottenere una vittoria che avrebbe minacciato seriamente gli Imperi Centrali era trattato come una "mostra secondaria"» ' .

Ed ogni esercito, l'uno dopo l'altro, fu costretto ad arrestare la propria offensiva per puro e semplice esaurimento. Le differenze di vedute fra i comandanti, che per motivi di egoismo nazionale o di rigidità mentale stesso offrirono spunto per attriti personali, rivestirono parte non trascurabile in parecchi insuc-

1 D. LLOYD Gr:ORGE, Memorie di guerra cit., U, p. 484. ' Ibidem, IT, pp. 485-486.


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cessi. Abbiamo visto il subitaneo irrigidimento alleato nei confronti di Cadoma quando questi si trovò costretto a passare alla difensiva; peraltro anche tra inglesi e francesi non mancarono i contrasti. Foch e Pétain si resero conto di quel che significassero sul piano strategico l'impossibilità, di contare sull'apporto russo e la non immediata disponibilità dell'alleato americano, ma «Haig e Robertson - sempre a detta di Lloyd George - andarono avanti come se non ci fosse stata alcuna alterazione nei fatti fondamentali che determinano la strategia. Ciò che importava, per loro, era che i generali francesi avevano avuto l'occasione di riportare una grande vittoria e l'avevano perduta, e che i generali inglesi non dovevano essere ora privati della loro occasione. Volevano approfittarne e mostrare ai francesi come farne uso» 1• Se l'Italia fu lasciata sola e l'idea di un' offensiva alleata dal fronte italiano contro l'Austria-Ungheria venne rifiutata, ciò dipese «dall'egoismo e dall'ostinazione militare. La rotta di Caporetto fu la inevitabile conseguenza di così gretta, strategia» 2• Tuttavia, nel prosieguo delle sue memorie Lloyd George volle attribuire il rovescio di Caporetto anche allo «strano rifiuto» del Comando supremo italiano di raccogliere l'invito ad una offensiva interalleata dal fronte italiano dopo che, a fine agosto 1917, l'offensiva britannica di Passchendaele si arenò. Un' offensiva combinata avrebbe anticipato ed evitato la 12• battaglia dell'Isonzo 3 • Argomentazione piuttosto strana, perché in contrasto con la citazione sopra 1iportata e perché i Comandi in capo francese ed inglese non si sognavano neppure di partecipare con truppe, nella misura valutata occorrente da Cadoma, alla auspicata operazione interalleata autunnale. Lloyd George rilevò anche, con 1innovato disappunto, che «i capi dell' esercito e del governo italiano durante la guerra non soltanto non fecero mai pressioni per un'offensiva interalleata sul loro fronte, ma accolsero sempre in modo glaciale o assolutamente scoraggiante ogni proposta fatta da uomini di Stato inglesi o francesi o da generali francesi perché fosse organizzato un attacco generale in Italia contro le arnutte austriache con trnppe rinforzate da contingenti britannici e francesi e coll'aiuto delle grosse artiglierie che soltanto la Gran Bretagna e la Francia potevano fornire per una simile offensiva. Ciò non è facilmente spiegabile» 4. A parte l'esagerazione del «modo glaciale o assolutamente scoraggiante» con cui la sola proposta, concreta, proprio di Lloyd George, era stata formulata nella conferenza di Roma, bisogna, riconoscere che né Cacloma né, men che me-

' Ibidem, II, p. 487. 'Ibidem, li, p. 408. Il generale Mangin, nel criticare la stasi francese dopo l 'offensiva Nivelle, espresse la convinzione che se fosse stata prolungata l' offensiva, si sarebbe evitata forse lo sfacelo russo e con certezza la disfatta di Caporetto, abbreviando la durata della guerra di un anno (CHARLES M ANGTN, Commentjìni la guerre, Plon, Paris pp. 161-162). 3 D . L L<)YD GEORGE, Memorie dì guerra cit., III, p. 26 .

., Ibidem.


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no, il governo italiano mostrarono mai un reale interesse per un'operazione interalleata. Ma bisogna del paii convenire sulla notoria contrarietà dei comandanti in capo alleati ad un'iniziativa del genere, dovuta in parte ai diversi egoistici interessi militari, ma essenzialmente al dogma che la decisione della guerra doveva aver luogo sul fronte occidentale. Veniamo a noi. Nel quadro della direttiva generale di una condotta aggressiva concordata nella 4• conferenza di Chantilly, il nostro Comando Supremo operò un grosso sforzo sull' Isonzo seguendo i canoni della strategia in auge del procedere per passi successivi, strategia senza dubbio c1iticabile, che tuttavia aveva portato il nostro avversario diretto al limite di rottura. La 1o• battaglia, con l'ampliamento della testa di ponte di Plava, creò lepremesse per la prosecuzione dell'offensiva sul medio Isonzo, però fallì l'obiettivo dell'Hermada, sul Carso. La 11• battaglia, programmata sin dalla sospensione della precedente, ottenne con la Bainsizza un risultato veramente degno di nota, traducentesi in nuove ed allettanti premesse per la preventivata 12" battaglia alla quale avrebbero concorso artiglierie alleate. Purtroppo le grandi ambizioni perseguite andarono in parte deluse. E dopo Caporetto essa venne posta, in certo senso, sotto accusa. Si disse che la vittoria era stata ancora una volta incompleta, che la mancata conquista di ottime posizioni ai fini della sicurezza del fronte aveva pregiudicato l'assetto della difesa, che il logorìo delle truppe aveva aggravato il già scosso morale, che infine il pur manchevole successo si era dimostrato controproducente, avendo indotto la Germania ad intervenire in aiuto dell' alleata per l'esecuzione di un massiccio sforzo in Italia. Che, insomma, all'origine di Caporetto fosse la Bainsizza. C'è del vero in queste osservazioni. D' ,ùtra parte l' 11• battaglia si era imposta non soltanto per le ragioni strategiche connesse con gli accordi di Chantilly, ma altresì per motivi di natura tattica; non era possibile che rimanessero isolati il Kuk ed il Vodice, conquistati con la 10" battaglia. 11 punto era che la battaglia della Bainsizza lasciò il dispositivo italiano sbilanciato in avanti, con evidenti scompensi. Il disimpegno da una sì difficile situazione avrebbe richiesto, in alternativa, un accordo con gli alleati per un'offensiva da portare avanti sino alla vittoria finale (e gli alleati rifiutarono) oppure la scelta della difensiva (e questo Cadoma fece). Naturalmente, decidere di attenersi alla difensiva non bastava. Occorreva stabilire dove sostenere la battaglia che informazioni sempre più precise davano per sicma e prossima. Cadorna reputò forti e solide le posizioni occupate e adeguate agli sviluppi della lotta le tre linee di difesa approntate. Taluno ha voluto eccepire che, nell'obiettivo rapporto di stallo in cui le contrapposte forze si trovavano, e dovendo necessmiamente gli italiani attendere la primavera del 1918 per una forte e determinata offensiva, meglio sarebbe stato se Cadorna avesse optato per un ripiegamento su posizioni più idonee tatticamente e più valide economicamente ai faù di una battaglia difensiva. Questo però


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avrebbe comportato l'arretramento della linea di resistenza ad oltranza sulla destra dell'Isonzo e di conseguenza l'abbandono, sia pure in quella che oggi chiameremmo zona di frenaggio, di ciò che era costato centinaia di migliaia dj perdite umane, gravi sofferenze ed immense quantità di munizioni. Quale mai comandante si sarebbe rassegnato a cedere la testa di ponte di Plava, e il M. Nero e la Bainsizza appena conquistata? Con quale animo si sarebbe spiegato alle truppe che i loro sacrifici erano stati, quanto meno, non indispensabili? E l'opinione pubblica, il Parlamento come avrebbero reagito? Senza parlare, poi, di portarsi sulla linea prevista nei piani operativi d'anteguerra, vale a dire del ridotto carnico-Tagliamento. E, men che meno, sulla linea Grappa-Piave. 11 tutto, si badi bene, sulla base di una previsione che, dopo tutto, poteva anche non verificarsi, almeno a quanto risultava sino a metà ottobre. È appena, il caso di osservare che un raffronto con il ripiegamento tedesco sulla linea Hindenburg, di fronte all'offensiva Nivelle, non si pone in alcun modo, troppe essendo le differenze cli situazione strategica, di ambiente e di risvolti politici. Nella conferenza di Cambrai (7 settembre 1916) gb Imperi Centrali avevano dovuto registrare il fallimento dell'offensiva su Verdun ed accogliere il principio di una 1igorosa difensiva strategica; quindi il ripiegamento su posizioni molto arretrate rientrava in tale concezione. Non solo, ma, per svuotare cli ogni significato il grande attacco franco-britannico i tedeschi avevano fatto letteralmente terra brnciata di un territorio francese. E non sru·à male sottolineare che, sulle prime, il ripiegamento suscitò ampia riprovazione in Germania. Solamente quando conobbero Je ripercussioni in Francia del fallimento dell'offensiva Nivelle, i tedeschi si resero conto di aver ottenuto un successo tanto rilevante quanto ben poco atteso. E gli Imperi Centrali si resero anche conto del peso che l'opinione pubblica - un'opinione pubblica stanca della guerra e scossa dai crescenti sacrifici di cui non scorgeva la fine - era in grado di esercitare sulle vicende belliche. IL constatare l'estrema delicatezza del fronte interno occidentale e l'intensità assunta dai movimenti per la pace a qualunque prezzo, stimolò gli Imperi Centrali a sviluppare la propaganda pacifista rivolta verso le popolazioni dell'Intesa, già stabilita a Cambrai. La nostra Rei.azione ufficiale ha indicato in un sintetico riepilogo degli avvenimenti il «filo conduttore» della battaglia cli Caporetto: la convinzione di poter concludere in breve tempo e vittoriosamente la guerra indusse Ja 4• conferenza di Chantill y a decidere un'offensiva primaverile pressoché contemporanea su tutti i fronti; la prima delle offensive, sferrata sul fronte occidentale dal generale Nivelle, naufragò penosamente provocando una grave crisi in Francia; di conseguenza, l'esercito francese si vide costretto ad un lungo periodo di relativa inattività operativa e gli alleati dell'Intesa si trovarono con un aggravio strategico; eia prute italiana l'offensiva primaverile si tradusse nella 10• battaglia dell' Isonzo, che consentì l'ampliamento della testa di ponte di Plava, senza però otte-


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nere un successo completo; la stasi in occidente permise maggiore libertà d'azione alla Germania, la quale spostò l'attenzione sul fronte orientale argjnando l'offensiva Kerenskij e poi impegnandosi a fondo per provocare il crollo dell' esercito russo; la situazione creatasi ad oriente rese disponibili numerose forze austro-ungariche per il fronte italiano; la prospettiva di un nuovo sforzo nemico dagli Altipianj suggerì al Comando Supremo di riprendere l'azione controffensiva sospesa nel tardo autunno 1916 e di elirrunare, con la battaglia dell' Ortigara, la grave rrunaccia incombente sulla pianura veneta; l'insoddisfacente conclusione della lotta sull'Ortigara e la preoccupazione di una ripresa offensiva austriaca spinsero il Comando Supremo a sviluppare i risultati positivi consegwti con la 10~battaglia; la 11• battaglia dell' Isonzo consentì la conquista della Bainsizza e, pur 11011 raggiungendo gli obiettivi che avrebbero dato al Comando Supremo tranquillità difensiva sul fronte giuUo, inflisse un pesantissimo logoramento all'avversario; la situazione austriaca, riconosciuta allarmante, determinò la decisione tedesca di allontanare la pressione italiana sull'alleato con un'offensiva congiunta da Plezzo al mare 1• L' autunno fu caratterizzato da tre eventi bellici: la disfatta di Caporetto, la ritirata, al Piave, la vittoriosa battaglia d'arresto sulla linea Grappa-Piave. Il nesso fra i due prirru momenti - rottura del fronte e ritirata - è indubbiamente assai stretto, in quanto le modalità della ritirata derivarono da come si verificò e fu affrontata la rottura. Riguardo al terzo i pareri sono discordi. Il maresciallo Caviglia reputò un errore «artistico, tecruco e politico» legare la battaglia sulla linea del Piave - come anche i predecessori di Cadoma chiamarono la linea Altopiano dei Sette Comuni-M. Grappa-Piave - con la 12" battaglia a causa di sostanziali differenze di situazione sul piano strategico, tattico e morale 1 • Secondo altre e più convincenti interpretazioni, i tre eventi debbono essere visti come parti di un unico ciclo operativo, data la caratteristica cli una stretta continuità nello spazio e nel tempo. Ed anche volendo evitare che, separandoli, si finisse, come è accaduto, per accentuare ogru interesse e recriminazione sulla rottura del fronte a Tolmino-Plezzo, lasciando all'arresto sul Piave un'attenzione a metà fra il distratto ed il retorico. Laddove la vittoria riportata sulla linea Grappa-Piave costituì non solamente la conclusione dell'offensiva austro-tedesca, ma addirittura il fallimento del programma degli Imperi Centrali dj raggiungere la fine vittoriosa dell'intero conflitto, fatta apparire prossima dalla rivoluzione bolscevica (7 novembre) e dall'armistizio di Brest-Litovsk (15 dicembre) 3 • Tutto sommato, entrambe le tesi poggiano su elementi probanti. L' arresto sul Piave chlude obiettivamente il drammatico rovescio di Caporetto e, altrettanto obiettivamente, costituisce il primo passo verso la rivincita.

' USSME, Relavone 11jfìciale cii., IV, tomo 3, pp. 34-35. ' E. CAVIGLIA, Le tre bauaglie del Piave cit., pp. 34-35. ' USSME, Refo,ione 1ifficiale cit., lV, tomo 3, pp. 633-634.


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È, comunque, indubbio che la crisi di Caporetto fu tanto impressionante e di tale portata da assumere davvero «una propria fisionomia in tutta la storia d'Italia e non solo in quella particolare della prima gue1Ta mondiale» '. Sull'argomento esiste una cosl copiosa bibliografia che consente di limitarci a qualche osservazione sui principali aspetti dei tre momenti 2 •

* * * Sin dall'inizio prese piede il dilenuna: la sconfitta era dipesa dal cedimento morale delle truppe, derivante dal disfattismo o dal logorio bellico, oppure da errori di impostazione e di condotta della battaglia? È evidente che la risposta chiamava direttamente in causa responsabilità civili o militari. A metà dicembre 1917 la Camera si riunì in alcune sedute parlamentari segrete per discutere sulla gestione della guerra fino allora. In quella circostanza il ministro della Guerra, generale Alfieri, riversò ogni responsabilità del disastro su Cadorna, suscitando come era prevedibile un coro di approvazioni e di applausi. Ma il socialista Sandulli, appaitenente all'ala massimalista del partito arroccata su posizioni estremiste, provocò un tumulto proponendo di deferire ali' Alta Corte di giustizia non soltanto i generali Cadorna e Porro, ma altresì tutti i membri dei tre gabinetti cli guerra! E Modigliani sostenne La necessità di indurre gli alleati alla pace o cli aprire per nostro conto trattative separate, facendo balenare, in caso contrario, la possibilità di una rivoluzione a breve scadenzal. Il cedimento morale dovuto al disfattismo, come causa prima del rovescio, fu immediatamente sostenuto da Capello e da Cadorna. Quest'ultimo ancora il 30 settembre 1926, un paio d'anni prima di morire, ne scrisse al Generale Krafft: <<( .••) il morale del nostro esercito non era alto nell' ottobre 1917. Esso stava attraversando una crisi simile a quella che ha colpito altri grandi eserciti, crisi spiegabilissima con la lunghezza della guerra. Disgrazia volle che esso fosse anaccato proprio nel periodo più acuto della crisi. Se l'esercito francese fosse stato attaccato nel maggio-giugno 1917, quando più imperversavano gli antimilitaristi, cosa sarebbe accaduto?».

Spiegò che «lo spirito delle trnppe era stato avvelenato da un'infame propaganda contro la guerra» e criticò duramente il ministro degli Interni, Orlando, per aver «lasciato libero corso alla propaganda disfattista, senza porvi alcun freno» •. Ribadì poi questa persuasione sottolineando che «del resto, dopo Caporetto, l'intuito del Paese subito comprese che la causa principale del disastro era

' USSME, Relazione ufficiale cit., IV, tomo 3, p. 25. ' A parte la documentazione ufficiale e le memorie dei principali protagonisti, si è tenuto conto in special modo degli studi e dei saggi di Lucio Ceva, Francesco Fadini, Emilio Faldclla, Novello Papafava, Piero Pieri, Giorgio Rochat, Mario Silvestri. 'Cfr. Camera dei Deputati, Commissioni segrete sulla condo11a della guerra, Roma 1967. ' K. KRAFFT VON DELLMENStGEN, Lo sfondamento dell 'Isonzo cit., pp. 390-393.


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dovuta ai disfattisti, come ne aveva avuto la certezza il Comando Supremo, anche prima di Caporetto» 1• Che una propaganda del genere fosse esistita è innegabile, così come era manifesta l'intenzione dei socialisti di provocare la fine della guerra sull'esempio bolscevico. Basti ricordare l'accusa rivolta dallo stesso Orlando al grnppo socialista della Camera i I 22 dicembre 1917: « Voi che vi lamentate della rea.done ( ... ) potete contestare che nei vostri ambienti, e non in ambienti di gregari, ma di persone autorizzate a parlare in nome delle correnti socialiste, s.i vanta la sconfitta di Caporetto come una conseguenza della propaganda socialista?». Ed anche l' amnùss.ione fatta il 6 settembre 1919 da Modigliani al la Camera: «Mentiremmo se negassimo di aver avuto la sensazione precisa che dai discorsi nostri una ripercussione doveva venire». In effetti, tutte le testimonianze sono concordi nel raccontare che la massa degli sbandati «inneggiava alla pace, convinta di aver validamente cooperato per il suo avvento» e gridando «Viva Treves! Viva Modigliani! Viva il Papa!» 2• Ma si può serenamente riconoscere che l'influenza del disfattismo, pur rivelandosi palese e forte in molte parti del paese; pur dirigendosi verso il fronte con precisa intenzione, utilizzando i complementi ed i ritorni dalle licenze; pur trovando qualche rispondenza nelle retrovie, perdeva vigore avvicinandosi alla prima Linea e scompariva, del tutto in trincea 3 • Che le idee sovversive non avessero messo radici nelle grandi unità di prima schiera è dimostrato dal fatto che la rottura del fronte ebbe luogo soltanto nel settore di sinistra della 2• armata, tenuto dal 1V e dal XXVU corpo e poi coinvolse il VII corpo. Tutti gli altri corpi in prima schiera si ritirarono in buon ordine e combattendo. In nessun documento figura un cenno di inquietudine sulla saldezza psicologica delle truppe, anzi Capello vantò ripetutamente la nostra superiorità, mo-

' L. CADORNA, Pagine polemiche cit., p. 47. Anche all'estero veniva attribuita molta responsabilità all'azione disfattista. In Francia, la debolezza del nostro governo in proposito aveva fortemente nuoc iuto al prestigio italiano, soprattutto per «il dubbio che noi . di proposito deliberato, non vogliamo agire con tutte le nostre forze conlro ogni manifestazione nemica» (N. BRANCACCIO, In Francia durante la guerra cit., p. I67). 'Cfr. E. FALDELI..A, La grande guerra cit., li, p. 327. Giovanni J\mendola ricordò che: «L'impressione che questa fuga ha lasciato nei testimoni è assai strana; come di gente che torna infine a. casa da un lungo lavoro, ridendo e chiaccherando, o di. uno sciopero, festaiolo e bonario. Non c'è fra gli sbandati nessun segno di racinorosità o di rivolta; anzi mettono la coda fra le gambe appena vengono affrontati; una persona autorevole può fermarne mille» (0. M AI.AGODl, Conversa,ioni della guerra cit., I, p. 184). L'anno seguente, dopo il rovescio subito in marzo dalla 5' armata britannica., sulla Somme. Lloyd Georgc fu colpito da quello che vide andando al Quartier Generale del maresciallo Haig: «Non lungi da Beauvais passai in mezzo ai resti di alcuni battaglioni disfatti della 5' annata, che riposavano in certi vi llaggi dietro alla Linea. Non ho mai visto una moltitud.ine di uomini più allegra. Non c'era in essi nessU11a traccia di scoraggiamento o di disperazione( ... ). Non mi sarei mai immaginato così un esercito sconfino» (D. Lt.OYD GrmRGE, Memorie di guerra cit., lll, pp. 216-217). ' E. CAVIGI.IA, La dodicesima battaglia cit., p. 36.


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rale sugli austriaci. Del resto, qualora il Comando Supremo avesse nutrito fondati sospetti in proposito, avrebbe ceno assunto opportune misure, anche di natura operativa, il che non avvenne. Rimane il logoramento in senso lato, causato dagli eventi bellici. Esisteva ed era percepibile, pur se estremamente composito. Le truppe, ufficiali compresi, erano stanche; avevano creduto in una, guerra breve e non ne vedevano la fine; ogni grande offensiva era stata annunciata come decisiva ed invece si eraridotta appena a qualche passo in avanti; i turni di riposo e le licenze erano insufficienti a riprendersi dalla tensione nervosa e dai disagi degradanti della trincea '. I fanti, in particolar modo, erano «costretti» a vedere nuovi vuoti nelle proprie file dopo ogni assalto ed a chiedersi quando sarebbe venuta la loro volta. Il contrasto fra il pericolo ed i patimenti del fronte e la vita tranquilla, spensierata e spesso anche ben remunerata degli «imboscati» di vario tipo era troppo marcato per non suscitare legittime recriminazioni, comprensibili invidie e motivato malcontento, anche perché poco o nulla veniva fatto per creare nel paese un clima di calore e di riconoscenza a favore di coloro che 1ischlavano la vita al fronte. Inoltre il governo del personale lasciava a desiderare: dalla severità, spesso obiettivamente eccessiva, del regime disciplinare al siluramenti di ufficiali di grado elevato (217 generali e 250 colonnelli in due anni e mezzo di guen-a) non sempre giustificati dalle circostanze; ai troppo frequenti cambi di comandanti 2; alla falcidie delle migliori unità reiteratamente impiegate in sanguinose azioni impegnative solo perché offrenti maggiori garanzie di tenuta; alle ricompense al valore concesse alla truppe con inaccettabili grettezza e lentezza burocratiche. E, sempre con specifico 1iguardo alla fanteria, occorre accennare all'arrivo al fronte di un gran numero di giovani ufficiali di complemento, usciti da corsi troppo brevi e scarsamente selettivi, la cui affrettata preparazione provocava inevitabilmente seri inconvenienti sia nell'esercizio del comando (insufficiente autorevolezza o eccessivo rigore), sia nel campo tattico (carenza di iniziativa, gravi manchevolezze nel servizio di sicurezza, difficoltà a guidare gli uomini in campo aperto) 1 .

'Ancora il lO marzo 1918 il Comando Supremo dovette richiamare l'attenzione dei comandanù d'annata sulla delicatissima questione delle Licenze, in quanto risultava che «molto notevole è nittora il numero dei militari, i quali, pur avendo prcs1ato servizio in zona di guerra da ol1re un anno», non avevano fruito di alcuna licenza ordinaria; ed altre.sì numerosi apparivano i casi di militari cui era stata negata la licenza speciale pur trovandosi nelle condi zioni di fruirne (USS ME, Relazione ufficiale cit. , V, tomo I bis, doc. 28). 1 A titolo esemplificativo, la Commissione d' inchiesta appurò che dal maggio 19 15 all' ottobre 1917 il 90• reggimento fanteria cambiò ben 17 comandanti, di cui 5 esonerati per insufficienza e 5 trasferiti; ed il 144° reggimento fanteria ebbe 13 comandanti, di cui 4 esonerati e 2 trasferiti (Commissione d'inchiesta, Dall'lsonzo al Piove cit., Il, p. 332). ' E. F ALDELLA, La grande guerra c it., IJ, pp. 289-336. Sulla questione degli ufficiali, ed in particolare di quelli di complemento, cfr. M. MAZZEITI, Noie all'inlerpre1azjone in1erve111is1a del/,a gra11de guerra, in USSME. Memorie storiche militari 1979, Roma 1980, pp. 95-104.


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Rendere responsabile di questa sin1azione Cadorna, come fece la Commissione d'inchiesta, è assurdo ed ingiusto perché le stesse accuse potevano essere rivolte a quasi tutti i capi militari dell'Intesa. Certamente Cadorna aveva della disciplina e de l soldato una concezione troppo 1igida ed astratta, che lo portava ad una sorta di incomprensione se non di trascuratezza per le esigenze spirituali del soldato e gli faceva ritenere normale il chiedere continui sacrifici. Non pensava minimamente di creare «una predisposizione ad assumere il sottile veleno del disfattismo» ed in assoluta buona fede rivolgeva al governo e ad Orlando ogni rimprovero per la troppa indulgenza. Orlando, dal canto suo, non possedeva la risolutezza e l'energia per imporsi alle varie tendenze politiche e preferiva lasciar sbollire in chiacchere e manifestazioni le agitazioni dei socialisti, giolittiani e cle11icali, consapevole, fra l'altro, che se nel 1915 la guerra non era stata voluta dalla maggioranza degli italiani, nel 1917 meno ancora era accettata 1• Per concludere, ci sembra ben collocato il commento di Vittorio Emanuele lll a Peschiera, che l'importanza attribuita alla propaganda disfattista fosse eccessiva e che più avessero pesato le sofferenze della guerra in quel momento cruciale. Nitti fu drastico. ll 16 dicembre manifestò l'opinione che Cadorna, avesse solamente «un decimo» delle responsabilità; un altro decimo era da attribuire ai d isfattisti, ed i restanti otto decimi toccavano all'intera nazione, in quanto costituivano «l'effetto della mancata educazione civile del popolo» 2• Però esiste un altro fattore di natura psicologica e differente sia dal disfattista sia dal logorìo bellico. Un'alta percentuale dei soldati era organicamente disarmata (servizi vari dei reparti, delle grandi unità e delle Intendenze), talché secondo i dati della Commissione d'inchiesta più della metà dei 350 mila sbandati appartenevano, appunto, a queste categorie. Non conosciamo quale motivo abbia consigliato od imposto (?) la decisione di privare quei soldati dell' annamento individuale, e probabilmente anche di un elementare addestramento, però stupisce che nessuno si sia reso conto dell'assurdità, del soldato disarmato; cli quanto facilmente costui disarmato potesse sentirsi non combattente alla lettera; di quanto poco si ritenesse obbligato a restare sotto il fuoco nemico ed a rimanere nei ranghi in caso di sfondamento del fronte. Tanto, che poteva, fare lui, soldato disarmato ed indifeso? Ecl altresì è strano che nessuno avvertisse il sordo invidioso rancore che il soldato armato, che quindi doveva battersi e rischiare la vita, non poteva fare a meno di nutrire nei confronti del soldato disa,mato che l' istituzione esonerava dal combattimento pur mantenendolo sotto le ann i. Per meglio configurare l' aspetto psicologico della questione, ricordiamo che allorché nel 1916 mandammo in Francia, su richiesta del governo di Parigi, in

' P. PIERI, L'Italia nella prima guerra mondiale cii. pp. 126- 127. ' O. M ALAGODI, Conversazioni della guerra cit., 1, p. 236. Sull' argomen to cfr. P. M acx1RANI, Storia politica della gronde guerra cii., pp. 465-475, e RENZO DE FELICE, Mussolini il rivol111.io11ario, Einaudi, Torino 1965, pp. 362-380.


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crisi di effettivi, 60 mila soldati in qualità di truppe ausiliarie per lavori difensivi e di retrovia, l'opinione pubblica franc.e se si mostrò a questi ostilissima, vedendo che gli Italiani, «mentre tenevano le divisioni francesi in linea sulla propria fronte, mandavano i soldati loro a lavorare la terra invece di battersi» 1•

* * *

li nostro Comando Supremo fu sorpreso in campo strategico, ha asserito il Bencivenga. La minaccia di una massiccia offensiva ad opera degli Imperi Centrali fu invero la costante preoccupazione di Cadorna per buona parte del 1917. La temette in primavera e ne parlò infatti con Foch. In giugno emanò direttive che tenevano conto di un ventilato attacco nemico su due fronti e stabili che da Tolmino al mare la linea di resistenza ad oltranza si alloggiasse alla riva destra dell' Isonzo ed al Vallone di Doberdò, e che sulla sinistra si mantenessero il Kuk, il Vodice e la piazza di Gorizia quali posizioni avanzate. Complessivamente, dal Rombon al mare venivano impiegate 23 divisioni, il che consentiva al Comando Supremo di tenere in riserva generale almeno 25 divisioni, dislocate in parte nella pianura veneta ed in parte in quella friulana. Stranamente, e nonostante il pericolo corso l'anno precedente, Cadoma non pensò di far rimettere in efficienza le opere di difesa del Tagliamento, e cioè le tre teste di ponte di Ragogna, Codroipo e Latisana, nonché le posizioni delle colline di San Daniele fronte ad est ed a sud. Già il 18 settembre, quando decise di passare alla difensiva, era troppo tardi: lo stesso ordine di provvedere al rafforzamento delle difese sulla fronte giulìa non si rivelò eseguibile che in parte. La battaglia della Bainsizza naturalmente modificò lo schieramento, spingendolo ben oltre l'Isonzo. La mancata conquista di solidi punti di appoggio ed il persistente timore di un'iniziativa, austriaca dal Trentino, portava, come conseguenza, alla necessità di almeno una vera e forte riserva, generale, dislocata in accettabili rapporti di distanza, dal settore in cui si sapeva sarebbe stata sferrata l'offensiva nemica. Il calcolo che in ventiquattr'ore le unità in riserva potessero giungere ovunque ripeteva l'e1TOre del 1916, in quanto erano errati i presupposti di base: da un lato la durata della resistenza, nella cui valutazione era stata trascurata la possibilità di uno sfondamento in poche ore e di profonde rapide penetrazioni, e dall'altro la velocità degli spostamenti, che ignorava la difficoltà di movimento dei reparti su itinerari già largamente impegnati daJle attività di rifornimento e sgombero della 2• armata durante la battaglia. Secondo Bencivenga la riserva del Comando Supremo (quattro divisioni a Palmanova e tre a Cormons-Cividale) sarebbe dovuta ammontare ad almeno una ventina di divisioni per ovviare alle conseguenze strategiche dell'eventuale rovescio della 2• armata, e precisamente:

' M. CARACCIOLO,L'Italia e i suoi alleati cit., p. 222. Cfr. E. CAVIGLIA, Le Ire battaglie del Piave cit., pp. 52-53.


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- 8-9 divisioni sulla linea Torre-Versa, linea intermedia fra l' Isonzo ed il Tagliamento, per raccogliere l'esercito battuto sull' Isonzo e coprire Udine, Cervignano e Palmanova; 9 divisioni per le tre forti teste di ponte cli M. Ragogna (Comino e Pinzano), Codroipo e Latisana; - 3-4 divisioni per l'allacciamento della 2" annata con le Truppe Carnia, una volta caduto il Rombon e creatasi a nord cli Montemaggiore, estrema sinistra della 2• a11nata, una breccia; - 2-3 divisioni per mantenere l'occupazione della Carnia dopo il ripiegamento sul Tagliamento oppure per sostenere il ripiegamento delle Truppe Carnia sulle Prealpi Carniche 1• Nàturalmente si può obiettare che il Comando Supremo non disponeva di tmppe qualitativamente e quantitativamente idonee a costituire questa riserva, ma occorre comunque riconoscere che il problema strategico del «caso peggiore» non venne neppure posto sul tappeto. Il successo della Bainsizza e l'evidente scossa impressa al dispositivo austriaco convinsero Cadoma dell'alta improbabilità di un importante sforzo avversario contro l'Italia nell'autunno-inverno 1917. Come sappiamo, avvertl l'imminenza di un'azione austriaca, ma la considerò intesa semplicemente a riconquistare le posizion.i perdute. Reputando - lo scrisse lui - amp iamente sufficienti a contrastarla le forze della 2• annata e robustissime le posizioni, non ravvisò alcun motivo di apprensione. Per giunta, sino al mattino del 24 ottobre la sua attenzione rimase fissa al Carso. Non ritenne perciò necessario progettare una manovra d'arresto sull'intero fronte isontino e sul tratto di saldatura con la Carnia, e neppure procedere ad una modifica del1' articolazione delle forze fra il Rombon e Gorizia e ad una rettifica della linea di resistenza ad oltranza. Del pari, non si preoccupò di costituire una forte massa di manovra del Comando Supremo, di impartire direttive all'Intendenza Generale e, in definitiva, di prendere in seria considerazione una rottura del fronte. Non deve allora meravigliare il fatto che il successo tattico della 14" armata tedesca, una volta diventato strategico, non abbia incontrato contromisure adeguate. Il discorso cambia, e molto, per quanto attiene il Comando 2a armata. Capello aveva sempre tenuto lo sguardo su Tollnino; aveva subito considerate serie le notizie relative all'offensiva nemica in preparazione; si era indotto, sia pure frettolosamente, a provvedimenti per migliorare la difesa a Plezzo. Eppure fu colto in pieno difetto. Sicuramente esercitarono una pesante influenza negativa tre circostanze: la mancanza di chiarezza (più che un vero e proprio dissidio, come è stato detto) nei rapporti tra Cadoma e Capello, la sottovalutazione dello sforzo avversario da parte di Capello e, molto importante, la malattia di questi che lo debilitò sino a costringerlo al ritiro .

1

E. B ENCJVENOA, La sorpresa strategica di Caporetto cii., pp. 68-69.


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Il generale Faldella concluse il suo esame degli ordini impartiti dal comandante della 2° armata, osservando che non venne dato corso alle direttive di Cadoma del 10 ottobre di tenere poche forze avanzate, di far gravitare il grosso del XXVII corpo d ' armata sulla destra dell' Isonzo, di lasciare sulla Bainsìzza soltanto i medi calibri più mobili e, in linea generale, di non aver disposto un conveniente arretramento delle artiglierie in armonia con le direttive del Comando Supremo del 18 settembre. «insomma: gli ordini del generale Cadoma del 18 settembre e del 10 ottobre non furono presi sul serio». Detto così è fuorviante perché sorvola sulla troppo tardiva messa a punto di Cadorna; comunque effettivamente «Tutti, Capello, Badoglio, Cavaciocchi videro abbastanza chiaro già verso il 10 ottobre negli intendimenti del nemico (attacco dalla testa di ponte di Tolmino per conquistare la testata del Judrio e verso nord; attacco dalla conca cli Plezzo), ma non se ne preoccuparono abbastanza, cosicché, quando il 21 -22 ottobre ebbero conferma di questi intendimenti rimasero stupiti e smarriti» 1• Si può concordare in pieno. Il generale Krafft commentò che gli Alti Comandi italiani si accinsero aJla battaglia difensiva «con scarsa percezione dell'imminente pericolo, muovendo da punti di vista different i e senza un ' unica volontà. Evidentemente nessuno, nel1' esercito italiano, ebbe l'intuizione dell' importanza di controbattere l'attacco ancor prima, se possibile, che esso potesse scattare» 2 • A dire il vero l' intuizione non mancò; fu «l'unica volontà» che difettò. Tutto questo, ad ogni modo, può spiegare come non venisse avvertita compiutamente la reale debolezza dell'ala sinistra della 2• armata. Il IV corpo occupava, dal Rombon all'Isonzo, un saliente o ltre Isonzo, con il vertice alla dorsale de l M. Nero. Le posizioni centrali erano così forti naturalmente che su di esse la linea avanzata si confondeva con quella di resistenza ad oltranza. Ma i lati del saliente, verso la conca di Plezzo e la piana di Tolrnino, presentavano un'evidente fragilità aggravata dalla forza ridotta del corpo d'armata, dovuta alle non ripianate perdite dell'agosto ed anche alla sottrazione di personale a favore cli altri corpi 3 • In poche parole, non sarebbe dovuto sfuggire il pericolo che uno sforzo uscente da Tolmino e risalente l'Isonzo avvolgesse l'intero corpo d'armata.

' E. FAI.DELLA, La grande guerra cit., Il, pp. 85-87. Capello ammise che «mancava in allora ogni preoccupazione di profonde offensive nemiche e si presupponeva di poter contenere in breve spazio e profondità un eventuale attacco (...)» (L. C,w1::tLO, Note di guerra cit., II, p. I 50). ' K. KRAFFr VON DELLMENSINGEN, Lo sfondamento dell'Isonzo ciL, p. 378. ' Secondo il generale Cavaciocchi «pochi giorni prima dell'attacco nemico, il IV corpo d'armata dovette cedere ad a!t.ri corpi dieci comandanti di battaglione cd un numero proporzionato di quadri inferiori, quando già l'organico era in deficienza e gli ufficiali superiori erano ridotti in ogni reggimento a due soltanto, compreso il comandante!». Sempre a ridosso dell'offensiva, arrivò l'ordine di trasferire alla brigata Sassari tutti i militari sardi esistenti nei reggimenti del IV corpo, cosicché un reggimento della brigata Etna perse i colpo 400 uomini (P. ASTENGO, La relazione Cavaciocchi su Caporetto cit., p. 63).


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Il XXVII corpo risultava diviso in due parti dal fiume. Ognuna di esse, separatamente, rischiava di assumere un'importanza decisiva: sulla Bainsizza per una difesa delle posizioni o per un contrattacco settoriale; sulla destra dell ' Isonzo per fronteggiare un attacco frontale dalla testa di ponte di Tolmino contro il cruciale nodo dello Jeza oppure una penetrazione lungo la riva destra dell'Isonzo, risalendolo verso Caporetto o scendendo verso Dobar. È evidente la difficoltà di esercitare un'efficace azione di comando su entrambe le parti durante il combattimento, in special modo ove si consideri la possibilità che lo sviluppo de ll'attacco frontale obbligasse lo difesa ad indietreggiare sulla linea d ' armata. Quanto al VIl corpo, il quale, dopo contrastanti ipotesi d 'impiego, il 23 aveva ricevuto il compito di difendere la linea d' annata dallo Jeza al Matajur, a mezzogiorno' del 24 non era ancora in condizioni di schierarsi sulle posizioni indicategli. Ma questi tre corpi d 'annata, sui quali stava per abbattersi la violentissima offensiva della 14• armata tedesca, non incontravano soltanto difficoltà oggettive di difesa. I veri elementi di debolezza risiedevano delle saldature fra di essi, in particolare fra il IV ed il XXVII, complicate da una definizione dei settori assai discutibile sotto il profilo tattico. Lo svolgimento della battaglia si incaricherà subito di mostrare quanto sarebbe stato opportuno creare l'unità di comando a sinistra (IV, aliquota del XXVII corpo sulla destra Isonzo e VIl corpo), al centro (resto del X XVII corpo, XXIV e II corpo sulla Bainsizza) ed a destra (VI e Vlll corpo a Gorizia). Quanto meno sulla sinistra, - dove Capello era convinto del1' imminente mto - occorreva, prendere tempeslivi provvedimenti dall'unità cli comando (che in extremis venne affidata al generale Montuori) ad un incremento di forze, alla dislocazione di adeguate riserve. Nemmeno i1 Comando S upremo, però, appare esente da critica in proposito. Cadoma si recò in zona nell'imminenza dell'offensiva, approvò sostanzialmente le misure adottate, giudicò le posizioni così solide da obbligare l' attacco ad una battuta d'arresto sufficientemente lunga da consentire l'intervento delle riserve in tempo utile, minimizzò dunque il pericolo e trascurò del lutto - sul piano concreto - l'ipotesi che l'urto iniziale avversario staccasse il IV corpo dal Rombon creando una vistosa soluzione di continuità difensiva fra la. Zona Carnia e la 2• armata. Qualche parola va spesa, per il «caso Badoglio». Lo sfondamento dalle conseguenze per noi più gravi si verificò, per l'appunto, in corrispondenza dell'ala sinistra del X XV li corpo 1• Al generale Badoglio venne anzitutto imputalo di non aver gravitato con la m aggior parte delle sue forze sulla destra dell'Isonzo secondo le direttive di Cadorna; ma, aJ riguardo, occo1Te ammettere che egli si attenne agli ordini di Ca-

' Sull'argomento cfr. N. PAPAFAVA, D" Caporeuo a Viuorio Veneto c it., p. 71-122; P. P1ERJ, La prima guerra mondi(l/e cit., pp. 141- 150; P. PIER! e G. ROCIIAT, Badoglio cit. , cnp. Vili.


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pello. Se mai, sarebbe da disapprovare il fatto di non aver portato sulla destra, Isonzo un altro Comando di divisione per alleggerire il compito e le difficoltà della 19" divisione. Il secondo appunto conceme l'insufficiente sbarramento della stretta di Poni contro una penetrazione risalente da Tolmino verso Caporetto. Non sembra che Badoglio abbia creduto molto alla probabilità di una azione del genere, «mossa grandiosa, audacissima, e che solo una serie di circostanze, per noi disgraziatissime, fece riuscire» 1• Le sue preoccupazioni erano rivolte ad un sicuro attacco frontale contro il nodo dello Jeza ed il passo Zagradan, che avrebbe consentito all'avversario di scendere nelle valli Rieca e Judrio. E tale ipotesi era realmente ,tanto pericolosa che all'ultimo momento Capello ivi impiegò il VTI corpo in difesa statica. In fondo, anche questa carenza, meno determinante di quanto si pensi, rientra nel cattivo assetto difensivo fra Plezzo e Tolrnino e deriva in buona misura dall'errore compiuto dal Comando 2• armata di modificare, alla vigilia dell'offensiva, il limite di settore fra IV e XXVII corpo; il che, peraltro, non giustifica l 'incompleta esecuzione di un ordine superiore. Il terzo capo d'accusa riguarda il «sil.enzio» delle artiglierie del XXVII corpo, ed è quello che ha suscitato maggiori recriminazioni perché riguardava l'impiego di ben 561 bocche da, fuoco 2 • Nella regolamentazione in vigore l'impiego dell 'rutiglieria nella d ifensiva trovava scarsissimo sviluppo e le azioni di fuoco previste in tale evenienz.a si riducevano semplicemente alla interdizione, di competenza delle batterie di medio e grosso calibro, da iniziare non appena cominciato il tiro di distruzione nenùco; ed allo sbarramento, eseguito dai pezzi da campagna, pesanti campali a tiro rapido e bombarde, da scatenare al momento dell'assalto nemico sulle trincee di partenza e davanti alla posizione di resistenza. Le due predette azioni di fuoco - esercitate contro la fanteria attaccante, fun zione «principalissima e vitale» per l'artiglieria - configuravano la contropreparazione. li tiro di controbatteria non doveva essere consjderato come mezzo principale di lotta, né aver carattere di continuità. Dmante la lunga preparazione svolta dall'artiglieria avversaria era invalsa l'abitudine di osservare il silenzio al duplice scopo di non svelare le nostre batterie e di evitare uno spreco di punizioni 3• Un piccolo passo avanti in tema di contropreparazione fu compiuto dal generale Piacentini, allora comandante della 2a armata, alla fine del 1916. Autoriz-

' F. PIERI, La prima guerra mondiale cit., p. 148. Una delle circostanze io ques tione fu data dai fitti banchi di nebbia che impedirono di vedere alcunché nel fondovalle, talché la 12' divisione s lesiana poté sfilare inavvertita davanti alte nostre linee. Questa coltre di nebbia non consentl agli osservatori di artiglieria di chiamare al fuoco le numerose batterie schierate sulle pendici montane (Cfr. K . K RAFFT voN Dc.1.1, MENSTNGFlN, lo sfondamenro dell'Isonzo cit., p. 89). 1 A difesa dell'operato di Badoglio cfr. N. PAl'AFAVA, Da Caporetto a Vittorio Veneto cit., pp. L00-118; per la critica cfr., tra gli altri E. FALDELLA, La grande guerra cit., Il, pp. 60-83). 1 USSME. Relazione ufficiale cit., LV, torno 3 bis, doc. 78,79 e 80.


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zato senza molta convinzione da Cadoma, che aveva idee diverse, dispose: «Al tiro di preparazione nemica dovrà rispondere un tiro di contropreparazione con effetti distruttori e tenificanti, come si trnttasse di offensiva, così da paralizzare Comando e truppe nemiche e togliere ad essi o quanto meno scemare la loro capacità offensiva» 1• Rimase però una direttiva senza seguito. Capello il 18 settembre 1917 tornò sulla questione e prescrisse la contropreparazione, peraltro ridotta a «pochi tiri contro fanterie nemiche bene individuate, con i calibri più convenienti e ben diretti ed osservati ed a qualche concentramento da eseguire di tanto in tanto, quando si abbia ragione di ritenere che il nemico stia per iniziare l'attacco delle fanterie» 2 • Poca cosa, in sostanza, e con tali limitazioni da giudicarla non attuabile di notte ed in presenza di nebbia. Il significato di «risposta», od anche genericamente di «anticipo», alla preparazione di rut iglieria nemica con lo scopo di disorganizzare l'incipiente attacco venne in effetti indicato dal Comando Supremo nelle direttive del 18 ottobre, ma piuttosto tardi perché fosse recepito correttamente da tutti i Comandi di artiglieria, anche perché non risulta che in una questione così importante dal punto di vista tecnico-operativo si sia fatto sentire il Comandante generale d'artiglieria. Al riguardo occorre aggiungere un particolare di natura tecnica. Stante la pressoché ininterrotta serie di battaglie offensive, la nostra rutiglieria era abituata a far fuoco con il tiro inquadrato e preparato sul nemico in posizione. L'intervento contro un nemico all'attacco, cioè su un obiettivo in movimento, era mal conosciuto. Abbiamo, dunque, visto i due ordini circa l' entrata in azione dell'artiglieria, quello di Montuori la sera del 22 e quello di Capello il pomeriggio del 23. Probabilmente influì la notoria consapevolezza che Capello nutriva fiducia soltanto nello sbarramento, comunque è singolare che nessuno abbia chiesto chiarimenti. Sta di fatto che con le «Direttive per l' azione>> impartite il 22 ottobre il generale Badoglio avvertì che al tiro a gas nemico sarebbe seguito «un tiro di distruzione di non lunga durata». Ciò premesso, precisò al comandante dell'artiglieria ciel corpo d'armata che «ali' inizio di questo tiro di distruzione le nostre batterie di grosso e medio calibro dovranno intervenire battendo le trincee ed i luoghi di raccolta del nemico». Seguì la disposizione per i comandanti di divisione: «le artiglierie divisionali dovranno in questo periodo non fare fuoco, salvo occasioni singolarmente propizie. Esse invece dovranno intervenire fulmineamente non appena segnalata l'avanzata della fanteria nenùche» 3• Si dovrebbe dedurre che l'ordine di aprire il fuoco fosse demandato ai comandanti interessati, ma, a quanto risulta, Badoglio decise di impartire personalmente l'ordine per meglio cogliere il momento giusto, forse perché intese fondare la difesa

' L. Sr.OATO, L'Italia nella guerra mondiale c it., IV, p. 209. 'N. PAPAFAVA, Da Caporello a Vittorio Veneto cii., pp. 106- 107. 'USSME, Relazione ufficiale cit., l V. tomo 3, p. 148.


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nel suo settore sul tiro di sbarramento e forse anche per economizzare le munizioni di med.io calibro 1 • In questo concetto, quando alle 2,30 il colonnello Cannoniere, comandante dell'artiglieria del XXYil corpo, chiese l'autorizzazione per aprire il fuoco con i calibri maggiori, ricevette un rifiuto in attesa del tiro di distruzione. Fu un rifiuto che si rivelò pernicioso . L'intenuzione delle linee telefoniche completò il quadro. L'azione cli comando di Badoglio, una volta conosciute meglio le vicende dei giorni 24 e 25 ottobre, fu molto discussa, specie in considerazione dell'alto incarico conferitogli nel nuovo Comando Supremo. Nel giugno 1918 il generale Badoglio doveva esser posto a disposizione della Commissione d'inchiesta come ~à fatto per Cadoma, richiamato appunto per questo da Versailles -, ma Diaz si oppose: non soltanto Badoglio, in qualità di sottocapo di Stato Maggiore dell'Esercito, si trovava in una posizione troppo in vista anche di fronte agli alleati, ma effettivamente era «la mente» del Comando Supremo. Orlando, allora, mandò «un suo fedele anlico [ll sen. ParatoreJ all'on. Raimondo perfennare la specifica inchiesta onde evitare un evidente danno che sarebbe derivato alla situazione militare del momento». L' on . Raimondo, membro influente della Commissione, «acconsenù a sopprimere tredici pagine che suonavano come molto severe per Badoglio» 2 • È chiaro che il generai.e Badoglio non anelò esente eia col.pc, come ciel resto più o meno tutti i comandanti dell'ala sinistra del la 2• armata, ma, visto come fu affrontata la battaglia sul piano strategico e tattico, sembra difficile che errori od arbitrarie iniziative di qualche comandante di corpo o di divisione possano, singolarmente presi, esser considerati causa detenninante della disfatta. Al generale K.rafft sembrò che «il Capello non avesse alcuna idea della battaglia difensiva moderna» l . Il Krafft ebbe occasione di partecipare a Piero Pieri il suo pensiero sulla rottura del fronte a Plezzo-To lmino. Non attribuì soverchia impo1tanza alla debole difesa della stretta di Foni e nemmeno all'intempestivo abbandono della stretta di Saga, non nel tardivo e confuso afflusso di rinforzi e di riserve né nella mancata reazione del l'artiglieria italiana. Per quanto c iascuno di tali fattori abbia esercitato un certo peso negativo, nessuno a suo avviso rivestì un' influenza decisiva. Motivo del giudizio: l' attacco tedesco fu così rapido e travolgente e così esteso da impedire tempestive contromisure da parte italiana. In un suo studio sul1' impiego clell' artiglieria, il generale austriaco Riedl concordò: anche se non aves-

'Cfr. VANNA V,\ILATI, Badoglio rispo11de, Riu.oli, Milano 1958, p. 59. Un critico francese, il colo1mello Conquet. ritctllle a~solutamen1e "giudiziosa" la decisione di Badoglio, analoga alle abitudini di Pétain a Verdun (F. F AOINI, Caporeuo dalla parte del vincitore cit., p. 273). ' USSME, Relazione ufJìciale cit. , IV, torno 3, p. 21 , nota 2 . Cfr. L. CAD0RNA, Lettere fami gliari cit., p. 274. La Cornrnisione d'inchiesta, presieduta dal generale Caueva, cm stata istituita con R.D. 12 gennaio 1918. ' P. P 11i RI , La prima guerra 111011diClle cit., p. 228.


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sero concorso le numerose circostanze favorevoli, la preparazione cli artiglierie. della 14• am1ata, fu cli tale violenza che lo sfondamento del fronte sarebbe stato conseguito lo stesso 1• I due provvedimenti che veramente avrebbero messo in difficoltà l'offensiva sarebbero stati il deliberato tempestivo arretramento delle difese avanzate per irrigidire la resistenza sulla linea d'annata ed una potente contropreparazione d'artiglieria all'inizio del bombardamento a gas. Gli errori italiani- senza i quali secondo Picri, si sarebbe evitato il disastro e lasciato all'avversario un semplice successo tattico - agevolarono il successo ma non lo determinarono. Sempre a detta cli Krafft, la 14• armata avrebbe incontrato un compito più arduo, impiegato maggior tempo e subìto perdite severe, ma sarebbe riuscita ugualmente a realizzare la rottura. Il peso risolutivo fu esercitato dalla bontà del piano strategico, dalla perfetta organizzazione dell'offensiva e dall 'efficienza delle truppe della 14• annata. In altri termini, l'attaccante fu più bravo 2•

* * * In merito al fattore «nemico», merita soffermarsi su quella che è stata presentata come la carta vincente, vale a dire i nuovi procedimenti tattici tedeschi, la cui prima applicazione si era vista a Riga. La novità si basava, in realtà, essenzialmente sulla massima cura nell'applicazione dei principi della sorpresa e della massa. Per il primo, la forza d'attacco doveva esser concentrata molto lontano (anche oltre cento chilometri) dal settore d'impiego; il successivo avvicinamento era da effettuarsi di notte, rapidamente e quanto più tardi possibile; nessuna comunicazione sull'offensiva al di sotto d i un certo livello di Comando; artiglieria mascherata; tiri di aggiustamento ridotti al minimo. Per il secondo, si trattava di applicare lo sforzo decisivo sul tratto più debole della fronte avversaria e di raccogliere una potentissima artiglieria, riccamente dotata di munizioni, sì da poter eseguire una breve ma violentissima preparazione di fuoco . Secondo la concezione in vigore, una volta ottenuta la breccia, la penetrazione veniva solitamente eseguita in profondità, mentre il corridoio creato dalle ttuppe avanzanti era «foderato» da altre unità per impedire che contrattacchi sui fianchi spezzassero la «lancia» che entrava nel corpo nemico. Seguiva l'ampliamento della breccia e lo sbocco finale in campo aperto.

' Cit. in A. CARIATI, la battaglia del/'011obre 1917 cit., p. 115. ' P. PIER!, la prima guerra mondiale cit., pp. 173- 183. Non bisogna dimenticare che l'atlacco contro il lV corpo si scatenò mentre si trovavano ancora in marcia i rinforzi ad esso assegnati: due brigate, due gruppi alpini e 17 batterie. Secondo il col. Gatti, la <<ribellione morale che covava negli animi » fece sl che le gravi cause militari di varia natura aJJ' origine occasionale della disfalla trasfonna.~sero Caporelto in una sventura nazionale. Sen1..a quello stato d'animo latente la sconfina, si sarebbe probabilmente arrestata alle testate dello Judrio e del Natisone (A. G A·m , Uomini e fo lle di guerra, Mondadori, Milano 1929. p. 217).


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A Riga e Caporetto i tedeschi ricorsero ad una prassi differente: rotta la linea avversaria, la penetrazione, protetta sul davanti, doveva proseguire lateralmente e sviluppare un avvolgimento a più o meno ampio raggio. Questo schema generale fu adattato alle circostanze particolari, cioè all'ambiente naturale (a Riga, terreno di pianura; a Tolmino-Plezzo, terreno montano) ed a quello operativo (a Riga, tre lince dì trincee rnsse a ridosso della Ovina; a Tolmino-Plezzo, due fasce italiane abbastanza profonde appoggiate a posizioni forti). Così a Riga 1'8' armata tedesca, con otto divisio1ù d i fanteria e due dì cavalleria, attaccò su tratto dì cinque chilometri, ad una ventina di chilometri ad 01iente di Riga. La preparazione, svolta da 160 batterie, comprese due ore di tiro prevalentemente a gas e tre ore dì tiro di distruzione e spianò ogni difesa russa. Al sao tcrnùne, tre divisioni tedesche forzarono il fiume e ruppero il fronte incontrando una debolissima resistenza. Poi la penetrazione si volse verso nord-ovest, diretta sul tergo di Riga. Anche questa mossa, che provocò la disordinata ritirata rnssa dalla Ovina e da Riga, non ebbe a superare difficolta di rilievo. Sul piano tattico grande importanza rivestirono i preliminari dell'offensiva. I reparti vennero esercitati con minuziosa cura su terreni simili a quelli sui quali si sarebbero trovati in combattimento; fu dato molto rilievo al coordinamento del movimento dei fucilieri con il fuoco delle armi di accompagnamento e dei lanciafiamme, ed alla stretta cooperazione fanteria-artiglieria per ridurre al minino le inevitabili interruzioni dell'avanzata ed assicurare l'aderenza del fuoco. I risultati risposero a queste attenzioni, anche per l'ottima qualità dei quadri inferiori in genere, sottufficiali compresi. A Tolmino qualcosa cambiò. Secondo il generale Krafft il piano riuscì <<principalmente perché colse gli italiani completamente di sorpresa>>, cosa che non accadde più sul Brenta e sul Grappa, tuttavia attri buì gran peso alle esperienze già «maturate dalle truppe da montagna tedesche durante le tre campagne condotte su terreno montano» 1• Truppe, per inciso, che costituivano «il meglio di cui i Comandi Supremi germanico ed austro-ungarico potevano all'uopo disporre» e che rappresentarono l'altra «importante chiave del successo» 2 • Anche nella scelta degli obiettivi evidentemente si imposero dei correttivi. Sul piano strategico «l' attacco doveva trapassare in un colpo solo l'intero sistema difensivo, rendendo impossibile un'ordinata resistenza nei settori arretrati». Perciò, in considerazione dell'elevata probabilità di non poter impartire ordini tempestivi nel corso dell'offensiva, i Comandi di corpo d'rumata e di divisione ricevettero direttive precise in modo da essere in grado di agire d 'itùziativa 1 . Inoltre, le posizioni di partenza offrivano ampio modo di esaminare bene, da lontano, la zona da attraversare e questo permise di utilizz~rre i giorni 22 e 23

' K.

KRAFFT' VON DELLMENSIOEN,

' Ibidem, pp. 364-365. ' Ibidem, p. 367.

w sfondamento dell'lsonzo ciL, p. 358.


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ottobre per indicare con esattezza ai repa1ti in primo scaglione molti particolari relativi alle azioni delle prime ventiquattro ore, quelle fondamentali. Lo schieramento delle artiglierie fu completato entro il 16 ottobre. A quella data la 14" armata tedesca aveva in posto tutte le 376 batterie dei suoi quattro corpi e le 77 della riserva d'armata. Quanto alla preparazione, i tiri di inquadramento vennero compiuti negli ultimi otto giorni, tranne il 22 ed il 23. Se lo sfondamento a Gorlice era stato caratterizzato da una tale dovizia di pezzi (densità un pezzo ogni IO metri) da far definire quella battaglia come «la battaglia dell'artiglieria», a Tolmino-Plezzo la densità arrivò a un pezzo ogni 4,4 metri, con una disponibilità di 1.500 colpi per ogni pezzo della 14" armata e di 1.000 colpi per ogni pezzo delle due l sonzo-Armee. L' artiglieria dell'Alpenkorps, poi, era superiore a quella di un normale corpo d'armata. Contava, difatti, 53 batterie con 2 18 pezzi e 68 lanciamine '. Sempre ai fini della sorpresa, le formazioni avanzate 2 dovevano lasciare le basi di partenza in tempo utile per trovarsi a ridosso delle lince italiane esattamente al termine del tiro di distruzione (come cercavamo di fare anche noi). E passiamo al la tattica di infiltrazione. Ricordiamo che la battaglia era combattuta in montagna e che i gruppi .Krauss, Stein, Berrer e Scotti erano composti quasi interamente da truppe da montagna, per giunta da divisioni scelte. Ovviamente lo sfruttamento del terreno esigeva un' articolazione delle minori unità in gruppi che consentissero, appunto, l' infiltrazione, abolendo l'avanzata in linea, non permessa dal terreno, e procedendo in fila indiana lungo gli stretti sentieri. «Reparti dotati di questa esperienza-scrisse il generale Kraffl- avevano già chiara l'idea che. anche sull'Isonzo, piccole unità d'assalto abilmente condoue e capaci di operare insieme altrettanto abilmente, sarebbero state le colonne portanti dell'offensiva,>.

Le immagini della tattica di infiltrazione e della fortunosa progressione della 12• divisione slesiana nel fondovalle Isonzo vennero psicologicamaente unite sl da ravvivare il dibattito se nella gue1Ta in montagna sia da seguire il principio dell'attacco per l'alto e per il basso. In realtà, l'audace e brillante avanzata, della divisione slcsiana su Caporetto non fu affatto caratterizzata dalla noncuranza per le minacce laterali, perché inizialmente, durante la rottura delle linee, sui due fianchi agirono rispettivamente l' Alpenkorps e la so• divisione austtiaca. Il primo risaliva Costa Raunza

' A. B0u.,11T1, f rovesci più caratteristici degli eserciti nella g 11erra mondiale 1914-1918, Roma 1936, pp. 450-45 1; cfr. K. KRAFFr VON DELLMENSINGC:N, Lo sjrmdamento del 'Isonzo cit. , p. 397. 'Secondo il quadro di battaglia della 14" armata, i reparti d'assalto disponibili erano i seguenti: un banaglione della divisione Jaeger (unica divisione tedesca ad averne), un baUaglione della 55• divisione austro-ungarica (gruppo Krauss), una compagnia della 50" divisione (gruppo Stcin) ed una della 1• divisione (gnippo Scotti). Inoltre, la 4' divisione e la 13" divisione Sclriitzen (riserva d'armata) avevano ciascuna un battaglione d'assalto con lanciafiamme.


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e Costa Duole ed occupò verso le 14 M. Hlevnik, dominante Foni; la seconda irruppe di colpo fra lo Sleme ed il Mrzili. Successivamente, mentre l'Alpenkorps, occupato il passo Zagradan, procedeva in cresta lungo il Kolovrat, la 12• slesiana si coprì sulla sinistra con tre battaglioni inviati a Luico e con altii due tenuti in 1iserva ad ldersko. E più tardi le truppe slesiane avanzarono nella valle del Natisone soltanto quando, il 26 ottobre, gli austriaci ebbero in mano M. Mia sulla destra ed il Matajur sulla sinistra. Gli ordini diramati dal generale von Below il 4 ottobre erano stati espliciti: «Per ogni operazione offensiva in montagna è fondamentale conquistarne mantenere le linee in alto, onde raggiungere nuovi obiettivi avanzando lungo le creste. Percorsi e deviazioni anche non conosciuti, purché rimangano in quota dovranno essere preferiti al superamento di valli e di gole profonde ( ...). Le valli vengano lasciate libere per consentire la rapida avanzata dei rifornimenti dell'artiglieria trainata e delle formazioni di riserva. Ogni colonna d'alta quota deve poter correre liberamente in avanti e, così facendo, avrà sempre modo di aiutare i vicini che fossero eventualmell1Jlte bloccati, con una conversione alle spalle del nemico» '.

E il generale Krafft commentò: «li grande successo otten uto a Tolmino il 24 ottobre fu il risultato dell'unità d'azione fra differenti fom1azioni: balza soprattutto all'occhio la profonda penetrazione della 12" divisione, eseguita con slancio incomparabile su Caporetto e verso l'imbocco della val Natisone. Ma essa non ha prodotto da sola il successo, come si potrebbe supporre in base all' interpretazione italiana del "miracolo di Caporetto"; solamente la contemporanea conquista dei pilastri del Podklabuc e dello Jeza ha reso possibile la caduta dell'intero sistema difensivo fino al Mataj ur e quindi dell'intero settore di Tolmino» '.

Il generale Krauss, invece, sostenne con assoluta convinzione la priorità del-

1' attacco per fondo valle. Naturalmente non intese escludere l'azione per l'alto, ma la considerò sempre in combinazione con quella in basso, la sola veramente decisiva. Per lui, gli sfondamenti a Plezzo ed a Tolmino costituiscono l'esempio palmare della bontà del suo punto di vista. Com.e replicò Pier.i, egli non si rendeva conto che quanto avvenne nell'alto Isonzo nell'ottobre 1917 si verificò in seguito a «circostanze del tutto eccezionali», che non si ripetono mai due volte. E difatti il Grappa lo dimostrò 3 • Innegabilmente Caporetto fu una battaglia «sbagliata,» da paite nostra. Gli errori di impostazione, le carenze di preparazione, la debolezza organica e di inquadramento di molte unità agevolarono il successo di un'abile e bene attuata manovra di rottura austro-tedesca. In circostanze rese ancor più difficili dalla violenza dell'urto e dall'improvvisa apparizion,e del nemico sui fianchi ed alle spai-

' F. FADIN J, Caporetto dalla parte del vincitore cit., pp. 288-289. K. KRJ\FFTVON DEJ .LMENS INGEN, Lo sfondam.enro dell'Iso11zo cii., p. 371 ' P. P1ERJ, La p rima guerra mondiale cii., pp. 260-261.

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le, le truppe si batterono come poterono: alcune benissimo, altre meno, il che non deve affatto scandalizzare perché rientra nell'ordine naturale delle cose. Più che lo sfondamento, l'azione di fuoco sulle retrovie provocò l'iniziale sbandamento di una massa disarmata, alla quale si accodarono resti di reparti della prima linea. L'imprevista rottura ed il crescente disordine determinarono ed influirono sensibilmente sulla ritirata.

* * * La sera del 24 ottobre Cadorna pensò di fronteggiare lo sfondamento reiterando la resistenza su tre linee imperniate a sinistra su Montemaggiore ed a destra sul Globocak e sul Korada. Più che una resistenza elastica, intendeva in1provv.isare un sistema difensivo dotato di profondità sufficiente per frenare ed ,UTestare la penetrazione austro-tedesca. La concezione presentava, però, due punti deboli. Riteneva possibile che truppe battute su ottime posizioni da tempo sistemate a difesa fossero in grado di opporre una valida resistenza su posizioni non apprestate e su linee eccessivamente estese rispetto agli effettivi disponibili, il che era fuori della realtà. In secondo luogo non si vede quali garanzia potessero fornire i due perni. Il caposaldo di Montemaggiore non era ancora presidiato e mancava di qualsiasi appoggio tattico laterale; perciò, mentre poteva essere tranquillamente ignorato dal nemico, non si trovava nelle condizioni di costituire il pilastro indispensabile per la manovra di contenimento. Quanto al Korada, lo stesso Cadorna dubitava, che reggesse, come ammise francamente il mattino del 25. Il Bencivenga osservò che l'ordine non era che «la risultante del contrasto fra volere e potere: era la conseguenza dello stato d'animo del generale Cadorna in seguito alla sorpresa» 1• Cadorna si rese subito conto dell'immanenza di una gravissima crisi, anzi, per dirla con le sue parole, di un «disastro totale». Corse immediatamente ai ripari ordinando, anche se troppo tardi, la rimessa in efficienza della linea del Tagliamento. Purtroppo nella giornata del 25 il suo pensiero oscillò fra la ritirata al Tagliamento e la resistenza sulla linea Montemaggiore-Korada-Bainsizza. Pur convenendo sulla razionalità della drastica soluzione prospettata da Capello, egli stentava ad accettarla e, dopo un primo consenso, ebbe un ripensamento fatale. È probabile che abbia voluto seguire il criterio di guadagnare tempo - ai fini di una graduale chiarificazione del disegno strategico avversario e, quindi, di una adeguata risposta - piuttosto che frapporre spazio fra le truppe battute ed il nemico incalzante. Comunque, l'idea di scongiurare l'abbandono dell'Isonzo si rivelò un errore, perché basato sulla illusione di riuscire ad arginare la rottura della sinistra della 2• armata. Un'illusione così forte da indurre ad ordinare la resistenza ad oltranza sulla linea degli sbocchi in piano.

' R. B ENCIVENGA, La so,presa strategica di Caporetto cit., p. 95.


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Anche se all'epoca la terminologia militare non eccelleva per precisione e se non potevano sussistere ince1tezze sulla chiara intenzione del Comando Supremo di attuare sul Tagliamento una difesa prolungata a tempo indeterminato, non si comprende come si potesse impartire un ordine così formulato: «( .. .) Questa linea deve essere difesa ad oltranza, fino all'ultimo uomo. Cederla significherebbe aprire le porte all'invasore. Sopra di essa si deve vincere o morire», quando il generale Montuori aveva notificato, con una certa cautela, di «ritenere possibile di prolungare la resistenza sostenendosi eventualmente sul Torre». A parte il fatto psicologico che, dopo una perentoria affermazione di vita o di morte, qualsiasi passo indietro rischiava, di venir considerato dai Comandi dipendentii come rassegnazione alla vittoriosa avanzata del nemico, la sottovalutazione delle circostanze era evidente e riguardava non soltanto la plausibilità della difesa, ma altresì il pericolo di esser travolti qualora, agganciati strettamente dagli austro-tedeschi, si fossero verificati cedimenti o infiltrazioni nella linea così difficilmente controllabile per le sue caratteristiche naturali. Come minimo, la resistenza ad oltranza avrebbe reso ardua la rottura del contatto e creato maggiori difficoltà alla 3• armata, ancora più o meno sulle posizioni iniziali. La ritirata fu disposta il mattino del 27 dopo la caduta cli Montemaggiore. Il generale Krafft si stupì che la perdita di quella posizione sia stata considerata tanto determinante, in quanto «il nenùco non aveva né fortificato né difeso in modo particolare quella sommità( ... ). Si sarebbe perciò capito meglio se la decisione della ritirata fosse stata presa in base all'accertata perdita di posizioni alte e fortemente presidiate come M. Stol» . Cadorna gli spiegò di aver atteso la caduta di Montemaggiore «per guadagnare tempo» 1, ma evidentemente non si era reso conto dello scarso significato operativo che le circostanze davano a Montemaggiore. Il ripiegamento sul Tagliamento non fu e non poteva svolgersi in modo regolare 2• I principali rimarchi mossi a Cadoma in proposito riguardarono l'immediato trasferimento del Comando Supremo a Treviso, l'assegnazione dei ponti di Codroipo alla 3° armata, l'impiego dei tre corpi di destra della 2• armata a protezione del ripiegamento del la 3° armata, la nuova indecisione sul Tagliamento circa la prosecuzione del movimento retrogrado. Il cosiddetto «abbandono del campo di battaglia» ha suscitato una diffusa disapprovazione per un duplice motivo: di carattere morale e di carattere prati-

1 K . KRAFIT VON DELLMENSJNGEN, l o sfondamento dell'Isonzo cit., pp. 383 e 392. ' li ripiegamento del grosso di un esercito a seguito di una sconfitta e sotto pressione nemica

ben raramente riesce a beneficiare di una tempestiva pianificazione. Durante il ripiegamento francese verso la Marna, eseguito in un ordine molto approssimativo ed in una confusione di fuggiaschi, sbandati e profughi, Joffre diramò ordini severissimi di esonero inuncdiato e di fucilazioni sommarie. Il 6 settembre furono ristabilite le corti marziali (consei/s de guerre speciaux) a livello battaglione per giudicare il flagrante delitto, con nessun difensore e nessun appello. In quel periodo furono esonerati 9 generali di corpo d 'annata, 33 divisionari su 72 ne)Ja fanteria ed il 50% nella cavalleria.


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co. Sul principio che il capo debba sempre dividere le difficoltà delle sue truppe, francamente la critica sembra eccessiva perché il livello del Comando e le circostanze rivestono al riguardo un peso determinante. A ragione il generale Krafft difese Cadorna, dovendo il capo di Stato Maggiore essere fuori dalla fiumana della ritirata e pensare anche al fronte del Trentino. «11 compito di Cadorna - osservò - era ora quello di salvare l'intero esercito; alle singole armate dovevano pensare i singoli capi» '. Piuttosto, anziché deleg~ue ad altri l'organizzazione della difesa del Piave, come avrebbe voluto Bencivenga 2, poteva lasciare un sostituto a tergo del Tagliamento. Bencivenga replicò all'osservazione con un cenno, per così dire, fotografico: «chi si rende esatto conto di ciò che realmente fu la ressa e la disorgmùzzazione sul Tagliamento non può non riconoscere che solo la presenza del Cadorna nelle vicinanze avrebbe potuto mettere un po' di ordine( ... ) la realtà è che il piccolo Stato Maggiore del Cadorna si sbandò» ' . La questione investe l'organizzazione del Comando Supremo e coinvolge altri due rimarchi, quello dei ponti di Codroipo ed il rischio inutile imposto alla destra della 2" armata. Bisogna convenire ancora con il generale Krnfft, il quale, premesso che gli ordini relativi al ripiegamento furono a suo avviso «di una incapacità infantile» ", scrisse che, se veramente in questi tristi giorni a, Cadoma mancò la collaborazione ed il Comando Supremo fu colto da una specie di paralisi 5, «il Comando Supremo era molto mal organizzato. Ma l'esperienza di tanti mesi di guerra non aveva giovato?» 6 • Il commento equivale a porre il dito sulla piaga, vale a dire sull'azione di comando eccessivamente personale di Cadorna (caratteristica, in verità, piuttosto diffusa, con l'eccezione dell'esercito tedesco), sulla quale torneremo in sede conclusiva. Per certo la ritirata ebbe luogo subendo l'iniziativa del nemico, sulla base di notizie confuse e frammentarie circa la situazione, con un'organizzazione delle informazioni e delle trasmissioni insufficiente 7• E il discorso di Bencivenga non pare convincente. Anzitutto la confusione riscontrata al Tagliamento va addebitata in qualche misura a causa di forza maggiore (la marea di profughi), ma in gran parte a ordini evidentemente mal dati o incompleti; in secondo luogo non si può ammettere un'assoluta impotenza o incompetenza dei Comandi d'armata. Anche sulla sosta al Tagliamento e sulla nuova esitazione prima di riprendere la ritirata molto è stato detto. Non sembra possibile che quella linea potesse consentire un «arresto definitivo», secondo la speranza espressa da Cadorna

' P. P 1ER1, La prima guerra numdiale cit., p. > R. BENCJVENGA,

231.

La sorpresa strmegica di Caporetto cit., p. 102. > Jn PIERI, La prima guerra mondiale cit., p. 236. 'Ibidem. > Cfr. R. BENCrVENGA, La sorpresa strategica di Caporetw cit., p. 131. 6 P. P1rrn1, La prima guarm mondiale cii., p. 232. ' A quanto pare la sola fonte di informazioni del Comando Supremo dai primi di novembre sarebbe stata costituita dalla nostra aviazione (A. CABIATI, La battaglia dell'ottobre 1917 cit., p. 340).


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nelle direttive del 2 novembre. Si opponevano a tale visione ottimi stica l'attenuarsi dell'elemento più importante del valore impeditivo del corso d ' acqua, la piena, e la prevedibile mossa avvolgente austro-tedesca dall'alto Tagliamento. Una circostanza, particolare ebbe un certo peso sulla tentazione di prolungare la sosta. Fu il nemico a crearla. Il ripetuto fallimento di forzare il Tagliamento nel settore di Pinzano-Comino, operati dal 31 ottobre al 2 novembre, contribuì a far nascere nel Comando Supremo l'idea di poter reggere sulla destra del fiume più a lungo di quanto supposto inizialmente. L' avversario, invece, resosi conto di dover montare un'operazione sistematica, si concentrò metodicamente contro La testa di ponte di Ragogna e, approfittando dei numerosi guadagni affiorati a causa della fine della piena, il mattino del 3 novembre riuscì a superare il Tagliamento a Comino. Ormai ogni speranza di prolungare la resistenza in posto svaniva. Ma Cadoma indugiò ancora con gravi conseguenze per le due divisioni schierate nelle Prealpi Carniche. * *

*

«Il generale Cadorna - ha scritto il maresciallo Caviglia - sconfitto sull' Isonzo, affrontò a testa alta il colpo della fmtuna; ritirò l'esercito dietro al Piave; scelse la nuova fronte difensiva con la completa conoscenza dei suoi caratteri strategici e tattici; schierò con rapidità e precisione le nostre rimanenti forze sulle nuove posizioni. Questo fu il suo capolavoro,, 1 • E Caviglia, era poco incline a lodare gli altri. Lo schieramento dell'esercito sulla linea Altipiani-Grappa-Piave fu il primo, importantissimo, passo per uscire dal dramma del rovescio. Ve n' erano altri due da compiere, di pari impo1tanza. Sì trattava del modo con il quale il nuovo Comando Supremo avrebbe raccolto il testimone e della saldezza con cui le truppe avrebbero sostenuto l'imminente scontro con il nemico. «La responsabilità, in guerra, è cosa seria- ha osservato il maresciallo Giardino, che a buon motivo aveva suggerito ad Orlando di prendere subito una decisione sulla persona del capo di Stato Maggiore - ( . . . ).Deve essere precisa. Il mondo politico, abituato a quella cosa rumorosa ma evanescente che si chiama responsabilità politica, forse mal la comprende» 2• Fu così che evidentemente sfuggì al Governo l'urgenza del provvedimento. Cadorna, infatti, stava per diramare gli ordini relativi a quella che il 3 novembre aveva indicato al presidente del Consiglio come «l'ultima carta» da giocare. Il nuovo Comando Supremo trovò il problema strategico studiato e risolto sotto il profilo della concezione strategica e dell' impostazione difensiva da chi non avrebbe avuto l'onere di provarne la bontà contro il nemico. Accettò la so-

' E. C AVIGLIA, Le tre batta.glie del Piave cit., p. 3 . ' G . GIARrnNo, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit., I , pp. 114-115.


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luzione e quindi la responsabilità di essa e prese in mano le redini della battaglia. Le truppe risposero mirabilmente all'imperativo del momento. Quelle sul Grappa e sul Piave erano le stesse già schierate sull'Isonzo e che avevano visto la rotta di parte della 2° armata; le stesse che avevano compiuto un ripiegamento di un centinaio di chilometri sotto la pressione del nemjco. Sulla nuova linea 1isentiranno delle difficoltà nei rifornimenti, non fruiranno di turni di 1iposo né dj licenze per tutto il più lungo e duro periodo della battaglia d'arresto. Non vedranno gli alleati al loro fianco. Il livello di forza presente nei reparti era largamente al di sotto dell'organico. Ma il morale non vacillò. La riduzione del fronte da circa 300 chilometri ad appena un centinaio, anche se su posizioni appena imbastite, consentì quel minimo di tranquillità difensiva che aiutò a superare le prime settimane di battaglia. Si tornò alla guerra di trincea, migliorando giorno per giorno l'irrobustimento delle linee, a partire da quelle più arretrate; ricostituendo le forze con l'arrivo dei primi complementi ed il recupero di sbandati. E, visto fallire ogni sforzo, anche il nemico tornò alla guerra di trincea.


Capitolo XV LA CAMPAGNA DEL 1918 l. LA SITUAZIONE MILITARE ALL'INIZIO DEL 1918 All'inizio del 1918 la situazione complessiva sotto il profilo militare era dal1' 0.H.L, giudicata favorevolmente. Degli alleati, l'Austria-Ungheria non aveva grossi problemi da risolvere: erano considerate fuori causa la Russia e la Romania ed intenta a riprendersi da!Ja grave sconfitta l'Italia; la Bulgaria sembrava in grado di tenere a bada il fronte di Salonicco e la Turchia, non dovendo più occuparsi della Russia, poteva affrontare con maggiore impegno gli eventi in Siria ed in Mesopotamia. Ad essi «si chiedeva soltanto di resistere - argomentava Hindenburg - quanto a noi, intendevamo cercare noi stessi la decisione della guerra sul teatro occidentale». E questo appariva possibile in primavera, grazie alle trnppe recuperabili dall'est europeo, «Per la prima volta - continuava Hindenburg durante l'intera guerra, avrenuno potuto avere una preponderanza da parte tedesca su una delle nostre fronti» 1• Ovviamente la superiorità numerica era realizzabile su un solo tratto. E, naturalmente, affiorava più di una incertezza sul risultato, visto come si erano concluse tutte le offensive francesi ed, inglesi. D'altro canto si trattava dell'unica carta da giocare prima che l'accerchiamento per mare posto in atto dall'Intesa si facesse asfissiante e l'esercito americano entrasse in combattimento con tutto il suo peso. Dall'orientamento ad una condotta aggressiva derivava la necessità non soltanto di una dottrina d 'impiego ad essa intonata, ma altresì di un'intensa opera di assimilazione delle nuove nonne d'attacco da parte delle truppe. Così, come nell'inverno precedente l'istruzione delle unità si era concentrata sugli ammaestramenti tattici da applicare nella battaglia difensiva, in quello 1917-18 l'addestramento fu rivolto alla battaglia offensiva nella guerra di posizione, richiamando le norme d'anteguerra ed opportunmnente adattandole e completandole. I concetti di sorpresa, violenza d'urto, rapidità di esecuzione, manovra per allargare il varco aperto, decisa penetrazione i11 profondità senza attardarsi contro resistenze locali più tenaci, vennero ribaditi con insistenza, ma accanto ad essi venne posto l'accento su tre aspetti del combattimento: l'applicazione rigorosa della «tattica per grnppi di cacciatori cli fanteria», in luogo dell'assalto a massa; il rapporto armonico fuoco-movimento nell'azione delle minori unità, grazie al-

' PAUL VON HINDENBURG,

Dalla mia vita, USSMC, Roma 1925, p. 221.


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l'impiego sempre più diffuso delle mitragliatrici leggere; il compito di «base di fuoco», come diremmo oggi, riservato alla mitragliatrice ed al lanciamine leggero. Il tutto nell'ambito del battaglione, che acquistò più marcata fisionomia di pedina tattica di combattimento della divisione. Al tem1ine dell'inverno, «ormai tutto l'esercito non pensava ad altro che ad uscire dalla guerrn di trincea ed intraprendere quella di attacco» '. Le prime delusioni vennero da oriente. Nonostante la conclusione della pace con la Russia (3 marzo) ed i preliminari di pace con la Romania (5 marzo), si rivelò impossibile togliere tutte le divisioni sperate da quelle regioni, a causa dei presidi da tenere nei paesi baltici, in Finlandia, in Polonia ed in Ucraina contro le velleità bolsceviche. E nemmeno la speranza di trarre dall' Ucraina rifornimenti alimentari e di materie prime per l'industria di guena si avverò, stante la situazione di disordine colà esistente, specialmente nel campo dei trasporti. Sul piano strategico all'O.H.L. si presentavano due interrogativi: come e dove sferrare l'attacco. Sul primo di essi la risposta era semplice: evitare di lasciarsi coinvolgere in una battaglia di logoramento. Perciò se la resistenza non fosse stata infranta di slancio, occorreva reiterare il tentativo in altri settori fino a sfondare Je linee nemiche. Quanto al «dove» attaccare, Hindenburg fissò l'attenzione sul tratto Arras-La Fère, tenuto degli inglesi, in direzione di Amiens. Sin dal dicembre 1917 la Gem1ania aveva chiesto ali' Austria-Ungheria un eventuale concorso di truppe e di attiglierie per il fronte occidentale, ma il 9 febbraio il genera.le Arz dichiarò a Ludendorff che la cessione di divisioni austroungariche per l'ovest non era gradita «nelle altissime sfere», cioè all'imperatore Carlo.Tutt'al più poteva cedere alcune batterie pesanti. Il fatto era che l'Alto Comando austriaco voleva e riteneva di avere a portata di mano una vittoria clamorosa. A dire la verità, l' O.H.L. accolse il rifiuto senza molto rammarico, giacché agli occhi tedeschi le truppe austro-ungariche - per quanto assai migliorate - non godevano di grande considerazione bellica e, d'altronde, un grosso sforzo austriaco nella pianura veneta avrebbe pot11to nuovamente richiamare in Italia divisioni francesi ed inglesi a beneficio delle operazioni tedesche. Così si delineò e si rafforzò l'idea di una doppia offensiva a fondo: la tedesca in Francia e l'austriaca in Italia. All'inizio del 19181' 0.H.L. sostituì in linea, con unità provenienti dai fronti orientale e balcanico, le divisioni destinate all' attacco, allo scopo di riordinarle, completarle, rinforzarle ed addestrarle per la grande offensiva, cosa non attuabile per la massa delle divisioni Con questo fatto, però, si venne ad operare una distinzione fra divisioni d'assalto e divisioni da posizione, il che era lontanissimo dal pensiero dell'O.H.L. Per quanto tale concetto fosse deplorato ed av-

' E. L UDENDORFr', l miei ricordi di guerra cit., II, pp. 125- 126.


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versato da Ludendorff, le circostanze mantennero la distinzione ancora per un certo tempo '. La proposta di una nuova offensiva nel Veneto, <la svolgere in primavera, era partita dal Conrad. Il disegno riprendeva l' idea del 1916: un'azione fra I' Astico ed il Piave con uno sforzo principale sull' AJtopiano dei Sette Comuni cd uno concomitante suJ Grappa, poi la prosecuzione in piano su Vicenza e Treviso. Oltre a questi, un altro sforzo doveva aver luogo lungo la direttrice OderzoTreviso, ma Boroevié non sembrò molto convinto. Il 22 gennaio Conrad contemplò anche una spinta in val Lagarina. Dopo varie discussioni il 23 marzo l'imperatore Carlo approvò il disegno e definì le linee fond~mentali di un piano da mettere in esecuzione in maggio. Arz scrisse a Hindenburg: «(...) come risultato di questa operazione, che ci dovrà portare fino alJ' Adige, io mi riprometto lo sfacelo militare dell'Italia» 2• 11 gruppo d'esercito Conrad (] O" e 11• armata) doveva agire a cavallo di due direttTici: dall'Altopiano dei Sette Comuni e dal Grappa con obiettivo il Bacchiglione, allo scopo di obbligare gli italiani ad abbandonare il Piave (operazione Radetzky); dal passo del Tonale su Ponte di Legno per accennare ad una minaccia sulla Lombardia e, in particolare, su Milano (operazione Lawine). Il gruppo d 'esercito Boroevié (6" armata e lsonzo-Annee, nella quale si erano fuse leprecedenti annate dell'Isonzo) avrebbe operato da Oderzo su Treviso per rompere la linea italiana (operazione Albrecht). Durante il mese di aprile i progetti presentati dai due Comandi interessati vennero confrontati e più o meno armonizzati, ma entnunbi risentirono di una pregiudiziale. Conrad e Boroevié sostenevano che il rispettivo attacco dovesse esser riconosciuto come principale. L'uno per l'evidente risultato strategico che prometteva e per la ritenuta relativa facilità di superare in un giorno la resistenza sull.' Altopiano, dove, a detta di Conrad, gli italiani si trovavano nella condizione «di un naufrago aggrappato ad una tavola di salvataggio, al quale sarebbe bastato mozzar le dita con un colpo d'ascia per farlo precipitare nei flutti». L' altro perché, date le prevedibili notevoli difficoltà opposte dall'ambiente montano all'alimentazione dell'operazione Radetzky, lo sfondamento delle posizioni sul Piave offriva maggiori garanzie di buon esito. 1n effetti Arz nutriva qualche dubbio su un sufficientemente rapido successo del gruppo Conrad, perciò stabili che spettava al gruppo B oroevié «valorizzare operativamente e strategicamente il successo tattico del gruppo d 'esercìto Conrad» e che i due attacchi, da considerare principali a pari titolo, si svolgessero in contemporaneità di tempi. L'operazione l.awi11e (Valanga) li avrebbe preceduti di due o tre giorni. ln conclusione, i primi di maggio l'Alto Comando austriaco confermò un' offensiva a tenaglia, assegnando alla 11" annata (15 divisioni in linea e 8 in riser-

'E. L UDENDORFF. / miei ricordi di guerra c it. , n, p. 132. ' L. S1::GATO, L'ltalia nella grande guerra cii., TV, p. 111.


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va) il compito di superare d'un solo sbalzo la residua zona montana per raggiungere l'allineamento Schio-Thiene-Bassano-Asolo; ed al gruppo Boroevié il forzamento del Piave con l'obiettivo del Montello per la 6" armata (4 divisioni in linea e 2 in riserva) e l'allineamento Treviso-Mestre per la Isonzo-Armee (11 divisioni in linea e 4 in riserva). Con le quattro divisioni tenute in riserva generale, a tergo della 6° armata, il Comando del fronte sud-ovest si riprometteva cli trasformare il successo tattico in strategico puntando all'Adige. Boroevié non esitò a manifestare la sua totale contrarietà, osservando che «se si vuole un attacco da ambo le fronti, e 11011 già un urto ed accompagnamento di un attacco principale, occorrono le forze necessarie e dispositivi adeguati; altrimenti, meglio rinunciarvi, perché nessuno può assumersi la responsabilità dell'insuccesso derivante da un attacco con forze insufficienti» 1• * * * Nel campo dell' Intesa, l'esercito che maggiormente aveva risentito degli avvetùmenti del 1917 era ovviamente quello italiano. Non appena injziata la battaglia di anesto sugli Altipiani e sul Piave, si era imposta l'adozione di due urgenti e fondamentali provvedimenti: il riordinamento organico di tutte le unità, più o meno provate e logorate a seguito della disfatta, ed il potenziamento dell'esercito nel suo insieme. Il primo aveva carattere di priorità assoluta e come tale venne affrontato con decisione e senso prativo, cosicché, come abbiamo visto, la 1imessa in sesto (pur se con carenze di materiali) in poche settimane ed il reimpiego di ben cinque dei nove corpi della 2" annata avevano contribuito al buon esito della battaglia d'arresto. Quanto al potenziamento, l'imponente ed anunirevole sforzo bellico del Paese, che grazie alla mobilitazione industriale, già a metà del 1916 corninciava a produrre sulla base di programmi annuali 2, penuise un ripianamento sufficientemente rapido delle perdite subite 3 • Giovò anche, seppure senza raggiungere l'influenza del War Committee, la costituzione, avvenuta il 31 dicembre 1917, del Comitato di guerra, di cui fecero parte Orlando, Sonnino, Nitti, Bissolati ed i ministri della Guerra, della Marina e delleAm1i e Munizioni. Detto Comitato risentì infatti, nella sua azione, dei noti contrasti in tema di politica estera che dividevano Sonrùno eia Bissolati, dell'ondeggiamento di Orlando fra i due e del protagonismo di Nitti.

' USSMRE, Riassunto della relazione 11fficiale austriaca cit., pp. 476-477. ' Sull'argomento cfr. MASS IMO M A7.WTIJ, L'industria iraliana. nella prima guerra mondiale, USSME, Roma 1979. ' In tema di artiglierie, le bocche da fuoco perse ammontavano a 3. 152 (di cui 97 di grosso calibro, 1577 di medio calibro e 1478 di piccolo cal ibro), gran pari.e delle quali però antiquate ed in mediocre stato di efficienza. TI programma 1° luglio 1917-30 giugno 1918, modificato nel dicembre per ovvi motivi, previde la fornitura di complessive 8. 187 bocche da fuoco (179 di grossa calibro, 4373 di medio calibro e 3734 di piccolo calibro) (ibidem, p. 15).


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Il disegno di manovra offensiva austro-ungarico.

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A metà gennaio il riassetto delle truppe toccava livelli più che tranquillizzanti, perciò Diaz tenne ad avve1tire i Comandi d' armata che l'eventualità dell' arretramento sulla linea del Mincio-Adige doveva considerarsi ormai come «lontanissima». La disponibilità di un'armata di manovra (la 2•), la presenza dei grossi complessi di forze alleate ed il sempre più avanzato completamento delle unità della 5• armata avevano mutato il quadro delle previsioni; senza contare che adesso la pianura fra l' Astico ed il Piave era trasfonnata in una rete di compattimenti stagni idonei ad ingabbiare qualsiasi sfondamento potesse verificarsi 1• Secondo Ja Nota collettiva n. 6 in data 24 dicembre 1917 dei Rappresentanti militari permanenti, l'atteggiamento italiano doveva limitarsi alla difensiva. Peraltro il Comando Supremo, valutando il grado di riordinamento già raggiunto dall'esercito, presumeva di essere in grado di svolgere qualche operazione offensiva in p1imavera. Ora, se i comandanti in capo francese e britannico concordavano sulla convenienza di non dar corso ad azioni importanti prima dell'entrata in linea dell'esercito americano, all'Italia non restava, con tutta evidenza, che la via della pura e semplice difensiva, salvo limitate azioni suggerite dalla necessità od opportunità di migliorare qualche situazione locale. Ma fino a quando si poteva fare assegnamento sulla presenza delle undici divisioni alleate in Italia? Sapendo che il presidente del Consiglio stava per recarsi a Parigi per la riunione del Consiglio supremo di guerra, il 19 gennaio Diaz gli illustrò la questione, significando essere indispensabile conoscere i programmi alleati per definire l'attività operativa sul nostro teatro d'operazioni 2 • Intanto i Rappresentanti militari permanenti consegnavano al Consiglio Supremo di guerra i risultati dell'esame compiuto sulla situazione complessiva. La nota collettiva n. 12 del 21 gennaio esponeva anzitutto la valutazione dei singoli teatri d'operazione. 1n Francia il nemico sembrava in grado di esercitare un potentissimo sforzo con un centinaio di divisioni, perciò affinché la Francia non crollasse nel 1918 occorreva che le attuali forze britanniche e francesi fossero tenute a livello; che gli americani fornissero almeno due divisioni al mese; che la produzione di mitragliatrici, artiglierie, cani armati ed aerei venisse incrementata; che l'organizzazione difensiva fosse migliorata nei settori più sensibili; che i trasporti ferroviari aumentassero; che «tutta la fronte alleata in Francia fosse trattata come un unico campo di azione strategica» 3 • L'Italia appariva

' USSME, Relazione 11.lficiale cit., V, tomo I bis, doc. 41. ' Ibidem., V, tomo I bis, doc. 1. È molto probabile che Diaz fosse venuto a conoscenza delle disposizioni impartite il 3 gennaio dal generale Fayolle al generale Nourisson, comandante del XII corpo d'armata francese, per un 'offensiva nel Trentino, non appena lo scioglimento delle nevi avesse reso praticabile la zona. ' Quando Clemenceau ebbe occasione di accennare al comando unico, naturalmente francese, al generale Haig, questi si alzò di scatto esclamando: «Monsieur Clemenceau, io non ho che un capo e non posso averne che uno: il Re!» (GEORGES CLE.\11::NCJi AlJ, Grandezza e miserie di una vittoria, Mondadori, Milano 1930, p. 32).


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al sicuro, beninteso a condizione che l'esercito fosse rimesso in piena efficienza e potenziato entro il 1° maggio; che un miglioramento nei trasporti ferroviari consentisse l'unità strategica d'azione tra il fronte francese e quello italiano; che il governo italiano prendesse adeguate misure contro il pacifismo; che gli alleati rifornissero l'Italia cli carbone, grano, ecc. In definitiva, osservate le condizioni predette, «il nenùco nel corso del 1918 non può riportare una netta decisione militare che gli pennetta cli rompere definitivamente in un teatro principale [adesso anche l'Italia era posta su quel piano) la resistenza di una qualunque delle Potenze alleate». Sorgeva allora la questione se, invece, gli alleati fossero in misura di ottenere nel corso ciel 1918 una decisione finale o almeno cli grande portata. L'esame attento delle circostanze, pur tenendo conto dei rinforzi americani, portava purtroppo ad escludere simile speranza, il che naturalmente non impediva che eventi imprevisti offrissero l'occasione di offensive vigorose. D' altra parte non era ammissibile attenersi ad un atteggiamento passivo per l'intero 1918, regalando, per giunta, l'iniziativa agJj avversari. Il vasto teatro d' o perazioni turco sembrava presentare elementi favorevoli per 1'eliminazione di un alleato degli Imperi Centrali. Condizione essenziale per un'impresa del genere era però che questa venisse pianificata come unica operazione e non come una serie cli operazioni separate. Per quanto, poi, concerneva il «fronte occidentale», dal Canale della Manica ali' Adriatico, i Rappresentanti militari suggerivano le seguenti linee di condotta: in caso di offensiva nemica, non soltanto anestarla e contrastarla in quello stesso settore, ma eseguire ampie offensive di alleggerimento «su terreni scelti e preparati in anticipo» per una rapida esecuzione; in caso di inattività nemica, prendere l' iniziativa di operazioni con obiettivi limitati per impegnare e logorare il nemico e tenere alto lo spirito combattivo delle proprie truppe; nell'uno come nell'altro caso, mettersi in condizio1ù cli sferrare un' <~ffensiva combinata della maggiore potenza ed estensione, sia per far desistere il nemico da uno sforzo violento sferrato contro uno degli alleati, sia per ricercare la decisione se la situazione permetteva di puntare ad un simile risultato. Per le p1ima due ipotesi i comandanti in capo francese (Pétain), britannico (Haig) e italiano (Diaz) dovevano preparare oppo1tuni piani e compiere le relative predisposizioni; per il terzo caso, i comandanti in capo francese e britannico dovevano approntare un progetto di offensiva combinata sul fronte francese, ed il Comando Supremo italiano un progetto d'offensiva quanto più possibile estesa 1•

' USSl\,fE, Relazione ufjìciale cit., V, tomo I bis, doc. 44.


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Il documento era frutto di un compromesso, a causa dei contrasti di fondo tra i capi militari. Il generale Foch propugnava un piano unico per un'offensiva combinata sul fronte francese, mentre i due comandanti in capo interessati tenevano alla rispettiva autonomia: il generale Pétain preferiva conservare un atteggiamento difensivo e ricevere, qual.ora fo1temente impegnato, il soccorso inglese; il maresciallo Haig era indeciso fra un' offensiva limitata, tutta britannica, o la difensiva, ma in questo caso senza minimamente ritenersi tenuto a correre in a.iuto dell'esercito francese. Esistevano, inoltre, due altri aspetti importantissimi, rappresentati dalla costituzione di una riserva comune interalleata e dalla realizzazione dell'unità di comando. SulJa riserva interalleata, Haig e Pétain si espressero negativamente, sostenendo di avere le forze contate. Tutt'al più si poteva attingere aJie divisioni alleate dislocate in Italia - che non dipendevano da loro - con l'aggiunta di qualche divisione italiana. Quanto al comando unico esercitato da un generalissimo, che ovviamente sarebbe stato Foch, il capo di Stato Maggiore Generale francese, i generali Wilson e Cadorna si pronunciarono con un secco rifiuto 1• Aci ogni modo La Nota collettiva n. 14, con la quale i Rappresentanti nùlitari esaminarono i provvedimenti da adottare nel caso più che probabile di una massiccia offensiva tedesca in Francia e per l'eventuale controffensiva, postulò la realizzazione di una consistente .riserva generale con divisioni francesi, britanniche ed italiane sotto un comando unico. Il Consiglio Supremo di guerra tenne la prima riunione il 30 gennaio a Versailles. Per l'Italia erano presenti Orlando, Sonnino ed il ministro Alfieri. Dominava, a detta di Lloyd George, «l'incredibile sopravvalutazione della potenza nemica da parte di tutti i nostri consiglieri militari e la conseguente sottovalutazione delle nostre possibilità per la campagna ciel 1918» 2• Il capo di Stato Maggiore Imperiale britannico, Robertson, ed i due comandanti in capo si mostravano convintissimi di non poter contare sull'apporto americano per l'intero 1918. La discussione fu lunga. Si concluse, infine, con queste decisioni adottate all' unanimità: <<1. Il Consiglio Supremo di guerra ha deciso la costituzione di una riserva comune di tutti gli eserciti sul fronte occidentale, italiano e balcanico. 2. Il Consiglio Supremo di guerra delega ad un organo esecutivo composto dai Rappresentanti mii.i tari pem1anenti di Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti d'America e dal generale Foch per la Francia, i seguenti poteri che dovranno essere esercitati in consultazione coi Comandanti Supremi degli eserciti interessati:

'A paitc gli interessi nazionali, pesavano contro Foch anche le rivalità e le antipatie personali. TI maresciallo Haig ne aveva una scarsissima opinione, il generale Pétain si cousidernva miglior capo, Clemenceau lo anunirava e ne diffidava (D. LLOYD GEORGE, Memorie di guerra cit., fil, p. 186). ' Ibidem, pp. 144-145.11 generale Mordacq osservò che «ciascuno piangeva sulle proprie miserie ed accordava ai suoi vicini delle ricchezze che questi non anunettevano» (cit. in M. CARACCIOLO, L 'llalia e i suoi alleati cit., p. I94).


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a. potere d.i decidere la forza delle varie specialità e la composizione della riserva comune e il contributo da fornire ad e.ssa da parte di ciascun esercito nazionale; b . .......... c.......... .

d. potere di decidere ed emanare ordi1ù in conseguenza riguardo al momento, al luogo ed al periodo d'impiego della riserva comune(...); e. potere di decidere il momento, il luogo e l' entità della controffensiva per poi consegoare ad uno o più dei Comandanti Suprenù le truppe necessarie per l'operazione(... );

f ......... .. 3. In caso di inconciliabili divergenze di opinione su qualche punto i mportante connesso colla riserva comune, ogni Rappresentante nùlitare permanente avrà il di.ritto di appellarsi al Consiglio Supremo di guerra. 4.)1 Consiglio Supremo di guerra nonùnerà il presidente del Conùtato esecutivo fra i membri del Conùtato stesso» '.

La presidenza fu assegnata al generale Foch. Era il primo passo verso la nomina a comandante unico. In definitiva, la politica mmtare per il 1918 contemplò l'organizzazione delle forze alleate per resistere alla prevista offensiva tedesca secondo il concetto del fronte unjco, con una riserva comune, e le predisposizioni per cogliere ogni opportunità per una vigorosa controffensiva. Opportunità alla quale credeva il solo Foch 2 • Il 6 febbraio il Comitato esecutivo stabili L'entità della riserva comune: tredici divisioni francesi, dieci britanniche e sette italiane.

* * * Il 16 febbraio il generale Giardino sostituì a Versailles il generale Cadoma, richiamato in Italia e posto a disposizione deila Commissione d'inchiesta per Caporetto, lasciando quindi il generale Badoglio quale unico sottocapo di Stato Maggiore dell' esercito. Il primo contatto del Comando Supremo con il generale Giardino, nelle sue nuove funzioni, fu preso il 23 febbraio per anticipare il pensiero italiano sulle previste iniziative primaverili. A parte qualche azione diversiva in direzione dei passi dello Stelvio e del Tonale, un'operazione ad obiettivi limitati poteva essere svolta dalla 6° armata sugli Altipiani, anche allo scopo di guadagnare spazio a favore delle difese del Grappa. Se favo1ita dalle circostanze, avrebbe acquistato maggiore respiro con un'azione concomitante in val Lagarina ed una in val Sugana. I generali Fayolle e Plumer, comandanti delle forze alleate in Italia, si erano dichiarati favorevoli al progetto nonché ad un attacco congiunto sugli Altipiani 2• In relazione a questo orientamento, il 3 marzo Diaz diramò le direttive per le operazioni del 1918. Esse si fondavano sulla previsione, data per sicura dalle

'Ibidem, pp. 144- 145. ' Ibidem, p. 152. ' USSME, Relazione ufficiale cit. . V, tomo 1 bis, doc. 45.


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informazioni ricevute, «che il nemico si appresti a tentm·e un grande sforzo e che dei prossimi avvenimenti la fronte italiana sarà teatro importante se non forse principale». In particolare, era ritenuto probabile l'attacco principale austriaco a nord (Giudicarie-Grappa), senza però escludere attacchi contemporanei sulle Alpi (Stelvio e Tonale) e da est (Piave). La concezione operativa era strettamente conseguenziale alla convinzione di una prossima offensiva risolutiva da parte austriaca: resistenza ad oltranza, mirando a contenere il nemico nel minore spazio e reagendo con azioni controffensive in determinate direzioni e con contrattacchi locali ben studiati e predisposti. Garanzia di un' efficace difesa venivano offerte da una sufficiente dotazione cli bocche da fuoco di medio e grosso calibro, da una disponibilità di munizioni di buon affidamento «mercé una saggia amministrazione» (fattore piuttosto riduttivo), da un'organizzazione difensiva tale da consentire il buon esito della lotta «anche nelle peggiori ipotesi di sfondamento». Oltre al principio della resistenza ad oltranza e delle reazioni dinamiche a vari liveilj, Diaz volle stabilire un altro punto fermo, vale a dire l'eventualità di sfe1nre azioni offensive per «prevenire, se possibile, il nemico». Sorge, inevitabile, qualche perplessità per un'azione in anticipo sulla mossa avversaria allo scopo di stroncarla sul nascere. Sembrerebbe, in fondo, l'idea di Capello; ma se la testa di ponte della Bainsizza pareva consentire un atto del genere, lo schieramento attuale si mostrava certamente meno favorevole. In realtà, il significato delle offensive in questione appare modificato nel corpo delle direttive, non tanto dall'orientamento della riserva del Comando Supremo a partecipare a dette azioni «se queste ultime sm·anno possibili», quanto soprattutto dalla precisazione che «se il nemico ci dovesse prevenire, le azioni così preparate [ offensive della 6" e 7' amiata, azioni concomitanti della t• e 4• m"Inata] potranno essere sviluppate con carattere di controffensiva, nei limiti che la situazione suggerisce» 1• Allora, ferma restando la priorità della difensiva, si chiariva il concetto cli dar corso a detemùnate azioni offensive, le quali, nel caso fossero precedute dall'iniziativa austro-ungarica, sarebbero state attuate come controffensive, sempre che possibile ed entro limiti imposti dalle circostanze. Restava la gravosità del duplice compito assegnato alle quattro armate schierate dallo Stelvio al Grappa. Le azioni principali prevedevano per la 6• armata l'obiettivo della val Sugana (con un impegno di 20 divisioni); per la 7• armata, «almeno» il possesso degli sbocchi in val Vermiglio ed in val di Genova nel settore del Tonale. Quelle concomitanti: per la 1• armata io valle Vaprio, gli obiettivi di Zugna Torta e di Col Santo; per la 4• armata, la riconquista delle posizioni a nord-ovest del Grappa (dall' Asolone al Prassolan) perdute nel corso della battaglia d' aJTesto.

' Ibidem, doc. 36.


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Mentre la compilazione dei progetti seguiva il suo corso - che vedrà frequenti interventi di coordinamento e di ridimensionamento, sino ad un progetto sommario riepilogativo del Comando Supremo in data 13 maggio - la situazione evolveva con sempre maggiore incisività. Anzitutto sulla questione della riserva comune interalleata erano sorti ostacoli imprevisti. Clemenceau ne sembrava meno entusiasta; Pétain rifiutò di porre alcuna sua divisione a disposizione di Foch; Haig si dichiarò dolente di non poter aderire alla richiesta. Il 14-15 marzo il Consiglio Supremo di guerra, riunitosi a Londra, fu costretto a prendere atto del fallimento dcli' idea. Come Pétain commentò, parlando con il presidente Poincaré: «l'Armée de re serve a veçu». Tuttavia, nonostante questo risultato deludente, a parte un accordo di reciproco aiuto fra Haig e Pétain, nel successivo incontro tenutosi a Torino il 19-20 marzo si con~ordò che le divisioni francesi ed inglesi in Italia, più alcune divisioni italiane, avrebbero formato il nucleo della riserva interalleata.

* *

*

Subito dopo in Francia scoppiò l'uragano. TI 21 marzo i tedeschi sferrarono la prima delle cosiddette «offensive Ludendorff», contro il settore britannico sulla Somme (2" battaglia di Piccarclia), sfruttando la tattica di von Hulier sperimentata a Riga ed a Caporetto: cinque ore di intensissimo bombardamento con più di 6 mila pezzi, avanzata della fanteria dietro una cortina mobile di fuoco, penetrazione spregiudicata in profondità superando lateralmente le resistenze più forti incontrate. La 5" annata britannica (gen. Gough) fu travolta con perdite gravissime e la spinta tedesca arrivò a 60 chilometri dalle basi di partenza. La sorpresa era stata assoluta. «Il primo telegramma di Haig in cui risultava che egli si rendeva conto della gravità della situazione - ricordò con amarezza Lloyd George - giunse al ministero della Guerra il terzo giorno della battaglia!» '. Del pari, al Quartier Generale francese di Compiègne, Pétain non ricevette comunicazioni di sorta per i primi due giorni. Nel marasma che ne seguì e mentre la «grossa Berlha» apriva il fuoco su Parigi da oltre cento chilometri di distanza, nel pomeriggio del 25 Pélain decise il ripiegamento dell'esercito francese verso sud e Haig consegnò al generale Weygand, capo di Stato Maggiore di Focb, un suo apprezzamento della situazione, con il quale stimava che la separazione degli eserciti francese e britannico fosse «solo una questione di tempo» e che l'esercito britannico «dovrà ritirarsi lentamente, combattendo, a coprire i porti della Manica» 2 • Per unanime riconoscimento, l'energia di Foch salvò la situazione.

' D. LLOYD GEORCE, Memorie di guerra cil., ili, p. 204. n 24 marzo il generale Wi lson annotò

sul suo diario: <<Siamo suU ·orlo della catastrofe» (HENRYW1LSON, Joumal dnmaréchal Wilson, Payot, Paris, p. 358). Wilson era succeduto al generale Robertson, quale capo dc!Jo Stato Maggiore Imperiale, in seguito ad una grossa polemica che aveva investito Robertson {D. Lt.OYD GEORCE. Memorie di guerra cit., ill, pp. 165-172). 'Ibidem, pp. 211 -2 12.


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Le offensive ledcsche nell a primavera-estate del 1918.


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Il giorno seguente, 26 marzo, una conferenza franco-inglese convocata d ' urgenza a Doullens in seguito all'intervento personale di lord Milner, membro del Comitato di guerra britannico, precipitatosi in Francia, pervenne a questa decisione: «Il generale Foch è incaricato dai govemi britaiuùco e francese di coordinare l'azione degli eserciti alleati sulla fronte occidentale. Egli si accorderà, a questo fine, coi generali in capo, che sono invitati a fornirgli nme le inforiuazioni necessarie»'.

A dispetto delle drammatiche circostanze, è difficile sostenere che il provvedimento, di applicazione immediata, abbia dato risultati tangibili. Pétain e Haig «erano lietissimi - scrisse Lloyd George - di dividere ogni responsabilità con Foch, ma_ non erano disposti a rinunciare neppure ad una parte della loro autorità» 2• Dal canto suo Foch osservò, non senza ragione, che l' incarico di coordinare l'azione degli eserciti alleati implicava che se non c'erano azioni, nulla c'era da coordinare 3• A Beauvais, il 3 aprile, si cercò di porre rimedio all'eccessiva genericità degli accordi di Doullens con una nuova detenru1rnzione: «li generale Foch è incari.cato dai governi britannico, francese ed americano di coordinare l'azione degli eserciti alleati sulla fronte occidentale, e gli sono conferili tuui i poteri per mettere in effetto questo suo incarico. A tal fine i governi britannico, francese ed americano affidano al generale Focb la direzione suategica delle operazioni militari».

Gli inglesi, però, vollero aggiungere che: «I comandanti in capo degli eserciti britannico, francese ed americano hanno la piena direzione tattica delle loro annate. Ogni comandante in capo potrà ricorrere al proprio governo se, a suo parere, il suo esercico venisse a trovarsi in pericolo per un qualunque ordine dato dal generale Foch» '.

115 aprile terminò la 1• offensiva tedesca, arrivata alle soglie d ' Amiens, con 240 mila perdite alleate, compresi 70 mila prigionieri e 1.100 pezzi, ma due giorni più tardi iniziava la 2° offensiva sulla Lys (2° battaglia delle Fiandre), che terminò i l 26 con scarsi risultati per i tedeschi. Date le circostanze, il 23 aprile Clemenceau incaricò il generale Graziani, nuovo comandante delle forze francesi in Italia, di rappresentare a Diaz la necessità di affrettare i preparativi per l'offensiva sugli Altipiani secondo il progetto studiato, sia pure con le modifiche suggerite dal 1ichiamo in F rancia del Comando della 10• armata francese (gen. Maistre), di quattro divisioni francesi e due inglesi, seguite dal 11 corpo d ' armata italiano (gen. Albricci). A suo giudi-

' G. C LUMENCEAV, Grandezze e miserie di una virroria cit., p. 35. 'D. L U>YD GEOR(;E, Memorie di guerra cit., TTI, p. 2 15. ' lbidem, p. 2 17. ' G. CLEMf:NCEAV, Grandezze e miserie di 11110 vittoria cit., pp. 36-37. Cfr F. cit.. pp. 380-381 .

FocH,

Memorie


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zio, l'offensiva era possibile, utile e conveniente. Possibile perché l'esercito italiano conservava la superiorità numerica su quello aust1iaco; utile allo sviluppo delle operazioni alleate in Francia perché fissava le truppe austriache in Italia e, forse, poteva provocare il richiamo delle artiglierie inviate dal Comando del fronte sudovest in rinforzo alle armate ge1maniche; conveniente per l'esercito italiano per la fiducia in se stesso che ne avrebbe ricavato, per l'allontanamento della minaccia di un'offensiva austro-ungarica e per l'eliminazione del pericolo, ancor più grave, rappresentato per il paese dalla propaganda pacifista 1• Diaz, già per indole poco propenso alle avventure, stava osservando gli avvenimenti con estrema attenzione e con la consapevolezza di dover assolutamente evitare rischi inutili. li 12 aprile, evidentemente spinto da quale dubbio, aveva inviato diretti ve riservate ai comandanti d' annata per stabilire con chiarezza che il concetto della «difesa ad oltranza della fronte presentemente occupata» rivestiva valore prioritario e che l'eventuale occupazione a difesa delle rispettive linee arretrate, doveva essere attuata da ogni singola armata «con le sole sue forze» 2• Rispose perciò al generale Graziani che i preparativi per l'offensiva sugli Altipiani procedevano e che l'operazione poteva partire dieci giorni dopo la decisione, Senonché ... avendo motivo di temere che le armate austro-ungariche fossero state rinforzate da divisioni provenienti dal fronte russo, il rappo1to di forze risultava modificato. S iccome non disponeva di altre truppe oltre quelle schierate od in riserva, non intendeva correre l'alea di impegnarsi in un' impresa dal risultato più che incerto. Comunque, nel caso in cui infomiazioni attendibili avessero data per certa la partenza di grandi unità austriache dal Tirolo o dal Trentino verso il fronte occidentale, non avrebbe esitato a prendere l'iniziativa 3 • Quanto all'accenno al «pacifismo», si impone un breve commento. A fine 1917, per quanto lo scossone derivante da Caporetto avesse generato una sensibilità particolare nei confronti dei combattenti e della stessa guerra contro l' Austria, era innegabile una grave crisi di sfiducia largamente diffusa. In taluni era provocata dal timore di non riuscire a resistere sul Piave e fors'anche nemmeno sul Mincio; in altri dalla convinzione che le sorti dell'Italia dipendessero solo dall' interessato aiuto economico degli alleati; in altri ancora daU'idea di non essere in grado di sconfiggere l'esercito austro-ungarico; in moltissimi dalla sensazione di un protrarsi infinito deU'inutile sforzo bellico. L' attività dei pacifisti, alimentata anche dalla propaganda austriaca •, aveva ripreso zelo in dicembre, tanto che il Comando Supremo si era rivolto ad Orlando chiedendo l'adozione di energici provvedimenti per stroncare l'attività «disfattista». Da parte di Oiaz la richiesta era posta in termini assai meno aspri di

'USS ME, Relazione 11fficiale cii., V, tomo I bis. doc. 47. Ibidem. doc. 46. ' Ibidem. doc. 49. ' R. ALESSI, Da/l'Isonzo al Piave c ii., p. 207. Cfr. D. LLovo GEORGE, Memorie di guerra c ii.,

2

lll, cap. Il.


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quelli solitamente usati da Cadorna; da parte di Orlando, il. quale adesso mostrava maggiore sicurezza, c'era la disponibilità del decreto Sacchi del 4 ottobre 1917, che puniva «chiunque con qualsiasi mezzo commetta o istighi a commettere un fatto che può deprimere lo spirito pubblico o altrimenti diminuire la resistenza del paese>}. La larga, e talvolta spregiudicata, applicazione del decreto consentì, fra l'altro, l'arresto del segretario nazionale del partito socialista, Costantino Lazzari, e del vice segretario, Nicola Bombacci. Ma non si può nerruneno negare che dietro le quinte della politica internazionale qualcosa si agitasse, proprio in conseguenza di un certo scoraggiamento generale. L' idea di una pace separata con l' Austria appariva tutt'altro che peregrina e ~i affacciava con insistenza. Questo pensiero, se per tanti rimaneva allo stadio di semplice speranza, a Livello politico veniva preso in considerazione senza molto imbarazzo. li governo, infatti, risolse di stabilire contatti in assoluta segretezza con il Vaticano (colloqui fra Nitti ed il cardinale Gasparri, segretario di Stato de lla Santa Sede) per tastare il terreno con Vienna. Del resto, per l' appunto in quel periodo gli alleati dell'Intesa cercavano di trovare una via d'uscita al difficile impasse bellico staccando l'Austria dalla Germania. Tutti i governi, anche quello americano, avevano avviato colloqui riservatissimi con emissari austriaci utilizzando canali diversi. Tutti i sondaggi però vennero interrotti quando la Germania ritenne di poter vincere la partita sul piano militare. * * * La crisi degli effettivi di fanteria riguardava un po' tutti gli eserciti dell' Intesa, almeno per qualche tempo ancora. Perciò la disponibilità delle truppe americane assumeva carattere di estrema urgenza. Mentre il generale Pershing, comandante in capo del corpo di spedizione americano, «col suo gelido sorriso, continuava a differire» perché voleva intervenire soltanto quando fosse pronta una autonoma annata americana, Clerncnceau e Lloyd George avrebbero, invece, voluto cominciare ad impiegare reggimenti di fanteria e reparti mitraglieri inseriti in divisioni inglesi e francesi per una rapida istruzione supplementare '. Il problema consisteva anche e in primo luogo nei trasporti via mare. Nel marzo L918, un anno dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti, si trovavano in Francia appena 300 mila soldati americani con 6 divisioni non ancora pronte per il combattimento, quando negli Stati Uniti stavano addestrandosi più di un milione di soldati. Occorreva che in maggio sbarcassero in Francia 130 nùla uomini e 150 mila in giugno, esclusivamente di fanteria 2•

' G. CI.EMENCEAU, Grandezze e miserie di 1111a vinoria cii., pp. 57-62. 'In maggio arrivarono 240 mila uomini ed in giugno 280 mila. Il 2 luglio il Consiglio Suprerno di guerra chiese al presidente Wilson che il governo americano fornisse all ' Intesa entro iJ luglio l 9 19 un eserc ito di cenro divisioni per con~eguirc la vittoria alleata (F. FoCH, Memorie cit., pp. 463465).


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Questo fu l' argomento centrale della, conferenza tenuta dal ConsigUo Supremo di guerra ad Abbevi Ue in 2 maggio. Ma a Clemenceau premeva anche passare sotto la direzione strategica di Foch il fronte italiano. Governo e Comando Supremo italiani erano contrari ad estendere in tal senso l'autorità di Foch, temendo fra l'altro, a buon motivo visti i precedenti, di essere chiamati ad effettuare operazioni nell'interesse pressoché esclusivo del fronte francese ' · Ad Abbcville Orlando ed il generale di Robilant 1 dovettero accettare che il potere di coordinamento attribuito a Foch il 26 marzo a Doullens venisse esteso al teatro italiano. Peraltro, per quanto concerneva le truppe italiane, Foch ricevette semplicemente un droit de regard nell'intesa che avrebbe esercitato anche su di esse il suo comando unicamente se e quando gli eventi bellici avessero richiesto la presenza in Italia di altre arm ate combattenti ai suoi ordini, nelle medesime condizioni che in Francia 3• A dire il vero, Foch, che il 14 maggio venne nominato comandante supremo degli eserciti alleati in Francia, non pretese mai d'imporsi sui comandanti in capo alleati. « Vedete - egli diceva - il comando unico è una pura parola. Nel 1917 era stato effettuato dal generale Nivelle; ma con infelici risultati. Bisogna saperli condurre, gli alleati. Non si deve trattare gli uni come gli altri ... Il comando unico è questo: non dare ordini, suggerirli» •. Era convinto di dover «persuadere anziché dirigere» al punto di lasciarsi talvolta andare «a titubanze, ad attenuazioni d'autorità» tali da mettere in pericolo il valore del titolo conferitogli, cosa che indisponeva sommamente Clemenceau. Sta di fatto che il maresciallo Haig «non si sottomise mai completamente» alle direttive di Foch 5 ed il generale Pershing non si peritava di opporre resistenza passiva al desiderio francese di impiegare le divisioni americane a mano a mano che erano pronte. Cosicché l' 11 ottobre, ad un mese dall' armistizio, Clemenceau scriverà una lettera secca (bloccata però dal presidente Poincaré) a Foch per stimolarlo a scuotere l' inerzia delle truppe americane: «Comandante, la Patria comanda che Voi comandiate! » 6• Nella sua nuova veste, dunque, il 7 maggio Foch si rivolse a Diaz. Dopo un preambolo piuttosto generico, nel quale sottolineava la «résistence acharnée dont on peut prévoir le succés» delle truppe alleate contro la pressione delle sover-

'Cfr. Diaz. a Orlando in data J.4.19 I8 in USSME. Re/azio11e uj]ìciale cit., V, tomo 2 bis, doc. 11. ' Il generale di Robilant aveva sostituito il generale Giardino nel Comitato dei Rappresentanti militari pcnnanenti il 16 aprile. Il generale Giardino era rientrato in Italia per assumere il comando della.? e poi della 4• annata. ' D. LLOYD GEORGE, Memorie di guerra cii., Ill, pp. 475-477. Cfr. F. FOCll , Memorie cit., pp. 382-383. In quella sede venne decisa la soppressione del Comitato esecutivo del Consiglio Supremo. 'G. Clemenceau, Gra11deue e miserie d'una vittoria cit., p. 80. Sulla questione del comando unico e delle tre conferenze di Doullens, Beauvais e Abbeville cfr. anche G. Giardino, Rievocazioni e riflessioni di guerra cii., 11, pp. 422-424. ' Ibidem. pp. 36-39. • Ibidem, pp. 72-76.


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chianti forze tedesche, affermò che sul fronte italiano l'Austria si trovava in condizioni di inferiorità numerica e non manifestava «aucune volonté d'ojfensive». Il seguito era ovvio: «Ayant été chargé dc la conduite stratégique des opérations sur r ensemble du front occidenta.l, j 'ai l' honneur de demanderà Votre Excellencc de me foire connattre les grandes lignes dc son pian d'attaque, la participation dcs forces alliées à celle attaque, et la date à laquellc la préparation doit etre ach.evée. Celle dme demanderai! sans doute à etrc fixée d'un commun accord».

Infine, con molte belle espressioni, sollecitò il Comando Supremo «.dans sa décision de passer sans rétard à l'attaque» 1• Il tenente coloru1ello Lepetit, latore della lettera di Foch, fu ricevuto a Roma da Orlando e da Diaz e si affrettò a comunicare a Parigi l'esito del colloquio: il generale Diaz era disposto a dare il via alla preparazione, la cui durata calcolava contenibile in un paio di settimane, non appena rientrato a Padova, cioè il 15 maggio, se il generale Foch concordava. Una volta ultimata la preparazione, sarebbe rimasto solo da stabilire il giorno dell'offensiva, che il generale Diaz desiderava si sviluppasse in concomitanza con analoga operazione sul fronte fran cese 2• Fu Clemenceau a replicare a Lepetit, e lo fece piuttosto rudemente: «Vogliate far conoscere al generale Diaz che, d'accordo con il generale Foch, ritengo che la preparazione dell' offensiva debba cominciare immediatamente» 3 • Il Lepetit confermò che il generale Diaz il giorno J5 avrebbe impartito l'ordine di iniziare le predisposizioni 4. Per l'esattezza, Diaz, aveva formulato anche alcune riserve e condizionamenti non colti o comunque non riferiti dal Lepetit, che figurano assai bene espressi nella lunga lettera di risposta a Foch. In questa, difatti, si soffermò di proposito su «qualche elemento analitico» della situazione italiana, sottolineò una certa carenza di riserve e chiese di conoscere l'assegnamento che avrebbe potuto fare, «in caso di bisogno, sul previsto intervento in Italia di rinforzi alleati». La conclusione era sintomatica: «(...) dunque, io sono del vostro avviso circa l' opportunità di attaccare appena possibile, subordinando naturalmente la decisione, non solo all'assoluta e concorde convenienza nell'interesse generale della guerra su tutti i fronti, ma anche alla eventualità di un mutamento improvviso di situazione che renda, ad un certo punto, non più consigliabile ciò che in questo momento appare in massima opportuno e conveniente»•.

La prudenza di Diaz aveva una solida ragion d'essere. Le molteplici e sempre più concordi infom1azioni ricevute davano per sicuro un prossimo attacco

' USSME, Relazione 11fficiale cit. , V, tomo I bis, doc. 50. 'Lcpetit a Cleroenccau in data 13.5.1918, ibidem, doc. 54, ore 11,50. ' Clemenceau a Lepetit in data 13.5.1918, ibidem, doc. 52, ore 22,35. 'Lepetit a Clemcnceau in data 14.5. 19 18, ibidem, doc. 55 . • Oiaz a Foch in data 14.5.1918. ibidem, doc. 51.


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austro-ungarico. Non per nulla il I O maggio egli aveva ritoccato i limiti di settore fra le armate I e quattro giorni dopo apportato qualche modifica alle linee di difesa arretrate 2• Il 25 maggio, poi, impartì direttive precise ai comandanti della 2• e 3° armata per la condotta della resistenza, in previsione di un' offensiva nemica a non lontana scadenza sul Piave, sia come operazione a se stante, sia in concomitanza con altre dal Trentino 3• Tirando le somme, il 28 maggio Diaz informò Foch che le notizie piì:1 recenti, provenienti da fonti attendibili, non lasciavano alcun dubbio ormai sull'intenzione austriaca, di sferrare, non appena consentita daJle condizioni atmosferiche, una grossa offensiva sul Piave, sussidiata da altra sforzo consistente sul1' Altopiano di Asiago e contro il Grappa. «La situazione sulla fronte italiana - spiegò - si va perciò delineando profondamente diversa da quella sulla quale furono presi fra noi gli accordi per le operazioni offensive da svolgersi nella regione di Asiago e per le quali i preparntivi erano in avanzato corso di attuazione. E<l in tale situazione, le eventualità contrarie alle quali Vi aveva accennato nella mia precedente lettera, assumono tale imponanza da imporre provvedimenti del tutto diversi, non potendo più deliberatamente consumare le mie riserve in un'operazione verso Asiago quando tutto fa credere ad una potente minaccia dal Piave e quindi sul fianco>>.

D' altronde il ri nnovato attacco tedesco sul fronte occidentale induceva aritenere impossibile per gli alleati la desiderata offensiva contemporanea a quella italiana. Piuttosto, dovendosi «considerare e studiare tutte le possibil i eventualità», secondo un principio condiviso dallo stesso Foch, sembrava opportuno prevedere il caso di dover inviare in Italia divisioni alleate tratte dal fronte occidentale, pur continuando a svilupparsi !'offensiva tedesca •.

* * * Mentre Diaz scriveva era esplosa, sempre all'improvviso, la terza offensiva Ludendorff sull' Aisne, con la quale i tedeschi si proponevano di sfondare le linee dell'Intesa ed obbligare così Foch a richiamare le sue riserve dal settore britannico. Per quanto notizie fomite da disertori e prigionieri avessero indicato in preparazione un'iniziativa germanica fra, l'Oise e Reims, il 20 maggio Foch ave-

' Ibidem, doc. 58. ' Ibidem, doc. 59. ' Ibidem, doc. 60 e 6 1. '' Ibidem , doc. 56. Nel contempo Clemenceau e Foch venivano avvisati dal generale Graz iani del «Jachewc co11tre-temps» che costringeva a rimandare un'offensiva, già preparata. E il generale frnncese, pur elogiando la serietà del lavoro di riordino compiuto dal Comando Supremo, volle esprimere una sua personale sensazione: «mi sembra di intravvedere nel! ' Alto Comando italiano, non saprei quali inquietudini ed indecisioni, dovute indubbiamente in pane all ' atteggiamento difensivo assunto, ma anche al timore di impegnare in battaglia truppe di cui forse non si è sicuri» (ibidem, doc. 57).


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va inviato a Pétain ed a Haig un piano per due offensive da lanciare al più presto e contemporaneamente: «Infatti solo un'offensiva permetteva( .. .) di tenninare la battaglia con una vittoria e di riprendere, con l'iniziativa delle operazioni, l'autorità morale» ', Ma alle 4 del 27 maggio, al termine di tre ore di preparazione di artiglieria, anche a gas, una massa di quindici divisioni si abbatté sulla 6° armata francese (gcn. Duchene), sorpresa in pieno, sfondando le sette divisioni francesi ed inglesi della prima linea, superando di slancio l' Aisne e travolgendo anche le quattro divisioni della seconda linea per una profondità, al centro, di 18 chilometri. Il tutto in venti ore. Il genenùe Mordacq, capo del gabinetto militare di Clemenceau, annotò nel suo diario: «li 27 maggio 19 18 lo Chemin des Dames, stimato fortificazione inespugnabile, cade senza resistenza al primo uno dclrassalto tedesco. I ponti dell'Aisne sono .vtari ponati via, e ness1111.o,fino ad oggi, ha saputo dirci come. n nemico può tragiuare successivamente tre fiumi indisturbato. Arriva ora a Chateau-Thi erry dove (a saltare il ponte. Il giorno dopo, 28 maggio, viaggio da Sarcus, al Q.G. del generale Foch, che 11011 crede ad 1111 a/Tacco di grande momento essendo cosa acceruua che esso non può dare ai Tedeschi rimirati straregici imporranti. Egli non giudica dw1q1.1e necessario di dover trasferire le sue riserve strategiche, che sono ora oelle Fiandre e nella regione d' Amiens» '·

A Parigi l'atmosfera era tesissima. Foch, Pétain, Duchène erano sul banco degli accusati, specialmente per la perdita dello Chemin des Dames, la cui conquista tanto sangue era costata. Nonostante l'animosità inglese contro Foch, ed il suo personale antagonismo, Clemenceau fece inserire nel telegramma, con cui i governi alleati chiedevano nuove forze al presidente Wilson, la seguente frase: «Riteniamo che il generale Foch, il quale dirige con abilità consumata la presente battaglia ed il cui sem10 militare ci ispira la più grande fiducia, non esageri affatto le necessità presenti»! 3 • E nella seduta del 4 giugno alla Camera, alle interpellanze sui provvedimenti che il governo si proponeva di prendere per dare all' esercito francese «i capi che esso merita» e per punire il capo che «per negligenza e imperizia può causare perdite irreparabili», Clemenceau difese Foch a spada tratta: «Se, per ottenere l'approvazione di certe persone che giudicano prematuramente, si devono abbandonare i capi che hanno bene meritato dalla Patria, di questa bassezza io sono incapace. Non aspettatevi che io la commetta( ...)»•.

' F. FOCH. Memorie cii., p.423. ' In G. Ct.E.\1ENCEAU, Grandezze e miserie d'1111a villoria cii., pp. 42-43. Clemenccau ebbe a commentare: «Mi pennetta di credere che ci sarebbe molto da dire sul passo sottolineato ( ...). Già: lasciar aiTivare i Tedeschi a 80 chilometri da Parigi, di quale importanza poteva essere'1» (ibidem, p. 43, nota I). ' Ibidem, p. 38. '«Nessuno può seriamente dubitare - scrisse più tardi Clemenceau - che 1'/\lto Comai1do non sarebbe stato travolto, s'io avessi avuto un solo istante dì debolezza» (G. CLEMtòNCEAU, Grandeu.e e miserie d'1111a villoria cii., p. 48).


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La lettera dj Diaz venne recapitata a Parigi il 30 maggjo dal colonnello Cavallero e, dato il momento tempestoso, si poteva attendere un'acre insistenza di Foch. Invece questi mostrò un'estrema comprensione per i motivi addotti dal nostro Comando Supremo: «En presence des intentions d'offcnsive que l'enncmi manifeste dcvant vous. je partage votre manière d' apprecicr la situation et j e comprende les dispositions que vous prencz dans le momenl préscnt.».

Ed assicurò lo studio delle nùsure da adottare per costituire depositi per le truppe alleate in Italia 1• La disapprovazione venne da Clemenceau. Avvisato dall'ambasciatore Barrère che, secondo Orlando, Diaz aveva in precedenza djsposto un'operazione quasi sicuramente destinata al successo, dopo aver consultato Foch ed averne ricevuto l' assenso, si rivolse seccamente a quest'ultimo per sapere che cosa esistesse di vero ncll' affermazione di Diaz 2• Foch replicò con molta tranquillità che, a parte la probabilità di un'offensiva austriaca, in ItaHa, non avrebbe certo potuto pretendere che il Comando Supremo italiano attaccasse da solo, anche perché la cosa non era negli accordi. Naturalmente, l'intera questione sarebbe stata riesaminata ove si fossero verificati cambiamenti l . In quei giomj il Comando Supremo si era orientato ad attuare il 18 giugno, con la 6" armata, un'azione ad obiettivo limitato sull'altopiano di Asiago e, eventualmente, ad ampliarne il successo, mentre la 4" annata avrebbe svolto un'azione sussidiaria nel settore del Tonale, approfittando dell'apparente assenza di indi'.l.i di offensiva imm.e diata sul Piave •. Foch prese 1a palla al balzo, anche perché stava fronteggiando un nuovo sforzo tedesco (la 4a offensiva) fra Noyon e Montdìdier, e il 12 giugno scrisse nuovamente a Diaz. A suo modo di vedere, il ritardo dell'ipotizzato attacco austriaco, previsto per i primi del mese, poteva essere interpretato come una rinuncia ed i preparativi individuati potevano trovare spiegazione nell'intento dj impedire un' offensiva italiana o di obbligare gli alleati a mantenere le loro divisioni in Italia. Perciò gli sembrava possibile ed oppo1tuno sfruttare l'incertezza del nemico per tornare al disegno offensivo su Asiago. «Le jour où une puissante attaque partirà de votre part - spjegò - il est à présumer qu 'elle coupera court à toute entreprise autrichienne». E in ogni caso, anche se l'avversario si fosse fatto vivo sul Piave il Comando Supremo aveva ancora riserve consistenti per farvi fronte. In definitiva, Foch auspicava l'esecuzione dei progetti già studiati e chledeva di conoscere le decisioni di Diaz e, possibilmente, la data d'iruzio dell 'operazione 5 • Dopo di che informò Clemenceau del passo fatto presso il Comando Supremo:

' ' ' ' '

Foch a Diaz in data 31.5.1918, USSME, Rei.azione ufficiale cit., V, lomo I bis, doc. 62. Clemenccau a Foch in data 9.6.1918, ibidem, doc. 63. Foch a Clcmenccau in data 9.6.19 18, ibidem, doc. 54. Grazfani a Foch in dat.a 11.6.l O18, ibidem, doc. 67. Foch a Clemcnceau in dal a I 2.6. 1918, ibidem, doc. 69.


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«Auj ourd'hui I' Autricbe n'attaque pas; ses retar<ls témoignent de son incertitude, les forces al· lernandes soni engagécs dans la grande bataillc de France; tout impose à I' ltalie d'attaquer, pour pro· l'iter de l' initiative, dc l'état mora! de son armée, d' une situation avantagcuse de 1oute façon».

«Avevo appena compiuto ciò - ricordò Foch - quando si scatenò la grande offensiva austriaca» '· Il 13 giugno Orlando comunicò a Diaz il colloquio avuto con l'ambasciatore Barrère. Ma ormai nessun dubbio poteva più sussistere sull' imminenza dello sforzo austriaco. Lo stesso generale Graziani telegrafò a Foch ed a C lemenceau che «!es indices d 'une offensive autricheenne diviennent de plus-en-plus nombreux» 2• Essa ebbe inizio la notte sul 15 giugno dall' Astico al mare. Ma l'esercito italiano era pronto.

2. L A BA'ITAGLIA DEL SOLSTIZIO (2° BA'ITAGLIA DEL PtAVE)

Anche l'Austria non sfuggiva all' angoscioso problema dei complementi. L'aveva affrontato nel 1917 con provvedimenti di vario genere, ma scarsamente incisivi. Né la situazione era migliorata all'inizio del 1918 con il recupero dei prigionieri dalla Russia (circa mezzo milione rimpatriati sino a giugno), perché la restituzione di 900 1nila prigionieri russi adibiti al lavoro causò ulteriori difficoltà. Tra le misure suggerite dalla crisi di uomini, quelle di carattere ordinativo risultarono appropriate sotto il profilo dell'efficienza operativa e sotto quello del più regolare assetto dell'esercito, reso piuttosto caotico da tutta una serie di improvvisazioni prese sotto l'assillo di circostanze locali o temporanee. La divisione di fanteria assunse una più stabile fisionomia. Essa fu costituita da due brigate di fanteria, una di artiglieria, un battaglione d'assalto ed un battaglione zappatori. Le prime erano su due reggimenti di fanteria di tre (non più quattro) battaglioni ciascuno ed una o due sezioni di pezzi d'accompagnamento; ogni battaglione aveva quattro compagnie fucilieri ed una mitraglieri (su otto armi). La brigata d'artiglieria, pluricalibro, ebbe due reggimenti da campagna, uno pesante campale ed un gruppo da montagna (per l'accompagnamento della fanteria) . La divisione di cavalleria era stata appiedata nel 1917 per carenza di cavalli, ma ovviamente, dato l'organico, la sua efficienza bellica poteva paragonarsi ad appena una brigata di fanteria. Disponeva peraltro di un reggimento di artiglieria a cavallo e di uno pesante campale. Nel. settore addestrativo molto venne preso da quanto attuato dalla Germania nelle offensive di piimavera, cui tanti ufficiali austriaci avevano assistito: dalle ondate d'urto spiccatamente articolate all'alternarsi del fuoco e movimento nelJ'azione delle minori unità, all'avanzata della fanteria a ridosso delle cortine mobili create dall 'artiglieria. Si aggiungano gli esercizi di superamento di corsi

' F. FOCH, Memorie cit. , p. 47 l. ' Graziani a Foch ed a Clemenceau in data 13.6.1 918, USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 1 bis, doc. 68.


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d'acqua eseguiti sui tratti della Livenza analoghi a quelli scelti sul Piave per il forzamento; nonché l'abbondanza di materiale cartografico distribuito anche ai livelli minori con l'ordine di una scrupolosa assimilazione da parte degli ufficiali e dei sottufficiali, in modo che non avessero bisogno di consultare schizzi, carte ed istruzioni durante il combattimento. La Relazione ufficiale austriaca sintetizza lo stato cieli' organismo militare con due affermazioni apparentemente contrastanti, ma comprensibili perché entrambe basate su elementi di fatto: «In complesso l'esercito, grandemente sviluppato, riordinato e modemizzato in fatto di mezzi di lotta, era uno strumento di forza che imponeva rispetto ed ammirazione dal punto di vista organico e tattico»; purtroppo il morale era minato dalle restrizioni alimentari, dalle idee sovversive (pacifismo, nazionalismo, socialismo) e dalla piaga delle diserzioni 1• «In sostanza - conclude - fu un vero mi racolo che quell' esercito affamato e malvestito, fiaccato moralmente e fi sicamente di fronte ed alle spalle, potesse costituire ancora a lungo uno strumento di guen-a capace di incutere rispetto e timore nell' avversario; ciò può spiegarsi solo colle antiche tradizioni, colla vitalità dell'organismo» 2 • Non risulta peralt:t·o che le uuppe in linea risentissero molto dei predetti elementi deteriori. Gli apprestamenti sul piano logistico furono copiosi e minuziosi, riguardo specialmente ai trasporti ferroviari ed all' ammassamento di ingenti scorte alimentari e cli munizioni. Il 24 luglio, dopo la battaglia, il ministro della Guerra austro-ungarico affermò al Parlamento, convocato in seduta segreta, che «nel complesso, come preparazione di mezzi tecnici per la guerra, l'ultima offensiva passò di intensità e di proporzione ogni altra finora fatta creando in tutti, ufficiali e soldati, un'assoluta fiducia nel successo» 3 • I primi di giugno, dopo la battaglia dc li ' Aisne e l'arresto della terza offensiva Ludendorlf, il generale von Cramon consegnò all'Alto Comando austriaco un messaggio dell' O.H.L. in cui, ricordate le due grandi vittorie riportate dalle am1ate tedesche alla Somme (rottura del fronte inglese presso .il limite di settore con l' esercito francese) ed all'Aisnc (rottura del fro nte francese e, per la seconda volta, raggiungimento della Marna), accennava al possibile intervento delle rilevanti forze americane tenute in riserva, evento che avrebbe gravemente pregiudicato, se non addirittura paralizzato, la grande offensiva germanica. «Epperò - continuava - l' esercito germanico si attende e ripromette dai suoi valorosi fratelli

d' anne austro-ungarici un pronto e vigoroso sl"Orlo offensivo che, sia mettendo fuori combattimento !"avversario del teatro d'operazioni sud-occidentale. e permettendo quindi a unità austro-ungari-

' Certi stati d'animo in g uerra sono stranamente comuni ad ambo le parti. «Vi fu un momento, - ricordò Orlando - in cui diventò imponente il fenomeno delle discrlioni, impressionante come non era mai stato. forse neanche sotto Cadorna. Ciò avvenne nel maggio l918» (V.E. 0RLAN l)O, Menwrie cit., p. 5 17). ' USSMRE, Riass111110 della relazione 11./]ìciale a11s1riaca cit., p. 464. ' USSME, Re/azio11e 11.ffrciale cit., V, tomo I, p. 280.


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che di accon·cre in Francia in suo appoggio, sia richitLrnando da l teatro cl'operazioni occidentale buona pane delle riserve americane, gli consenta di completare in breve volgere di tempo quella vittoria decisiva che metterà fine alla guerra mondiale» '.

Il generale Arz rispose l' 11 giugno con una lettera enfatica - nonostante proprio quel giorno fosse stata diffusa la brutta notizia dell' affondamento della corazzata Szent lstvan nelle acque del porto di Pola per mano italiana - che ostentava la certezza della vittoria: «Possediamo un numero di di visioni molto superiore a quello che il nemico suo opporsi; le nostre unità sono salde, numerose ed agguerrii.e; le nostre artigl ierie sono assai più potenti di quelle avversarie. Attacchiamo il nemico contem1>oraneamente e concentricamente su un fronte di grande sviluppo: le sue scarse riserve non potranno mai bastargli a fronteggiare la nostra pressione da tutte le parti; CSije si logoreranno presto nell'inutile sforzo, e la nostra vittoria sarà tanto più facile e decisiva, quanto più rapida e dccisn sarà la nostra avanzata.» ' ·

Lo schieramento del gruppo d'esercito Conrad vedeva, dunque, per l'operazione Lawine la 10" annata con il compito dimostrativo ad ovest dell' Astico; per l' operazione Radetzky l' 11" armata dall' Astico al Piave, con lo sforzo principale daJI ' Altopiano dei Sette Comuni su Thiene (UT, Xlll e VI corpo) e quello concomitante sul Grappa (.XXVI, I e XV corpo). li dispositivo assunto dal gruppo d'esercito Boroevié per l'operazione A.lbrecht vedeva la 6• armata con il compito di superare il versante nord-est del Montello e poi aprirsi in piano cercando di collegarsi con I' 11 • armata a destra e la 5• (Isonzo-Armee) a sinistra; e questa, schierata dal Ponte della Priula al mare, incaricata dello sforzo principale da sviluppare lungo due direttrici: OderzoTreviso (XVI, rv e Vll corpo) e San Donà di Piave-Mestre (XXVII corpo). L' inizio dell'offensiva, in un primo tempo stabilito per il 20 maggio, poi spostalo aW 11 giugno, venne rimandato al 15 per completare i preparativi e questa data fu mantenuta a dispetto delle condizioni meteorologiche avverse e del1' ingrossamento del Piave. A dire il vero, Boroevié chiese con insistenza di dilazionare di tre giorni l'offensiva, tanto che l' Imperatore in persona lo chiamò al telefono nel pome1iggio del 14, lasciando alle incondizionate sue volontà e responsabilità la decisione se dare il via all'operazione o ritardarla ancora. Boroevié allora confermò l'inizio dell ' attacco per quella notte, visto che Conrad aveva dichiarato impossibili ulteriori ritardi sul suo fro nte e tenuto altresì conto del fatto che il livello delle acque del Piave era tornato alla normalità. Però, tutto sommato, era ottimista: «(...) Giammai un 'offensiva venne da nostra parte allestita con forze e mezzi maggiori, tanto che con certezza si faceva affidamento su un successo strategico» scrisse sul diario storico del Comando giuppo d'esercito 3 • «Così il destino seguì il suo corso» concluse la Relazione austriaca \

' Ibidem, pp. 297-298. ' Ibidem, p. 297. l L. SEGATO. L'Italia nella guerra 111011dia/e cil., IV, p. 11 l. • USSMRE, Riass111110 della relnz)one ufficiale austriaca ciL, p. 484.


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QUADRO Dl BATTAGLIA DELL'ESERCITO AUSTRO-UNGARICO il 15 giugno 1918

Comandante su premo: Imperatore e Re Carlo I

Capo di Stato Maggiore : col. gen. Arz von Strassenburg

Gruppo d'esercito Courad (mar. F. Conrad von Hoetzendorf) su: IO' annata (mar. A. von Krobatin) su: gruppo arciduca Pietro Ferdinando (gen. f. Are. Pietro Ferdinando) XIV corpo d'armata (gen. f. Verdross von Drossberg) XX corpo d 'armata (gen. f. Kaiser von Maasfeld) XXI corpo d'armata (gen. f. von Llitgendorff) riserve d'annata 11• armata (col. gen. V. von Scheuchenstuel) su: I corpo d 'armata (gen. f. Kosak) m corpo d'annata (col. gen. Martinj von Malastow) V] corpo d'annata (gen. f. G. Kettler von Gromnik) XDI corpo d'armata (gen. f. Csanàdy von Bénés) XXVI corpo d'annata (gen. f. Horsetzky von Homthal) XV corpo d',mnata (gen. f. K. von Scotti) riserve d'armata

Gruppo d' esercito Boroevié (mar. S. Boroevié von Bojna) su: 6' armata (col. gen. Are. Giuseppe) su: II corpo d' armata (gen. f. R. Krauss) XXIV corpo d'armata (ten. mar. L. Goiginger) riserve d •annata 5" armata o lsonzo-Armee (col. gen. von Wurm) su: IV corpo d'armata (gen. c. Pr. Schèinburg-Hartenstein) VII corpo d 'armata (gen. f. Schariczer von Rény) XVI corpo d' armata (gen. f. Kralicek) XXIII corpo d 'armata (gen. f. Csicserics von Bacsàny) riserve d'armata

Riserva del Comando Supremo


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L'eserc.ito italiano affrontava la battaglia con la 6' armata sull'altopiano di Asiago, la 4• sul Grappa, 1' 8" sul Montello e sul medio Piave sino al Ponte della Priula, la 3• sul basso Piave sino al mare 1• A tergo stava l'am1ata di riserva del Comando Supremo articolata in tre gruppi: due corpi a tergo del basso Piave, due dietro il Montello ed uno allo sbocco della val Lagarina. Un grosso concentramento di automezzi consentiva ad essi un rapido spostamento per linee interne. Diaz si era ripromesso cli impiegare eletta riserva dapprima, e laddove indispensabile, per alimentare la resistenza; successivamente, in caso di rottura del fronte, in azione controffensiva per cost1ingere il nemico a ripassare il Piave. Perciò avvertì i comandanti d'annata di realizzare una difesa in profondità di durata tale da permettere al Comando Supremo di intervenire non sotto la pressione degli avvenimenti, bensì a ragion veduta 2 • Alcune im1ovazioni di carattere organico e d ' impiego rivestirono speciale importanza. Limitandoci a pochi cenni sulle grandi unità, ricordiamo che l'armata conservò la funzione di grande unità strategica e logistica come protagonista della battaglia, ma si continuò a rifiutare l'introduzione del livello grnppo d'armate, con funzioni di coordinamento strategico. Il corpo d'armata, sempre considerato unità di manovra per eccellenza, vide ridurre il proprio ruolo alla fun zione tattica e, per di più, perse gran parte delle attribuzioni logistiche primariconosciutegli. lnoltre, con l'istituzione del Comando artiglieria divisionale perderà anche il compito di impiego unitario delle artiglierie. In cambio, vennero aumentati i reparti non indivisionat.i a sua disposizione (fra cui un reparto d'assalto) come truppe suppletive, con i quali fu in grado di regolare la gravitazione dello sforzo. La divisione di fanteria ricevette finalmente il riconoscimento dell' importanza della sua funzione di grande unità tattica fondamentale, di grande unità elementare inscindibile nelle sue componenti, cioè di pedina-base dell'armata per la condotta della manovra. La divisione italiana conserverà ancora, nel 1918, ordinamento quaternario con un rapporto fanteria-artiglieria inferiore a quello esistente nelle divisioni francese e tedesca. La divisione di cavalleria ebbe una sola, ma rilevante, modifica: fu considerevolmente aumentata la sua potenza di fuoco (incremento delle mitragliatrici e adozione del moschetto quale arma da fuoco individuale) in modo da poter partecipare al combattimento con i reparti appiedati 3 •

' li IO gi ugno le annate furono autorizzate ad usare in tutte le comunicazioni non stret.t amcnte di servizio le seguenti denominazioni: 1• armata, del Trentino; 3" armata, del Piave; 4" annata, del Grappa; 6" armata, degli Altipiani; 7• annata, delle.Giudicarie; 8° annata, del Montello; 9' annata, di Riserva. ' USSME, Relazione ufficiale cit., VI, tomo 2 bis, doc. 94. ' Clr. F. STEFAN"I, Storia della dottrina e degli ordinamenti dell'esercito iwliano cit., 1, cap.

XIX.


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QUADRO DI BATTAGLIA DELVESERCITO ITALIANO il 15 giugno 1918

Capo di Stato Maggiore: ten. gen. A. Diaz Sottocapo di Stato Maggiore: ten. gen. P. Badoglio 1• armata (ten. gen. G. Pecari Giraldi) su: V corpo d'armata (ten. gen. G. Ghersi) X corpo d'armata (len. gen. E. Caviglia) XXIX corpo d'armata (ten. gen. V. de Albertis) truppe suppletive d'armata 3• armat'a (ten. gen. E.F. duca d'Aosta) su: Xl corpo d'armata (ten. gen. G. Paolini) XXIII corpo d'armata (ten. gen. C. Petitti di Roreto) XXVIII corpo d'armata (ten. gen. G. Croce) truppe suppletive d'armata 4° armata (ten. gen. G. Giardino) su: I corpo d'annata (ten. gen. S. Piacentini) VI corpo d'amrnta (ten. gen. S. Lombardi) IX corpo d'annata (magg. gen. E. de Bono) XVII[ corpo d'armata (magg. gen. L. Basso) truppe suppletive d'annata 6· armata (ten. gen. L. Montuori) su: XII corpo d'annata francese.,Jgen. J.C. Graziani) XIII corpo d'annata (magg. gen. U. Sani) XIV corpo d'armata britannico (t.en. gen. Lord Cavan) XX corpo d'armata (ten. gen. G. Ferrari) truppe suppletive d'armata 7" armata (ten. gen. G.C. Tassoni) su: III corpo d'armata (ten. gen. V. Camerana) XIV corpo d'armata (ten. gen. P.L. Sagramoso) truppe suppletive d'armata 8" annata (tcn. gen. G. Pennella) su: Vili corpo d'armata (ten. gen. A. Gandolfo) XXVII corpo d'annata (magg. gen. A. Di Giorgio) truppe suppletive d'armata Riserva generale - 9' annata (ten. gen. P. Morrone) su: Xlll corpo d'armata (magg. gen. G. Cattaneo) XXII corpo d'armata (ten. gcn. G. Vaccari) XXV corpo d'armata (ten. gcn. E. Ravazza) XXVI corpo d'armata (ten. gen. V. Alfieri) XXX corpo d'armata (m,agg. gen. U. Montanari) corpo d'annata d'assalto (magg. gen. F. Graz.ioli) unità non inquadrate

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sis~eina del Bren,;a

I sistenĂš difensivi dall'Astico al Piave.


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II piano di difesa studiato dal Comando Supremo derivava dalle prime misure prese al termine della ritirata ed era assai complesso. Comprendeva otto sistemi difensivi, che rispondevano alle esigenze poste da vruie ipotesi di sviluppo della battaglfa difensiva. Il primo sistema correva dallo Stelvio al mare e segnava sul terreno il tracciato dello schieramento dell'esercito. Il secondo partiva dal lago di Garda e si snodava press' a poco parallelamente al primo, a non più di un paio di chilometri di distanza. Si basava su un'unica fascia di trinceramenti con saltuari raddoppi; in alcuni tratti si collegava con bretelle al primo ed al terzo sistema. Il terzo sistema, pii:1 semplice, si appoggiava anch'esso al lago di Garda e si teneva a sud dell'allineamento Schio-Thiene-Marostica-MontebeJluna, poi piegava verso sud-est congiungendosi con i l campo trincerato di Treviso. Gli altri cinqt.!e sistemi si appoggiavano ciascuno ad un corso d' acqua del quale potenziavano il valore impeditivo (Musone, Brenta, Bacchiglione, Mincio, Adige), per arginare e logorare la spinta offensiva nemica fino a provocarne l'esaurimento. Insomma, l'intera pianura fra il Piave ed il Mincio era preparata per l 'ingabbiamento di qualsiasi penetrazione in forze. Quanto all'organizzazione del primo sistema difensivo, le caratteristiche naturali cieli' Altopiano dei Sette Comuni, del Grappa e del Piave, ben differenti da quella della fascia alpina nord-orientale, imposero una soluzione ad hoc al nuovo problema strategico e talun.i adattamenti ai criteri seguiti sino al 1917. Inoltre la presenza di grandi unità alleate suggeriva l'opportunità di cercare una certa uniformità di organizzazione e di condotta del combattimento. Le prime direttive in proposit& diramate da Diaz richiamarono all' osservanza di prescrizioni già impartite da Cadoma e palesemente non assimilate, come si era dovuto constatare in autunno, quali lo scaglionamento in profondità della fanteria per ridune le perdite ed agevolare le reazioni dinamiche e quello dell'artiglieria in ragione della gittata e della mobilità. Poi, con due note rispettivamente del 7 e del 23 gennaio 1918, il Comando Supremo portò a conoscenza delle armate i criteri stabiliti per le proprie unità dai Comandi delle forze francesi ed inglesi in Italia, allo scopo di mettere l'esperienza alleata «a contributo per il perfezionamento dei nostri metodi tattici e tecnici». Le disposizioni francesi si soffermavano in pratica sull'organizzazione di un settore di posizione difensiva composta da tre (almeno) o quattro (cli solito) linee successive, nel cui ambito realizzare un'adeguata disposizione delle truppe in profondità, il gioco dei contrattacchi e l'intima cooperazione fanteria-arti glieria. Le linee si distinguevano in prima parallela, da occupare in relazione alla situazione operativa; parallela dei rincalzi, ad un centinaio di metri dalla precedente, con i reparti di rincalzo delle compagnie di prima linea; parallela dei sostegni, con le compagnie di seconda linea; parallela delle ridotte, a 300-600 metri dalJa precedente, con i battaglioni cli seconda linea. La profondità complessi va della posizione variava, dunque, fra i 700 ed i 1.000 metri. La distanza


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fra due posizioni successive doveva essere non inferiore ai 3 chilometri per impedire all'artiglieria nemica di preparare contemporaneamente l'attacco su entrambe e per costringerla a spostarsi in avanti per attaccare la seconda. 11 rapporto tra riserva e truppe schierate oscillava da un terzo alla metà. L'artiglieria si schierava generalmente fra due posizioni successive, nel qual caso veniva predisposta una linea intennedia a protezione delle batterie, oppure all'interno della seconda posizione. Dai Comandi di divisione dipendevano l'artiglieria da trincea, quella campale e quella pesante campale a breve gittata, «in una parola, tutta 1' a1tiglieria che può efficacemente .intervenire contro la fanteria nemica». Dai Comandi di corpo d'armata, l'artiglieria pesante campale a maggior gittata e pesante, con compito prevalente di controbatteria. Al Comando d' armata faceva capo I' a1tiglieria di eccezionale potenza, in grado di agire sulla fronte di più settori di corpo d'am1ata. Quanto all'impiego, i criteri erano chiari: «non si deve trascurare alcuna occasione per nuocere al nemico e non si devono attendere ordini per sparare» contro obiettivi individuati; «trascurare l'aitiglieria nemica equivale ad abbandonare la propria fanteria ai colpi nemici»; alla preparazione di fuoco dell'attaccante bisognava «rispondere con un'immediata contropreparazione almeno intensa quanto quella nemica, in modo da disorganizzare le truppe d'assalto ammassate nelle trincee di partenza». Tutto ciò poteva considerarsi più o meno di acquisizione comune, ma il punto fondamentale era che l'intervento dell'artiglieria poteva essere ordinato «dai comandanti di fanteria locali della fronte» senza dover ricorrere ai Comandi d'artiglieria divisionali o di corpo d'armata. A tal fine, ufficiali di artiglieria erano distaccati presso i Comandi di reggimento di fanteria '. Le disposizioni britanniche, oltre a prescrivere un dispositivo profondo, basato in linea di massima su tre sistemi, ne definivano anche le funzioni. Il primo sistema, avanzato o degli avamposti, ed il secondo, di resistenza principale, costituivano di fatto la posizione difensiva. Il sistema avanzato aveva lo scopo di evitare la sorpresa e pertanto di giorno poteva essere presidiato soltanto con mitragliatrici. Il sistema di resistenza principale comprendeva una serie di zone difensive (assai simili agli odierni capisaldi) o di linee difensive da organizzare a difesa in relazione alle carattelistiche del terreno. A tergo, a distanza tale da obbligare l'avversario a p01tare avanti le artiglierie, c'era un sistema difensivo retrostante, analogo al precedente ma da occupare con le truppe di riserva in caso di sfondamento del sistema principale. In merito all' impiego dell'mtiglieria, si insisteva per uno stretto collegamento con la fanteria ed un'adeguata preparazione dei tiri di inquadramento sui prevedibili obiettivi. Alla controbatteria era richiesta la distruzione completa delle batterie nemiche 2•

'USSME, Re/;1zione ufficiale cit., VI, tomo 2 bis, doc. 81. ' Ibidem, doc. 80.


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Radicati 01111ai i principi di 1iservare alle linee od alle zone avanzate la sola funzione di sicurezza, di scaglionare in profondità le forze e le rutiglierie, di impiegare la riserva eventualmente per alimentru·e la resistenza, ma principalmente per contrattaccare, a ben guardare gli orientamenti concettuali stavano unjformandosi ad un modello ben definito 1• A prescindere dalla ternùnologia, una posizione difensiva si basava su una zona di sicurezza, avanzata; una posizione di resistenza ad oltranza ed una posizione ruTetrata o di contenimento. 11 terreno e le circostanze potevano imporre o suggerire qualche variante, specie in termini di profondità dei tre elementi costitutivi della posizione difensiva, a non sostanziale. E di questo tipo, appunto, era il dispositivo italiano apprestato per I.a, 2• battaglia del Piave. Il primo sistema difensivo si a1ticolava infatti su tre linee; di osservazidne e prima resistenza (già linea avanzata), marginale esterna (già linea di resistenza ad oltranza), arretrata (già linea d'armata). Nella parte montana le nltime due linee in realtà si configuravano come due fasce ad andamento irregolare per sfruttare la plastica naturale e perché condizionate dalle posizioni occupate dal nemico nel corso della battaglia d'arresto. Ognuna di esse comprendeva due o più linee, intersecantisi e raccordate da bretelle, nonché posti scoglio. In pa1ticohu-e sul Grappa la disponibilità di terreno era così esigua che l'attacco poteva sboccare in pianura dopo appena un giorno di combattimento. La linea marginale esterna sfruttava perciò quasi tutto lo spazio disponibile sino al bordo posteriore del massiccio e la Jjuea ~u-retrata si trovava sulla striscia pedemontana a 500-800 metri dalla base degli scoscesi pendii del Grappa. Sul Piave la difesa era costretta a proiettarsi avanti per rendere arduo il forzamento del corso d'acqua riducendo quindi Ja Unea di osservazione e prima resistenza a poca cosa.

* * * In maggio i sintomi di un'imminente offensiva si rafforzarono con sempre maggior precisione, tanto che il giorno 23 il Comando Supremo trasse la conclusione di uno sforzo principale sferrato dal medio e basso Piave con obiettivo Treviso, mentre nel contempo altre azioni sarebbero pmtite dagli Altipiani e dal Grappa pronte, in caso di sviluppi favorevoli, a trasformarsi in azioni principali 1. Di conseguenza, tra la fine di maggio ed i primi di giugno il Comando Supremo provvide a diminuire la densità sulle linee avanzate, ad arretrare conve-

' 11 più complet() modello difensivo fu quello che i tedeschi vennero adottando nella seconda metà del 1917. La posizione difensiva si a1iico!ava in tre zone successive, ciascuna delle quali con uno specific() significato tattico. La prima, zona di copertura , profonda piì1 di un chilometr(), aveva il compito di impedire la sorpresa e di contTastare i colpi di mano e le piccole infiltrazioni; la seconda, zona di combaJfimemo, quello di arrestare l'allacco mediante la combiml7ione di resisienzc statiche e di reazioni dinamiche su parecchi chilometri di profondità; la terza, zona arretrata, scelta a non meno di tre o quattro chilometri dalla seconda ed organizzata analogamente ma sonunariamente, doveva impedire il dilagamento della penetrazione avversaria una volta sfondata la zona di combattimento. ' N()tiziario giornaliero del Comando Supremo in data 23 maggio.


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nientemente lo schieramento delle artiglierie pesanti, ad incrementare la massa di fuoco a disposizione dell'8• e della 3' annata, a gravitare con la riserva generale verso il Piave. Sui circa 120 chilometri di fronte dall' Astico a San Donà di Piave si contrapponevano: nel tratto montano 20 divisioni di fanteria e 3 di cavalleria cieli' 11 • annata austro-ungarica contro 18 divisioni di fanteria (di cui 2 vincolate dal Comando Supremo) della 6" e 4• armata; sul Piave 15 divisioni di fanteria e 4 di cavalleria del gruppo Boroevié contro 11 divisioni (cli cui 2 vincolate) dell'8" e della 3• annata. Il Comando Supremo manteneva, inoltre, a propria disposizione altre 13 divisioni (cli cui una d 'assalto, una czeca ed una di cavalleria). L'avversario schierava circa 5.500 bocche da fuoco con un'immensa disponibilità cli munizioni (solo sugli schieramenti d' artiglieria erano ammassati oltre 6 milioni di proietti, quasi 1.100 per pezzo) mentre gli italiani e gli alleati ne contavano poco più di 4 mila. Nel quadro delle minori operazioni autorizzate dal Comando Supremo, il Comando III corpo, su incarico del Comando 7• armata, aveva progettato e organizzato un'azione dalla val Camonica. Il carattere di essa era venuto però affinandosi, passando dal profilo di mossa preventiva a titolo precauzionale a quello di contromanovra da svolgere nell'acce1tata prossimità dell'offensiva austriaca, per creare nell'avversario motivo di ince1tezza se non di preoccupazione per le sue retrovie. li generale Badoglio chiarì tale intenzione in una riunione tenuta ad Edolo il 29 maggio, precisando che per raggiungere lo scopo l'azione in questione doveva essere contraddistinta da notevole potenza, esplicata con estrema decisione e sviluppata lungo una direttrice di elevato rendimento. L' unica possibilità di questo tipo esistente in val Camonica era rappresentata dalla direttrice di val Vermiglio, oltre il passo del Tonale, ed il comandante della 5' divisione (gen. Piccione), cui era affidata l'impresa, la dichiarò fattibile. L'inizio doveva coincidere con quello dell'offensiva nemica sugli Altipiani e sul Grappa, prevista allora per il 6 giugno e poi spostata. I preparativi furono accurati; la divisione fu rinforzata con il III, il IV ed il VII gruppo alpini e con il III battaglione d ' assalto; le bocche da fuoco a sua disposizione superarono le 300. Il 12 giugno il Comando Supremo fissò al 16 l'inizio, ma gli eventi l'an.nullarono. Proprio quel mattino, alle 3,30, cominciò la preparazione d'artiglieria per l'operazione Lawine. L'attacco si pronunciò solo all'alba del 13, con l'attenuarsi delle pessime condizioni atmosferiche. Dopo momenti di aspra lotta, nelle prime ore del 14 l'avversario abbandonava la partita. Nella Relazione austriaca si legge: «( ... ) l'impresa del Tonale, con la quale si era sperato di conseguire consistenti guadagni tenito1iali e l'agganciamento di notevoli forze avversarie, fallì sin dal primo giorno. Il suo fallimento, unitamente al siluramento della grossa nave da battaglia Szent lstvan, furono di cattivo augurio per l'imminente offensiva» 1• lnfatti.

' In USSME, Relazione 1~/jìciale cit., V, tomo 1, p. 352.


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Fra le disposizioni emanate dal Comando Supremo in vista della battaglia, una emerge, anche perché facilmente collegabile con le vicende del 24 ottobre 1917. Si tratta della controprcparazione d'artiglieria. A Caporetto il «silenzio del!' artiglieria» aveva suscitato aspre polemiche, sul Piave il pronto intervento provocherà accesi contrasti sul reale svolgimento dei fatti cd in campo dottrinale. Il 29 marzo, nelle sue «Nonne per .l'azione difensiva» Diaz aveva scritto: «L'attacco nemico deve essere infranto col fuoco (di contropreparazione) e col mo\•imento (con1rattacchi). Allorché ravversario inizia il tiro violento d'artiglieria, sulle nostre linee, facendo prevedere un imminente attacco(... ) r artiglieria della difesa deve aprire prontamente il fuoco di contropreparazione, concentrando i suoi tiri sugli elementi vi tali nemici ( ...) ed aprendo il fuoco simultaneamente, con il maggior numero possi bi le di batterie, in modo du sorprendere il nemico e soffocare l'atta~co prima che questo si pronunci. La w na dalla quale si prevede sboccherà l'attacco deve così essere sistematicamente battuta con potenti concentramenti di fuoco già preparati e controllati. Se ciò nonostante il nemico muove all' attacco, è assolutamente indispensabile che gli osservatori( ... ) pennellano ,1lle t.1.1.1ppe di occupare prontamente i posti di combattimento cd all'artiglìeria di sbarramento di intervenire anch 'essa pronta e violenta( ...). Tutto dunque posa sull'osservazioni.: del momento in cui il nemico irrompe all'attacco e sulla immediata segnalazione alla fanteria, all'artiglieria. ai Comandi(...). Ove il nemico pervenga ad occupare qu,1lchc tratto della fronte attaccata e ad irrompere nelle nostre pos izioni , l' artigl ieria di tutti i calibri deve concentrarvi il fuoco per renderle inten ibili ( ...)» ' .

Di conseguenza i comandanti d'artiglieria di ogni grande unità, fecero preparare le «tabelle di tiro di contropreparazione», riferite agli ogiettivi importanti da battere (Comandi, osservatori, zone di raccolta, punti di obbligato passaggio, centii di vita, batterie, ecc.) e tenute a giorno in modo da trovarsi in condizioni di intervenire tempestivamente nel caso di un'improvvisa preparazione nemica. Quanto aJ momento in cui iniziare l' intervento, è chiaro il criterio del Comando Supremo di rispondere con immediatezza al bombardamento preliminare. In altri termini, si trattava di attuare una contropreparazione immediata e non una contropreparazione preventiva, cioè in anticipo rispetto alla preparazione dell'attaccante, ammesso e difficilmente concesso di conoscerne con esattezza giorno ed ora di inizio. Il 7 aprile, però, con la circ. 9687 diretta ai comandanti d'armata, Diaz tornò sulla questione. Apparendo «verosimile che nella imnunenza di un'offensiva nemica conosciamo tempestivamente il giorno e fors 'anche l'ora di inizio dell 'attacco», egli intendeva che «un' ora prima del momento stabilito per l'attacco se, come è probabile, ne saremo in tempo informati - oppure non appena si abbia la sensazione che è incominciata la preparazione nemica, si inizi da parte nostra una violenta contropreparazione di fuoco (...)» e prescrisse lo «sbarramento metodico coi piccoli calibri anche durante la preparazione nemica» 2• In sostan-

' Ibidem, V, tomo I bis, doc. 27. ' Ibidem, V, torno l, p. 369.


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za: se possibile contropreparazione preventiva, altrimenti contropreparazione immediata. Il cenno allo sbarramento de1ivava dall'esperienza di Caporetto, ove la fanteria d'assalto austro-tedesca si era avvicinata alle nostre posizioni durante il tiro di distruzione. Vi furono differenze di interpretazione, probabilmente dovute al diffuso scetticismo di riuscire a conoscere la precisa ora di inizio della preparazione avversaria, talché, percependo la possibilità di equivoci, il 17 aprile il generale Badogi io, in una conferenza ai comandanti d'artiglieria delle annate, chiarì nettamente che «la contropreparazione è compito essenziale dell'artiglieria ed è intendimento di questo Comando che essa debba essere iniziata un' ora prima del1' azione avversaria oppure ai primi sintomi della stessa, a seconda che si abbiano o no in precedenza informazioni su essa» '. L'argomento fu successivamente richiamato in diverse sedi. Il l O giugno, ancora, Diaz disse ai comandanti d'annata: «( ...) è probabile si riesca a conoscere giorno e ora dell'attacco. Noi possiamo e dobbiamo quindi prevenire il nemico, sia nei giorni precedenti a quello della sua azione con fuoco sistematico di artiglieria o con piccole azioni ben studiate e che siano con grande probabilità redditizie, sia nelle ultime ore che precederebbero l O scatto delle sue fanteria. E ciò con tiri di contropreparazione già altre volte esaminati, effettuandoli a gas sulle batterie avversarie( ...)» 2 • Ciò malgrado i Comandi d'armata rimasero poco in sintonia col pensiero del Comando Supremo. Certo le continue smentite sulla data cieli' offensiva orientavano sempre più a prendere come punto cli 1iferimento l'inizio del bombardamento austriaco. In questo clima di generica disciplina delle intelligenze, spicca il caso della 6• rumata. L' 11 aprile il generale Montuori aveva diramato ordini in piena aderenza alle direttive del Comando Supremo del 7 aprile; il 15 aprile modificò le proprie disposizioni passando dalla dottJina della contropreparazione anticipata a quella della contropreparazione immediata; il 13 giugno decise addir.ittura di ordinare il fuoco di contropreparazione <<mezz'ora dopo l'inizio della preparazione nemica»! 3• Peraltro, il giorno seguente l'ufficio infomuizioni dell'armata, le cui notizie si erano sempre dimostrate esatte, precisò che l'attacco avrebbe avuto luogo il 15 dopo u·e-quattro ore di preparazione d 'artiglieria e che la fanteria sarebbe scattata avanti fra le 6 e le 7. Allora Montuoli autorizzò il generale Segre, comandante d'artiglieria dell'armata, a predispone ed attuare la contro preparazione come l'aveva progettata. Alle 23,30 del 14, pertanto, l'artiglieria della 6• armata eseguì poderosi concentramenti sugli obiettivi previsti dalle tabelle di tiro approntate. In conclusione, per quanto l'intendimento ciel Comando Supremo fosse inequivocabile sulla scelta della contropreparazione anticipata; per quanto la di-

' lbidem, p. 372. ' Ibidem, p. 373 ; Ibidem. p. 375.


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sponibilità di munizioni fosse tale da non suscitare timori di spreco; per quanto il giorno 14 Badoglio avesse telefonato a Giardino, ed evidentemente anche agli altri comandanti d'armata, che, secondo le ultime notizie fornite da disertori, l' azione sarebbe conùnciata il 15 e la preparazione di fuoco alle 2 1, rimase nei Comandi d'armata qualche incertezza sul tratto di fronte che sarebbe stato investito, non credendosi che l'intero fronte dall' Astico al mare sarebbe stato coinvolto 2 • Così l'esecuzione della contropreparazione risultò differenziata e, in taluni casi, ebbe inizio con anticipi più o meno rilevanti. Quanto all'impostazione della battaglia, essa può riassumersi nei seguenti concetti: disarticolazione iniziale dell'attacco mediante la contropreparazione d'artiglieria; difesa in posto sull'Altopiano di Asiago, sul Grappa e sul Montello; difes1\ in profondità sul Piave; tempestiva reazione dinamica mediante contrattacchi resi possibili da una resistenza protratta per il tempo occorrente al loro esplicarsi.

* * * Alle 3 del 15 giugno la preparazione d'artiglieria austriaca incendiò il fronte dall' Astico al mare. Ma contemporaneamente, ed in alcuni settori giù prima, aveva inizio il fuoco di contropreparazione dell'artiglie1ia italiana: il X corpo della 1• armata aprì il fuoco alle ore zero del 15 e, verso le 3,15, non risultando direttamente inpegnato, rivolse il tiro sul fronte del contiguo XIV corpo britannico della 6° armata; l'intera 6" armata, che sin dalle 22,30 del 14 batteva le più sensibili zone di radunata e vie d'afflusso del nemico, fra le 3,15 e le 3,30 sviluppò la completa contropreparazione sul proprio fronte; il 1 ed il XVIII corpo della 4• armata agirono con fo1ti concentramenti nella tarda serata del 14, poi intensificarono tiri di interdizione dalle ore zero alle 2 del 15 ed infine alle 3, non appena il nemico cominciò la sua azione, tutte le loro batterie parteciparono alla contropreparazione generale; il XXVII corpo dell'8• armata aprl il fuoco con proietti a liquidi speciali alle 23,50 del 14 per una durata di circa venti minuti, poi lo riprese alle 2,54 ed alle 3 fu la volta di tutte le batterie; l' XI corpo della 3• ~mnata ordinò il tiro di contropreparazione alle 2,50. In tutti gli altri casi la contropreparazione segul quasi immediatamente l'inizio del bombardamento avversario ~. Nella relazione sulla battaglia del Piave compilata a ridosso degli avve1ùmenti dal Comando Supremo si legge: «( ...) alle ore 3 del 15, ora indicata [dal servizio infonnazioni], l'avversario iniziava il bombardamento della nostra fron-

riflessioni ,ii guerra cit., II. p. 2 IO. Difatti sul Grappa il VI corpo della 4" annata quella notte e ffettuò cambi di reparti in linea e spostamenti di artiglieria ed altreuanto fece sul Montello la 58" divisione deU 'VTII corpo (ibidem, pp. 212-213. Cfr. E. C."VJGUA, Le tre bauaglie de/Piave cit., pp. 75 e 78). .; USSME, Relazione ufjiciale cit., V, tomo 1, pp. 391-396. ' G. GIARDINO, Rievocazioni e

2


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te dall' Astico alla laguna veneta(...). Ma già prima di tale ora, in confonnità degli ordini del Comando Supremo, si era scatenato con estrema violenza il fuoco di contropreparazione ( .. .)»,sì da riuscire a «recidere i nervi allo sforzo avversario, prima ancora che esso si sviluppasse» 1• È evidente una certa inesattezza sotto il profilo tecnico. Il maresciallo Giardino si è soffermato alquanto sulla questione, contestando sia l'uso improprio del tennine di «contropreparazione anticipata>>, sia la validità del principio 2 • Ad ogni modo è innegabile che in tutti i Comandi ed a tutti i livelli si era radicata la convinzione di dover intervenire immediatamente e con vigore non appena acquisita la precisa sensazione dell'inizio della preparazione austriaca e che l'efficacia del fuoco dell'artiglieria italiana nella 2• battaglia del Piave ebbe gran prute del merito per la vittoria 3• Sull'Altopiano di Asiago lo sforzo esercitato dall' 11• am1ata austro-ungarica si esaurì la sera stessa senza apprezzabili risultati. La zona boschiva giovava aHa difesa. Su quel terreno, già nel giugno del 1916 e poi ancora nel novembre del 1917, l'azione era stata costretta ad arrestarsi e da allora la nostra sistemazione difensiva era assai 1nigliorata. Eppure Conrad ritenne di poter arrivare sin dal primo giorno di battaglia al margine meridionale di quella zona. «Non esiste, salvo che nel giugno 1916 - commentò la Relazione austriaca - , nella storia militare un analogo esempio cli un'am1ata che effettui un attacco compatto in un bosco e contro un nemico deciso a difendersi ostinatamente» 4• Non per nulla il generale Montuori 1icavò la convinzione che l'attacco non si sarebbe ripetuto. Sul Grappa le cose andarono diversamente, in quanto la carenza di profondita delle nostre posizioni rendeva estremamente pericolosa ogni inflessione della linea, anche se di ridotte dimensioni. Ad inunediato tergo della linea marginale esterna, infatti, il terreno scendeva rapidamente verso la pianura, talché il Grappa, una volta perduto, non era più riconquistabile. Alle 3,45 il generale Giardino telefonò al Comm1do Supremo dicendosi sicuro di essere attaccato a fondo e chiedendo la libera disponibilità delle proprie riserve. Nella tarda mattinata la situazione si presentava in termi1ù di giustificata preoccupazione. Sulla sinistra «l'attacco, partito alle 7,30, era penetrato in circa due ore, per tre chilometri in linea d 'aria, superando tre linee di difesa, e poi due sbarramenti della linea marginale guemita di tre capisaldi(.. .). Ora distava di 5 chilometri in linea d'aria dalla linea degli Inglesi, ai piedi del Grappa; cinque chilometri che digradavano da 1.300 a 200 metri di altitudine con continuo successivo dominio» ricordò Giardino 5. Sulla destra l' avversruio era respinto, però si affacciavano timori di un av-

' Comando Supremo, La battaglia del Piave, Roma 1920, pp. 40-41. G. G IARDINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit., li, pp. 168-1 69. ' Cfr. USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 1, pp. 356-377; L. S EGATO, L'Italia nella guerra mondiale ci t. , IV, pp. 209-212. ' USSMRE, Riassunto della re/azione 11/ficiale austriaca cit., p. 504. ' G. GIARDINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra ci t. , il. p. 335 . 1


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Le operazioni sul Montello dal 15 al 18 giugno.

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volgimento da tergo, giacché non soltanto sul Montello sembrava che l'attacco avesse investito la linea di cresta, ma addirittura che da Nervesa aggirasse le pendici meridionali del Montello. Al centro la lotta si svolgeva pressoché con le spalle al muro. Le riserve d'armata erano già state tutte impiegate. Tuttavia, assorbito l'urto iniziale fra le 10 e mezzogiorno, cominciavano i contrattacchi e le cose cambiarono cli colpo. Alle 13 l'imperatore Carlo, impressionato per l'inattesa crisi segnalatagli, telefonò con voce agitata al generale Boroevié: «Il Tirolo è battuto: le trnppe hmrno perduto tutto quello che hanno guadagnato e sono staterigettate sulla linea cli pa1tenza». Boroeviérimase colpito «come da un fulmine» 1• All'imbrunire ogni speranza nutrita da Conrad era sfumata. Chiese due divisioni di rinforzo, ma Arz, seriamente impensierito, gli ordinò cli mantenere le posizioni raggiunte con le forze di cui disponeva, riservandosi di decidere l' indomani se riprendere o no l'attacco. Sul Montello gli avvenimenti iniziali fecero temere il peggio. L'attacco venne sferrato dal XXIV corpo del generale Goiginger, il quale, forzato jJ Piave durante la preparazione d' artiglieria grazie anche al favore della densa nebbia mattutina, investì le posizioni tenute dalla 58° divisione (gen. Bmssi), che aveva appena eseguito il cambio delle truppe in linea. Solo l' intervento delle riserve dell' VIII corpo (gen. Gandolfo) ed il tiro delle batterie di medfo calibro del contiguo XXVU corpo (gen. Di Giorgio) riuscirono a contenere la penetrazione. Sul basso Piave, al tennine di un bombardamento più lungo che altrove, la lsonzo-Armee attacco con dieci divisioni. Il forzamento del Piave non fu difficile perché poclù battaglioni erano schierati sulla riva destra ciel fiume. Verso le 9 il nemico era riuscito a costituire due teste di ponte: a Fagaré, sulla direttrice Ponte di Piave-Treviso, ed a Musile, in corrispondenza della ferrovia S. Donà-Mestre. A conti fatti, la prima giornata della battaglia, che secondo il piano avversario avrebbe dovuto consentire già a metà pomeriggio di raggiungere il bordo meridionale dell'Altopiano di Asiago e ciel Grappa e di toccare la ferrovia Montebelluna-Treviso-Mestre, si chiudeva con una sostanziale delusione. Ad un certo momento, addirittura, il generale Giardino ebbe la sensazione che una nostra controffensiva avrebbe potuto rovesciare l' avversario nel solco cli Feltre senza incontrare seria resistenza. Ma sarebbe stato necessario un rinforzo di a1tiglierie e di almeno un paio di divisioni fresche. Ne accennò a Diaz, ma ormai l'attenzione si spostava sul Montello e sul Piave 2 .

' Da una lettera a Franz von Baglaz in data 29.6.1918, pubblicata dalla Neue Freie Presse, in L. Segato, L'Italia nella guerra mondiale cit., IV, p. 197. ' G. GIARDINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra. cit., II, pp. 350-35 I. Peraltro, due giorni dopo Giardino, preoccupato per le oscillazioni della lotta sul Mon tello, non soltanto abbandonava l'idea di una qualunque controffensiva sul Grappa. ma prendeva prnvvedimenti per l'eventuale trasporto in pianura delle artiglierie pesanti.


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Le operazioni sl basso Piave dal 15 al 18 giugno.

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11 16 giugno sul!' Altopiano di Asiago e sul Grappa i nostri violenti contrattacchi ripresero gran parte delle posizioni perdute e l'azione dell ' 11 • armata austriaca si palesò nettamente priva di sbocchi. Rassegnato all'idea che il successo non fosse più conseguibile sul fronte montano, l'Alto Comando austro-ungarico ordinò che I' 11• armala si limitasse a conservare il terreno occupato e la 6• armata tenesse saldamente il Montello verso ovest e guadagnasse spazio verso sud-est per facilitare il forzamento del Piave da parte della Isonzo-A rmee. Forse se per lo sfondamento fosse stato scelto il tratto dal Grappa al ponte di Vidor, e l 'urto predisposto con cura, l'attacco sarebbe riuscito a spingere i difensori in pianura, e qui ampliare il successo lanciando sulla destra del Piave le riserve. La lotta accanita non modificò in modo sostanziale la situazione, però su l Montello il contenimento fu concreto e sul Piave, pur non potendosi evitare l' allargamento delle due teste di ponte, lo stato di fatto non destò timori. Bisogna anche dire che l 'attacco incontrò difficoltà non previste. L'impiego dei gas non aveva dato alcun risultato pratico, la cortina mobile di fuoco si era mostrata di scarsa rispondenza e l'appoggio dell'artiglieria non convenientemente adeguato, sia che fosse stato stabilito ad orario sia su richiesta della fanteria. Per di più le caratteristiche della pianura veneta ed il formidabile intrico delle linee difensive italiane spezzettarono .I' irruzione in numerosi combattimenti parziali, nei quali i quadri inferiori austro-ung~uici si trovarono a disagio 1• Ovunque Boroevié si accorse del!' affluire di rinforzi ali' 8° ed alla 3° armate italiane. «Si tratta di prendere una nuova risoluzione - scrisse-. La mia avanzata senza l'aiuto del Tirolo sarebbe stata una pazzia ed avrebbe condotto alla catastrofe. Ordinai, senza domandare, che le teste di ponte fossero tenute a qualsiasi costo, perché speravo si rinunciasse all'idea del Tirolo e che subito, il 17, mi mandassero le divisioni divenute superflue in Tirolo, oppure che si ricominciasse l'attacco in Tirolo. Riferii ciò al Comando Supremo, dicendo che si doveva prendere una decisione e che si rispondesse alle mie numerose proposte. Non venne alcuna risposta ed io continuai a combattere» 2 •

li 18 la situazione permaneva in genere stazionaria con variazioni di carattere locale a nostro vantaggio. Né sul Montello, né sul Piave il nemico riusciva a sfondare. E le acque del fiume aumentavano di livello. A questo punto, percepito l'affievolirsi dell'offensiva e le crescenti difficoltà dell'attacco, Diaz decise la controffensiva. Una controffensiva calibrata, con obiettivo il Montello, la cui riconquista toHLle avrebbe ridato piena efficienza alla difesa dal Brenta al mare ed agevolato lo sforzo della 3• annata inteso a ributtare gli austriaci oltre Piave. A tale scopo 1'8° armata del generale Pennella ricevette in rinforLo il XXII (gen. Vaccari), il XXX corpo (gen. U. Montanari), tre battaglioni d 'assalto e numero-

' USSMRE, Riass111110 della re/azione 11fficiale a11s1riaca, cit., p. 504. ' Citata Jcuera in dat.a 29.6. 19 J8 in L . Segato, L'Italia nella g11erra mondiale cit., TV, p. 197.


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se artiglierie. Peraltro l'operazione, iniziata il 19 giugno, incontTò una furiosa resistenza e la sera del 20 non aveva ottenuto che modesti guadagni territoriali. In compenso, dall'altra parte della collina, Boroevié, convocato a Spilimbergo il 19, spiegò all'imperatore Carlo il dilemma presentatogli dall'arciduca Giuseppe circa un rinforzo alla sua 6• armata o lo sgombero del Montello, impossibile a tenersi, e caldeggiò la prima soluzione ed il conseguente attacco della 6" armata per Asolo su Bassano, con il fianco meridionale protetto dalla prosecuzione dell'attacco della lsonzo-Armee su Treviso. Carlo I approvò, ma nel pomeriggio il generale Waldstatten fece presente che le due amrnte nel gruppo Boroevié non si trovavano in condizione di continuare la lotta oltre Piave senza urgenti rinforzi e rifornimenti. I capi servizio del vettovagliamento e delle armi e munition.i, interpellati, esposero una situazione complessiva drammatica. Boroevié allora propose il 1ipiegamento sulla sinistra del Piave, ma nessuna decisione venne ancora presa '. Alle 7 del 20 Boroevié telegrafò al generale Arz: «Il falfao tentativo dell' 11' armata ed i pochi progressi del gruppo d'esercito, causa la mancanza di viveri da alcuni mesi, lasciano apparire poco promettente la continuazione di un 'offensiva contro Treviso. Mentre il nemico diviene sempre pi ù forte ed io il più debole, avendo immediatamente alle nùe spalle un fiume perfido, il più piccolo inconveniente coinvolgerebbe il gruppo d 'esercito in una catastrofe. Devesi prendere finalmente una risoluzione. Come la Monarchia ha compiuto il suo dovere di alleanza e non può esporsi al pericolo di divenire inenne e di perdere importanza, faccio la proposta di ritirare il gruppo d'esercito sulla riva est del Piave e più tardi, eventualmente, riconùnciare l'attacco»'.

Verso sera arrivò il consenso imperiale. Il movimento retrogrado del gruppo Boroevié iniziò la stessa notte sul 21 e proseguì a scaglioni nelle due notti successive, sotto la pressione italiana, ma ben mascherato da aggressive azioni di retroguardia. 11 24 giugno il bollettino del Comando Supremo comunicò: «La giornata di ieri ha coronato la nostra vittoria. Addossato al Piave, lo spazio sempre più ristretto dalla ferrea pressione delle nostre truppe, fulminato senza tregua dalle artiglierie e dagli aeroplani, l'avversario, dopo essersi disperatamente mantenuto per otto giorni, a costo di inauditi sacrifici, sulla destra del fiume, ha iniziato nella noue sul 23 il ripiegamento sulla silùstra ( ...). Il Montello e tutta la riva destra del Piave, tranne un brevissimo trallo a Musile, dove la lotta continua, sono tornati in nostro possesso( ... )».

Quella sera, al tennine degli ultimi combattimenti, la situazione anteriore alla battaglia era rip1istinata. Rimanevano in mano austriaca sull'Altopiano di Asiago alcune posizioni della prima linea della 6° armata (M. Valbella, Col del Rosso, Col d'Echele); sul Grappa una limitata striscia di terreno (Col del Miglio, M. Solarolo); sul Piave, il delta.

'USSMRE, Riassunto della relazione ufficiale austriaca cit. , pp. 496-497. ' Ibidem, pp. 197-198.


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* * * Il giudizio del generale Capello fu centrato: «La difesa del giugno 191.8 fu una splendida parata, mancò la grande vittoria perché non ne era stata preparata la possibilità» 1• Sarebbe da vedere fino a che punto ve ne fosse stata la possibilita, comunque Diaz, di proposito, nella sua impostazione della battaglia aveva deciso di limitarsi alla parata. A buon motivo si era attenuto ad un criterio di cautela. Sapeva che le prime ventiquattr'ore sarebbero state durissime perché ormai si riconosceva come la violenza dell'urto i11iziale fosse in grado di sopraffare le difese avanzate - non a caso la difesa era passata, ove possibile, dal concetto rigidamente statico al modulo «in profondità» od a quello «elastico» - e non poteva valutare con esattezza l'usura della prima resistenza. Era altresì lecito più di un dubbio sul rendimento di molte nostre truppe, da troppo tempo abituate alla trincea ed alla lotta ravvicinata, nel combattimento manovrato. Quindi, in partenza si reputava pago di concludere la battaglia ripristinando la situazione iniziale e ributtando indietro l'avversario. I fatti confennarono l' oppo1tunità di una certa prudenza. La vittoria era venuta attraverso difficili momenti causati in buona misura dalla potenza dell'attacco, ma anche da talune deficienze di esecuzione e di condotta della, difesa. Parecchi contrattacchi risultarono mal diretti o lanciati troppo precipitosamente; la cooperazione fanteria-artiglieria talvolta lasciò a desidenu·e; la resistenza in qualche settore durò meno del prevedibile. Tutti rilievi comunissinù in battaglia e perciò messi in conto già prima della lotta. Date Le circostanze, dunque, Diaz non volle portare a fondo la controffensiva. Reputando più che soddisfacente il ripiegamento austriaco, affidò all'artiglieria ed aU' aviazione il compito di rendere particolarmente oneroso all'avversario il passaggio del Piave e di continuare nell'opera di logoramento del dispositivo nemico. L'impiego delle riserve da patte del Comando Supremo ha offerto spunto a critiche specifiche. Una volta chiarita la situazione sul fronte montano (16 giugno), si asseri, invece di adoperare a spizzico le grandi unità in riserva s,u-ebbe stato preferibile, e possibile, attaccare i punti di passaggio sul Piave rovesciando l'avversario nel fiume. A questa osservazione si può obiettare che, pur «chiarita» la predetta situazione sugli Altipiani e sul Grappa, un minimo di cautela consigliava di attendere ancora almeno un giorno, specialmente sapendo la 4• armata letteralmente irrigidita sul Grappa con lo strapiombo alle spalle. Un altro appunto concerne la mancata controffensiva proprio quando (21 giugno) le truppe austro-ungariche cominciavano a ritirarsi. Anche a tal proposito sembra poter fornire una replica valida. Prima di tutto il 1ipiegamento fu organizzato ed at-

' L. CAPELLO, Note di guerra ci t. , U, p. 282.


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tuato di notte e così bene che fino al 23 sfuggì del tutto a Comandi e reparti itaJìani. ln secondo luogo l'intrico cli trincee, camminamenti e reticolati dei due sistemi difensivi avanzati da Montebelluna al mare era così fitto da ostacolare anche una nostra manovra d i un ce110 respiro. Una nota a parte merita il Montello, i cui avvenimenti originarono una polemica. Qui, obiettivan1ente, le sorti del combattimento rischiai·ono dì trovarsi compromesse in modo grave dal fatto che Comandi cd unità dell'8° armata furono nettamente sorpresi dall'attacco e l'azione di comando si manifestò carente'. Il generale Caviglia, il quale il 24 giugno sostituì alla testa dell'annata il generale Pennella, esonerato dall'incarico, in un opuscolo dal titolo «La battaglia del Mohtello>) redatta a fine luglio, mise in risalto la scarsa azione dell'artiglieria dell'armata durante il forzamento del Piave da parte austriaca, la poca resistenza opposta al nemico nel saliente settentrionale del Montello, la caduta della ptima linea quasi ovunque di sorpresa senza poter opporre valida resistenza, la mancata simultaneità di sforzi nella controffensiva dell'annata 2. Naturalmente il Comando Supremo bloccò la divulgazione del fascicolo sino alla conclusione dell'inchiesta in corso 1, ma a fine guerra Caviglia tornò sull'argomento allargando il commento e le critiche all'intera battaglia. Il 12 marzo 1920 apparve sul Corriere della Sera il resoconto di un discorso tenuto da Caviglia agli aviatori della Venezia Giulia. In esso era scritto: «NcUa ballaglia del Piave vi fu una sorpresa strategica e tattica per parie degli austriaci e la nostra difesa, in generale fu in tulle le sue parti alquamo arruffata, tumultuaria come già era accaduto neUa difesa falla nel 19 16, q uando il nemico invase gli Ahi piani. Pit1 che il valore della nostra ornnizzazionc si mostrarono le ot1imc qualità dcUe singole unità» '.

Diaz protestò con indignata fermezza con il mfoistro della Guerra, Bonomi. Non si trattava soltanto di un'ingiustificata e superficiale critica dell'intera azione di comando italiana, ma anche dell'assoluta inopportunità di un simile commento. Avendo i Comandi alleati e nemjci e la stampa estera sempre parlato in tennini lusinghieri della nostra vittoria, mal si vedeva come una delle personalità militari dì maggiore spicco (Caviglia era stato promosso generale d'esercito) sostenesse, proprio in quel delicatissimo momento di difficili rapporti internazionali, che la battaglia era stata mal diretta 5• Nel 1934 il maresciallo Caviglia si limitò a scrivere: «Riassumendo, le nostre truppe furono sorprese sul Grappa e sul basso Piave, sul Montello la sorprc-

' li 17 luglio il generale Morrone riccvelle ordine di condurre un "ù1chicsta sull'operato di lutti i comandanti di grande unità dell'8" armala. 'USSME, Relazione ufficiale cii., V. tomo 2 bis, doc. 19.

' Ibidem, doc. 20. • Ibidem , doc. 21. ' Ibidem.


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sa arrivò fino all'ullima linea(...)» 1• Però, in fatto di impiego delle riserve, aggiunse che «non si poteva pretendere di più dal nostro Comando Supremo»: come altri Comandi alleati od avversari era stato spinto dalle vicissitudini della battaglia difensiva ad utilizzare le riserve a mano a mano che se ne presentava la necessità, e cioè dove il nemico sfondava 2 •

* * * L'offensiva austro-ungarica era fallita. Non si trattava semplicemente di un'operazione non riuscita per errori di impostazione o di condotta. Il generale Arz si era ripromesso un risultato strategico di rilevante entità; aveva impiegato nell'impresa quanto disponibile in unità, ,utiglierie e mezzi; aveva insistito negli sforzi. Tutto inutile: la forza propulsiva dell'imperial-regio esercito si era dimostrata insufficiente a provocare il grande sfondamento auspicato. Peggio ancora: si era esaurita. Secondo la Relazione ufficiale austriaca la delusione immensa, le gravi perdite e le evidenti e non facilmente sanabili difficoltà dei rifornimenti scossero in modo preoccupante la fiducia, nell'Alto Comando. Non solamente il pensiero corse all'assenza di truppe tedesche, con le quali era stata ottenuta la brillantissima vittoria sull'Isonzo, ma si fece subito strada la sensazione che una nuova offensiva non sarebbe stata più sostenibile. Il primo effetto di tutto ciò si riscontrò nell'immediato accentuarsi della piaga delle diserzioni. Bisognava ammettere che se l'esercito conservava sostanziali compattezza e volontà di battersi, aveva nondimeno imboccato il triste viale del tramonto. «Colla fine, così dolorosa, della battaglia di giugno cominciava il crollo dell'esercito austro-ungarico e della Monarchia danubiana» riconobbe malinconicamente la Relazione austriaca 3• Nei Parlamenti austriaco ed ungherese divamparono accese polemiche che investirono i principali capi militari. Comad fu il capro espiatorio. Esonerato dal comando del grnppo d 'esercito del Tirolo, il 15 luglio venne sostituita dall'arciduca Giuseppe, al cui posto subentrò, alla testa della 6· armata, il generale Schonburg-Haitenstein. La Genmmia si rese ben conto della gravità della sconfitta. «Se pure il nostro avversario - scrisse Hindenburg nelle sue memorie - non aveva la forza necessaria per trarre notevole vantaggio dallo scacco dell'impresa austro-ungarica, il mancato successo era accompagnato da conseguenze p eggiori di quelle che avrebbero potuto derivare dall' aver 1i nunciato a quell'attacco. La sfo1tuna del nostro alleato era una disgrazia anche per noi. L'avversario sapeva bene quanto noi che l'Austria-Ungheria con quell'offensiva aveva gettato sulla bilancia, del-

' E. CAVIGl.lA, Le ire balfaglie del Piave cii. , p. 85. ' Ibidem, p. 86. 'USSMRE, Riassumo della relazione ufficiale austriaca cii.., p. 507.


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la guerra gli ultimi pesi di cui disponeva. D 'ora innanzi, la Monarchia danubiana cessava di costituire un pericolo per l'Italia». Perciò egli pensava che, creatasi in Italia una situazione di stallo, il Comando Supremo italiano non sarebbe più riuscito a sottrarsi alle richieste dell'Intesa ed avrebbe inviato sue truppe sul teatro d'operazioni occidentale, «decisivo per tutta la guerra». Quindi si orientò a chiedere subito ali' Austria un forte concorso di truppe in Francia 1• Ludendorff giunse alla stessa conclusione, ma seguendo un ragionamento diverso. Per lui l'insuccesso austriaco era stato «un avvenimento assai doloroso» perché non lasciava più alcuna speranza di alleggerimento del fronte italiano a vantaggio di quello occidentale. Tuttavia, mantenendosi le due parti in equilibrio, non credeva, a differenza di Hindenburg, fosse eia temersi una forte partecipazione italiana alleioperazioni in Francia 2• Quindi, d'accordo con Hinclenburg, il 17 giugno - appena due giorni dopo l'inizio dell'offensiva, il che starebbe a denotare una ben scarsa fiducia dell'esito di questa- chiese all'Alto Comando austro-ungarico l' urgente invio in occidente cli sei buone divisioni e di molte batterie. Dapprima l'imperatore C,ufo si oppose recisamente, anche perché ancora in attesa di 15 mila vagoni di farina promessi dalla Germania, poi, in seguito alle insistenze di Axz, il 24 consentì l'invio per il momento del Comando xvm corpo d'armata e di due divisioni, oltre a quattro reggimenti di artiglieria pesante campale e quattro batterie pesanti, nonché ad un certo numero di prigionieri russi quali lavoratori. li 27 giugno Arz info1mò Hindenburg e gli comunicò l'intenzione di riprendere l'offensiva in Italia al più tardi in settembre, affermando che l'esercito austro-ungarico « non deve considerarsi definitivamente battuto dagli italiani» e che non intendeva passare un altro inverno fra il Brenta ed il Piave. Aggiunse che avrebbe gradito a tempo debito un concorso di truppe tedesche. Secondo la Relazione austriaca, «è dubbio cbe Arz abbia realmente creduto alla possibilità di quest'offensiva» e Hindenburg, nella sua 1isposta, sorvolò sull'argomento 1 • Le altre due alleate degli Imperi Centrali, la Turchia e la Bulgaria, trassero auspici negativi dalla sconfitta austriaca cd il loro turbamento si ripercosse rapidamente sugli avvenimenti militari in corso in Balcania.

* * * Da Londra e da Parigi arrivavano commenti entusiastici. L'ambasciatore Imperiali riferi i cordialissimi rallegramenti per la nostra vittoria ricevuti dal ministro degli Esteri, Balfow-, che considerava il successo «un raggio di sole e di speranza per rutta l'alleanza», mentre la stampa e l'opinione pubblica inglesi manifestavano un sincero entusiasmo ' . El ' ambasciatore Bonin Longare telegrafò che

I P. VON HJNDflNllURG, Dalla 111ia vi/a cit .• p. 249. ' E. LUDEND<) KFF, / miei ricordi di guerra cit.. Il, p. 170. ' USSl'vlRE, Riassumo della relazione ufficiale austriaca cit., p. 501 .

' Imperiali a Sonnino in data 25.6, 1918, 0.0.r., Y serie, Xl. doc. 113.


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il successo italiano veiùva ampiamente esaltato dalla stampa francese, unanime nel lodare Comando Supremo e truppe, lodi che si aggiungevano a quelle indirizzate al II corpo d'armata italiano per l'ottima impressione che stava destando. «È però da avve1tire - volle precisare B0rti11 - la tendenza che qui si va disegnando ad esagerare la conseguenza immediata della sconfitta austriaca. Quasi tutti i giornali ci invitano a passare energicamente all'offensiva per abbattere definitivamente l'Austria, di cui si esagerano del pari le divisioni interne, e per allegge1ire la pressione tedesca su questo fronte» 1• Anche il generale di Robilaut, da Versailles, avvertiva Orlando come l'ostentata convinzione che fosse da respingere l'ipotesi dell'arrivo di divisioni tedesche in Italia e l'insistente apprezzamento ottimistico stùl 'esito di una nostra immediata controffensiva oltre il Piave, altro non fossero che abili argomentazioni per escludere a priori qualsiasi concorso alleato inteso a meglio garantirci da un possibile rinnovato attacco austroungarico. Occoneva, in altre parole, «fin d'ora renderci esatto conto dell'ambiente manifestamente contrario a prendere in considerazione l'eventualità di cessione di forze francesi od inglesi, come di rinunciare ad unità americane a favore della fronte italiana» 2• Lo sfrnttamento del successo fu materia di discussione. TI primo a toccare la questione, con estrema delicatezza, fu per l'appunto Orlando. Nel messaggio di congratulazioni inviato a Diaz dopo la comunicazione della vittoria, egli inserì una frase significativa: «Mi mancano elementi per valutare tutta la grandezza dell'avvenimento e, soprattutto, se esso abbia determinato un tale sfacelo morale nell'esercito nemico da rendere consigliabile di non lasciargli prendere respiro. Mi affido completamente al senno di V.E., che eroicamente accoppia la prudenza con l'ardimento» 3• È evidente che Orlando sperava in qualcosa di simile a Caporetto, questa volta a danno degli austriaci. Diaz fu esplicito. Fem10 restando il risultato di una grande e meritata vittoria militm·e, con probabili ripercussioni di natura politica e morale nell'ambito della Duplice Monarchia, si trattava pur sempre di una vittoria difensiva consentita da uno schieramento raccolto e eia un'agevole manovra delle riserve. Grave errore sarebbe stato, dunque, avanzare oltre il Piave allargando il dispositivo ed avendo alle spalle il corso d'acqua; senza contare l'impossibilita di escludere una minaccia dagli Altipiani. In sostanza, il Comando Supremo intendeva consolidarsi sul Piave, assicurando in tal modo il fronte orientale, e tenersi in misura di operare o di resistere sugli Altipiani secondo le circostanze, senza lasciarsi indurre a diluire le forze ed offrire così all'avversario il destro per infliggerci qualche colpo poderoso. «A noi occorre vincere la guerra - scrisse Diaz - ed evitare di fm·ci trascinare ad operazio1ù che potrebbero compromettere tale scopo

'Bonin a Sonnino in data 25.6.1918, ibidem, Xl, doc. 116. '-USSME, Re/azione ufficiale cit. , V, tomo 2 bis, doc. 25. ' Ibidem, V, tomo 1, p. 672.


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essenziale. È pure inteso che tutte le occasioni positivamente favorevoli saranno sfruttate, quando ciò possa indubbiamente convenirci ( ... )» '. Chiarissimo: niente colpi di testa, niente azzardi, difensiva finché non si presenli un'opportunità più che favorevole. Ma oltre ad Orlando c 'era Foch. Questi, come sappiamo, il 12 giugno aveva sollecit.ato Diaz ad attaccare. Diaz 1ispose il 21 con una lettera che, da un lato indicava con evidente soddisfazione il buon esito della prima settimana di battaglia e dall'altro sottolineava la particolare importanza che il teatro d'operazioni italiano stava assumendo. Qualunque fosse la situazione interna dell 'AustriaUngheria, l'esercito si batteva ancora bene. Poiché però non era riuscito nel tentativo, la Germania, stando a notizie di buona attendibilità pervenute al Comando Supremo, sembrava stesse mandando rinforzi in Italia per evitare un grave scacco all' alleata. Ciò portava ad attribuire al fronte italiano un rilevantissimo interesse per gli Alleati, fors ' anche «decisivo» 2• Tre giorni più tardi giunse in Italia il generale Wilson. In un colloquio con Diaz esaltò la nostra vittoria e l'entità del successo e, nel contempo, accennò esplicitamente alle forti preoccupazioni alleate per la superiorità di forze tedesche sul fronte occidentale ed implicitamente all' impossibililà cli un rinforzo di truppe e mezzi all'esercito italiano. Ino ltre fece capire che Foch avrebbe risposto in tono evasivo, escludendo l'eventualità cli divisioni tedesche sul nostro fronte. Al che Diaz, riferendo ad Orlando, concluse: «Tutto ciò rrti fa ritenere non si possa fare serio assegnamento su concorso alleato( ...)» 3. Esatto. Foch replicò il 27 giugno con un'accurata esposizione della situazione strategica. Concordava nel reputare plausibile, all'origine, un 'intenzione tedesca di appoggiare l' offensiva sul Piave, riservandosi di intervenire dopo che la prima manche della partita fosse stata vinta dall'Austria. Però l' esercito austriaco era stato battuto e la Germania, qualora avesse ancora ritenuto conveniente non abbandonare l'offensiva, avrebbe dovuto ricominciare da capo, accollandosene le spese e fornendo i mezzi. Il tutto contro un esercito italiano vittorioso e dal morale altissimo. Tenuto conto della grande battaglia ingaggiata sul fronte occidentale •, questo non rientrava certo nelle possibilità dell'O.H.L. TI massimo che fosse in grado di fare si traduceva nell' invio di qualche rinforzo: troppo poco per far temere una ripresa offensiva, nel Veneto. Quanto agli sviluppi da dare alla vittoria italiana, vale a dire ad un'offensiva alleata intesa a mettere fuori causa l'Austria-Ungheria, proseguiva Foch, occorreva considerare che per raggiungere Vienna a c irca 500 chilometri dal Piave, le forze dell'Intesa avrebbero dovuto battere le armate austriache e procede-

' Ibidem, p. 674. ' Diaz a Orlando in daia 28.6. 19 I 8, ibidem, V, !omo 2 bis, doc. 27. ' Ibidem, V, tomo l bis, doc. 202. ·• Si 1rn1tava dell a quarta offensiva Ludcndorff nel settore Noyon-Montdidicr (9- 13 giugno).


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re con il pericolo dell'offesa tedesca sul fianco sinistro. Qujndi sarebbe occorso, a titolo preliminare, impadronirsi di una fascia alpina sufficientemente profonda ed organizzata con posizioni idonee a garantire sicurezza alla marcia su Vienna. Un simjJe onere operativo non appariva accettabile, almeno nelle presenti circostanze. Allora in Italia bisognava accontentarsi di risultati parziali . li Piave costituiva una cattiva base di partenza per un'offensiva verso est perché «tout progrès iralien dans la plaine serait d 'ailleurs mis en question par la possession autrichienne de la région montagneuse Valdobbiadene-Vittorio, que l'encerclement de la Piave rend particulièrement difficile à attaquer». Insomma, per un insieme di motivi il Piave sembrava per il momento dover restare il fronte difensivo orientale dell'esercito italiano. Rimaneva il fronte montano. Come già messo in risalto, qualunque azione offensiva a breve o lungo raggio verso il cuore del1' Austria comportava il possesso di una zona alpina di relativa profondità. Poiché la crescente disponibilità di uuppe americane I faceva prevedere la possibilità di sfenare una potente offensiva alleata nel prossimo settembre, in questo quadro l' Italia poteva, per parte sua, puntare alla conquista delrarroccamento Trento-Feltre, indispensabile per consentire un' ulteriore spinta verso oriente «et au-clelà. de la Piave». Fin d'ora, dunque, in funzione di questa operazione, l'esercito italiano poteva riprendere i vecchi progetti d'offensiva dall' Altopiano d'Asiago e spingersi intanto il più possibile verso il solco Trcnto-Feltre, approfittando del momento favorevole 2• Diaz si mostrò d'accordo in linea di massima, a prescindere dalla per lui fondata possibilità di un rinnovato attacco austriaco, anche se non subito, però tenne a rappresentare il gravissimo problema della forza disonibile. Era già alle armi, ma non ancora completamente isuuita, la classe del 1900 e sino all' inverno occorreva contare su quel che si aveva, recuperando anche uomini dalle truppe ausiliarie, dai riformati ecc. Un contingente americano, sia pure di entità non rilevante, sarebbe stato di «incalcolabile valore». Con l'occasione Diaz chiese 20 tonnellate di yprile ed almeno 25 carri armati Renault, la cui produzione in Francia era abbondante 3• Nel frattempo la 6" armata sugli Altipiani, la 4° sul Grappa, rs• sul Montello e la 3• sul basso Piave avevano ripreso i pochi punti rimasti in mano nemica. Con la riconquista del delta del Piave era allontanata definitivamente la minaccia sulla Piazza di Venezia. Le perdite complessive italiane ammontarono a circa 85 mila uomini contro 143 mila da parte avversaria.

' A fine giugno si trovavano in Francia 25 divisioni americane, di cui 7 già in linea. ' Foch a Oiaz in data 27.6.19 18, in USSME, Relazione uffic iale cii., V, tomo I, pp. 684-587. ' Diaz a Foc.:h in data 6.7. 1918, ibidem , pp. 680-682.


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3. L'ISOLAMENTO POLITICO F, MILITARE DELL'ITALIA 11 2 luglio si riunì a Versailles la, 7• sessione del Consiglio Supremo di guerra ed Orlando ne riferì sinteticamente al Re ed a Diaz. Secondo le sue previsio-

ni, «come stato d'aiùmo qui si è ancora sotto incubo della minaccia di una offensiva [tedesca] a fondo», sulla quale si concentravano ogni attenzione e cura 1 • Conseguenze d'ordine pratico: gli arrivi americaiù risultavano impegnati sul fronte occidentale sino a tutto agosto; dall'Italia si attendevano, vista la recente vittoria, che riprendesse al più presto l'iniziativa sospesa a causa dell'attacco austriaco; le poche richieste cli mezzi avanzate dal Comando Supremo erano rimesse all'esame ed alle decision.i cli Foch. I Rappresentanti militari pe1manenti avevano ricevuto il compito di studiare il piano alleato di impiego per il prossimo autunno-inverno e per l'estate 1919, «in consulto con il generale Foch, ma all'infuori degli studi personali del generale Foch, dei quali egli non deve rendere conto che ai capi cli governo». Sulla base dei risultati dello studio, presentati sorto forma cli parere, il Consiglio Supremo di guerra avrebbe preso le decisioiù del caso 2 • Foch si rivolse a Diaz il 13 luglio. Si rendeva, ben conto, affermò, che le nostre operazioni offensive potevano incontrare difficoltà superiori a quelle che si profilavano per la grande offensiva alleata, però esse «sont malheuresement convnunes à toutes nos Années». Perciò occorreva avviarle comunque al più presto. In merito ai mezzi richiesti (yprite e tanks), sottolineò che il presidente del Consiglio Clemenceau aveva già informato il governo italiano di essere disposto a farlo «dès que nous serions mis d'accord sur l'opporumité de leur emploi en ltalie, en. vue d'une opération détérmin.ée» ( !). A parte ciò, avendo saputo cli una commessa cli mille carri Renault affidata all'industria italiana, egli pensava che la domanda di 25 cani derivasse dal desiderio di formare gli equipaggi. E allora sembrava preferibile non dare i cani, ma stabilire accordi perché tecnici ed equipaggi italiaiù si recassero in Francia presso un Centro d'istruzione interalleato 3• Quattro giorni più tarcli un nuovo diiùego: non esisteva alcuna possibilità, sostenne Foch, di far rimpatriare circa 60 mila soldati delle nostre truppe ausiliarie secondo la richiesta inoltrata da Orlando il I O luglio 4, in quanto: «( ... ) enlcver des 1ravai!leurs italiens du front français, c'esl enlever au1ant de combauant français du front de la hataille où nous soutcnons une lutte achamée pour la cause commune».

Ne derivava che Diaz avrebbe sicuramente compreso la necessità di lasciare i lavoratori in Francia finché non fossero mutate le circostanze attuali. Tuttavia, aggiunse Foch: ' USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 30. Sugli avvenimenti dal lugl io al novembre 1918 il volume V è fondamentale per clùarei..za e doc umentazione. ' Ibidem, doc. 10. ' Ibidem, doc. 35. • Ibidem, doc. 55.


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«Ccci ne vous empcchera en rien, je pense, de poursuivrc vos projeL~ d' offensive, en particulier entre la Piave et I' Astico. Les conditions actuelles d' impu issancec et d 'échcc de l'ennemi recommandent impérieusemcnt d'attaquer» ' .

Era evidente la scarsissima disponibilità ad esaudire le nostre richieste. Cominciò così una crescente difficoltà di rapporti tra Foch e Diaz con ripercussioni di natura politica tutt'altro che lievi e tutt'altro che passeggere, come si avrà poi modo di constatare a fine guerra, durante le discussioni per il trattato di pace. Il contrasto nasceva da interpretazioni della situazione decisamente lontane: daJ lato francese la comprensibile preoccupazione per il duro scontro in atto fra l' Aisne e la Mama (il 18 luglio aveva avuto inizio la controffensiva alleata con il massiccio impiego di carri), l'incrollabile determinazione della priorità del fronte francese e la convinzione, in parte sincera ed in arte strumentale, che onnai l'Italia nulla avesse più da temere dall ' Austria-Ungheria; da parte italiana, la previsione, non importa se fondata o meno, della reiterazione a breve scadenza di un attacco austriaco con il supporto tedesco e la constatazione della supe1ficiale attenzione e della limitata importanza riservata dall' Intesa alle esigenze rappresentate dal Comando Supremo 2•

* * * La vittoria riportata dagli Alleati nella 2° battaglia della Marna fu significativa. «Militarmente - riconobbe Hindenburg - era per noi di grandissima importanza e grave per le sue conseguenze l'aver perduto l'iniziativa sull'avversario e il non avere forze per riprenderla» 3• Il 24 luglio, al castello di Bombon, sede del suo Quartier Generale, Foch espose ai comandanti in capo alleati le sue intenzioni. L'offensiva tedesca si era mutata in una disfatta, perciò era «venuto il momento di abbandonare l'atteggiamento difensivo reso necessa1io dall'inferiorità numerica, per p assare all'offensiva». Questa era prevista in due fasi . La prima, preliminare, comprendeva due serie di operazioni,!' una per liberare le comunicazioni feffoviarie laterali lungo il fronte alleato e l'altra per sottrarre il distretto minerario di Béthune alla minaccia gem1anica e per allontanare definiti-

' Ibidem., doc. 36. ' Non si possono, peraltro, ignomre errori italiani. Il 14 luglio Diaz telegrafò al generale di Robilant accennando al presunto arrivo dalla Germania, stando a voci di prigionieri e disertori austriaci, di 10-30 divisioni tedesche, per controllare le quali ,,sarebbe necessario che Al leati inviassero in nostro aiuto forze pari a quelle tedesche, cioè da IOa 30 divisioni», ma per il momento sarebbe bastato considerare il concordo di una ventina (Ibidem, doc. 31). Ora, in quel momento proprio non era il caso di fore una simile avance! Peggio ancora, il 20 luglio Nill i invitò a colazione all' H6tel Meurice i rappresentanti dei maggiori giornali francesi. Al temùne, tulli lo tempestarono di domande, insistendo in particolare perché spiegasse i motivi della mancata controffensiva italiana, e Nilti, credendo di daJ'e una risposta spiritosa, disse: «.Nous devons ga1der ,ws troupes pour /es Alliés». I fran cesi s i fecero subito serissimi e l'incidente venne immediatamente telefonato a Clemenceau (StLVIO CRES1•1, Alla difesa d'flalia in guerra ed a Versailles, Mondadori, Mi lano 1938, pp. 124-J 25). , F. VON H INDijNOU RC, Dalla mia vita cit., p. 263.


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vamente il nemico da Dunkcrque e da Calais. Queste azioni dovevano susseguirsi a brevi intervalli in modo eia sbilanciare le riserve del nemico e sfruttare la sorpresa nel punto voluto. Non era possibile individuare con precisione il termine della prima fase, ad ogni modo la seconda era prevedibile per l'autunno e la vittoria completa sarebbe giunta nel 1919 '. Nel luglio 1918, superata felicemente la prova della battaglia del Solstizio,

il Comando Supremo si apprestava ad imprimere un rinnovato miglioramento ali' esercito in vista dello sforzo conclusivo dell'anno seguente. Su una popolazione di 32,5 milioni di abitanti, l'esercito aveva mobilitato oltre 5 milioni di uomini delle classi dal 1874 al 1900, più del 15%! Le divisioni, dall~ 65 dell'ottobre 1917, si erano ridotte a 35 nel dicembre per risalire a 51 nel giugno 1918, limite ormai non superabile. La classe 1900, chiamata allearmi nel febbraio del 1918, costituiva nove brigate di marcia, riservate agli impegni del 1919 e da tenere in seconda linea per venire utilizzata soltanto in caso cli assoluta necessità; così il 10 luglio sul nostro teatro cl'operazioni l'esercito italiano poteva contare su 1.950.000 uomini di truppa. Ben 400 mila erano gli italiani residenti negli Stati Uniti soggetti al servizio militare, ma l'indisponibilità di navi per il rimpatrio in1pcdiva il loro arruolamento 2• Fu dunque dato corso a provvedimenti intesi a perfezionare l' organizzazione interna del Comando Supremo, a ripristinare l'efficienza delle grandi unità e delle artiglieria, a rivedere il funzionamento dei servizi di campagna, ed a incrementare le possibilità di trasporto. Migliorata la situazione complessiva, il Comando Supremo riprese in esame la possibilità di promuovere limitate azioni offensive. Il 30 luglio Diaz repl icò a Foch con una lunga e levigatissima lettera. Le operazioni di cui Foch chiedeva informazioni erano quelle indicate a suo tempo, e cioè una forte puntata sull'Altopiano di Asiago mirante ad acquistare spazio in quella direzione cd a consentire una uguale avanzata sul Grappa, dove il nostro dispositivo mancava cli profondità. Circa l'epoca, una ventina di giorni sembravano sufficienti per la preparazione, a partire dal momento in cui fossero clisponjbili i mezzi richiesti (yprite, carri armati, complementi ed automezzi). «Tuuo perciò- spiegò Dia2 - è subordinato a questi mezzi, senza dei quali io sarei costretto, con mio sonuno rincrescimento, a rinunciare al programma o almeno a ridurlo di molto, in attesa che le nostre risorse siano pronte e ci consentano di agire, mentre non è da escludere che, fallite le ope-

'D. LLOYD GEORGl1, Memorie di guerra cit.. W, pp. 312-3 15. Alcuni giorni prima Foch aveva scritto a Clemenceau che «il 1919 S3Jà decisivo per la guerra. ln primavera, l'America nvrà compiuto il suo massimo srorzo (... )» (F. FocH, Memorie ciL, pp. 498-499). ' Soltanto il 2 ouobre 19 J8 si ouerrà dal Com.irato Interalleato per i trasporti mariuimi che, ultimato il trasporto di 80 di visioni americane in Francia, previsto per il maggio 1919, si procedesse al rimpatrio dei cilladini italiani residenti negli Stati Uniti soggelli agli obblighi militari (USSME, Relazione ufficio/e cit., V, tomo 2 bis, doc. 83).


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Distribuzione delle forze prevista dal Comando Supremo a metĂ luglio 1918.


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razioni tedesche sul vostro fronte, il nemico si decida a temaJe qualche cosa sul nostro, con un invio, sia pure non grande, di urutà tedesche, per ristabilire qui una situazione che oggi appare notevolmente scossa» 1•

Quanto ai tanks, l'ordinazione che il ministero della Guerra stava per fare non avrebbe dato i suoi frutti che dopo molti mesi. I pochi carri richiesti occorrevano subito in campo per sfruttare con tempestività il fattore sorpresa sul nostro fronte. Peri lavoratori, infine, certamente il generale Foch sapeva che i due governi avevano giìt stabilito che dovessero rientrare in Italia «nel più breve tempo possibile», e quindi, date le estreme necessità del! ' esercito italiano, si confidava che il programma di rimpatrio avesse inizio «con la maggiore sollecitudine» 2• Bt!n presto lo scambio di comunicazioni evidenziò un irrigidimento di entrambi gli interlocutori sui rispettivi, inconciliabili, pw1ti di vista. Il 6 agosto Foch, che due giorni prima si era consultato con Clemenceau, tenne a non lasciare dubbi sulle intenzioni francesi: il ritmo di afflusso degli americani non consentiva «d'espérer en 1918 una décision intégrale de la guerre, de renforcer suffisamment le front pour entreprendre une offensive générale», però era interesse dell'Intesa di sfruttare subito il successo ottenuto. Quindi gli eserciti francese e britannico, benché assai ridotti di effettivi, e l'esercito americano, benché incompletamente organizzato, si proponevano di proseguire senza interruzione i loro attacchi per scuotere vieppiù la resistenza tedesca. Dal canto suo, «pour répondre aux intérets de I' Enteme, l'Armée italienne doit agir dwis le 111€me sens sans aucune perte de temps». A tale scopo entro metà agosto sarebbero stati inviati 30 mila proietti da 75, 5 mila da 105 ed altrettanti da 175 carichi di yprite cd adattati alle bocche da fuoco italiane; inoltre si prevedeva la cessione, in prestito per la durata cieli' operazione, di un battaglione carri su tre compagnie, ciascuna di 25 carri d 'assalto. Purtroppo non era ancora possibile indicare una data per il rimpatrio dei lavoratori, a causa dei nuovi gravi impegni derivanti dallo spostamento in avanti delle armate alleate 3• Risposta nettamente negativa, invece, per la domanda di un prestito alleato di almeno 3 mila autocarri per tre mesi, inoltrata il 17 luglio attraverso il generale di Robilant •. La vicenda merita di essere ricordata. Il 12 agosto il colonnello Maravigna partecipò ad una conferenza italo-francese a To1ino, quale delegato del Comando Supremo. In quella sede, con sommo stupore, apprese che il 4 agosto, a Parigi, il ministro Nitti aveva fiJmato con il ministro francese degli Armamenli, Loucheur, una convenzione per la quale il precedente impegno italiano di cedere alla Francia un terzo della produzione Fiat - sospeso a suo tempo

'Oiaz a Foch in data 30.7.1 918, ibidem, doc. 41. lbidem. ' Focb a Dia.i: in data 6.8.1918, ibidem, doc. 42 'Ibidem, doc. 158 e 159. 1


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dal governo italiano per soddisfare le necessità del nostro esercito - era stato ripristinato aU'insaputa del Comando Supremo! Il colonnell.o Maravigna ritenne di doversi opporre, dichiarando non potersi parlare di cessioni alla Francia prima della costituzione della riserva, per noi indispensabile, di 6 mila autocarri, il cui completamento era previsto per il marzo 1919. TI rappresentante francese replicò allora che, ove non si fosse rispettato l'accordo firmato dal ministro Nitti, egli avrebbe telegrafato a Parigi proponendo - come ovvia ritorsione - la sospensione dell'invio delle 30 mila granate ad yprite. Solo dopo accese e laboriose discussiorù, sentita anche la Fiat, si riuscì a trovare un precario compromesso 1. Sulla quesrjone degli ausiliari, Foch, da poco promosso maresciallo di Francia, si espresse molto seccamente: «( ...) Le vostre difficoltà in uomini sono incontestabili, ma quelle del nemico lo sono ancora di più. Bisogna sfruttare la situazione. In sintesi, Voi avete per agire, una volta, che l'avrete deciso, tutto il necessario in uomini e mezzi. Le ciJcostanze sono tra le più favorevoli, il che sembra debba affrettare la vostra decisione. Non appena me l'avrete fatta conoscere, indicandomi la data dell'attacco, farò partire il materiale convenuto(...)» 1. Anche Clemenceau intervenne pesantemente per tag liar corto con la nostre pretesa: «( ...) il diritto della Francia a ricevere i lavoratori alleati - scrisse ad Orlando il 15 agosto - si giustifica con il fatto che i Francesi fanno i combattenti

sino ad un'età in cui gli uomini delle altre nazioni sono trattenuti all'interno o addirittura esonerati da qualsiasi obbligo militare. Per questo la popolazione francese ha compiuto uno sforzo sconosciuto agli altri popoli dell'Intesa. (...)». E, tanto per completare la lezione, si disse disposto a spedire a Roma un ufficiale qualificato in grado di «mettere a vostra disposizione l'esperienza che abbiamo raggiunto nell'aite di sfruttare le risorse di personale nazionale per trarne dei combattenti» 3 • A cosi stupefacente lettera Orlando replicò seccamente, sia dichiarandosi pronto a confrontare lo sforzo italiano, che non poteva certo contare sulla mano d'opera coloniale, con quello francese; sia affermando che anche l'Italia aveva ogni diritto di impiegare come combattenti i soldati inviati a suo tempo in Francia come «truppe ausiliarie»•. Questi attriti cominciarono a incidere sui nostri progetti.11 16 agosto un promemoria dell'ufficio operazioni del Comando Supremo riepilogò alcuni elementi di fatto. L'andamento delle ultime operazioni in Francia e le considerazioni formulate dai Rappresentanti militari permanenti francese, inglese ed americano

' Ibidem, doc. 160. ' Foch a Diaz in data [2.8.191 8, tramite missione francese di collegamento con il Comand(l Supremo, ibidem, doc. 44. ' Clemenccau a Orlando in data 15.8. 1918, ibitlem, doc. 46. Cfr. S. SoN:-11:-:0, Caneggio 19161922, Latena, l3ari 1972, p. 465. ' Orlando a Clemenceau in data 8.8. 19 18, ibidem, doc. 55. Cfr. S. SOKNLNO, Carreggio 1916/922 c it., pp. 447-470.


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sulle rispettive forze facevano ritenere che nessuna operazione cli vasto respiro, capace di bloccare le truppe tedesche sul fronte occidentale, venisse attuata dal1'Intesa su quel teaLro sino aJJa primavera deJ 1919; l'esercito austro-ungarico non si dimostrava affatto scosso, come ufficialmente sostenuto dal Gran Quartier Generale interalleato, e lo attestavano i recenti combattimenti minori, e per giunta conservava la superiorità numerica; secondo il parere dei Rappresentanti militari, la soluzione della guerra doveva essere ricercata in Francia nel 1919: L'Italia, quindi, doveva fare assegnamento sulle sole sue forze. Ciò posto, il massimo che il Comando Supremo potesse attuare consisteva nella nota offensiva in preparazione sull'Altopiano di Asiago e sul Pasubio, non certo sufficiente ad arrecare una così grave scossa al nenùco da rendergli impossibile uno sforzo of• fensivo nel secondo semestre del 1918, tuttavia indispensabile come atto preliminare per la grande offensiva del 1919. Solo l'affidamento di poter compiere a tempo debito quest'ultima operazione giustificava l'iniziativa attuale, effettuabile nella seconda metà di settembre. Di conseguenza, prima di stabilirla in concreto occorrevano tre garanzie: la certezza che nel 1919 sarebbero state assegnate al teatro italiano forze sufficienti per un'offensiva a fondo; la presenza in Italia di dieci divisioni alleate, anche se non di p1imissimo impiego, come sicurezza contro l'eventualità, probabile, di una violenta reazione austro-tedesca (in proposito l'ufficio operazioni ricordava il parere favorevole espresso dai Rappresentanti nùlitari francese ed inglese); una contemporanea vigorosa azione sul fronte occidentale. li generale Badoglio annotò che «prima di impegnare una così grossa partita, che potrebbe portare a gravi conseguenze», sarebbe stato bene mettere le cose in chiaro con il maresciallo Foch. «Non è ammissibile - continuò - giocare una carta, bisogna che abbiamo sicurezza di non essere sopraffatti» 1• Una settimana più tardi l'ufficio operazioni preparò una nuova memoria, tradotta in francese perché destinata ad essere illustrata e presentata da Diaz e dal generale di Robilant a Parigi, nelle sedi opport1me. Questa seconda memoria che intendeva ribaltare i proponimenti strategici del Consiglio Supremo di guerra e di Foch - cominciava con l'assicurare la preparazione della duplice offensiva sull'Altopiano di Asiago e sul Pasubio entro il 10 settembre. Subito dopo, però, il valore strategico di tali azioni veniva sminuito con l' argomentazione che i risultati conseguibili, pur costituendo una buona base di partenza per il futuro, erano in realtà privi di valore decisivo. E infine le rifiutava, dato il loro prevedibile carattere di logoramento, a meno di circostanze particola1111ente favorevoli. Seguiva un'affermazione piuttosto contraddittoria: «l'esiguità delle riserve e la

' Promemoria del Comando Supremo in data 16.3.1918, ibidem, doc. 5 1. Secondo Caviglia l'animo del Comando Supremo era ancora fennamentc difensivo. Infatti, invece di portare i pontieri sul Piave. continuava a tenerli sul basso Po e sul basso Adige, ove erano stati mandati nel novembre 1917 per predisporre i ponti di barche in previsione di un'ulteriore nostra ritirata (c. CAVIGLIA, l e rre ba1raglie del Pfove cit., p. I OI).


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deficienza dei complementi impongono alJ' esercito italiano di non affrontare una grossa battaglia se non quando questa possa condurre ad un risultato decisivo. Tale tisultato non può essere che la messa fuori causa dell'esercito austriaco». Nel prosieguo dell'esposizione si chiariva che per mettere fuori causa l'esercito austriaco l'Italia aveva bisogno di un concorso alleato di ... 23-25 divisioni con corrispettiva aliquota cli artiglieiie di medio e grosso calibro e relativo suppo1to logistico. Un'offensiva interalleata di questa fatta - si spiegava - presentava evidenti vantaggi sotto ogni punto cli vista. Doveva essere compiuta entro l'anno in corso, sì da consentire all'esercito italiano, liquidata l'Austria, di 1inforzare il fronte alleato in Francia entro l'inverno 1918-19 e 1isolvere la guerra entro il primo semestre del 1919. A parte il silenzio su un attacco alla Germania attraverso l' Aust1ia vinta, si spiegava ancora, dulcis in fundo, che concentrare ogni sforzo sul fronte occidentale - secondo il chiodo fisso degli Alleati significava ritardare fatalmente «e forse anche compromettere la 1isoluzione della guerra» 1• Non è difficile intuire quale accoglienza simili confuse prospettive potessero trovare a Parigi. * * * A Parigi non spirava vento favorevole all'Italia, anche perché Foch, saldamente sostenuto da Clemenceau e dal presidente Poincaré, aveva acquistato una posizione di assoluto predominio sui comandanti in capo alleati, grazie al fatto che gli Stati Uniti gli avevano 1iconosciuto la facoltà inappellabile di disporre delle truppe ame1icane. Una posizione, in ogni caso, tanto forte da con sentirgli di prendere un atteggiamento freddamente polemico nei confronti dei Rappresentanti militari permanenti. Convocatili il 26 agosto al castello di. Bombon, si affrettò a premettere che le sue attribuzioni nei riguardi delle loro consultazioni si traducevano a rispondere a ben detenninati quesiti postigli a titolo consultivo e quindi le sue risposte non assumevano forma di documento scritto né, tanto meno, di decisioni. In sostanza fece capire che stimava pressoché inutili le consultazioni in questione. Dopo siffatto, eloquente, preambolo, dichiarò di aver letto le loro memorie operative per il futuro e di nulla aver da osservare in linea di massima. A proposito del fronte occidentale, posto alle sue dirette dipendenze, osservò: «(...) non trovo particolari su cui esprimermi (... ); non st.a a mc sollevare apprezzamenti: ché, se a vostra volta mi interrogaste, non saprei cosa rispondervi. Che e.osa volete, infatti, ch'io possa dirvi su ciò che farò nella primavera del 19 I9'> Farò ciò che la situazione mi consiglierà; né vi risponderei diversamente se mi chiedeste ciò che farò lra quindici giorni; data la mutevolezza della situazione, pon·ei soltanto dire oggi quello che ho intenzione di fare domani(. .. ).

'Memoria del Comando Supremo in data presumibile 23.8,1918, USSME, Relazione ufficia'

le cit., V, tomo 2 bis, doc. 56.


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Tutto ciò eh ' io posso dirvi è questo: che nessuno sforzo deve essere rispanniato per ottenere nella primavera del 1919 una schiacciante superiorità numerica; seguiti l'affiusso delle forze americane, il più celere che si,1 possibile; le attuali di visioni francesi ed inglesi siano, a prezzo di qualunque sforzo, mantenute nel numero attuale e rimesse in efficienza per il 1• aprile 19 19. Ogni riduzione sul numero auuale delle divisioni ( ... ) è inammissibile e non potrà mai conse11ti111i. Tutto iJ tonnellaggio disponibile di tutti gli alleati sia sfruttato al massimo per il tra~pono delle truppe americane( ... )».

Il generale di Robilant espose il punto di vista del nostro Comando Supremo, ma Foch, pur ammettendo l'importanza di un piano del genere, lo scartò per le difficoltà di ordine operativo (numero di divisioni occorrenti) e logistiche. L' Italia, ribadì, doveva semplicemente attaccare ed il più presto possibile. Le mancava la '5uperiorita numerica? e lui era forse in condizioni diverse? Che cosa temeva il Comando Supremo italiano? Aveva subito un grosso attacco e lo aveva, parato molto bene, «Ora potrebbe decidersi ali' offensiva con la maggior fiducia che dà il morale elevato; e converrebbe che si decidesse presto». E non si parlasse di un afflusso di unità tedesche in Italia: «i tedeschi ora hanno altro da fare che venire ad attaccarvi; penserò io a non lasciare loro né il tempo né il modo di farlo». Riserve? «Se ne sarà il caso, formerò una riserva ed accorrerò su quella fronte; ma non ammetto assolutamente cli immobilizzare delle forze in Italia per parare a pericoli possibili ed a svariate eventualità; e neanche a puro titolo di maggiore garanzia dell'attitudine difensiva che si seguitasse a conservarvi. No, nessuna riserva! Basta il necessario; tutte le truppe disponibili siano sul fronte di battaglia in Francia; ed aboliamo ogni riserva, che sarebbe un articolo di lusso, mentre oggi abbiamo delle necessità impellenti (...)» 1• È appena il caso di rilevare l'inconsistenza e la supponenza di affemrnzioni così categoriche; comunque, al punto in cui erano giunte le cose, appariva inutile cercare di smontare il dogma del fronte occidentale quale fronte principale con tutto ciò che ne derivava, tanto più che anche gli inglesi e gli americani ne erano pienamente persuasi. Sciolta la seduta, Foch intenzionalmente chiamò in disparte il generale di Robilant. Con un tono che si sforzava di essere distensivo, non fece che ribadire la necessità e la fattibilità di una nostra pronta offensiva. Avrebbe fornito volentieri materiali ed artiglieria, ed anzi espresse il desiderio di un colloquio al suo Quartier Generale con Orlando e con D iaz. Chiuse la conversazione rimarcando che all'atto della pace avrebbe giovato all ' Italia non soltanto aver liberato i territori invasi, ma essere penetrata con le sue truppe, almeno in p,ute, nei territori irredenti ai quali aspirava. E poi ammonì: «L'offensiva è necessaria! Se non la farete, l'Esercito cd il Paese, il cui morale è altissimo, potrebbero chiedervene conto !» 2 • Aveva parlato pro domo sua , ma quel che aveva detto rispondeva a verità.

' Di Robilant ad Orlando in data 5.9.1918, ibidem, doc. 61.

' Ibidem.


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Ancor più maldisposto nei confronti dell'Italia era Clemenceau. «Oh! leur offensive! le m 'en moque - disse il 29 agosto a Poincaré - A quoi bon? Foch est venu m 'en parler. Mais j 'ai lui dit: "Jls n 'auront ni tanks ni ypérite! Pétain voulait leur donner 75 tanks et Foch se serait contenté de 25. Mais ni 75 ni 25! Nos soldats ont bésoin de tanks, je ne les enverrai pas certainement aux ltaliens. Quant à l 'ypérite nous n 'en avons pas assez et il vaut mieux en donner un peu à. Salonique" (... )» 1• Diaz fu in Francia dal 30 agosto al 6 settembre. Incontrò il presidente Poincaré e Clemenceau, visitò i Quartier Generali di Foch e dei comandanti in capo alleati, Pétain e Haig, nonché il nostro TI corpo d'annata in linea. A quanto scrisse a Badoglio, Foch, dopo un'amichevole discussione «finì per ammettere convenienza che nostro esercito assuma per ora contegno aggressivo tenendosi pronto a sfruttare situazioni che si manifestino propizie. Ciò corrisponde in pratica ad una larga libertà d'azione lasciata al Comando Supremo italiano». Circa la ventilata offensiva del 1919, Foch «non ha escluso eventuale invio a momento opportuno rinforzi alleati in Italia per tale operazione se si dimostrerà conveniente» 2• Perciò Diaz rientrò in Italia, persuaso cli aver chiarito la nostra posizione al punto da considerarla come accetta agli Alleati, il che non rispondeva -0ssolutamente a realtà. Clemenceau e Foch, infatti, non soltanto rimasero arroccati sulle loro posizioni, ma ricavarono una poco favorevole impressione dai colloqui avuti ed attribuirono a Diaz un'eccessiva prudenza, nonché una sorta di propensione a restare inattivo per evitare rischi. «C'est un homme qui ne veut passe battre - riferì Clemenceau a Poincaré -. Il prétend que les Autrichiens se battent comme lions, qu'on ne peut pas prendre l'offensive contre eux en ltalie, que les Bulgares aussi sont trés rédoutables, qu 'il serait dangereux de !es attaquer à Salonique» 3• Forse anche per questo Foch si guardò bene dal prendere impegni precisi circa gli aiuti richiesti. Dal canto suo il generale di Robilant sottopose all'attenzione degli altti Rappresentanti militari permanenti una p rop1ia memoria, basata su quella dell'ufficio operazio1ù del Comando Supremo ma redatta più diplomaticamente, su.i disegni operativi perl'autunno 1918 e per il 19 19. Nella lettera dj trasmissione sottolineò come, oltre alle misure in corso o da adottare per facilitare lo spostamento cli riserve tra Francia ed Italia, si imponesse l'adozione «di alu·i provvedimenti preventivi per assicurare alla fronte italiana la debita efficienza, sia offensiva sia difensiva, nel contributo che essa arreca alla causa comune degli Alleati» 4.

' In L. SÈGATO, L'Italia nella guerra mondiale cit., IV, p. 235. ' Diaz a Badoglio in data l.9.1918, USSME,Re/azione ufficialecit., V, tomo 2 bis, doc. 62. Da questo telegramma è facile arguire come Diaz assai poco abbia sviluppato gli argomenti della seconda memoria dell' ufficio operazioni. ' In L. S EGATO, L'Iralia nella guerra mmuliale cit. , IV, p. 234. Cfr. F. MARTINI, Diario 19141918 cit., p. 1248. 1 • Robilant ai Rappresentanti militari permanenti in data 3.9.1918, USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 53.


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Principali azioni dell'agosto 1918.

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In aderenza al pensiero del Comando Supremo, punto centrale della memoria di Robilant era ancora la possibilità di mettere fuori causa l'Austria-Ungheria. Ora, essendo ben noto il principio condiviso concordemente eia francesi, inglesi ed americani che la soluzione della guerra dovesse avvenire in Francia, contro i tedeschi, la nostra insistenza nel disegno cli agire contro l'Austria «per isolare la Germania e batterla più facilmente» era fuori luogo. Accoglieodo il progetto italiano, lo sforzo principale si sarebbe spostato in pieno sui fronti italiano e balcanico per agire da sud contro l'Austria e poi, di seguito, contro la Germania, ed ovviamente mai Comando Supremo interalleato e governi alleati avrebbero accettato un piano ciel genere. E l'incessante richiamo ai pericoli che minacciavano l'Italia non poteva che risultare controproducente, quanto fastidioso ed ingiustificato agli occhi degli Alleati. Si tenga presente, infine, che dal 21 agosto l'offensiva alleata fra Ypres e Reims aveva ripreso slancio respingendo le armate tedesche verso la linea Hindenburg, e che il 3 settembre, concluse od in via di completamento tutte le operazioni preliminari, Foch aveva già diramato le direttive per la prossima offensiva: le m-imtte britanniche dovevano sfondare la linea Hindenburg tra Cambrai e St. Quentin; quelle francesi tra La Fère e Suippes (est di Reims); quelle americane fra l' Aisne e la Mosa. Quindi il 1Osettembre ai Rappresentanti militari permanenti non rimase che approvare la Nota collettiva n. 37, la quale, pur considerando Francia ed Italia principali teatri d' operazioni, riconfermava il ruolo prioritario «di quel tratto del fronte occidentale compreso fra il Mare ciel Nord e la Svizzera». Le operazioni sugli altri fronti dovevano «concorrere alla decisione ricercata sulla fronte occidentale(...), ma senza che vi siano assegnati mezzi tali da diminuire l'efficienza degli eserciti dell'intera operazione sulla fronte decisiva». Senza escludere che gli eventi potessero consigliare azioni risolutive sin dalla primavera, la fine del conflitto veniva ipotizzata per l'estate del 1919 1• Che il disaccordo fra Francia ed Italia superasse l'ambito militare lo attestò l'ambasciatore Bon.in Longare, il quale, a titolo personale partecipò ad Orlando le sue impressio1ù sulla visita del capo di Stato Maggiore. Diaz si era mostrato con lui soddisfatto «che non si insistesse qui sull'idea dì una nostra immediata offensiva e che l'opportunità di questa, come il momento da scegliersi, fossero lasciati al suo giudizio». Boni..n aveva argomentato che H nostro Comando Supremo «non avendo preso alcun impegno circa l'offensiva nostra che qui gli era domandata, la rinvia[sse) ad epoca indeterminata ritenendola attualmente non opportuna». Simile atteggiamento, presumibilmente percepito anche da francesi ed inglesi, presentava un pericolo, che, dopo accurata disamina, l'ambasciatore smtetizzò con estrema chiarezza:

' Ibidem, doc. 50.


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Offensive alleate sul fronte occidcnrn.lc.

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«Noi ci troviamo di fronte ad una doppia difficoltà. Da un lato i nostri alleati ci domandano d'intraprendere un'offensiva che il giudice meglio competente, cioè il nostro Comando Supremo, non crede di poter consentire; dall'altro la rinuncia all'offensiva minaccia di condurci insensibilmente ad un isolamento nùlitare che può avere per lontano effetto anche una specie di isolamento politico. Occorre intentare tutta la nostra abilità ad evitare che la savia circospezione che le circostanze impongono alla nostra attività militare abbia la temuta ripercussione sulla nostra situazione politica di fronte agli alleati» '.

Orlando, jl quale aveva appena ricevuto un invito rivoltogU «in via su·ettamente confidenziale» da Foch 2, si u·ovò in una posizione piuttosto imbarazzante. A prescindere dal fatto di non poter accettm·e l'invito all'insaputa di Clemenceau, si rendeva conto che con ogni probabilità Foch intendeva rinnovare le esortazioni per un'offensiva italiana, per ottenere cioè da lui quello che non era riuscito a strappare a Diaz. Poiché condivideva l'opinione ciel capo di Stato Maggiore ed era convinto di non poter contare sugli aiuti di truppe e mezzi alleati, esitava. Tra l'altro, il generale Wilson aveva ordinato la pmtenza delle tre divisioni inglesi dall'Italia per il fronte occidentale. Sarebbero state sostituite da altrettante divisioni da riordinare ,_ Orlando pregò dunque il generale di Robilant di sentire l' opinione di Bonin Longare sulla linea di condotta da seguire, anche sul piano formale •. Di Robilant chiese ed ottenne un colloquio con Foch. Questi si dichiarò lieto cli ricevere il presidente del Consiglio italiano, confermò il punto di vista favorevole all'azione italiana e spiegò che la sostituzione delle divisioni britanniche con altre meno efficienti era stata presa in vista della nostra «rinuncia ali' offensiva», rinuncia che pertanto considerava come causa e non come conseguenza del cambio delle divisioni 5• ln definitiva, la visita di Orlando si presentava necessm·ia più che utile, in quanto il proposito del Comando Supremo cli non assumere iniziative si ripercuoteva - e lo si riscontrava facilmente nella stampa francese - in senso negativo sulla posizione italiana in seno all'alleanza, specialmente posto che dal 12 settembre lungo il fronte occidentale, da Cambrai all'Oise, non soltanto gti attacchi delle vm'ie armate alleate stavano raccogliendo buoni 1isultati, ma si era constatata la scarsa combattività delle due divisioni austro-ungm'iche presenti in quei settori. E Clemenceau cominciava ad ostentare una sorta di indifferenza per gli

' Bonin a Orlando in data 8.9.1918, ibidem, doc. 65. ' Orlando a Sonnino in data 6.9.1918, in S. SONNINO, Carteggio 1916-1922 cit., pp. 480-482. ' Lord Cavan al Comando Supremo in data 5.9.1918, USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 68. Il provvedimento derivava da un suggerimento fatto il 5 settembre da Foch al generale Wilson: di portar via dal! ' Italia le tre di visioni inglesi «ben riposate dai combattimenti di giugno» e sostituirle con «divisioni stanche che vadano colà a completare la loro ricostituzione( ... ). A Voi tocca dar l'ordine per le divisioni inglesi: io, da nùa pa1te, prendo analoghe nùsure per le divisioni francesi» (lvl. CARACCIOLO, L'Italia e i suoi alleati cit., p. 297). 1 • Orlando a Robilant in data, 11.9.1918, USSìvlE, Relazione ufficiale ci t. , V, tomo 2 bis, doc. 66. ' Robilant a Orlando in data 15.9.1913, ibidem, doc. 69.


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avvenimenti bellici in Italia, quasi che la nostra passività incidesse sul livello della nostra partecipazione '. Orlando, dunque, comunicò a Diaz le informazioni ricevute e formulò un preciso quesito: «se, cioè, a Parigi, io debba tenere un'attitudine di intransigente fermezza nel rifiuto di operare, o se non possa venire a qualche considerazione subordinata che la nostra azione colleghi col rifornimento dei materiali stati sinora chiesti e così insufficientemente forniti: in altri termini, se debbo contenermi nei limiti di una pregiudiziale (sia, pure dandone le più ampie giustificazioni) o se sia, invece, possibile cli venire al metitO>> 2• Diaz confermò quanto già illustrato in più occasion.i: un rifiuto ad assumere iniziative era lontanissimo dal suo pensiero; molto semplicemente, la nostra azione, del resto già predisposta, • era subordinata ad una situazione più favorevole sul nosu·o fronte (vittoria decisiva in Francia o gravi sonm1ovimenti interni in Austria) oppure un concorso alleato con adeguati mezzi in rinforzo. Poi specificò cli non escludere che la situazione o considerazioni politiche potessero imporsi, ma in tal caso occorreva un esplicito ordine del governo, non avendo il Comando Supremo modo di giudicare la portata di tali fattori nei confronti della politica sia estera sia interna. Da tener presente che se fosse stata presa la decisione di operare senza il concorso alleato, occorreva avere subito in zona di guerra, la classe 1900 con le note ripercussioni sulle operazioni previste per il 1919 3• Orlando rispose prima di partire da Roma per stabilire bene le responsabilità. Sul piano nazionale, «in nessun caso e per nessuna ragione assumerei la responsabilità di un' azione militare al cli fuori della piena e Libera volontà dell' autorità militare che ne è legalmente [e] moralmente responsabile». D'altro canto esisteva un Comando interalleato, «il quale nei nostri riguardi manca di confini sicuri ed occoJTe assolutamente evitare che si determini una influenza indeterminata, la quale mentre non si trova al caso di poter agire lascia a noi la responsabilità del non agire». Questo intendeva mettere a fuoco a Parigi •. Il discorso era piuttosto contorto, perciò Diaz raggiunse Orlando nella capitale francese con un telegramma inteso a non lasciare zone d'ombra: «A meglio chia1irc mio pensiero circa operai.ioni fronte italiano 1itengo necessario aggiungere quanto segue a m.io precedente 41. Situazione attuale ci impone sviluppare offensiva a fondo soltanto se operazioni in Francia anziché. risolversi in una stabilizzazione della fronte contro posizioni linea Hindenburg procederanno oltre decisamente. In tale attesa tengo vivace contegno offensivo come dimostrano operazioni proficuamente compiute in questi giorni et come dimostreranno parziali azioni di maggior raggio che seguiterò a sviluppare con intento verificare se diminuita efficienza nemica consigli azioni maggiori. Mi propongo in tal modo di fissare forze austriache su nostro fronte

' Bonin a Sonrùno in data 15.9.1913, ibidem, annesso I al doc. 70. ' Orlando a Diaz in data 14.9.1918, ibidem, doc. 70. ' Diaza Orlando in data, 14.4.1913, ibidem, doc. 71. 1 • Orlando a Diaz in data 14.9.1913, ibidem, doc. 72.


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et mi tengo pronto a passare all' attacco a fondo non appena situazione in Francia si delinei nel senso sopra indicato. In caso contrario, qualora cioè si producesse deciso arresto nella offensiva alleata, non solo non ravviserei utile né conveniente spingere nostra offensiva a fondo, ma riterrei doversi molto seriamente considerare evennialità già prospettata anche da stampa inglese di un grande attacco austrotedesco contro Italia come avversario ritenuto più debole et dovrei prendere tutte misure necessarie per farvi fronte» ' .

La missione parigina sembrò raggiungere un risultato brillantissimo, sì che Orlando si affrettò ad informare Diaz di avere ottenuto da Clemenceau «un successo notevolmente superiore alle stesse aspettative» e con Foch «una piena libe1tà che fu riconosciuta legittima» 2• A Sonnino telegrafò: «Ieri avuti colloqui con Clemenceau e lord Milner; intera giornata odierna con Foch. Credo di avere avuto un successo decisivo per ciò che 1iguarda valutazione militare e morale della nostra situazione» 3 • Si trattava di un colossale abbaglio, forse dovuto alla vanità del personaggio, In realtà le cose rimasero esattamente al punto in cui si trovavano prima. Per di più, proprio in quei giorni si erano verificati due eventi con i quali meno ancora si conciliava il nostro atteggiamento difensivo. II 14 settembre il governo austro-ungarico aveva proposto a tutte le Potenze belligeranti di partecipare a «discussioni confidenziali senza carattere vincolativo» in uno Stato neutrale per esaminare se le circostanze potessero far ritenere che l'inizio di negoziati di pace sembrasse offrire prospettive di successo 4. Il 16 l'imperatore Carlo aveva chiesto al Papa di appoggim·e l'iniziativa. Nel contempo il generale Franchet d'Espérey, comandante delle armate alleate d'Oriente, avviava l'offensiva in Macedonia 5 e, separata l' 11" armata germanica da quella bulgara, metteva in moto

' Diaz a Orlando in data 17.9 .19 18, ibidem, doc. 73. ' Orlando a Diaz in data 18.9.1918, ibidem, doc. 74. A Parigi Orlando si era espresso favorevolmente all'attribuzione di poteri decisionali a Foch, ove questi si fosse assunto la intera responsabilità dell ' operazione, assi.curando interventi con truppe alleate in caso di ins uccesso o di controffensiva austriaca. Naturalmente Foch aveva replicato di essere fin troppo impegnato s ul fronte occidentale e di non aver modo di ven ire nel Veneto per rendersi conto della situazione locale (Orl ando a Foch in data 18.9.1918, ibidem, annesso 1 al doc. 75, n. 319. Cfr. O. MALAGODI, Conver.wzioni della guerra cit., 11, p . 416). ' S. SONNINO, Diario 1916-1922 cit. , Il!, in data 18.9.1918. p. 488. ' Gli Stati Uniti risposero subito negativamente, Fran.c ia e Gran Bretagna si astennero dal rispondere. L' Italia dichi ar<'> la proposta priva di basi. Il 25 settembre Orlando informò Sonnino che, secondo informazioni provenienti dal Vaticano, l'Austria era disposta a cedere all'Itali.a il Trentino italiano, la linea dell ' Isonzo, l'autonomia di Trieste e Valona. Cioè il «parecchio» (S. SONNINO, ibidem, in data 25.9. 1918, p. 301). ' A quanto pare l'operazione era vista a Parigi con molta ince1tezza. Si narra che, dopo l'autorizzazione ad iniziare l'attacco il 15 settembre, Ja sera del 14 sia giunto a Franche! d 'Espérey un significativo telegramma di Clemenceau: «Il est bien entendu que l'action qui doit se déclancher demain quinze septembre sera engagée sous votre seule responsabilité». Al che, il generale avrebbe bruciato il dispaccio ad una candela e detto: «Rien de changé ii. mes ordres» (USSME, Re/azione ufficiale cit., Vll, tomo 3, p. 304).


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< m 1918

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l'intero fronte balcanico. Ora, se una pace di compromesso con l'Austria era I'ultima cosa che l'Italia potesse desiderare prima di aver allontanato gli austriaci dal Piave, nemmeno era possibile rischiare di vedere l'Austria attaccata dalle m·mate alleate in Bal.cania mentre noi restavamo al Piave. * * * A questo punto Orlando, appena rientrato a Roma, ritenne conveniente riunire il Comitato di guerra. Al temune di due lunghe sedute (23 e 24 settembre), alle quali partecipò anche Diaz, fu 1iconosciuto - era ovvio, del resto - il dallllo ed il pericolo che l'isolamento militare avrebbe recato all'Italia. Quindi si poneva la questione di un'immediata nostra offensiva. Diaz si dichiarò contrario per una serie di motivi e spiegò che un'azione subitanea poteva esporci ad un insuccesso, se non addirittura ad un disastro, qualora gli austriaci, dunmte la nostra offensiva sugli Altipiani, che egli prevedeva sterile, avessero contrattaccato a fon do sul Piave 1• Orlando pensava che «avremmo dovuto prendere noi il rischio del1'offensiva avvertendo gli Alleati che lo facevamo per ubbidire ai loro desideri, lasciando così in certo modo a loro la responsabilità di quanto potesse accadere»! 2• Alla fine, su suggerimento del nunistro Bissolati, per risolvere il dilenuna fu chiamato in causa Foch con una lettera in cui abilmente «mentre si riconosceva effettiva la sua autorità di capo supremo anche per l'Italia, si richiamava la di lui attenzione sui pericoli che presentava il nostro fronte», come Orlando comuni cò all'ambasciatore Bonfo Longare 3• In sostanza: il nemico godeva di una superiorità valutabile sulle 10-16 divisioni; le sue posizioni difensive erano saldamente organizzate; le trnppe austro-ungariche non davano alcun segno di demoralizzazione; l'unico tratto sul quale si poteva operm·e, «in piena conispondenza con l'autorevolissimo giudizio vostro», richiedeva l'impiego cli un 18-20 divisioni per arrivare al parallelo cli Feltre, più altre 6-8 per azioni conconenti su altre pmti del fronte. In totale si trattava di circa 25 divisioni contro una nostra disponibilità di appena 10 divisioni. Considerando un fabbisogno n1ÌJJimo, l'Italia chiedeva solo 1O divisioni alleate in corso di ricostituzione o di approntamento, cui affidare settori di fronte sulla pura difensiva. Questo avrebbe consentito il recupero di altrettante clivi-

' Il 23 settembre il generale Badoglio, da Abano, aveva telegrafato a Diaz una propria valutazione della situazione, secondo la quale «i l nemico est pronto sia ad opporsi in forze contro un nostro tentativo di forzamento del Piave, sia ad eseguire un contrattacco, specìe contro 1'8' armata qualora noi effettuassimo un 'avanzata sugli Altipiani. Ad ogni modo riterre.i prudente rinforzare alquanto ai1iglierie della 3' e 8' armata, togliendo alla 1• annata quanto le avevano dato per operazione su Pasubio. Naturalmente si rinuncerebbe ad azione su Pasubio, il che(... ) satebbe a mio avviso ottima decisione». Diaz approvò la proposta dello «spostamento artiglierie dalla p1ima alla ottava armata» (USSME, Relazione ufficiale cit., V, torno 2 bis, doc. 80 e 81). ' O. MAl, AGODJ, Conversazioni della guerra cii., II , p. 417 . ., Orlando a Bonin in data 24.9.1918, USSME, Relazione ufficiale cii., V, tomo 2 bis, doc. 75.


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sioni italiane efficienti per «parare quella eventualità per cui la progettata nostra offensiva potrebbe determinare una crisi per noi assai pericolosa». Ma dopo questi aspetti «tecnici» occorreva pur affrontare il vero nodo della questione, quello della responsabilità decisionale, e Orlando lo fece in termini che ancor oggi non possono non suscitare un estremo senso di disagio, sia per la smaccata piagge1ia, sia per la invocazione a risolvere il nostro problema militare, o meglio ad accettare responsabilità che noi non ci sentivamo di prendere: «Ciò(...) conferma - scrisse Orlando a Foch - il sentimento di profonda deferenza che ci anima verso di Voi come comandante in capo delle forze interal leate, di guisa che, come ebbi a di rvi costà, il Governo italiano non esiterebbe, dopo aver fatto le presenti dicl1iarnzioni, di rimettere interamente a V9i per ciò che riguarda ogni decisione in qualsivoglia caso e senza alcuna restrizione se, in conseguenza di ciò, Voi credete di poter assumere la intera responsabilità dello svolgimento delle operazioni sul nostro fronte» ! '.

Vale la pena di rammentare, per inciso, che il 2 aprile Orlando aveva telegrafato a Bonin Longare, replicando giustamente alle insistenze di Clemenceau circa il comando unico alleato da affidare a Foch, con motivi addirittura di carattere costituzionale: «( ... ) Dal lato formale ricordo per tua personale norma, che, secondo nostro Statuto, Capo dell' esercito è S.M. il Re e che Capo d( Stato Maggiore assume responsabilità operazion i militari verso Parlamento: or tale costruzione non so più come reggerebbe qualora comandante rosse uno straniero» ' .

Come prevedibile, il maresciallo Foch rispose ribadendo che «depuis le mois de mai» non aveva fatto altro che rappresentare a Diaz l'importanza di un' offensiva in Italia; ripetendo di non avere il tempo né il modo di recarsi ad approfondire lo studio «d'une opération qui n'engage qu'une faible partie de l'Armée italienn.e sous le commandement direct de son chef»; tornando a dire che il fronte occidentale assorbiva l' intera disponibilità delle forze alleate. La conclusione fu, per il governo ed il Comando Supremo, a dir poco mortificante: «Je cherche en vain ce que je pourrai ajouter, car, pour ce qui est d' ottcnir de moi un consci! qui, de votre aveu, me laisserait "l 'entière responsabilité de dévéloppemenr des opérations .rn.r le front italien", c'est une hypothèse que nul homme de raiS()n ne saurait cnvisager. En tout cas, !es Armées all iées: Beige, Anglaise, Française, Américaine, Serbe, Grecquc ... attaquent actuellcmentsans arrèter. Dcpuis le Jourdan j usqu' à la Mcr du Nord, tout le front est ébranlé. Il n'y a pas de guerre sans risqucs; la question e.~l aujourd ' hui de savoir sì, ces risqucs, dans l'ébranlernent moral et dans la disorgarusation de I' Arméc Autrichienne, le Commandament Italien est disposé à !es couri r» ' ·

' Orlando a Foch in data 24.9.1 918, ibidem, aMesso 1 al doc. 75. ' Orlando a Bonin in data 2.4.1918, ibidem, annesso al doc. 12 . ' Foch a Orlando in data 28.9.1918, ibidem , doc. 76. ll giorno precedente il generale franchet d'Espércy aveva comunicato la domanda d 'arm istizio presentata dalla Bulgaria. L'armistizio venne l'innato il 29 ottobre a Prilep.


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Anche Clemenceau era seccato con il governo italiano. Aveva appena protestato per un'intervista di Nitti con il capo dell'ufficio italiano dell'Associated Press, in cui il nostro ministro del Tesoro formulava «un vero atto d'accusa contro gli Alleati pel contegno loro di fronte all' Italia, nella difficile situazione in cui questa si trovava militarmente di fronte all'Austria-Ungheria», ed accusava Foch di non rendersi conto delle nostre difficoltà, malgrado gli immensi sacrifici sopportati dall'Italia per la causa comune. Il governo francese, che era riuscito a bloccare la trasmissione dell'intervista in America, chiedeva un'aperta sconfessione degli avventati giudizi. Sonnino comunicò verbalmente all'ambasciatore Barrère che gli apprezzamenti di Nitti non corrispondevano al pensiero del governo italiano e che, comunque, per evidenti motivi conveniva che la vicenda rimanesse segreta 1• In questo clima Clemenceau telegrafò rndemente ad Orlando: «L'offensiva italiana si impone in questo momento, tanto più in quanto i nostri progressi nella regione di Salonicco potrebbero essere arrestati da forze austriache imponanti se completa libertà d'azione fosse loro lasciata dall' esercito italiano» ' .

Il generale Badoglio annotò sul telegramma che Orlando aveva trasmesso in visione al Comando Supremo. «Proporrei di rispondere "Siamo perfettamente convinti della necessità dell'offensiva, perciò attendian10 che gli alleati ci pongano nelle condizimù di farlo"» 3 • E Diaz rispose in tal senso ·•. Bisogna però dire che nei disegni del Comando Supremo stava avvenendo un sostanziale cambiamento di indirizzo. Per quanto i preparativi concernenti l'offensiva sugli Altipiani, tanto caldeggiata da Foch, procedessero senza sosta, appariva sempre meno remunerativo e giustificabile il conseguimento di obiettivi di scarsa profondità territoriale - visto il non favorevole rappo1to di forze in quel settore, e la evidente attesa da parte austriaca di una nostra mossa - a prezzo di sanguinose perdite. Le notizie sul nemico fornite dal nostro servizio informazioni si soffermavano sui dati di forza e sull'aggressività dei repaiti in linea. A giudizio unanime, in ottobre lo spirito combattivo delle trnppe imperiali al fronte era ancora vivo, come del resto dimostrato nei numerosi scontri locali avvenuti nei mesi di agosto e di settembre. Questi fattori pesavano suUa valutazione del Comando Supremo circa la fattibilità di operazio1ù offensive, a buon motivo più dei raggua-

'S. SONNINO, Diario 1916-1922 cit., 11, p. IOO, sotto le date del 23 e 24 settembre . Nitti, dal canto suo, dichiarò che le espressioni da lui osate in talun.i ponti dell 'intervista non riproducevano esattamente i giudizi da lui manifestati. ' Clemenceau a Orlando in data 26.9.1918, USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 78. ·' ibidem. ' Diaz a Orlando in data 27.9.1918, ibidem, doc. 79.


LA CA.MPAC,NA - 8~ -- - - , DEL l 91"

Pri ncipali

. . del. az10111

settembre-ottobrc 19 18.

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gli sul morale dell'esercito della Duplice Monarchia che certamente non mancavano 1• Né si poteva sottovalutare l'entità delle forze del gruppo d'armata Belluno, segnalato sugli Altipiani. Ed altresì la presenza di consistenti riserve a tergo della 6' armata austro-ungarica, il che faceva temere che ad un'operazione eia noi sferrata sugli Altipiani conispondesse improvvisamente una controffensiva avversaria in direzione di Asolo e Bassano, con conseguenze disastrose per la difesa del Grappa e per lo schieramento sul Piave. Perciò l'attenzione si era scostata sulle possibili azioni oltre Piave poste da tempo allo studio della 4• armata (occupazione di posizioni avanzate sul Grappa) 2, dell' 8· armata (costituzione di una testa di ponte fra Sernaglia, Valdobbiadene e Conegliano) J e della 3• armata (avanzata verso la Livenza) •. È pur vero che, dopo il poco felice viaggio di Diaz e la sconsolante previsione di dover sostenere con le sole nostre forze il prosieguo della guerra almeno sino alla primavera del 1919, il Comando Supremo aveva preso in considerazione un rimaneggiamento del dispositivo in previsione dell'inverno, ma Diaz aveva annotato il promemoria con un «Tener sospeso» 5• E si iniziò a riflettere sulla seria probabilità del presentarsi di condizioni operative particolarmente favorevoli per noi, vale a dire che lo schieramento nemico venisse indebolito dal trasferimento di truppe al fronte balcanico od a quello occidentale (ipotesi R), oppure che esso ripiegasse su posizioni più arretrate e più idonee alla difesa (ipotesi RR). Nell'uno, come nell'altro caso, era impensabile non sfruttare con immediatezza 1' occasione. Così, il 17 settembre Diaz invitò i comandanti d' annata a nuovi orientamenti. La necessità di consolidare l'assetto difensivo e controffensivo, generata dalla nostra specifica situazione bellica, aveva consentito di superare vittoriosa-

' Fermo restando che le truppe austro-ungariche in lioea potevano considerarsi privilegiate rispetto alle fonnazioni di marcia e territoriali, innegabilmente il vettovagliamento era scadente, la carne mancava, il pane scarso e mal confezionato; le condizioni del vestiario erano peoose; lungo il basso Piave la malaria causava vuoti in particolare nelle unità impegnate nella difesa costiera. I rapporti degli ufficiali di collegamento distaccati dall'Alto Comando presso le arn1ate del fronte sud-ovest segnalavano una crisi preoccupante, anche perché le lettere che giungevano dai parenti dei soldati presentavano un quadro sconfortante del paese. Gli avvenimenti militari sul fronte occidentale e sul quello balcanico incidevano maggionnente sugli ufficiali, i quali, alle notizie sui contatti con J'A· merica per la pace, cominciavano a pensare di dover continuare a battersi per una guerra ormai persa (G1uuo PRJMJCERJ, 1918. Cronaca di una disfalla, Arcana, Milano 1983, pp. 30-36). 2 Studio del Comando 4• annata in data 2.9.1918, USSME, Re/azione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. l 63. 3 Studio del Comando s• armata in data 8.9.1918, ibidem, doc. l65. ' Studio del Comando 3" armata in data 14.9. 1918, ibidem, doc. 167. Tprimi progetti di operazioni offensive erano stati richiesti alla 3• ed 8' annata il 26 agosto, «per il rafforzamento della linea del Pi.ave con obiettivo le alture di Valdobbiadene per 1'8" armata e la linea della Livenza per la 3• armata» (ibidem, doc. 164). ' Promemoria in data 14.9.1918, ibidem, doc. 180.


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mente due battaglie difensive, però prodotto alcune conseguenze non positive. I Comandi di grande unità si erano assuefatti ad affrontare problemi offensivi di carattere locale e quindi di limjtato resp.iro, con inevitabili ripercussioni nella visione tattica e nell'addestramento delle truppe. I reparti, dal canto loro, avevano acquisito «l'abitudine a considerare la trincea come l'espressione materiale, unica ed imputabile della guerra; i lavori di difesa come compito preminente, subito dopo quello dei tw11i di trincea; il movimento come eccezione ed un peso assai malagevole da sostenere». Poiché si stava profilando una nuova prospettiva generale, derivante in Italia dalla vittoria del giugno-luglio e sul fronte occidentale dagli avvenimenti in corso, diventava indispensabile predisporsi alla guerra di movimento, essendo «reintegrato ormai completamente il nostro apparato bellico». C!:iò premesso, Diaz prescrisse una serie di provvedimenti, anche sotto il profilo della preparazione morale del sodalto - «si parli ad esso degli obiettivi lontani a cui miriamo, della liberazione del territorio invaso, dell'invasione del territorio nemico>> - miranti a rendere le unità più manovrabili. E concluse: «Non si ponga indugio; guai se la nuova fase della guerra avesse a coglierci non del tutto preparati. Avremmo mancato al nostro dovere»'. In questo quadro, il 25 settembre il colonnello Cavallero, capo dell'ufficio operazioni del Comando Supremo, presentò uno «Studio di un 'operazione offensiva attraverso il Piave» 2•

4.

Y!GILIA DI 8A1TAGL1A

Lo studio compilato dall'ufficio operazioni - ovviamente a seguito di precedenti colloqui con il capo cd il sottocapo di Stato Maggiore - costituiva una svolta nell'orientamento del Comando Supremo, nel senso che abbandonava il progetto di portarsi sull'arroccamento Trento-Feltrc e di conquistare l'altopiano di Folgaria, operazione cara a Foch, ma sempre vista con scarsa simpatia da Diaz, per preferire un'offensiva in pianura, oltre il Piave. In assenza di aiuti alleati, pesava troppo il fatto che la lunghezza del periodo di preparazione dell'offensiva ne l settore montano aveva inevitabilmente consentito al nemico di prendere ogni misura per farvi fronte. Tenuto anche conto delle difficoltà presentate dall' ambiente naturale, «sembra potersi concludere che ormai la nostra offensiva sul!' altopiano difficilmente potrebbe condurre a risultati apprezzabili; essa diverrebbe più che mai un'offensiva di tipo carsico». In sostanza, dove ndo compiere uno sforzo decisivo, nell'ipotesi che lo sviluppo degli eventi militari o il precipitare degli avvenimenti politici imponessero di agire a fondo in quello scorcio del 1918, occorreva cercare altrove il tratto in corrispondenza del quale sviluppare un'offensiva di elevato rendimento, di relativamente rapida preparazione e

' Ibidem, doc. 140. ' Ibidem, doc. 185.


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sosterùbile con le sole nostre truppe. Tutto ciò si rinveniva in pianura: sfondan do sulla direttrice di Conegliano-Vittorio e raggiungendo la conca di Belluno, la 6• armata austro-ungarica poteva essere avviluppata e, puntando con azione avvolgente su Feltre, era ragionevole attendersi ripercussionj favorevoli sul Grappa e sull'Altopiano di Asiago, mentre le operazioni in piano sarebbero state regolate in base allo sviluppo degli eventi 1• Nei giorni successjvi crebbe la tensione nei rapporti tra il Comando Supremo da un lato ed il governo italiano e Foch dall'altro. Diaz si era convinto alt' offensiva oltre Piave e il 26 settembre, attraverso il comandante P~u"isot, ne aveva fatto cenno a Foch può mantenendosi sulle generali, probabilmente per qualche incertezza sull'opportunità e la possibilità di effettuarla nel mese di ottobre a causa delle prevedibili condizioni di piena del Piave. Se voleva, come confidò a Malagodi, che «la nostra offensiva fosse ritardata agli ultimi limiti della stagione, per rendere impossibile una controffensiva avversaria nel caso che l'offensiva nostra non fosse riuscita», sembrerebbe giustificato il pensiero di agire in novembre, quando, fra l'altro, la prosecuzione delle operazioni sul fronte occidentale avviate da Foch avrebbe impegnato maggionnente i tedeschi. Per giunta la prudenza di Diaz, che, sulla base delle notizie sul nemico di cui disponeva, attribuiva alle armate austro-ungariche non soltanto l'ampia superiorità numerica ma altresì un morale ancora solido, l'aveva indotto ad impostare l'offensiva «in modo che io potevo arrestarla se l'avessi giudicata a qualche momento troppo rischiosa» 2 • Foch - il quale tempestava: «Che cosa aspettate? Che la neve vi impedisca ogni sforzo? Che gli austriaci sicmi della vostra inerzia si spostino su altra fronte?» 3 - quando seppe del progetto oltre Piave in corrispondenza del Montello, si irritò ancora di più: giudicava l'azione pericolosa e destinata all'insuccesso e vedeva malvolentieri abbandonati i suoi suggerimenti di attaccare nel Trentino. Trascurava di ricordai-e che l'operazione su gli Altipiani era inquadrabile soltanto nell'ipotesi di rimandare la soluzione della guerra al 1919 •. Nel pomeriggio del 26 il generale Caviglia era stato convocato ad Abano per il preavviso, in via riservatissima, del progetto di forzamento del Piave nella zona di Nervesa presentatogli come misura di carattere controffensivo nell'eventualità di un attacco austriaco sull'Altopiano dei Sette Comuni 5• 11 29 Cavi-

' Ibidem, doc. 185. Sul nostro problema offensivo nel seltembre 19 18 cfr. Claudio Trezzani. Vittorio Veneto e gli aspetti della battaglia modema in «Rivista Militare Italiana», novembre 1933. 'O. MALAGOOI, Co11versai.im1i della guerra cit., il, p. 445. ' Gen. Calcagno a Comando Supremo in data 26.9. 1918, USSME, Relnzione ufficiale cit., V,

tomo 2 bis, doc. 191. ' Ibidem, V, torno 2, p. 278. ' E. CAVIGLIA, le tre bauaglie del Piave cit., p. 103. Secondo il colonnello Cavallero sin dal 26 settembre fu precisato a Caviglia il disegno, nell'intesa che «tutte le m.isurc conseguenti da quel colloquio dovevano essere spiegate come misure conlroffcnsi ve nel caso di un attacco austriaco sul1'Altipiano» (MAVORS fU. Cavallero J, La verità su Vittorio Veneto in «Nuova Antologia» del I.I. I935. pp. 59-83).


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LACAMPAGN.A DEL 1918

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glia venne nuovamente chiamato al Comando Supremo. Questa volta gli fu illustrato lo studio e, dopo ulteriore esame, si riconobbe preferibile estendere a nord sino a Pederobba il tratto per il forzamento, previsto inizialmente tra Falzé e le Grave di Papadopoli 1• ln tale occasione Caviglia si formò l'idea che Badoglio e Cavallero fossero già decisi per l'offensiva, a differenza di Diaz, ancora con qualche perplessità. Il colloquio con Caviglia lo persuase definitivamente 2, così quella sera il Comando Supremo varò l'operazione che doveva portare a Vittorio Veneto. La preparazione, da ultimare entro il 10 ottobre, doveva compiersi in due fasi distinte. Dalla prima fase, concernente il concentramento di truppe, artiglierie, mezzi e materiali, rimanevano esclusi Comandi e unità in linea; la seconda invece avrebbe coinvolto tutti e perciò si rendeva necessario si svolgesse in termini contenuti. Per assicurare all'operazione il vantaggio della sorpresa, venne stabilito che per la prima fase il generale Caviglia, il più interessato, si avvalesse dell'opera del capo ufficio operaziotù del Comando Supremo, almeno sino a prepm·azione inoltrata. li lancio dell'offensiva fu reputato possibile a partire dal I 6 ottobre J _ Orlando si trovava sotto pressione per le preoccupazioni manifestate da Sonrùno e le insistenze provenienti da Parigi. Si recò ad Abano ed ebbe un vivace incontro con Diaz. Tanto vivace che il 1° ottobre, convocato il generale Giardino, gli chiese a quattr'occhi la sua personale impressione sulla situazione complessiva e si spinse, più o meno esplicitamente, ad offrirgli la carica cli capo cli Stato Maggiore qualora si fosse impegnato ad attaccare subito. Giardino premise la «radicata convinzione che non sia da cambiare il nocchiero in mezzo ai frangenti» ed anunise che il disagio dell'inazione operativa era indubbiamente diffu so e sentito al fronte come nelle sfere politiche e governative; però ormai, con l'inverno alle porte, se non si era pronti subilo, qualunque fosse il motivo, mancava il tempo per la preparazione e la successiva esecuzione dell 'attacco. Quindi non rimaneva se non mettersi in condizione di sfruttare con immediatezza la prima circostanza utile. Ad ogni modo, soltanto il Comando Supremo in carica possedeva gli elementi per prendere ragionate decisioni ed era quindi della massima importanza evitare pressionj che lo spingessero ad imprese su cui non avesse maturato sufficiente convinzione o per Le quali non si sentisse adeguatamente pronto. Infine Giardino fece notare che nessun nuovo capo di Stato Maggiore

' Caviglia trovò molto da ridire sullo studio. Le esigenze di rendimento dell'offensiva, della sorpresa e della rapidità di approntamento erano «ovvie». Nel concetto dell'operazione mancava l'idea strategica, lo scopo tattico non era organico e la speranza di catturare ·ta 6• annata auslrinca azzardata. Le modalità generali dell'operazione erano previsioni che andavano ollre lo sfondamento; da attuarsi in un secondo tempo se il primo fosse stato favorito dal successo (E. CAVIGLIA, Le tre battaglie del Piave cit., pp. 284-287). ' Ibidem, p. 104. ' MAVORS, La verità s11 Vì1torio Veneto cit., p. 63.


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avrebbe affrontato una grossa operazione senza un preliminare orientamento, il che avrebbe impedito di agire rapidamente e, di conseguenza, la questione sarebbe slittata alla primavera del 1919. Diaz comunque, pm senza precis,u-e né direttrice di sforzo (come aveva fatto con Foch) né tempi, tenne a garantire ad Orlando la prosecuzione dei preparativi e la sua intenzione di passare all'offensiva. Chiese però che sull' argomento nulla trapelasse, al fine di non incidere sull'effetto sorpresa. E Orlando telegrafò a Foch comunicandogli di esser subito corso al fronte per accordarsi con Diaz «perché l'esercito italiano passi all'offensiva nel più breve tempo possibile». Poi si tirò fuori della mischia, dichiarando esaurito il suo compito politico e lasciando l'aspetto puramente militare ai diretti rapporti fra i due Comandi interessati -. Era soddisfatto e partecipò tale soddisfazione all 'ambasciatore Macchi di Cellere, mettendo in evidenza di aver specificato a Foch che «l' esercito italiano si dispone all'offensiva coi soli suoi mezzi. Per tal modo nostro ossequio al Comando Unico viene rivelato coi fatti e non si arresta dinnanzi a sacrifici» i . E con ciò sperò di «eliminare l'attuale penoso dissidio» 3 • «La nostra preoccupazione per mantenere la segretezza fu tanta - ha scritto Cavallero - che nemmeno il Governo fu messo al corrente della decisione presa. Le sollecitazioni del Governo, alle quali fa cenno il maresciallo Caviglia - e ne fanno cenno anche altre pubblicazioni recenti - furono sensibilmente posteriori al giorno 26 settembre(...), ma neanche allora il generale Diaz, fermo ne lla decisione di mantenere a qualunque costo la segretezza, ne parlò con il Presidente del Consiglio, col quale pure ebbe in quel periodo ripetuti incontri. L' assicurazione al Governo, verbale, fu fatta molto dopo, certo non prima del 6 ottobre». Naturalmente è discutibile l'aver informato il Gran Quartier Generale di Foch e non il presidente del Consiglio. «La cosa - continua Cavallero - appariva però giustificata dalle necessità del momento. Così almeno giudicò il generale Diaz e così agì a fin di bene ( ... )» '. Tuttavia non si può celare una certa perplessità nel rilevare, stando alle memorie del maresc iallo Giardino, che il 3 ottobre venne concessa una regolare licenza ai generali Pecori Giraldi e Giardino;

' USSME, Relazione 11ffìciale cit., V, tomo 2 bis, doc. 77. ' Orlando a Macchi di Cellere in data 2.10.19 18, ibidem. doc. I93. ' Orlando a B01ùn in data 2 .IO.l.91 8, ibidem, doc. 192. • MAVORS, La verità .1·11 Vi11orio Veneto cil., pp. 63-64. /\ncbe con Malagodi Diaz sottolineò l'assoluto riserbo con cui volle circondare inizialmente la decisione, ma l'enfasi lo rese molto impreciso: «Già ai primi di ottobre - disse - il piano cm stato combinato, e non lo conoscevamo che in Lre persone: io, Badoglio e Caval lero [e Caviglia? I». Sostenne anche di aver parlato ad Orlando, presente il Re, «solo pochi giorni prima della sua attuazione» e di aver infom1ato Foch «all 'ultimo momento». il che non pare esatto. L'affermazione più sconcertante, però, sarebbe la seguente: «Anche Orlando s' impegnò al silenzio, anzi restammo d 'accordo che agli avrebbe detto male di me, si sarebbe lagnato della nùa reni tenui ad agire» ! (O. MALAGODI, Conversazioni della guerra cit.. Il. sotto la data del 29.1.1919, p. 507).


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che il 7 essi erano richiamati senza un cenno di spiegazione; che 1'8 Giardino, appena rientrato al Comando della 4• armata, trovava «un sussutTo discreto di voci» circa un'operazione di grossa portata; e che il 9 l'argomento trattato dal Comando Supremo ai comandanti d'armata ed ai loro capi ai Stato Maggiore si limitò alla richiesta d'armistizio avanzata dagli Imperi Centrali al presidente americano, senza «neanche una parola» in tema di operazioni 1• Si noti che il 6 ottobre i generali alleati, l'inglese lord Cavan ed il francese Graziani, vennero convocati al Comando Supremo e messi al corrente della battaglia alla quale avrebbero preso parte. Il giorno successivo la partecipazione fu confermata per scritto. Entrambi erano destinati al comando di un'am1ata mista 2• Fu un provvedimento non necessario e che, dal punto di vista psicologico, si rivelerà errore non da poco.

* * * Nei giorni 6-9 ottobre si riunì a Parigi il Consiglio Supremo di guerra, al quale l'Italia fu rappresentata da Orlando e da Sonnino. C' erano importanti novità da prendere in esame. Nella notte sul 26 settembre era giunta a Spa, sede dell'O.H.L. sin dalla primavera, la notizia che la Bulgaria aveva chiesto un armistizio. L'avvenimento sconvolse Ludendorff, che vide la drammatica prospettiva dello sbarramento della via del Danubio, della perdita dei rifornimenti di petrolio rnmeno, del ritorno in guerra della Romania, del crollo della Turchia e dell' incertezza sulla tenuta delle truppe austro-ungariche davanti all'offensiva che sicuramente l'Italia avrebbe sferrato. «La situazione della lotta om1ai era tale che poteva soltanto peggiorare in modo decisivo; però non si poteva prevedere se questo sarebbe avvenuto a poco a poco oppure precipitosamente» 3 • Bisognava dunque decidersi ali' offerta dell\u·nùstizio e della pace. Le condizioni dell'armistizio dovevano <<permettere uno sgombero regolare e ordinato del territorio occupato ed una ripresa delle ostilità ovviamente se inevitabile ai confini del nostro Paese». Non solo, ma anche consentire «una illimitata libertà militare» •. Il mattino del 29 il sottosegretario di Stato von Hintze si recò a Spa. Ascoltò Hindenburg e Ludendorff e dimostrò loro che la notizia della domanda di un arnùstizio, cioè l'ammissione della sconfitta, avrebbe provocato nella popolazione una tale emozione da non escludere lo scoppio dell'insurrezione. Per prevenirla occon-eva operare una «rivoluzione dall'alto», vale a dire cambiare il go-

' G. GIARDINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit., m, p. 79. ' USSME, Rehizione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 199 e 200. ' E. LUDENDORFF, I miei ricordi di guerra cii., Il, pp. 228-230. 'Ibidem, pp. 232-233.


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verno e dar vita ad un governo parlamentare, includendovi esponenti socialdemocratici. Aveva già preparato il decreto e quando arrivò Guglielmo II, lo indusse a firmarlo, benché con riluttanza. La scelta ciel nuovo Cancelliere cadde sul principe Max del Badeu 1• La situazione che, su incarico del Comando Supremo, iJ maggiore von dem Bussche illustrò il 2 ottobre ai capi dei partiti della Camera, fu perfettamente aderente alla realtà e la conclusione più che eloquente. Tanto che i parlamentari, colti letteralmente di sorpresa, ne ricevettero un effetto «addirittura deprimente»: «Noi potremmo continuare la guerra ancora per un tempo indefinito, arrecare all'avversario perdite gravi, lasciare dietro di noi il Paese devastuto, ma non possiamo più vincere( ...). Co1nc la noslra grande offensiva dcl 15 luglio si fermò subito non appena la sua continuazione non er.:i più in relazione ai sacrifici che richiedeva, così ora si è dovuta prendere la risoluzione di dichiar.ire la continuazione della guerra senza scopo. Siamo ancora in tempo. L'esercito tedesco è sempre forte abbastanza per resistere dei mesi all'avversario, per riportare successi locali e mettere l' Intesa in condizion i di !'are nuovi sacri lic i. Ma ogni giorno che passa porta il nemico sempre più vicino al suo scopo e lo rende sempre meno discosto a concludere con noi una pace sopportabile(...)» ' .

Il 3 ottobre si riunì il nuovo governo e Hindenburg, in qualità di rappresentante del Comando Supremo, insistette per l'urgente inoltro di una proposta di pace <11 nemico, essendo svanita ogni speranza che potessero essere gli Imperi Centrali ad imporre una pace all'Intesa, a causa dello sfondamento del fronte macedone, dell'indebolimento delle riserve sul fronte occidentale e della conseguente impossibilità di fronteggiare le elevatissime recenti perdite. Nella notte sul 4 ottobre Max del Baden trasmise la richiesta al presidente Wilson attraverso la Svizzera. La nota proponeva la convocazione di una conferenza per la pace, accettando senza riserve, come «piattaforma per i negoziati», tutti i progranuni esposti dal presidente, e chiedeva la stipulazione di un immediato annistizio. Contemporaneamente il Governo austro-ungarico, attraverso la Svezia, rivolgeva a Wilson analoga domanda di mediazione. Le prime notizie del passo compiuto dagli Imperi Centrali giunsero a Parigi il 5 ottobre. Erano piuttosto confuse e suscitarono qualche incertezza. A parte malumore e sospetti provocati dall'assenza di una doverosa comunicazione di Wilson, si poneva un problema politico-militare di non indifferenti dimensioni. Non soltanto la notizia stava diffondendo rapidamente nelle masse una comprensibile aspettativa di pronta pace, naturalmente contraria alla prosecuzione della guerra, ma occorreva che la richiesta di armistizio - ammesso e non del tutto concesso che fosse sincera - fosse accolta, quanto meno, con garanzie militari valide per l'eventualità della rottura delle trattative.

' GERHARD

RITTI*, / militari e la politica nella Germania moderna, Einaudi, Torino 1973, pp.

448-456.

' E. L UDENDORl'F, / miei ricordi di guerra cit., p. 235.


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Nel pomeriggio del 6 i capi politici dell'Intesa si trovarono d'accordo nello studiare i termini di un possibile armistizio prima che Wìlson si pronunciasse. 11 principale punto da definire riguardava i territori che gli avversari avrebbero dovuto sgomberare . Per francesi ed inglesi era scontato che le armate tedesche dovessero ritirarsi oltre il Reno. Per gli italiani, considerata la loro inattività operativa ', Clemenceau e Lloyd George pensavano potessero limitarsi a chiedere l'evacuazione del Trentino; ma Sonnino pretese che, in analogia al criterio adottato dai due alleati, lo sgombero comprendesse anche l' Istria. Nella conferenza del giorno seguente, Clemenceau presentò due proposte a garanzia dei rischi di un armistizio non adeguatamente controllato. Anzitutto che una delle condizioni fosse l' occupazione di determinate posizioni di importanza strategica o tattica; in secondo luogo che la durata dell'armistizio non superasse i tre giorni, tempo più che sufficiente per l'accettazione da parte degli Imperi Centrali, se volevano continuare le trattative, di alcune cessioni territoriali. In sede di dibattito, il primo argomento si affc1111ò come determinante e venne subito posto all'esame dei Rappresentanti miUtari pern1anenti. Questi ultimi pa1tirono dalla convinzione che, una volta concesso l'armistizio, le ostilità non sarebbero più riprese, specialmente dopo l'evacuazione dei territori occupati. Di conseguenza le condizioni per un armistizio dovevano avvicinarsi quanto più possibile a quelle di pace. In sostanza, raccomandarono condizioni drastiche, fra le quali anche il disarmo nemico sotto controllo alleato. La risoluzione dei Rappresentanti militari - non firrnata dal generale americano Bliss perché privo di istruzioni specifiche del proprio Governo - non trovò accoglienz,a al Consiglio Supremo, dove inglesi ed italiani considerarono le richieste dei militari eccessive e tali, comunque, da suscitare l'impressione di deliberato rifiuto del passo avversario, con ripercussioni negative nell 'opitùone pubblica occidentale. In particolare, Sonnino, appoggiato da Orlando, era incline alla moderazione sentendosi ìn una posizione debole a causa dell'atteggiamento di cauta attesa assunto dal Comando Supremo 2, e gli bastava che lo sgombero austriaco del Trentino e dell' Istria corrispondessero all'incirca alla linea prevista dal Patto di Londra. Tenuto conto del fatto che la situazione militare del momento in cui sarebbe stato

' L'inattività del nostro fronte suscitava commenti negativi ed insieme disagio in molti ambienti italiani. tanto che Orlando il 3 ottobre, alla riapertura delle Camere, aveva ritenuto opportuno toccare l'argomento. Senonché le sue parole furono così ambigue da far apparire la Stasi operativa come rientrante nelle direttive del «Comando unico» interalleato. cioè di Foch. Ne nacque un incidente. Appena Orlando mise piede a Parigi venne investito da Clemenccau, il qu:ùe gli chiese seccamente spiegazioni e poi fece subito pubblicare dall'agenzia Havas questo comunicato di smentita: «Certi sommari del discorso del ministro Orlando nùrano [?] far credere che il Presidente del Consiglio itali ano ha detto o fatto inte ndere alla Camera che se il fronte italiano non aveva ancora pronunciata un'offensiva dopo la battaglia della Piave è perché il Maresciallo Foch non glielo ha domandato. Questa interpretazione è manifestamente falsa poiché essa sarebbe contraria alla verità» (USSME, Relazione rifficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 194). ' S. S0'1N1i-;o, Diario 1916-1922, cit., m, pp. 304-305.


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concluso l'armisùzio poteva essere tale da suggerire altre misure e che, in ogni caso, bisognava pur conoscere la risposta di Wilson, la conferenza non si espresse con una deliberazione. La riunione del 9 ottobre si concentrò sulla nota che il presidente americano aveva indirizzato il giorno 8 alla Germania. Wilson, che ben sapeva come negli Stati Uniti Ja notizia dei primi combattimenti vittoriosi sostenuti dalle truppe americane avessero acceso l'opinione pubblica, al punto da pretendere addirittura la resa incondizionata, aveva dichiarato di non sentirsi autoriz:.rnto a proporre una sospensione delle ostilità ai Governi alleati finché gli eserciti degli Imperi Centrali fossero rimasti nei territori occupati durante la guerra. Quindi lo sgombero immediato costituiva condizione preliminare per proseguire le trattative. Inoltre'voleva sapere se il Cancelliere tedesco parlava «soltanto a nome di quelle autorità del Reich che hanno sinora condotto la guerra» e significativamene precisava che la risposta a tale interrogativo era «essenziale sotto tutti i punti di vista» 1• La nota di Wilson non piacque affatto agli Alleati perché si temeva che la Germania accettasse subito le condizioni, sostenendo di reputare le condizioni americane come concordate con le Potenze occidentali e perché - come detto si dubitava che, stipulato l'armistizio, le forze alleate non fossero più in grado di ricominciare a combattere in caso cli interruzione dei negoziati di pace. Allora mandarono a Wilson due telegrammi. L'uno con la preghiera di inviare in Europa un rappresentante personale di piena fiducia con il quale poter prendere decisioni urgenti ove se ne presentasse la necessità; l'altro con la precisazione che gli Alleati consideravano l'evacuazione dei territori occupati condizione indispensabile ma non sufficiente per arrivare ad un armistizio, possibile solo sulla base di determinate clausole di natura militare concretabili al momento dell'inizio dei negoziati 2• In definitiva la riunione del Consiglio Supremo di guerra si chiuse lasciando in sospeso la questioni aperte dalla richiesta d'armistizio e di pace degli Imperi Centrali, avendo però stabilito le condizioni per concedere l'armistizio alla Turchia.

* * * Intanto Orlando si era affrettato a sollecitare Diaz: «(...) Nell'attesa della risposta degli imperi Centrali penso che giovi da parte V.E. intensificare preparativi per una offensiva da parte nostra che sembra inevitabile in caso di rifiuto da parte del nemico e che, se fosse possibile, sarebbe certo desiderabile anche ora.

' La nomina del principe Max del Baden era vista con qualche diffidenza perché avvenuta ad opera del «Consiglio di guerra» e non di un organismo democratico. ' Verbali britannici delle conferenze tenute al Quai d'Orsay il 6, 7, 8 e 9 ouobrc cit. in M ARIA GRAZ IA MELCHIONl\1, La vi11oria murilata, ed. Storia e Lettera1ura, Roma 1981. pp. 11·25.


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LA PRIMA GUERRA MONDIA LE

V.E. vede come serve in questo momento la battaglia di Francia(...)» 1• Diaz era al corrente delle circostanze e delle condizioni del!' esercito austro-ungarico. Una accurata relazione compilata dall'ufficio informazioni della 4" annata iiassumeva in modo attendibile la situazione. A giudizio del colonnello Vigevano, capo ufficio l.T.O. dell'annata, il morale delle truppe austriache fronteggianti l'armata «da un mese, e più precisamente da una quindicina di giorni a questa parte, è ridotto all'incirca della metà di quello che era agli ultimi di agosto e ai primi di settembre» ed era destinato a diminui.re ulteriormente malgrado le severe disposizioni dei Comandi, disposizioni interpretabili non più come un indice di autorità, bensì come un affannoso correre ai ri pari contro l'inevitabile crescente disgregamento morale 2• Perciò Diaz cercò di tranquillizzare il presidente del Consiglio: «(...) nulla ho creduto mutare svolgimento programma già riservatamente noto a V.E. e che progredisce, antivenendo quindi pensiero manifestatomi con telegramma ieri ( ... )» ;_

Ma Orlando fremeva. Rientrando in Italia, volle recarsi prima ad Abano per spronare nuovamente Diaz e qui, prese visione delle «Direttive per l'azione» in data 12 ottobre". Il concetto di manovra stabilito dal Comando Supremo si traduceva nel forzare il Piave con le armate 8° e l()" dal Montello alle Grave di Papadopoli compresi, per separare le due annate austriache 6° e 5" del grnppo Boroevié, serrare la 6° contro il Piave e sfnlttare tutte le possibili conseguenze di tale manovra. La 12• armata doveva inizialmente superare il Piave puntando su Valdobbiadene, poi avanzare a cavallo del Piave con obiettivo Feltre-Arten. La 43 armata si sarebbe tenuta pronta ad operare per assecondare la progressione della 12, con obiettivo Primolano-Arten. Inizio dell'offensiva verso il 20 ottobre, Piave permettendo. Soddisfatto, Orlando proseguì per Roma, dove, l' indomani, ricevette la notizia che il giorno 12 la Germania, anche a nome dell'Austria-Ungheria, aveva accolto le condizioni poste da Wilson 1'8 ottobre. Il telegramma che Orlando indirizzò al Comando Supremo ben rifletteva il turbamento del suo animo. Non sapeva a che attenersi. Sul piano interno, le circostanze apparivano poco propizie all'offensiva perché l' opinione pubblica non avrebbe perdonato il versamento di altro sangue per ottenere ciò che ormai si profilava raggiungibile senza sacrifici. Ma non si poteva escludere che le condizioni d' armistizio venissero improvvisamente respinte, nel qual caso sarebbe stato inevitabile attaccare. D'altro canto, non mancavano certo ragiorù per preferire che la liberazione delle nostre re-

' Orlando a Diaz in data 8.10.1918, D.D.I., 5' serie, XI, <loc. 645. ' USSME, Relm;ione ufficiale cii., V, tomo 2 bis, doc. 179. ) Diaz a Orlando in data 10.10.1918, D.D.I., 5' serie, Xl, doc. 651. ·• USSME, Relazio11e 1,jficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 203. Nel pomeriggio di quel giorno Diaz illustrò le direttive, trasfonnate in ordine d'operazione del Comando Supremo. ai comandanti d' armata.


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LA CAMPAGNA DEL 1918

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I • Il e lii : lrmpi ddfa:Ìctl•

n disegno d', manovra del 22 ottobre.

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gio1ù occupate fosse ottenuta con un atto militare piuttosto che diplomatico. Forse era meglio far sì che «nostre eventuali operazioni appariscano come il naturale svolgimento di azioni normali più che come un 'offensiva di grande stile». Dopo tutto non era questo il programma del Comando Supremo? «Speriamo concluse -che gli eventi ci aiutino a svolgerlo» 1• Badoglio, che annotò ironicamente il telegramma, scrisse in calce: «In conclusione: fare un'offensiva che possa svilupparsi se le cose vanno bene, possa essere qualificata come vasto colpo di mano se non riesce; ma l'entità delle forze riunite e dei mezzi posti in opera non può gabellare nessuno» 2• Il programma di Diaz mirava anzitutto a ridurre al minimo l'eventualità di una forte contromossa avversaria; in secondo luogo, battuta la 6° armata austroungarica e costituita la grossa testa di ponte fra Valdobbiadene e Conegliano, voleva regolarsi in base agli eventi: ove contrattaccato, limitarsi a tenere la testa di ponte con vantaggio per le operazioni del 1919; ove arridesse il successo, svilupparlo nel Bellunese o verso la Livenza. Quanto al momento dell'azione, Diaz era fermo nella decisione di attaccare basandosi «sulle condizioni del nemico a noi favorevoli». Riconosceva che attendere un armistizio dovuto alle am1i alleate era controproducente, ma non intendeva correre il rischio di insuccessi. Per questo aveva predisposto un'operazione «che può avere graduale sviluppo ed anche essere arrestata senza gravi inconvenienti» 3. Ma Orlando incalzava: non era il caso di effettuare uno sbarco sulla costa dalmata? Un bel colpo di-mano «potrebbe assorbire la questione dell'azione sul fronte terrestre». Forse la cosa non sarebbe stata compatibile con gli avvenimenti in corso in Albania [occupazione di Durazzo], ma francamente la Dalmazia interessava molto più dell' Albania. «In ogni caso, se cosa si ha da fare bisogna che sia fatta prestissimo, perché gli eventi premono da ogni parte» ' . Ovviamente uno sbarco in Dalmazia non valeva a surrogare un'offensiva nel Veneto e per giunta Diaz era assai poco incline a distrazioni di forLe; tuttavia, essendo stata Durazzo occupata via terra, si dichiarò disposto a riprendere il progetto di uno sbarco nella penisola di Sabbioncello, con la contemporanea occupazione di Curzola ed eventualmente di qualche altra isola del gruppo. Se lo Stato Maggiore della Marina riteneva fattibile l'impresa, il Comando Supremo avrebbe cercato di mettere a disposizione un raggruppamento alpino ~. Intanto gli premeva distogliere l'attenzione del nemico dal Piave, incaricando le armate 6" e 4• di attirare sull'Altopiano dei Sette Comuni e sul Grappa. Cosa che riuscì tanto bene da persuadere il Comando del gruppo d'esercito del Tirolo sino alla

' Orlando a Diaz in data lbidem. ' Di az. a Orlando in data • Orlando a Diaz in data > Diaz a Orlando in data

14.10.19 18. ibidem, doc. 207.

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14.10.1918, ibidem, doc. 208. 14.10.1918, ibidem. doc. 2 10. 15.10.1918, ibidem, doc. 211.


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vigilia della battaglia che i tiri di aggiustamento e l' attività di pattuglie fossero sintomi certi dell'imminente offensiva italiana 1• A Roma non si ignorava la tempestosa crisi politica che imperversava nella Duplice Mornu-chia, così come si conoscevano i contrasti e le tensioni affioranti nell'impero guglielmino. Queste circostanze. che stimolavano a sfruttare sul piano militare l'inevitabile abbassamento di tono degli Imperi Centrali, unitamente ai successi degli eserciti alleati sul fronte occidentale, angustiavano Orlando. Tanto più che da Parigi l'ambasciatore Benin Longare non si stancava di mettere in guardia il Governo, senza mezzi tennini, sulla difficilissima posizione politico-diplomatica nella quale veniva a trovarsi l'Italia. L'ostacolo primo ed insormontabile aveva un nome: Clemenceau. «Egli non solo personifica - avvertivd l'ambasciatore - ma riassume in se stesso tutto il Governo(... ). Questa specie di dittatura è andata accentuandosi a misura che la so1te delle mmi è venuta sorridendo alla Francia, ed ora che il paese vive in piena atmosfera di vittoria, Clemenceau è poco meno di un nuovo Primo Console». Il contenzioso con siffauo personaggio era cominciato con la nostra intenzione di ritirare le truppe ausiliarie e, poiché la notizia arrivò poco prima dell'ultima offensiva tedesca, Clemcnceau non si peritò di qualificare il proposito da noi manifestato come «un coup de couteau dans le dos». Seguì il nostro tentativo, per varie vie, di ottenere un'aliquota di truppe americane, per il che Clemenceau ci accusò di agire subdolamente. Poi la nostra inazione, da noi giustificata con il mancalo arrivo di rinforzi alleati, ma chiaramente non condivisa. Bouin continuava: «(...) A misura poi che si disegnava qua una vi ttoria, scemarono con !"importanza del nostro fronte le buone disposizioni dei nostri alleati a rinforzarlo, fino a che ci riducemmo nella presente critica situazione di non potere agire senza temerità, né di essere inattivi senza grande danno( ...). 111tomo a noi si fa un silenzio assoluto contro il quale non reagisce in alcun modo il Governo francese, che anzi lo approva e lo suggerisce, come mi risulta in modo sicuro. Ad esso infatti , ora che è sicuro della vittoria finale e non ha più bisogno di noi, non può dispiacere che r llalia chiuda la guerra con una villoria quale quella del Piave puramente difensiva e onnai antica; ciò non può che rendergli piit agevole la liquidazione della cambiale che ci ha rilasciata nell'aprile 1.9 I 5, alla quale egli procesta di voler fare pi eno onore ma che non per questo meno gli pesa. Tale situazione è per noi tanto più cmdele che non ammcne facile via d'usci ta. Una sola eventuali1à la risolverebbe tuna. anzi la rovescerebbe a nostro vantaggio: cioè una nostra proma e felice offensiva».

Bonin si asteneva dal dare suggerimenti su una questione militare, però «il problema di ottenere un successo sia pure parziale dovrebbe studiarsi con ogni mezzo e con l'intento di risolverlo affermativamente in vista della suprema necessità politica (...)» 1•

' G. PRJMICl:KJ, 1918. Cronaca di 1111a disfalla. cit. 9 p . 43. Peraltro il 23 onobre il Comando gruppo d'esercito comunicò ali' Alto Comando che, secondo il Comando 11• armata, l"intensificarsi del fuoco italiano len<lcva a mascherare l' intenzione di svolgere !"azione principale sul basso Piave e che era probabile una grossa azione offensiva italiana nel seltore montano (ibidem, p. 73). ' Bonin a Sonnino in data 15.10. 1918, D.D.I., 5* serie, X l, doc. 212.


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In realtà, pur assaporando il gusto della vittoria, gli Alleati non vedevano ancora la strada in discesa e le previsioni erano tutt'alu·o che rosee in quanto ai tempi. Non solamente i tedeschi si ritiravano contendendo il terreno a carissimo prezzo, ma le truppe alleate cominciavano a risentire delle forti perdite 1• 1116 ottobre il geoerale Wilson dichiarò al Gabinetto britannico: «L'esercito francese è stremato e l'esercito inglese è stanco; ambedue hanno bisogno di riposo; l'esercito americano poi è impacciato nei suoi movimenti per l'inesperienza dei suoi ufficiali. I Tedeschi, d 'altro canto, sono i più sfiniti di tutti i so ldati che combattono su l fronte occidenta.lc. l.n tali condizioni e coll'avvicinarsi imminente del fango che renderà estremamente più difficile qualsiasi ulteriore movimento, non è facile prevedere quali risultati potranno ottenere gli Alleati prima della fine della stagione combattiva» ' ·

Due giorni più tardi il maresciallo Haig confermò il giudizio del capo di Stato Maggiore Imperiale, talché venne comunemente accettata l'idea che la guerra non si sarebbe conclusa prima del 1919 3 • Questo apprezzamento non poteva che mal disporre gli Alleati nei confronti dell'Italia che, a loro avviso, per quanto vittoriosa in giugno, per quanto avesse a che fare con truppe assai meno solide di quelle tedesche, per quanto il suo avversario diretto si trovasse con una situazione interna pressoché rivoluzionaria, pure non accennava a muoversi! Il 17 ottobre Orlando manifestò il suo profondo rammarico con Diaz. Dati gli avvenimenti in corso nell'Austria-Ungheria, quali presentali dagli organi di stampa, era desolante che «condizioni atmosferiche ci costiingano all 'inazione in un momento così decisivo»•. E il giorno dopo, evidentemente non reggendo alla tensione, inviò un telegramma generalmente interpretato come un'estrema spronata: «Notizie politiche odierne sono di un'immensa gravità. Da parte della Germania tendenza è nel senso di cedere; certamente quelle truppe non si battono più. In Austria è successa una vera riunione sovversiva, sebbene per ora non nelle strade. Ungheria ha dichiarato la sua indipendenza anche militare e deputati ungheresi hanno chiesto di ritirare truppe per la difesa del proprio terrilorio ( ...). In tale situazione, che umanamente non potrebbe concepirsi più favorevole, la nostra inazione militare rappresenta un vero disastro. So bene le condizioni di ratto che si oppongono ad una nostra offensiva: ma sono questi dei momenti in cui bisogna avere audacia e g iocare il lutto per lulto. Gradirò sue sollecite comunicazioni e non escludo di fare una corsa costà per la ipotesi che un nostro colloquio possa essere utile» ' ·

' Dal 1° luglio all' li novembre 1918 sul fronte occidentale gli inglesi persero 430 mila uomini tra morti, feriti e dispersi, i francesi 530 mila complessivamente e gl i american i più di 200 mila. ' D. LLOYD GEORGE, Memorie di guerra cit., ili, pp. 334-335. ' Ibidem, p. 41 5. • Orlando a Diaz in data 17.I0.1918, USSME. Relazione 11.tficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 2 13. ' Orlando a Diaz in data I 8. 10.1918, ibidem, doc. 2 14. 11 20011obre dichiarò a Luigi Albcrti1u: «Se capita J'am,istizio prima di una nostra offensiva è un disastro» (L. AL13ERTINJ, \lenti anni ,ti vil(t politica cit., 111, p. 431).


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Come è naturale, Diaz rispose invitando Orlando a raggiungere Abano in modo da «rendersi personalmente conto della situazione» e di quanto si stava facendo 1• Aveva infalli ripreso in mano il piano. Secondo il disegno di manovra del 12 ottobre, l' azione principale clell ' 8' armata nel settore di rottura, in direzione di Vittorio Veneto, doveva essere integrata da due azioni secondarie a protezione dei fianchi esposti, e precisamente, sulla destra da quella della IO" armata (lord Cavan), che successivamente doveva agevolare il forzamento del Piave alla 3• armata; sulla sinistra da quella della 12• armata (gen. Graziani), che superando la stretta di Quero doveva minacciare il solco di Feltre e, in un secondo tempo, facilitare l'allacco della 4• arma• ta sul Grappa. 1118 ottobre, constatata la persistenza delle pessime condizioni meteorologiche e la piena del Piave che facevano temere di ritardare alquanto l'azione delle armate 12", s• e IO", e considerando l'obiettiva urgenza di assumere l'iniziativa imposta dagli avvenimenti, Diaz stabill di rovesciare i tempi della manovra. La 4• armata, con il concorso della 6" e dell'ala sinistra della 12" (I corpo), doveva attaccare al più presto tra il Brenta ed il Piave per raggiungere il tratto Primolano-Feltre. L'operazione era già stata studiata dal Comando della 4" armata ed il suo successo avrebbe influito favorevolmente sul successivo forzamento del Piave 2 • 11 colonnello Girarci, ufficiale di collegamento francese, si affrettò ad informare Foch. Il maltempo continuava e probabilmente per una settimana ancora non sarebbe stato possibile superare il Piave, tuttavia «Dans son impatience de réaliser une a.ction quelle qu'elle soit, le Comando Supremo, a l'istigc,tion du Général Giardino comm.andant la. IV armée, vient de décider l'exécution d'un projet que la IV armée avait étudié depuis quelques temps». L'operazione doveva esser pronta a scattare dalla sera del 23 ottobre. II forzamento del Piave, quindi, era prevedibilmente 1ima11data a momento successivo; tuttavia il Comando Supremo sperava di riuscire a dare il via alle due operazioni quasi contemporaneamente 3• Difatti le direttive finali , concretatesi il 21 ottobre, impostarono un' offensiva su più ampia fronte, mirando con azione pru1ente dal settore Brenta-Piave (4" e 12' armata) a separare i due gruppi d'esercito avversari; con azione partente dal medio Piave (12", s• e IO" armata) a separare le due armate del grnppo Boroevié e cagliare le comunicazioni della 6" armata, sì da renderle impossibili la

'Diaz a Orlando in data 18.10.1918. USSME, Relazione ufficiale V, 101110 2 bis, doc. 2 15. ' Ibidem. doc. 217. J Girard a Foch in data 18.10. 1918, ibidem, doc. 218. Anche il generale Calcagno, da Versailles, informava che gli veniva chiesta «con insistenza data operazione come se urgesse nostro intervento» (ibidem, doc. 2 18).


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LA CAMPAGNA DEL 19 18

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difesa e la ritirata; con opportuni provvedimenti a sfruttare ogni favorevole sviluppo della manovra.L'attacco fra il Brenta ed il Piave doveva cominciare il mattino del giorno X (che, con lettera a parte, venne stabilito fosse il 24 ottobre), quello sul medio Piave la sera dello stesso giorno per effettuare traghettamenti e gittamento di ponti nell'arco notturno 1• La 4a ~mnata ricevette come obiettivo il solco Cismon-Arten-Feltre; 1'8• annata, la sella di Fadalto e poi la convalle bellunese appoggiandosi, a destra, all'Altopiano del Consiglio; la 10• armata, la Livenza tra Sacile e Porto Buffolé; la 1• armata doveva agevolare in un primo momento l'azione della 10' e successivamente riceverne aiuto per puntare anch'essa alla Livenza. Alla 12• armata fu attribuita il ruolo irùziale di «cerniera del movimento» , un ruolo che presupponeva compattezza di forze ed unicità di compito, il che, francamente, non sembra possa affermarsi. Motivo per cui la sua sostituzione ha lasciato spazio a specifiche critiche. 11 suo l corpo italiano, a sinistra, doveva «operare in relazione ali' avanzata della 4' armata» ela 23' divisione francese con la 52' divisione alpina italiana a destra dovevano puntare su Valdobbiadene «collegandosi con la sinistra dell'8• annata» 2 • In altri tem1ini, le sue componenti dovevano concorrere a due sforzi strategici divergenti. Le varianti alle direttive del 12 ottobre erano parecchie, ma la principale riguardava il compito della 4° armata che, da diversivo, veniva ad assumere fisionomia concorrente rispetto a quello dell'8• armata e delle due armate «tattiche» laterali (12" britannica e 10• francese). C'è da chiedersi se veramente fosse necessario ed opp011uno estendere l' offensiva al Grappa. Sotto il primo profilo la risposta dipende dal significato operativo attribuito alla mossa. Nello studio dell'ufficio operazio1ù del 25 settembre l'azione sul Grappa, scartata in sé e per sé in quando difficilmente avrebbe condotto a risultati apprezzabili, era conservata a semplice scopo diversivo. Soltanto in un secondo tempo, e in relazione agli sviluppi del.la manovra di sfondamento sul Piave, avrebbe potuto acquistare rilievo. Non a caso Diaz annotò lo st11dio prescrivendo «una contemporanea azione di fuoco della 4" e 6" am1ata, che devono prendere tutte le disposizi01ù difensive, trasfomrnbili al più presto in offensive» 3 • Nelle direttive del 12 ottobre il ruolo della 4° arn1ata diventava secondario: tenersi pronti ad attaccare, su ordine del Comando Supremo, prestare concorso di fooco e protezione sul fianco sinistro alla 12" armata, nonché «assecondare il

' Ibidem, doc. 223. ' IJ maresciallo Caviglia conuuenlò che «una parte di questa armata (la 12") 11011 era che l' ala sinistra dell'S•; l'altra parte era l'ala destra dell' annata di Giardino» (E. CAVIGLIA, Le tre battaglie del Piave cit., p. J 48). ' USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 185.


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movimento della 12• armata, quindi sempre in momento successivo. In definitiva, il suo intervento, pur non potendo definirsi "necessario", appariva certo utile». Le direttive del 18 ottobre, invece, att:iibuirono all' attacco sul Grappa carattere di necessità e di urgenza per motivi del tutto politici. Siccome le condizioni del Piave lasciavano prevedere uno slittamento dell'offensiva in pianura e, d 'altro canto, non essendo più sopportabile l' inerzia operativa per le noti ragioni, bisognava prendere l'iniziativa ed il settore fra Brenta e Piave era l' unico su cui tutto fosse stato studiato e sufficientemente approntato. Perciò l' attacco sul Grappa venne considerato più o meno inevitabile e la 4° armata rinforzata con tre divisioni e due battaglioni d'assalto, 54 batterie di medio calibro e 9 da montagna. Si aggiunga che il generale Giardino, interpellato da Diaz sull' opportunità che tale' operazione precedesse il forzamento del Piave, non esitò a rispondere «essere quella una sua ferma e già espressa opinione» 1• Infine, le direttive del 21 ottobre modificarono nettamente il ruolo della 4° armata, giacché le affidarono il compito di agire verso il corridoio Cismon-Arten-Feltre per separare i due gru ppi d'esercito austro-ungarici 2• Un compito, dunque, concorrente rispetto a quello assegnato alle armate 12", g• e 1O". E su questo cambiamento sembrerebbe lecito avanzare dubbi in tema di necessità e di opportunità, senonché il Piave si incaricherà di eliminare ogni discussione: l'azione della 4° arm ata il 24 ottobre resterà la sola effettuata e quindi risponderò alla necessità politica. L'Aeronautica stava raggiungendo livelli operativi veramente apprezzabili, tenuto conto delle continue trasformazioni dell'impiego consentite da vari fattori, primo dei quali lo sviluppo dei mezzi di trasmissione. Le direttive diramate il 21 ouobre, nell'imminenza della battaglia, dal generale Bongiovanni, comandante superiore d' Aeronautica, si soffermarono sull' ordinamento «in corso d' attuazione e valevole per entrambe le ipotesi d ' azione stabilite dal Comando Supremo». Vennero fissati compiti precisi per la massa da caccia e la massa da bombardamento, prescrivendo la partecipazione diretta alla bauaglia come caratteristica più spiccata dell'impiego dell'arma aerea. L'azione aerea - compresa quella delle aeronautiche d ' armata - doveva essere «improntata a criteri decisamente offensivi», intesi nel senso più lato per tutti i tipi di velivoli. Il lirnite al numero di voli di ogni apparecchio nei giorni di battaglia «sarà segnato esclusivamente dalle esigenze tattiche e dalla materiale possibilità di compierli» 3 • *

* *

'G. G IARDINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit.. ID. p. 135. ' La modifica comportò l'assegnazione alla 4• annata di 400 bocche da fuoco, quasi tutte di medio calibro, il cui movimento venne effeuuato fra il 19 ed il 23 ottobre. ' USSME, Relazione ufficiale cit.. V, tomo 2 bis, doc. 279.


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QUADRO DI BATTAGLIA DELL'ESERCITO ITALIANO il 24 ottobre 1918 Capo di Stato Maggiore dell'Esercito: ten. gen. A. Diaz Sottocapo di Stato Maggiore: ten. gen. P. Badoglio 1• armata (ten. gen. G. Pecori Giraldi) su: V corpo d'armata (ten. gen. G. Ghersi) X corpo d'armata (ten. gen. G. Cattaneo) XXIX corpo d'annata (ten. gen. V. De Albertis) truppe suppletive d'annata 3" armata (ten. gen. E.F. duca d'Aosta) su: XXVI corpo d'annata (ten. gen. V. Alfieri) .XXVIII corpo d'armata (ten. gen. G. Croce) trnppe suppletive d'annata 4" armata (ten. gen. G. Giardino) su: VI corpo d'annata (ten. gen. S. Lombardi) IX corpo d'armata (ten. gen. E. De Bono) XXX corpo d'armata (ten. gen. U. Montanari) trnppe suppletive d'armata 6a annata (ten. gen. L. Montuori) su: XII corpo d'annata (ten. gen. G. Pennella) XIII corpo d'annata (ten. gen. U. Sani) XX corpo d'armata (ten. gen. G. Ferrari) truppe suppletive d'annata 7" annata (ten. gen. G.C. Tassoni) su: III corpo d'armata (ten. gen. V. Camerana) XXV corpo d'armata (ten. gen. E. Ravazza) truppe suppletive d'armata 8" armata (ten. gen. E. Caviglia) su: Vili corpo d'armata (ten. gen. A. Gandolfo) X V ll1 corpo d'armata (teu. gen. L. Basso) XXll corpo d'annata (ten. gen. G. Vaccari) XXY!l (ten. gen. A. Di Giorgio) Corpo d 'annata d'assalto (ten. gen. F. Grazioli) truppe suppletive d'annata 10• armata (ten. gen. Lord Cavan) su: XI corpo d'annata (ten. gen. G. Paolini) XIV corpo d'armata britannico (ten. gen. J.M. Babington) truppe suppletive d'armata .t2• annata (ten. gen. J.C. Graziani) su: l corpo d'annata (ten. gen. D. Etna) X.LI corpo d'armata francese (ten. gen. J.C. Graziani) truppe suppletive d'am1ata Riserva generale - 9" armata (ten. gen. P. Morrone) su: XIV corpo d'annata (ten. gen. P.L. Sagramoso) XXITI corpo d'armata (ten. gen. E. Sailer) unità non inquadrate


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Da parte austriaca, sin dall'inizio di ottobre si era cercata una soluzione che evitasse il peggio. Il giorno 9, non appena saputo della nota di Wilson alla Germania, l'Alto Comando manifestò il proprio orientamento ad inviare parlamentari al Comando Supremo italiano per avviare trattative d'armistizio sulla base dell'immediato abbandono delle regioni occupate, come da richiesta ame1icana. Ed impartì direttive alla Commissione d'armistizio, nominata già dal 4 ottobre e presieduta dal generale Weber von Webenau, di «compilare il testo del trattato sotto la propria responsabilità» e di studiare «le modalità di sgombero del Veneto in nove mesi» 1• Il ministro degli Esteri, Buriàn, considerò il gesto prematuro e controproducente, in quanto Wilson non aveva ancora risposto alla proposta austriaca e Io scambio di note fra Germania e Stati Uniti non era concluso. Il 10 ottobre il generale von Cramon avvertì Arz che la Germania accettava le condizioni preliminari di Wilson e che Hindenburg pregava di attendere la nuova risposta americana e di non proporre tregue direttamente all'Italia. AJ:z am1otò di aver chiesto a von Cramon: <di Comando Supremo tedesco pensa di attuare lo sgombero per zone successive? In quanto tempo? Con quali garanzie di sicurezza?» 2 • Nell'intento di prevenire l'offensiva italiana, data per scontata, e come prima misura in vista del progettato sgombero del Veneto, venne impartito ordine al gruppo d'esercito Boroevié di spedire in territorio nazionale tutti i materiali bellici di valore non indispensabili al combattimento. In tal modo sarebbe stato più facile arretrare le truppe sul vecchio confine nulitm·e 3 . Nel contempo l'Alto Comando dispose il ripiegamento del gruppo d' esercito Koevess, in Balcania, sulla linea Danubio-Sava. Il 14 ottobre vennero convocati a Baden, sede dell'Alto Comando austro-ungarico, tutti i capi di Stato Maggiore di gruppo d'esercito e di annata per discutere l'abbandono del territorio italiano accurato. Le obiezioni allo sgombero non erano di principio. Esistevano preoccupazioni tutt'altro che infondate. Anzitutto si dava per certo che gli italiani, iniziata l'offensiva, incalzassero le annate in ripiegamento senza dare tregua. In secondo luogo, c'era da temere che i soldati, una volta lasciate le attuali posizioni, non si arrestassero al confine militare ma rifluissero nell'interno dell'Impero in un disordine violento ed incontrollabile. Ad ogni modo furono definiti i principati aspetti della ritirata (tappe e tempi) ed i setto1i di confine da presidiare 4 • L'unico elemento di relativa tranquillità fu concesso dalle condizioni del tempo, che improvvisamente peggiorarono provocando la piana dei corsi d'ac-

'G. PR IM IC:ERJ, 1918. Cronaca di ima disfatta cit., p. 161. La Commissione si riunirà a Trento il 12 ouobre, presenterà le sue conclusioni il 24, all' inizio della battaglia, e sarà nuovamente convocata a Trento il 28 ottobre. ' Ibidem, p. 45. ' Ibidem, p. 47. ' L'evacuazione del Veneto fu progettata in tre zone divise dai fiumi Livenza e Tagliamento. Ogni singola zona poteva essere sgomberata in tre mesi, quindi in totale erano considerati nove mesi! (A. A L.BERTI , L'Italia e la fine della guerra mondiale cii., 11, pp. 13-14).


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qua a regime torrentizio della regione e rendendo arduo il forzamento del Piave. Il fattore meteorologico, per l'appunto, e qualche sintomo di minor tensione sul Grappa e sugli Altipiani fecero sperare che il Comando Supremo italiano risolvesse cli attendere ancora p1ima di dar corso all'offensiva. Per contro, da.li' interno provenivano le voci più allarmanti sul disfacimento dell'impero asburgico. Il 17 ottobre l'imperatore Cado, con un proclama ai suoi «fedeli popoli austriaci» - e non a quelli ungheresi - aveva annunciato l'intenzione di costituire uno Stato federale austriaco, segnando così la fine della Duplice Monarchia. Il 18 ottobre Wilson respingeva la nota austriaca perché il governo americano, successivamente alla enunciazione dei famosi 14 punti, aveva riconosciuto il Consiglio nazionale cecoslovacco come governo belligerante de facto e altresì preso atto della legittimità delle aspirazioni nazionali jugoslave. Quindi spettava a questi popoli decidere della propria sorte. L:Arbeiter-Zeitung cli Vienna commentò che per il presidente degli Stati Uniti l' Austria-Ungheria aveva già cessato cli vivere come Stato! Il 21 ottobre, a Vienna, i deputati austro-tedeschi abbandonarono il Reichsrat e si riunirono in assemblea nella Henengasse. Qui approvarono la seguente risoluzione: «Il popolo tedesco dell'Austria vuole stabilire il proprio fut11ro ordinamento, creare uno Stato indipendente austro-tedesco e stabilire liberamente quali saranno i futuri rapporti con le altre nazioni ( ... ).Il popolo tedesco eleggerà un'assemblea nazionale costituente». Quello stesso giorno, a Vienna, si riunì anche il Consiglio deUa Corona per decidere quale risposta inviare a Wilson, ma anche per esaminare la situazione militare. Il generale Arz dichiarò francamente la necessità di concludere al più presto la pace. Nei Balcani il nemico disponeva da 27 a 30 divisioni contro le 18 degli Imperi Centrali. Si poteva resistere alquanto sulla linea Danubio-Sava, però crescevano i dubbi sulla saldezza morale delle truppe. «Se non riusciamo in breve tempo a ristabilire l'ordine - sosteneva Arz - tra due settimane avremo il bolscevismo nell'esercito». Dal Veneto non era pensabile di trarre unità, essendo attesa da un giorno all'altro l'offensiva italiana. L'accusa del primo ministro magiaro di non far rimpatriare di proposito le trnppe ungheresi per difendere la loro patria era perciò ingiusta. Comunque, l'unica decisione presa in concreto fu quella di affid,u·e all'ungherese arciduca Giuseppe I il comando del gruppo d'esercito dei Balcani 2 • Nella terza decade cli ottobre le notizie di quanto stava accadendo nell'Impero, stesso contraddittorie o deformate, raggiungevano le unità in linea, anche se le licenze erano sospese e la corrispondenza non veniva inoltrata. Inevitabilmente diffidenza e timori angustiavano ufficiali e soldati. li 22 ottobre queste erano le valutazioni formulate dai princiali Comandi della fronte sud-ovest:

'L' arciduca Giuseppe era maJesciallo d'Ungheria. 'Il maresciallo Koevess dal gmppo d'esercito dei Balcarù doveva passare al comando del Tirolo, ma il movimento, tempornneament.e rimandato, decadde per gli eventi ed all 'arciduca Giuseppe suheritrerà interinalmente il maresciallo von Krohatin .


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QUADRO DI BATTAGLIA DELL'ESERCITO AUSTRO-UNGARICO il 24 ottobre 1918 Comandante Supremo: Imperatore e Re Carlo I Capo di Stato Maggiore: col. gen. Arz von Strassenburg

Gruppo d'esercito del Tirolo (col. gen. Are. Giuseppe) su: 10, armata (mar. A. von Krobatin) su: V corpo d'annata (gen. f. Are. Pietro Ferdinando) XIV corpo d' armata (gen. f. Verdross von Drossberg) XX corpo d'armata (gen. f. Kaiser von Maasfeld) XX[ corpo d'armata (gen. f. von Liitgendorf) 1iserve d'armata 11" armata (col. gen. V. von Scheuchenstuel) su: llI corpo d'armata (col. gen. Martinj von Malastow) VI corpo d',u-mata (gen. f. V. Weber von Webenau) XIII corpo d'annata (gen. f . .çsanàdy von Béués) riserve d'armata riserve del gruppo d'esercito

Gruppo d'esercito Boroevié (mar. S. Boroevié von Bojna) su: gruppo d'armata Belluno (fzm. von Goglia) su: I corpo d'annata (gen. f. Kosak) XV corpo d'annata (gen. f. von Scotti) XXVI corpo d'armata (gen. f. Horsetzky von Hornthal) riserve del gruppo d'armata 5• armata Jsonzo-Armee (col. gen. von Wurm) su: lV corpo d'armata (fzm. Tamàsy von Fogaras) Vll corpo d'annata (gen. f. Schaiicz.er von Rény) XVI corpo d' armata (gen. f. Kralicek) XXll co1vo d'annata (gen. f. Kettler von Gronmik) XXlll corpo d 'annata (geu. f. Csicserics von Bacsàny) riserve d'annata 6" armata (gen. c. Principe Schonburg-Hartenstein) su: II corpo d 'annata (gen. f. R. Krauss) XXIV corpo d'annata (gen. f. Hafdy von Livno) riserve d' aimata riserve del gruppo d'esercito

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Comando gruppo d'esercito del Tirolo (are. Giuseppe): «( ... ) Non si esclude che gli effetti provocati dagli avvenimenti politici assumano proporzioni tali da compromettere la coesione delle tmppe ( ... ). Se dovesse accadere il peggio, la situazione in questo settore si presenterebbe estremamente grave, perché le annate sarebbero costrette ad uiilizzare peda ri tirata l' unica via di comunicazione che attraversa il Tirolo ( ... ). Nell'interesse della Monarchia e delle nostre armate si prega il Comando Supremo di intervenire con tutta la sua energia per concludere in tempo utile un armistizio, in modo da organizzare nel modo migliore l' abbandono del Veneto». Comando gruppo d'esercito Boroevié: «D'ora in avanti dobbiamo essere pronti a sostenere un attacco avversario anche se a carattere locale ( ...). Gli Italiani ritengono molto probabilmente che gli avvenimenti interni della Monarchia asburgica abbiano già compromesso la saldezza morale delle nostre trnppe e che la crisi materiale non ci consenta di opporre una tenace resistenza. Con questi presupposti è facile sper,u·e che un successo locale provochi il crollo di lutto il fronte( ... ). A mio avviso lo schieramento nemico adottato non consente di condurre un grande sforzo offensivo in profondità. Questo Comando ritiene che il nemico voglia agire nella zona fra il Montello ed il Brenta, perché il livello delle acque del Piave e le rive paludose non consentirebbero in questo periodo un forzamento del fiume. La nostra situazione può essere considerata per il momento buona ( ...). li gruppo d' eserc ito è tuttavia fiducioso di poter resistere all'attacco avversario. In ogni caso si deve evitare di compiere una r itirata a contatto con il nemico. I Comandi dipendenti non rit.engono probabile che gli llaliani passino in breve tempo all'offensiva». Comando gruppo d'annata Belluno (gen. von Goglia): «L'attacco italiano è imminente. Sarà svolto con og1ù probabilità lungo il Piave, ma non si esclude c he venga esercitato un considerevole sforzo anche sul massiccio del Grappa( ... )». Comando 6" armata (gen. Schonburg-Hartenstein): «La situazione militare dell'annata è giudicata in modo favorevole. Il fr:onte e forte e le truppe sono pronte a resistere. Non vi sono si ntomi d.i cedimento morale dovuto agli avvenimenti su l fronte occidentale ed all 'interno della Monarchia. Si spera quindi di poter respingere il prossimo attacco, anche se appare poco probabile che i.I nemico investa le nostre posizioni(... ). In sintesi: sul Piave si può ancora arrestare ogni attacco, ma non si deve chiedere alle truppe di ritirarsi incalzate dal nemico». Comando 5° annata (col. gen. von Wurm): «Schieramento e contegno del nemico immutati. Nulla fa supporre che stia per iniziare una grande offensiva. TI livello del fiume impedirà anche nei prossimi giorni un forzamento del corso d'acqua( ..,). È invece possibile che il nemico svolga azioni locali soltanto a sud di Ponte di Piave. Nel complesso situazione ancora buona. Le azioni locali tendono probabi lment.e ad accertarn la reattività della difesa( ...). Ma è anche possibile che il nenùco, supponendo che gli avvenimenti interni abbiano avuto effetti simili a quelli del 1917 in Russia, speri di ouenere da questi successi locali un crollo di tutto il nostro fronte( ... )» '.

Il sostanziale ottimismo ricevette una scossa nemmeno ventiquattrore più tardi. La sera del 23 ottobre Boroevié rappresentò all'Alto Comando che reparti di marcia delle varie nazionalità, ma specialmente ungheresi, rifiutavano di continuare a combattere nel Veneto e chiedevano di rientrare nei rispettivi paesi per difenderli contro l'invasione. Era la prima volta che le agitazioni raggiungevano l'esercito di campagna austro-ungarico 2 • Fu allora che ebbe inizio l'offensiva italiana.

'G. PRIM ICERJ, 1918. Cronaca di una disfatta cit., pp. 82-87. 'Ibidem, pp. 89-90. Nel pomeriggio del 23 l'imperatore Carlo inviò al Papa il seguente telegranuna: «Aumentano gli indizi dell'imminenza di un 'offensiva italiana, contro di noi. ['affronteremo con tranquillità e fiducia. Ma poiché la guerra non sarà decisa nel Veneio e potrebbe presto giungere al suo termine, prego Vostra Santità di interessare il Governo italiano affinché rinunci, per pure ragioni di umanità, al suo progetto( .. .)».


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Lo schieramento austro-ungarico dallo Stelvio al mare vedeva nell' ordine il gruppo d'esercito del Tirolo, con la 10• armata fra lo Selvio e I' Astico e 1'11· annata dall' Astico al Brenta; il gruppo d'esercito Boroevié con il gruppo d' armata Belluno dal Brenta al Piave, la 6" armata eia Vidor al Ponte della Priula, la 5• annata da quest'ultimo al mare. Complessivamente: 51 divisioni di fanteria e 6 di cavalleria; 6.800 bocche da fuoco e 564 aerei. L'organizzazione difensiva assumeva la forma della difesa statica ad oltranza sugli Altipiani e sul Grappa, della difensiva elastica lungo il Piave. Nella zona montana La resistenza si basava su linee successive ravvicinate, imperniate su posizioni naturalmente forti. In pianura erano state realizzate tre posizioni difensive: la prima (Kaìserstellung), profonda un paio di chilometri, appoggiata al Piave con elementi avanzati sulle Grave di Papadopoli; Ja seconda (Koenigstellung) appoggiata ai fiumi Bidoggia-Livenza; la terza sul Tagliamento, con due teste di ponte su.li a riva occidentale, a Codroipo ed a Mad.risio. Le posizioni comprendevano una zona avanzata, una zona di resistenza ad oltranza ed uno schieramento delle artiglierie. La riserva generale era suddivisa in tre blocchi: nel Trentino, dalla val Sarca alla val Sugana, una brigata e tre divisioni per le esigenze del gruppo d'esercito del Tirolo; nel solco di Feltre, due divisioni per evitare la separazione dei due gruppi d'esercito; nella zona Pordenone-Sacile-Motta di Livenza-Codroipo, sei divisioni per fronteggiare l'eventuale rottma del fronte._del Piave. In corso di affluenza due divisioni di fanteria e due di cavalleria. In pratica, dato l'andamento delle due linee ferroviarie esistenti (una, in valle Pusteria, ad un solo binario, e l'altra, del Brennero) uno spostamento delle riserve dal Trentino al Piave sarebbe riuscito poco tempestivo. Alle forze austro-ungariche si opponevano da p,ute italiana 57 divisioni di fanteria e 4 di cavalleria con 7.700 bocche da fuoco e 638 aerei. Ma i rapporti di forza nei settori interessati dalla nostra offensiva sul Piave, dalla stretta di Quero a Ponte di Piave, vedevano 28 divisioni di fanteria italiane e alleate (2 della 12" armata, 14 della 8" annata, 4 della 10" armata e 6 del Comando Supremo) contro 17 divisioni ed 1 brigata avversru'ie (9 divisioni in prima linea, 2 divisioni ed 1 brigata in seconda linea, 5 in riserva cli armata ed 1 in riserva di gruppo d'esercito). 5.

LA BArrAGLIA DI VITTORIO V ENETO

(3" BATf'AGLIA DEL PrAVE)

La battaglia di Vittorio Veneto è stata considerata dalla nostra Relazione ufficiale in una successione di quattro fasi. La prima fase (24-26 ottobre) comprende la lotta sul Grappa e l'occupazione delle Grave di Papadopoli; la seconda (27-28 ottobre) riguarda essenzialmente il forzamento del Piave e la rottura della Kaiserstellung; la terza (29-31 ottobre) è costituita dal completamento del successo; la qumta (31 ottobre-4 novembre) concerne lo sfruttamento del successo.


L'organizzazione difensiva austro-ungarica sul Piave.


Le fone contrapposte il 24 ottobre.


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* * * La prima fase non si svolse come divisato. TI Comando Supremo aveva disposto, come sappiamo, che il 24 ottobre iniziasse l'offensiva con l'azione della 4° armata di Giardino sul Grappa al mattino e quella dell'8• armata di Caviglia e delle due annate laterali la sera. In realtà, le due operazioni, strettamente correlate, si svilupparono in tempi distinti perché, mentre la 4• amrnta si mosse contro il nemico secondo il piano, le altre tre am1ate trovarono nella piena e nella impetuosa corrente del Piave un ostacolo al momento .insuperabile. Il compito della 4' annata non era facile. Non soltanto il gruppo Belluno era ben sistemato a difesa ed i suoi tiri ben aggiustati sui prevedibili obiettivi, ma, sin dal 22, ogni notte attendeva l'attacco fra la mezzanotte e l'alba. Inoltre verso le 6 del 24 il tempo volse al cattivo con nevischio e pioggia sempre più forte, Dopo un favorevole inizio, l'avanzata dei tre corpi d'armata (IX, VI e XXX) incontrò durissima resistenza ed al cadere deUa sera ben poco vantaggio di terreno era conservato. L'arresto fu dovuto essenzialmente all'ottima organizzazione dei fuochi del nemico, rimasta quasi ovunque efficiente a dispetto della preparazione d ' artiglieria, nonché ai continui contrattacchi. «Dovunque (e, si noti, in un attacco su tutto il fronte) si è stati presi sotto il fuoco delle mitragliatrici e delle artiglierie, di fronte, di fianco, al tergo, e quando si riuscì a penetrare, si fu quasi sempre ingabbiati dall'artiglieria, in modo che gli attacchi non poterono essere incalzati» ricordò il mar·esciallo Giardino 1• Alle 15, visto l'andamento sfavorevole del l'impresa e tenuto conto del tempo proibitivo e dell'ora tarda, egli decise di sospendere l'azione per riprenderla il mattino successivo. Non si faceva illusioni sul significato della giornata: l' attacco era falLito. Secondo le informazioni ricevute dai comandanti di corpo d' armata, l'insuccesso era da ascrivere ad una causa non rimovibile né rimediabile battaglia durante: il difetto di efficienza tattica del nostro fuoco di artiglieria, che i pochi giorni a disposizione non avevano consentito di mettere a punto 2• Tuttavia, alla base era innegabile un'imperfetta conoscenza o piuttosto un apprezzamento inesatto dell' organizzazione difensiva austriaca. Starebbe a dimostrarlo l'indirizzo dato da Giardino alla condotta dell'azione: «Dietro la sistemazione difensiva ora occupata dal nemico non sembra vi siano altre linee sistemate; sfondata quindi la prima linea ci troveremo di fronte ad un terreno non organizzato a difesa, salvo, forse, qualche piccolo lavoro di non rande entità. Occorre quindi in un primo tempo un poderoso sforzo capace di disuuggere e soffocare la contrapposta sistemazione difensiva; in un secondo tempo, sfondata la linea nemica, colonne leggere fornite di viveri e murùzioni in modo da non esse-

' G. GIAROJNO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit., III, pr. 189- 190. ' Ibidem, p. 196.


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La successione degli atti tattici dal 24 al 30 ottobre.

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re arrestate da difficoltà logistiche e che si dirigano cele1111ente sugli obiettivi prefissati senza preoccupazione di collegamenti, preoccupate invece e solo dj avanzare e di aiutare le laterali ad avanzare, girando gli ostacoli che si oppongono al progredire dei vicini». E che l'i mpresa fosse vista con molto ottimismo lo si deduce dalla direttiva: «Giunti al solco [Primolano-Arten-Feltre] sarà coronamento dell'azione assicw-arne il possesso sorpassandolo ed occupando le alture che lo proteggono (obiettivi eventuali)». E, ancora, una piena fiducia nel buon esito dell'attacco si avve1te nel monito che, una volta raggiunto il solco, il Comando d'armata si riservava di ordinare al IX ed al XXX corpo di inviare colonne leggere per la val Sugana o ad oriente del Piave «per concorrere aUa riuscita cieli' azione dell'armata laterale» '. Nel frattempo la I o• annata aveva passato truppe inglesi ed italiane rispettivamente nelle isole delle Grave cli Papadopoli e di «Case1ta». Il possesso della prima, soprattutto, rivestiva grande valore perché in con-ispondenza di essa 1'a1111ata doveva costituire una testa di ponte. Lord Ca van avrebbe voluto occupare le Grave 24 o 48 ore prima dell'otlensiva, ma Caviglia, al quale era devoluta la direzione del forzamento del Piave, non approvò l'idea in quanto un anticipo di tempo così rilevante avrebbe sicuramente provocato il fuoco concentrato dell' artiglieria austriaca. A malincuore, invece, consentì un'azione di sorpresa. Cosicché L'operazione ebbe luogo nella notte sul 24. Pu1troppo nel corso della giornata la pioggia riprese fitta peggiorando ulteriormente le condizioni del Piave e rendendo, di conseguenza, la situazione molto delicata. Per questo il Comando Supremo, verso le 19, si vide costretto arimandare il previsto forzamento da parte delle annate 12• (23" divisione francese e 52• italiana), 8" e 10•, nonostante gli inconvenienti derivanti da un contrordine diramato in extremis; e ad ordinare la vigorosa prosecuzione dell'azione delle armate 4°, 6• e 12• (I corpo italiano), nonostante la scarsa probabilità di un successo tangibile ed i prevedibili maggiori sacrifici. ll 25 la 4• annata proseguì l'attacco in condizioni evidentemente più difficili, giacché l'impresa da «concorrente» era diventata «preliminare». Omiai, vista la mancanza concreta di prospettive di pervenire all'obiettivo Cismon-ArtenFeltre, non le rimaneva che lo scopo di richiamare su di sé l' attenzione ciel nemico e le sue riserve, almeno sino a quando il forzamento del Piave non avesse avuto inizio. Non meraviglia, dunque, che i risultati si limitassero a poche posizioni Sull' azione svolta quel giorno dalla 4" armata gli ufficial i di collegamento del Comando Supremo fecero diverse osservazioni, secondo le quali lo scarso successo riportato doveva probabilmente attribuirsi, oltre al deciso contrasto

' «Dircltive per l'azione Solco» in data 19.10.191 8 del Comando 4" armata, USSME, Re/azione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc . 242.


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austriaco sia di fuoco sia cli tempestivi contrattacchi, alla mancata sorpresa, non del tutto inevitabile; allo slegamento di alcuni atti tattici; a clifetti cli esecuzione, dovuti in parte all'insufficiente valutazione del tempo occorrente per la trasmissione degli ordini e la conseguente preparazione dei reparti, Diaz annotò: «Non c'è da felicitarsene» '. In compenso, pur nella incresciosa incertezza circa il momento in cui il Piave avrebbe pennesso il passaggio, nel settore della 10• armata il XIV corpo britannico si consolidò sulle Grave e l'XI corpo italiano passò nell'isola «Maggiore». Il tanto auspicato avvio dell'offensiva aveva provocato in Orlando una nuova in1barazzante incertezza. Era naturalmente soddisfatto, però credette opportuna una certa reticenza cli fronte al Paese. Quel giorno comunicò l'inizio del1' offensiva all'ambasciatore Imperiali, il quale aveva segnalato come l'opinione pubblica inglese si mostrasse ostile alla nostra inazione 2, spiegando che «Necessità ordine interno mi obbligano a non dare ad essa [offensiva] un gran rilievo e ciò per la comprensibile ragione che, date le trattative sempre pendenti per un possibile armistizio, una aliquota del Paese riporterebbe penosa impressione da un successivo spargimento di sangue» 3• Fu un altro sbaglio. La lotta continuò il 26 ottobre incontrando una resistenza sempre più tenace 4. Alle 16 Diaz, recatosi al Comando della 4• armata, convenne con Giardino sulla necessità di concedere un giorno di sosta alle provatissime fanterie del Grappa. Peraltro anche l'avversario aveva subito gravi perdite e, attribuendo all'itnpegno italiano un pericoloso significato in quanto volto all'arroccamento di Feltre, con inevitabile minaccia di grave crisi per l' 11• armata, era stato obbligato a po1tare nella conca di Belluno quattro clivisioni tratte dalle riserve. Sul Piave il comandante della 5° armata austriaca aveva dapprima creduto che l'occupazione delle Grave fosse semplicemente un atto diversivo compiuto dagli italiani per distraITe l'attenzione dal settore montano, ma l'improvvisa constatazione che trnppe inglesi si trovavano sull'isola cominciò a sollevare dubbi, ben presto rafforzati dalla notizia che a Pederobba combattevano reparti francesi e che, secondo il Comando della 6° armata austro-ungarica gli italiani stavano preparandosi a sferrare lo sforzo principale dal Montello.

* * *

' Ibidem, tomo 2, p. 302 . 'Imperiali a S01mino in data 20.10.1918, O.O.I., Y serie, XI, doc. 7 IO. 'Orlando a Imperiali in data 25.10.1918, ibidell'I, doc. 749. " Secondo il bollettino dell'Alto Comando ausu·o-ung;u"ico, sul Grappa «infuriò per q uallro giomi una lotta, che raggiunse la violenza delle precedenti grandi battaglie della guerra» (E. GLAISE HoRSTENAU, Il crollo di 1111 Impero, Garzanti, Milano 1935, p. 292).


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La seconda fase dell'offensiva ebbe inizio la sera del 26. L'ordine esecutivo era stato impartito dal Comando Supremo nel pomeriggio del 25, contando su almeno un lieve decrescere della piena del Piave. La 12• e 18° am1ata potevano presumere di godere del fattore sorpresa mentre la 10" armata evidentemente doveva agire di forza. Il problema consisleva non tanto nel traghetto con barche e pontoni e nel gittamento di ponti e passerelle, quanto nella prevedibile distruzione di questi ultimi durante o dopo il gittamento per effetto della corrente impetuosa del fiume e del tiro d'a1tiglieria nemica. Il mattino del 27 tre teste di ponte erano state realizzate sulla sinistra del Piave. La più settentrionale, e più piccola, in corrispondenza di Valdobbiadene dalla 12• armata, con il 107° reggimento di fanteria francese ed il 9° gruppo alpini; la 'Seconda a Moriago-Sernaglia-Falzé dal XXll corpo con la 57" divisione e la 1• divisione d'assalto; la terza, la più grande, oltre le Grave, dalla 10° armata con il XlV corpo britannico e l' Xl corpo italiano. Il XXVlT corpo era riuscito a far passare suoi elementi sui ponti della 12° armata e del XXII corpo; ma l'Vlll corpo, che comprendeva la 2" divisione d'assalto, era rimasto sulla destra del fiume essendo fallito il gittamento dei ponti a Nervcsa. 1n sostanza, non erano stati raggiunti gli obiettivi stabiliti per il primo sbalzo offensivo e nemmeno era stata ottenuta Ja rottura della fronte del Piave. E neppure era stato possibile ricostituire oltre il fiume il corpo d'armata d'assalto, cui Caviglia aveva assegnato il ruolo di punta d'acciaio del cuneo che doveva dividere in due il gruppo Boroevié. In compenso le condizioni del Piave andavano migliorando e Caviglia decise di mettere il XVTII corpo agli ordini della 10° armata con il compito di superare il Piave sui ponti di quel settore e puntare direttamente su Conegliano per liberare la fronte dell' Vill corpo d'armata 1• Quanto al corpo d' annata d'assalto, durante la notte la 2" divisione d'assalto sarebbe passata su un nuovo ponte gittato nel settore del XXII corpo, dopo di che, all'alba, il generale Grazioli si sarebbe diretto su Vittorio Veneto, impadronendosi, strada facendo, delle artiglierie che dalla zona di Colialto-Susegana battevano i ponti. La sera del 27 il Comando 6° annata austro-ungarica valutava con un certo ottimismo la situazione e si apprestava a ristabilire la difesa il giorno seguente. Dopo tutto la testa di ponte creata dal XXII corpo italiano nella piana di Sernaglia aveva limitate dimensioni e, per giunta, era rimasta isolata oltre il fiume. Invece il Comando della s• armata si trovava in serio imbarazzo. La testa di ponte della 10• armata di Cavan non soltanto era vasta e consolidata e disponeva di sicuri passaggi alle sue spalle, ma aveva determinato un allarmante crollo morale in molte unità del XV1 corpo austriaco 2, ed i contrattacchi effettuati dalle riserve del XVI e del TV corpo non avevano sortito effetti concreti. Talché il Comando 5° armata fece avvicinare le divisioni in riserva d'armata al Monticano per po-

' Ibidem, p. 313. 'La 7' divisione si era sbandata nel più completo disordine al primo contatto con gli inglesi.


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La seconda fase sul Piave: la costituzione delle teste di ponte nella giornata del 27 01tobrc.


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tcr reagire in forze il giorno 28. Nel pomeriggio Boroevié telegrafò ali' AJto Comando: «ll Comando della lsonzo-Armee comunica che i recenti ammutinamenti (...) e la pessima prova forn ita dalla 7° divisione no n consentono di prevedere l'esito delle attuali operazioni La sin1azione militare per quanto concerne rapporti di forza e aspetti tallici e operativi, non desta ancora serie preoccupazioni, ma con l'estendersi degl i ammutinamenti non sarà più possibile esercitare la dovuta azione di comando per influire sull'andamento della battaglia difensiva)) 1• Sul Grappa, la 4• armata di Giardino si trovava alle prese con la violentissima reazione del gruppo Belluno. Conservò a caro prezzo il M. Pe1tica ma perse il Valderoa. A mezzogiorno Diaz, stanti le favorevoli informazioni ricevute ma non al •c01rentc dello sviluppo dei combattimenti, ordinò che il giorno dopo venisse ripresa l'offensiva a fondo «per spezzare la resistenza del nemico» e per richiamare nuove divisioni avversarie, impedendone lo spostamento verso il Piave. Giardino obiettò che l'atteggiamento austriaco dava segni indubbi di crescente aggressività, piuttosto che di un orientamento a persistere nella tenace resistenza in posto. Perciò, nell'intento di meglio preparare le truppe, chiese ed ottenne di rimanda.re al 29 le sole azioni possibili contro il Col della Berretta (lX corpo) ed il Col della Martina (VI corpo). Se la 4" armata accusava un serio logorio, il gruppo d'armata Belluno non stava meglio, a dispetto delle apparenze. Da quanto riferiva Boroeviéla sera del 27 all'Alto Comando, il quadro era inquietante: «Tutte le divisioni banno subito gravi perdite e dispongono di pochissime riserve; diversi reggimenti non possono essere più impegnati» 2• E la relazione sul morale trasmessa quel giorno dal Comando gruppo d'esercito ciel Tirolo si manteneva sullo stesso tono per quanto riguardava le unità magiare, slovacche, rumene ccl ucraine: abbandoni di posto, diserzioni, ammutinamenti, 1ifiuti di andare iu linea 3• La sera del 27 ottobre l'ambasciatore austriaco a Stoccolma ricevette l'incarico di consegnare al governo svedese una nuova nota per il presidente Wilson: «(... ) dal momento che l' Austria-Ungheria accetta tutte le condizioni poste a base di ogni possibile trattativa per l'armistizio e per 1a pace, il Governo austro-ungarico ritiene che non vi siano altri ostacoli che si oppongano all'inizio dei negoziati. Detto Governo si dichiara pertanto pronto ad avviare trattative di pace fra l' Austria-Uhgheria e gli Stati avversari ed a concludere subito un armistizio su tutti i fronti di sua competenza e prega il signor presidente Wilson di volerne disporre l'inizio» •. Nello stesso tempo la Svizzera e la Spagna furono

' G. PRIM ICERJ, 1918. Cronaca di una disfa11a cit., pp. 138-139. ' USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 2, p. 551. ' G. P RIMICERJ, /9/8. Cronaca di 111,a disfalla cii., p. 138. ' Ibidem, pp. 145- 146.


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pregate cli interessarsi presso tutti i Governi dell' Intesa per indurre Washington ad accogliere la proposta imperiale '. II 28 ottobre l'investimento della prima posizione austriaca sul Piave condusse alla rottura. Fu però un'operazione di sgretolamento più che di urto potente. La costituzione di tre sole teste cli ponte - una delle quali, a Vidor, piuttosto esigua- alimentate a stento a causa delle tuttora pressoché proibitive condizioni del fiume, che avevano ostacolato il gittamento di ponti e passerelle o li avevano travolti, si era manifestata insufficiente per il previsto sviluppo della manovra, al punto che lo schieramento delle artiglierie austriache, obiettivo della prima giornata di combattimento, venne raggiunto con un ritardo di quattro giorni. Sul Grappa la 4• armata si limitò a tenere il gtuppo Belluno sotto la minaccia persistente di un rinnovato attacco, ma sulla sinistra del Piave le truppe che, grazie all'efficacissimo appoggio dell'artiglieria, sostenevano e respingevano i contrattacchi della 6" e 5" armate austro-ungariche, furono finalmente in grado di prendere slancio. La 12" annata attaccò verso nord, a cavallo del Piave, portandosi alle soglie di Quero e di Valdobbiadene. L'8" armata vide in mattinata aumentare la situazione di isolamento del XXI corpo oltre Piave e di vani tentativi dell'Vlll corpo cli superare il fiume, mentre l'opera de i nostri reparti pontieri incontrava difficoltà di ogni genere. «Alle 12 del 28 - ricordò Caviglia - avevamo notizie poco liete su tutta la fronte. I pontieri erano stanchi e sfiduciati; gli austro-ungarici ripetevano i loro attacchi alle nostre teste di ponte, le quali però li contenevano». Con tutto ciò il XXII corpo si spingeva verso Pieve di Soligo ed il suo comandante ordinò che tutti i Comandi, compreso quello del corpo d 'armata, si trasferissero immediatamente sulla sinistra del fiume. L'incerto stato cli cose si sbloccò per merito della manovra laterale del XVIll corpo d 'armata: portatosi nella notte precedente nelle Grave di Papadopoli sui passaggi della l O" armata, uscì dalla testa di ponte attaccando verso nord-est parallelamente al Piave e raggiungendo nel pomeriggio S. Lucia cli Piave e p oi Susegana. A questo punto l'VlII corpo d'armata poteva a sua volta varcare il fiume nei pressi del ponte della Priula. Da parte avversaria, nel pomc1iggio il principe cli Scbonburg-Hartenstein, che già al mattino, visto il fallimento dei contrattacchi contro il nostro XXTI corpo, aveva deciso il parziale ripiegamento sulla seconda posizione, ordinò che l' intera 6" armata si ritirasse sulla linea Segusino-alture a nord di Valdobbìadenc-Conegliano-Monticano.

'Alle 17 del 26 ottobre Carlo 1 aveva comunicato a Guglielmo TT che i suoi popoli non potevano né volevano continuare la guerra: «( ...)Anche i sentimenti più fraterni ed amichevoli non possono impcdinni di salvaguardare r esistenza di quegli Stati, il cui destino mi venne affidato dalla Divina Provvidenza. Per questo motivo Ti annuncio che ho preso l' irrevocabile decisione di chiedere e ntro 24 ore una pace separata ed un immediato armisti7.io ( ...)»


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La 1o• armata, secondo la richiesta di Caviglia, sin dalla mattina impegnò vivacemente il nemico acquistando maggiore spazio verso est e lanciando numerose pattuglie in direzione del Monticano. Ed anche il Comando della 5° armala austriaca finì per giudicare pregiudicala in modo grave la situazione, sì da rassegnarsi ad arretrare sulla seconda posizione rafforzandovisi alla meglio. La sera Boroevié telegrafò ali' Alto Comando: «Ritengo opportuno esaminare anche l'eventualità di un abbandono sotto press ione nemica del territorio occupato, ma per il momento questo Comando non impartirà l'ordine di rottura del contatto e di ritirata. Gli avvenimenti saranno una logica conseguenza dell'evolversi della situazione. Le mie direttive hanno il solo scopo di coordinare i movime nti. Se non sarà possibile contenere la progressione avversaria, le annate dovranno ripiegare per scaglioni successivi, mantenendo fra loro uno stretto collegamento. Considerando gli effetti che un simile ripiegamento potrebbe avere sulle condizioni di un immediato armistizio, occorre sfruttare ogni possibilità di ulteriore resistenza( ...)»'.

Arz rispose alle 22,30: «Si concorda sul.le direttive impartite. Occorre evitare il crollo dell'esercito. Se necessario, sottrarsi tempestivameante a una sconfitta che possa trasformarsi in rotta» 2 • Poi telegrafò al maresciallo Krobatin, il quale, assunto il comando interinale del gruppo d'esercito del Tirolo dopo la partenza cieli' arciduca Giuseppe, vedeva ormai pericolante il fronte dell' 11 a armata e più che probabile uno sfondamento italiano in direzione di Trento che avrebbe compromesso le s01:ti della 10• armata: «L'ordine impartito al gruppo d' esercito Boroevié di sottrarsi ad una sconfitta che possa trasfonnarsi in rotta per evitare il crollo dell' esercito, vale anche per il gruppo d'esercito del Tirolo»\ Il quadro completo della situazione austriaca nel Veneto al tennine della giornata si trova in un ulteriore telegramma di Boroevié: «Le armate sostengono già da cinque giorni accaniti combattimenti e non sembra che lo sforzo offensivo del nemico stia per esaurirsi. La capacità di resistenza delle nostre truppe è onnai seriamente compromessa( ... ). È indispensabile chiarire cosa ci si riprometta per l'immediato futuro (...) se si vuole evitare l' anarchia ed un conseguente disastro di dimensioni imprevedibili per lo Stato e per l'esercitm> •. A Vienna le decisioni erano già state prese dalla sera precedente. Alle I 5,45 cli quel 28 ottobre il generale Weber von Webenau ricevette ordine di concludere al più presto un armistizio, a seguito della ultima nota inviata al presidente americano. Poteva essere accettata «qualsiasi condizione che non leda l'onore dell'esercito o che equivalga ad una capitolazione». Ed alle 17, lO gli venne precisato che la possibile richiesta formulata dal.l'Intesa di trasportare truppe attraverso il territorio della Monarchia, ovviamente contro la Ge1mania, «non va nem-

' G. PRJMICERJ , 1918. Cro11uca di una di.fatta, c it., p . .156. ' Ibidem. ' Ibidem, pp. 156-157. ' Ibidem, p. 157.


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meno discrn;sa» 1• La speranza di una vittoria difensiva, che agevolasse l'armistizio e consentisse migliori condizioni, era sfumata. La sera del 28 il superamento della Kaiserstel/ung risultava un fatto compiuto 2• Era stata un'operazione ardua, complessa, più lunga del previsto, perfino poco appariscente, contro un avversario ancora tenace e fortemente reattivo. Lo scopo ili sfondare il fronte del gruppo d'esercito e dividerlo in due non era ancora raggiunto, tuttavia l'inequivocabile successo garantiva la felice prosecuzione dello sforzo per ottenere il pieno risultato strategico.

* * * La, terza fase della battaglia consentì la definitiva rottura del dispositivo nemico nella giunzione fra il settore montano e quello di pianura. ln altre parole, condusse alla separazione fra i due gruppi d'esercito. Adesso l'avversario non poteva opporre che momentanei episodi di lotta ancora accanita, come sul Grappa e sul Monticano, ma non sfuggire agli effetti della manovra delle nostre armate di centro e neppure alla sempre più vistosa crisi morale delle trnppe. In particolare fu tra il 29 ed il 30 ottobre che le armate 12•, ga e 10" spezzarono il fronte austro-ungarico. I pur generosi sforzi della 4a annata italiana non avevano approdato a quel miglioramento sul fianco montano, sempre reputato indispensabile per la sicurezza di un 'avanzata nella pianura veneta. Si erano opposti al successo molteplici fattori. primi fra i quali una solida difesa ed il nevischio e la foschia che spesso avevano nuociuto ad una adeguata cooperazione fanteria-artiglieria. Visto respinto il nuovo tentativo del IX corpo sull' Asolone, Diaz preferì sospendere temporaneamente l'azione sul Grappa, nell'intesa che l'armata si sarebbe tenuta pronta a sfruttare le opportunità che certamente si sarebbero presentate in conseguenza delle operazioni della 12" e del1'8" armata. La battaglia ciel Grappa era dunque finita. Combattuta dopo un'affrettata preparazione, su un terreno aspro, contro un nerrùco coraggioso e ben sistemato a difesa, in condizioni meteorologiche difficili e subendo perdite rilevanti, aveva comunque un risultato di grande valore, impegnando seriamente il gruppo d'rumata Belluno e richiamando nel settore un cospicuo numero di riserve. Aveva, possiamo dirlo, conllibuito in maniera determinante all'azione complessiva del la giornata '. Dal canto suo, la l 23 armata, adesso sicura dei rifornimenti, poté riprendere l'avanzata nella valle del Piave, superando Quero e Segusino ed occupando le alture ad oriente. L'obiettivo era la linea Feltre-Busche-Mel.

' lbidem, p. J61. ' Sulla situazione al tenninc della seconda fase della banaglia vds. le considerazioni della Re-

lcizione ufficiale cit., V, tomo 2, pp. 573-580. ' ibidem, p. 497.


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La terza fase nella pianura veneta: l'avanzata nelle giornate del 30 e 31 ottobre.


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Per il gruppo Belluno la situazione stava rapidamente aggravandosi. Laritirata della vicina 6• armata verso la Livenza creava sulla sinistra del gruppo un vuoto, non controllabile con I.e poche forze disponibili, nel quale era prevedibile l'inserirsi di unità italiane per tagliare la ritirata alle truppe combattenti sul Grappa. Perciò, considerata la penetrazione italiana oltre Quero, alle 13,30 del 30 ottobre il Feldzeugmeister Goglia impartl l'ordine di ripiegamento sull'allineamento Borgo in val Sugana-dorsale Alpi di Fassa, con inizio del movimento già nella tarda serata. Ma i reparti in riserva a tergo del fronte si erano ammutinati e soltanto quelli in linea combattevano. «Per risparmiare a queste brave truppe l'onta della resa nelle proprie trincee - aveva telegrafato Goglia nella notte sul 30 ali' Alto Comando- non resta che concludere subito un armistizio» 1• Verso meztanotte i difensori del Grappa lasciarono le posizioni abbandonando un migliaio di pezzi. L' 8" armata, che ormai aveva portato sulla sinistra del Piave tutti i suoi corpi d 'armata, si era subito accinta ad incalzare un nemico segnalato in via di disorganizzazione ed in ritirata. Alle 10 del 29 Caviglia aveva ordinato: «Avanzare arditamente scaglionati in profondità. Non attaccare diretta.mente villaggi e caseggiati, ma aggirarli(... )». Ed alle 13,45: «Nemico ritirasi attorno Vittorio. Accelerare la marcia per impedirgli di sfuggire e vendicare così Caporetto». Alle 16 avvertì che le circostanze consentivano di procedere con una certa spregiudicatezza senza preoccupazioni per i collegamenti laterali, che potevano essere ristabiliti di notte e durante le soste operative 2• Il mattino del 30 l'VIII corpo, comandato ora dal generale Grazioli, era entrato in Vittorio Veneto e lo sfondamento della linea della 6" armata austro-ungarica era irreversibile. Inoltre truppe celeri si spingevano alla testata della Livenza, da dove si rendeva agevole l'avvolgimento della lsonzo-Armee. Peraltro il compito dell'8° annata consisteva nel dirigersi verso nord, superare le Prealpi Bellunesi e proseguire nella valle del Piave tra ponte nelle Alpi e Feltre per tagliare la strada ai difensori del Grappa. E la notte sul 31 ricevette uno stringato dispaccio de l Comando Supremo: «Occorre inseguire senza tregua il nemico che si li tira. 12• armata punti in direzione Feltre-Fonzaso per far cadere di rovescio la difesa nemica del Grappa. 8" armata raggiunta la convalle bellunese avanzi con la massima celerità per le val li del Piave e del Cordevole. Primo obiettivo Agordo-Pieve di Cadore» 3 • La 1011 annata, superato senza eccessive difficoltà il Monticano, si avviò verso la Livenza con un ordine d 'operazione significativo di quanto irrimediabile apparisse a lord Cavan la rotta della sa armata austriaca: «Sarà difficile di tra-

'G. PtUMICERJ, 1918. Cronaca di 1111a di:ifatra cii., p. 182. ' USSME, Re/azione 11fficiale cii., V. tomo 2 bis, doc. 337 e 352. ) Ibidem, doc. 354.


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l3 situazione :i.I 30 ottobre.


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smettere gli ordini nei prossimi giorni. Gli obiettivi seguenti saranno considerati obiettivi finali e l'avanzata verso di essi deve essere continua giornalmente sino al loro raggiungimento(...)». L'obiettivo era la Livenza, da Sacile ad Albina per il XIV COIJ)O britannico e da Albina a Porto Buffolé per l' XI COIJ)O italiano 1 • Più a sud era entrata in azione la 3• armata del duca d'Aosta. Forzato il Piave nella notte sul 30, colse la lsonzo-Armée in crisi di ripiegamento e si affennò pienamente sul la sinistra del fiume, riprendendo collegamento con I.a 1O" armata. In campo avversario lo sconvolgimento politico-militare stava arrivando a livelli altissinù. Alle 8,50 del 30 ottobre l'Alto Comando chiedeva ai due comandapti di gruppo d'esercito se ritenessero opportuno «ricevere» un ordine del seguente tenore: «Abbiamo chiesto per vie diverse agli Italiani di trattare un armistizio senza ottenere sinora risposta. Per evitare ulteriore spargimento di sangue ed impedire, sempre se possibile, uno sfascio completo dell'esercito provocando anarchia all'intemo del territorio, si deve sospendere il fuoco su tutto il fronte e trattare settorialmente il contegno da assumere» 2• Boroevié si espresse negativamente, K.robatin invece fu possibilista: ogni gruppo d 'esercito poteva a suo giudizio - trattare ma soltanto per guadagnare tempo, giacché l'anarchia ali ' interno poteva essere evitata unicamente con un annistizio steso fra i due Comandi Supremi. Ma Boroevié insistette: «L' offerta si risolverebbe in un rifiuto e per una simile capitolazione c'è sempre tempo» e ribatté che una resa senza condizioni avrebbe distiutto l'esercito e lo Stato sarebbe rimasto senza difesa contro quell'anarchia che il governo tanto temeva 3 • Nel pomeriggio dello stesso giorno Boroevié convocò a Udine i suoi comandanti d'armata. Aveva appena ricevuto dal Comando della base navale di Pola un telegramma incompleto: «La flotta e le fortificazioni non possono più essere considerati strumenti bellici. Membri del comitato slavo dubitano di poter ristabilire la calma fra gli equipaggi. Elementi facinorosi prendono il sopravvento. Senza prospettive un intervento con la forza ... »•.E poco dopo apprese dal l'Alto Comando che per ordine dell'imperatore la flotta ve1ùva ceduta al Consiglio nazionale di Zagabria e la flottiglia del Danubio al governo ungherese. Considerate lo stato delle cose, che da critico si faceva tragico, fu convenuto di sganciare le due annate quanto più possibile rapidamente e ordinatamente per salvare la maggior parte dell'esercito di campagna e renderlo disponibile per tenere a freno l'incalzante anarchia. Verso le 18 l'Alto Comando trasmise al ministero della Guerra una relazione dettagliata, commentando che «siamo veramente prossimi al crollo dell'esercito»!

'Ibidem, doc. 356. ' G. PRIMICERJ, 19)8. Cronaca di 1111a diJfatra cii., p. 191.

' Ibidem. ' Ibidem, p. 193.


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11 29 ottobre a Parigi, ove si era recato con Sonnino per la riunione del Consiglio Supremo di guerra, Orlando seppe del forzamento del Piave. Subito si scrollò di dosso i timori provocati in quei giorni dalla durissima resistenza incontrata dalla 4a armata sul Grappa; le accuse dell'opinione pubblica, specialmente alleata, ancora in attesa dell'offensiva italiana e scarsamente interessata al Grappa; le aspre rampogne di Nitti, il quale il giorno prima lo aveva investito con un biglietto: «Hai voluto scatenare l'offensiva contro il mio parere. Le nostre truppe sono battute, l'offensiva è infranta, si profila un disastro Tu ne sei il solo responsabile davanti al Paese esausto( ... )»! 1• Tranquillizzato, telegrafò a Diaz: «(...) credo opportuno che ormai il ciclo della nostra attuale offensiva sia riportato al 24. 11 legame mi sembrn che possa facilmente riscon1rarsi nella necessilà di una forte pressione sul nemico nella zona montana come necessarin preparazione all 'azione sul Piave. La ragione per cui ciò finora è stato taciuto può altribuirsi facilmcnle a motivi di discrezione strategica et cioè per non far avvertire al nemico la vera portata delle nos1re intenzioni. Questo concelio polrebbe essere accennato nei comunicali supplementari del Comando, ma vo1Tei soprattutto che fosse diffuso dalla stampa(...)» ' .

Diaz replicò estremamente seccato, anche perché un comunicato francese in data 28 presentava il superamento del Piave in tennini di sprezzante ironia: «Sul fronte italiano l'azione si è riaccesa nell'ora stessa in cui l'Austria, stanca della guerra e alla vigilia deUa rivoluzione, ha chiesto un armistizio e la pace separata. La vittoria degli alleati italiani colla cooperazione delle truppe franco-britanniche valse loro più di novemila prigionieri e cinquantuno cannoni». Ben sapendo come Orlando fosse al corrente del disegno operativo, delle ragioni di riservatezza di fronte al nemico che avevano indotto a presentare come un semplice colpo di mano l'occupazione delle Grave di Papadopoli, delle proibitive condizioni del Piave, che sole avevano provocato il ritardo dell'operazione stabilita originadamente per il 16 ottobre, Diaz manifestò al presidente del Consiglio la certezza «che V.E. saprà ottenere subito la doverosa e pubblica riparazione» 3 • E, per maggior precisione, riepilogò i dati di fatto che dimostravano in modo palmare come l'offensiva fosse maturata ed iniziata prima di conoscere larisposta del Governo austriaco del 24 ottobre al presidente Wilson •. Orlando non fu in grado di ottenere la «doverosa e pubblica ri parazione» a Parigi, chiarendo il corretto concetto della battaglia, ed il suo infelice telegranuna finì per accreditare la tesi che quelle del Grappa e del Piave fossero due operazioni indipendenti, la seconda delle quali andata a buon fine grazie alla collaborazione franco-britannica, dopo il fallimento della prima, tutta italiana!

'S. CRESPI, Allaclifesa d'Italia cii., pp. 19 1-192. ' Orlando a Diaz in dala 29.10.1918, USSME, Relazione 11.!Jiciale cii.. V, tomo 2 bis, doc. 223. ' Diaz a Orlando in data 30 10.1918, ibidem, doc. 230. ' Diaz a Orlando in daia 30.10. 1918, ibidem, doc. 231.


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La sera del 30 ottobre il Comando Supremo valutò le possibilità offertegli dalle circostanze. Nessun motivo d'incertezza sulle disposizioni da impartire alle annate 4° (rimettersi in sesto per sfruttare prontamente le buone occasioni), 12" (proseguire verso il solco Feltre-Fonzaso), 10" e 3• (proseguire verso il Tagliamento), mentre per quanto concerneva la 8° annata si ponevano due ipotesi: continuare l'avanzata 1isalendo la valle del Piave per rovesciare il gruppo d'esercito del Tirolo verso la val Lagarina, oppure piegare verso sud per avvolgere la lsonzo-Armee. Qucst' alternativa, senza dubbio brillante, offriva un risultato di assoluto rispetto però presentava il rischio, per vago che fosse, di lasciare tempo e modo all 'avversario di consolidarsi sul fianco montano e - chissà! - di organizzare una mossa controffensiva sul fianco ed alle spalle delle nostra forze procedenti in pianura verso oriente. Diaz, non perfettamente a conoscenza della drammatica realtà nella quale operavano i Comandi ed i reparti austro-ungarici, preferl attenersi ai disegno originario e sopravanzare il nemico nella zona montana per impedirgli lo sgombero del saliente trentino.

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La quarta fase comprese non soltanto l' inseguimento, ma altresì la fine della guerra. ll fatto che solo il 30 ottobre il Comando Supremo avesse notizia dei disordini avvenuti il 23 a Fiume, e solo il 31 degli intensi m ovimenti ferroviari connessi con lo sgombero di materiali dal Trentino e dal Veneto, spiega la cautela con cui venne giudicata la capacità di resistenza che le unità nemiche potevano ancora opporre, nonostante la presa di contatto austriaca avvenuta il 29 per la stipulazione dell'armistizio. E, d'altronde, tutte le comunicazioni dei Comandi austriaci testimoniavano la verità di quanto il generale Arz aveva telegrafato al1'0.H.L. la sera del 28: «(... ) le truppe che si trovano in linea combattono meravigliosamente, perché, impegnate nella battaglia, non sono ancora intaccate politicamente. [Ma] La loro forza si esaurisce. È impossibile inviare loro riserve e dar loro il cambio, data l'impossitilità di far andare altre truppe in linea(... )» 1• Il 31 ottobre, due erano gli argomenti che Diaz si apprestava ad affrontare. TI primo riguardava la richiesta d'armistizio, al cui contatto iniziale il Comando Supremo aveva obiettato di poter accogliere il generale Weber von Webenau unicamente se in possesso di formale delega personale rilasciatagli dal colonnello generale Arz. In attesa di ciò, Diaz si era premurato di raccomandare ad Orlando, ancora a Parigi, che nelle clausole, concretate a Roma dalla Commissione De Martino prima ancora dell'inizio della battaglia, venisse compreso il «libero uso da parte delle autorità italiane ed alleate di tutte le comunicazioni adducenti al

'A. A1-1iEKTI, l'Italia e l.ajìne della g11erra mondiale cit.. II, pp. 24-25.


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LA PRIMA GUERRA MONDIA LE

La quarta fase: l'inseguimento nella pianura veneta.


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confine tedesco attraverso il territorio austriaco, nella misura et con le modalità che verranno stabilite dalle autorità militari italiane» '. Orlando rispose nel tardo pomeriggio, spiegando che le condizioni decise dal Consiglio Supremo di guerra erano in corso di compilazione ed anticipando che esse dovevano venir comunicate ai parlamentari austriaci «escludendo ogni discussione» 2 • TI giorno successivo arrivò ad Abano il testo italiano dell'annistizio, con l'avvertenza che, essendo stato concordato in una riunione fra Alleali e Stati Uniti, «nessuna modifica può essere consentita senza un'apposita deliberazione interi Alleati» 3• Due linee vennero tracciate sulla carta topografica dell' Italia nord-est. La linea gialla era una linea intermedia oltre la quale le unità austro-ungariche dovevano'ripiegare entro cinque giorni dalla cessazione delle ostilità (in realtà, per effetto dell'andamento delle operazioni essa risultò superata in molti punti). La linea blu, che in pratica seguiva la dorsale alpina, era la linea definitiva oltre la quale l'avversario doveva ritirarsi entro quindici giomi dalla cessazione delle ostilità. 11 secondo argomento concerneva la parte operativa. TI 31 ottobre gli obiettivi stabiliti a suo tempo - il solco di Feltre, la convalle bellunese, il Piano di Sernaglia e la Livenza - erano stati raggiunti. Come ha posto in evidenza la nostra Relazione ufficiale, non tutto era andato per il verso giusto. La 4° armata aveva visto ancora respinti i suoi attacchi del 29; la 12° annata non aveva saputo sfiuttare con tempestività le falle aperte nel dispositivo nemico; l'insufficienza logistica aveva limitato l'avanzata oltre Piave soltanto ad un' aliquota delle armate 8", 1 e 3"; lo stesso Comando Supremo aveva palesato incertezze nella condotta dell'azione, anche se in dipendenza della voluta flessibilità della manovra cen1rale ' . Comunque il successo era stato inequivocabilmente ottenuto e nel pomeriggio di quello stesso 31 ottobre il Comando Supremo diramò le «Direttive per l'inseguimento» 5• La 7• armata doveva puntare su Bolzano per la val di Sole-val di Non e su Mez.zolombardo dalle Giudicarie, sotto il coordinamento del Comando 1• am1ata, cui era stato assegnato l'obiettivo di Trento. Alla 6° armata, inseritasi sulla destra della l" armala, fu fissato il compito di portarsi a nord di Trento sino a Egna, mentre la 4• armata avrebbe rnggiunto la zona fra Egna e Bolzano attraverso le valli del Cismon, di Fiemme e di Egna. L' s• annata fu incaricata di risalire le valli del Cordevole e del Piave, spingendosi su Bolzano, Brunico e Dobbiaco. La 12• annata, invece, ricevette l'ordine di raccogliersi nella conca di Feltre in attesa di disposizioni. Quanto alla pianura veneta, l'avanzata venne naturalmente affida-

o•

' Diaz. a Orlando in data 30. I0.1918, ibidem, p. 147. ' Orlando a Oiaz in data 31.10.19 I 8, ibidem. ' Orlando a Diaz in data 1.11.19 18, ibidem. li testo originale, in francese, arrivò al Comando Supremo il 2 novembre. ' USSME, Relazione ufficiale cit. , V, tomo 2, p. 694. ; Ibidem. V, tomo 2 bis, doc. 369.


La quarta fase: l' avanzata in Alto Adige.


. o. Le I'111ce gialla e bi 11 previste per 1•.arrn1.st1zi


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ta alla lo• ed aUa 3" annata, lanciate verso il Tagliamento con la rotabile Conegliano-Pordenone-Udine come limite di settore (alla 10" armata). Il corpo di cavalleria del conte di Torino doveva superare il Tagliamento e spingersi sino all'Isonzo. Da questo momento il Comando Supremo si limitò, in pratica, a raccomandare la massima decisione nel condurre l'inseguimento: om1ai il tempo stringeva. In campo austriaco la situaz ione precipitava. Il 3 L a Budapest il conte Michael Kàrolyi aveva formato il nuovo Governo rivoluzionario. La sera del 19 novembre Boroevié rappresemò alt' Alto Comando uno stato di cose molto con.fuso, pieno di incognite circa l' immediato futu ro, e chiese di rispondere «con estrema chiarezza» a due domande: ,<Se l'esercito debba combattere ancora contro l'Italia o sia più urgente far rientrare in patria le truppe per assicurare l'ordine ali' interno della Monarchia» e «Quale atteggiamento assumere nei confronti del Consiglio nazionale jugoslavo», il quale controllava le fen-ovie, i mezzi di comunicazione telegrafonici e radio e si era impossessato dei magazzini viveri 1• Alle 23 di quel 1° novembre arrivò al Quartier Generale di Baden un telegramma del nuovo ministro della Guerra ungherese, Bela Lindner: «La situazione interna dell'Ungheria rende tale Paese incapace di proseguire la guerra. S u decisione del Governo ungherese, io, quale R. Ministro della guerra responsabile, dispongo che vengano deposte le armi, ed invito l'Alto Comando, i Comandi dei gruppi d'esercito Boroevié e Koevess e quello di Bolzano, in base ai punti di pace di Wilson -disarmo completo, lega dei popoli e tribunale d 'arbitratoa mettersi immediatamente in relazione coi Comandi dell'Intesa a riguardo della deposizione delle armi (...)>>. El' Alto Comando diramò il telegramma senza alcuna obiezione ! 2 • Ancora Boroevié reagì indignato: «( ...) sono costretto a far presente che il contegno equivoco dell'Alto Comando e la sua mancanza di decisa volontà mettono a repentaglio in forti ssimo grado l'azione di comando dei corpi d'esercito ( ... ). Il tenente colonnello Lindner anzitutto non ha alcun diritto di impartire ordini all'esercito di campagna, ragion per cui sembra addirittura enom1e che l'Alto Comando trasmetta gli ordini di lui. Declino ogni responsabilità per questa specie di condotta di eserc iti, giacché essa minaccia di annientare non solo la consistenza, ma benanche l'onore dell'esercito» 3• n 3 novembre alle 15,20 le commissioni di armistizio italiana ed austro-ungarica conclusero il trattato. Diaz comunicò a11e armate: «Domani 4 novembre alle !5 cesseranno le ostili là colle for,..e austro-ungariche per terra, per mare, per aria. Al momento cessazione ostilità nostre truppe dovranno sostare su linea raggiunta. mentre nemico dovrà ripiegare almeno tre chilometri da lioea predella(...)»•.

' G. PR1Mrc1:1u, /918. Cronaca di una disfalla cit.. p. 231. J\1.nERT1, L'Italia e /a fine della guerra mondiale cit., n. p. 58. ' i bidem, p. 64. ·• USSME, Relazione ujjìciale cii., V, tomo 2 bis, dùc. 379. Ci rca la condoua delle trattalive per l' armistizio si rimanda alla dettagliata ricostruzione, ibidem. V. tomo 2, pp. 914-935, nonché aA. ALOERTI, l 'Italia e la fine della guerra 111011diale cit., pp. 38-98.

'A.


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Linea raggiunta dalle nos1re unii:\ alle 15 del 4 novembre.

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Ed il 4 novembre il bollettino del Comando Supremo annunciò la fine vitto riosa della guerra. Le nosu·e perdite nel pe1iodo 21 ottobre-4 novembre (compresi i decessi in ospedale nel mese di novembre) possono considerarsi pari a 10.000 morti (di cui 9.400 italiani, 500 britannici e 200 francesi) e 26.000 feriti (di cui 25.000 italiani, 1.100 britannici e 400 francesi). Le perdite della sola 4• armata ammontarono a 3.000 morti e 18.500 feriti. I circa 2.000 prigionieri fatti dal nemico furono liberati quasi subito. Non appena l'andamento delle operazioni e le notizie sugli avvenimenti interni della Duplice Monarchia fecero appru·.u:e come probabile una relativamente sollecita conclusione dell'armistizio, il Comando Supremo aveva preso in attenta considerazione l'ipotesi di proseguire le operazioni contro la Germania e ne aveva fatto cenno ad Orlando. Ora, nella notte sul 4 novembre giunse ad Abano un telegramma con il quale il. generale di Robilant segnalava il progetto che i Rappresentanti militari permanenti, riunitisi sotto la presidenza del maresciallo Foch, avrebbero sottoposto all'approvazione del Consiglio Supremo di guerra il giorno 5. Il progetto riguardava un'operazione principale contro la Baviera ed una sussidiaria contro la Sassonia, prutendo dal territorio austriaco. Contro la Baviera (obiettivo Monaco) si prevedevano due blocchi di forze: un'armata italiana su tre corpi per complessive dieci divisioni, da concentrare nella regione di Innsbruck; due armate miste, ciascuna su tre corpi, per complessive 20-30 divisioni italiane cd alleate, da radunare nella zona Salisburgo-Braunau-Linz, sotto il comando di generali alleati. Al comando del gruppo di armate sarebbe stato preposto un generale italiano, in diretto rapporto con Foch per il necessario coordinamento strategico. Contro la Sassonia dovevano ag.i re truppe cecoslovacche, impostate sulla divisione costituita in Italia 1• L'informazione colse alla sprovvista il Comando Supremo, che già aveva approntato uno studio di radunata al confine bavarese 2, ed impartito disposizioni preliminari per la raccolta delle grandi unità impiegabil i. In tal senso ragguagliò di Robilant, aggiungendo che «Se Germania non sottostarà condizioni armistizio che le saranno poste da Alleati, esercito italiano interverrà per costringerla alla resa( ...)» 3• Poi, quello stesso 4 novembre, Diaz si affrettò a telegrafare nuovamente ad Orlando: «Cessate le ostilità coli' Austria, l'esercito si sta apparecchiando ad agire contro la Germania. Tale ai.ione dovrà svolgersi colla massa dell" esercito nella direzione più pericolosa per la Germania et cioè attmverso l' Austria da sud et non frontalmente a fianco eserciti aUeati in Francia. Poiché vi

' USSME, Relazione ufficiale cit., V, torno 2 bis, doc. 495. ' Ibidem, doc. 494. ' A. ALBERTI , L'Italia e lafi11e della guerra mondiale cit., fl, p. 152.


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sono tentativi di svalutazione dei risultati della nostra villoria riterre i indispensabile per l'Italia proclamare ufficialmente. questo concetto d' operazione del nostro esercito»'.

Ma iI 5 novembre il generale di Robilant comunicò che il Consiglio Supremo di guerra aveva approvato il piano d ' operazioni contro la Baviera, salvo alcune riserve italiane circa la forza delle nostre grandi unità 2. Diaz allora ordinò al Comando 1" armata di procedere all'occupazione della zona Landeck-Innsbruck e della ferrovia ciel Brennero. Quindi indirizzò a tutte le armate una circolare riepilogativa della situazione: «Con la conclusione dell' annistlzio le ostilità sono sospese su lla fronte italiana. L'esercito austro-ungarjco è annientato, ciò che esclude per i.I secolare nemico qualsiasi possibilità di rompere l' arnùstizio e di tentare una riscorsa. Ma la pace non è concl usa e la Germania (...) è ancora in anni (... ). Perché la pace sia rapida e duratura (... ) è necessario che si conti nui ad esercitare l'attuale nostra fonnidabile pressione anche su di essa (la Germania] per obbligarla alla pace(...)» 3•

L'improvviso crollo austriaco e le condizioni accettate dal governo di Vienna non lasciavano invero molte speranze alla Germania. L'ambasciatore tedesco a Vienna, il conte Wedel, fu esplicito: le condizioni imposte rappresentavano una vera e propria capitolazione e non esisteva il menomo dubbio sull'intenzione cli attaccare l'impero germanico dall'Austria. Ed il generale Groener, successore cli Ludendorff, nella riunione del Consiglio dei ministri del 5 novembre fece osservare che a quel punto la resistenza non poteva che essere cli breve durata, non risultando l'esercito in grado di tener testa ai nemici «data la loro superiorità schiacciante e la minaccia dalla parte clell' Austria-Ungheria» ". Quel giorno Wilson inviò un'altra nota alla Germania, con la quale, tra l'altro, comunicava che il maresciallo Foch era stato incaricato dai Governi alleati ed americano cli precisare i termini di anuistizio ai rappresentanti tedeschi Le condizioni nùlitm·i e navali, approvate il 4 novembre dal Consiglio Supremo di guerra, erano durissime, tanto da aver suscitato qualche discussione. Lloyd George domandò a Foch se credeva che la Germania avrebbe accettato quelle clausole. Foch rispose negativamente, però aggiunse che in ogni caso era sicuro di poter schiacciare l'esercito tedesco per Natale 5 • L' 11 novembre la Genmtnia firmò i termini cli un armistizio di 36 giorni, rinnovabile. Poiché tuttavia, soprattutto da parte francese, tale accettazione non aveva dileguato il timore che il Governo tedesco risolvesse di riprendere le armi, rifiutando le aspre imposizioni del trattato di pace, il 29 novembre Diaz trasmise, per conoscenza, a Foch una «Memoria per l'operazione in Baviera» com-

' USSME, Relazione ufliciale cit, V, tomo 2 bis, doc. 497. ' Ibidem, doc. 496. ' Ibidem, doc. 478. 'A. ALBERTL, L'Italia e la fin e della guerra mmulia/e cit., ll, pp. 128-129. < D . L LOYD GEORGE, Memorie dì guerra cii., fff, p. 424.


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Predisposizioni prese dal Comando Supremo per le operazioni contro la Germania.


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pilata dal generale Badoglio, «comandante designato del gruppo d'armata destinato a tale operazione». In sostanza, le forze previste erano quattro armate (6•, 83, 10" e 12"), di cui due sotto comando alleato (la 10• inglese e la 12• francese), per complessive 29 divisioni. Per la loro radunata fra Innsbruck e Linz si consideravano necessari 35 giorni ed un cospicuo contributo alleato in mezzi di trasporto per ferrovia e per via ordinaria 1• Ma quasi subito l'ipotesi Baviera venne a cadere. La guerra era proprio finita. Stava per cominciare la conferenza della pace, durante la quale l'isolamento dell'Italia emergerà in modo ancor più bruciante.

6.

CONSIDERAZIONI SULLA CAMPAGNA DEL

1918

Per dirla con Lloyd George, quando la campagna del 1917 si concluse, in questa lotta di nazioni infuriate, alcune di esse erano a terra e non si rialzarono più, altre barcoJlavano nel ring. Anche quelle che stavano .in piedi trovavano a stento la forza di battersi 2• Per l' Intesa il 19 I7 si era mostrato assai amaro, tuttavia i successi conseguiti dagli Imperi Centrali non avevano sortito i risultati sperati. È pur vero che il fronte orientale si era dissolto a pieno vantaggio delle operazioni tedesche in Francia e di quel le austriache in Italia, però la pausa invernale assicurava all' Intesa qualche prezioso mese di respiro utile per conferire carattere di unitarietà all'impiego delle annate alleate in Francia e per consentire il riordinamento dell'esercito italiano sul fronte veneto. La campagna del 1918 prese le mosse dalla situazione politico-militare detenninatasi a fine 1917. I Rappresentanti militari pem1anenti definirono piima le esigenze essenziali di difesa con la Nota collettiva n. I del 13 dicembre 1917, poi un disegno strategico con la Nota collettiva n. 12 del 21 gennaio 1918. In sostanza, le necessità si traducevano in un potenziamento complessivo ed in un migliore coordinamento degli sforzi, mentre l' indirizzo strategico si limitava ad un orientamento generale difensivo, in attesa - un'attesa obbligata - che il «blocco» operato dall'Intesa desse frutti sempre più maturi e che l'appotto americano si rendesse operativamente disponibile in Europa. In altri tennini, al 1918 si attribuiva carattere di transizione: la vittoiia sarebbe venuta indubbiamente nel 1919. Il tempo stava dalla parte dell' Intesa. La vittoria, invece, arrivò alle soglie dell'inverno di quel 1918 grazie ad un complesso di elementi favorevoli concretatisi, per l'appunto, sul finire dell'anno precedente, primi tra i quali il fallimento della guerra sottomarina della Ger-

'USSME, Relazione ufficiale c it., V, tomo 2 bis, doc. 498. ' D. L LOYD G EORGE, Memorie di guerre cit., III, p. 482.


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mania, l'entrata in guerra degli Stati Uniti, l'intento di arrivare ad una reale unitatietà di condotta strategica, il successo ottenuto dal carro armato nella 3• battaglia di Cambrai (20 novembre-3 dicembre 1917). Per quanto ci riguarda più da vicino, la «linea del Piave» esercitò un ruolo fondamentale nella nostra guerra. Nel giro di un anno, su cli essa l'esercito italiano combatté tre grandi battaglie: la battaglia d'arresto, la battaglia difensiva del Solstizio, la battaglia offensiva di Vittorio Veneto. Il maresciallo Giardino ha perfettamente sintetizzato la loro natura ed il loro sigrùficato: «Tutte e tre di forma caratteristica; e comprendenti, fra tutte e tre, tutte le possibili forme della battaglia nella guerra di trincea. Tutte e tre vittoriose. Tutte e tre di risultato che si può dire raro in guerra di trincea: strategico, oltre che tattico. La prima perché, dopo un rovescio, fermò il nemico vittorioso e, ripristinando la guerra di trincea, tolse a lui l'iniziativa delle operazioni ed assicurò a noi la prima condizione necessaria alla futura riscossa. La seconda perché, rigettando l'attacco nemico con una sconfitta sanguinosa, creò materialmente e moralmente quello squilibrio che fu poi decisivo della guerra. La terza perché, con l'attacco, determinò il crollo definitivo dell'avversario» 1• Si dovrebbe, dunque, concludere che il 1918 abbia meritatamente fatto apprezzare il contributo italiano bellico ed il successo delle nostre armi. Invece non fu così. Dopo l'obiettivo riconoscimento - anche se lento ed in qualche misura attribuito ai «consigli» di Foch - della vittoria riportata dall'esercito italiano da solo nella battagli.ad' arresto, guadagnata contro le pessimistiche previsioni dì molti, cominciò presto ad affiorare un contrasto fra il nostro Comando Supremo ed il Grand Quartier Général di Foch 2, la cui origine va rinvenuta nell'assoluta preminenza attribuita, dagli AJ.leati alla fronte occidentale, sia per l'entità delle forze contrapposte ivi impegnate, sia per gli interessi pratici delle maggiori Potenze militari, e cioè la difesa della capitale per i francesi e la protezione dei porti con la Gran Bretagna per gli inglesi. Tale concezione era naturalmente accolta anche dal nostro Comando Supremo, ma entro limiti assai più ristretti, Adesso l'Italia si trovava sola a fronteggiare l'Austria-Ungheria, eppure i risclù che poteva correre furono sistematicamente minimizzati. Per contro, aumentò la pressione sull'Italia affinché impegnasse l'esercito austro-ungarico all'unico scopo di impedirgli di inviare divisioni sul fronte occidentale. Evidentemente un simile modo di concepire l'integrazione degli sforzi era molto discutibile. La dimostrazione che la cautela del nostro Comando Supremo fosse più che giustificata sul piano milit,u·e è stata puntualmente sorretta dai fatti. Nella pri-

1

G. GrAIWINO, Rievocazioni e riflessioni di guerra cit., Ill, p. 11. ' Il Comando Supremo interalleato, denominato Grami Qua1tier Genéral, costituito da Foch a fine marzo 1918 con personale conosciuto e scelto da lui, e con il generale Weygand come capo di Stato Maggiore, non era affano «interalleato» cioè formato da ufficiali di Stato Maggiore dei Paesi alleati.


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mavera del 1918, una volta 1iordinato l'esercito - e non fu cosa né semplice né rapida - Diaz, il quale, seppure con riluttanza ed a determinate condizioni, aveva aderito all'impostazione di un'offensiva sugli Altipiani, fu indotto a tornare alla scelta di una rigorosa difensiva quando si fece attendibile l'eventualità di un grosso sforzo austriaco, ed a respingere le sollecitazioni francesi, basate su un interessato scetticismo. L'i1ùzio dell'offensiva austriaca nella notte sul 15 giugno confermò la correttezza della sua valutazione. Ancor più difficile fu per il Comando Supremo mantenere fermo il proposito di non compiere passi di esito più che incerto dopo la battaglia del Solstizio. L'importanza di questa vittoria venne riconosciuta da alleati ed avversari. In quei giorni Lloyd George dichiarò ai Comuni: «Ciò che è ora avvenuto in Italia è pieno di promesse ed uno dei più prodigiosi eventi dell'anno. È una di quelle disfatte e di quelle vittorie che implicano risultati infinitamente più grandi di altre vittorie che sembrano importanti» 1• Le conclusioni tratte furono, come sappiamo, assai disparate e, per lo più, derivanti da apprezzamenti piuttosto superficiali che ottinùstici e comunque sensibili ad interessi di parte od esigenze politiche. Il primo appunto all'operato del Comando Supremo riguardò la mancata controffensiva. Lo mosse Orlando sotto forma di auspicio e naturalmente senza entrare in particolari tecnici. Lo ripeté Foch, sotto forma di suggerimento impostato su tre gruppi di assunti operativi: Primo: netta sconfitta dell'esercito austriaco; nessuna probabilità che la Germania si prendesse la briga di un capovolgimento della situazione in Italia; impraticabilità di uno sforzo interalleato dal Veneto verso il cuore della Duplice Monarchia, a causa dell' insostenibile costo dell'impresa. Quindi l'ltaUa poteva e doveva attaccare da sola l'Austria. Secondo: estremamente dubbio il rendimento di uno sforzo italiano sulla direttrice di Udine, sia per le caratte1istiche della pianura veneto-friulana, sia per la costante minaccia di un contrattacco nemico sul fianco sinistro della avanzata. Quindi l'Italia doveva limitarsi ad uno sforzo nel Trentino. Terzo: disponibilità dell'esercito americano prevista per la fine dell'estate; conseguente probabilità di una potente offensiva generale alleata in settembre; convenienza di operazioni preliminari da parte di ogni armata per conquistare le miglio1i basi di parte11Za. Quindi l'kùia, il cui obiettivo nell'offensiva generale dell'autunno era costituito dall'arroccamento Feltre-Trento e la conca di Belluno, doveva attaccare sugli Altipiani per impossessarsi delle Melette e di M. Lisser 2 •

' USSl\1E, Relazione 11fficiale cit., V, tomo 2, p. 72. ' Foch a Diaz in data 27.6. 1918, ibidem, V, tomo 2 bis, doc. 4.


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Il ragionamento presentava invero una certa solidità ed anche il generale Capello ebbe ad esprimere un giudizio analogo: tenuto conto della nessuna profondità delle posizioni da noi occupate nel settore montano, «un nostro insuccesso - scrisse - anche limitato, avrebbe dato al nemico il dominio della pianma trevigiana e vicentina. Per agire offensivamente avremmo quindi dovuto farci dapprima hu·go sulle alture operando dal Pasubio, dagli Altipiani, dal. Grappa, per muovere poi all'attacco risoluto in direzione dell.a capitale del saliente: Vittorio» '. Ma per il Comando Supremo molti ed altrettanto validi erano i motivi che non invogliavano ad avviare operazioni nel Trentino. A prescindere dalla inevitabile, complessa e completa modifica del dispositivo con il quale avevamo sostenuto la battaglia difensiva, esistevano precedenti scoraggianti sui presumibili risultati. Le azioni contro il M. Nero, il Sabotino, il M. Santo, l'Hennada, l' Ortigara, indipendentemente dalla loro riuscita o meno, erano state pagate a troppo caro prezzo. Nel caso, poi, dell'Altopiano dei Sette Comuni e del Grappa bastava l'esame della cruta topografica per riscontrare come fosse agevole per l'avversario ripristinare il fronte con un piccolo arretramento, quando disponesse cli riserve adeguate; jl che stava ad indicare la scarsa probabilità cli raggiungere obiettivi di un qualche valore strategico. Né si potevano ignorare i recenti vani sforzi ciel nemico, proprio in quel settore durante la 1• e la 2• battaglia del Piave. Olindo Malagodi, appena terminata la guerra, colse l'occasione di una lunga conversazione per dire schiettamente a Diaz che in molti ambienti si era formata l' opinione che, durante la battaglia del Solstizio, il Comando Supremo fosse stato troppo prndente ed avesse 1inunciato a sfruttare interamente la difficile situazione in cui erano venuti a trovarsi gli austriaci con una decisa controffensiva Diaz rispose di conoscere la critica, ma «il fatto capitale è che io, al momento deUa ritirata del nenùco oltre il Piave, non avevo di riserva disponibile che cinque divisioni. Tutto il resto dell'esercito era passato attraverso la battaglia e non c'era corpo che non avesse sofferto notevolmente. La classe del 1900 era ancora nel p1imo periodo dell'istruzione, tanto che non ha potuto prendere parte nemmeno all'ultima battaglia». Non bisogna dimenticare che la violenza dell'offensiva austriaca aveva ripo1tato anche qualche successo. «La fortuna nostra - ammise Diaz - fu che essi subirono uno scacco gravissimo, già sino dal primo giorno, sugli Altipiani, da dove la minaccia contro di noi era più seria e dove un loro successo sarebbe stato allarmante». Quindi, se gli austriaci si erano esauriti, noi non eravamo certo in grado di sferrare una controffensiva a fondo. Perciò il gettarsi in un'impresa del genere, sapendo sin dall'inizio di non poterla alimentare a fondo, sarebbe stato un gravissimo e pericoloso errore 2•

L. CAPELLO, Note di guerra cit., II, p. 271. ' O. MALAGODI, Conversazioni della guerra cit., li, pp. 442-444.

1


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Quanto alla validità dell' accusa mossa da taluno che il Comando Supremo non abbia saputo trarre tutto il vantaggio possibile dal nostro successo nei settori della 4• e della 6" armata, dando cioè corso all'offensiva desiderata da Foch, il Lumbroso più tardi pose il quesito a diverse personalità militari. Il maresciallo Caviglia gli rispose considerando «temenuìa» l'affermazione di un'immediata offensiva sugli Altipiani; comunque, per formulare un giudizio fondato sarebbe stato necessario trovarsi in quei giorni al Comando Supremo e conoscere le notizie provenienti dal Montello e dal basso Piave. 11 maresciallo Giardino precisò che venti giorni prima della battaglia la preparazione della operazione sul Grappa era già «soffocata dalla notizia dell'offensiva nemica e veniva disfatta». Infatti le artiglierie della 4" a1mata il 26 maggio riprendevano lo 'schieramento difensivo. Dopo la battaglia la 4" armata non aveva forze sufficienti per attaccare, quindi Giardino, 1ìchiamandosi a quanto scritto in precedenza nelle sue «Rievocazioni», dichiarava «inutile una discussione su ipotesi» e si asteneva «da ogni giudizio a sciabolate». Anche il generale Petitti di Roreto si allineò al giudizio negativo circa un'offensiva dell.a 6" armata sugli Altipiaiù, anzi non esitò ad affe1rnare: «Per la sagacia e l'abilità diplomatica del generale Badoglio, quella disgraziata offensiva, che non poteva aver nessun risultato strategico, specie per la direzione dell'attacco, è stata sospesa. 170.000 uomini che sarebbe costata quella operazione, sono precisamente gli uonùni che un mese dopo (...) hanno fatto crollare, definitivamente, a Vitt01ìo Veneto, il secolare Impero Asburgico» '. Inoltre, il Comando Supremo, nonché i Comandi delle annate, avevano esaminato con attenzione lo svolgimento della battaglia del Solstizio, traendo motivo di riflessione dalla fragilità dimostrata da alcune unità (costit1lite quasi per intero da elementi troppo giovani o, per converso, da elementi non ancora ben ripresi alla mano dopo la ritirata), ma soprattutto del problema derivante da deficienze nume1ìche e carenze addestrative dei quad1ì ufficiali e sottufficiali. Il mtto, infine, senza contare che, contrariamente all'opinione conente tra gli Alleati, l'esercito austro-ungarico non dava alcun segno di diminuita combattività ed efficienza ed ebbe campo, nel corso dell'estate, di dimostrarlo. Con fondati argomenti, perciò, Diaz poté controbattere le tesi di Orlando e di Foch. Al primo rispose chiaro e tondo che non intendeva lasciarsi indurre ad operazioni incerte e che l'importante per noi era vincere la guerra. A Foch rammentò la crisi dei complementi, sostenne la possibilità di un nuovo tentativo degli Imperi Centrali e chiese un minimo di 1ìnforzi. Era veramente un mi1ùmo: qualche unità americana, 25 tonnellate cli yprite e 25 carri d' assalto (6 luglio). Poi pose sul tappeto il rimpatrio dei circa 60 nùla ausiliari (10 luglio), quindi il prestito di 3 mila autocarri (17 luglio). Ma da parte francese si oppose un no su

' A. L UMBROSO, Cinque capi nella tormenw e dopo cit., pp. 230-234.


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LA PRLMA GU ERRA MONDIALE

tutti i punti. Anche perché sul fronte occidentale era avvenuto qualcosa che aprì va prospettive nuove. Una delle richieste merita qualche parola di commento. Il Comando Supremo avrebbe voluto semplicemente una compagnia di cruTi armati, cioè un quantitativo così esiguo da far pensare a Foch che li si volesse utilizzare per addestramento. Ora, è da presumere che ben si conoscessero i due precedenti in fatto di impiego di tanks in Francia. L'uno, avventato, era stato compiuto il 15 settembre 1916 da Haig per superare il punto morto in cui appariva giunta la 1• battaglia della Somme; l'altro, più ponderato, aveva avuto luogo il 20 settembre 1917 nella battaglia di Cambrai. Se il primo non poteva far testo giacché i carri furono letteralmente buttati allo sbaraglio, fra l'altro sciupando l'effetto sorpresa 1, il secondo segnò un conveniente schema: all'alba, senza neppure la preparazione d'artiglieria, 381 carri seguiti dalle fanterie attaccarono su un fronte di una diecina di chilometri. Quasi ovunque il successo arrise ai mezzi che penetrarono per quasi otto chilometri, travolgendo tre linee difensive, ma la mancata costituzione di una riserva di carri e lo scollamento tra fanteria e carri in un settore consentirono ai contrattacchi tedeschi, appoggiati da un potente fuoco di artiglieria, di ripristinare la situazione. Alla luce di questi risultati, non si può nascondere una certa perplessità. Se si intendeva davvero adoperare in combattimento la compagnia di tanks, come asserito da Diaz, bisognerebbe concludere che al Comando Supremo le idee in proposito non fossero molto chiare - ricordiamo che lo stesso Foch, tutt'altro che propenso ad abbondare in offerte, si era spinto a prospettare il prestito di un battaglione, cioè il reparto che copriva il fronte di una divisione - oppure che si ritenesse la pianura veneta non molto idonea aH' impiego di sinùli mezzi. Fatto sta che il 19 settembre, nel trasmettere la prima circolare sull' «Impiego tattico dei carri di assalto nell'azione offensiva», basata sulle esperienze fatte sul fronte occidentale soprattutto nel luglio-agosto, Diaz chiederà ai Comandi d'armata di studiare l'argomento, tenendo conto anche delle informazioni fornite dagli ufficiali che il Comando Supremo stava per mandare in Francia a frequentare uno specifico corso interalleato. Le conclusioni degli studi, chieste per la fine di ottobre, dovevano concernere «la possibilità e la norma con cui potrebbe essere fatto l' impiego dei carri d'assalto nel rispettivo terreno (al di là e al di qua della linea attuale d'occupazione)» 2 • Con la 2• battaglia della Marna (15 luglio-5 agosto) la situazione complessiva si rovesciò. La potente vittoriosa controffensiva francese, lanciata il 18 lu-

' Su 60 cani disponibili (i primi trasportati in Francia) appena 32 raggiunsero la linea di partenza a causa di dife.tti meccanici. Di questi , durante l' azione, altri 9 furono fermati <la avarie, 5 fi. nirono nei crateri del campo di battaglia, 9 non riuscirono a tenere il passo con la fanteri a e si limitarono al rastrellamento del terreno conquistato e soltanto 9 furono in grado di procedere con la fanteria (R.H. L JDDELL HART, La prima guerra mondiale 1914-1918 cit., pp. 319-320 e 334-335). 2 USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doe. 130.


LA CAMPAGNA DEL I9 I 8

803

glio da Villers-Cotteret con 500 carri armati, aveva non soltanto inflitto ai tedeschi una sconfitta deteminante, ma altresì liberato il Gran Quartier Generale alleato da un'oppressione pesantissima. E non era finita. In base al programma sottoposto da Foch al Consiglio Supremo di guerra, 1'8 agosto la 4" armata inglese attaccò ad est di Anùens all'improvviso, senza preparazione di artiglieria, in mezzo ad una fitta nebbia resa artificialmente più intensa, con più di quattrocento carri in testa (324 Mark V pesanti e 96 leggeri). «L'8 agosto - ricorderà Ludendorff - segna la giornata nera, dell' esercito tedesco nella storia di questa guerra» 1• Sempre nella previsione di terminare la guerra nel 1919, il nostro Comando Supremo volle fare il punto alla situazione con il Consiglio Supremo di guerra e con•Foch. La linea d'azione strategica adottata venne illustrata a Parigi da Diaz e da Orlando in settembre, con i risultati negativi che sappiamo. Alle condizioni, diciamo pure, di «sicurezza» (fomrnle assicurazione che nel 1919 sarebbero affluite in Italia forze alleate per l' offensiva a fondo, cli cui la richiesta offensiva autunnale italiana altro non era che la premessa; invio in Italia cli dieci divisioni alleate a titolo cli doverosa precauzione contro la prevedibile reazione austro-tedesca; contemporanea vigorosa offensiva sul fronte occidentale), si aggiungeva la implicita proposta di dare la preferenza alla messa fuori campo dell'Austria-Ungheria, rispetto alla Germania, con uno sforzo congiunto. Inevitabilmente il discorso incontrò un muro. Fu in settembre che si acuì il dissenso tra Alleati e Italia, Destava sgradevole impressione la nostra inazione, suscitavano malumore le condizioni sìne qua non indicate da Diaz come indispensabili per la nostra offensiva, provocò un ironico commento di Foch l'infelice lettera di Orlando con l' offe1ta di assumere (lui, dalla Francia, dopo tutti i precedenti dinieghi) la responsabilità della nostra offensiva. In questo frattempo il fronte balcanico si nùse in movimento. Nel giro di un paio di settimane si verificarono importanti eventi conclusivi: sul fronte occidentale ternùnò il primo periodo della battaglia di Francia (25 settembre); con la battaglia ciel Vardar (15-29 settembre) la linea tedesco-bulgara fu spezzata; con la battaglia di Megiddo (19-21 settembre) armata turca in Palestina venne distrutta e la 7• ributtata indietro in disordine; il 26 settembre la Bulgaria chiedeva l'armistizio. Ed il 4 ottobre gli Imperi Centrali si rivolgevano al Presidente Wilson per trattare un immediato annistizio. Aveva torto Diaz a non volersi muovere, se non previ adeguati rinforzi oppure a seguito di decisivi successi alleati in Francia? Sul piano nùlitare il suoragionamento era corretto. Per quanto migliorato e potenziato fosse Lo strumento bellico alla data del I O ottobre rispetto alla siniazione dell'inizio del luglio, preoccupava la crisi dei complementi. L'esitazione ad attaccare le forti posizioni au-

rs•

1

E. Lt.JDENDORFF, I miei ricon/i di guerra cit., li, p. 202.


804

LA PR IMA GUERRA MONDIALE

stro-ungariche sugli Altipiani si mostrerà più che giustificata dai vani e sanguinosi sforzi della 4° armata sul Grappa dal 24 ottobre. E l'orientamento ad operare oltre il Piave era nettamente avversato da Foch. Tuttavia sul piauo politico indubbi motivi di grave importanza incitavano a prendere il via. Diaz se ne rendeva conto. Lasciò prevalere il. peso di un possibile scacco, i cui effetti sarebbero stati più disastrosi della stasi operativa, e quello altrettanto negativo di un'operazione sterile e costosa, che avrebbe logorato inutilmente le forze italiane, fino a quando non apparve un segno di cambiamento di situazione (anche se non proprio quello desiderato). Questo segnale venne dal fronte balcanico. Secondo il colonnello Cavallero il piano che ci condusse a Vittorio Veneto maturò nel Comando Supremo attorno al 20 settembre. Infatti il 25, con l'approvazione cli Badoglio, egli completò il noto «Studio» di un'offensiva oltre il Piave, che il giorno successivo sottopose a Diaz, appena rientrato da Roma. Studio, ricordiamo, derivante dal fatto che «gli avvenimenti politici potevano imporci di agire a fondo entro l'anno in corso)>. Evidentemente Diaz rimase persuaso della opportunità e della fattibilità dell'operazione, perché annotò in calce al documento: «Dar corso ai preparativi(.. .). Preoccuparsi molto della situazione in rapporto a possibili contrattacclù nemico» 1• È plausibi le che in Diaz permanesse qualche riluttanza - il dm·e il via alle predisposizio1ù non comportava necessariamente la decisione di attuare la manovra -, tanto che soltanto il 29 avrebbe abbandonato ogni riserva in seguito al noto colloquio con Caviglia. Una conferma alla tesi che, appunto, detta conversazione sia stata determinante potrebbe essere costituita da una conferenza tenuta da Badoglio il 26 settembre, e pubblicata sotto la data del 28, per riprendere i concetti espressi da Diaz nella sua circolare del 17 settembre sulla guerra di movimento. La premessa fu che «la situazione presente lascia intravvedere la possibilità di agire a fondo, con obiettivi molto lontani, da raggiungersi col movimento e la manovra, ed è a questi che il Comando Supremo vuol tendere», però il programma esposto per l' istruzione dei quadri, l'addestramento dei reparti, i provvedimenti organici era - come Badoglio precisò in sede conclusiva - un programma di lavoro per il quale «occorre in complesso l'intero periodo invernale», pur se esisteva l'eventualità di poter essere chiamati ad openu·e in una guerra di movimento «anche prima che il progranuna sia svolto» 2• Ad ogni modo i p1imi ordini furono impartiti il 26 settembre e, di conseguenza, almeno a pmtire da quella data non pare si possano imputru·e a Diaz ritardi dovuti ad indecisioni o ad insensibilità nei confronti deU'istanza politica e nemmeno al calcolo operativo di ritardare l'offensiva «agli ultinù limiti della stagione» per rendere impossibile una controffensiva austriaca in caso di fallimento dell'operazione 3 • Lo spostamento dell'inizio dell'offensiva dal 16 ottobre (da-

' USSME, Relazione ufficiale cit., V, tomo 2 bis, doc. 1.85. 'Ibidem, doc. 141. ' O. MALAGODJ, Conversazioni della guerra cit., Il, p. 445.


Situazione forte e mc:ai al 10 luglio 1918 * Dati ricavali dalla situazione al LO luglio 1918

Mitragliatrici Fronle Nazionalità Divisioni

Ilal ia

italiana

51

francese

Totale Banaglioni combaucnti

Fucili

28.000 ... ............

aut. o

coi repa1ti

posiz.

4.778 .......... 8.222

2 .452

pisl. mitr.

659 , ... 1.209.776 698.022 ...........

2 20 ........ ............

18.000

·············

1.240

373

da

. ..

3

36

69.425

32.312

732

144

48

Alleati ....Tol...........

56

7 15

1.305.201

748.340

6.740

8.739

2500

....

865

1.320.000 .............. 692.000 ............. 10.380

Francia italiana

2

25

34.991

25.860

156

..270 .....

Albania italiana

1

22

67.882

45.5 1]

188

264

25 ..... ...........

32.631

23.785

Li bia'

italiana

42

35.800

Egeo

italiana

4

3.150

156

camp.

pesame

880

3.202

2.986

25

132

80

91................ !08 977

6.920

66

.Macedoni: italiana

ris.

caccia

6 ... ............

britannica

Austria (stima)' ................

Aviazione

Artiglierie

Fucili

........ ... 90

20

16

3.223 ...............

3.134

4 .008

80

20

197

91

71 .. .

54 71

394

25

\TaliC

245. .... 168.955 ... ..........

557.000

24 ........................... ,, 27

320, .........

Forze lerriloriali

1.656

296 170.611

'

1.255 .............. 558.295

::,,

;i': ~

195

12

r

>

()

C)

7.512

6677

7 .541

16772

z > o

m

15

4

9

r

-D

246 ..... ............. .. 54 . ..... 58 .. .......

3.442

157

Forza net bomb. ricogn. depositi del fronte

32

. ......

2

234

11

12

1.658

42

4

46

············· ......... 10

* Sintesi di situazioni inviate al Comitato di Guerra Interalleato a Versailles. ' Dati riferiti alla sola truppa. Non è compreso il corpo cecoslovacco (I Di v. su 2 Brigate, ciascuna su 2 Reggimenti di tre battaglioni). ' Sono tenuti per base: D.f. 20.000 u. 108 peu.i D. cav. 12.000 u. 24 pezzi Btg o 1/2 Regg. cav. 800 u. 12 milr. legg. 8 mitr. pes. ' Sono disponibili come complementi circa 115.000 uomini, dei quali 45.000 impiegabili nelle unità di fanteria. ' Non sono comprese le trnppe coloniali, 2 battaglioni M.T., I battaglione presidiario.

12.984

00


Situazione forze e m ezzi al 1° ottobre 1918 * Situazione al I ottobre 1918 (per alcuni dati al 12 settembre)

Mi1ragliatrici Fronte

Italia

Nazionalità Divisioni Battaglioni

Comb.Li'

Fucili Fucili aut.o pist. mitr.

camp.

pesante.

caccia

4.158

2.580

2.610

3.507

3.463

290

132

84

15

24

84

108

177

59

37

2.649

3.747

3.704

364

74

347

2.780

4.000

415

35

225

18

3

641

francese

2

20

28.000

18.000

.864

373

britannica

3

36

66.466

31.886

603

108

3

3.865

3.663

1.411

32

Tot.Alleati

56

700

I .474.470 841.376

7.036

3.093

Austria .. J ~(i1n~)'

64

842

1.280.000 673.600 1O.J 04

6.736

Francia ital iana

2

25

40.611

30.670

156

270

Albania italiana

40

59.199

38.631

188

310

Macedoni' ................ italiana Libia italiana

25

33.505

24.345

156

250

42

35.000

27.000

16

77

4

3.150

2550

Egeo

italiana

Porla

da posiz.

51

americam

Aviazione

nei reparti

italiana

1.350.325 795.827

Artiglierie

16

90

80

20

194

92

40 111

244

bomb. ricogn.

74

6

]2 42

286

4

nei

Forze

depositi del fronte

lerri.toriali

83.329'

448.345'

2.851

2.746

2.500

7.762

21

2.000

25364

10

1.300

11.567

39

IO

* Sintesi di situazioni inviate al Comitato di Guerra Interalleato a Versailles ' r dati di forza comprendono la sola trnppa, per un totale di 1.915.697 uomhù. Sono compresi i ricoverati in luogo di cura; non è compreso il Corpo Cecoslovacco (I div. su 2 brg. su 2 rgt. di 3 btg.}; sono compresi i presidi delle piazze marittime di Venezia, Brindisi, Taranto, La Spezia e Maddalena. ' Di cui 45.000 di pronto impiego e 43.000 in corso d'istruzione o indisponibili. ' Truppe e servii i mobilitati che non rientrano nelle categorie dei «combattenti», e della «Forza nei Depositi del fronte».


LA CAMPAGNA DEL 1918

807

ta orientativa) al 20 fu provocato dalle condizioni atmosferiche e dalla piena del Piave e la successiva dilazione al 24 derivò dalla vmiante forzatamente appo1tata al piano iniziale, proprio per accelerare i tempi. Rimane da chiedersi, allora, se la decisione non potesse essere assunta prima del 25 settembre. Secondo lord Cavan, qualora il Comando Supremo avesse sferrato in luglio l'offensiva che poi lanciò a fine ottobre, avrebbe ottenuto una vittoria non meno completa, e poggiò la sua convinzione sul felice e facile esito del primo urto sostenuto dalla 1o• annata. Il generale Al berti contestò la validità ciel giudizio in quanto formato su base troppo ristretta: non per nulla il successo da noi conseguito dal 2 al 6 luglio, tra Piave vecchio e Piave nuovo, ci costò quattro giorni di durissima lotta 1• Secondo Caviglia, Diaz non è da biasimare «sotto il puntc.1 di vista militare» per non aver anticipato l'offensiva cli Vittorio Veneto: «il fattore tempo era dalla nostra parte, perché la guerra, in quella fase, pesava in misura assai maggiore sugli Imperi Centrali che sulle Potenze dell'Intesa» 2• A dire il vero, il fattore tempo sembrava per l'appunto contro di noi, perché pesava anche troppo sugli Imperi Centrali e le inquietudini ciel mondo politico-diplomatico non erano affatto mal collocate. In secondo luogo, a metà settembre Diaz non era trattenuto tanto dal desiderio che la situazione «maturasse» a nostro favore, quanto dal persistente timore di un attacco austro-tedesco. Al riguardo basta rileggere il telegramma che spedì ad Orlando il 17 settembre, a Parigi, e lo scambio di dispacci con Badoglio il 23 successivo. Piuttosto appare strano che Badoglio e Cavallero abbiano mutato opinione, a tal proposito, nel giro di un paio di giorni. A meno che non siano risultate infondate od esagerate le informazioni che avevano provocato la comunicazione allarmata. «Tutto è questione di apprezzamento in guerra» ha lasciato scritto Napoleone. E, francamente, a metà settembre l'apprezzamento della situazione militare complessiva e sul nostro fronte, nonché la valutazione delle istanze politiche, delle quali a quel livello occorreva tener conto, non paiono impeccabili. Le cose andarono come anelarono: benissimo militarn1ente ma con scarsissimo riconoscimento da alleati 3 e da nemici; male politicamente e con inevitabile danno d' immagine. L'Albertini scrisse che Cadorna «in una situazione come quella dell'ottobre 1918 non avrebbe tenuto l'esercito con le armi al piede sino al 24 ottobre» 4 • È molto probabile. Resta però da vedere dove avrebbe agito e con quale risultato.

' A. ALBERTl, L'azione militare iraliana nella grande guerra, Pinnarò, Roma 1924, p. 137. E. C..w1GUA, Le rre battaglie del Piave cit., p. 105. ' A.J.P. TAYLOR, nel suo La monarchia asburgica (1948), ha sintetizzato la nostra vittoria con queste eleganti e distaccate parole: «Dopo la firma dell'armistizio ma prima della sua entrata in vigore gli italiani sbucarono da dietro le truppe inglesi e fi:ancesi dove si erano tenuti nascosti e nella "grande vittoria" di Vittorio Veneto - raro trionfo del.le amli italiane - catturarono centinaia di migliaia di soldati austro-ungarici disarmati e che non opponevano nessuna resistenza» (cit. in Relazione ufficiale cit., V, tomo 2, pp. 1124-1125). 'L. ALllERTINI, Venti anni di vira politica cit., lll, p. 424. 1


808

I ,A PRIMA GUERRA MONDIALc

* * * Sul dispositivo d 'attacco per la 3• battaglia del Piave, due sono gli aspelli di natura ordinativa più interessanti: la costituzione della 10" armata (due divi sioni britanniche e tre italiane) e della 12" armata (una divisione francese e tre italiane) per l' assegnazione a due comandanti alleati, e la formazione di grandi unità «d'assalto». Premesso che la questione non tocca in alcun modo il rendimento, eccellente, offerto dalle truppe alleate che combatterono al nostro fianco, la creazione delle due predette armate suscitò disapprovazione sul momento, perché non ritenuta giustificata da alcuna esigenza operativa, e polemiche più tardi, perché consentì facile spunto a superficiali, ma durature, deformazioni del reale peso da esse esercitato. Caviglia attribuì il provvedimento «unicamente al Comando Supremo», probabilmente per un esagerato senso di cameratismo verso gli Alleati e disse che lo stesso Orlando non ne fu contento. L'opportunità della 12• armata, quale «cerniera» della manovra, fu in effetti una spiegazione cli comodo, restando il fatto che una sua parte era semplicemente l'ala destra della 4• armata e l'altra l'ala sinistra dell'8• armata. La 10• annata, poi, «faceva sistema» con 1'8" almeno nella fase della rottura del fronte avversario, comunque più della 10• presentava qualche ragion d'essere 1• il maresciallo Giardino si espresse con assai maggiore vis polemica. Ricordò che all'osservazione da lui mossa a Diaz sull'inopportunità di costituire le due armate in causa, il capo di Stato Maggiore «si limitò, con lieve sorriso, a rispondere ( ...) questione diplomatica»; e trovò discutibili le spiegazioni additate dal Comando Supremo nella sua relazione su «La battaglia di Vittorio Veneto» pubblicata nel 1919 (desiderio di trattenere sul nostro fronte il generale Cavan; contraccambio all'aver rafforzato con due divisioni francesi il nostro Il corpo d'armata in Francia; intento di suscitare una nobile emulazione fra truppe di diversa nazionalità; conferimento di più spiccata elasticità ali' operazione e di particolare unitarietà di direzione e d'impulso a ciascuno degli atti della manovra) 2 • Infine Giardino citò le più che prevedibili esagerazioni straniere, quali la liberazione di Feltre ad opera dei franc.e si e la rottura della linea austriaca ottenuta dagli inglesi. fl tutto con g li italiani a rimorchio. Ed osservò, giustamente: «Ma come si poteva e si può smentire, anche l 'incredibile, lanciato per j1 mondo, una volta che una base di realtà, sia pure apparente, esso trovava in quelle sedicenti e malauguratissime armate alleate?» 3•

' E, CAVIGLIA. Le tre ballaglie del Piave cit, pp. 147-149. Glaise Horstcnau presenta le cose in modo leggcnnente diverso. Quando, la sera del 26, cominciò il for1.:arneuto del Piave «gli inglesi della decima armata ed i francesi della dodicesima annata avevano in me,,,zo gli italiani dell'ottava» (E. VON GLAISE HORSTr.NAU, IL crollo di 1111 Impero cit.. p. 295). ' Caviglia definì l a relazione «i nfantile, bolsa, retorica» (E. CAVIGLIA, Diario, Casini, Roma 1952, p. 45). ' G. GJARD11'0, Rievocazjo11i e riflessioni di guerra cit., lll, pp. 97-107. Cfr, USSME, Relazione 4ficia/e cit, V, lomo 2, pp. 959-964.


LA CAMPAGNA DEL 19 18

809

E veniamo alle unità d'assalto '. I reparti d ' assalto - da distinguere dai plotoni arditi reggimentali istituiti nel 1916 - nacquero iI 1° luglio 19 17 in base ad una circolare del 26 giugno diramata dal Comando Supremo che, ispirandosi con ogni verosimiglianza alleStrumtruppen austriache Z, affidò ad ogni annata il compito di costituire «uno speciale riparto d'assalto». Evidentemente esisteva qualche incertezza, sia sotto il profilo organico, sia sotto quello dell'impiego, perché «per il momento» ogni reparto doveva essere almeno al Livello della compagnia, formato da volontmi, inquadrato in uno dei reggimenti bersaglieri dell'aimata. Riserva di definizione per l'armamento (genericamente: armi automatiche di reparto, lanciabombe, lanciafianme), per il vestiario e l'equipaggiamento, per il trattamento particolare, per le norme d'impiego e per il programma d 'istiuzione. Tullo questo sarebbe stato definito tenendo anche conto delle proposte inoltrate dai Comandi d' armata 3 • Come si vede, si era piuttosto nel vago. Seguirono, i primi di luglio, le disposizioni iniziali sul trattamento ' e sull' addestramento, con la specificazione dei compiti assegnati ai reparti: «piccole operazioni ardite intese ad assumere informazioni e catturare prigio1ùeri, ad occupare o danneggiare elementi della sistemazione difensiva nemica, ad adempiere a speciali incarichi nelle azioni compiute da altre truppe, come costituire nelle ondate di testa i nuclei destinati all' assalto di punti ove si prevede maggior resistenza, attaccare elementi nemici fi ancheggianti, ecc.» 5• Ma il vero assetto ai reparti in questione venne fi ssato il 2 I settembre 1917 con le tabelle organiche relative ai livelli del battaglione (formato con un numero variabile di compagnie) e della compagnia (con quattro plotoni d 'assalto, non impiegabili isolatamente). Stranamente, però, veniva lasciato ai Comandi d'armata la facoltà di apportare a queste tabelle le modifiche «che fossero imposte da speciali esigenze di impiego dei reparti d'assalto o da circostanze d 'altra natura» 6 • Nuova dimostrazione di relativa incertezza sull 'argomento ed opinabile accettazione delle inevitabili differenze che sarebbero sorte tra i diversi reparti. TI I reparto d' assalto venne costituito dal Comando 2• armata, che presto fu in grado di formare il Il. Le azioni positive svolte sulla Bainsizza, sul S. Marco e sul S. Gabriele provocarono un rapido sviluppo della nuova specialità, ormai autonoma, e indussero a prevedere possibili azioni isolate dei plotoni d 'assalto. Fu dopo Caporetto che il Comando Supremo cominciò a pensare ad una grande unità d 'assalto. La realizzò il I O giugno 1918 con il corpo d'armata d' assalto (gen. F.S. Grazioli), composto dalla 1• divisione d'assalto, o divisione spe-

' Sull' argomento vds. G. Rochat, Gli ardiri 11el/a grande guerra cit., e Luigi Emilio Longo, Fra11cesco Saverio Grazio/i, USSME, Roma 1989. ' USSME, Relazione ujfìciale cit. , VI, tomo 2, all. 19. ' Ibidem, ali . 56. • [bidem, ali. 61. ' Ibidem, all. 62. ' Ibidem, ali. 67.


LA PIUMA GUERRA MONDIALE

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ciale A, (gen. O. Zoppi) e dal]a divisione cecoslovacca (gen. A. Graziani). La divisione d' assalto venne fom1ata con nove reparti d'assalto, sottratti ad altrettanti corpi d'armata, un gruppo d 'artiglieria da montagna per l'accompagnamento ed un battaglione del genio. Quale che fosse il concetto d' impiego di questa nuova grande unità, all'atto pratico - e cioè quasi subito, a causa dell'offensiva austriaca iniziata il 15 giugno - la divisione cecoslovacca fu inviata alla 1• annata e quella d'assalto alla 3". Il generale Zoppi ebbe parole di rammarico per l'entrata in azione della sua divisione. Essa infatti, messa insieme il 10 giugno, arrivata il 17 mattina alla 3" armata, lanciata nel pomeriggio al contrattacco in direzione di Fossalta cli Piave, non riuscì ad arrestare la penetrazione nemica, ma solo a rallentarla. Poi, per due giorni, rimase in linea sul basso Piave con le fanterie dell'armata, impegnandosi in scontri locali e la sera del 29 venne ritirata dal fronte con perdite non gravissime, ma con ridotta capacità combattiva. li generale Zoppi trovò opportuno che il Comando Supremo avesse avviato al fuoco la divisione, pur se in piena crisi di fom1azione; l'en·ore era stato del Comando 3° armata, che l'aveva lanciata al contrattacco in modo «affrettato», «intempestivo» e «caotico» 1 • Lo stesso Comando 3° armata riconobbe che «le i11evitabili difficoltà di un primo reale esperimento, l' impiego forse troppo affrettato, l'estrema difficoltà di orientamento per truppe affatto nuove del terreno, non hanno permesso di ricavare da esse tutto quel vantaggio che era lecito ripromettersene». Fenne restando tali critiche, ci sembra che maggior peso sia da attribuire all'errore conunesso dal Comando Supremo nel dare disponibile una divisione così preziosa, appena costituita e priva di amalgama e di addestramento d 'insieme. Lo stesso Zoppi riconobbe che «la guerra di trincea ci aveva tutti legati ad un solo modo di concepire la difesa e l'offesa e disabituati alla manovra e ci aveva troppo avvezzati all'urto diretto, massiccio e materi.aie» 2• Comunque, il 27 giugno, prima ancora che la battaglia del Solstizio tenninasse, il Comando Supremo disponeva la creazione di una 2• divisione d 'assalto (gen. E. De Marchi), che sostituì la divisione cecoslovacca nel corpo d'armata d'assalto, Ogni divisione veniva adesso a disporre di un raggruppamento d'assalto, su tre gruppi d'assalto (ognuno dei quali formata da due reparti d'assalto e da un battaglione bersaglieri), un gruppo d'artiglieria da montagna ed elementi del genio e servizi. Alle dirette dipendenze del Comando di divisione erano un battaglione bersaglieri ciclisti, tre compagnie nùtraglieri ed uno squadrone di cavalleria, nonché due plotoni carabinieri ed un autodraprello. Ovviamente il requisito elci volontariato passava in seconda linea. In quel periodo Diaz cominciò ad accarezzare l'idea di costituire per la manovra offensiva e controffensiva «alcune potenti masse d 'urto dotate di speciali caratteristiche organiche e tecniche», destinate a rappresentare «la punta acciaiata dello schieramento complessivo»,

' O nAV IO ZOPPI, Due volte con gli 011/iti sul Piave,

' Ibidem, p. 25.

Zanichelli, Bologna 1938, pp. 17- 19.


LACAMPAGNADEL 1918

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con impiego «a massa e nella direzione decisiva» escludendo tassativamente qualsiasi frazionamento 1• Si trattava di questione da studiare ai maggiori livelli dipendenti e da attuare gradatamente, scegliendo le divisioni migliori. Il 25 agosto Diaz dette un appunto a Badoglio: «Esaminare quali sono le migl iori divisioni per costituirle in corpi d·annata d'assalto e formarne la riserva. Questi corpi d' annata farebbero tulio con gli altri, ma nei periodi di arretramen to dovrebbero sviluppare istruzioni speciali d' urto e di movimento, dilatamento, ecc. È un 'idea embrionale che prego vedere se ed in quanto si può gradualmente attuare. Mi pare che\~ sia già la 33• divisione»'·

Badoglio annotò «È già allo studio». Questo, però, da un lato non poteva non mo.dificare le caratteristiche delle truppe d'assalto, dall'altro appariva come un mezw per più convenientemente utilizzare le migliori divisioni, non disponendo del tempo necessario per elevare il rendimento medio della fanteria tutta, la quale nel corso della battaglia del Solstizio aveva palesato scarsa capacità offensiva. Non a caso il 12 settembre il Comando Supremo aveva deciso la sperimentazione del battaglione nuovo tipo o T, ed il 17 settembre Diaz si rivolgeva ai comandanti d'armata significando la necessità, 01mai evidente, di preparare Comandi e truppe alla guerra di movimento e preannunciando provvedimenti «nell ' intento specialmente di rendere le unità di fanteria più agili e dotate di maggior potenza di fuoco, di rendere più mobile una parte almeno dell'artiglieria e di rendere possibile una maggior celerità di spostamento delle riserve e delle munizioni» 3• Ricordiamo lo spiccato disappunto di Ludendorff per aver dovuto dividere le fanterie tedesche in divisioni d'assalto e divisioni da posizione. L'aspettativa di risultati, da parte delle grandi unità d'assalto, proporzionalmente superiori a quelli offerti dagli ottimi reparti d'assalto, rimase senza conferma, perché la battaglia di Vitto1io Veneto non consentì a Caviglia di impiegare il corpo d'armata del generale Grazioli come previsto e le due divisioni agirono separatamemnte. A parte ciò, nell'azione della I• di visjone nella Piana della Semaglia si vide una battuta d'arresto della grande u11ità dovuta allo scarso coordinamento fra i reparti d'assalto ed i battaglioni bersaglieri, con frammischiamenti, qualche confusione e conseguente bisogno di pause per il 1iordinamento •. Il che dimostra come l'estensione della specialità «d'assalto» contenesse elementi di disomogeneità e di complessità non facilmente superabili, ma in particolare pone in risalto la necessità di stabilire con chiarezza ruolo e compiti delle grandi unità in questione in confronto con quelle normali.

' USSME, Relazione ufficiale cit. , V, tomo 2 bis, doc. 137. ll I• luglio il generale Grazioli diramò «agli ufficiali del corpo d'ann:na d'a~sallo» le «Nonne per l'impiego tattico delle Grandi Unità d'assalto» (ibidem. doc. 138). ' Ibidem, doc. 107. ' Ibidem, doc. 140. 'Relazione sulle operazioni offensive dal 26 al 30 ottobre 1918 del Comando V divisione d'assalto. cit. in L.E. LONGO. Fruncesco Saverio Grazio/i cii., p. 189.


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La nostra Relazione ufficiale si sofferma, a buon motivo, sul diverso significato che la vittoria di Viuorio Veneto ha assunto nei giudjzi italianì e stranieri 1• In Italia essa è stata, in linea di massima, considerata come il risultato di una brillante manovra strategica ponderata con attenzione, ben organìzz.ata e vigorosamente condotta da un Comando Supremo, pronto a sviluppare le varie possibilità conseguenti alla rottura del fronte. All'estero invece è stata, per lo più, vista come una vitto1ia ottenuta senza eccessive difficoltà, alla luce della situazione generale e dell'imminente crollo della Duplice Monarchia. Si è compreso, beninteso, la sua necessità da parte nostra, ma sotto la spinta di evidenti ragionj politiche. In sostanza, se Diaz non avesse attaccato il 24 ottobre, la guerra sarebbe stata ugualmente vinta dagli Alleati sul fronte occidentale, grazie ali ' enorme valenza del successo ottenuto sul fronte macedone. Senza voler esaltare oltre mjsura il piano e la condotta della battaglia, di cui conosciamo luci ed ombre, basti la constatazione che si è trattato della terza piena vittoria consecutiva italiana. Il Comando Supremo ha «speculato» sul cedimento del fronte interno avversario? E gli Alleati non hanno fatto lo stesso, quando si sono resi conto che l'esercito tedesco era sempre in grado di infliggere severe perdite? Non a caso Hindenburg, pur decidendo di prospettare al Kaiser l'urgenza di intavolare trattative di pace, aveva «ancora allora la convinzione che, nonostante la diminuzione delle nostre forze, avremmo potuto impedire al nemico per mesi di invadere il nostro territorio patrio; e se a ciò si riusciva, la situazione politica non era disperata. Naturalmente, occorreva tacitamente ammettere che le nostre frontiere non venissero minacciate da est né da sud, e che il Paese rimanesse saldo nel suo interno» 2• Secondo il pensiero diffuso fra gli Alleati, la sconfitta riportata dall'esercito bulgaro a metà settembre ebbe un effetto risolutivo per la conclusione della guerra. Si trattava del primo pilastro della Germania a cedere. Uoyd George espresse il parere che l'Intesa a nulla sarebbe riuscita se la messa fuori causa della Bulgaria non avesse esposto gli Imperi Centrali ad essere attaccati da sud e non li avesse privati del grano e del petrolio rumeni, come attestato da dichiarazioni di generali tedeschi rese alla Commissione del Reichstag sulle cause del crollo germanico 3• Nessun dubbio che la resa della Bulgaria abbia rappresentato per Germania ed Austria-Ungheria un evento dagli sviluppi temjbilissimi e forse incontrollabili, tuttavia, se convinse vieppiù i due Governi dell'urgenza di trattative dj pa-

' USSME, Relazione ufficiale cii., V, tomo 2, pp. 959-964. ' P. VON H INOENtlURG, Della mia vita cii., p. 295. ' D. L LOYD GroRCE, Memorie di ,:11erra CÌL, ID, p. 444.


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ce, non pare abbia sollevato particolari preoccupazioni militari. Il 2 ottobre, difatti , il presidente del Consiglio austriaco, Hussareck, dichiarò al Parlamento che l'armistizio ottenuto il 29 settembre dalla Bulgaria aveva «creato a sud-est una situazione seria, ma niente affatto critica» 1 e che, a seguito delle misure militari prese fra l'Alto Comando e l'O.H.L., l'Austria aveva «motivo di attendere con calma l'ulteriore sviluppo degli avvenimenti in Baicania». Le forze messe insieme dagli Imperi Centrali si appoggiavano alla linea Sava-Danubio, ostacolo certo assai più arduo del Piave, e le armate alleate agli ordini del generale Franchet d'Espérey non erano materialmente in grado di organizzare ed eseguire in tempi ristretti un'offensiva a fondo, tenendo anche presenti le difficoltà di natura logistica ed il controllo del vasto territorio occupato via via. A fine novembre, cioè I quindici gionù dopo la fi ne delle ostilità, le unità di cavalleria d'avanguardia alleate si trovavano ancora ferme sulla destra del Danubio e vennero raggiunte dalle teste di colonna della fanteria soltanto i primi di dicembre. LJoyd George sostenne anche che «se non fosse stato per il ritiro della Bulgaria, né l'Austria né la Gemrnnia si sarebbero arrese nel l 918» 2• L'affermazione stupisce perché in chiara contraddizione con la ricorrente insistenza di Lloyd George per un'offensiva interalleata dall' ltalia diretta al cuore della Monarchia danubiana; tuttavia, supponendo che le rumate del generale Franchet d'Espérey fossero rimaste con l'arma al piede, rimarrebbe da spiegare come, in tale ipotesi, I' Ausuia avrebbe potuto sopportare le conseguenze del rovescio di Vittorio Veneto. E possiamo rilevare che in precedenza, sempre nelle stesse memorie, il Premier britannico aveva scritto, a proposito dell'esercito italiano battuto a Caporetto: «Pure, questo esercito era destinato ad avere una parte decisiva e preponderante nel trionfo finale degli Alleati, sconfiggendo l'esercito austriaco sul campo, determinando a Vienna la rivoluzione ed obbligando così l'Austria a ritirarsi dalla lotta» :,_ Quanto ai militari, le possibilità da essi intraviste sul fronte occidentale nella seconda metà di ottobre erano piuttosto dubbie. Sappiamo che il 16 ottobre il generale Wilson aveva comunicato al Gabinetto di guerra di non essere in condizioni di calcolare quali risultati potessero esser raggiunti prima dell'inverno e che «nulla giustificava la previsione che i Tedeschi avrebbero finito col cedere» •. li 19 ottobre il maresciallo Haig confermò al Gabinetto il giudizio di Wilson, fece un quadro «pessimistico» della situazione militare e suggerì di imporre ai tedeschi semplicemente la clausola di ritirarsi dai territori occupati; se non

'/\nche Ludcndorff ebbe ad osservare, il pomeriggio del 17 ottobre. che la caduta della Bulgaria non aveva suscitato nelle truppe «alcuna speciale impressione» (A. ALllERTI, L'Italia e la fine della guerrn cit., U, p. 124). : D. L LOYD GEORGE, Memorie di guerra cit., ili, p. 444. ' lbidem, p. 270. • Ibidem, pp. 334-339.


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avessero accettato nenuneno questa richiesta di g,mmzia, allora si s.u·ebbe ripresa la guerra nel 1919 ' . Foch, interpellato da Lloyd George e da Clemenceau il 29 ottobre circa la durata delle ostilità ove la Germania avesse rifiutato le onerose clausole armistiziali, rispose vagamente: «E chi può dirlo? Nessuno può prevederlo esattamente. Possono occorrere mesi, forse quattro o cinque» 1• I tedeschi furono espliciti. Lo stesso giorno in cui Foch dava questa risposta, il generale Gallwitz, comandante di un gruppo d'esercito sul fronte occidentale, affermava di non temere un rovescio rimanendo sulla difensiva perché «la forza aggressiva dei francesi era sensibilmente diminuita» e l'esercito inglese era relativamente forte «ma anche la sua potenza offensiva è diminuita». Peraltro ammise che le sue ottimistiche previsioni sarebbero cadute qualora I' Austria si fosse indotta a lasciar passare armate dell' Intesa attraverso il suo territorio 3• Ed infine Hindenburg ricordò: «Il crollo si palesò ovunque dalla fine di ottobre in poi: soltanto sulla fronte occidentale riuscimmo pur sempre ad impedirlo»•. E il 2 novembre il presidente Poincaré, ricevendo il colonnello Brancaccio nella sua nuova veste di addetto militare a Parigi, espresse il parere che le operazioni contro la Germania sarebbero durate «ancora due o tre mesi» 5• Che Vittorio Veneto abbia rivestito un peso determinante nella conclusione del conflitto è stato implicitamente - solo implicitamente - riconosciuto dallo stesso Foch. Non appena saputo della rotta austriaca nel Veneto e della richiesta di Diaz di includere nell~ condizioni d'annistizio con la Duplice Monarchia il libero transito di truppe alleate, Foch prese in considerazione, per la prima volta, l'attacco alla Germania partendo dall' Italia. Da notare che, invece, il Gallwitz evidentemente ritenendo che il governo austriaco sarebbe riuscito ad evitare la clausola della libertà di passaggio ne l suo territorio, oppure, cosa più verosimile, che l' esercito austriaco in ritirata avrebbe proceduto tempestivamente a distruggere le onere d' arte ferroviarie e stradali adducenti all'Austria, come fatto iu Serbia - si riferiva al trasporto dj truppe italiane in Francia, ove il fronte tedesco nei Vosgi era quanto mai debole. «Questa - disse - potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso» 6•

' Ibidem. p. 414. ' Tra il 1• luglio ed il 10 novembre gli inglesi persero 439 mila uomini tra morti, feriti e dispersi; i rrancesi 531 mila e gli americani più di 200 mila, ' A. Al.BERTI, L'Italia e la fine della guerra mondiale cil., Il, pp. 126-127. ' P. VON HINDENBURG, Dalla mia vita cit., p. 299. ' N. BRANCACCJO, /11 Francia durante la guerra cit., p. 263. • A. ALBERTI, L'llalia e la fine della guerra mondiale cit., 11, p. 127.


Capitolo XVI CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE l. LA CONDOTTA DELLA GUERRA DI CADORNA Il 10 gennaio 1918, a seguito delle riunioni segrete del Parlamento del 1318 dicembre 1917, nel corso delle quali il generale Cadorna fu investito da critiche aspre e violente e financo cervellotiche 1, il governo nominò una Commissione d' inchiesta «allo scopo di indagare e rife1ire sulle cause e le eventuali responsabilità degli avvenimenti militari, che hanno detenninato il ripiegamento del nostro esercito sul Piave, nonché sul modo come il ripiegamento stesso è avvenuto». Il 24 luglio 1919 la Commissione presentò la sua Relazione, in tre volumi, a Nitti, nuovo presidente del Consiglio. Questi rese subito pubblico il II volume e consentì così il divampare di accese polemiche contro chi aveva voluto la guerra e contro alcuni generali (Cadoma in testa), resi responsabili di ogni colpa. La mancanza di obiettività della Relazione, accolta con entusiasmo da giolittiani e socialisti, fu subito evidente. La Commissione giunse ad estendere l'analisi anche alle qualità personali del capo di Stato Maggiore e raccolse anche per queste vari apprezzamenti. Certamente andò oltre il suo mandato 2, ma non si può negare che molte decisioni prese da Cadoma trovano una spiegazione, per l' appunto, nel suo modo di pensare e nel suo temperamento. Tra Le opi1lioni riportate dalla Commissione, particolarmente emblematica sembra quella espressa da chi lo ammirò la sera del 26 ottobre 1917 ad Udine: «U generale Cadoma è un uomo d'alta inteUi genza, di vasta cultura, di eccezionali capacità professionali. Non mi è mai capitato di incontrare un ufficiale che avesse più rapida di lui la percezione e, nelle questioni strategiche e tattiche, più acuto e più rapido il giudizio. Nessuno conosceva meglio di lui in Italia il problema della difesa della nostra frontiera. Per essere un vero condottiero aveva, oltre a queste qualità, una grande, sconfinata coscienza della propria capacità e, conscguentemellle, sicurezza di comando e serenità imperturbabile. Alla illibata coscienza, al coraggio personale fisico, accoppiava l'altra specie di coraggio, che in un comandante è anche piò necessario cd è anche più diftìcilc: il coraggio della responsabilità( ... ).

'U 17 dicembre 1917 il deputato giolittiano Soleri, sulla base di oscuri sospetti, denunciò la costituzione di «una coalizione di posizioni politiche e militari ». che aveva spinto l' audacia «fino al tentativo di porre a capo del Governo un generale ouimo, ma comandato da Cadoma. La tragedia deU'I1alia stroncò il torbido disegno! ' U 14 febbraio 1918 il generale Marazzi, deputato, avanzò la pretesa che le indaghù della Commissione d' inchiesta dovessero abbracciare tutta la guerra, senza limiti di tempo. Orlando ribaué seccamente: «Noi, on. Marazzi, non possiamo consenti re (e la ragione di c iò ella deve intenderla prima degli altri) di mettere sotto inchiesta genericamente tutto un esercito in un momento in c ui si combatte una guerra come questa!».


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A cos1 eccelse qualità faceva disgraziatamente riscontro una grave dclicienza, che neUe nostre condizioni doveva da sola paralizzare le qualità e condurre I' llalia a Caporetto. Il generale Cadoma mancava di capacità organizzatrice ed era soprattutto un pessi mo conoscitore di uomini( ...)»'.

Il generale Corselli, nella sua biografia sul personaggio, ha riportato una nutrita serie di giudizi di personalità militari e civili - a favore ed ostili, distaccati e interessati -, compresi quelli citati in forma anonima dalla Commissione, ove emerge icru oculi, la diffomùtà delle valutazioni. Non deve peraltro meravigliare l' incondizionata ammirazione di alcuni, né l'ape1ta acrimo1ùa di altri, considerato che un dramma dalle proporzioni della prima guerra mondiale, concluso, tra l' altro, per Cadorna con un rovescio della nùsura di Caporetto, non poteva che susc.i tare passioni roventi. Tutti riconobbero al generale qualità di mente e d 'animo di prinùssimo piano, ma un' osservazione del generale Viganò taglia corto: «Peccato che queste ottime qualità egli sia solito manifestarle con eccesso)) 2 • E questo co nfermano nelle loro memorie due uomini, vicinissimi a Cadorna durante la guerra, i quali, pur essendogli affezionati e manifestando sincera stima per l' uomo come per il soldato, non esitarono ad indicare i difetti che scorsero in lui. Ci riferiamo ai colonnelli Gatti e Bencivenga. Il primo, chiamato da Cadoma stesso al suo fianco come "storico", ebbe modo cli studiarne la personalità, anche perché ne raccolse molti sfoghi e ne parlò diffusamente nei diversi suoi libri. Il secondo, nella posizione di capo della segreteria dal gennaio 1916 alla fine agosto 1917, poté osservare e valutare direttamente l' attività operativa del capo.

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Era diffuso nell'esercito il principio che il lavoro di uno Stato Maggiore dovesse rimanere anonimo e che il comandante riassumesse in sé pregi e carenze della grande unità. ll principio trovava una sua ragion d'essere nell'esaltazione della responsabilità del capo e nel!' educazione alla modestia del! ' ufficiale di Stato Maggiore, ma portato alle estreme conseguenze produceva non poche deviazioni. È quanto accadde da noi in quel periodo. Cadorna ebbe piena libertà nella costituzione ex-novo del Comando Supremo, non esistendo questo in tempo di pace, né essendo utilizzabile - così com' era - il Comando del Corpo di Stato Maggiore. Di tale libertà non fece buon uso, perché nella creazione di ta le organo di comando, l'elemento più' importante della struttura dell' intero esercito di campagna, si lasciò dominare da una visione assolutistica del proprio incarico di comandante di fatto dell'esercito. Partendo dal concetto che la responsabilità del comandante è indivisibile, nel settembre 1914 aboll la carica di comandante in

1

Comnùssione d' inchiesta, Dall'Isonzo al Piave cii., 11, p. 267 e ss.

' ETIOREV1GANÒ, La nostra g11errt1. Come è stata preparata e condotta sino al novembre 1917,

Le Monnier, Firenze 1920.


CONSIDERAZIONT CONCLUS IV E

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2° del corpo (abbinata a guella di capo reparto operazioni), che all'atto della mobilitazione si trasformava in sotlocapo di Stato Maggiore, e la sostituì con quella cli «generale addetto», più scialba ed impersonale. Intese con ciò eliminare anche la parvenza nonùnaJe di una suddivisione di responsabilità e sopratmtto la figura di un possibile sostituto designato, È pur vero che alla vigilia dell'entrata in guerra dell' Italia ripristinò - a malincuore, secondo Bencivenga - la carica di sottocapo di Stato Maggiore, tuttavia, di proposito, approfittando del fatto che iJ Regolamento di servizio in guerra gli dava la facoltà di definirne le attribuzioni, riservò al generale Porro compiti di mera rappresentanza, con il contentino di una delega per il personale, e lo escluse dalla direzione delle operazioni. Nell'estate del 19 J.7, poi, pensò nuovamente di liberarsi dell'indesiderato collaboratore ponendolo al comando di un' annata di riserva ed affiancandogli il generale addetto, come capo di Stato Maggiore. La cosa sfumò perché Porro declinò fermamente l' incarico 1• Le funzioni di capo di Stato Maggiore di Cadoma furono in una certa misura, ed impropriamente, esercitate dal capo dell'ufficio segreteria. Senonché questi, al di là di un ovvio riconoscimento, nell'ambito del Comando Supremo ed anche dai Comandi di Grande Unità, cli prerogative di azione in nome e per conto di Cadorna, non era materialmente in condizioni di esplicare le attribuzioni di indfrizzo, coordinamento e controllo proprie di un capo di Stato Maggiore, sia per il grado (colonnello) sia perché nessuno degli altri uffici si trovava alle sue dipendenze. Taluni, anzi, come ad esempio l'ufficio situazione cui competeva l' analisi della situazione nemica, erano sottoposti aJ generale addetto o capo repa1to operazioni (la dizione non inganni: nessuna ingerenza aveva con le medesime). In realtà, la segreteria costituiva di fatto una sorta di ufficio operazioni personale di Cadorna e con lui viveva a stretto e riservato contatto, separatamente dal resto del Comando Supremo, anche in senso materiale perché a Udine era ospitata in una palazzina a fianco del Comando Supremo, insieme con l'alloggio e l'ufficio del capo di Stato Maggiore. Si potrebbe ancora osservare che, ammessa e non concessa l'accettabilità di una simile struttura di comando, gli aspetti negativi venivano pericolosamente accresciuti dell' abitudine di Cadoma di po1tar seco, durante le sua assenze dal Comando Supremo per ricognizioni o impegni vari, il colonnello Bencivenga e buona parte del.la segreteria. Come egli ritenesse possibile dirigere le operazioni dell'esercito senza un forte collaboratore, ma semplicemente avvalendosi cli una ridotta segreteria, è difficile capire. Forse, però, una luce si rinviene nei colloqui di Versailles con il colonnello Gatti. Parlando della Corrunissione d' inchiesta davanti alla quale si sarebbe portato tra breve, Cadoma affennò orgogliosamente: «Sta bene. Andrò

'A. GATTI , Caporetto cii.. p. 197.


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dunque a rispondere(...). Non farò questione di uomini. Non dividerò responsabilità. Perché hanno chiamato a rispondere, con me, il generale Porro? lo solo davo gli ordini, io solo so perché si sono fatti. Porro obbediva come gli altri ( ...)» 1• Ed il generale Alberti ricordò: «Non cercò e non volle la cooperazione di nessuno in quanto si riferisce alla condotta delle operazioni, credendo che tale fosse il suo dovere; egli mi dichiarò insistentemente nel dopo guerra che non riusciva a comprendere il fenomeno Hindenburg-Ludendorff perché a lui sembrava un comando a due(...)» 2• Senza soffermarci sulla costituzione interna del Comando Supremo, dichiarato da molti ipertrofico, né sulle critiche rivolte al piccolo gruppo di ufficiali della segreteria, i quali, per quanto innegabilmente intelligenti, ben preparati professionalmente e capaci, erano privi di pratica del governo delle truppe nella guerra di trincea, possiamo in sostanza concordare con il giudizio di Beaci venga, che il Comando Supremo «non solo 11011 ri:,pose nella realtà a ciò che avrebbe dovuto essere, se ad ogni carica avessero co1Tisposto le conseguenti mansioni, ma neppure corrispose alle elementari esigenze di ordinamento gerarchico e di ben definite responsabilità» 3• D 'altronde, Cadorna non reputava di incontrare difficoltà nell'affrontare da solo il peso dell'esercito in campagna. Egli - ha raccontato il colonnello Gatti diceva in assoluta e tranquilla buona fede: «lo credo fermamente di essere il migliore fra tutti i generali italiani: per ciò resto al mio posto. Il giorno in cui avessero il più piccolo dubbio in proposito, lascerei questo posto» 4. Di conseguenza l'accusa fonnulata da Bencivenga, e ripresa da altri, di una insufficiente collaborazione attestatagli dai sottoposti, non appare rispondente alla realtà dei fatti. «Nell'autunno del 1917 - ha scritto - non solo mancò la collaborazione nel periodo di incubazione dell'offensiva nemica, ma essa fece pure difetto durante l'offensiva stessa, Studiando nei particolari le vicende della battaglia, iniziata sull'Isonzo e conclusa sul Piave, quello che più colpisce è l' isolamento in cui è lasciato il generale Cadoma (...). Nessuno degli ufficiali che erano intorno al Cadoma assume su di sé una qualsiasi funzione che allevi il Generale del peso della responsabilità, che lo coadiuvi nell'azione di comando (...)» 5• Non sembra obiettiva la censura all ' operato dei giovani colonnelli della segreteria che non avrebbero coadiuvato Cadorna condividendone la responsabilità. È impensabile che qualcuno di loro, nelle circostanze turbinose di una ritirata della quale si conoscevano appena le grandi linee e che mutava continuamente, potesse assumere iniziative nei confronti di Comandi di armata. Non è facile offrire collabora-

' A. GATIJ. Un iwliano a Versailles cit., p. 422. ' A. ALnERTI, Tesrimonianze straniere sulla guerra italiana 1915- 18, Roma 1933. i R. BENCIVEN(;A, Saggio critico c ii., l, p. 247. • A. GA111, Un italiano a Versailles c it., p. 424. 'R. B ENCIVENG,,, la sorpresa strategica di Caporetto cii., p. 131.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

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zione, nel senso cli fonnuJare proposte e dare suggerimenti, ad un capo che non la chiede né la stimola, convinto della propria autosufficienza. Bencivenga era riuscito in parte a rompere il cerchio dell' «aureo isolamento» solo perché, per temperamento, poco incline a rispetti umani. Non a caso, quando egli lasciò il Comando Supremo, Cadoma scrisse a casa che il nuovo capo della segreteria, colonnello Gabba, era «alu·ettanto intelligente ed assai più educato. Non sempre aveva il primo il tatto necessario» 1• Assai complessa e delicata è la questione della collaborazione. Se da un lato Ja sua mancanza da parte di qualunque dipendente costituisce una pura e semplice carenza di senso del dovere, d'altra parte occorre riconoscere che essa trova modo di esplicarsi con efficacia soltanto laddove il capo è propenso a riccverla e 'il Comando è ben strutturato, con una equilibrata e precisa suddivisione di compiti e di responsabilità. Quando si cita il maresciallo Berthier come modesta figura di esecutore degli ordini di Napoleone, non si valuta adeguatamente l'efficienza del Grande Stato Maggiore Generale da lui costruito e tenuto in pugno 2• Non era certo un grande tattico, ma a buon motivo è stato rimarcato che se nel 1815, al posto del maresciallo Soult, Napoleone avesse avuto a fianco Berthier, molto probabilmente le so1ti della campagna sarebbero state differenti. AJ nostro Comando Supremo mancava non tanto il cervello operativo quanto il cervello organizzativo; mancava soprattutto la capacità di funzionare, con azione di controllo e con iniziative, anche in assenza del Capo. Per giunta, Cadorna rifuggiva dal sentire il parere dei comandanti d'armata, nei cui confronti anzi manifestava poca fiducia, pur facendosi scrupolo di rispettarne le competenze al punto da non controllare il rispetto della disciplina delle intelligenze. Quando, in extremis o al primo insuccesso, si accorgeva che il suo pensiero era stato travisato, li esonerava. Il Re si teneva accuratamente ai margini della sua opera; si informava, girava, osservava ma raramente si intrometteva. Nessuno era accolto da Cadoma come apportatore di consiglio. Questa remora non lieve fu ulteriormente aggravata da un'articolazione delle forze ben poco rispondente alla situazione. L'andamento della linea di confine, l'evidente divisione del teatro d'operazioni in due scacchieri (il trentino ed iJ giulio) e lo stesso disegno di manovra avrebbero dovuto indurre ad ordinare le forze destinate ad operare sui due fronti in due complessi distinti e separati; in altri termini a costituire due gruppi d'annate. Si potrebbe obiettare che, in fondo, all'inizio della guerra l'impiego di solo quattro armate poteva far ritenere non

Letzerefamigliari cit., p. 218. ' lJ Grande Stato Maggiore Generale era articolato in tre Stati Maggiori (= Reparti). Lo Stato Maggiore personale comprendeva l'ufficio movimento delle truppe (= ufficio operazio1ù) e la parrie secrète (= ufficio informazioni): lo Stato Maggiore generale comprendeva le rimane nti branche dell'atti vità di comando; infine, il Servizio topografico provvedeva alla crutografia. 'L. CADORNA,


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indispensabile il ricorso ad una novità del genere, tuttavia resta sempre da vedere quale efficacia avrebbe avuto una soluzione di forte accentramento come quella adottata se le cose fossero andate nel senso sperato, se cioè si fosse realizzato lo sfondamento sulla direttrice operativa di Lubiana. Ad ogni modo anche quando, stabilizzatosi il fronte, l' utilità del livello gruppo d'armate divenne evidente, in relazione alle intenzioni attribuite al nemico, Cadorna si intestardì sull' accentramento, accettando, pur di non creare anelli demoltiplicatori del comando, articolazioni delle forze che poco o nulla avevano a che fare con l'organica, anzi al limite dell'irrazionalità. All'inizio del 1916, difatti, affidò il comando della 5" annata, frettolosamente approntata per fronteggiare l'offensiva austriaca dal Trentino, al generale Frugoni, comandante di un'altra armata, la 2•, e pose quest'ultima sotto il «controllo» del duca d'Aosta, comandante della 3° annata. A metà luglio, poi, riurù quattro corpi d'armata della 1• armata sotto un «Comando Truppe Altipiani» dando vita in pratica ad una nuova annata, che però lasciò alle dipendenze del comandante della 1° armata. Ancora, nel 1917 permise che un·annata (la 2•, di Capello) inquadrasse e gestisse ben nove corpi d'armata, anche quando sarebbe stato più opportuno ricostituire la Zona di Gorizia o trasferire l'ala destra alla 3• armata o istituire un nuovo Comando d'annata per conferire la dovuta elasticità alla prevista battaglia difensiva. Sin dal primo giorno dell'offensiva austro-tedesca, del resto, Capello dovrà correre ai ripari incaricando il generale Montuori del controllo dell'ala sinistra dell' armata (quattro corpi); poi Montuori, subentrato a Capello, dovette a1ticolare la 2• armata prima in due settori e poco dopo addirittura in tre '.

* * * Una seconda critica, fra le più ricorrenti rivolte a Cadorna, riguarda l'asserita trascuratezza nei confronti delle esperienze che il primo anno di guerra sui vari fronti stava offrendo. L' accusa non sembra reggere ad una attenta disamina, specialmente ove si tenga presente che le principati informazioni provenivano dagli addetti militari a Berlino (ten. col. Bongiovanni) ed a Parigi (ten. col. Breganze), i quali, come è natw-ale, incontravano limiti nelle disponibilità tedesca e francese a metterli a conoscenza dei propri successi e delle proprie disavventure ? _

Per la precisione, sembra essere stato Cadoma in persona a decidere l' articolazione della 2• armata in tre gruppi. n mattino del 27 il geuerale Petitri di Roreto, richiamato il 25 dalla licenza. si presentò a Udine. al Comando Supremo, e Cadoma gli disse: «Oh, bene, è anivato! Stiamo ripiegando sul Torre e lei assumerà il comando del gruppo del centro della 2• annata che, essendo troppo pesante perché si compone di sei corpi d 'armata, ho diviso in tre grnppi, sempre agli ordini del generale Montuori ( ...)» (A. L UMBROSO. Cinque capi nella tormenlll e dopo c it., pp. 122-123 ). ' Sull'argomento cfr. G. R OCIIAT, La preparazione dell 'esercito iw/iano 11el/'i11vemo /9141915 in «li Risorgimento», XUI, n. I, febbraio 1961.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

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Cominciamo dalla messa a punto dello strumento bellico. Il piano per il passaggio dell'esercito dal piede di pace a quello di guerra fu messo in esecuzione con determinazione dal ministro Zupelli ed il capo di Stato Maggiore non si stancò di sollecitare il Governo per il superamento delle tante difficoltà, prima fra le quali una legislazione di pace che evidentemente rappresentava impaccio non indifferente. Possiamo dunque affermare che laddove non si raggiunse un soddisfacente grado di completamento non fu per colpa, bensì per materiale impossibilità: la costituzione ex novo di grandi unità era ostacolata dall'indisponibilità di quadri e di artiglierie; l'incremento della produzione di anni e munizioni, per quanto invocata a più riprese, non raggiungerà mai il livello necessai.io. Purtroppo queste dve palle al piede rimarranno sino alla fine della guerra: l'ultima «infornata» di ufficiali nel 1918, reclutata per forza di cose senza molte pretese, darà risultati in buona nùsura deludenti; per le rutiglierie di medio e grosso calibro dovremo sempre, se non dipendere, almeno tener conto del concorso alleato; per le munizioni, ad ogni battaglia dovrà seguire una pausa più o meno lunga per la ricostituzione delle dotazioni. Tullo ciò, sia chiaro, a prescindere dalla sottovalutazione dei consunù (personale e materiali) derivanti in primo luogo dalla non immaginata lunghezza del conflitto. È verissimo che da taluno (Cacloma compreso) era partito il monito di una guerra lunga, ma nessuno era arrivato ad ipotizzare il suo protrarsi per tre, quattro o cinque anni. D' altronde il 18 luglio 1915, in campo alleato, lo stesso Kitchener scrisse scontento al generale Robertson: «A novembre 1914 Joffre e Sir John [French] mi dissero che stavano per respingere i tedeschi oltre frontiera. La stessa affermazione m.i fecero in dicembre, in marzo cd in maggio. Ma che cosa hanno fatto? Gli attacchi sono molto costosi e finiscono in niente» '. Fino al 1916 le previsioni di ogni autunno davano certa la vittoria nella primavera successiva; fu dal 1917 cheiJ pendolo andò all'estremo opposto ed il pessimismo dilagò fra i Governi ed i Comandi. Se fino al J916 l'Intesa aveva puntato sull'entrata in campo di nuovi alleati (prima l'Italia e poi la Romania), dal 1917 non rimase che l'attesa rassegnata dell ' intervento americano. Quanto alla preparazione dell'esercito, non è poi scontato che l'entrata in guerra in secondo tempo consenta sempre miglio1i condizioni: raramente l'esperienza compiuta dagli altri belligeranti risulta messa a profitto. Valga per tutti l'esempio dell'esercito americano come emerge dai ricordi di Lloyd George. Premesso iJ doveroso riconoscimento della «serie interminabile di errori» in materìa di equipaggiamento e di armamento commessi dalla Gran Bretagna nei primi sei mesi di conflitto, lo statista rilevò che, quando gli Stati Uniti entrarono in campo, la loro industria già lavorava a pieno 1itmo per le immense ordinazioni di materiale bellico fatte dagli Alleati. E ricordò altresì che missioni militari in-

1

A LAN CLARK,

I somari, Longanesi, Milano 1962, p. 2 17.


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glesi e francesi erano state inviate oltre oceano per indicare gli errori fatti sul fronte occidentale e le gravi difficoltà con cui erano stati superati. Senonché tutte le premure anglo-francesi si sconttarono, se non proprio con L'ostilità, almeno con l'orgoglio nazionalistico e con il senso di superiorità dei nuovi alleati, essendo diffusa in America la convinzione che nel campo industriale gli Stati Uniti nulla avessero da imparare dall'Europa e che, anzi, «i metodi europei fossero superati in industria come in politica». Di conseguenza gli industriali americani «non volevano saperne dei nost:Ii aeroplani e dei nostri cannoni. Essi consideravano come provata l'inferiorità di questi, e decisero di creare dei tipi loro propri che dimostrassero agli antiquati costruttori europei cosa fosse capace di fare una nazione che nel campo della macchina aveva già affermato la propria superiorità». Il risullato fu che «quando fu firmato l'armistizio, l' 11 novembre, una metà degli aeroplani usati dagli americani erano di fabbricazione inglese o francese( ...). L'attiglieria leggera e di medio calibro usata da essi sino alla fine della guerra fu fornita dai francesi. L'artiglieria pesante dagli inglesi. Nessun cannone da campagna di modello o di costruzione americana sparò un solo colpo durante tutta la guerra. Lo stesso vale per i carri armati: (... ) neppure un carro di fabbricazione americana entrò mai in azione durante tutta la guerrah>. Peggio ancora per i trasporti marittimi e terrestri. Le navi arrivavano nei porti francesi talvolta con due mesi di ritardo e, nonostante l' aiuto offerto dagli Alleati, le truppe americane che sì batterono nelle Argonne nell'autunno del 1918 si trovarono in crisi per difettosa organizzazione dei rifornimenti '. Qualcosa di simile ad un altrettanto malinteso desiderio di autonomia sarebbe da rilevarsi, secondo alcuni, anche nel nostro Comando Supremo. Il Caracciolo ha osservato che «indipendentemente dalla situalione generale, aspettammo di essere pronti noi, per attaccare il nemico» 2, quasi fosse una colpa od un errore, mentre invece sembra una decisione più che logica. Il discorso, però, tocca la questione della scelta del momento più opportuno per il nostro intervento. In sostanza, la tesi è che se l'Italia fosse scesa in campo nel marzo-aprile 1915 - quando i franco-inglesi attaccavano in Artois, nella Champagne e nella Wocvre, cd i russi battevano gli austriaci in Galizia - avrebbe sortito migliore successo. In tal senso si espresse il Nowak: «Gli italiani - scrisse - si sono lasciati sfuggire il momento per l'attacco, durante la battaglia dei Carpazi. O non si conobbe a Roma la situazione o Cadorna non 1itcnne pronto l'esercito» 1 • La tesi è molto fragile. Anche se in quei mesi si fosse posseduta un'esatta percezione della situazione in cui versava il fronte austro-ungarico ad oriente, i tempi sarebbero stati comunque prematuri, essendo tuttora in corso le trattative con Vien-

1

D. LLOYD G EORGE, Memorie di guerra cit., Ill, pp. 284-288.

'M. CARACCIOI.O, L'Italia e i suoi alleati cit., p. 47. ' K. NOWAK. Lt1 111arci<1 alla catastrofe, Cappelli. Bologna 1921 , p. 151 .


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

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na e di là da venire il Patto di Londra, ancora neppur discusso. In quelle circostanze, in definitiva, immediate e frettolose operazioni di mobilitazione e di radunata ai fini di un subitaneo intervento italiano sarebbero sfociate in una vera e prop1ia avventura, piuttosto che indirizzate ad un rischio calcolato. Certo, qualora nel 1914 Cadorna avesse potuto leggere nella sfera di cristallo la successione delle operazioni militari del 1915, gli sarebbe staro facile scegliere il momento più opportuno per ap1ire le ostilità e predisporre la mobilitazione di conseguenza. D 'altro canto non bisogna dimenticare che, secondo Joffre, l'offensiva scatenata a nord di Arras i primi di maggio doveva condurre alla pace entro l'estate, che era piuttosto difficile intuire il disastro russo a GorliceTarnow, della prima metà di maggio e che nulla, a metà maggio, lasciava presagire che i serbi si sarebbero rivolti all'Albania anziché attaccare gli austriaci sul fronte danubiano. * * * Ad occidente il fallimento del piano Schlieffen impedì alla Germania di vincere la guerra in breve tempo e indirettamente provocò la stabilizzazione del fronte. Questo fece scoprire come in quel periodo la difensiva disponesse di una combinazione di mezzi (fortificazione campale protetta da profondo reticolato, battuto dalla mitragliatrice), che le conferivano una decisa superiorità rispetto all'attacco. E ciò spiega l'evoluzione lineare e costante dell'azione difensiva, nonché il suo rapido passaggio dalla stJ.iscia di trincea alla posizione difensiva, e poi dall'organizzazione a fascia a quella a zona. Non era la prima volta che nell'eterna lotta per la supremazia tra la lancia e lo scudo, quest' ultimo prendeva il sopravvento; ma il vantaggio era sempre stato temporaneo, anche perché la manovra aveva consentito di risolvere la battaglja con l'avvolgimento se non con lo sfondamento. Adesso, diventato impossibile l'avvolgimento d 'ala, occorreva sfondare frontalmen te e l'attacco si trovò costretto a prendere atto dell'incapacità dell'artiglieria da campagna di operare la rottu ra, dell ' insufficienza quantitativa dell'artiglieria di medio e grosso calibro e di un consumo di munizioni al di là di ogni previsione 1• Mentre però i tedeschi, che pure disponevano di artiglieria pesante superiore per qualità e potenza, si limitarono fra il 1915 ed il 1917 alla sola grande offensiva di Verdun (21 febbraio-18 dicembre 1916), gli Alleati auaccarono pressoché in continuazione. Da un lato si sentivano obbligati a farlo in quanto il ne-

'Sulla nuova fisionomia della guerra e l'evoluzione dottrinale c rr. r:. STI:FAN I, Storia della d01trina e degli ordi11ame111i de/l'esercito italiano cit. , I, cap. XVlli e XIX . Mollo interessante. perché vista da parte tedesca, l"evoluzione della tattica e dcirannamento nella 1• guerra mondiale in F EDERICO VON BERNHARD1, La guerra dell'avvenire, Libreria della Stato, Roma 1925, cap. l, II e W.


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mico occupava buona patte della Francia, dall'altro agivano nello spirito della dottrina di Foch, allora in auge, secondo la quale «le peifectionnement des armes àfeu est un surcroft deforces apporté à /'offensive», da cui il principio di attaccare sempre ed in ogni circostanza 1• Constatato che, nonostante la fedele applicazione del principio con un massiccio incremento di artiglieria, la rottura riusciva solo raramente e, quando riusciva, la penetrazione della fanteria si arenava ben presto nell'intricato sistema delle superstiti difese passive ed attive, fu giocoforza il ricorso alla tattica ossidionale. All 'artiglieria si chiese sempre di più; tornarono di moda i mortai, messi da parte da tempo; si affermò la bombarda, particol,mnente adatta a schiantare i reticolati; le granate ad alto esclusivo sostituirono gli shrapnel; trovarono utile impiego le granate fumogene e quelle caricate con aggressivi chimici. E la preparazione d' artiglieria divenne sempre più lunga, rinunciando alla sorpresa e fidando sull'effetto dirompente del fuoco. Così, nel 1915 essa durò 4 ore nella 2• battaglia dell' A.11ois (maggio-giugno), 75 ore nella 2• battaglia del!a Champagne (25 settembre-6 novembre) e poco meno nella 2• battaglia dell ' A.ttois (25 settembre). Nel 1916 la preparazione durò 7 giorni nella 1" battaglia della Sonune (24 giugno-13 novembre) e 4 giorni nella controffensiva francese a Verdun (1718 dicembre). Nel 1917 la preparazione durò 10 gionù per l' offensiva Nivelle sull' Aisne (16-25 aprile), più di I Ogiorni per la battaglia di Messines in Fiandra (7 giugno), 7 giorni per l'attacco francese a Verdun (20-26 aprile), 6 giorni per quello a Malmaison (23 ottobrc-2 novembre). Joffre si accontentò del logoramento: «le /es grignote» diceva; Nivelle si vantò di possedere la chiave della vittoria; Foch continuò a proclamare la sua fiducia nell'offensiva. Il maresciallo Montgomery formulò commenti piuttosto drastici. A suo avviso, Joffre era «duro e brutale, un uomo che non avrebbe mai rinunciato alla sua linea di condotta, incurante delle sofferenze che essa avrebbe comportato, ed inoltre era anche stupido» 2• Nivellc non precisò mai esattamente in che cosa consistesse il suo «segreto», comunque quando prese il comando in capo si vide che era privo di qualsiasi nuova formula 3. Foch, con la sua dottrina dominò tragicamente l'azione di comando sul fronte occidentale•. Cadoma partì con due elementi nettamente a sfavore sul piano strategico: in primo luogo l'andamento del confine che, se lo orientava giustamente a puntare sulla direttiice di Lubiana, per contro g li mostrava dal Trentino una minacciosa spada di Damocle appesa non sulla testa ma sulle spalle; in secondo luo-

' J.F.C. FIJLLER, L'i11f111e11ce de 1·anname111 .mr l 'histoire, Payot, Paris 1948, p. 153. ' B.L. MONTGOMERY, S1oria della guerra cit., p. 493. 3 Ibidem, p. 50 I. • Ibidem, p. 481 . Poi, però, il modo con c ui condusse la grande controffensiva del 19 18 - concesse Montgomery - «dimostra che a.ll' ulrimo momento aveva cominciato a vedere un po' più chiaro>> (ibidem. p. 522).


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

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go, l' inattuabilità del piano operativo adottato, a causa della scomparsa del fattore sorpresa e del mancato concorso russo. Poiché le prime operazioni non dettero il risultato sperato, è da chiedersi se non fosse preferibile arrestarsi ed attendere tempi migliori per riprendere l'offensiva. Ma nel clima dell'epoca, dopo aver dichiarato guerra ali' Austria-Ungheria al grido di «Trento e Trieste», sarebbe stato inammissibile porsi sulla difensiva. Quindi Cadorna attaccò. Attaccò per occupare posizioni che gli offrissero una certa sicurezza e g li facilitassero lo sbocco oltre la catena alpina; attaccò perché convinto di dover rispettare gli impegni militari assunti con gli Alleati; attaccò perché era «uomo eia offensiva». «Da lui - ha scritto Bencivenga - non poteva attendersi altra guerra che quella ch'egli fece. I suoi tentativi di uscire dalla cerchia di ferro e di fuoco della regione di frontiera, i suoi furibondi colpi d 'ariete sul Carso, per aprirsi la possibilità di una manovra a largo respiro, erano nella sua natura» '. Da molti Cadorna è stato definito uno stratega, assai più che un tattico. Almeno per un verso il parere sembra corretto: egli tendeva a vedere in grande ed a sottovalutare le difficoltà del campo di battaglia. Senonché queste difficoltà avevano imposto un arresto a tutti gli eserciti su tutti i fronti. L'accettazione implicita della strategia o meglio della tecnica del logoramento finiva col ridurre, sino ad ann ullarlo. il respiro dei disegni cli manovra: l' azione tattica finì per imporsi sull'atto strategico. Tenendo conto del fatto che su circa 600 chilometri di fronte più di 500 erano cli montagna, ed in genere di alta montagna, ed il resto di Carso, è agevole comprendere come gli obiettivi fossero inevitabilmente scelti a breve raggio e, di conseguenza, l'indirizzo operativo in quel difficile ambiente naturale fosse costretto a basarsi su una successione di piccoli passi avanti. Cadorna non trascurò affatto i suggerimenti derivanti dalle esperienze nostre ed altrui e cercò di migliorare i procedimenti di attacco con una serie di circolari dottrinali 2, senza peraltro poter supplire a determinate carenze dello strumento bellico, e sappiamo quante volte dette manchevolezze abbiano impedito di conseguire un successo che appariva a portata di mano. TI tanto deprecato attacco frontale scaturi va, dunque, dalla situazione generata dalle circostanze, soprattutto quando le opposte trincee si fronteggiavano a qualche centinaio di metri e talvolta anche di meno. Questo, è naturale, non giustifica le reiterazioni d i attacchi condotti con lo stesso procedimento, con le stesse truppe già respinte e senza l'apporto di maggiori mezzi. A prescindere da incertezze dei Comandi in fase condotta del combattimento, da scarsa incisiv ità di complessi di forze mes-

1

R. BENCI VEI\GA . Saggio critico sulla 11os1ra guerra cit., I, p. 262. ' Cfr. CCSM, Relazione 11/frciale cit.. VI. Srranamente però - almeno a sentire il colonnello Gatti - Cadorna non sembra abbia mai studiato o cercato di conoscere le concezioni operative non solo dei principali capi militari europei, ma nemmeno del Conrad, l'avversario diretto(/\. Gxm, Un iwliano a Versailles cit., p. 425).


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si insieme senza rispetto dei vincoli organici, da inesperienza di giovani ufficiali, da scollamento tra avanzata della fanteria e appoggio deU' artigberia, la causa maggiom1ente ricorrente del protrarsi di sforzi inutili sembra doversi addebitare ad una sorta di incapacità dei comandanti di grande unità a riconoscere tempestivamente il momento in cui l'attacco doveva considerarsi destinato all'insuccesso e quindi da sospendere. Il convincimento che la persistenza nello sforzo donasse la vittoria era profondamente radicato e frequente era l'illusoria sensazione che il nemico fosse sul punto di crollare e che poco bastasse per raggiungere l'obiettivo. In qualche caso mancò semplicemente il coraggio di confessare a sé stessi il fal limento. A dire il vero, più di una volta Cadoma invitò in modo esplicito i comandanti di armata ad interrompere l'azione allorquando apparisse priva onuai di speranza di successo. Purtroppo il tono generale delle sue direttive era tanto perentorio nel pretendere energia e dctenninazione da assumere spesso l'aspetto della minaccia '. Le nostre offensive sull'Isonzo e sul Carso, con i loro limitati guadagni di terreno e le sensibili perdite umane, suscitarono, tra le varie critiche, quella - come si è accennato - di non far tesoro del procedimenti tattici adottati sul fronte occidentale, ritenendo evidentemente che altrove le cose andassero meglio. Il che non risponde affatto a verità. A fine settembre 1915 il generale Haig attaccò a Loos, a seguito delle pressioni di Joffre sul maresciallo French, benché tutt'altro che convinto. L'azione cominciò il 25 settembre e si arenò quasi subito, anche perché le truppe attaccanti vennero a trovarsi in mezzo ad una stagnante nube di gas aJ cloro, erogato proprio da parte britannica. Haig chiese aJlora l'intervento di riserve e Frencb inviò la 21 • e la 24• divisione del «nuovo esercito» di Kitchener, appena sbarcate in Francia. Dopo quasi diciotto ore di marcia sotto la pioggia e senza consumare il rancio, le due divisioni si presentarono sul campo di battaglia. Alle 11 di mattina del 26 uscirono dalle trincee. In formazione chiusa, su dieci righe di un migliaio di uomini ciascuna, con gli ufficiali a cavallo in testa, gli inglesi avan-

' È nota la circolare diramata il 19 maggio 1915, alla vigilia dell'apertura delle ostilità, sulla disciplina. Toccò vari punti: il Comando Supremo vuole «sovrana una ferrea disciplina»; nessuna colpevole e criminale tolleranza; inflessibile rigore nella repressione; punizione immediata; nessuna tilubanza nell'avvalersi di tutti i mezzi conferiti dal regolamenlo di disciplina e daJ codice penale mi litare ai comandanti di grande unità; inesorabile severilà verso gli in fingardi , i ri ouosi cd i pusillanimi. È vero che nell'ultimo punto invitava a sostenere gli onesti cd i capaci «anche quando la sonc non ne assecondasse complet?mentc l'opera» (il che, ad essere sinceri, ben di raro è accaduto), ma l' intera circolare è una minaccia ed il commento del generale Segalo è assolutamente peninente: «Napoleone e Garibaldi , per lacere degli altri [grandi capilani], avrebbero dato a que lla circolare forma alquamo diversa» (L. SEGATO, L'Italia nella guerra mondiale cit., 1, p. 53). Si badi che Cadoma, ispirato dal dovere di ripristinare un livello disciplinare che riteneva scaduto, non pensò minimamente di avere ecceduto nel tono. Infatti pubblicò la circolare nelle sue memorie (L . CADORNA, La guerra alla fronte italiano cit., I . pp. 59-60).


CONSIDERAZIONI CONCLUS IVE

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zarono lentamente e coraggiosamente nella terra di nessuno sotto l'ininterrotto fuoco tedesco. Giunti ai reticolati, pressoché intatti, i superstiti si volsero in fu ga disordinata 1• Il risultato fu che a fine dicembre French fu sostituito dal generale Haig (che lo aveva pesantemente criticato con il Premier Asquith e perfino con il Re) 2• Non si creda, poi, che nel 1916 la tattica alleata avesse fatto passi da gigante. Il 1° luglio, dopo sette giorni di bombardamento preliminare, e dopo un rinvio di un paio di giorni provocato da un momentaneo peggioramento delle condizioni meteorologiche che logorò i nervi delle truppe già ammassate nelle trincee per l'attacco, ebbe inizio la 1• battaglia della Somme. Alle 7 ,30 i fanti britannici comincìai;ono ad avanzare ed a cadere a migliaia prima ancora di arrivare a contatto con le difese gem1aniche. «li 1916 - ha scritto ancora Liddell Hart- segnò il punto più basso raggiunto dagli attacchi di fanteria, la riesumazione di formazioni che per rigidezza e incapacità manovriera erano del tutto degne di quelle del XVIII secolo. I battaglioni attaccavano in quattro o otto ondate, distanziate l'una dall' altra di non più di un centinaio cli metri, gli uomini di ciascuna ondata procedendo quasi spalla a spalla, allineati in modo preciso e simmetrico; conformemente all'addestramento ricevuto essi avanzavano in linea retta, a passo lento e costante, tenendo il fucile inclinato davanti a sé, la baionetta rivolta verso l'alto, in modo da attirare l'attenzione del nemico che stava all'e1ta ( ... ). Solo quando le ondate furono infrante dal fuoco nemico, l'avanzata divenne possibile». Soltanto allora, infatti, i superstiti si raccolsero spontaneamente in gruppetti e presero a strisciare da una buca all'altra, procedendo con brevi assalti e riuscendo a penetrare in profondità, pur lasciando alle spalle piccole isole di resistenza tedesche che infliggevano gravi perdite alle successive ondate 3• Sulla Somme gli inglesi ebbero 60 mila uomini fuori combattimento, di cui 20 mila morti. Come rilevato dal Fuller, contrariamente all' opinione corrente in quell'epoca le «battaglie di materiali» aumentavano le perdite umane invece di ridurle 4 • È certamente desolante, ma quella guerra era così. Alla fanteria si riconobbe allora la necessità di disporre di bombe a mano, di armi automatiche di reparto, cli mortai leggeri, di cannoncini; ma ancora per buona parte del 1917 prevalse la tattica dell'attacco internùttente, di origine germanica, cioè di stabilire una serie di obiettivi limitati ed a distanza relativamente ravvicinata, da attaccare in successione con il progressivo spostamento in avanti dell' artiglieria. E con la conseguenza di lasciare spazio al contrattacco avversario.

' B.H. LJDOELL HART, La prim.a guerra mondiale cit., pp. 255- 257. ' A.J.P. TAYLOR, Storia della I° guerra 111011dia/e, Vallecch.i, Firenze 1967, p. 74. -' B.H. L1DDELL HART, la primo guerra mondiale cit., pp. 305- 306. Cfr. B .L. MONTGOM ERY, Storia delle guerre cit., pp. 486- 487; ALAN CLARK, J somari cit ., pp. 271-276. ' J.F.C. F ULLER, L'i11jluence de l'armem.e111 sur l'histoire cii., p. 179.


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2.

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

L A CONDOTTA DELLA GUERRA DI DIAZ

L'insediamento del nuovo Comando Supremo ebbe la peculiarità dì un cambiamento strutturale inatteso. Gli Alleati avevano posto sul tappeto, pesantemente a dir poco, la questione della sostituzione di Cadorna 1• Ma anche la parte «operativa» del Comando Supremo aveva destato cattiva impressione. Puntare i piedi per una questione dj orgoglio nazionale, in quel momento di gravissima incertezza, non era praticamente possibile a causa del vero e proprio ricatto: via Cadoma o niente aiuto alleato! E, del resto, bisogna riconoscere l'esistenza di una diffusa convinzione dell.a necessità di un cambiamento. Il Re ed il governo operarono radicalmente. Mentre nel 1914 la carica di capo di Stato Maggiore del!' esercito era stata affidata a Cadoma, il più anziano dei due tenenti generali designati comandanti d'armata (l'altro era il generale Zuccari), dopo oltre due anni di guerra, durante i quali si erano visti numerosi «strappi» all' anzianità di grado, la scelta del successore di Cadorna cadde su un generale tra i meno anziani, che nel giugno del 1916 aveva preso il comando della 49• divisione e nell' aprile di quello stesso 1917 era stato «incaricato» del comando del XXIIl corpo d 'armata. Ebbene, nessun comandante d'annata batté ciglio. Del resto, a dare il buon esempio, si erano visti i ministri della GueITa, tutti, lasciato il vertice dell'esercito, recarsi al fronte per assumere il comando di una divisione (Zupelli nel 1916) o di un corpo d'armata (Grandi nel 1914, Morrone nel 1917,Alfieri nel 1918) o l'incarico cli sottocapo di Stato Maggiore (Giardino nel 1917) senza sollevare problemi di anzianità o di prestigio. La particohu·e «novità» sta nel fatto che da un sottocapo di Stato Maggiore, praticamente estromesso dalla pmiecipazione alle operazioni, si passò a due sottocapi, uno dei quali (Giardino) prese in pugno il Comando Supremo ed il problema operativo e l'altro (Badoglio) si dedicò alla ricostituzione dell' esercito, mentre Diaz si riservava la direzione della battaglia difensiva ed i rapporti con il Governo e gli Alleati. La soluzione si rivelò particolarmente indicata per quel difficilissimo e delicatissimo periodo. Vennero meglio definiti i compiti dei vari uffici del Comando Supremo e soprattutto l'ufficio segreteria fu ridimensionato e tolto dal voluto precedente isolamento. La sua competenza riguardò la raccolta ed il coordinamento degli elementi da sottoporre all'esame del capo e del sottocapo di Stato Maggiore, alla trasmissione delle disposizioni di costoro e, con Ja sua sezione istruzioni, alla diramazione delle circolari addestrati ve. L' ufficio operazioni assorbì l'intera branca operati va, compresa l'elaborazione dei dati sul nemico fomiti dagli uffici i uformazioni delle mmate e dal servizio informazioni. Quando Giardino dovette allontanarsi per recarsi a Versailles, Diaz e Badoglio risposero in pieno alle esigenze clell' esercito, che per la prima volta si tro-

' Sull'esonero di Cadoma dr. anche le pagine di A. L UMl3R0SO, Cinque capi nella tormenta e dopo cit.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVI:

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vava ad affrontare l'intero sforzo austro-ungarico, «Fu gran ventura per l'esercito italiano e per l'Italia - ha scritto a ragione Piero Picri - che nell ' ultimo anno di guerra al comando dell'esercìto ci fosse un binomio di due generali sotto tanti aspetti così diversi, che pure agirono nel più pe1fetto accordo, con reciproca stima e fiducia, senza gelosia di sorta, cosicché non si ebbero mai quegli attriti ( ...) così frequenti negli alti comandi di tutti gli eserciti in lotta>> 1• Il compito specifico di trattare con governo ed Alleati, cui Diaz subito si dedicò, non poteva certo considerarsi cosa da poco, specialmente dopo un rovescio strategico, dai temibili risvolti psicologici, come quello di Caporetto ed in presenza di un'offensiva nemica, che ancora si dubitava - né poteva essere altrimenti - qi riuscire ad arrestare sul Piave. Cadorna intepretava il suo ruolo in uno spirito di sacralità, che lo induceva ad esercitare l'azione di comando in un clima di accentramento e di esclusività. Tali essendo il suo sentimento ed il suo carattere, non meraviglia la sua convinzione che tutto - attività del governo compresa - dovesse venir subordinato alle esigenze belliche, e che tutti , compreso il ministro della Guerra, dovessero operare sulla base degli intendimenti del Comando Supremo. Probabilmente non si rendeva conto di ridurre se stesso ad agire in condizioni più difficili perché sempre più isolato ed osteggiato. Del tutto differente era il carattere di Diaz. Assai più disponibile e riguardoso all'apparenza, nella sostanza era poco incline all'arrendevolezza, contrariamente all'impressione cli molti, e lo dimostrò sin dalla battaglia d'arresto con il cortese ma fermo inigidimento nei confronti dei comandanti alleati in Italia, i quali pretendevano l'autonomia dal Comando Supremo. E la sgradevole sorpresa di scoprire il consenso dato da Orlando a Rapallo a che i contingenli francese e britannico non venissero impiegati se non previa autorizzazione dei rispettivi governi, lo portò ad impuntarsi sino a quando gli Alleati cedettero. Nel contempo dovette parare la sottile, insistente, quasi subdola schermaglia governativa volta a caldeggiare la convenienza di ripiegare la difesa sul Mincio. I rapporti con Roma non iniziarono quindi sollo buoni auspici, anche se furono privi delle asprezze del passato. Bisogna riconoscere al governo il merito di aver fatto sentire all'esercito la calda partecipazione del Paese intero. TI ministro Orlando aveva superato bene la crisi <lei novembre-dicembre 1917, ma nel 1918 i contrasti fra i pattiti ripresero presto vigore. In febbrai o, alla confcre112a socia lista di Londra, i rappresentanti dei socialisti ufficiali, Modigliani e Schiavo, si espressero con «dichiarazioni vergognose» e, smentiti dai socialisti interventisli, rimasero soli a votare contro la prosecuzione della guerra 1.. Inoltre in ambito governativo esisteva una

' P. P1ER1, G. Rou1AT, Badoglio. UTET, Torino 1974, p. 451. 1 s. CRESPI, Alla difesa d'Italia cit., p. 57.


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LA PRIMA GUERRA MONDIALE

discordia generata da rivalità personali e da incompetenze. Fra Orlando e Sonnino c'era freddezza di rapporti per il diverso orientamento in politica estera. Nitti avversava apertamente il presidente del Consiglio: «Quel povero Orlando! esclamava - Bisogna pure che mi decida a sostituirlo. Non dipende che d[ùla inia volontà!» 1• La stampa attaccava l'inefficienza del lninistero deU' Agricoltura. E si verificavano anche inescusabili gaffes. A fine giugno 1918 il Governo emanò un decreto luogotenenziale, che in parte riduceva ed in parte sopprimeva taluni sussidi ai profughi delle zone occupate dagli austriaci. II decreto era firmato dai ministri del Tesoro (Nitti ), dell'Interno (Orlando) e degli Esteri (Sonnino). Alle aspre rimostranze del deputato di Udine, Girardini, - il quale fece notare come in Italia si trovassero circa 600 mila profughi ed al fronte 90 mila combattenti delle province invase - Orlando rispose: «Hai ragione: è enorme. Io firmai il decreto mandatolni dal ministero del 1èsoro senza leggerlo. Provvederò». E difatti ne fece sospendere l'esecuzione 2• Attriti fra capi militari e governi non erano certo una novità. Anche altrove, nei due campi, affioravano continuamente e la «preminenza» degli uni o degli altri dipendeva dal temperamento dei personaggi alla ribalta. In Italia, Cadorna si impose a tutti e non incontrò praticamente limiti nella sua libertà d'azione, al punto di pretendere di assumere importanti impegni militari senza nemmeno consultare il governo. Diaz si terrà in stretto contatto con Orlando ed eviterà incidenti e fratture, però non si lascerà smuovere da alcuni punti fermi: priorità al ripristino deU' efficienza dell'esercito; nessuna prova intempestiva per l'esercito, preso sull'orlo del crollo; nessuna iniziativa priva di un'accettabile garanzia di successo. Cadorna aveva sempre aderito alle richieste alleate di sforzi offensivi contemporanei, pur rendendosi conto che le onerose azioni a noi sollecitate, come ai rnssi del resto, si traducevano in operazioni considerate secondarie dal Gran Quartier Generale francese, ma volute al solo profitto del fronte occidentale. Quindi un forte logorio senza possibilità di successo utile, data la persistente carenza di concorso alleato. Diaz procedette per tempi. Prima si mise in condizioni di sostenere senza problemi una prevedibile nuova battaglia difensiva. Nel contempo preparò un' offensiva sugli Altipiani, accogliendo le insistenze di Foch, ma con la precisa intenzione di svilupparla se e quando conveniente. Dopo la battaglia del Solstizio volle rimettere in sesto lo strumento operativo, consapevole che una grossa offensiva richiedeva superiorità di forze e di mezzi ed organizzazione meticolosa, e fece capire di non essere disposto a muoversi con a avventatezza.

' lbidem,p.185. 'Ferdinando Martini osservò: «Due domande sono da fare. Come il Presidente del Consiglio lìrma decreti, sia pnre in qualità di Ministro dcll' Intemo, senza leggerli? Ancora: come il Ministro del Tesoro propone provvedimenti i cui effetti possono essere cagione di turbolenza all'interno e di disfattismo nelle trincee?» (F. MARTJNI, Diario 1914-1918,Mondadori , Milano 1966, pp. 1192-1193). Da parte sua, il governo Salandra a fine 1916 aveva pensato bene di ridurre la razione di pane del soldato al fronte (da 750 a 600 grammi) prima di imporre il razionamento al paese!


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

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ln questo quadro venne riveduto l'assetto del Comando Supremo, riducendolo ad un terzo circa del personale esistente in precedenza; potenziando il sistema della trasmissioni, che adesso raggiungevano i Comandi di divisione; sostituendo al servizio degli ufficiali di collegamento fissi (ai soli fini operativi) presso i Comandi di corpo d'armata, un servizio di collegamento mobile presso i Comandi d' armata, dipendente dall'ufficio operazioni del Comando Supremo; ampliando le attribuzioni del Servizio informazioni; migliorando ulteriormente l'organizzazione delle intendenze d'armata. Anche Diaz diramò circolari addestrative e traduzioni della normativa tedesca per le azioni offensiva e difensiva. Al riguardo, vale la pena di rilevare che in un documento a firma di Ludendorff, in data 8 febbraio 1918, si legge fra l'altro: «5. In generale si dà troppo poca importanza alla 11e111ra/izzazione dell 'artiglieria nemica durame l'altaeco.

6. La preparazione d' artiglieria non deve prolungarsi oltre il necessario(...). 12. Non è consigliabile il sistema di/are avanzare lafa111eria ad ondll/e, facendo corrispondere il numero delle ondate a quello delle linee nemiche che si presume offrano resistenza (...).

13. Si aonette, attualmente, troppo poca importanza ali' air.tto di fuoco che può ricavare /a/011reria dai mezzi a sua disposizione, sistema da noi praticato io tempo di pace con l'avanzata a sbalz.i ( ... )» ' ·

1n altri termini, neppure nell'esercito tedesco il problema del coordinamento fuoco-movimento apprui va risolto appieno, né la durata della preparazione d'artiglieria trovava la misura giusta. E la penetrazione della fanteria nella posizione avversaria continuava a presentare incognite. Era comprensibile del resto, tenendo conto del mutevole valore degli elementi del problema tattico (ambiente naturale, sistemazione difensiva nemica, rapporto di forze, ecc.) nelle diverse circostanze. E i «nuovi» procedimenti germanici, tanto stesso citati per l'appunto nel 1918, in fondo non costituivano una grande novità. Sempticcmente, in più di una occasione venne seguito un suggerimento di Napoleone: <<La ractique c'est une question de tact», la tattica è una questione di buon senso. Difatti i procedimenti in argomento potevano così compendiarsi: realizzazione della sorpresa curando la più scrupolosa segretezza in fase preparativi; impiego della massa contro un settore debole dell'avversario previa una preparazione di artiglieria breve ma violentissima e mediante un' immediata penetrazione della fanteria a ridosso di cortine mobi li di fuoco; sviluppo della manovra puntando risolutamente su obiettivi in profondità e lasciando alle unità in secondo scaglione l'eliminazione

'USSME, Relazione 110iciale cit., VI, tomo 2, doc. 89. pp. 416-417.


832

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

delle maggiori resistenze statiche incontrate; cura della sicurezza mediante la penetrazione contemporanea di più colonne e l'allargamento della breccia ad opera delle unità in seconda schiera; impiego della riserva non contro resistenze statiche bensì Laddove sf potesse approfondire la breccia, c ioè per il completamento del successo. Benché il problema della condotta delle operazioni offensive non avesse ricevuto una soddisfacente soluzione di carattere dottrinale, la nostra battaglia finale venne organizzata sulla base delle tante osservazioni e notizie ricevute da ogni fonte, in primissimo luogo dell'import anza del fattore segretezza. Furono, però, alcune peculiarità che i:esero la nostra manovra degna di reale compiacimento. Si susseguirono: un'azione durissima sul Grappa, che attirò buona parte delle riserve austriache; il forzamento del Piave in condizioni assai d ifficili per l'ingrossameoto del fiume; la rottura del fronte austriaco in corrispondenza del tratto più sensibile; Lo sfruttamento del successo con la penetrazione in profondità e la netta irreparabile divisione in due parti del dispositivo avversario. Limitarsi, peraltro, a considerare Vittorio Veneto una bella vittoria campale sembra riduttivo. In effetti si trattò di un successo conclusivo, quasi naturale epilogo di un lungo processo cui il nostro esercito pervenne dopo il superamento di un momento scabroso per l'intero Paese (battaglia d'arresto) e di una prova subito avvertita come «girn cli boa» (battaglia del Solstizio). Merito sommo di Diaz fu l'aver guidato con mano ferma e non pesante l'esercito italiano nel riacquistare fiducia in se stesso e nell ' affrontare il confronto diretto co n il nemico storico, che poté nel 19 18 rivolgere - lo ripetiamo - quasi tutte le sue forze contro l'Italia. Lungi dal sottovalutare la crisi nella quale sempre più venne a dibattersi la Duplice Monarchia, occorre riconoscere il peso del logoramento subito dal suo esercito in undici battaglia dal 1915 al 1917. Rimane innegabile che l'AustriaUng heria poté evitare il crollo finché il suo valoroso esercito, vera struttura portante dell' Impero, non incontrò la sconfitta irrimediabile. E l'esercito austro-ungarico fu battuto, irrimediabilmente , da quello italiano. Il maresciallo Caviglia scrisse di aver pensato, prima della battaglia, che se il Piave si fosse mostrato favorevole al nostro passaggio, avremmo potuto port,u-e in un paio di giorni da 12 a 15 divisioni sulla si1ùstra del fiume, e precisamente sulla direttrice di Vittorio Veneto, con ogni possibilità di manovra. «L'azione dell '8• armata sarebbe stata così fu lminea eia meravigliare nemici ed alleati. Il Piave mise in dubbio la nostra vittoria e la 1itardò. Ci portò qualche vantaggio, ma in complesso rese la battaglia artisticamente imperfetta». Sì, fu imperfetta, non fu la vittoria sfavillante che agognavamo. «Ma soprattutto - continuò Caviglia - quel ritardo di pochi giorni ci fu dannoso quando si trartò del)' armistizio di Parigi» 1• Vero.

' E. CAVIGLIA, Le tre bauaglie del Piave cit. , p. 182.


CONSIDERAZlONI CONCLUSfVE

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3. I RAPPORTI CON GLI ALLEATI La posizione dell' Italia neJJ'ambito dell'Intesa risentì sempre del «ruolo» modesto ad essa riservato nella categoria delle Grandi Potenze (per essere precisi, era sull'ultimo gradino), tanto più che gli sforzi compiuti in precedenza per ottenere qualche vantaggio coloniale oppure per evitare di essere messa da parte nelle questioni balcaniche avevano posto in luce i limiti della sua effettiva potenza, nonché l'inabilità della sua azione diplomatica. A questo si aggiunga il fatto che sui rapporti politico-militari tra Italia ed Alleati esercitarono un'influenza detemùnante due fattori: la pressoché immediata dipendenza finanziaria, aliment[u-~ e bellica dagli aiuti delle vere Potenze e la nota concezione franco-britannica dell'importanza fondamentale esercitata dal fronte occidentale. Una concezione che portava a chiedere sforzi militari dovunque e comunque per alleggerire la pressione tedesca o favorire un'offensiva in Francia. L'esempio più convincente degli inconve1ùenti di questa visione unilaterale - oltre la tergiversazioni russe - è fornito sul piano politico dall'insufficiente «preparazione» alleata dell'intervento italiano e di quello rumeno, e sul piano strategico dal non aver apprezzato in giusta misura la portata di uno sforzo congiunto italo-serbo-russo e possibilmente anche rumeno, come auspicato da Cadoma ma, in verità, anche da Kitchener. Ciò detto sembra doveroso ammettere le molte manchevolezze da parte nostra. Alla loro base, la scarsa dimestichezza dei uost1i politici con i grandi problemi internazionali 1, che tra l'altro, all'epoca, postulavano un sostegno che solo adeguate forze militari potevano fornire. In Italia le esigenze militari erano rappresentate nel governo e nel Parlamento dai ministri della Guerra e della Marina. In entrambe le sedi l'attenzione si polarizzava unicamente sui problemi di natura economica e sociale; alla Camera, poi, dove la presenza dei militari era praticamente inesistente 2, da un lato si faceva sentire un forte movimento «trasversale}} antimilitarista, alimentato essenzialmente da posizioni socialiste, radicali e cattoliche, e dall'altro si riscontrava una sorta di noncuranza, spesso addirittura ostentata, per le questioni militari in genere. Di conseguenza, il governo si decideva ad imporre i provvedimenti ritenuti indispensabili per l'efficienza delJe forze armate e la difesa delle frontiere solo sotto il pungolo di impellenti necessità, ed il Parlamento, già poco at-

' Secondo Giolitti, né Orlando né Sonnino erano all'altezza della si tuazione. li primo, in quanto avvocato aveva il di fetto di «ricorrere ai mezzucci e di tirare avanti con i 1invii», ed in quanto profe.ssore era abituato a parlare dalla cattedra senza essere contraddetto dagli studenti . Sonnino, invece, aveva la particolarità «di non voler discutere o di rispondere di no» , il che sarebbe stato ottimo per un ministro del Tesoro, ma non per quello degli Esteri (O. MALAGODI, Conversazioni della guerra cit., rr, p. 640). ' Nella XXIV legis latura (27 novembre 1913-29 settembre 1919) i militari deputati erano appena dieci.


LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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tento a simili argomenti, veniva infonnato disorganicamente in termini di programmazione, di costi e di tempi di realizzazione. Si trattasse di misure per il personale o l'ordinamento, per il rinnovo delle artiglierie o per il potenziamento delle fortificazioni di frontiera, di approvvigionamenti o del completamento delle sco1te, ogni cosa vcn iva dilazionata e sottoposta a decisione dell' ultimo momento, tardiva, frettolosa, incongrua. Questo stato cli cose generava uno scollamento fra le pretese da Grande Potenza, quale intendeva essere l'Italia, e la possibilità di impiegare con prontezza uno strumento militare efficiente laddove richiesto dalle circostanze. La scarsa o nulla concordanza fra politica estera e politica militare venne in piena luce sin dall'inizio della guerra, qua ndo i capi di Stato Maggiore furono esclusi dalle valutaz ioni tecniche in base alle quali vennero prese Le decisioni prima della neutralità e poi dell'intervento. Fatto, questo, gravissimo non tanto per I' affennazione del principio di predominio della politica, in sé giusto, quanto per l'eccesso dell'applicazione e per l' assoluto disconoscimento dell'entità e complessità dei provvedimenti militari sollevati da siffatte determinazioni di politica estera. Altro aspetto poco familiare ai nostri governanti era il contegno da tenere nella coalizione, nonostante l'esperienza del nostro lungo legame con gli Imperi Centrali. Non si conosceva l'importanza in campo internazionale di anni quali la flessibilità e la durezza nelle trattative, la chiarezza degli obiettivi perseguiti, l'uso di un'accorta az.i one promozionale. «Ci siamo specialmente affannati scrisse, ad esempio, il colonnello Brancaccio nel suo diario parigino il 14 maggio 1916 - a mettere in mostra le difficoltà degli ostacoli che dovremmo superare, ma non abbiamo [poi] dimostrato in parallelo che, dati tali ostacoli, siamo riusciti a superarli, per quanto parzialmente, ma io modo tale da dare certezza cli riuscita» 1• Ed il 22 aprile 1917, a proposito di una riunione di propaganda alla Sorbona, nel corso della quale al silenzio che aveva accolto l'elogio formale all' Italia si era contrapposto il vivissimo entusiastico applauso per la Serbia, Brancaccio lamentò una nostra carenza generica di psicologia. Alludendo anche alla tardiva dichiarazione di guerra alla Germania, annotò: «Pare una fatalità, ma non facciamo mai la mossa a tempo e tutti gli atti dell'Italia arrivano con un mezzo tempo cli ritardo e costituiscono così una discordanza(... )». Perciò l'azione italiana veniva svalutata ed era sempre interpretata come compiuta a malincuore e sotto pressione francese o inglese, con il risultato che di nulla gli Alleati ci serbavano gratitudine 3 • Per un complesso di motivi l'esercito italiano dovette combattere in condizioni peggiori degli altri eserciti occidentali e «fra tutti i belligeranti - è

' N . BRAJ\'CACCIO, 2

In Francia d11rtmle la guerra cit., p. 31 .

Ibidem, p. 90.

'AJ.P. T AYLOR, Storia della prima guerru 111011diale cit., Vallecclù. Firenze 1967, p. LOO.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

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stato scritto - l'Italia fu l'unico paese le cui condizioni interne assomigliavano molto a quelle che in Russia scatenarono la rivoluzione» 1• Tuttavia le continue larnentazio1ù sulle difficoltà del nostro teatro d'operazioni a lungo andare diventarono controproducenti. OccoITeva, in sostanza, cambiare indirizzo, anche per modificare a nostro favore l'immagine non certo esaltante che l'opinione pubblica francese, la più importante ed influente nell'intera alleanza, si era fatta dell'Italia. I contrasti si accentuarono nel corso del 1918 e proprio in quest'ultimo periodo talmù comportamenti di nostri rappresentanti attenuarono ancora di più l' affidabilità del Paese nel consesso alleato. La necessità di un coordinamento della poJitica dei rifornimenti e degli approvvigionamenti nel campo dell'Intesa, aveva condotto alla costituzione di specifici organismi alleati, quali il Comitato Supremo per l'alimentazione, il Comitato Supremo per gli armamenti, il Comitato interalleato per i trasporti marittimi ed il Comitato Supremo finanziario. Naturalmente, i delegati inglese ed americano, che controllavano buona parte delle fonti, delle riserve e dei trasporti marittimi, spesso pilotavano gli scambi con ape1ture di credito limitate ai iispettivi mercati. E, altrettanto naturalmente, l'Italia, il partner più povero, doveva battersi per riuscire a farsi assegnare almeno l' indispensabile 2• In questo difficile clima era indispensabile che i nostri rappresentanti si presentassero alle riunioni dei vari Comitati accuratamente documentati e preparati, anche sotto i I profilo ciel coordinamento delle richieste. Il ministro Crespi, allora Commissario straordinario per gli approvvigionamenti, ebbe invece modo di constatare più volte il contrario. Non esitò ad esporre il proprio disappunto in proposito ad Orlando, senza molto successo a dire il vero 1 . A prescindere dagli errori di comportamento e dai dissensi in campo militare, si fecero sempre più frequenti gli attriti di natura diplomatica circa il futuro dell' impero asburgico, la questione jugoslava, il problema balcanico, la so1te dell'impero ottomano. Quasi tutti questi punti provocarono divergenze e financo 1ivalità tra Francia e Italia. Il problema era complicato anche dalla diversità di opinioni nell'ambito del nostro stesso governo. Sonnino si manteneva tenacemente attaccato al Patto di Londra e, tenendo conto delle promesse fatteci, escludeva ogni proposito di smembramento dell' Austlia-Ungheria che avrebbe favorito le mire jugoslave a nostro danno. Orlando, invece, accogliendo favore-

' A fine 1917 l'Italia aveva bisogno mensilmente di 400 miJa tonnell ate di grano, llO mila di carne, granturco e caffè, 690 mila di carbone, 240 mila di metalli e munizioni. La nostra fotta mercantile poteva trasportare 386 mila tormellate. 2 Il 14 marzo, Riccardo Bianchi, ministro dei Trasporti, senz.a preventivo accordo con Crespi, presentò al Comitato interalleato per i trasporti marittimi un memoriale con ri.chieste esorbitanti e per di più in netto contrasto con le precedenti deliberazioni, «Lord Cecil - annotò Crespi - lo fissa freddamente durante tutta la lettura della traduzione in inglese; poi guarda me; infine si rivolge ai suoi colleghi inglesi dicendo forte He ask 1he 1110011! (Cb.iede la luna!). L'impressione è disastrosa» (S. CRESPI, Alla difesa d'Italia cit., pp. 65-66).


836

LA PR IMA GUERRA MONDIALE

volmente il piuttosto generico Patto di Roma, firmato nell'aprile 1918 dal Congresso delle nazionalità oppresse (italiana, croata, serba, slovena, ceca, polacca e rumena), mostrava una sottintesa disponibilità a rivedere le rivendicazioni italiane in Dalmazia. Tra l'altro, era fortissimo da parte di molti il desiderio d i costituire «legioni» con i prigionieri di gue1111 appa.ttenenti appunto alle «nazionalità oppresse». Orlando e Bissol.ati caldeggiavano questa idea; Som1ino la osteggiava, non intendendo agevolare la formazione cli unità annate di nazionalità chiaramente osti.li all'Italia. D 'altronde, se per i cechi era stato facile ricavare una divisione che già combatteva, i polacchi non sembravano particolarmente interessati al riguardo e tra i serbi, croati, sloveni e bosniaci non si riscontrava né entusiasmo per l' iniziativa né concordia fra loro. AUa fine Sonnino si dichiarò disposto ad inviare al fronte macedone i prigionieri di guerra d i nazionalità serba che ne facessero esplicita richiesta 1• A fine estate nella vicenda si innestò un più preciso motivo politico. Quando Gran Bretagna, Francia e Stati Unili riconobbero i cechi come belligeranti, si pose il problema di un analogo riconoscimento per gli jugoslavi; ma riprese il sopravvento la linea di Sonnino, che oppose un rigido veto alla formulazione di dichiarazioni pubbliche in favore delle aspirazio1ù delle popolazioni «jugoslave» che significassero menomazione dei dititti italiani. La spuntò, ma l'isolamento dell'Italia si fece più marcato. Orlando non era in grado di misurarsi con uomini come Clemenceau e Lloyd George 2, e nemmeno con Wilson, il quale, chiamato dagli Imperi Centrali come intermediario, assunse presto intenti e toni da primo attore. Wilson non soltanto era assolutamente privo di una qualsiasi conoscenza della realtà politica europea, ma addixittura ignaro del mondo esterno aglj Stati Uniti. Non era tagliato per essere un fo1te statista in tempo di guerra. Per educazione e temperamento risultò impreparato a gestire un conflitto e «tutto il suo essere si ribellava alla sola idea di esso» 1. Ritenendosi investito dal proprio Super-Ego della missione di

' A. DE BOSDARI, Delle guerre balca11iche. della gra11de guerra e di alrnnifatti precedellli ad esse cii., pp. 216-219.

' Per obieuività dobbiamo dire che anche altrove si trovavano personaggi non esattamente al posto giusto. Di Grey, ministro degli Esteri britannico, il nostro ambasciatore a Londra ebbe a scrivere di esser rimasto «piì1 d'una volta stupito dall a leggerezza del suo giudizio. daUa sua inc~incepibiJe ignoranza dei particolari storici e geografici della questione che era chiamato a trattare, deUa grande facilità con cui egli si contraddiceva» (A. DE BosOARI, Delle guerre ba/ca11iche cit., p. 15). Di Berchtold, ministro degli Esteri austro-ungarico, chi gli fu vicino scrisse: «Incerto nelle decisioni e di un' ignoranza incredibile, considerava la sua carica come un'occupazione di secondo ordi ne, che per lui aveva meno importanza della toilette e del rwj,, (L. A LBERTJNI, Le origini della guerra ,lei 1914 cit., I, p. 403). E Bethmann Hollweg, cancelliere tedesco, confessò a Bcrchtold di «non essere un diplomatico di professione e di non avere perciò pratica delle ani diplomatiche» (L. A1.nER· mn, ibidem, I. p. 402). ' D. L LOYD GEORCE, Memorie di guerra cii., ILI, p. 285.


CONSIDERAZ!ONT CONCLUSIVE

837

principe della pace in nome di valori ideali, insisteva con fanatica intransigenza nel raggiungimento dei suoi disegni, per utopici che fossero, negando all'occorrenza i fatti che non corrispondevano ai suoi schemi mentali 1• Dichiarò subito seccamente di non riconoscere il Patto di Londra perché non gli era stato comunicato e rifiutò di cedere Fiume all'Italia. Sentite le rimostranze di Orlando, lo definì «un dannato reazionario». Wilson ascoltava unicamente i suoi esperti, oltre la voce d ivina. Poiché essi, per quanto ci riguardava, avevano indicato come giusto confine tra Italia ed Jugoslavia la linea che da Gorizia, lasciata all'Ttalia, scendeva dividendo in due l'Istria (linea Wilson), il presidente non intendeva recedere. Finirà per rivolgersi dalle colonne del Temps del 23 aprile 1919 direttamente al popolo italiano, quasi mosttando di non ritenere Orlando rappresentativo delle vere istanze nazionali, al che la nostra delegazione, avventatamente lascerà Versailles. Senza entnuc nel merito delle vicende della Conferenza della Pace, basti dire che probabilmente Orlando vi incontrò le maggiori amarezze della sua vita politica. Dall'iniziale Consiglio dei Dieci, formato dai presidenti del Consiglio e dai nùnistri degli Esteri di Gran Bretagna, Francia, Italia, Stati Uniti e Giappone, il 24 marzo 19 I 9 si passò al Consiglio dei Quattro, limitato ai presidenti del Consiglio di Gran Bretagna, Francia, Italia e Stati Utùti, avendo il Giappone dichiarato il proprio disinteresse per le questioni europee. I Quattro, dunque, si accinsero a lavorare in inglese e francese, con sommo imbarazzo di Orlando che capiva male e parlava peggio il solo francese. E quando la nostra rappresentanza rientrerà a Versailles, appena in tempo per partecipare alla finna del trattato di pace con la Germania, che diversamente sm·ebbe stato firmato in sua assenza, Orlando era un uomo distrutto. Una nota del diario di Crespi, sotto la data del 9 maggio, dice: «( ... )soprattutto mi fa impressione Ja posizione e l'atteggiamento di Orlando. Nessuno degli altri tre capi lo guarda piì:1; solo Lloyd George tratto tratto gli usa qualche tratto cortese. Si direbbe un intruso; anche il suo aspetto è quello di un uomo che comprende di essere appena tollerato, e che ne risente la profonda mortificazione» 2 •

4. CONSUNTIVO La nostra partecipazione alla grande guerra fu innegabilmente sentita come fatto nazionale non solo per l' acceso dibattito tra interventisti e neutralisti, ma anche per lo sconvolgimento causato in tutti i settori vitali del paese oltre che nel costume e nel la mentalità. Poiché però - a differenza delle circostanze che avevano spinto alle ostilità gli Alleati - si era trattato di un intervento deciso libera-

' Per u.n quadrn di Wilson cfr. M.G. M ELCHLONNL, La vittoria mwilata cic., pp. 223-231. 2 S. CRÈ~Pl , Alla difesa d'Italia cit., p. 544; cfr. O. MAI .AGODL, Conversazioni della guerra cit., Il, pp. 652-654.


00 I,>

Gli eserciti europei nella guerra 1914-1918

NAZIONE Popolazione Francia Germania Russia J\ustria-Ungh.

39.601.319 67.000.000 173.000.000 51.390.000

Bilancio de!Ja guerra Franchi

1.282.399.127

Marc hi Straord. M.

776.000.000 580.000.000

Rubli

621 .000.000

Corone

Fona bilanciata 33.000 780.000

Uffi.li

Uffi.l i ..

2.970.000 (2)

Morti Feriti

1.384.700 3.000.000

3.820.000

4.864.000

Molti Feriti

2.311.000 4.250.000

Morti Feriti

2.000.000 ?

1:~P.: .................. Uffi.li

46.098.246

Lire sterline

819.908.347

Italia

34.671 .000

»

468.908.347

5.000.000

200.000 14.000

Uffi.li

circa 1.970.000

22.000.000

circa

875.025 500.000

Motti Feriti

.............

2.000.000 (I)

Morti Feriti

3.025.000

Morti Feriti

............................................................................................~?.?.:~... .!.~P.:... ...... ............ ....... ...... ........... .. ............ . Turchia

Perdite

2.830.000

.. ....1.:~~~:0()() .. ....'f.rtlP.: 744.084.474 36.548 Uffi.li 2.052.800 403.041 Trup.__ _

Inghilterra

Forza alle armi luglio 1918

...1!l'P.:

36.000 77 1.176 50.000

[~orza mobilitata ali ' inizio della guerra

00

circa

350.000 circa

Morti

Feriti Bulgaria

4.788.510

Serbia

4.500.000

Belgio

7.51 6.730

Grecia

Franch i

89.829.225

1.500.000 3.200.000 ····· .. ·········· ........ 870.000 1.500.000

·······················

680.000

1.100.000 325.000 l.000.000

385.000

ci rca

450.000 circa

Morti Feriti

102.000

66.000

350.000

circa

120.000

Moni Feriti

290.000 ?

44.000

200.000

circa

167.232

Morti Feriti

50.000

mobilitò d rca 100 mila uomini.

Romania

mobilitò c irca 500 mila uomini. Ebbe circa JOO mila morti e 235 mila feriti.

Ponogallo

inviò in Francia circa 50 mila uomini. Ebbe 8.300 molli e 20 mila feriti circa.

(1) Le Colonie e i Dominions mobilitarono complessiva,ncnt.e 2.700.000 uomini. - (2) D.i aggiungere 463.000 coloniali.

160.000

44.000


CONSJDERAZIONI CONCLUS IVE

839

mente, in assenza di una concreta minaccia militare o di fondamentali interessi economici turbati, aUa fine diventò naturale stabilire un confronto fra l'entità dello sforzo ed i risultati raggiunti. La guerra aveva provocato 680 mila morti, più di un milione di feriti, mezzo milione di mutilati ed invalidi su quasi 6 milioni di mobilitati. L'acquisizione di confini terrestri ben determinati e facilmente difendibili, la quasi completa annessione delle popolazioni di lingua italiana e La scomparsa di ogni seria minaccia in Adriatico potevano obiettivamente essere reputati meritevoli dei sacrifici sopportati. Ma il discorso è assai più complesso. All'origine c'era il Patto di Londra, quell'impegno sottoscritto da Salandra e Sonnino con poca ponderatezza, e più precisamente la disordinata e sproporzionata serie di «vantaggi», la cui promessa l'Italia aveva ottenuto dall'Intesa. Con il crollo di tre imperi - l'austro-ungarico, il russo cd il turco - e con il riconoscimento dei diritti delle nazionalità oppresse, è evidente che il rispetto integrale della clausole a noi favorevoli del Patto, ed anche degli accordi di St. Jean de Mauriennc, risultava quanto meno da verificare. Tra l'altro volevamo il pieno rispetto del Patto di Londra, che comprendeva alcune popolazioni non italiane ma non Fiume; nel contempo, per il riconoscimento delle nazionalità, chiedevamo Fiume, la cui acquisizione era diventata d' importanza pari a quella di Trieste, senza cedere su quanto compreso nel Patto di Londra. Peggio ancora: non ci eravamo premurati di stabilire, per nostra prudente e chiara linea di condotta, una scala di priorità negli obiettivi di guerra cui puntavamo. D 'altro canto, Gran Bretagna e Francia avevano fatto al1 'Italia promesse territoriali dettagliate I e, pur professandosi dispostissime a rispettare il Patto, sul piano pratico lo rispettarono per sé, escogitando anche la formula del «mandato», ma per l'Italia lasciarono fare a Wilson. In conclusione: la vicenda di Fiume sboccherà nell'impresa dannunziana; la questione dei compensi coloniali si trascinerà per anni «lasciando negli italiani l'impressione (giustificata) di essere stati trnffati dagli anglo-francesi, mentre negli anglo-francesi si rafforzava l' impressione (comprensibile) che gli italiani fossero degli insoppo1tabili ed avidi accattoni» 2 • Psicologicamente gravava sui sentimenti italiani un'ombra più pesante. Gli Alleati, specialmente dopo la nostra ingloriosa partecipazione alla Conferenza di Versailles, si mostrarono assai poco inclini a riconoscere l'importanza dello sforzo militare italiano. Bisogna però riconoscere che almeno il pretesto per un così ingiusto contegno era da attribuire a nostra specifica responsabilità.

' Taluno le definì «la lista della lavandaia». ' C.M. SANTORO, La poli1ica esiera di 1111a media Po1enw cit., p. 143.


840

LA PRIMA GUER RA MONDIALE

Durante la guerra la Francia concesse il bastone di maresciallo a Joffre ed a Foch; la Gran Bretagna fece altrettanto con Haig; l' Italia rifiutò la promozione a generale d'esercito a Cadoma. L'occasione venne con la conquista di Gorizia; sarebbe stato un premio, meritato, per Cadoma e, ciò che più conta, un riconoscimento deJl' opera dell'esercito ed una valorizzazione della vittoria di fronte agli Alleati ed anche al nemico. AJ contrario, guerra durante, l'Italia apri un processo ai capi militari e, senza intenzione, implicitamente anche ali' esercito 1• Un'analoga insensibilità si riscontrò a proposito delle operazioni in Balcania. Sfuggì del tutto a governo ed a Comando Supremo l'opportunità di dare maggiore evidenza alla nostra partecipazione. La 35 cli visione italiana (gen. Mombelli), che raggiungeva la cospicua forza di 52 mila uomini, aveva una consistenw di 24 robusti battaglioni, mentre, ad esempio, le divisioni francesi erano su 9 battaglioni. Sarebbe stato perciò saggio dar vita, senza molto sforzo, ad un corpo d 'armata, anche perché probabilmente la difficile questione dell'unione con il nostro XIV corpo (gen. Ferrere) in Albania - osteggiata dal Comando francese - sarebbe stata portata su un piano differente. Cosicché nel luglio 1918 gli Alleati schieravano in Macedonia 1 armata francese, I britannica, 2 serbe (nel cui orclinamento, però, non esisteva il livello corpo d 'rumata), 1 greca e ... l divisione italiana. Come meravigliarsi allora, se alla fine delle ostilità, la stampa ellenica defirù il contributo italiano «insignificante»? Per converso, manifestammo la sensibilità di costituire due armate «alleate» alla vigilia di Vittorio Veneto. Il preteso motivo di opportunità diplomatica era comunque infondato, perché nei confronti del generale Albricci, comandante ciel nostro Il corpo in Francia, Foch neppure si sognò di fare altrettanto, applicando un criterio di reciprocità. Sul piano operativo, come sappiamo, ambedue i nostri comandanti ricevettero critiche in Italia già durante la guerra e naturalmente i rimarchi vennero ripresi all'estero. A Cadoma furono addebitati essenzialmente «l'attacco frontale» e Caporetto; a Diaz, la reticenza ad attaccare e la soggezione di pensiero a Badoglio. Per Cadorna, pens iamo dimostrato ad abundantiam essere ovunque l'attacco frontale tattico un inevitabile derivato della stabilizzazione del fronte, soprat-

'In rrancia fu nel 1919 che il maresciallo Joffre venne convocato da una Commissione d'inchiesta. Quando gli fu domandato chi avesse elaborato il Piano XV li, da lui sottoscritto come capo di Stato Maggiore cd accettato come vice-presidente del Consiglio Supremo di guerra. rispose: «Lo Staio Maggiore» e, invitato a fare i nomi degli ufficiali che vi avevano lavorato, affennò: «Non ri cordo ... Un pi;uto è 011'idea, sta nella testa di qualcuno e non viene riportato sulla carta ... Mi state chiedendo un sacco di cose alle quali non posso rispondere. Non so niente» (dai verbali dell a Commissione Briey, riportati in appendice a «Les erre11rs d11 Hm11 Commandemenr») cit. in J.F.C. FvLtER, Le bauaglie decisive del mondo occidenwle e loro influenza sulla storia, USSlvffi, Roma 1988, p. 190. Del resto lo stesso Joffre scrisse nelle sue memorie che <<Non vi fu mai un piano d'operazioni scritto» e che gli studi erano stati «limitaù all' individuazione delle modalità per realizzare una conccnlrazione delle forze» (ibidem).


CONSrDERAZIONl CONCLUSIVG

841

tutto in occidente, per tutti i belligeranti. Quanto a Caporetto, pur senza richiamare le disavventure occorse agli Alleati in Francia l'anno successivo a dispetto della nostra «esperienza», ci sembra di poter sostenere che, ad esempio, il fa llimento del Piano XVII sia stato qualcosa di più imponente sul piano strategico, morale e materiale, di Caporetto. Non per niente l'esercito francese fu costretto a precipitosa ritirata, una parte della Francia fu invasa, la caduta di Parigi parve così inuninente che Governo e Parlamento si trasferirono d'urgenza a Bordeaux e l'occupazione del suolo francese si protrasse fino all'armistizio! Per Diaz, la lunga esitazione a decidere l'offensiva finale sarebbe dovuta risultare, in fond o, comprensibile, sia per la palese sproporzione tra l'entità dello sforzo ed i prevedibili risultati di un' operazione nel Trentino; sia per il timore di . compromettere con un attacco prematuro ed avventato l'esito della nostra guerra. Ricordiamo che nell'estate la conclusione del conflitto era stata da tutti gli Alleati prevista per la primavera del 1919, se non più tardi, e che impegnare a fondo con un' azione sugli Altipiani, per giunta di dubbia Jiuscita, lo strumento bellico riordinato dopo la battaglia del Solstizio significava rischiare un pernicioso logoramento, compreso l'anticipato impiego della classe 1900. Quanto alla questione Badoglio, a prescindere dalla molto più spiccata personalità di questi rispetto al precedente sottocapo Porro, è noto con quanta detem'linazione Diaz abbia bloccato la richiesta del generale Cancva, presidente della Commissione d'inchiesta: «Badoglio non si tocca! Ne ho assolutamente bisogno qui, al Comando Supremo!». Da ciò l'idea che la vera mente del Comando Supremo fosse Badoglio. Convinzione, aggiungiamo, avvalorata dall'aver Orlando e diversi minjsui diffuso la constatazione che in ogni seduta cui partecipassero insieme Diaz e Badoglio, quasi sempre era quest'ultimo a prendere la parola, mentre il primo si limitava ad annuire 1• Ma, anche ammettendo la maggior parte di merito all'opera di Badoglio, è evidente che la responsabilità piena ed assoluta appruteneva a Diaz. Del resto, un apprezzamento del genere già esisteva nei riguardi del binomio Hindenburg-Ludendorff ed anche del binomio Foch-Weygand. Avvalendosi della personale conoscenza e della possibilità di «controllo» attraverso testimonianze e documentazione, Liddell Ha1t ha tracciato con estrema perspicacia ed equilibrio alcuni «medaglioni» delle principali personalità militari dell'epoca: Joffre, Foch, Pétain, Gallieni, Haig, Pershing, Falkenhayn, Ludendorff, sintetizzando gli aspetti salienti del loro carattere ed i principali eventi bellici che li videro protagonisti 2• Uoyd George e Clemenceau hanno, del pari, scritto con estrema franchezza dei condottieri sul fronte occidentale. Tutti furono degni di lode per alcuni versi ed oggetto di critica per altri. I nostri capi non si mostrarono affatto inferiori a quelli alleati. Tutti ebbero la giustificazione di

.

Cinque capi nella tonnema e dopo cii., p. 209. B.H. Lmnro1.L H,,RT, Rép11tatio11s, Payot, Paris 1932.

' A. L UMBROSO. 1


842

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

trovarsi a combattere una guerra quale mai era esistita simile nella storia: una guerra gigantesca su un fronte stabilizzato, che per quattro anni non riuscirono a sfondare né con le battaglie di uomini, né con quelle di materiali. Soltanto nel tardo 1918, sull ' ultimo dei cosiddetti «fronti secondari» - quello italiano - si aprì, quasi improvvisamente, la via al successo finale. Lloyd George osservò non essere privo di significato il fatto che su tutti i fronti secondari, «tanto trascurati dai profeti della nostra strategia militare>>, la vittoria sia stata ottenuta prima che sul principale. Se questo si fosse verificato in precedenza, la durata della guerra sarebbe stata abbreviata 1• E 1'esercito italiano fonù la prova irrefutabile di non essere da meno di quello austro-ungarico, né pare che le unità alleate che valorosamente combatterono sul nostro fronte dopo Caporetto abbiano messo in evidenza segni di particolare superiorità rispetto alle italiane. Giorgio Rochat si è soffermato sull'argomento, sottolineando due fattori molto significativi per un giudizio sull'efficienza del nostro esercito. Prima di tutto esso rispose in pieno alle esigenze politiche del governo ed anzi andò o ltre le aspettative, perché provocò il crollo dell'AustriaUngheria; in secondo luogo, ebbe «la capacità di continuare a combattere malgrado tutto, gli elementi interni di debolezza, la mancanza di successi e le perdite spaventose». Si pensi - rimarchiamolo bene - alla massa dei circa 350 mila sbandati di Caporetto, che fece apparire gigantesche le «perdite» del pur grave rovescio e che in breve tempo fu recuperata senza contestazioni, rivolte o ammutinamenti e riprese a battersi 2 • I meriti del soldato italiano vennero però sbandierati in Italia tardivamente e con una vivacità che andava oltre la naturale reazione agli ingiusti giudizi dall'estero, disinformati o tendenziosi; una vivacità che, sconfinando nell'aggressività, sembrava tradire un intimo sentimento di debolezza, ben rilevato da SetonWatson; il dubbio interiore di non essere stati all'altezza dei francesi e degli inglesi, il senso di fastidioso rincrescimento di aver concluso le operazioni entro le frontiere nazionali. «Caporetto aveva riaperto le ferite di Custoza e di Lissa del 1866 e di Aclua del 1896. Al I.a fine la villoria era stata conseguita, ma in che misura era dovuta all' Italia? Il successo italiano era stato forse qualcosa di più di una mezza vittoria, offuscata da precedenti fallimenti, così come quella di Libia del 1912?». Pensiamo che vi sia del vero in questa analisi. Così come è certo che una classe politica più matura avrebbe avuto maggior fiducia in se stessa, scrollando dalle spalle con noncw-anza qualsiasi insicurezza. Una Grande Potenza non è ipersensibile. D'altro canto, dall'ancor giovane regno d'Italia non si poteva pretendere che affrontasse compatto una prova bellica delle din1ensioni

' D. LLOYD G cORGE, Memorie di guerra cit., ill, p. 373. ' G. R OC:HAT, Come misurare l'efficienza dell 'eserciro italiano nella Grande Guerra, rcla;,.ione presentata al Convegno di Trieste del 28 settembre- l O ottobre 1995.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

843

della «grande guerra»; una prova che costituì la più grave crisi sopportata dallo Stato e dall'esercito italiano a cinquant' anni dall'Unità. Continua Seton-Watson: «(...) l'Italia era entrata in guerra già divisa ed era ancora divisa quando il conflitto fitù. In nessun altro dei paesi vincitori la giustezza o la follia della guerra, il suo attivo o il suo passivo diventarono un argomento tanto dranunatico della polemica politica» '. Quello che ci venne rifiutato parve più importante di quanto ottenuto ecosì un sempre maggior numero di italiani «si convinse che la villoria era stata mutilata e che la guerra era stata combatu1ta invano» 2. Per concludere, sembra giusto e doveroso riportare il pensiero di un nostro avversario di.retto, l'arciduca Giuseppe, espresso in una lettera personale al barone A. Lumbroso, a pace sopravvenuta: «( ...) mi sia concesso, e come combauentc, e come esperto di cose guerresche, e come cx avversario (ora convinto e sincero runico dell'Italia), dichiarare che ogni Italiano può essere licro dell'eroica abnegazione delle truppe del suo Paese e dei due gran di suoi Capi nella guerra mondiale. Tutto ciò deve essere ammesso e riconosciuto da qualunque avversario non animato da prcconceuo e rievocato con cavalleresca anunirazionc» ' .

' C. SETON-WATSON, l'Italia dal liberalismo a/fascismo cit., Il, pp. 653-654. 'Ibidem, p. 654. ' A. L UMAROSO, Cinque capi nella torme/Ila e dopo cit.


844

LA PRIMA GUER RA MONDIALE

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Fac-~imile della lettera di S.A.I. e R. l' Arciduca Giuseppe, Maresciallo d ' Ungheria, Scrittore militare, Douore della Università di Budape~t e di Kolozsvàr.


CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

845


846

LA PRTh!A GUERRA MONDIALE




INDICE DEI NOMI*

Aerentbal Alois Lexa von, 7, 18. Ago Pietro, 420. Ai raldi Giovanni, 17 1. A /berti Adriano, 13-15, 64, 220, 763, 787, 792,794,795,807,814,818,819. Alberri11i Luigi, 15, 17, 18, 27-30, 40, 4 1, 43, 44, 46, 48, 52, 54, 56-58, 233, 318, 598, 7i56, 807. Alberto I re dei Belgi, 113. Albricci Alberico, 5, 289, 457, 458, 490, 565,683,840. A.ldrovandi Marescotti Luigi, 386,391,451 , 481,5 12,600,601, 608,6 15,6 17,619, 632,640. Alekseev MikhaiJ Vasilevié, 199,25 1,255, 307,314,323. 332,333,376. Alessi Rino, 437, 482, 483, 557, 601 , 637, 684. Alfieri Vittorio, 448, 612, 613, 615, 632, 650,678, 697,762,828. Aliotti Carlo Alben o, 31. Aliprandi Fiorenzo, 171. A/fard Paul, 436. Amari Giuseppe, 286. Amato Pasquale, 70. Ambrozy Ludw ig, 27. Angeloni Cleto, 171. Anthoine François-Paul, 456. Arrighi Giovanni, 57 1. Arz von StrassenburgArthur, 403,49 1,550, 619,621,672,673,693,694,710.714, 7 16,717, 763-765, 780,787. Asburgo are. Carlo, 315. Asburgo are. Eugenio, 165, 167, 170, 183, 230, 291-293, 296, 305-308, 403, 553, 554,566,619,640,843. Asburgo are. Federico, L43, 403. Asburgo are. Francesco Ferdinando, 19, 25, 32, 39, 45.

Asburgo are. Giuseppe Ferdinando, 153. Asburgo are. Giuseppe, 232, 326, 328, 343, 344, 697,7 13, 716, 764,765, 766, 780. Asburgo are. Pietro Ferdinando, 566, 694, 765. Asquith Herbert Henry, 4 l, 104, 112. l 13, 252, 382, 827. Astengo Piero, 543, 546, 656. Avama di Gualtieri Carlo, 3, 40, 42, 47, 48, 5l -53, 56-58, 70, 81. 90, 92, 94, 96-98, 105, ll l. Babington J.M., 762. Baden Max vou, 749, 751. Badoglio P ietro, 342, 420, 487, 488, 491. 497,521,532, 544-546, 548, 560,562, 565, 567,575, 619,62 1,636, 637,656, 657, 659-66 1, 679, 702, 704, 705, 727. 730,738,740,746,747,754,762,797, 801,804,807,811,828,841. Baj-Macario Gianni., 277, 281, 282, 286, 289, 292, 293, 296,306,315, 41 6,417, 428,462, 475,487,493,494, 496,500, 501, 502. Balfour Anhur James, 717. Bandini Oreste, 368. Barattieri di San Pietro Wann ondo, 344, 347,600. BarrèreCamille,40,41 , 107,109,1 10,2 16, 2 17, 226,227, 332, 640,690,740. Barthou Jean-Louis, 37. Barzilai Salvatore, 303. Barzini L uigi, 637. Be!ow Otto von, 553, 554, 566, 587, 605, 619, 640, 665. Bencivenga Rober/0, 33, 66, 74, 75, 133L35, 140, 146, 165, 168. 190, 192, 197, 205, 209,22 1,223, 229-231, 237,238, 241 , 276,282, 283,286,290,296, 300303, 306,309, 314,316,322,325,331,

N.B. In corsivo i nomi degli autori citati ne l testo.


850

POLlTICA E STRATEGIA IN CENTO ANNI DI GUERR E ITALIANE

333, 342,343, 346,351 ,365,370, 386, 400, 4 16-418, 427, 42.8, 431-433, 438, 439,443,445,456, 457,462,466, 468, 470-472, 474,497, 498,507,5 15, 516, 540, 550,599, 654,655,666, 668, 81 6, 8L7-8 19, 825. Benckendorff Aleksandr Konstantinovié, 41, 104. Benedetto XV, 482, 483, 606. Berchtold Leopold von, 3, 5, 7, 8, 15, 1721 , 23, 25-30, 32, 40, 42, 44,46, 47,5158,90, 91 , 133, 836. Bernhardi Friedrich von, 823. Bemstorff Johann Heinrich von, 402. Berrer Albert von, 556, 566, 582, 587, 664. Berthelot Philippe, 41 . Bertie ofThamcs Francis, 41. Be1tolini Pietro, 207. Bertotti Emilio, 228, 245, 258, 274. Bethman n-HollwegTheobald von, 3, 9, 19, 23, 24, 31, 38, 40,42, 43,55, 57, 94, 95, 164,269, 401,836. Bianchi Riccardo, 835. Bismarck-Schoenhausen Otto von, 8. Bissolati Leonida, 319, 353,354,396, 447, 481-483, 521, 604, 606, 613,615,6 19, 630, 632,633,674, 738, 836. Bliss Tasker H., 750. Bloise Carlo, 505. Bollati Ambrogio, 133, 164, 167, 170, 183, 192, 196, 198, 203,308,328, 350, 427, 444, 480, 664. BoUati Riccardo, 40, 44-48, 51-53, 57, 58, 70, 81 , 90, 97, 101, 105. Bombacci Nicola, 685. Bongiovanni Luigi, 97,236,537, 544, 546, 562, 565,761,820. Bonin Longare Lelio, 628,640, 717, 718, 732, 734, 735, 738, 739, 747, 755. Bono mi. I vanoe, I 06, 3 19, 606. Borbone-Parma Sisto di, 402. Borghese Livio, 512, 513. Boroevié von Bojna Svetozar, J65, 170, 176, 177, 191, 203, 221,232, 292, 293, 343,344, 349, 351 , 364,370,427, 475, 491, 493,553, 554, 566, 621,673, 674,

693, 694, 710, 712,7 13, 763, 765, 766, 775,777,780, 785,792. Boselli Paolo, 111 , 144,3 18,3 19, 326,353, 354, 356, 368-371 , 380-384, 391-393, 396, 398-400, 404, 437, 445-447, 451 , 452, 456, 481 -484, 508, 588, 593,643. Brancaccio Nicola, 384, 409, 628, 654, 8 14, 834. Bratianu Jon, I02, 27 I, 332. Breganze Giovanni, 147, 207, 219, 220, 283,409, 453,820. Briand Aristide, 37, 154, 227, 251, 252, 270,277, 321,372,374,379,380, 382, 385, 388, 394, 397. Briccola Ottavio, 171. Brusati Roberto, 86, 170, 171 , 178, 278, 279, 281,282, 285, 286, 289, 290, 303, 305,318. Brusati Ugo, 5, 11 , 21 , 22, 60, 6 l, 108, 110, 265. Brusilow Aleksej Alekseevié, 285, 308, 323, 354, 389. BU!ow Bernhard von, 8 1, 82, 90, 91 , 93, 107. Bu1iàn von Rajecz Istvan, 91 -94, 98, 105, 164, 402, 763. Bussche von der, 769. Cabiati Aldo, 443-445, 551,586,589,593, 598, 608, 662, 668. Cadorna Luigi, passim. Cadoma Raffaele, 4 19. Caillaux Joseph-Marie, 37, 61 8. Calcagno Riccardo, 514, 545, 744, 757. Calderari Luigi, 14, 62. Cambon Jules, 40, 41 . Cambon Paul, 41 . Camerana Vittorio, 171, 565, 697, 762. Caneva Carlo, 353, 66 1, 841 . CapelloLuigi, 133, 171 , 179,192,229,230, 233,241, 242, 244, 260,26 1,316,317, 328,335, 337, 339,341, 344-349, 351354, 358, 359, 363, 364, 366, 404,407, 4 18-420, 425, 427, 43 1.-433, 438, 462, 466, 468, 470-472, 474, 485, 487, 490494, 486-501, 505-507, 51 0, 51 6-518,


INDICE DEI NO.Ml

250-255, 252, 526, 528-532, 534-538, 540, 541, 543-546, 548, 557, 564, 564, 567, 569, 571 ,575, 578, 584-587, 591 , 650, 651, 655-657, 659-661, 680, 714, 800,820. CaraccioloMario, 101,104, ISO, 154, 155, 187,201,454,580, 593,597,616,641, 654, 678, 734, 822. Carcano Paolo, 88, 108, 109, 111 ,228,319. 355,374. Carignani Carlo, 419. Carlo I imperatore d' Astria, 402,403, 432, 49 1, 551-553, 587, 640,672,673, 694, 710,713,717,736, 764-766, 778. Carlotti di Riparbella Andrea, 40, 41, 48, 58, 59, 67, 82, 102, 105, 149, ISO, 155, 181, 186, 199,20 1, 367, 380, 390, 391, 513,593. Caro! II re di Romania, 25. Carpi Vittorio, 171. Cartier Raymond e Jean Pìerre, 238, 242, 252,387, 406,409. Casali Pietro, 584. Castelnau Noel-Edouard de, 208, 220, 242, 380, 406. Cattaneo Giovanni, 697, 762. Cavaciocchi Alberto, 485, 521 , 543, 545, 548,565,571, 587,656. Cavallero Carlo, 587. Cavallero Ugo, 471, 536, 545, 546, 586, 587,690,743-745, 747, 804.807. Cavan Frederick Rudolpb, 697, 734, 748, 757,762,772,783, 807. Ceva Lucio, 143, 144,650. Chlumecky Leopold von, 95. Churchill Winston, 41 , 113. Ciancio Giuseppe, 171, 420. Cigliana Giorgio, 171, 328,335,420. Cittadini Arturo, 630. Clark Alan, 821. 827. Clemenceau Georges, 483, 618, 632, 638, 676, 681, 683, 685-691, 721, 722, 725, 726,728, 736,739,740, 750,755,814, 836,841. Coardi di Carpenetto Edoardo, 171. Como Dagna Savina Angelo, 444.

851

Conrad von HoetzendorfFranz, 5-8, 12, 13, 17, 19,25,3 L,32,40-44,S5,64,92,94, 95, 97, llO, 143, 164, 165, 167,168, 19 1, 232, 258, 266-269, 29 1-293, 308, 309, 323,355,356,403,406,407,444,SSl, 553,566,619,621,630. 643,673,693, 694, 706, 7 16, 825. Cora Giuliano, 52, 53. Corbino Epicarmo, 36. Corridoni Filippo, 106. Corse/li Rodolfo, 603, 8 16. Corsi Catnillo, 218, 259,3 19, 448. Costantino I re degli EJleni, 213, 382. Cramon A11g11st vo11, 95,267,268,293,550, 692,763. Crespi Silvio, 722, 786, 829, 835, 837. Croce Giovanni, 697, 762. Csanàdy von Bénés, 694, 765. Csicserics von Bacsàny, 477,566,694,765. Czernin von und z.u Czudcnilz Ottokar, 402, 550, 552. D'Annunzio Gabriele, 110. D'Avanzo Nicola, 171. D'Urbal, 153. Dall'OlioAlfredo, 123, 183,277,355,448, 598,602. Daneo Edonrdo, 88. DaniJov Juri Nikiforovié, 41. Dankl von Krasnik Viktor, 29 l , 292, 294, 309,315. De Albertis Vittorio, 419, 565, 627, 697, 752. DeAmbris Alceste, 106. De Bono Emilio, 697, 712. De Bosdari Alessandro, 836. De Chaurand De Saint Eustache Felice, 171,241. De Civrieux, 397. De Felice Renzo, 653. De la Gorce Paul-Marìe, 6 18. De Marchi Ernesto, 8 IO. De Marinis Stendardo Albe1to, 448, 453. De Martino Giacomo, 27, 40, 51 , 52, 632, 787.


852

POLlTICA E STRATEGIA IN CENTO ANNI DI GUERRE ITALI ANE

De Negri G. Bartista, 438. Del Bono Alberto, 602. Del Mastro Cesare, 171. Delmé-Radcliffe Pcrcy, 507. Derby Edward George Villiers, 508, 511 , 513. Di Giorgio Antonino, 59 1, 697, 762. Diaz Armando, 4 19, 565, 603, 613, 6 19, 621,624,630,631,633,634,636,637, 64 1,661,676,677, 679,680,684,68669 1, 696,697,699,703,704,710,714, 7 15, 718-723, 726-730, 732, 734, 735, 738-740, 742-744, 751, 752, 754, 756, 757. 759,761 ,762, 774,777,781,786, 787, 789, 794, 795, 799, 800-804, 808, 810-812, 814, 828-832, 841. Douhct Giulio, 3 I9. Druetti Luigi, 157, 171. Dub,ùl Augustin-Edmond, 219. Dubois Picrre Alfrcd, 238. Erzberger Matthias. 91 , 94. Essad pascià Toptan i, 21.

Etna Donato, 290, 442, 592, 762. Fabbri Augusto, 442,565,627. Fabini von, 410. Fadini Francesco, 548,554,6 19,650, 661 , 665. FaldellaEmilio,69, 76,103,160,172, 180, 190,222,234,236,24 1,242,294, 353, 365,385, 482,500, 5 15,522,578, 544, 571 , 584, 586, 650, 65 l, 652, 656, 659.

Falkenhayn Erich van, 14, 15, 40, 42, 64, 95,97, 101,143, 164,1 65,167,168,191, 2 19,242,243, 265-269, 291,293,308, 323, 324,328,332,352,353,355, 841. Fara Gustavo, 171. Farisoglio Angelo, 57 l , 573. Fasciotti Carlo, 86, l02, 181 , 332, 368. Fayolle Emile-Marie, 238, 242, 322, 641 , 676, 679. Fera Luigi, 632. Ferdinando l re di Bulgaiia, 23.

FerrariGiuscppe,565,627, 697, 762. Ferrero Giaci11to, 273, 274,447, 594. Ferri Enrico, 482. Ferri Ferruccio, 171 . Ferry Abel, 642. Flotow Ludwig von, 24, 30, 40, 45, 46, 51 53, 58. Foch Ferdinand, 153, 177, 208, 219, 220, 322,373,379,380,400,419,436,448455,457,458,460,494, 508,580, 597, 603,605, 614-6 17, 619,628,630,63 1, 640, 645, 646,654,678,679,681, 683, 685-69 I, 7 19-723, 725-730, 734, 736, 738-740, 743,744,747,750,794,795. 798,799, 80[-804, 814, 824,830,840, 841. Foerster Wolfgang, 6. Forgach, 40. Fournier A., 201. France Anatole, 436. Francesco Giuseppe l imperatore d' Austria-Ungheria, 25, 40, 42, 55, 58, 90, 9 1, 95, lll, 165,402. Franchet D 'Esperey Louis-Félix, 154, 242, 406,736,739, 813. Frauklin-Bouillon Henri, 613. French John, 149,199,201,270, 609,82 1, 826, 827. Friz Giuliano, 10, 100. Frugoni Pietro, 86, 170, 175-177, 205,229, 230, 300, 820. Fuller John Frederick Charles, 824, 827, 840.

Gabba Melchiade, 515,545, 57 1, 578,584. 598, 604, 819. Gabriele Mariano, 10, 100. Gallieni Joseph-Simon, 2 1.9, 25 l , 272, 273, 841. Gallwit.zMax, 814. Gandolfo Asclepio, 587,697,7 10, 762. Gasparri Giovanni Pietro, 106, 685. Gastnldello Annibale, 171. Gatti Angelo, 63. 176, 278, 41 O, 425, 431 , 432, 437-439, 443, 456, 464, 481, 482, 487,498,5 15, 522,523, 573,578,584,


[NDICE Del NOMI

591,592,603,604,610,612,613,615. 617,62 1,636,637, 662, 8 16,825. Gatti Antonio, 4 19, 493,565,627. Gaucbet Henri, 280. Gazzera Pietro, 5 15. Geloso Carlo. 182. 546. Ghcrsi Giovanni, 697, 762. Ghisa/berti Carlo, 112. Giardino Gaetano, 438, 448, 456, 481 -482, 508,5 10,5 11, 549, 598,602,6 13,615, 619, 621, 623, 624, 627, 628, 630-632, 634, ~36, 637, 644,669,679, 686,705, 706, 710, 746-748, 759, 76 I , 762, 770. 777,798,801,808,828. Giers Mikbail Nikolaevié de, 110,216,251. 3 14,384. Giolitti Giovann i, 9, 2 1, 22, 24, 30, 32, 48, 93, I05-112, 225, 600, 634, 643. 833. Giorgio V redi GranBretagnaeirlanda,41, 2 14,333,355,606. Giovanoelli, 109. Girarduù Giuseppe, 830. Glaise Horste11a11 Ednnmd von, 502, 503, 774,808. Gobbo Gaetano, I 71. Goglia F. von, 765, 766, 783. Goiginger Ludwig von, 177,491.493, 694, 710. Gondrecourt Henri de, 216, 377,408,597. Gough Hube1t, 322, 456, 681 . Gouraud Henri-Josepb-Eugène, 226, 227. Graziani Andrea, 289, 627, 8 I O. Graziani Jean-César, 683, 684, 690, 69 1, 697, 748,757,762. Grazioli Francesco Saverio, 485, 565, 697, 762, 783, 809, 811. Grey of Falloden Edward, 22, 27, 86, 93, 103, 112, 213, 277, 836. Groener Wilhelm, 14, 795. Guerrini, 245-247, 273. Guglielmo Il imperatore di Gem1ania e re di Prussia, 6, 13, 20, 25, 29, 40, 42, 55, 58, 94, 213, 268,269, 355, 402, 552, 778. Guicciardi di Cervarolo Carlo, 171. Gunaris Demetrio, 2 13. Gu rko Basilio, 390.

853

Haig Douglas WilJiam, 270, 322,377, 379, 393-395, 406, 449-45 1, 453, 454, 458, 608, 609, 645, 646, 65 1, 676-678, 68 1, 683, 686, 689, 730, 756, 802, 813, 826, 827,840,84 1. Haldane Richard, 38, 4 I . Haus Anton, I O. Heeringen fos ias von, 38. Henriquez Heinricb von, 553, 566. Herbillon d', lOI, 154,273, 580. Hindenbu rg und Beneckendorf Herbert von, 101. Hindenburg und Beneckendorf Paul von, 355, 356,401,403,503.551,553,638, 671-673, 7 16, 717, 722, 732, 748, 749, 763,812,8 14,818,84 1. Hintze Paul von, 748. Hofacker Eberhard, 605. Hordt Thcodor, 566. Horsetzky von HorntJ1al, 694, 765. House Edward Mandell, 402. Hoyos Johann Emst, 40. Hussareck Max, 813. Imperiali di Franca villa Guglielmo, 40, 4 1, 48, 67, 69, 8 1, 103,181, 186, 199,201, 212-214, 226,277,312,333,355,367, 380,383,388,433,507,508, 593,600, 60 1,606,608, 638, 7 17,774. l:Gvolskij Aleksandr Pet:rovié, 41, 58, 25 1. Januskevié, 4 1, 149. Je llicoe John Rushwort, 433, 454. Joffre César-Joseph-Jacques, 37, 41 , 68, 104, 147, 149, 153, 154,200,201,207, 210, 218-220, 226, 227, 238, 242, 249252, 270, 272, 273, 276, 283, 290, 307, 309, 3 14, 320-323, 33 1-333, 366,368, 370, 371 ,374, 376,377,379,380,387, 435,667,821.824,826, 840,841. Jagow Goulieb von, 4, 5, 40, 42, 46, 47, 52, 56, 57, 90. Kaiser Julius von, 566. Karadjordjevié Aleksandr, 149, 150, 155. Kàrolyi Mihàly, 792.


854

POLITICA E STRATEGIA IN CENTO ANNI DI GUERRE ITALIANE

Kerensk:ij Aleksandr FedoroviĂŠ, 454, 649. Kettler von Grornnik G., 566. 765. Kiderlen Waechter Alfred von, 5. Kitchencr Horatio Herbert, L04, 11 3, 155, 199,226,251,252,322,82l,826,833. Knox Alfred, 390. Koevess Hennann von, 268, 763, 764, 792. Krafft von Dellmensingen Konrad, 190, 191, 550, 552-554, 580, 587, 605, 631, 638, 640, 650, 656, 659, 661-665, 667, 668. Kralicek, 410,477,516,694, 765. KraussAlfred, 553, 554,556,566, 582,587, 631,640,664,665. Krauss R., 694, 765. K.rautwald Joseph von, 439, 443, 566. Krobatin Alexander von, 40,553,566,694, 764,765,780,785. Lacaze Lucien, 380. Lang Guglielmo, 17 l. Langle de Cary Femand de, 273, 309. Lazzari Costantino, 685. Le Beau von, 49 1. Le Bon Ferdinand Jean-Jacques, 454. Lenchanlin Luigi, 171. Leonardi Cattolica Pasquale, 11. Lequio Clemente, 170, 171,175,205. Lequis Amold, 573. Lichnowsky Karl Max, 40, 41. Liddel Hart Basi/ H., 322,802, 827, 84 1. Liman von Sanders Otto, 28, 29, 39, 155. Lindner Bela, 792. Lloyd George David, 38, 154, 277, 312, 382-389, 395,396, 402,405,406,417, 419, 449, 450, 452-455, 457-459, 507, 508,5 10, 591,597,606, 608-610, 613618, 638, 645, 651, 678, 68 1, 683-685, 723,750,756,795,797,799, 812-814, 822, 836, 841, 842. Lombardi Stefano, 565,697, 762. Longo Luigi Emilio, 809, 811. Loucher Louis, 725. LudendorffErich, 4, 38,355 ,356,401.55 1, 553,619,621,672,681,689,692,717,

719, 748,749, 795,803,813,818,831, 841.

LumbrosoAlberto, 603,613,616,801, 820, 828,841,843. Llitgendorff K. von, 694, 765. Lyautey Louis-Hubert-Gonzalve, 380, 385, 387, 389, 397.

Macchi di Cellere Vincenzo, 747. Macchio Karl von,40, 53, 56, 109, 1.11, 133. MacDonald Ramsay, 606. Mack Smith. Denis, 600. Mackensen August von, 217,268,403. Malagodi Olindo, 483,521,593,602,606, 616,634,651,653,736, 738,744,747, 800, 804, 833, 83. Malapmte Curzio, 261, 262. Malatesta Alberto, 482, 643. Malvy Louis, 483, 6 L8. Mambretti Ettore, 171,354,407,439, 442444, 446. Mangin Charles-Marie-Emmanuel, 32 1, 646. Maranini Giuseppe, 112. Maravigna Pietro, 725, 726. Marazzi Fortunato, 171,815. Marchetti Odoardo, 188, 514. Marchetti Tullio, 522, 523, 597, 6 IO. Marcora Giuseppe, 11 O, 1I I. MariĂŠ, 177. M.arinetti Filippo Tommaso, 106. Marini Pietro, 171 , l8 1. Martin-Franklin Albe1to, 42, 51. Martini Ferdinando, I 09, I 56, 157, 159, 207, 212,213,225,259,260,263,264. 274,282,283,303-306,317, 730,830. Martiny von Malastow Hugo, 566, 594, 765. Mazzetti Massimo, 4, 6, 12, 22, 652, 674. Melchionni Maria Grazia, 75 1, 837. Melograni Piero, 213, 261, 265, 275, 305, 319,437,642,653. Mennsdo1f Albert, 18, 40. Merey von Kapos-Mere Kajetan, 2 1, 24, 27, 30,40,47,48,51,56, 58.


INDICE DEI NONU

Messimy Adolphe-Marie, 37, 41, 405. Micheler Joseph-Alfred, 405, 406. Millerand Etienne-Alexandre, 147, 148,

200,201,208,219,250. Milner Alfred, 683, 736. Modigliani Giuseppe, 650, 651, 829. Moltke Helmuth von, 3-6, 8, 9, 12-14, I9,

38, 40, 55, 95. Mombelli Ernesto, 840. Mondini Luigi, 68. Montanari Carlo, 7, 14, 147, 148. Montanari Mario, 228, 258, 274,367, 447. Montanari Umberto, 697, 710, 762. Montecuccoli R., 10. Montgomery Bemard Law, 824. Monticone Alberto, 26. Montuori Luca, 309, 442, 491, 522, 535,

543,545, 548,569, 586-589, 591,594, 657,660,667, 697,704,706,715,762, 820. Mordaq, 678, 689. Morgari Oddino, 605. Mo1rnne Paolo, 171, 275, 303, 305, 306, 3 17,319, 448,697, 762,828. Mosca Gaetano, 319. Mussolini Benito, 106, 107. Nasalli Rocca Saverio, 17 1. Nava Luigi, 86, 170, 171 , 179,180,209,

210. Negri di Lamporo Ettore, 442. Nicola I re del Montenegro, 21,258. Nicola li zar di Russia, 41, 43. Nicolis di Robilant Mario, 171, 175, 176,

196,205, 210,407,565,589,623,627, 637,686,718,722, 725,727,729, 730, 734, 794, 795. Nitti Francesco Saverio, 103,319,602, 613, 653, 674, 685,725,726, 740,786,8 15, 830. Nivelle Robert-Georges, 309, 320, 321 , 374, 380, 385, 387-389, 391-398, 400, 405, 406,408,409, 411,432, 435,436, 645,648,686,824. Ojetti Ugo, 6 17, 619.

855

Orlando Vitto1io Emanuele, 290, 304, 306,

319,447,448,451, 482, 484,521,602605, 608, 610-6 13, 615-618, 630-634, 636,642,643,651,653,661,669, 674, 678, 685-687, 690-692, 718, 719, 721, 726, 729, 732, 734-736, 738-740, 746748, 750-752, 754, 756, 757, 774, 786, 789,794, 799,803, 807,808,815,829, 830, 833, 835-837. Painlevé Paul-Prudent, 397,406,409, 436,

452, 483, 511 , 513, 593, 608-610, 613, 618, 638. Paléologue Maurice, 41, 208. Pantano Gherardo, 156. Paolini Giuseppe, 661. Papafava Novello, 548,650, 657,659, 660. Paratore Giuseppe, 661. Pasié Nicola, 18, 26, 154, 155, 181, 187, 227. Pecori Gi.raldi Guglielmo, 171, 290, 299, 306, 308, 312, 314-316, 318,407, 565, 627, 697, 762. Pedroncini Gu.y, 436. Pellé Maurice, 147, 380. Pennella Giuseppe, 565, 627, 715, 762. Pershing John Joseph, 455, 685, 686, 841. Pétain Henri-Philippe, 238, 273, 309, 320, 321,379, 405,406,436, 448,452,454, 455,483,511, 513, 593, 645,646,661, 677,678,681, 683,689,730, 841. Petitti di Roreto Alfonso, 171, 333, 428, 594,627, 697, 801, 820. Petracchi Giorgio, 105 . Piacentini Settimio, 325, 343, 346, 349, 350, 407, 433, 565,627,659,697. Piccione Luigi, 702. Pieri Piero, 106, 109, 129, 191,315,545, 642,650,653,657, 659, 661, 662,665, 668,829. Pietro I re di Serbia, 370. Pintor Pietro, 47 l, 515. Pirozzi Nicola, 171. Pitreich Iieinrich von, I 91, 198, 428, 475, 487,491, 493,502. Plessen Hans von, 42.


856

POLITICA E STRATEGIA IN CENTO ANNI DI GUERRE ITALIANE

Plumer Herbe11, 456,679. Poincaré Raymond, 37, 41, 43, 100, 101, 104, 153, 154,198,208,242,251 ,320, 380,405,406,436, 481-483, 618, 686, 728, 730, 814. Policyn, 347, 384. Pollio Albe110, 3-7, 11-15, 32-36, 59, 62, 64, 73, 84, 239,598. Porro della Bicocca Carlo, 32-34, 67, 99, 200,201,252,253,272,277,304,307, 318, 334, 374, 375,377,379, 389,439, 535,536,540, 580, 6 15-618, 62 1, 637, 650, 817, 818, 841. Potiorek Oskar, 90. Prelli Giovanni, 171. Primicerj Giulio, 742, 755, 763, 766, 778, 780, 783,785, 792. Putnik Radomir, 150, 154, 155. Queirolo Giuseppe, 171 . Ragni Ottavio, 171 , 180. Raimondo Orazio, 661. Raspi Alessandro, 17 J. Ravazza Edoardo, 565, 567, 762. Rawlison Henry Seymour, 322. Reisoli Ezio, 171, 176, 193. Ribot Alexandre-Felix-Joseph, 380, 397, 451,483. R icci AnnaniAmrnno, 318. 488,565,627. Ricci Carlo, 171, 348. Rigol a Arnaldo, 642. Ritter Gerard, 7, 9, 38, 168, 749. Robc11son William, 307, 333, 373, 385, 387-389, 394-399, 405, 406, 433, 448452, 454,455, 457-459, 507,512,513, 580,591,597,604,605,608,609, 6146l6, 64I ,646, 678,68 I,821. Rocca Rey Carlo, 6. Rochat Giorgio, 35, 36, 53, 68, 70, 72, 147149, 485,545, 650,657,809, 820,829, 842. Rodd James Rermel, 40, 41. 48, llO, 227, 368, 449, 507, 508. 511. Rohr von Denta Franz, 76, 164, 170, 291, 292, 293, 309.

Romanov granduca Nikola Nikolajevié, 104, 149, 150, 155. Romei Longhena Giovanni, 307,372,380. Ropolo Edoardo, 149, 150. Rostagno Giacinto, 171. Ruelle Carlo, 171, 193, 196,225.

Ruffo Maurizio, 16. Ruggeri Giacinto, l 7 1. Ruspoli di Poggio Suasa Mario, 148. Sagramoso Pier Luigi, 420,487,490,497, 565, 697, 762. Sailer Emilio, 627, 762. Salandra Antonio, 30, 32-34, 36, 48, 51-53. 56, 57, 59, 60,63, 65-69, 70, 72-74, 8184, 86-11 2, 133, 140,157, L62, 163, 181 , 182, 184, 187, 188, 205-208, 210-212. 21 4, 216-218, 224, 227, 228, 246, 259, 264,265,271 ,274, 275,277,282, 303307,3 17-319,447,643,839. Salazar Michele, I 7 1. Saletta Tancredi, 60. Salvago Raggi Giuseppe, 372, 374, 381, 513, 593. San Giuliano Antonino di, 5, 9, 20-22, 24, 27, 30, 42, 44-49, 51-54, 56-60, 66-69, 70, 72, 79,81,85, 86, 88,89, 103. Sandulli Alfredo, 650. Sani Ugo, 565, 627, 697, 762. Santoro Carlo Maria, 839. Saporiti Alessandro, 565. Sarrnil Maurice, 2 15, 2 18,219, 332, 366, 370, 379, 380, 388. Sa veri Diomede, L71. Savoia Emanuele Filiberto d i, duca d' Aosta, 171, 324, 325, 327, 334, 335, 337, 339,343,344,350, 353,358,359,361, 407, 418.420,428, 462,468,47 1, 474, 490,496,578,584,589,613,614,697, 762, 820. Savoia Vittorio Emanuele di, conte di Torino, 792. Sazonow Sergej Dirnitrevié, 28, 29, 4 1, 47, 58, 67, !02, 104, 199, 20 1. SchariczervonReny G.,410,477,566, 694, 765.


INDICE DEI NOMI

Schemua von, 5, 17. SchenkA. von, 344, 410,435. Scbeuchenstuel Viktor von, 566, 694, 765. Schiavo Giovanni, 829. Schlieffen Alfred von, 8, 9, 38. Schmidt Johannes, 164. Schoenburg-Hartenstein Eduard von, 566,

694, 765, 766, 778. Scialoia Antonio, 389. Scotti Arcangelo, 171. Scotti Karl von, 4 10, 490, 556, 566, 587,

605, 6~4, 694, 769. Scrivante Giovanni, 171. Secco Luciano, 171. Segato luigi, 167,168,171 , 208,233,235,

857

Stefanovié Stefan, 200, 201. Stein Rudolf von, 556, 566, 587, 661. Storck, 25, 26, 27. Stlirgkl Joseph von, 94. Stlirgkl Karl von, 8, 40, 164. Sukho11ùinow W ladimir, 39, 41. Szilassy Julius, .l 7. Szogyeny-Marich Lazio, 18, 40, 43. Tamasy von Fogaras, 765. Tappen Gerhard, 14. Tarditi Giuseppe, 490. Tassoni Giulio Cesare, 157-159, 328, 540,

573, 762. Taylor Alan .!.P., 807, 827, 834. Testa Umberto. 545 . Tettoni Adolfo, 85, 328, 420,627. Thaon de Revel Paolo, I O, 11, 140, 454,

305,443,444,618, 630,633,638,644, 660,673, 693,706,710,730,826. Serve Roberto, 14, 704. Serra Enrico, 3 . 632-634. Seton-Watson Christopher, 102, 106, 842, Thomas Albert, 380, 388. 843. Tirpitz Alfred von, 38, 40. Sforza Alessandro, 544. Tisza von Boros-Jeno lstvan, 8, 40, 91, 95, Signorile Vittorio, 171. 164. Silvestri Mario, 650. Toscano Mario, 149, 367, 552. Sims William Sowden 454. Tosti ,1medeo, 387, 402, 403, 552. Sloninka von Holodow Adolf, 444. Treves Claudio, 447, 606,643,651. Smuts Jan Christian, 613. Triagli, 448. Tschirschky und Bogendorff Heinrich von, Soleri Marcello, 815. 29,31,40,46,48, 52, 56. Sonnino Sidney, 48, 87-90, 92-94, 96-102, 104, 105, 108-111, 148, 149, 155, 162, Tuccari Luigi, 157. 181, 182, 186-188, 199,201,202,205, Turati Filippo, 447, 643. 211-218, 226-228, 246, 25 1, 258, 259, 263,274,277, 303-306, 312,3 14,3 19, 322, 33 1-333, 353, 366-372, 374, 380- Vaccari Giuseppe, 697, 71 O, 762. 384, 386-392, 417, 419, 433, 447, 451, Vailaii Vanna, 661 . 452, 546-458, 481 -483, 507, 508, 511 - Valori Aldo, 133, 234, 328, 353. 513, 591, 593, 600-602, 606,608,610, Vanzo Augusto, 485,487, 490, 49 l . 6 12,613,615,616,628,631,632,638, Veith Georg, I96. 640,647,678, 717, 726, 734-736, 740, Venizelos Eleuterio, 214, 215, 366. 746, 748, 750,755,774, 786,830,833, Vercellana Giovanni, l 7 I. 835, 836, 839. Verdross von .Drossmerg, 694, 765. Spingardi Paolo, 5, li, 32, 33, 116. Vemié Milenko, 4 l. Squitti Nicola di Palermiti e Guarna, 40, Viale Leone, 218. 181, l 87, 200. Vigevano Attilio, 522, 752. Stejèmi Filippo, 172,696, 823.


858

POLITICA E STRATEG IA IN CENTO ANNI DI GUERRE ITALIANE

Vigezzi Bmnello, 87, 188,447. Villani Giuseppe, 530. Vittorio Emanuele III re d'Italia, 12, 14, 53, 58, 61, 89, 102, 108, I 09, 265,275,318, 584,603,633,653. Viviani René, 37,154,2 16,251.

Waldersee Alfred von, 6, 13, 14. Waldstaetten Alfred von, 550, 551, 713. Weber Fritz, 327, 329, 348,353,359, 361, 417,435,481. Weber von Webenau Viktor, 763, 780, 787. Wedel K. von, 795. Wcygand Maxirne, 379,397,405,615,616, 644,681,798,841. Wied Wilhelm von, 31, 45. Wilson Henry, 4 1,449, 609, 615,617, 619, 630, 631,644,678,681 , 719,734,756, 81 3.

Wilson Thomas Woodrow, 269, 383, 401, 402,685,689, 749,75 1,752,760,764, 786,792,795,803,836,837. Wunn Wenzel von, 177,328,344,410,477, 553, 694, 765, 766. Zavattari Oreste, 171. Zeidler Egon von, 328. Zimmermann Alfred, 18, 42. Zoppi Gaetano, 171, 279, 28 I, 286, 290, 299, 306, 627. Zoppi Ottavio, 81O. Zuccari Luigi, 14, 15, 86, 170, 176, 189, 613,615, 828. Zupelli Vittorio, 88, 89, 93, 96, l03, 110, 113, 129, 157, 158,205, 211 ,2 12,215. 228, 245, 246, 258-260, 263, 264, 265, 274,275,821,828. Zilinsk.ij Jakow, 37, 270, 290.




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