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PROPRIETA' LETTERARIA

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Presentazione

L'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito pubblica, in occasione del centenario del Congresso di Berlino, questo secondo volume di documenti nel quale sono raccolte gran parte delle relazioni degli ufficiali italiani che, a vario titolo, operarono nella regione danubiano-balcanica dal 1876 al 1900 .

Attraverso le relazioni e l'ampio saggio introduttivodovuto ad Antonello F.M. Biagini, curatore del volumevengono sottolineati gli stretti rapporti diplomatici e culturali intercorrenti tra l'Italia del Risorgimento e le giovani nazioni dell'Europa Orientale nonché l'attenzione e la simpatia con le quali l'ambiente militare italiano seguì la loro lunga lotta per sottrarsi alla domi.nazione straniera.

IL CAPO DELL'UFFICIO STORICO

Nell'elaborare il saggio introduttivo ho utilizzato due saggt m precedenza pubblicati e precisamente: La crisi d'Oriente del 1853-56 e del 1875-78 nel commento de " La Civiltà Cattolica », in « Annali della facoltà di Scienze Poltiche », Università di Perugia, 1970-72, n. 11 vol. I pp. 203-225 e Italia e Turch ia (1904-1911): gli ufficiali italiani e la r iorgallÌZ2l8zione della gendarmeria in Macedonia, in «Memorie Storiche Militari J9n », Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico, pp. 207-228.

Elenco delle abbreviazioni.

SME-AUS: Archivio Ufficio Storico, Stato Maggiore Esercito, Roma

MAE-AS : Archivio Storico dei Ministero degli Esieri, Roma

ACS : Archivio Centrale dello Stato, Roma l. - L'Italia e la questione d'Oriente. 2. - Le operazionì militari

3. - La delimitazione dei confini dopo il congresso di Berlino.

4. - Le relazioni di viaggio. S. - La pr-esenza italiana nei Balcani.

I. Le insurrezioni contro i Turchi in Erzegovina nel luglio 1875 riaprivano fatalmente la questione d'oriente mentre nei primi mesi del 1876 le insurrezioni in Bulgaria, la dichiarazione di guerra della Serbia e del Montenegro al governo di Costantinopoli (3 lugl io 1876) determinando ·la pesante reazione ottomana offrivano, nel 1877, il pretesto alla Russia per intervenire direttamente Tornava così a riproporsi quella questione che sembrava essersi chiusa con il Congresso di Parigi del 1856 e che aveva ribadito il principio dell'integrità del'Impero ottomano e la neutralizzazione del Mar Nero. E' pur vero che la situazione balcanica non aveva mai cessato di essere al centro delle attenzioni e delle analisi politiche delle potenze europee: l'insofferenza verso il dominio ottomano mente viva in quelle zone dove l'elemento cristiano incontrava maggiori difficoltà a convivere con l'elemento turco , la presenza di un secolare « insurrezionismo », l'ascesa nazionale dei vari popoli balcanici, gli interventi delle potenze europee per far valere i propri interessi a sostegno dei movimenti nazionali o preoccupate dell'integrità dell'Impero ottomano, avevano caratterizzato il ventennio tra le due crisi: quella del 1853-1856 e quella del 1875-1878 (1).

La diplomazia zarista, ben presente nello svolgersi degli avvenimenti, aveva concluso con successo, nel marzo 1871, una convenzione per l'abrogazione delle norme sulla neutralità del Mar Nero e alla politica ufficiale aveva accompagnato in quegli anni una intensa attività propagandistica volta a cementare i vincoli di fraternità slava e di comunione nella stessa fede, quella ortodossa, di cui lo zar era il centro e H capo. La stessa scena internazionale europea era del resto 'Sensibilmente mutata con la realiz:tata unità italiana che aveva sconvolto gli equ ilibri già consolidati in Europa e che aveva posto all'Impero austro-ungarico il problema di un orientamento verso i

(l) A. TAMBORRA, L'Europa centro-orientale nei secoli XIX-XX (18001910), in Storia Universale diretta d.a E. PONTIERI, vol. VII, tomo IV. pp. 424 e ss.

Balcani, contrasto in ciò dalla Russia zarista (l). Era proprio l'Italia, come ha recentemente ribadito lo storico jugoslavo Sepié, a godere di grande prestigio morale nel mondo balcanico. « I paladini dell'unità jugoslava - ricorda Sepié - ritenevano che il modo in cui era stata raggiunta l'unità d'Italia, sotto la guida del Piemonte, rappresentava un modello che meritava di essere seguito; per loro l'Italia era il difensore più convincente del principio di nazionalità, al quale gli slavi del Sud si richiamavano nelle loro rivendicazioni nazionali; ed inoltre era noto che in Italia, dal Risorgimento in poi, le aspirazioni degli Slavi del sud per la loro unità nazionale, erano considerate con grande simpatia» (2). E all'interno stesso dell'Italia, nell'opinione pubblica, si manifestarono simpatie per gli insorti e si sviluppò una campagna per la liberazione dei popoli cristiani dai turchi. Fu questo il periodo in cui fiorirono le pubblicazioni «a metà fra il giornalismo e la memorialistica » ricche di « sincera partecipazione alle vicende dei popoli slavi in lotta per la loro indipendenza nazionale, oltre tutto si tratta di una partecipazione molto spesso diretta degli aulorì che si trovarono essi stessi a combattere per quella causa negli anni della crisi del 1875-1878 » (3).

Tuttavia se la posizione dell'opinione pubblica fu di slancio verso la causa slava e dei rivoltosi i circoli politici italiani si mostrarono più cauti. Visconti Venosta, ministro degli Esteri nel governo Lanza, aveva appoggiato le proposte di riforme varate dal ministro degli Esteri Andrassy con il preciso scopo di mantenere lo status quo nella penisola balcanica. Se il governo della Destra deluse in questo senso non di meno avvenne per il governo Depretis, costituitosi nel marzo 1876, che vanificò ogni speranza di intervento italiano nelle questioni orientali. L'eco di questa delusione si rinviene del resto negli stessi rapporti dei delegati italiani nelle Commissioni internazionali costituite dopo il Congresso di Berlino per la delimitazione dei confini del Montenegro, della Serbia, della Romania e della Bulgaria: molto spesso quegli ufficiali lamentavano la mancan- za di disposizioni precise di fronte ai problemi politici che da quelle delimita zioni nascevano.

(l) Per la bibliografia su questo ·periodo cfr. W.N. MEDUCOTT, The Congress of Berlin and alter: a diplomatic history of the Near Eastern Settlement (1878-1880), Londra 1938; F. COGNASSO, Storia della Questione d'Oriente, Torino 1948; D. DJORDJEVIC, Revolutions nation.ales des peuples balcaniques 1804-1914, Belgrado 1965; A. BRECCIA, Le fonti per lo studio della storia delle relazioni internazionali dei paesi jugoslavi nel periodo 187()..1945, in « Storia e politica "• 1970, fase. IV e 1971, fase 1-2; A. TAMBORRA, Gli studi di storia aell'Europa Orientale in Italia nell'ultimo ventennio in Atti del l Congresso nazionale di Scienze Storiche (Perugia 1967), Milano 1970; ID., Europa Orientale in Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di Alberto M. Ghisalberti, vol. III, Firenze 1974; A. PITASSIO, Problema slavo e questione d'Oriente nella storiografia itarelazione al Convegno degli storici italiani e jugoslavi (Firenze 10-11 giugno 1977).

(2) D. SEPIC, lA politica dell'Italia nella crisi d'Oriente del 1875-1878 e gli Slavi del sud, relazione al Convegno degli storici italiani e jugosla\ i, (F1renze 10-11 giugno 1977), p. 12 e relativa bibliografia.

(3) A. PITASSIO, Problema slavo cit. p. 38.

Il governo della Sinistra condivise, in pratica, l'indirizzo precedente basato sul disinteresse dell'Italia per le questioni orientali mentre l'impegno che l'Austria-Ungheria andava sempre più assumendo nei Balcani avrebbe reso meno gravosa la rinunzia alle zone italiane la cui acquisizione era, in concreto, il motivo centrale della politica estera italiana dell'epoca. Calcolo, come si vedrà, del tutto infondato poiché proprio in quel momento la monarchia asburgica, divenuta il fattore equilibrante della situazione balcanica, gç>deva di una posizione diplomatica estremamente solida e l'idea di una con t ropartita all'Italia era, come è stato più volte sottolineato, totalmente destituita di fondamento . Nel marzo 1878 Luigi Corti, nell'accettare la carica di ministro degli Esteri in sostituzione di Amedeo Melegari nel gabinetto Cairoli, aveva pretesto che fosse abbandonata l'idea della soluzione del problema nazionale attraverso l'opposizione all ' occupazione austriaca della Bosnia (1).

Dissimile, come atteggiamento, quello deila Santa Sede quale si può cogliere attraverso le pagine della rivista dei gesuiti « La Civiltà Cattolica ».

Sottolinea opportunamente Gabriele de Rosa, nell'introduzione e nella scelta dei brani della an t ologia Civiltà Cattolica

1850-1945, come attraverso le pagine della più importante rivista della Compagnia di Gesù sia possibile ricostruire l'impegno religioso e politico dei gesuiti nella vita interna italiana, con quale profondo senso dell'obbedienza e con quale costante fedeltà al servizio del pontefice e della Chiesa si svolgesse il lavoro dei redattori (2) . Inutile q u indi sottolineare che, attraverso il « d iaframma » della rivista, è possibile cogliere implicitamente, nelle linee essenziali, lo stesso atteggiamento della Santa Sede e del pontefice.

«La Civiltà Cattolica », oltre che per le questioni ideologiche e per i problemi di politica interna italiana, ebbe, sin dall'inizio, una costante sensibilità verso i problemi internazionali . Fra questi, nel primo trentennio di vita della rivista, hanno un posto di grande rilievo per ampiezza di rifless i religiosi oltre che p o litici, le due crisi d'Oriente del 1853-56 e del 187578. Nel gennaio del 1853, infatti, la ' rivista dei gesuiti, nella rubrica Cronaca Contemporanea, affrontava il problema dei Luoghi Santi nel suo contesto generale europeo: «la T urchia per seguire due padroni (Francia e Russia) ha concesso facoltà contraddittorie a' greci e latini così che la questione dei Luoghi Santi riprende vigore e diviene più grave » (1). La Francia, come è noto, aveva visto con le capitolazioni del 1740 neonfermato il diritto di rappresentare e proteggere i cristiani cattolici dell'impero ottomano; analogamente la Russia con il trattato di Ki.icuk Kainardji del 1774 per gli ortodossi; non solo, la custodia dei Luoghi Santi era stata da sempre oggetto di contrasti fra i monaci delle due confessioni cristiane con il conseguente intervento delle due potenze facilitate e stimolate alternativamente dalla politica ottomana. Dal 1840 al 1850 la situazione si era riacutizzata: ai vecchi contrasti che riguardavano la priorità nelle celebrazioni liturgiche e la possibilità di eseguire restauri nei santuari si aggiungeva quello intorno al possesso della chiave di ingresso della Chiesa della Natività di Betlemme. Era questo un problema - osservava la rivistache, «se preso a cuore dalla Francia», poteva divenire gravissimo soprattutto perché la Russia aveva chiaramente fatto intendere la propria contrarietà a rivedere, sia pure minimamente, Io status qua esistente. Tuttavia questa posizione del governo zarista si scontrava con quella assunta da Napoleone III che, ancor prima di assumere il titolo di imperatore, aveva ripreso a seguire con attenzione gli avvenimenti in Levante disponendo, nel 1852, che le richieste dei monaci cattolici fos'Sero sostenute dal rappresentante francese: guadagnare il favore della Chiesa in politica interna e rialzare il prestigio della Francia in politica estera erano i motivi fondamentali di questa politica. Francia e Russia, in conclusione, colsero il pretesto per riaffermare le proprie esigenze di influenza tanto che l'aspetto puramente religioso della contesa tra cattolici e ortodossi per il possesso dei Luoghi Santi era scomparso quasi del tutto annullato dalle trattative diplomatiche e dalle vicende militari di cui era stato indirettamente causa (2). Nonostante ciò l'aspra polemica sui Luoghi Santi, il riferirsi dei contendenti ai motivi religiosi costituiva il sottofondo di tutta la crisi d'Oriente, doè dei più vasti contrasti fra la Russia da un lato e le potenze dell'Europa occidentale dall'altro. «La Civiltà Cattolica », registrando gli sviluppi della situazione, os- servava che « un negro, denso nuvolone fu visto condensarsi sull'impero turco, l'Europa ne ebbe paura, le borse calarono» (1). La Francia aveva ottenuto per i cristiani di rito latino notevoli garanzie, ma l'arrendevolezza della Porta aveva stimolato le ambizioni della Russia che, a sua volta, aveva formulato nuove richieste attraverso il proprio rappresentante a Costantinopoli, il generale Aleksandr Sergejevic Mensikov. Le pretese russe non erano di poco conto: si trattava del riconoscimento non solo dei diritti derivanti dal trattato di Kticuk Kainardji ma anche dell'estensione di tali diritti alla protezione di tutti i cristiani ortodossi soggetti alla dominazione ottomana. A ciò si aggiungeva la richiesta di sottoporre l'elezione del . patriarca di Costantinopoli alla approvazione dello zar, di definire la questione dei Luoghi Santi e di affrancare i popoli della Bosnia, Moldavia, Valacchia e Bulgaria « i quali - si affermava da parte del governo zarista - per i vincoli di stirpe e religione appartengono alla Russia» (2). In altri termini se il sultano avesse aderito completamente alle richieste russe avrebbe ceduto i propri diritti sovrani sui tre quarti della Turchia europea mettendo una forte ipoteca sulla esistenza stessa dell'impero ottomano (3). Invano la Sublime Porta, con l'emissione di due « firmani », cercava di accondiscendere in parte alle richieste dello zar, ordinando la ricostruzione della cupola del Santo Sepolcro sotto la direzione del patriarca greco c stabilendo un ordine di precedenza a favore degli ortodossi per le celebrazioni liturgiche nella chiesa della Natività di Betlemme; invano perché lo zar sembrava deciso a risolvere la questione d'oriente, perché nuove accuse venivano formulate nei confronti del governo ottomano: di aver estorto con la forza la dichiarazione del Patriarca di Costantinopoli circa la propria libertà d'azione e di aver fornito armi ai Circassi, «popolazione - commentava la rivistache non si lasciava assoggettare dallo zar» (4). In questo dima e con questi presupposti il « vice autocrate » - così era definito da « La Civiltà Cattolica» il principe Mensikov - poneva un termine perentorio alle proprie richieste presentandosi al sultano senza chiedere udienza. Di fronte a tale atteggiamento, rilevava l'estensore delle note di Cronaca Contemporanea, il governo della Sublime Porta non poteva che reagire negativamente pur riconferman do i privilegi già concessi alla confessione ortodossa. La stessa occupazione dei Prin· cipati da parte russa non considerata come un casus belli e la disponibilità mostrata dal sultano nel rispondere alla nota del governo austriaco testimoniavano la volontà di pace della Su· blime Porta (5). « La sostanza - scriveva in quel momento il

(l) F. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896, Bari 1951; F. CATALUCCIO, Problem i e sviluppi della politica estera ita· tiana dal 1861 al 1918 in Nuove questioni di storia del Risorgimento e dell'Unità d'Italia, Milano 1961, pp. 209-278; La politica estera italiana negli atti, documenti e discussioni parlamentari dal 1861 al 1914, vol. n. tomo I (1876-1883), a cura di G. PERT ICONE, Roma 1973; C.J. LOWE· F. MARZARI. ltalian Foreign Policy 1870·1940, Londra e Boston 1975.

(2) G. DE ROSA, Le origini della Civiltà Cattolica, introduzione all'antologia Civiltà Cattolica 1850-1945, Roma 1971, 2 voll., vol. I, pp. 9-101.

(l) Cronaca contemporanea, La questione dei luoghi Santi, in cLa Civiltà Cattolica,., vol. I, 1853, pp. 106-108. D'ora in avanti il titolo della rivista verrà abbreviato con l'indìcazione CC. Degli articoli sarà riportato il titolo, l'anno di pubblicazione, ìl volume e le pagine. Per quanto riguarda gli autori degli articoli che compaiono su CC in forma anonima, ho tratto l'indicazione dall'Indice generale della "Civiltà Cattolica,. (aprile I850· dicembre 1903), compilato a cura di G. DEL CHIARO, segretario della direzione, Roma, Ufficio della Civiltà Cattolica, 1904. Gli autori delle note eli Cronaca contemporanea non sono indìcati né nella rivista né nel· l'Indice cit.

(2) Sulla crisi d'Oriente cfr. F. VALSECCHI, di Crimea, Firenze 1968. Per una visione più ampia cfr. G.B. HENDERSON, Crimean War Diplomacy, Glasgow 1947; E. ANCHIERI, Costantinopoli e gli Stretti nella politica russa, Milano 1948; F. COGNASSO, Storia della questione d'Oriente, cit.

(l) Cronaca contemporanea, CC, vol. II, 1853, p. 218.

(2) Cronaca contemporanea, CC, vol. II, 1853, p. 219.

(3) F. V ALSECCHI, op. cit., p. 232.

(4) Cronaca contemporanea, CC, vol. II, 1853, pp. 700-702.

(5) Cronaca contemporanea, Questione d'Oriente, CC, vol. III, 1853, pp. 219-222; 345-352; 467-469; 601Ul02; padre Taparelli d'Azeglio - è che la Russia, arrogandosi un protettorato ufficiale sopra oltre nove milioni di greci scismatici sudditi della Porta ottomana, verrebbe ad acquistare una influenza su tutto l'impero turco... , apparecchierebbe quel congiungimento politico del Bosforo colla Neva, al quale gli zar da Pietro fino al stan mirando con longaminc e poco dissimulata perseveranza» (1). L'entusiasmo mostrato dai cristiani ortodossi dei Balcani e dallo stesso popolo russo nei confronti di questa nuova «guerra santa» era interpretato dall'autore come un mezzo de!!a divina provvidenza al fine « di ridestare a colpi di cannone il cattolicesimo addormentato e forse di tornare ravveduto al pit: del Vicario di Cristo» (2). Giu dizio singolare, questo, che dimostra il vigore polemico della rivista nei confronti degli avveninenti politici dell'Europa contemporanea che aveva emarginato l'influenza spiri tuale della Santa Sede, ma anche la chiusura verso il mondo ortodosso , giustificata in parte dal timore dell'esprmsionismo zarista.

«La Civiltà Cattolica», seguendo lo svolgersi degli avvenimenti e delle trattative diplomatiche (3), esaminava criticamente la posizione delle varie potenze sottolineando come fosse impossibile per la Francia e l'Inghilterra rimanere neutrali: la prima perché interessata a rimettere in discussione l'intero equilibrio e uropeo e riacquistare ìl proprio peso internazionale, la seconda perché non poteva lasciare all'egemonia russa i Balcani. L'ingresso delle flotte delle due potenze europee nel Mar Nero, la dichiarazione di neutralità di Vienna e Berlino, i tentativi d iplomatici volti a scongiurare la crisi, l'andamP.nto della crisi stessa sono punti che non sfuggono alla trattazione della rivista (4) che, ed è l'aspetto più interessante , già dal 1853 aveva pubblicato una serie di articoli dal titolo complessi l Luoghi Santi dovuti alla penna del padre Luigi

(l) L. TAPARELLI D'AZEGLIO S.J., Il protettorato russo sui greciscismatici, CC, vol. III, 1853, pp. 481-490. Sul padre Luigi Taparelli d'Aze. glio (T orino 1793 - Roma 1862), .studioso di economia e di dintto naturale, di teolor.a e filosofia tomista, cfr. P. PJRRI, Carteggi del padre Luigi Taparellt d'Azeglio, Torino 1924; R. JACQUI N , Le p. Luigi Taoarelli d'Azeglio. Sa vie, son action, son oevre, Parigi, 1943; A. MESSINE O, Il padre Luigi Tav._arelli d'Azeglio e "La Civiltà Cattolica», CC, vol. III, 1962, pp. 545-55S.

(2) Cronaca contemporanea, CC, vol. IV, 1853, pp. 365-376.

(3) Cronaca contemporanea, Cose d'Oriente , CC, vol. I V, 1853, pp. 113114; 231-234; 457-466; 583-589; ivi, vol. V, 1854, pp 120.123; 245-248; 3/8-382; 488-495; 592-593; 702-712. '

(4) Cronaca contemporanea, CC, vol. V I , 1854, pp. 114-122; 216-224; 341-346; 584-592; 706-713 lvi, vol. VII, 1854, pp. 111-112; 216-224 ; 324-336; 452-462; 577-586; 703-708. lvi, vol. VIII, 1854, pp. 122-128; 244-256; 341-348; 468-472; 588-592; 708-712. Nel marzo del 1854 si concludeva un accordo tra Francia, Inghilterra e la Porta sull'uguaglianza di tutti i sudditi del sultano indipendentemente dalla religione professata. lvi, vol. I X, 1855, pp. 121-124; 233-237; 359.366; 490-493; 589-590; lvi, vol. X, 1855, pp. 124128; 230.233; 366-368; 489-490; 588--592; 703-712. h;, vol. XI, 1855, pp. 123-128 ; 245-248; 380.384; 493-496; 704-707. lvi, vol. XII, 1855, pp. 122-126; 250.256; 362-368; 486-489; 603-QOS.

Taparelli d'Azeglio, indubbiamente uno dei massimi esponenti della redazione e studioso in particolar modo di diritto naturale e di economia. Scopo degli articoli era dimostrare la fon• datezza delle rivendicazioni poste da parte cattolica in merito ai Luoghi Santi, assunti a pretesto «de' mali presenti», e provare il legittimo ed inequivocabile diritto di possesso della Chiesa romana su di essi. Citati, infatti, una lunga serie di elementi attestanti questi diritti l'autore ricordava il contratto di vendita di alcuni luoghi da parte del sultano a Roberto il Saggio, re di Napoli. contratto che la provvidenza sembrava «aver espressamente permesso affinché i cristiani d'occidente avessero un titolo in più da opporre alle pretese di quelli, o fossero scismatici, mussulmani o eretici». Tale operazione, commentava il Taparelli, era stata portata a termine con lo spirito di due leggi diverse: quello del Corano che sanciva l'inalienabilità di una proprietà nei confronti di un «infedele», mentre ne ammetteva la concessione in uso, e quello della Chiesa cattolica secondo cui i beni ceduti dovevano essere sottoposti all'amministrazione del pontefice o dei suoi delegati. Per questo, concludeva il padre, « assai male ragionerebbe chi pretendesse che, pel rimanere che fa ai summulmani la proprietà del territorio in virtù della legge del Corano, essi possano disporre di nuovo del suo usufrutto, concedendone ad altri una parte o molto meno la pienezza ... ; una nuova concessione ad un terzo non sarebbe che una doppia vendita dello stesso oggetto, il che ripugna al buon senso e a tutte 1e regole della giustizia naturale» (1). In questa prospettiva le azioni degli ortodossi, quali il trafugamento della stella di David dalla chiesa della Natività nel 1847, dovevano essere considerate proditorie e contrarie ai diritti acquisiti dalla Santa Sede «che pure dimostrò sempre magnanimità facendovi accedere tutti i cristiani che, pur essendo scismatici o eretici, non condannava perché nell'orrore per ognoranza o per esservi nati» (2).

In un successivo articolo il padre Taparelli spiegava, con una lunga disamina storica, come la situazione fosse diventata inestricabile a causa della politica della Sublime Porta che, con i numerosi « finnani » emessi, aveva concesso facoltà contrastanti e contraddittorie alle varie comunità cristiane, sì da creare una situazione di endemica crisi e di tensione. I trattati conclusi dal sultano, a partire da quello di Carlowitz nel corso dell'intero secolo XVIII, erano una testimonianza inequivocabile della consistenza dei diritti dei cattolici, nel mentre dimostravano l'infondatezza delle pretese russe e del così detto m L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., Usurpazioni dei greci-scismatici , cit., p. 225-226.

(l) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., l luoghi Santi, I, Diritti dei cattolici sopra i santuari di Palestina, CC, vol. IV, 1853, pp. 129-144; II, Usurpazioni dei greci-scismatici sopra i diritti della Chiesa cattolica, ivi, pp. 225239; III, Si confutano i pretesti allegati dai greci-scismatici a difesa delle loro usurpazioni, ivi. pp. 593-605.

«protettorato sugli ortodossi dei Balcani» (1). L'atteggiamento di fondo della rivista, e non solo del padre Taparelli, si ricava, del resto, anche da una corrispondenza dall'li al 24 marzo 1854, dove si affermava che «in questo momento giova più • all'Europa cristiana portare aiuto alla Porta piuttosto che ai cristiani ortodossi, comodo paravento delle mire russe», e che difendere l'impero turco, nella sua integrità altro non era che garrultire l'equilibrio europeo (2). Gli articoli su l Luoghi Santi furono seguiti da un'altra serie di articoli dal titolo complessivo Parole di un cattolico romano in risposta all'ortodossia greco-russa (3), ispirati dalla Segreteria di Stato e lodati dallo stesso Pio IX (4), costituivano la risposta polemica al saggio pubblicato dal Murav'jev nel 1852 e tradotto in francese nel 1853 dal titolo Question d'Orient et d'Occident. Parole de l'orthodoxie catholique au catholicism romain (5).

Nel quadro di questa polemica pubblicistica è nuovamente il padre Tapatelli a scendere in campo elaborando, per un esame più approfondito dei motivi della crisi, soprattutto dal punto dì vista religioso, altri cinque articoli dal titolo La guerra d'Oriente (6).

Il punto di partenza di questa nuova polemica era costituito da uno scritto del poeta, scrittore e diplomatico russo Fedor Tjuteev, di concezioni notoriamente slavofile (7). Tjutcev poneva un contrasto radicale fra l'Oriente ortodosso e l'Oc- cidente cattolico e protestante; tale opposizione - osserva il Bazzarelli - rifletteva, nella concezione storiosofica di Tjutcev, quella tra i due principi morali della fratellanza cristiana e dell'egoismo; quest'ultimo, a sua volta, si realizzava parimenti nella religione cattolica e protestante e nella rivoluzione liberale e socialista. Unica soluzione dei conflitti era quindi la restaurazione di un sacro impero d'Oriente: artefice doveva esserne la Russia non minacciata dalla rivoluzione grazie al legame che esisteva tra lo zar e la Chiesa (1). In contrapposizione e con una visione nettamente « eurocentrica » il padre Taparelli ribadiva che sarebbe stato grave errore abbandonare le genti greche o slave al dispotismo russo, « essenziale antagonista del Vicario di Gesù Cristo », e che il mondo civile intendo i paesi dell'Europa occidentale, cioè «il solo mondo ordinato che esister possa al presente», era minacciato dall'ombra della rivoluzione e dal printcipio sovvertitore che sanciva l'indipendenza del governante dalla. Chiesa: ebbene proprio lo spirito della rivoluzione era il vero « motore » della guerra fra russi e turchi. L'autore giungeva alla paradossale affermazione che la Turchia aveva rappresentato in passato il principio eterodosso del «disordine demagogico», mentre la Russia rappresentava in quel momento l'« eterodossia dispotica » giacché voleva tutti sottomettere alla sua potestà. L'impero ottomano, colpevole di aver offerto rifugio agli esuli della rivoluzione polacca e ungherese, una volta troncati i legami con l'emigrazione, cessava, agli occhi del gesuita, di rappresentare un principio eversivo ed anzi riacquistava un proprio valore: «oggi che la Porta, separatasi dagli interessi della fazione anarchica - così erano considerati gli esuli polacchi e ungheresi - sembra cercare un migliore appoggio dei suoi diritti nelle armi delle potenze occidentali », queste dovevano contrapporsi all'oriente russo che rappresentava un pericolo per la · libertà della stessa Europea (2). Riassunti i punti controversi della questione d'Oriente, il Taparelli tornava a sottolineare il pericolo rappresentato dalla penetrazione russa nei Balcani che aveva come fine il dominio sui tre quarti delle genti sottoposte all'impero ottomano, la cui indipendenza era, a quel punto, « parte integrante dell'equilibrio europeo così come si era concluso al Congresso di Vienna », e negava l'esistenza di un desiderio di sottomissione a Mosca da parte dei greci poiché molti, «i più avveduti ''• si rendevano chiaramente conto che essere assimilati agli slavi avrebbe significato « morte certa per i greci». L'unica salvezza, per l'occidente, rimaneva l'unità che si realizzava solo nel cristianesimo, sì da opporre ad una « unità di sterminata moltitudine formata sotto un capo laico dall'ignoranza e dalla forza un'altra unità e cioè' quella dei cristiani cattolici >) (1), per cui, concludeva il gesuita in un altro articolo, la soluzione dei problemi che dividevano la società europea era costituita da un ripristino dell'influenza del pontificato romano che solo avrebbe potuto ricondurre all'unità le nazioni cristiane (2). Visione storica paradossale che si spiega solamente ricordando quanto fosse ormai diffusa la contrapposizione tra oriente russo e occidente europeo. Non diversamente si esprimevano i componenti del Santo Sinodo in un appello, pubblicato con risalto dalla rivista nei primi mesi del 1855: «Voi sapete - recitava il documento nella parte più interessante - che con meraviglia universale del mondo si sono trovate potenze che si pavoneggiano con il nome di cristiane, le quali vollero aiutare i nemici della croce. Le loro legioni, come quelle degli infedeli hanno insultato le cose sante di nostra religione... Dio chiamò la nostra patria a nuovi sacrifici... Noi speriamo e crediamo che chi disse: io edificherò la mia chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di lei, combatta ora per la sua santa Chiesa. Noi speriamo e crediamo che Colui che scelse l'impero di Russia per porvi il centro di sua santa ·Chiesa pronuncerà il suo decreto contro tutti coloro che porranno le mani sulla sua eredità » (3).

(l) L. TAPARELLI D'AZEGLIO S.J., Si confutano i pretesti... , cit, p. 593.

(2) Cronaca contemporanea (11-24 marzo), CC, vol. VI, 1854, p. 114.

(3) L TAPARELLI D' AZEGLIO, Parola di un cattolico romano in risposta all'ortodossia greco-russa, I, Dove è questa ortodossia? , CC, vol. V, 1854, pp. 167-173; II, E' immobile o immortale?, ivi, pp. 173-185 e 293-305; III, Missioni e martiri, ivi, vol. IV, 1854, pp. 305-315; IV, Vecchie risposte alle obiezioni dell'anonimo, ivi, pp. 402-416 e 609-621; V, Riti e pietà nella Chiesa scismatica, ivi, vol. VII, 1854, pp. 38-53; VI, Conclusioni, Ì\i, pp. 141-155.

(4) P. PIRRI, Carteggi del pMre Luigi Taparelli ... , cit., p. 36.

(5) A. TA.MBORRA, Crisi d'Oriente, guerra di Crimea e polemiche politico-religiose fra cattolici e ortodossi (1853-1856), io «Clio», Wl. 2/3, 1969, pp. 169-191, in particolare pag. 170. Andrej Nikolajevic Murav'jev (1806-1874) era vice procuratore del Santo Sinodo e storico della Chiesa ortodossa.

(6) L TAPARELLI D'AZEGLIO S.J., La guerra d'Oriente; I, Lo spi: rito che guerreggia, CC, vol. VI, 1854, pp. 354-374; II, I diritti, ivi, pp. 481-499; III, Le speranze, ivi, pp. 654-670; IV, Pronostici e profezie, CC, vol. VII, 1854, pp. 5-22; V, Risposte ad alcune censure, ivi, pp. 225-235.

(7) F.I. TJUTCEV, La Papauté et la question romaine, in « Revues des Deux Mondes », l gennaio 1850, tomo V, pp. 117 ss. Il padre Taparelli aveva già polemizzato con alcuni passi dell'articolo di Tjuteev in merito alla liceità del potere temporale dei Papi romani in Parola di un cattolico romano..., cit. F.I. TJUTCEV (Ovstug 1803-Carskoe Selo 1873), appartenente ad una famiglia di antica ·tradizione nobiliare, legata allo riuismo da vincoli di fedeltà, si volse giovane aUa doppia attività di letterato e diplomati-co. Cfr. E. BAZZARELLI, F.I. Tjutcev. Poesie, Milano, 1959; R.A. GREGG, F.!. Tjutéev. The evolution of a poet, New York-Londra, 1965.

(l) E. BAZZARELLI, op. çit., pp. 122.

(2) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., Lospiritocheguerreggia, cit, p. 372.

Fedele all'impegno di riferire su tutti gli avvenimenti, « La Civiltà Cattolica », nella rubrica Cronaca Contemporanea dedicava ampio spazio allo svolgersi della guerra ed alle trattative diplomatiche (4) mettendo in particolare rilievo l'emissione di un hatti humajum da parte del sultano in garanzia dei diritti della religione cristiana nej territori ottomani. Ta- le decreto che aveva suscitato « in tutti gran meraviglia congiunta a differente effetto a seconda che da quello ne ricevono danno o vantaggio : i mussulmani di antica stampa ne resterono inviperiti, i greci scismatici malcontenti, e lieti generalmente i catt<;>lici », confermava . tutte le precedenti garanzie concesse- alle ·comunità cristiane, ribadiva l'inviolabilità dei beni appartenenti ai diversi riti, garantiva ad ogni culto la libertà di esercizio, sanciva la parità di diritti, la possibilità di aprire scuble e l'uguaglianza nel pagamento delle imposte (1). L'azione del sultano, che «consacra le sue generose intenzioni verso le popblazioni cristiane dell'impero» (2), era quindi valutata positivamente dalla rivista. Questa, d'altra parte, continuando, negli anni a venire, a prestare attenzione agli avvenimenti balcanici esprimeva la certezza che le strutture dello stato ottomano erano insufficienti a contenere il fermento delle province cristiane poiché queste «tenteranno sempre di mutare governo sottraendosi a quello della Porta, coll'intenzione mo1to naturale di governarsi da sè »(3). In sostanza il pericolo principale che minacciava il mondo cattolico era individuato nettamente nello «il più formidabile nemico che abbia la Chiesa cattolica », secondo un giudizio espresso già nel 1853 dal nunzio a Vienna Viale Prelà al cardinale Antonelli (4). Critiche e dubbi sull'efficienza delle istituzioni ottomane avevano, quindi, un significato nettamente marginale e non si traducevano sul piano politico.

(l) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., I diritti, cit, p. 489. A sostegno di quanto afferma il padre cita J.G. PITZIPiùS, lA question d'Orie1tt sous sa vraie tace, Malta, 185Z ; • animi degli elleni potrebbero affratellarsi con l'occidente assai megho che con la slava, la quale minaccia di ingliottirsene e la nazionalità e la Chiesa •· Sull'opera e sull'attività di J.G. Pitzipiòs cfr. I.S. GAGARIN, recensione all'opera di Pitzipiòs, L'Eglise Orientale (Tip. dr Propaganda Fide, Roma, 1855), Rivista della stampa italiana, CC, vol. IX, 1855, pp. 557-568; A. TAM· BORRA, J.G. Pitzipiòs e la sua attività fra Roma e Costantinopoli all'epoca di Pio IX (1848-1868), in "Balkan Studies ,., X, 1969, pp. 51-08. Ed ancora da De l'Orient par un oriental, Atene, 1853, di autore anonimo: "Sapete voi quale sarebbe il risultato? [si fa riferimento al cosi detto protettorato russo sugli ortodossi) Prima sua cura sarebbe istituire scuole slave, introdurre la lingua slava, ottener finalmente che slavi fossero i vescovi ed amici zelanti della Russia ... Il panslavismo prenderebbe ben presto p.ossesso di tutti gli interessi nazionali dei greci, prima ancora che il sultano fosse cacciato da Costantinopoli. In tal guisa libertà di pensare e di operare, svolgimento nazionale, stato presente e futuro, religione perfino, tutto sarebbe diretto da un clero ligio e scolare alla Russia: di che maggior calamità giammai potrebbe incogliere ai greci •.

(2) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., Pronostici e profezie, cit., pp. 5-22.

(3) L. TAPARELLI D'AZEGLIO SJ., Risposte ad alcune , eit. pp. 225-235.

(4) Cronaca cotllemporanea, CC, vol. X, 1855, p . 232.

(l) Cronaca contemporanea, CC, vol. I, 1856, pp. 125-128; 246-248; 254-256; 509-512; 6Q6.608. lvi, vol. IC 1856, pp. 124-126; 236-240; 474-476; 594-596; 711-714. lvi, vol. III, 1856, pp. 251-253. Cronaca contemporanea, CC, vol. I, 1856, p. 125. Sul problema delle varie confessioni religiose dal punto di vista giuridico cfr. A. BERTOLA, Il regime dei culti in Turchia, I, Il regime giuridico dei culti nell'impero ottomano, Torino 1925. Più in &enerale sulle riforme nell'impero .cfr. E. AN· CHIERI, Dall'tmpero ottomano alla tepubbltca dt Turcht.a, m La nuova Turchia, 1939, pp. 9-17; E. DE LEONE, L'impero ottomano nel primo periodo delle riforme (tanzimat) secondo fonti italiane, Milano 1967; L.A. MISSIR, Eglises et Etat en Turquie et en Proche..()rient, Bruxelles, 1973.

(2) L'art. 9 del trattato di pace prevedeva che le riforme a favore dei cristiani dell'impero turco, dovessero essere concesse spontaneamente dalla volontà del sultano senza l'ingerenza di altre potenze. Il trattato è pubblicato integralmente in CC, vol. II, 1856, pp. 125-128.

(3) Cronaca contemporanea, CC, vol. II, 1859, p. 381. Vengono ampiamente riferite, con relativo commento, le insurrezioni in Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia. I movimenti nazionali dei popoli balcanici erano costantemente collegati dalla CC alla politica russa: " non è quindi meraviglia che i popoli danubiani, oppressi da una parte, come narrammo, dalla tirannia turca e nutrendo, dall'altra, implacabili rancori contro i polacchi e le altre genti cattoliche, loro vicine, volgessero gli occhi e le speranze alla lontana Russia, tosto che questa ebbe comin· ciato con Pietro il Grande ad acquistare fama di potenza... (facendo J precedere le sue nego1iazioni o l.e sue occupazioni armate col dono prezioso di qualche nuova reliquia e di qualche nuovo santo ortodosso », CC, vol. II, 1859, pp. 683-685.

(4) A. MARTIN! SJ., La Santa Sede e la questione d'Oriente dalla crisi alla guerra, CC, vol. II, 1958, pp. 149-162; la citazione è a p. 153.

La crisi d'Oriente del 1875-1878 , logica conseguenza dell'« insurrezionismo balcanico » registrato in varie ocasioni da « La Civiltà Cattolica» , trova la rivista singolarmente attenta a cogliere i vari aspetti politici ed a seguire da vicino lo sviluppo degli avvenimenti (1). Nel lasciare da parte i riferimenti di cronaca più strettamente politici, veramente copiosi, si deve notare come nel corso di questa crisi i motivi religiosi abbiano un peso di gran lunga minore rispetto al 1853-1856 e come le discussioni riguardino piuttosto il comportamento politico della Santa Sede. In conseguenza di ciò gli articoli trattavano diffusamente i problemi che investivano l'equilibrio europeo con un vigore polemico che non sempre consentiva un'interpretazione obiettiva delle situazioni. A proposito del panslavismo la rivista , in una nota di Cronaca Contemporanea, sviluppava una singolare tesi che, anche se povera di fondamento storico e collegata alla polemica antibismarkiana del Kulturkampf, non manca di una certa suggestione. Il principe di Bismarck, secondo l'estensore della nota, non si rendeva conto che completare l'unità germanica costituiva una sfida che, obiettivamente, sollecitava e affrettava i tempi dell'unificazione slava , « guarentigia indispensabile contro le usurpazioni della potenza germanica ». Questa, in sostanza, provocava più che mai un processo di coesione fra le stirpi slave gravemente minacciate dal nuovo impero tedesco «ebbro degli insperati suoi trionfi». Ai fini dell'unità slava, proseguiva l'autore, erano indispensabili due fattori: « una base talmente solida e forte da poter sostenere l'edificio» , e poi «il consenso dei popoli slavi ad appogigarsi su quel fondamento ». E il fondamento era costituito proprio dall'impero russo che si trovava a svolgere in mezzo ai popoli slavi la stessa funzione che aveva avuto la Prussia nei confronti dei popoli germanici. Il panslavismo non poteva, allora, che scontrarsi con il pangermanesimo e, avendo i tedeschi un altro « vigoroso » nemico nella razza latina, « queste due rivali del germanesimo dovranno, o per amore o per forza, ravvicinar-si l'una all'altra, darsi scambievolmente la mano e opporre di comune accordo un potente argine alle onde soverchianti del germanesimo ». Un'alleanza di tal genere era naturale giacché si trattava di un problema di sopravvivenza da quando l'impero austriaco, tradizionalmente considerato il cuscinetto tra l'elemento slavo e l'elemento germanico, non era più in grado di adempiere alla propria funzione; esso, infatti, «invece di dar opera al panslavismo cattolico, l'unico in grado di contrappesare, col renderlo cristiano, il panslavismo politico e rivoluzionario, si fece ligia agli interessi tedeschi, si mise dalla parte del Bismarck, e diede al panslavismo una nuova ragione d'esistere e un corpo consistente (1). Come si vede, l'interpretazione del movimento panslavo avanzata da «La Civiltà Cattolica>> faceva ricorso a molteplici spunti, di diverso significato e valore. Certo, povera di senso storico si rivela la tesi paradossale circa la paternità bismarckiana del panslavismo (2); per di più colpisce negativamente la tendenza verso le grandi generalizzazioni, prive di contenuto concreto, che il commentatore tradisce in particolar modo quando indulge a pseudo concetti come slavismo, latinità, germanesimo. Tuttavia l'informazione e la sensibilità politica dell'osservatore trovano modo di emergere, superando le prospettive deformanti della cultura corrente e dell'ostilità dettata da motivi religiosi e confessionali verso l'artefice maggiore dell'unificazione germanica, nella critica mossa agli Asburgo che, in sostanza, imputava loro di non aver dato quella struttura trialistica all'impero che, sola, avrebbe potuto sottrarre gli slavi asburgici alle sollecitazioni russe.

(l) Cronaca contemporanea, La questione russa, CC, vol. I, 1871, pp. 34-43; ivi, Panslavismo e questione d'Oriente, vol. X, 1873, pp. 510..512; Questione d'Oriente, vol. I, pp. 251-253; ivi, vol. V, 1875, .P.P · 119-124; lVl, vol. VII, 1875, pp. 374-384; lVl, vol. VIII, 1875, pp. 372·384; 1v1, vol. IX, 1876, pp. 378-384, 495-508; ivi, vol. X, 1876, pp. 745·754; hi, vol. XI , 1876, pp. 94-115, 371-384, 494-506, 621-635, 745-760; ivi, vol. XII, 1876, pp. 498-504; 632-640, 742-755; ivi, vol. I, 1877 , pp. 36()..374, 509-511, 741-756; ivi, vol. II. 1877, pp. 362-374, 617-624; ivi, vol. III, 1877, pp. 491-497, 63()..635; ivi, vol. IV, 1877, pp. 106-108, 502·508; ivi, vol. V, 1878, pp. 634-638; ivi, VI, 1878, PP: ?36-244, 354-367; ivi, vol. VII, 1878. pp. 350..364: 505-512, 623-629; lVl, vol. VIII, 1878, pp. 110-128, 490-504, 756-761; tVl, vol. IX, 1879, pp. 618-630; ivi, vol. X, 1879, pp. 365-372, 621-630.

Il primo commento politico sulla crisi del 1875-1878 si deve alla penna del padre Raffaele Ballerini, storiografo uffi. ciale di Pio IX (3), che osservava come «i divinatori avessero diffuso il presagio di una guerra europea. La questione d'Oriente, ripropostasi in seguito alle insurerzioni dei cristiani della Bosnia e dell'Erzegovina, cui si erano uniti i Bulgari, fonnava l'argomento principale della discussioni negli ambienti politici e giornalistici soprattutto per quanto riguardava l'eventualità di un nuovo e generale conflitto. Il Ballerini, esclùdendo recisamente la possibilità di uno scontro armato generale, affermava che una questione d'Oriente, e cioè una questione circa il modo di ordinare i paesi sotto il dominio turco da quattro secoli, « sarebbe stata paurosa e feconda di terribili sconvolgimenti prima del 1866 e forse pure del 1870, allorché sussisteva un simulacro di equilibrio tra le potenze»; ma dopo che l'Austria era stata «abbattuta e divisa», la Francia « prostrata e mutilata » dalla Prussia alleatasi con la Russia era fin troppo chiaro come l'equilibrio europeo fosse stato alterato oca pro' di queste due potenze le quali per un corso più o meno lungo di anni, avranno l'assoluta preponderanza in Europa ». Tale preponderanza, proseguiva il gesuita, si sarebbe retta fino a quando pangermanesimo e panslavismo fossero riusciti a coesistere attraverso reciproche concessioni: la ribellione in Bosnia-Erzegovina e in Bulgaria una questione <<tutta domestica del Divano», era stata, secondo l'autore, fomentata dalla Russia ed approvata dalla Prussia al fine di farle assumere « importanza e forma di europea ed internazionale ». Esaminate le possibili soluzioni il Ballerini concludeva indicando tre soluzioni: la prima era un ritorno alla status quo ante, la seconda una successione della Russia al dominio turco, «da sola o per qualche porzione in compagnia con l'Austria», la terza una fine del dominio turco e la formazione di un gruppo di piccoli stati autonomi, « confederati tra loro e aventi un centro in Costantinopoli, assoggettati ad un principe cristiano». La prima soluzione era auspicata da molti cattolici poiché temevano la presenza russa nei Balcani in quanto la irrugginita scimitarra di Maometto passerebbe nelle mani ringiovanite di Fazio, e l'Europa non tarderebbe a .rimpiangere con lacrime di sangue la presenza del Turco nei Dardanelli. All'occidente latino sarebbero riservate sorti simili a quelle dell'infelice Polonia ». Non solo, proseguiva il padre, ma chi avesse tenuto « le chiavi dell'orientale granaio, che provvede di tanto pane le contrade nostre, potrebbe costringerci con la fame alla capitolazione» (1). Evidente la preoccupazione dell'autore e della rivista, che miravano, ovviamente, alla difesa del cattolicesimo, in una prospettiva più confessionale che politica. Ma sarebbe parziale dimenticare che certe considerazioni fondamentali erano pur dettate da situazioni concrete: l'accenno, per esempio, alla « infelice Polonia ,. era giustificato alla luce dell'oppressione religiosa e nazionale cui questa era sottoposta.

(l) Cronaca contemporanea, Panslavismo e questione ... , cit., pp. 510-512.

(l) Sul panslavismo cfr. M.B. PETROVICH, The Emergence of Russian Panslavism 1856-1870, New York, 1956; H. KOHN, Pan-Slavism, its History and ldeology, New York, 1960. Fra i contributi italiani, cfr. le sintesi fornite da W. GIUSTI, Storia del Panslavismo, Roma, 1946; A. TAMBORRA, Panslavismo e solidarietà slava, in Questioni di Storia contemporanea, vol. II, pp. 1777-1872, Milano 1955.

(3) Il padre Raffaele Ballerini S.J. (Medicina, Bologna 1830-Roma 1907), legato all'ordine già per tradizione di famiglia, iniziò la collabora. zione con la CC nel 1860. Pio IX affidò l'incarico di redigere le memorie dei primì anni del suo pontificato; l'opera è di particolare valore in quanto lo stesso Pio IX vì apportò delle correzioni. Cfr. E. ROSA, Il p_adre Raffaele Ballerini della Compagnia di Gesù, CC, vol. l, 1907, pp. 342-347.

Sintetizzati ne L'importanza politica della questione di Oriente i danni politici ed economici di una eventuale dissoluzione dell'impero ottomano (2) il Ballerini, in un successivo articolo, prendeva in esame l'eventuale esistenza di motivi religiosi nella guerra che si era andata sviluppando. In realtà questi non esistevano: la Russia, che era il paese dove «il cesarismo pagano più tenacemente si abbarbica» , voleva, secondo il gesuita, semplicemente operare l'unificazione degli slavi « sotto il doppio scettro sacro e civile degli zar»; questa era

(l) R. BALLERINI S.J., Della questione d'Oriente, CC, vol. IX, 1876, pp. 641·654, l'essenza del panslavismo, il quale non era un fine, ma un mezzo per giungere poi all'impero universale «giusto l'orgoglioso concetto di Pietro il Grande » . Le potenze europee, in effetti, avevano impedito la realizzazione di questo disegno mantenendo in vita l'impero turco ma la Russia aveva sostituito alla penetrazione militare quella religiosa propagandando l'idea dello zar come capo degli ortodossi e sostenendo le «agitazioni dei cristiani» (1). La preoccupazione che lo zar, una volta penetrato nei Balcani, avrebbe mosso guerra al «papato occidentale e con esso umiliare ad incatenare tutte le nazioni latine», segnando così la fine della civiltà cristiana, giustificava, secondo l'autore, l'atteggiamento prudente assunto dalla Sede Apostolica che non poteva perciò essere accusata di venir meno «a' suoi più santi doveri», di sacrificare «per mire mondane, il sangue e l'anima dei credenti alla turchesca ferocia», e di rinnegare « le storiche tradizioni del papato mostrando il non più visto spettacolo della tiara di San Pietro alleata con la mezzaluna di Maometto ». Al contrario, la prudenza doveva essere ascritta quale merito giacché non era compito della Santa Sede e del Pontefice predicare la violenza e la ribellione (2). La concessione, da parte del governo della Sublime Porta, di uno statuto che ribadiva le garanzie per il libero esercizio dei culti, la libertà di insegnamento e la parità tra tutti i sudditi, era per il padre Matteo Liberatore, altra figura di rilievo nella redazione de «La Civiltà Cattolica», un avvenimento che toglieva ogni pretesto di legittimità alla guerra che la Russia faceva all'Impero ottomano (3). Con un tono fortemente critico, facendo propria un'affermazione del « Journal des Débats » del gennaio 1877, il padre Liberatore denunciava l'ambiguo comportamento delle potenze occidentali verso la Sublime Porta: esse, infatti, avevano « mostrato un'ignoranza compiuta delle leggi eterne del cuore umano», non prendendo in alcuna considerazione il tentativo compiuto dalla Porta con i provvedimenti in favore dei cristiani (4), e lasciando che la soluzione dei complessi problemi fosse affidata alle armi con la conseguente, schiacciante, vittoria zarista. La critica alle potenze europee era ripresa e ampliata dal padre Ballerini che era, in quel momento, il collaboratore che più da v1cmo seguiva lo svolgersi degli avvenimenti in oriente. In sintesi il gesuita affermava che le potenze occidentali tlon potevano contrastare alle pretese russe perché dilaniate all'interno dal liberalismo, « il quale ha collocato la sapienza sua politica nel combattere... i salutari influssi della Chiesa, e nel dare, con ogni sorta di licenza, esca alle popolari passioni più abiette e perniciose», e dal socialismo che «alza già in tutti i paesi la fronte e spia l'occasione propizia di qualche incendio guerresco, per isconvolgere i popoli, atterrare i governi e mettere ogni cosa a ruba e a sacco» (1). A ciò si doveva aggiungere l'apporto della massoneria internazionale che, pur di combattere il cattolicesimo romano, aveva appoggiato il governo zarista nelle rivendicazioni nei Balcani mentre la Russia si era fatta fautrice della massoneria appoggiando Napoleone in Italia e Bismarck in Germania (2). Indubbiamente tutto ciò era frutto di una prospettiva distorta dove la passione polemica era fine a se stessa e non teneva in alcun conto gli politici reali. ·

(2) R. BALLERINI SJ., Importanza politica della questione d 'Oriente, CC,. vol. X, 1876, pp. 385-396.

(l) R. BALLERINI SJ., Importanza religiosa della questione d'Oriente, CC, vol. X, 1876, pp. 513-529.

(2) R. BALLERINI SJ., La Santa Sede nella questione d'Oriente, CC, vol. XI, 1876, pp. 674-688.

(3) M. LIBERATORE SJ., La costituzione turca, CC, vol. I, 1877, pp. 129-141. Il padre Matteo Liberatore (Salerno 1810-Roma 1892), fu tra i fondatori della rivista; studioso di filosofia e teologia si dedicò, sotto la guida dei padri Taparelli e Sordi, al rinnovamento della filosofia scolastica ed alla critica delle scuole contemporanee. Cfr. N.S RONDINA, Necrologio, CC, vol. IV, 1892, pp. 352-360; A. MASNOVO, Il neotomismo in Italia, Milano, 1923; P. DEZZA, Alle origini del neotomismo, Milano, 1940; G. DE ROSA, Le origini della Civiltà Cattolica, introduzione all'antologia cit., pp. 9-101.

(4) M. LIBERATORE S.J., La contererzza internazionale sulla que· stione turca, CC, vol. I, 1877, pp. 291·303.

L'Inghilterra che non aveva potuto formare una coalizione come nel 1854 e che, nello stesso tempo, non poteva tollerare una eccessiva penetrazione russa nel Mediterraneo, muoveva la sua flotta verso i Dardanelli mentre le truppe zariste occupavano Adrianopoli minacciando Gallipoli e Costantinopoli. Fu a questo punto che la Russia, non avendo più la certezza dell'appoggio del Bismarck nè della neutralità dell'Austria, arrestò la propria avanzata. La pace di Santo Stefano del 3 marzo 1878 favoriva, secondo il padre Liberatore, le aspirazioni della Russia che « co' suoi trionfi sulla _ potenza ottomana ormai spenta, e gli esorbitanti vantaggi che intende trarre dalle sue vittorie», minacciava come non mai tutto l'equilibrio europeo. Il riacquisto della Bessara'bia permetteva, infatti, il dominio sulle bocche del Danubio, gli ingrandimenti del Montenegro, «suo caro pupillo», aprivano uno sbocco sull'Adriatico, mentre uno sbocco sul mare Egeo era fornito dalla Bulgaria, ridotta a « provincia moscovita ». Per contenere e ridurre questa espansione le potenze europee si riunivano, sotto la direzione del Bismarck, il 6 luglio 1878, in congresso a Berlino dove isolavano diplomaticamente la Russia e tutelavano gli interessi ottomani, la sopravvivenza stessa della Porta (3). La concezione moralistica, tipica de «La Civiltà Cattolica», si affermava ancora nell'analisi degli ostacoli che si frapponevano alla pace europea: si vagheggiava, infatti, il tempo in cui a fondamento delle relazioni internazionali «v'erano il diritto e la giustizia, e giudice del diritto e della giustizia era riverito il pontefice romano, vicario di Gesù Cristo» (1). I risultati del congresso e il comportamento delle potenze che non avevano considerato minimamente le esigenze delle popolazioni balcaniche furono oggetto di ampio commento nelle pagine de « La Civiltà Cattolica,, ad opera del padre Matteo Liberatore che, rilevando polemicamente le contraddizioni del moderno laicismo e liberalismo, poneva l'accento sul fatto che proprio il congresso aveva sconfessato il principio del non intervento non rispettando i risultati della guerra tra la Russia e la Porta. Non solo, il congresso aveva deluso le aspettative dei greci «che piativano per l'annessione di province», aveva ridotto lo stato btilgaro, «già emancipato per le armi russe)), aveva concesso alcune città dell'Armenia alla Russia, alcune parti dell'Albania al Montenegro 'ed alla Serbia, aveva permesso l'occupazione della Bosnia-Erzegovina e del sangiaccato di Kovi-Bazar da parte dell'Austria. <<Non si potea peggio fare - concludeva il padre Liberatore - man bassa delle nazionalità, e scinderle, e mescolarle insieme e manipolarle alla rinfusa», rinnegando il principio della nazionalità (<(così tanto decantato nel presente secolo » (2).

(l) R. BALLERINI S.J., La nuova guerra d'Oriente, CC, vol. II, 1877, pp. 385-395.

(2) R. BALLERINI S.J., Della crociata russa in Oriente, CC, vol. III, 1877, pp. 257-269.

(3) M. LIBERATORE S.J., La presente crisi d'Europa, CC, vol. VI, 1878, pp. 129-139.

Accogliere l'effermazione che la pace europea era garantita quando « giudice del diritto c della giustizia era riverito il pontefice romano "• costituiva per la rivista un rifugiarsi in un passato definitivamente tramontato: atteggiamento, tuttavia, che si spiega con la stessa prospettiva storica che spingeva i gesuiti alla strenua difesa del potere temporale. Era, questa, una reazione che nasceva dalla coscienza, profondamente sofferta, della sostanziale ostilità di tutte le forze che agivano nella vita politica contemporanea: dal liberalismo, «che ha posto la sapienza sua nel combattere i salutari influssi della Chiesa», al socialismo, che andava «errando per il mondo come lo schiaffeggiatore di Cristo», al nazionalismo «così tanto decantato nel presente secolo». Erano, in altri termini, gli «errori del secolo», secondo una definizione del padre Taparelli, che dovevano essere combattuti e condannati in quanto causa della rottura dell'unità dell'Europa cristiana. Ma proprio in questa chiusura nei confronti del mondo contemporaneo risiedeva, paradossalmente, la forza della rivista, che intuiva e denunciava i limiti e le interne contraddizioni di quelle correnti filosofiche e sociali che vedevano ogni interesse civile e religioso subordinato al principio di nazionalità (3).

Anche gli articoli sulle crisi d'Oriente, al di là dei tradizionali motivi politici con il mondo ortodosso, alternando in-

(l) P. ZOCCHI SJ.,Gliostacoliallapaceeuropea, CC, vol. VII, pp. 385-398.

(2) M. LIBERATORE SJ., Il diritto nuovo e il Congresso di Berlino, CC, vol. VIII, 1878, pp. 385-396.

(3) G. DE ROSA, Le origini della Civiltà Cattolica, introduzione all'antologia cit_, pp. 78 e 79 _ tuizioni politiche ad affermazioni meno plausibiH , si collocavano entro la cornice dell ' impostazione generale della rivista. Nel caso specifico, tuttavia, i motivi che ispiravano " La Civiltà Cattolica » non erano dj carattere ideologico, non si riallacciavano. cioè , alla difesa del primato e del prest igio internazionale della Santa Sede, quanto piuttosto a conc r e te esigenze di carattere politico ed ecclesiastico. Si trattava, essenzialmente , del timore dell'espansionismo 7.arista e della difesa del cattolicesimo polacco. D'altra parte è necessario notare come l'atteggiamento sostanzialmente turcofilo della rivista sia stato raramente e debolmente giustificato da considerazioni di carattere legittimistico, mentre emerge con estrema c hiarezza il timore del panslavismo zarista con tutte le sue implicazioni di ordine temporale e spirituale (1). Questa opposizione allo zarismo e al panslavismo era alimentata, nel caso della Santa Sede, o, più specificatamente, della rivista dei gesuiti da un fattore che non può essere trascurato: il problema polacco, cioè la politica del governo russo nelle cattoliche ad esso soggette. Il governo zarista, infatti, dopo le rivolte del 1830-31 e nonostante l'insurrezione del 1863, aveva governato la Polonia con mano di ferro e, con l'aiuto del Santo Sinodo, aveva perseguito un piano di « russificazione », secondo il termine usato da «La Civiltà Cattolica» (2), che era politica e religiosa al tempo stesso. La Santa Sede, d'altra parte aveva da tempo cercato, anche se con risultati deludenti, di realizzare un modusvivendi che permettesse il libero esercizio del cattolicesimo nella Polonia soggetta alla Russia, appoggiandosi ai dettati dei trattati internazionali relativi alla spartizione della Polonia che , a partire da quelli del 1773 e del 1793 a quello di Vienna del 1815, avevano sempre ribadito la libertà di culto. Il concordato del 1847 concluso tra la Santa Sede e la Russia rappresentava il massimo sforzo fatto da ambo le parti per una definizione dei vari problemi; ma proprio la mancata attuazione doveva dimostrare la profondità del dissidio esistente. In verità « La Civiltà Cattolica », mentre faceva

(l) Sul pericolo costituito dall'espansionismo russo, avvertito negli ambienti politici più diversi, da quelli rivoluzionari a quelli moderati, cfr. A. TAMBORRA, L'Europa centro-orientale cit., pp. 247-260 proprie le sofferenze del popolo polacco nella misura in cw mvestivano aspetti della vita religiosa, respngeva ogni aspirazone " temporale » all'indipendenza, « che non ebbe mai, come nel presente, minori speranze », sottolineando come fosse di maggior aiuto al cattolicesimo il distinguersi nettamente dai motivi ri· voluzionari. La rivista, infatti, lamentava le sciagure, che « incolsero i buoni e sinceri cattolici di Polonia per non essersi in tempo sceverato abbastanza la causa loro da quella de' tristi che, usurpando il loro nome e infingendosi di voler rivendicare i loro diritti, in verità non erano che strumenti di una setta malvagia » (1).

(2) Cr011aca contemporanea, Introduzione della Iittgua russa nel culto cattolico. Russificazione del culto cattolico, CC, vol. IX, 1873, pp . 508-509. La rivi s ta dedicò nel corso degli anni ampio spazio alle vicende polacche Tralasciando i riferimenti di cronaca, che pure sono numerosi e dai quali traspare sufficientemente la posizione dei gesuiti, cfr. per il commento e l'interpretazione dei fatti : T rus si in Polonia, i piemontesi in Italia , CC, vol. VI, 1863, pp. 5-20, 145-162; ivi, Lettera d e lla Santità di N .S. Papa Pio IX all'imperatore di Russia, vol. VII. 1863, pp. 475-480; ivi, La Sede romana e il f!Ovemo di Russia, vol. IX, 1867, pp. 553-567; ivi, vol. X, pp. 51-65, 401-414; ivi, vol. XI, pp. 169·183; ivi, vol. XII, 1867, pp. 18·33; 61-70, 299·311; ivi, vol. I, 1868, pp. 24-38, 532-547; ivi, Violenze russe contro i polacchi greci-uniti dell'impero, vol. IV, 1877, pp. 167·180. Gli articoli oltre a trattare delle vicende polacche prendono diffusamente in esame i rapport i ctiplomatici tra la Santa Sede e il governo zarista.

In conclusione la difesa sul piano puramente religioso del cattolicesimo polacco, pur evitando qualsiasi compromissione politica con il nazionalismo rivoluzionario, costituiva pur sem· pre il motivo fondamentale dell'atteggiamento negativo verso il panslavismo e lo zarismo, manifestato continuamente nel corso delle due crisi d'Oriente del 1853-1856 e del 1875-1878.

2. Dal punto di vista militare la questione d'oriente del 1875-78 fu seguita particolarmente dall'addetto militare a Vienna e a Berlino i cui dispacci si conservano nell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito. Dell'addetto militare a Vienna si conserva anche un lungo rapporto sulle forze militari della Turchia (2) redatto nel dicembre 1876 dopo la missione compiuta dallo stesso Mainoni in Serbia e Turchia per la delimitazione della linea d'armistizio. Era stata quella l'occasione che aveva permesso all'ufficiaJe italiano di o.sservare le truppe ottomane direttamente e di ricevere dagli altri ufficiali componenti la Commissione, peraltro addetti militari a Costantinopoli, notizie sulla forza reale dell ' esercito ottomano: •1 ond'è che mi accinsi a compilare ·questo breve rapporto e mi proposi di determinare quale fosse la forza, che nelle circostanze attuali 1'Impero ottomano potrebbe opporre a propria difesa, nel caso possibile di un attacco per parte della Russia». Ricordate le leggi del 1843 e del 1899 che costituivano ]a base dell'ordinamento dell'esercito sottolineava come queste subissero continue infrazioni per « la confusione e il disordine che regnano in tutti i rami dell'amministrazione dello Stato », per la carenza di quadri preparati e per l'aver permesso la formazione di bande irregolari di biishibozii.q (teste perdute). Queste infatti mentre non a·vrebbe- ro potuto essere usate contro eventuali eserciti europei erano tristemente note alle popolazioni cristiane che minacciavano di ribellarsi: la funzione di queste bande era eminentemente repressiva. « Se destinati ad operare nel raggio d'azione dell'esercito combattente - scriveva ancora Mainoni - essi, esenti da ogni soggezione od obbedienza, si tengono in disparte finché dura ll combattimento e compaiono fra le truppe allorquando guadagnano terreno, per il solo scopo di saccheggiare !.•1tto quanto ha valore, e quindi distruggere ed incendiare quanto non può essere loro utile al momento». La presenza di queste bande, ricordava l'ufficiale italiano, era stata deprecata dagli stessi ufficiali ottomani che avevano visto assottigliarsi le risorse per le truppe regolari dopo il passaggio dei biishibozuq la cui illimitata « sfrenatezza e barbarie » causava, come era avvenuto in Bulgaria e Bosnia, grave danno morale per l'intero governo ottomano (1).

(1) La Sede romana e il govemo di Russia, cit. pp. 548. Qui la rivista assume una posizione nettamente diversa da quella dell'archivista vaticano, studioso di problemi religiosi e nazionali dell'Europa orientale, A. THEINER che nella sua opera, Vicende della Chiesa cattolica di amendue i riti nella Polonia e nella Russia dì Caterina li sino a' nostri dì Lugano, 1843, identificava la causa cattolica con quella della nazione polacca.

(2) A. MAJNONI, Calcolo delle forze militari di terra che la Turchia potrebbe opporre alla Russia in una prossima guerra, Vìenna 20 dicembre 1876, SME-AUS, b. 48, Addetto militare a Vierma. Corrispondenza.

Queste considerazioni ed altri computi numerici inducevano l'ufficiale italiano a concludere che «ammesso pertanto che le doti individuali e naturali del soldato turco .fra le quali primeggia il coraggio, la .fedeltà, la frugalità, la pazienza e la costanza nel sopportare le privazioni e le fatiche, possano in parte compensare l'insapienza dei generali, l'ignoranza degli ufficiali, la cattiva amministrazione e la mancanza di servizi organizzati, pure è tale il divario che si osserva fra l'esercito ottomano ed un altro qualunque europeo, che anche a parità di forze, oso predire il risultato favorevole al secondo» (2).

(l) Prima del 1800 l'organizzazione militare ottomana era essenzial· mente basata sulla forza dei giannizzeri; nel 1843 fu approvata la prima riforma dell'esercito: reclutamente regionale, servizio limitato ai soli mussulmani (i non mussulmani pagavano una tassa di esenzione), unità di prima linea (nizam) e di seconda linea (redif) con quadri pérmanenti. Il territorio era ripartito in ordù (armate) composti ciascuno di sei alay (reggimenti) di fanteria, quattro di cavalleria, uno di artiglieria. Il I ordù presidiava l'Anatolia occidentale, il II le regioni orientali dei possedimenti europei e l'Anatolia orientale, il III le regioni occidentali della Turchia europea. il IV l'Armenia e il Kurdistan, il V e il VI la Siria, la Palestina, l'Irak e l'Albania. Una divisione presidiava Creta ed alcune brigate Tripoli e Tunisi, il tutto per un totale di 150 mila uomini. In caso di guerra l'esercito veniva rafforzato con contingenti della Valacchia, della BosniaErzegovina, dell'Albania settentrionale della Serbia e dell'Egitto. La legge del 1869 istituiva la milizia territoriale e un VII ordù costituito dalle truppe di occupazione dello Yemen. Nel 1887 la missione tedesca guidata dal tenente colonnello Kolrnar von der Goltz (che prestò servizio nell'esercito ottoinano dal 1893 al 1895 e tornò poi in Turchia nel 1908), faceva varare una nuova legge militare con nuovi regolamenti di istruzione per le truppe, riorganizzazione della cavalleria e Furono anche ristrutturate le circoscrizioni territoriali. Impadrorutisi del potere i Giovani Turchi promulgarono, nel 1909, una nuova legge organica di riforma dell'esercito che prevedeva l'estensione del servizio militare anche ai non mussulmani, obbhgatorio e senza distinzione di razza, di culto e di religione; la ferma triennale per la fanteria e quadriennale per la cavalleria. I corpi d'armata furono raddoppiati e le divisioni da 17 vennero portate a 43. Indubbia. mente un esercito colossale che, tuttavia, non aveva dietro di sé riserve istruite e quadri preparati.

(2) A. MAINONI, Calcolodelleforze..., cit, p. 14.

Riferendosi poi al problema delle operazioni militari della Russia contro la Turchia sottolineava come non vi fossero dubbi che le azioni sarebbero cominciate contemporaneamente in Asia ed in Europa: all'armata del Caucaso sarebbe spettato .il compito di affrontare le forze ottomane in Asia mentre l'armata concentrata sul Pruth doveva agire in Europa. Gli accordi preventivi che da parte russa si stavano concludendo con il governo romeno, la mobilitazione dell'esercito valacco, la riunione di materiali da ponte sulle due sponde del Danubio. a Kladona in Serbia e a Thurn-Sceve rin in Romania , erano " i molteplici indizi che farebbero supporre probabile un piano tendente a valersi delle ferrovie rumene e della relativa facilità di passaggio de] fiume nei punti indicati, all o scopo d i concentrare una massa considerevole sul territorio serbo (1). Su questo punto tuttavia l'osservatore italiaPo esprimeva nunumerosi dubbi in quanto, se la guerra si fosse riaperta, la Serbia avrebbe avuto indubbiamente bisogno dell'aiuto immediato del-

GUERRA RUSSO - TURCA : lE OPERAZIONI SUL DANUBIOU877}

la Russia ma a rinnovare le milizie del Pri;:tcipato e a preservare le popolazioni danuove devastazioni sarebbe stato sufficiente, da parte della Russia, inviare una divisione mentre il resto dell'Armata avrebbe potuto operare verso la Bulgaria evitando così le fortezze della riva destra del Danubio, « le quali benché piccole e in cattivo stato », costituivano pur sempre un ostacolo. Questo secondo una logica puramente strategica ma poiché la scelta della linea di operazione sarebbe stata determinata da considerazioni di carattere politico e poiché la Serbia, «spinta dalla Russia alla rivolta», aveva sopportato fino a quel momento i maggiori disagi per la causa slava era ine" vitabile per la Russia. anche per non perdere la propria influenza sulle popolazione serbe, accorrere in loro aiuto all'inizio delle ostilità -seguendo quella linea sopra descrtta. « Considerata pertanto la produttività della linea ferroviaria rumena - concludeva Mainoni -e la distanza che separa la frontiera russa da Thurn-Sceverin, si può calcolare che in quattro giorni la Russia concentrerà sul Danubio una divisione e un reggimento di cavalleria e che in altri dieci giorni potrà far marciare queste truppe fino a Cuprjia. Questo a parer mio il preludio delle operazioni offensive» (1).

Per quanto riguarda la crisi d'oriente vera e propria il primo dispaccio di Mainoni si era occupato delle misure prese dal ministero della Guerra austriaco di fronte alle insurrezioni in Bosnia - Erzegovina al fine di intervenire ed occupare la regione qualora se ne fosse presentata l'occasione. Ricordata la mobilitazione, ormai avvenuta, delle divisoni VI (Graz), VII (Trieste), XVIII (Dalmazia), XXVIII (Lubiana) e XXVI (Agram), informava come la sola arma sostituita in quella mobilitazione sarebbe stata l'artiglieria la quale sarebbe stata di montagna, raccolta dalla Dalmazia e dal Tirolo e concludeva che pur non essendo suo <.:umpilo formulare considera:t.ionl politiche era verosimile affermare che l'Austria-Ungheria avrebbe «più o meno presto>> occupato la Bosnia-Erzegovina (2). Gli altri dispacci di Mainoni si occupano infine delle osservazioni raccolte a Vienna sulle probabili mosse dell'esercito russo in Asia, sulla volontà dell'Austria di mantenersi estranea alla lotta tra la Russia e la Turchia, l'ostilità dell'opinione pubblica austriaca verso la Russia e infine considerazioni sull'esercito russo e sulla battaglia di Plevna (3).

(l) A. MAINONI, Calcolodelleforzee..., cit., p. 18.

(2) Mainoni a Bertolè Viale, Vienna 2 agosto 1875, SME·AUS, b. 9, Addetti militari. Bertolè Viale (Genova 1829-Torino 1892) era allora comandante del Corpo di Stato (1874-1881). Dal 1867 al 1869 era stato ministro della Guerra nel gabmetto Menabrea, carica che tornò a ricoprire nel gabinetto Crispi (1887) ordinando la spedizione in Africa del generale S. Marzano.

(3) Sui problemi connessi alla guerra e la valutazione che -veniva fatta nei circoli militari e politici viennesi cfr. i dispacci di Mainoni a Bertolè Viale, Vienna 21 aprile 1877, n. 34, SME-AUS, b. 10, Mainoni (1875·18n); ID., Vienna 3 maggjo 1877, n. 44, ivi; ID., 10 maggio 1877, n SO, ivi; ID., 11 maggio 1877, n. 51, ivi; ID., 30 luglio 1877, n. 90, ivi, rilevava che l'opinione pubblica austriaca era ostile alla Russia; ID., 1 agosto 1877, n. 100, ivi; ID., 7 agosto 1877, ivi, considerazioni sull'esercito russo e sulla battaglia di Plevna.

Gli avvenimenti militari della guerra russo-turca nel loro svolgersi sono sufficientemente noti. Assicuratasi la neutralità dell'Austria la Russia dichiarò guerra alla Turchia il 24 aprile 1877 e ricevuto il permesso dalla Romania, attravers.ò il confine del principato. Mentre la flottiglia turca del Danubio tentava inutilmente il passaggio del fiume la Romania radunava il proprio esercito ad occidente dell'Aiuta. A metà giugno !'armata russa era pronta ad agire lungo il coJ;So dell'Aluta. I turchi tenevano pronto il grosso delle loro truppe a Sciumla, avevano occupato Turtukai, Ruscuk, Sistovo , Nicopoli ed avevano spinto un piccolo corpo nella Dobrugia . Il comandante russo ieee approntare un ponte sull'Aiuta per il passaggio dei quattro corpi d'armata mentre una avanguardie, comandata dal generale Gurko, doveva superare i Balcani e portarsi in Bulgaria per sollevarla contro i turchi. In giugno il XIV corpo d'Armata russo passò H Danubio a Macin mentre il e XIII si dirigevano su Jantra e il IX su Nicopoli. Sotto la pressione delle forze russe il comando turco richiamò dal Montenegro le truppe di Suleiman pascià e da Viddino quelle di Osman pascià inviandole sul tea· tro di guerra bulgaro. Durante la marcia Osman pascià giunse tra il 17 e 19 luglio a Plcvna dove si attestò fortificandosi. Per due volte i russi condussero l'offensiva e dopo il 31 lugHo lo zar chiese al principe Carlo di Romania la fusione dei due eserciti. Falliti i tentativi di liberare Plevna, l'esercito turco si mantenne nelle posizioni del quadrilatero Ruscuk-Silitria-Vama-Sciumla, mentre Plevna che aveva arrestato l'esercto nemico per sei mesi cadeva il 10 dicembre. La caduta di Plevna incoraggiò i serbi a rinnovare la guerra contro la Turchia che oppose deboli re· sistenze. Le forze serbe unitesi in parte a quelle romene e in parte a quelle russe giunsero fino a Vrania nell'alta valle della Morava. Anche i montenegrini ripresero, nel gennaio 1878 l'offensiva impadronendosi di Antivari,. Dulcigno e della foce della Boiana. Sfavorevolmente per i turchi si conclusero anche le operazioni in Asia con l'assedio prima e la caduta poi di Erzerum e Kars (1).

Da Berlino il maggiore del Mayno già dal gennaio 1876 aveva preso a seguire con attenzione le vicende della penisola balcanica e, soprattutto, quello che accadeva all'interno dell'Impero russo. « Sebbene alieno - scriveva - dal voler invadere il terreno politico-militare come quello che è proteiforme e malsicuro», riteneva suo dovere informare come la mobilitazione conclusasi « con una rapidità inaspettata » in Russia non avesse reso necessario lo spostamento sul Prut delle truppe che appartenevano ai comandi generali di Pietroburgo, Mosca, Vilna e di altri importanti distretti russi. Questo, a suo giudizio, era ancor più sorprendente in considerazione del fatto che in genere le truppe di presidio nei centri più importanti erano anche quelle meglio addestrate e quindi la logica avrebbe voluto un loro spostamento sul fronte: «come in tutti i paesi - aggiungeva - ove l'azione del sovrano è assoluta o quasi si

(l) Notize utili sullo svolgimento della guerra anche nei rapporti da Bucarest di Fava a Melegari nel periodo 1876-1877, MAE-AS, bb. IJ95 e 1396, Rapporti in arrivo. Rumania.

GUERRA RUSSO - TURCA: SETTORE CAUCASIC0(1877)

concentrano tutti gli elementi migliori sui corpi di truppa vicini alla sede di esso e di fatto le truppe di Pietroburgo. Vilna. Varsavia e Mosca sono sensibilmente superiori alle altre della Russia europea. Eppure di quelle, lo ripeto, non se ne mosse neanche un battaglione per contribuire ad una azione militare contro la Turchia che riuscendo metterebbe in atto il sogno di un intero secolo». La mobilitazione al contrario aveva dimostrato come al centro delle preoccupazioni dello Stato Maggiore russo fossero le reazioni della Germania e dell'Austria piuttosto che quelle turche. « L ' antipatia» dei russi per i tedeschi era, a giudizio d eli 'ufficiale italiano, una realtà indiscutibile ed egli stesso ne aveva avuta conferma diretta nel viaggio effettuato in Russia nell'estate del 1875. Questo atteggiamento non era mitigato dall'amicizia personale, « nota a tutti », tra l'imperatore e lo zar e negli ambienti militari prussiani si sottolineava come la mobilitazione russa, forte di ben sette corpi d'esercito, fosse rivolta proprio contro la Germania (1). In successivi dispacci confermava come la questione di oriente fosse seguita con estrema attenzione a Berlino dove non si registravano però preparativi militari; irritati erano invece gli ufficiali russi «contro chi li comanda perché pare voglia assolutamente la pace>> (2) . In un'altra lunga lettera dell'aprile 1877 del Mayno oltre ad interessanti considerazioni sui rapporti tra la Francia e la Germania e sulla sua situazione interna informava come l'opinione pubblica prussiana fosse nettamente schierata contro la Russia alla quale non si doveva permettere di giungere a Costantinopoli. Lo scontro tra la Russia e la Turchia era un « duello ad estrema oltranza »; i turchi avrebbero opposto una tenace resistenza, superiore ad ogni aspettativa, e i russi avrebbero vinto perché più forti ma senza brillanti trionfi. Se queste erano le opinioni correnti a Berlino nei circoli non ufficiali, le relazioni tra i due governi erano invece ottime tanto che uno dei più diffusi « si dice » che circolava nella capitale era che « la lotta comh1cia tra Russia e Turchia quali duellanti e che a lato della prima si trova la Germania, come padrina, e dall'altra l'Inhilterra » (3).

Dal puqto di vista militare al centro dell'interesse dell'uf. ficiale italiano si collocano le osservazioni sull'organizzazione della campagna da parte dei russi e dei turchi secondo le informazioni raccolte negli ambienti militari prussiani o neì colloqui con gli ufficiali russi (4). Nell'aprile 1877 sottolineava come fosse necessario per i russi occupare la zona nord della Dobrugia: una azione turca su Galatz avrebbe infatti tagliato le comunica- zioni ferroviarie (1). Informazioni ricevute da ufficiali russi confermavano nell'addetto militare italiano la convinzione che la Russia soverchiante per forze, non avrebbe incontrato difficoltà nell'attraversare il Danubio, ma queste si sarebbero manifestate nel provvedere al vettovagliamento di oltre duecento mila uomini in Bulgaria. Era opinione diffusa a Berlino che lo zar ricercasse la collaborazione delle popolazioni per il sostegno logistico ma intendesse rifiutare l'aiuto militare. Tale atteggiamento rrnase fino agli avvenimenti di Plevna quando la collaborazione in particolare quella romena, venne richiesta e sollecitata (2). Caratteristica dei primi mesi di campagna, ripetutamente sottolineata da del Mayno a Bertolè Viale, comandante del Corpo di Stato Maggiore, era stata l'inazione turca da un lato e la disorganizzazione russa dall'altro: il ventilato passaggio del Danubio, studiato e programmato, veniva continuamente rimandato con grave pregiudizio per il futuro svolgimento della campagna. Nell'agosto 1877, registrando le conseguenze dell'insuccesso russo nel primo combattimento di Plevna, ricordava come questo fosse stato il risultato « di soverchia fiducia in se stessi e soverchio disprezzo per le attitudini militari del nemico» . La successiva mancanza di qualsiasi attività sul teatro di guerra di Bulgaria, dimostrava, a giudizio dell'ufficiale italiano, che gli avvenimenti avevano preso una piega decisamente negativa per i russi e che questi non erano ancora in grado di riprendere l'iniziativa: solo dopo la caduta di Plevna si era avuta la cer· tezza della vittoria (3).

(1) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 31 gennaio 1876, SME-AUS, b. 26, Addettimilitari(1876), fase. CorrispondenzadelMayno,addetro militareaBerlino(1875-1879), lettera n. 157, ff. 4.

(2) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 12 giugno 1876, n. 115, b. 26 cit.; ID., 19 gennaio 1877, n. 154, ivi.

(3) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 23 aprile 1877, n. 186, SMBAUS, b. 26 cit.

(4) Del Mavno a Bertolè Viale, Berlno, 25 aprile 1877, n. 187 e l9 aprile 1877, n. i90, SME-AUS, b. 26 cit.

Componente della commissione militare che preparava i lavori cartografici per le missioni dei plenipotenziari al Congresso di Berlino del Mayno, in una lettera del luglio 1878, ricordava come quei lavori fossero stati eseguiti con strumenti inadatti in tempi eccessivamente brevi. Gli errori compiuti avrebbero aggravato quei conflitti inevitabili sui tracciati dei confini una volta che le Commissioni internazionali fossero passate alla realizzazione concreta (4).

Contrariamente ad altri eserciti europei quello italiano non inviò osservatori propri durante lo svolgimento del conflitto: uno studio sulle operazioni militari fu realizzato solo successivamente con ricognizioni sul teatro di guerra dal colon-

(l) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 6 maggio 1877, n. 192; 20 maggio 1877, n. 196; 27 maggio 1877, n. 197, SME-AUS, b. 26 cit.

(2) Del Mayno a Bertolè Viale Berlino, 9 giugno 1877, n. 201; 13 giugno 1877, n. 204; 18 giugno 1877, n. 213; 9 luglio 1877, n. 218; 14 luglio 1817, n. 219, Idee sv olte dagli ufficiali del grande stato maggiore prussiano sulla guerra russo-wrca; 22 luglio 1877, n. 222; 29 luglio 1877, n 223; SME-AUS, b 26 cit.

(3) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 6 agosto 1877, n. 226; 13 agosto 1877, n. 227; 20 agosto 1817, n. 231; 29 agosto n. 233; 18 dicembre 1877, n. 251; 17 marzo 1877, n. 279; 25 apn1e 1878, n. 293; 9 agosto 1878, n. 332; SME-AUS, b. 26 cit.

(4) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino, 14 luglio 1878, n 323, SME-AUS, b. 26 cit nello Celestino Rossi e dal capitano Tanfani. Il 6 novembre 1878 i due ufficiali furono messi a Costantinopoli in contatto dal marchese Galvagna, ambasciatore italiano, «con quelle notabilità ottomane e forestiere che potevano maggiormente facilitare la missione loro affidata» (1). Al termine della ricognizione, sulla base delle osservazioni effettuate e della documentazione raccolta, fu stilata una relazione riguardante la difesa di Costantinopoli, del Bosforo, dei Dardanelli e della penisola di Gallipoli. In una nota sulla Dobrugia, in quel momento al centro delle trattative tra Romania e Bulgaria, i due ufficiali indicavano le tre possibili linee di delimitazione tenendo conto delle motivazioni economiche, politiche, etniche e militari che erano alla base delle aspirazioni dei due paesi. Particolare cura era poi dedicata alla descrizione della piazza militare di Silìstria posta sulla riva destra del Danubio e al centro delle comunicazioni con Varna e Ruscuk. A Silistria e alle sue fortificazioni gli ottomani avevano dedicato particolari attenzioni costruendo tre diversi gruppi di opere: due laterali, più importanti, appoggiati al Danubio e denominati Arab Tabia quello orientale e Abdul Medsgit e Kucuk Mustafà quello occidentale; uno centrale, più ristretto e di collegamento, chiamato Ordù Tabia. Il teatro d'Asia con la formazione e la dislocazione delle truppe dei due eserciti, le operazioni militari per la presa di Ardgian e di Kars, la consistenza delle forze turche, serbe e montenegrine costituiscono altrettanti punti della lunga relazione redatta, tra il 1879 e il 1880, dai due >ufficiali (2).

3. Dell'Italia « ufficiale» si è detto, diverso fu l'atteggiamento degli italiani nei confronti degli avvenimenti balcanici dell'epoca. Partecipazione intensa dei garibaldini i quali, come ha puntualizzato Angelo Tamborra nel suo Garibaldi e l'Europa (3), costituirono, per aiutare gli insorti, una propria ceta o banda partigiana sin dall'ottobre 1875 e nel dicembre dello stesso anno erano in testa come numero nella ceta internazionale con ben 390 combattenti. Adesioni collettive e individuali furono significative e qualificanti in quegli anni cruciali per l'avvenire nazionale dei popoli balcanici: Romeni, Bulgad, Serbi e Montenegrini.

(l) Galvagna a Cairoli, Costantinopoli, 12 novembre 1878, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1463.

(2) Guerra d'Oriente (1877-1878). Relazioni, SME-AUS, b. 189, Studi particolari, riguarda le relazioni sulla difesa di Costantinopoli, del Bosforo, dei Dardanelli, della penisola di Gallipoli, di Silistria e Note sulla . Dobrugia. Difesa i Odessa contro eventuali attacchi della flotta turca, b. 190, Studi particolari. Guerra d'Oriente (1877-1878). Teatro d'Asia, b. 201, ivi, fase. l, Formazione e dislocazione delle truppe dei due eserciti ed operazioni militari dal principio alla presa di Ardgian (24 aprile-lO maggio), fase. II, Operazioni militari dalla presa di Ardgian all'investimento di Kars (10-31 maggio), fase. III, Investimento di Kars (31 maggio-8 luglio), fase. IV, Investimento di Kars (8 luglio-15 settembre), fase. V, Offensiva russa, fase. VI, Caduta di Kars, fase. VII, Dislocazione di Truppe. Guerra d'Orien· te (1877-1878). Teatri secondari d'Europa, b. 202, ivi, fase. I, Forze turche in Europa. Forze serbe e montenegrine (21 febbraio-12 giugno 1877), fase. II, Insurrezioni (8 giugno-3 agosto 1877). Teatro danubiano, b. 203, ivi, con raccolta di ritagli a stampa e dispacci d'agenzia sulla guerra.

(3) A. TAMBORRA, Garibaldi e l'Europa, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, Comitati di Napoli e Palermo, Salerno 1961, pp. 67 e ss.

Questi ultimi, in particolare, avevano sempre rappresentato un avamposto della resistenza al dominio ottomano. Dopo la guerra di Crimea e il Congresso di Parigi il principe Danilo del Montenegro aveva richiesto per il proprio paese uno status simile a quello dei principati danubiani. Pur non ottenendo immediata soddisfazione aHe proprie richieste il problema era rimasto ben vivo per tutto il ventennio tra le due crisi d'Oriente in quanto il Montenegro si era impegnato, sin dal 1857, nell'aiuto agli insorti della Bosnia-Erzegovina contro i turchi. La sconfitta subita dai turchi nel 1858 a Grahovo e l'intervento delle potenze europee, firmatarie del trattato di Parigi, conferirono al paese una sorta di riconoscimento internazionale. Nel 1862, ·la Turchia dichiarò guerra al Montenegro dopo una nuova insurrezione in Erzegovina (1861) nonostante questi si fosse mantenuto ufficialmente estraneo. La guerra si risolse sfavorevolmente per il Montenegro ma la con,venzione di Scutari dell'agosto 1862 riconobbe i confini del 1859. La crisi d'Oriente del 1875-1878 rappresentò la grande occasione per il principato che, d'accordo con la Serbia, nel luglio 1876 dichiarò guerra alla Turchia in appoggio all'insurrezione in Bosnia-Erzegovina. Dopo l'armistizio del novembre 1876 i montenegrini ripresero le ostilità nel 1877 quando la Russia dichiarò a sua volta guerra all'Impero ottomano. I successi ottenuti permisero al Montenegro notevoli ingrandimenti territoriali in tutte le direzioni riconosciuti dalla pace di Santo Stefano (3 marzo 1878) e successivamente ridotti dal Congresso di Berlino (1).

Nel novembre 1879 il tenente colonnello Ottolenghi, delegato italiano nella Commissione per la delimitazione del Montenegro, nella sua relazione al comandante del Corpo di Stato Maggiore riassumeva il lavoro svolto ricordando come la decisione della Commissione di prendere le decisioni a maggioranza di voti avesse incontrato l'immediata disapprovazione del delegato russo, che chiedeva l'unanimità sulle questioni di principio. Base dei lavori era stata quellà discussa carta austriaca sulla quale si erano svolte le trattative a Berlino e in questo la Commissione aveva incontrato l'opposizione del delegato turco il quale « non ignorava che tutti gli errori mate· riali del trattato ridondavano a vantaggio della Porta >>. E infatti il commissario turco alla prima decisione presa contro il suo parere e contrariamente al voto già espresso sulla validità delle decisioni prese a maggioranza, aveva abbandon(lto i lavori condannando la Commissione all'inoperosità dal maggio al luglio 1879. I lavori ripresero, ricordava ancora l'ufficiale italiano, quando le potenze aderirono alla proposta italiana di tracciare temporaneamente linee di frontiera contraddittorie. Le difficoltà, in sostanza, nascevano dall'estrema labilità del testo scaturito dal Congresso di Berlino il quale, eccettuate le disposizioni tassative di lasciare alla Turchia il territorio delle tribù albanesi, non offriva, quale criterio direttivo, principi di nazionalità, di razza o di religione. Lo stesso governo ottomano, pur mostrandosi ufficialmente favorevole ai lavori della Commissione, attuò una strategia dilatoria cercando di impedire le ricognizioni sul terreno, di rendere difficile l'accesso ad alcune località mentre il suo rappresentante abbandonava i lavori ogni qualvolta si prendevano decisioni sfavorevoli alla Turchia. Mentre la Russia favoriva il Montenegro, « patrocinando in suo vantaggio concessioni non accordate o escluse tassativamente dal testo del trattato », l'Inghilterra tutelava gli interessi della la Francia e l'Italia, « sempre imparziali », si erano trovate quasi sempre d'accordo. Germania e Austria avevano invece tenuto, a giudizio di Ottolenghi, un contegno mutevole ma sostanzialmente favorevole agli interessi ottomani: la Turchia finiva quindi per essere favorita poiché, nella peggiore delle ipotesi, poteva sempre contare su quattro (Turchia, Austria, Inghilterra, Germania) degli otto voti della Commissione. Questa riunitasi il 30 aprile 1879 iniziò i lavori veri e propri il 25 luglio con l'esame del tratto di frontiera tra l'Adriatico e Gusinje-Plav, proponendo tracciati contradditori. La Commissione, ricordava ancora Ottolenghi, non aveva potuto recarsi nei territori ad est e ovest di Gusinje-Plav; territori che la Turchia aveva abbandonato ma che si era rifiutata di consegnare al Montenegro. Le tribù della zona infatti, « in istato di anarchia», avevano disarmato e spogliato dei loro beni gli slavi ortodossi della regione e respingevano qualunque tentativo di annessione al Montenegro (1). Il problema della frontiera con l'Albania venne poi risolto nel 1880 dopo lunghe trattative con la rinuncia del Montenegro alle zone circostanti Gusinje e Plav in cambio di Ulcinij. Questa città sull'Adriatico era stata precedentemente restituita alla Turchia mentre Bar era rimasta al Montenegro con il vincolo, per il principato, a non costruire una propria flotta da guerra mentre il porto, per impedire che divenisse una base militare russa, doveva restare chiuso alle navi da guerra di ogni paese.

(l) G. OTTOLENGHI, Rapporto della Commissione per la delimitazione del Montenegro, SME-AUS, b. 36, Reparto operazioni. Ufficio Coloniale. Stati esteri, 25 novembre 1876, pp. 16.

Giuseppe Ottolenghi (Sabbioneta 1838-Torino 1904), sottotenente di fanteria nel 1859 partecipò alla campagna di quell'anno, a quella del 1860-61 e a quella del 1866. Professore d'arte e storia militare presso la Scuola militare di Fanteria e Cavalleria (1871-1873) da tenente colonnello partecipò ai lavori della Commissione per la delimitazione del Montenegro (1879·1880). Colonnello nel 1881, tenente generale nel 1895 nel maggio 1902 venne nominato senatore e ministro della Guerra, carica che ricopri fino al dicembre 1903.

Anche la Serbia, che al pari degli altri paesi balcanici aveva sempre mal sopportato il dominio ottomano, si era alleata nel 1876 con il Montenegro e nel 1877 con la Russia, la Romania e i ribelli bulgari. Anche in questo caso i vantaggi ottenuti con la guerra erano stati ridimensionati dal Congresso di Berlino soprattutto per le pressioni dell'Austria-Ungheria che temeva il rafforzamento della Serbia e la sua influenza sui serbi d'Ungheria. Ridimensionata l'influenza russa, la sistemazione scaturita da Berlino pur avvicinando i confini della Serbia al Montenegro confermò la Bosnia sotto amministrazione austriaca e il sangiaccato di Novi Pazar sotto la sovranità turca con presidi militari austriaci e lasciò il paese senza uno sbocco a] mare.

Delegato italiano nella Commissione dì delimitazione per la Serbia fu designato il colonnello Velini il quale, a lavori ultimati, redasse una lunga relazione divisa in quattro parti riguardanti la delimitazione vera e propria, le conseguenze politiche, le istituzioni serbe e le condizioni militari del paese. Ricordato come la delimitazione fosse stata eseguita in quattro mesi (giugno-settembre 1879), l'ufficiale italiano rilevava come questo tempo sarebbe stato infinitamente più breve se ogni commissario avesse avuto a propria disposizione qualche topografo e se si fosse seguito un procedimento più semplice come quello di limitarsi a rilevare solo la linea di confine fissando capi saldi ben determinati. Alla Serbia erano stati annessi 12.000 chilometri quadrati di territorio ed una popolazione di circa 300.000 abitanti. Il nuovo confine, tracciato sommariamente a Berlino, non rispondeva che incompletamente al principio di nazionalità e la stabilità della nuova frontiera in alcuni punti era quindi compromessa. Altro grave problema era rappresentato dal rimpatrio degli albanesi e sarebbe stato utile, a giudizio del'ufficiale italiano, che la Serbia, la Turchia e le potenze europee avessero risolto il problema per scongiurare futuri pericoli. Altre difficoltà potevano nascere dalle convenzioni ferroviarie tra la Serbi a e l'Austria-Ungheria e l'Italia, di fronte ai molteplici interessi che si collegavano alla questione ferroviaria nei Balcani, non doveva rimanere indifferente per la tutela dei propri interessi economici e commerciali. Relativamente alle istituzioni politiche della Serbia, particolareggiatamente descritte, il delegato italiano le giudicava tra le più liberali d'Europa, particolarmente curata l'istruzione pubblica, vivo il sentimento religioso, i vincoli familiari, l'attaccamento alla patria e alle tradizioni storiche. Erano questi gli elementi che avrebbero fatto « di quel piccolo popolo un nucleo potente attorno al quale, dati certi eventi, si verranno raccogliendo tutti gli Slavi del sud».

Ponendosi in una prospettiva diversa da quella comunemente diffusa giudicava H panslavismo « uno spauracchio che si fa balenare agli occhi c1.ell'Europa dalle potenze interessate ogni volta che il loro tornaconto lo domandi. A quanto sembra non è che un fantasma. Tutti sentiamo - scriveva ancora Velini - che la dominazione turca nei Balcani è vicina a finire; e tra i superbi e potenti colossi che si contrastano la supremazia in Oriente, tra i successori di Caterina II e gli eredi della politica del principe di Metternich che tendono ad avere un piede sull'Egeo ed uno sul litorale Adriatico, ed il cuore a Vienna e la testa sulle Alpi, parmi più logico e più umanitario e patriottico ed anche più utile assecondare le popolazioni della penisola nella conquista della loro nazionalità ». Ho riportato questo lungo passo della relazione Velini perché mi sembra che meglio di ogni altro esprima quella che era la posizione non solo personale nei confronti dei problemi del mondo balcanico verso il quale l'Italia avrebbe dovuto muoversi intrecciando relazioni industriali, commerciali e agricole.

Dal punto di vista militare rilevava come l'esercito fosse relativamente ben ordinato e in progressivo miglioramento: il soldato serbo, con le sue ottime qualità militari, aveva dato nella recente campagna indubbie prove del proprio valore. Suggeriva pertanto che gli ufficiali italiani, addetti alle legazioni, studiassero l'ordinamento degli eserciti di grande numero con un bilancio relativamente basso.

Descritte le condizioni offensive e difensive della Serbia, l'ufficiale italiano concludeva la sua lunga relazione delineando quelli che a suo giudizio sarebbero stati i compiti del paese: questo infatti avrebbe dovuto affermare le proprie istituzioni, promuove e diffondere l'istruzione, rafforzare l'esercito e soprattutto «essere d'esempio ai figli dispersi della grande famiglia serba; e senza provocare direttamente la trasformazione dell'Europa orientale, tenersi parati ad ogni evento, e mettersi a livello della fortuna, ed usufruire calmi e risoluti dei momenti proprizii. E' cotesta, a quanto pare, una condotta saggia e feconda. Che l'Europa civile assecondi le aspirazionini della libera Serbia e che i voti degli italiani accompagnino nel compimento della sua nobile missione la valente avanguardia degli Slavi del sud, è l'augurio ch'io faccio a quella degna nazione nel suo interesse e nell'interesse dell'equilibrio d'Europa»

(l) A. VELINI, Note sulla delimitazione della Serbia, Roma, gennaio 1880, pp. 135, SME-AUS, b. 36, Reparto operazioni. Ufficio Coloniale. Stati esterz.

Attilio Velini (Tradate 1839-Como 1906) dopo aver partecipato come volontario alla campagna del 1859 fu nominato sottotenente {1860) e prese parte alla campagna del 1866. Colonnello nel 1884, maggior generale nel 1892 fu nominato tenente generale nel 1903 e fu deputato nella XIII, XIV, XV e XVI legislatura per i collegi di Appiano e Corno.

L'azione del rappresentante italiano, colonnello Baldassarre Alessandro Orero, in seno alla Commissione europea per la delimitazione dei confini, costituita dopo il congresso di Berlino, è nota alla storiografia dei rapporti italo-romeni. Se ne sono occupati infatti, studiando il problema del nuovo assetto balcanico, G. Bibesco, Histoire d'une frontière, Parigi 1883 e B. Cialdea, La politica estera della Romania nel quarantennio prebellico, Bologna 1933, pp. 102-109. La documentazione conosciuta è essenzialmente quella contenuta in Documente oficiale din corespondinta diplomatica... presentate corpurìlor legiitoare in sesiunea anului 1880-1881, 1880, pp. 203204 (due rapporti del rappresentante romeno a Costantinopoli, 22 e 29 agosto 1879) e in Politica extema a Romaniei 1ntre anii 1873-1880 privitii dela agentia dplomaticii din Roma, a cura di R.V. Bossy, 1928, pp. 181, 185-188 (due rapporti del rappresentante romeno in Italia, 29 ottobre 1878, 10 febbraio 1879; un dispaccio del ministro degli Esteri Campineano al rappresentante romeno in Italia, 5 febbraio 1879). Ma la azione del colonnello Orero può essere meglio determinata con la documentazione offerta dagli archivi italiani; in particolare grazie ai rapporti che egli inoltrava al ministero degli Esteri tramite la legazione a Costantinopoli e ai protocolli ufficiali delle sessioni della Commissione per la delimitazione dei confini. Si tratta di sette rapporti, redatti a Costantinopoli e a Silistria in un periodo dal4 ottobre al 17 dicembre 1878 contenuti nell'Archivio storico del ministero degli affari esteri, Rapporti in arrivo, Turchia, busta 1462 e 1463; i protocolli, invece, si trovano nella busta 1463 dello stesso fondo. Si conserva, inoltre, nell'Archivio dell'Ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, Ufficio coloniale, Reparto operazioni, Stati esteri, busta 32, fase. 3, busta 25, fase. 11 (posizioni M 611-617), la relazione finale di Orero, composta di due quaderni, rispettivamente di 40 e 108 fogli. La prima parte della relazione riguarda il periodo settembre-dicembre 1878, durante il quale la Commissione europea condusse a termine i lavori per la delimitazione del confine tra Romania e Bulgaria; la seconda, invece, riguarda il periodo marzo-luglio 1879 impiegato per delimitare il confine della Rumelia, per creare cioè, giusto il dettato del congresso di Berlino, una linea difensiva che permettesse all'impero ottomano uua reale capacità di difesa del proprio territorio e quindi della propria autonomia politica. Successivamente, nel 1881, il colonnello Orero pubblicò le proprie memorie, fermandosi sugli aspetti di colore che su quelli politici, col titolo Note di viaggio nella penisola dei Balcani (Novara 1881 ).

Il colonnello Orero (Novara 1841-1914), ufficiale di formazione piemontese e risorgimentale, fu attore non secondario di alcune vicende di storia italiana, mostrando costantemente una spiccata personalità. Entrato nell'Àccademia militare di Torino nel 1856 e nominato sottotenente dei bersaglieri, partecipò alla seconda guerra d'indipendenza, alla campagna del 1860-1861 dove collaborò con il generale Cialdini e alla presa di Roma nel 1870 (1). Trasferito allo stato maggiore nel 1872, fu inviato, tre anni dopo, quale osservatore italiano alle grandi manovre russe a Pietroburgo. Dopo aver lavorato alla delimitazione dei confini in Dobrugia e in Rumelia, ebbe nel 1889 il suo incarico di maggior rilievo, quando fu chiamato a sostituire il generale Baldissera in Africa. Si trovò allora, partito senza precise istruzioni, a organizzare l'amministrazione della colonia Eritrea e a svolgere, di fatto, le funzioni di governatore. Assertore della necessità di pacificare il Tigrè e di estendere l'influenza italiana su quelle popolazioni per sottrarle alla propaganda dei due ras ribelli Mangascià e Alula, eluse gli inviti alla prudenza forniti da Crispi alla sua partenza dall'Italia e si pose in contrasto col rappresentante italiano, conte Antonelli. Promosse quindi una spedizione verso Adua per non lasciare alle truppe di Menelik il compito di pacificare il Tigrè; ma il risultato militarmente e strategicamente positivo della spedizione non sanò il contrasto, ormai aperto, con Crispi e soprattutto con il conte Antonelli, alla cui politica Orero era dichiaratamente contrario. Nell'aprile 1890 l'ufficiale italiano rinunciò all'incarico, sottolineando polemicamente come fosse « necessario che il governo si pronunci chiaramente, riponendo tutta la sua fiducia nel Comando superiore o tutta nel conte Antonelli... » (2). Vico Mantegazza, nella sua narrazione delle guerre africane, contrappose le virtù militari e civili di Orero alle incertezze governative e ai maneggi della diplomazia, incarnata dal conte Antonelli. «La storia del periodo breve nel quale Orero rimase nell'Eritrea», concludeva perentoriamente, «non è che storia di questo dissenso» (3).

Nominato nell'agosto 1878 delegato italiano nella Commis- sione europea per la delimitazione dei confini (l) fu convocato al ministero degli Esteri dove il conte Corti, giusto alla vigilia della sua uscita dal ministero Cairoli , aveva raccomandato all'ufficiale una condotta equa e una fedele applicazione degli accordi di Berlino e lo aveva informato particolareggiatamente intorno ai problemi, in materia di confini, che già dall'andamento del congresso era facile intuire si sarebbero posti alla Commissione nominata all'uopo soprattutto riguardo il confine romeno-bulgaro e la città di Silitria (2). Ricevuta una lettera di istruzioni Orero si imbarcò a Brindisi il 3 settembre e, giunto a Costantinopoli il 9, fu il primo fra i delegati a raggiungere il suo posto. A causa della prolungata assenza dei suoi colleghi, rappresentanti delle altre potenze, e del ritardo con cui la Porta nominò il proprio rappresentante, i lavori iniziarono nel palazzo di Galata Serai solo il 21 ottobre 1878 con un ritardo di trentasette giorni rispetto alla data ufficiale di inizio. Inutilmente Orero se ne stupì e, come altri suoi colleghi, se ne dolse con il plenipotenziario italiano presso la Sublime Porta, conte Galvagna: questi gli confermò che il ritardo era dovuto a una precisa tattica della diplomazia ottomana, volta a far decantare la situazione. Infatti nelle riunioni informali che i rappresentanti europei avevano tenuto a Costantinopoli, presso l'Hotel Royal, residenza dei rappresentanti inglesi, si era perfettamente delineata la posizione del delegato russo il quale, in sintonia con le istruzioni ricevute da Pietroburgo tendeva a favorire la Bulgaria a danno della Romania, mentre si dichiarava autorizzato a trattare per i soli confini della Dobrugia, escludendo il problema della Rumelia (3). Il periodo di forzata inattività fu usato da Orero per prepararsi ulteriormente ai lavori e per conoscere la capitale ottomana. Lo stato di povertà e di abbandono in cui versava Costantinopoli, giustifi-

(l) Sulle esperienze fatte durante le guerre per il Risorgimento e l'Unità Orero ha lasciato una vivace testimonianza nel volume Da Pesaro a Messina, Torino 1905, sulle operazioni nell'Italia centrale e l'assedio di Gaeta. Conclusa l'esperienza in Africa, Orero comandò la brigata Parma (1890-1892), la divisione militare di Brescia (1892-1895) e infine, promosso tenente generale nel 1896, quella di Roma. Nel 1898 fu nominato comandante del corpo d'armata di Bari e nel 1902, lasciato il servizio attivo per limiti d'età, rientro nella nativa Novara dove prese parte attiva alla vita e alla amministrazione della città. Cfr. Enciclopedia Militare, vol. V, Milano 1933, p. 666; E. SARTORIS, Generale Baldassarre Alessandro Orero, in «Bollettino Storico per la provincia di Parma », UV, 1963, pp. 1-30.

(2) E. SARTORIS, art. cìt., p. 27. Sull'attività di Orero in Africa cfr. Storia politico-militare delle colonie italiane, Roma 1928 e Storia militare della colonia Eritrea , Roma 1936, voll. 2, entrambe a cura dell'Ufficio del Corpo di Stato Ministero della Guerra. Anche dell'esperienza africana l'ufficiale itahano ha lasciato una efficace memoria, Ricordi d'Africa, « Nuova Antologia», 1901, XCL, fase. 698-699, pp. 193-210 e 500-522.

{3) V. MANTEGAZZA, La guerra in Africa, Firenze 1896, p. 97.

(l) II ministero della Guerra al ministero degli Esteri, Roma 24 agosto 1878, n. 293, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1462. Oltre a Orero il ministero della Guerra nominò il capitano Felice Gola per La Commissione della Serbia e Giuseppe Ottolenghi per quella del Montene· gro. Il Gola fu poi al centro di un singolare caso: dichiarato disperso, il suo bagaglio fu ritrovato intatto ad esclusione del pac.co di documenti che avrebbe dovuto inviare a Roma, cfr. MAE-AS, Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396

Galvagna a Corti, Costantinopoli 8 settembre 1878, n. 1261, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1462. Informava dell'arrivo a Costantinopoli di Orero e comunicava il nome degli altri delegati: Home per l'Inghilterra, Lemoyne per la Francia, Ripp per l'Austria-Ungheria, Scherff per la Germania. Nello stesso dispaccio Galvagna si faceva interprete del desiderio espresso da Orero di avere a disposizione un ufficiale inferiore come aiuto , in analogia con gli altri rappresentanti europei. La richlesta fu sod· disfatta con la nomina del capitano Tornaghi, che fu successivamente assegnato alla Commissione per la Rumelia.

(2) Galvagna a Corti, 23 settembre 1878, n. 1268 ID., 26 settembre 1878, n. 1270; ID., l ottobre 1878, n. 1277; MAE-AS, Rapporti in arrivo Turchia, b. 1462 .

(3) Cfr. Orero a Corti, Costantinopoli 4 ottobre 1878, rapp. n. l, MAE-AS, b. 1462 Rapporti in arrivo. Turchia; ID., Costantinopoli 22 ottobre 1878, rapp. n. 2, ivi cato in parte dalla presenza delle truppe russe ancora accampate alle porte della città, deluse profondamente l'ufficiale italiano. Definito il soldato ottomano per le sue qualità come la «miglior cosa dell'impero», egli dedicò numerose pagine della sua relazione a descrivere le caratteristiche peculiari dell'organizzazione militare turca, esprimendo giudizi negativi soprattutto sulla formazione del corpo degli ufficiali, sull'addestramento e la disciplina. La crisi di quell'esercito, che pure aveva contato nella guerra contro la Russia oltre 740 mila uomini, non poteva essere arrestata dall'immissione di ufficiali stranieri (1).

Nelle prime pagine della sua lunga relazione il colonnello Orero ricordava come il congresso di Berlino avesse voluto creare in Europa una pace stabile e duratura, affidando alle tre potenze estranee (Germania, Francia e Italia) un compito di mediazione tra le parti interessate. Tuttavia il bilancio del congresso sembrava deludente: l'Epropa, in definitiva, aveva sanzionato esigenze derivanti dall'interesse particolare di alcune potenze e con ciò aveva costruito una pace precaria. Riferendosi in particolare alla Romania scriveva:

«La Francia e l'Italia fecero allora la proposta di comprendere Silistria nel territorio da assegnarsi alla Romania. Questa proposta, probabilmente, sarebbe stata accettata qualora avesse avuto l'appoggio delle altre potenze. Ma l'Inghilterra e l'Austria che in quel congresso dominavano la situazione erano troppo soddisfatte dei successi ottenuti nel loro interesse per non essere concilianti verso la Russia in una questione che non le riguardava. La prima difatti non si intromise e la seconda si limitò ad esprimere il desiderio di veder esteso d'alquanto il territorio da concedersi alla Rumenia. La Germania fu lieta di poter afferrare questo punto in cui non erano interessate le due potenze da cui pendeva la pace o la guerra, per mostrare un'attitudine completamente favorevole alla Russia. Così avvenne che l'idea di dare Silistria alla Rumenia. idea che avrebbe allora sciolto ogni questione ed evitate quelle che si produssero in seguito, non fu neanche discussa» (2).

Quando il 21 ottobre 1878 la Commissione poté, per la nomina del delegato ottomano nella persona di Tahir pascià, generale di brigata, riunirsi per la prima volta in seduta ufficiale, i commissari delle altre sei potenze avevano già discusso in conferenze preparatorie il metodo e l'ordine da seguire nel lavoro di delimitazione. Bastarono dunque due sedute a Costantinopoli per stabilire le questioni di procedura e definire tutti i preliminari che potevano agevolare e rendere più spedito il lavoro sul terreno. Secondo gli articoli 2 e 46 del trattato di

(l) B. ORERO, Relazione al comando del Corpo di Stato Maggiore, Roma 1880, SME-US, b. 32, Ufficio coloniale. Reparto operazioni. Stati esteri, parte I, fase. 3, pp. 9·22.

(2) B. ORERO, Relazione... , cit., pp. 40-41.

Berlino la Commissione europea aveva il compito di fissare il confine del nuovo principato di Bulgaria: a Nord verso la Romania, a Ovest verso la Serbia, a Sud verso la Turchia e la Rumelia orientale. Per un accordo intervenuto posteriormente fra le potenze, era stato aggiunto a questo compito quello di fissare la frontiera Sud della Rumelia orientale, cioè la linea di demarcazione tra quella provincia e il territorio rimasto sotto il dominio diretto del sultano. Anche facendo astrazione dai tratti di confine che, per essere determinati dal trattato in modo incontestabile, non richiedevano una speciale ricognizione dei luoghi, il lavoro della Commissione veniva ad abbracciare un'estensione di circa duemila chilometri di frontiera (1).

« Il tempo necessario per compiere l'opera nostra - scriveva a questo proposito l'ufficiale italiano - non era lecito di calcolarlo a meno di tre anni. Penetrati nell'interesse urgentissimo per l'Europa di definire nel minor tempo possibile le molte questioni che tuttora pendevano legate a quella delimitazione, fummo d'accordo nel promuovere dai nostri governi la costituzione di una commissione speciale per la delimitazione della frontiera Sud della Rumelia orientale. Questa nuova commissione, formatasi in Costantinopoli verso la fine di ottobre, fu composta in massima con gli ufficiali che erano dapprima stati aggiunti ai vari delegati della Commissione europea. Come rappresentante l'Italia fu così designato il capitano Tornaghi arrivato a Costantinopoli da pochi giorni in seguito a mia domanda di avere un compagno. A questa riduzione del nostro lavoro ne potemmo in seguito aggiungere un'altra. I governi avevano già riconosciuto l'opportunità di affidare a commissioni internazionali il tracciamento dei nuovi confini sia della Serbia come del Montenegro e ciò a similitudine di quanto il trattato stabiliva per la delimitazione del nuovo principato di Bugaria. Era quindi naturale che alla commissione per i confini serbi, cui non sarebbe spettato altro lavoro che quello di tracciare il piccolo tratto di nuovo confine tra la Serbia e l'Albania, venisse affidato anche il tratto di nostra spettanza, quello cioè tra la Serbia e la Bulgaria. Questa proposta avendo anch'essa ricevuta la sanzione dei gabinetti firmatari del trattato di Berlino il lavoro della nostra Commissione veniva ristretto a poco più di 1200 chilometri di frontiera e mettendoci all'opera con tutta alacrità come era nostra intenzione e desiderio, si aveva speranza di poter finire nell'autunno del 1879. E così fu » (2).

La Commissione decise di iniziare le operazioni col determinare la frontiera romeno-bulgara tra Silistria e il Mar Nero (3). Stabiliti alcuni giorni per i preparativi, i commissari fissarono il 2 novembre quale data di riunione a Silistria. Il

(l) Cfr. Orero a Corti, rapp. n. l e 2, cit.

(2) B. ORERO, Relazione, cit., pp. 27-29.

(3) Cfr. Orero a Corti, Costantinopoli 4 ottobre 1878, rapp. n. 1 cit.

46 ottobre 1878 la Commissione, preceduta dal delegato russo c dagli ufficiali topografi inglesi, si imbarcò per Varna, ove giunse il mattino del 29. Da Varna raggiunse RusCuk in ferrovia, e da Ruscuk scese per il Danubio fino a Silistria. Durante il viaggio l'ufficiale italiano fu urtato dal comportamento degli ufficiali russi che, come scrisse più tardi, «poteva predisporre l'animo ad una opinione non troppo favorevole sul conto loro ». Particolarmente significativo fu un episodio accaduto alla stazione di Varna sotto gli occhi della Commissione. Il delegato russo, colonnello Bogoljubov era partito per Silistria alcuni giorni prima del1a Commissione per predisporre alla stazione di Varna una carrozza speciale. Il servizio ferroviario era ancora regolato come in tempo di guerra e il comandante la stazione di Varna era un maggiore russo, che aveva concesso ad alcuni suoi compagni il vagone-sala già destinato alla Commissione. Quando i commissari fecero per prendere posto nel vagone lo trovarono occupato da tre ufficiali russi che stavano bevendo allegramente in compagnia di una signora. Viaggiava con •la Commissione un segretario dell'ambasciata russa a Vienna, tenente degli ussari, che si mostrò indignato di questo fatto e sì presentò al comandante della stazione e richiese insistentemente al maggiore suo compatriota il vagone riservato ai commissari. Ma questi non ne fu persuaso e quasi rispose con insolenza. Il segretario dell'ambasciata russa promise una punizione esemplare, tanto che gli ufficiali europei pensavano << che questa riparazione dovesse essere la fucilazione di quel povero maggiore, forse di cattivo umore per nostalgia od altra causa irresistibile ». Timore infondato giacché la Commissione ripassando per la stazione di Varna un mese dopo, rivide l'antico comandante al suo posto tranquillo e indifferente come prima (1).

Dopo dodici ore di ferrovia impiegate a percorrere duecento chilometri, la Commissione giunse a Rusèk , prima della guerra capoluogo del vilayet del Danubio, sede di vari consolati. All'arrivo degli ufficiaH europei il trasferimento dei consolati a Sofia, capitale del nuovo principato, non era ancora stato eseguito ed il colonnello Orero poté incontrare il console italiano De Gubernatis. « Per un viaggiatore italiano all'estero - notava l'ufficiale italiano - sono così poche le sodisfazioni concesse al suo amor proprio nazionale che io sentii moltissmo quella di vedere il mio paese rappresentato da una persona quale il De Gubematis, distinta per studio e cultura, per la sua conoscenza delle cose d'Oriente e per il modo esemplare con cui seppe stare al suo posto durante il bombardamento, cui fu soggetta ]a città per tutto il tempo della guerra » (2).

Ruscuk, come molte città orientali, non era che un villag- gio di capanne e piccole case in legno con circa ventitré mila abitanti , per la maggior parte mussulmani. Con l'evacuazione delle truppe ottomane i bulgari erano entrati in città in gran numero divenendo maggioranza . Descritta l'importanza strategica del villagigo dove affluiva quasi tutto il movimento dalla Russia e dall'interno della pen isola balcanica e l'importanza che aveva avuto durante la guerra. Orero sottolineava come la città fosse ancora punto di incontro dei reggimenti russi che tornavano in patria con quelli che arrivavano a dar loro il cambio: «Le vie della città erano piene di soldati mal vestiti e laceri da far compassione. Individui ubriachi, spesso al punto da esser sorretti dai compagni, passavano avanti ai loro superiori con una indifferenza da parte degli uni e degli altri che dimostrava essere quella una cosa abituale non meritevole di provvedimenti. Il sig. De Gubernatis mi disse inoltre non essere raro il caso di ufficiali in quello stato e aggiunse che il contegno loro dal generale al sottotenente, per ciò che si riferisce alla convenienza con donne, era soggetto di pubblico scandalo. Il particolare però che più d'ogni altro mi colpì fu il vedere soldati russi vestiti della loro uniforme attaccarsi al mio bagaglio in concorrenza con i kamali facendomi segno con le dita che si accontentavano di 20 copechi (70 centesimi) per il trasporto » (1).

(l) B. ORERO, Relazione ..., cit., pp. 29·32.

(2) lvi, pp. 33-34.

Poiché si trattava di fissare la frontiera di un principato indipendente} quale era la Romania, la Commissione, conforme alle consuetudini diplomatiche invitava il gabinetto di Bucarest a voler inviare a Silistria alcuni ufficiali per seguire la Commissine durante le ricognizioni. Il governo romeno, interpretando l'invito in senso largo, designò quali suoi rappresentanti al seguito della Commissione europea tre colonnelli e un deputato, più un capitano per i lavori topografici. Fin dai primi scambi d'opinione con il delegato russo, colonnello Bogoljubov, Orero intravide il disaccordo assai pronunciato che si sarebbe verificato nella scelta del punto sulla riva destra del Danubio da cui doveva partire la frontiera che assegnava alla Romania quel territorio che le era stato assegnato a compenso della Bessarabia. Questo disaccordo si fece palese fin dal primo giorno in cui la Commissione si riunì a Silistria in seduta ufficiale. le indicazioni fornite dall'articolo 2 del trattato di Berlino per la scelta di quel punto, come in genere per il tracciato di tutta la linea di frontiera dal Danubio al Mar Nero, erano alquanto indeterminate. Il testo, riferentesi a quella parte di confine, affermava che la frontiera doveva lasciare la riva destra del Danubio «a un punto da determinare dalla Com_ missione europea all'est di Silistria » e di là dirigersi verso il Mar Nero a sud di Mangalia. In astratto qualunque punto scelto dalla Commissione sulla riva destra del Danubio e all'est di Silistria avrebbe soddisfatto la condizi one fissata nel testo, tuttavia, era necessario ai commissari ricercare nelle discussioni del congresso di Berlino i criteri che dovevano guidarli nelle deliberazioni. Questione non secondaria che diede luogo a una lunga vertenza diplomatica .

Già con le stipulazioni di S. Stefano era stato stabilito in linea di massima di assegnare alla Romania il delta del Danu· bio. Con ciò, secondo Orero, il principato, da un lato, prendeva piede sulla riva destra del Danubio, entrando in di importanti sbocchi sulla costa del Mar Nero, e dall'altto, portava il suo confine al Prut .e al Danubio, presentando così il vantaggio eli ottenere una lunga linea di frontiera tracciata in modo certo. Orero, tuttavia, valutava pienamente i motivi eli carattere nazionale che suscitavano la reazione della Romania: questa perdeva, infatti, una provincia abitata da una popolazione in magigoranza romena, in cambio di una dove l'elemento etnico era meno cospicuo (1). Il congresso, giusto la testimonianza del colonnello del Mayno (2), aveva «riconosciuto la necessilà per la Romania di costruire un ponte sul Danubio ed ammessa la dichiarazione del barone Haimerle secondo plenipotenziario austro-ungarico "essere avviso degli esperti esistervi un sol punto in vicinanza di Silitria, propizio a tale costruzione", rimandava alla Commissione europea la designazione della frontiera nei suoi particolari. Se dunque il testo del trattato usava la espressione vaga di wz pu1110 all'est di Silistria, la Commissione aveva però nelle deliberazioni del congresso, registrate nei protocolli n. 10 e n. JS, i dati necessari per procedere nella sua scelta. Ricercare a valle di Silistria ed in vicinanza della città la localHà cui il barone Hairnerle alludeva riferendosi ''all'avviso degli esperti", riconoscere se questa località soddisfaceva alla condizione prescritta, doveva essere, come difatti fu, i1 primo compito nostro. La Commissione riconobbe sul posto che il punto cui il secondo plenipotenziario austro-ungarico intendeva di accennare era evidentemente quello stesso che si legge descritto nelle memorie del capitano Moltke. Esso corrispondeva inoltre al sito che una carta dei dintorni di Silistria, eseguita nel 1854 dal capitano Govone dell'esercito sardo, indicava come il più favorevole per la gettata di un ponte. Il solo ad opporsi a tale scelta fu il commissario russo. Egli trovò che il punto era troppo vicino a Silistria. In causa di questa vicinanza - 800 metri dal1a cinta della piazzasi veniva difatti a separare la città da una parte considerevole del suo territorio, e conseguentemente ad assegnare alla Rumania le posizioni militari situate a sud-est della fortezza fra cui, con tutta probabilità, anche quella importantissima ove sta il forte dell'Arabo (Arab Tabia). Quest'ultima conseguenza era senza alcun dubbio quella che il delegato russo, senza che osasse dirlo, temeva maggiormente» (3).

Per poter prendere in considerazione l'opposizione del colonnello BogoJjubov era indispensabile per la Commissione trovare una altra località a non troppa distanza da Silistria, la quale rispondesse anch'essa alla condizione tassativa per i delegati europei di essere propizia alla costruzione di un pon- te. Il rappresentante russo indicò allora sulla carta una località presso Dekisceni a circa 20 chilometri all'est dì Silistria. Benché la distanza paresse a molti eccessiva, la Commissione non si oppose all'esame della cosa. Il 4 novembre 1878 discendendo un ramo del Danubio denominato Borcia, che si distacca da Silistria per ricongiungersi al braccio principale ad Irsova dopo cento chilometri di percorso, la Commissione si recò dunque a visitare il luogo designato dal colonnello russo. L'opinione della maggioranza, dopo una attenta ricognizione del terreno, fu che né la località indicata, né altre scelte a1l'infuori di quella presso Silistria, rispondevano alla condizione stabilita dal congresso e risultante dai protocolli. Questo avviso del resto venne confermato circa un anno dopo da una Commissione internazionale di ingegneri militari nominata espressamente per soddisfare le istanze del gabinetto di Pietroburgo.

(l) lvi, pp. 37-39. Su questo particolare problema l'ufficiale italiano esponeva il proprio punto di vista affermando che la Romania avrebbe dovuto fare del problema una questione nazionale " senza tener conto delle probabilità di vittoria disporsi a sostenere colle armi i suoi diritti • soprattutto se riteneva inaccettabile il baratto tra la Bessarabia e la Dobrugia.

(2) Del Mayno a Bertolè Viale, Berlino 14 luglio 1878, n. 323, lettera cit., SME-AUS, b. 26, Addetti militari.

(3) B. ORERO,Relazio11e, cit., pp. 40-42.

« Un battello della flottiglia rumena - ricordava ancora nella sua relazione il delegato italiano - era stato messo a disposizione della Commissione per la ricognizione eseguita il 4 novembre. La Commissione fu ricevuta a bordo dal signor Cogalniceano, ministro degli affari esteri di Rumania. A me e certamente a qualche altro dei miei colleghi , il sig. Cogalniceano fece l'impressione di essere un ministro degli Esteri molto cortese e molto espansivo. In faccia a Silistria e sulla riva sinistra della Borda sta la città rumena di Kalarasci. Per quanto arretrata sia tuttora la civiltà in Rumania però è sensibile la differenza che sotto questo rapporto esiste tra la riva destra e lal riva sinistra del Danubio. Kalarasci è inferiore a Silistria per estensione, ma ha nel suo insieme un aspetto meno triste e meno povero; le sue vie, a difefrenza di quelle di Silistria quasi impraticabili, fanno testimonianza esistere ivi una autorità comunale che presiede alla loro manutenzione. Le sue abitazioni, i suoi negozi, il suo traffico fanno accorto un viaggiatore europeo che la terra su cui si trova comincia ad essere un del suo continente. Nella breve sosta che la Commissione fece a Kalarasci fu ricveuta dal signor Bratiano, pres idente del gabinetto rumeno, venuto espressamente da Bucarest. E' sotto l'amministrazione del signor Bratiano che la Rumania si era messa nell'alleanza russa contro la Turchia e i frutti che da quella campagna vittoriosa ne aveva tratto il suo paese gli devono essere sembrati troppo al di sotto dei sogni di grandezza che forse egli aveva fatto. fo non vorrei asserirlo, ma ho in mente che il signor Bratiano, il quale, per il momento, rappresenta ufficialmente il partito liberale, alla cui avanguardia e direzione sta il signor Rossetti, si sia c ullato nell'idea di poter trarre dalla guerra del 1877, qualche cosa di simile a ciò che Cavour trasse da quella del 1859. Ma evidentemente i dati del problema erano troppo diversi perché i risultati potessero riuscire conformi. Il signor Bratiano ha un fare e una fisionomia simpatici. Nel breve discorso che tenne alla Commissione non seppe o non volle trattenersi dall'accennare al modo con cui era stato imposto dalla Russia e sanzionato dalle altre potenze il cambio territoriale che l a Rumania subiva e dicendo ciò pareva volesse mettere in impegno noi di rendere meno dura l'ingiustizia commessa dall'Europa » (1).

Essendo riuscito al -commissario russo vano ogni tentativo di persuadere i colleghi ad ac cettare il punto di frontiera da lui proposto, assunse da qual momento un atteggiamento di protesta e di dispetto. Orero, principale artefice della decisione favorevole alla Romania presa dalla Commissione il 6 novembre e che fissava la partenza del confine a 800 metri a valle di Silistria, tentò tuttavia di appianare i contrasti e le difficoltà, non nascondendo al colonnello Bogoljubov che il suo sistema non era certamente il m igliore nell'interesse della causa che egli difendeva con tanto calore. Il delegato russo non volle sentire ragioni, o tutto o nulla fu la sua risposta e valendosi di una deliberazione presa dalla Commissione e registrata nel protocollo n. l (2), per la quale si era stabilito che nei lavori si sarebbe proceduto a magigoranza di voti « posò in Achille che si ritira nella sua tenda». Risultato di questa condotta del commissario russo fu quello di stringere sempre più l'accordo tra gli altri suoi colleghi. E così il giorno in cui si iniziò a tracciare la linea di frontiera da Silistria verso Mangalia, la proposta di includere nel . territorio romeno la posizione di ArabTabia non trovò contradditori. La decisione, presa a maggioranza di sei voti, toglieva a Silistrìa la sua importanza come piazzaforte e sanzionava di fatto quanto era detto nel trattato, e cioè che tutte le fortezze situate nel territorio del nuovo principato bulgaro dovevano essere distrutte. In realtà nessuna delle antiche piazze forti turche, poi bulgare, venne distrutta.

Nelle sedute tenute a Costantinopoli prima della partenza della Commissione per la Dobrugia era stata dibattuta la questione se coll'espresisone del trattato «fissare sui luoghi la linea frontiera» dovesse intendersi compito della Commissione europea di tracciare detta linea sul terreno con termini fis s i posti ad una determinata distanza fra di loro. La maggioranza ritenne e la Commissione intera accettò l'interpretazione della parola fissare nel senso di dare una descrizione esatta e incontestabile della frontiera, usando solo segnali o termini in quei punti ove una tale descrizione, riferita alle accidentalità topografiche, potesse ritenersi insufficiente ad evitare qualunque dubbio e contestazione. Fu stabilito inoltre che la descri· zione dovesse essere accompagnata da una carta topografica de l l :30.000 (scala questa dieci volte più grande della primi- ti va carta austriaca a disposizione dei delegati) fatta dalla Commissione stessa durante la sua marcia lungo la frontiera. Al tracciamento della linea con termini di confine si opponevano del resto due considerazioni: la prima era che un laVoro di tal genere, esteso a tutta la frontiera, avrebbe richiesto almeno quattro anni con gr ave scapito di quegli i nteressi che era compito della Commissione definire con massima sollecitudine. La seconda considerazione si basava sul fatto che l'operato della Commissione doveva prima essere ratificato dai governi delle sette potenze e non sembrava quindi opportuno collocare segni e termini, i quali avrebbero, in caso di mutamento, creato delle perturbazioni di interesse privato e di nazionalità di non lieve entità.

Il 7 novembre 1878 la Commissione aveva con lavori geodetici e topografici fissato sul terreno il punto considerato come il più importante, quello cioè di partenza della frontiera sulla riva destra del Danubio, e tracciato su di un piano costruito espressamente l'andamento della linea di confine nel suo primo tratto in vicinanza di Silistria. I commissari si misero quindi in marcia per determinare il resto della frontiera fino al Mar Nero. I cavalli da sella erano stati forniti dal governo romeno e un distaccamento di cosacchi aveva il compito di scortare la Commissione. L'itinerario era stato stabilito in precedenza nella direzione approssimativa della linea di frontiera. La scelta di questa linea, a termini di trattato, doveva essere indipendente da qualunque considerazione militare. « Del resto - notava Orero - la natura del terreno ci vietava in modo assoluto di fare altrimenti. La sola linea che militarmente poteva avere qualche importanza è quella segnata dal vallo traiano lungo il quale si svolge oggidl la ferrovia Custendie - Cernavoda; ma essa è situata a 50 chilometri più a nord della retta Silistria - Mangalia che doveva essere, e fu difatti, la nostra linea direttrice. L'idea che io ed altri miei colleghi avevamo della Dobrucia era di un paese piano e paludoso, povero ed insalubre, senza strade e senza viaggi, abitato da una popolazione di diverse razze, rada e nomade in gran parte. Le cose vedute nei 12 giorni che durò il nostro viaggio attraverso la parte meridionale di quella regione, ci convinsero essere il nostro concetto conferme solo in parte alla realtà» (l).

La Dobrugia era ben !ungi dall'essere un paese piano e paludoso. Era povero perché nòn coltivato ma la fertilità del suo suolo non poteva essere pos ta in dubbio. Ne facevano testimonianza, secondo Orero,- i resti di antiche e superbe foreste , che in altre epoche avevano coperto gran parte del paese. La vegetazione era visibile in molti pascoli naturali ed in quei luoghi dove era intervenuta la mano dell ' uomo. «Un immenso altopiano, intersecato in tutti i sensi da borri e piccole valli, è quale si presentò ai -nostri occh i la Dobrucia nel suo insieme.

Lungo il Danubio i tre elementi bulgaro, romeno, turco sono rappresentanti in modo quasi eguale. Le tre razze quando, come a Silistria, abitano in uno stesso luogo hanno ciascuna il proprio quartiere e rimanendo estranee l'una all'altra, vissero sin qui in sufficiente buona armonia. La popolazione poco intensa nella regione occidentale, va diradandosi ancor più verso il Mar Nero, ove i pochi abitanti sono riuniti in tre o quattro punti della Appena lasciata la riva del Danubio per internarci, non abbiamo più, nei pochi villaggi incontrati sul nostro cammino, trovato tracce dell'elemento rumeno. Nel raggio di una trentina di chilometri da Silistria questi villaggi sono generalmente di popolazione mista bulgara e tùrca, più in là scompare quasi affatto l'elemento bulgaro e la razza turca è frammista alla razza tartara. L'elemento bulgaro, unitamentl! a un po' di greco, ricompare nei piccoli centri situali sulla riva del mare. I tartari, di reHgione mussulmana, che la Dobrucia conta in numero approssimativo di 10 mila, provengono per la massima parte da una colonia emigrata dalla Crimea dal 1854 al 1856. Le luride catapecchie di terra che servono loro di abitazione sono circondate da un muro a secco ed è singolare la mancanza di qualunque accesso. Gli abitanti rientrano in casa saltando questi muri. E' un esercizio di ginnastica nel quale si distinguono in particolare modo le donne. Esse al nostro apparire si davano alla fuga e come ombre nere - perché nero nell'insieme il colore dei loro abiti - -;parivano dietro quei piccoli muri e non c'era verso di poterne vedere una da vicino. Una volta intanate rimanevano nascoste come bestie selvagge tutto il tempo della nostra permanenza,. (1).

Descritti efficacemente costumi usanze e modi di vita delle popolazioni incontrate, l'ufficiale italiano ricordava come la Commissione avesse dovuto provvedersi di tutto non potendo fare affidamento sule risorse locali. I conducenti (arabagi) dei carri si erano piegati con riluttanza a seguire la Commissione, perché il prezzo fissato di 3 franchi al giorno sembrava loro insuficiente; e in realtà così doveva essere, poiché gli ufficiali romeni che avevano dovuto provvedersi di carri non requisiti, non poterono trovarli se non al prezzo di 8 franchi. «Ho accennato a questo p<Jrticolare - scriveva l'Orero - perché fu a metà del nostro itinerario causa di uno sciopero degli arabagi per rimediare al quale la Commissione dovette ricorrere a mezzi coercitivi, che io e altri deplorammo assai. Questi mezzi si sarebbero evitati con l'adozione fin dal principio della proposta, accettata in seguito, di aumentare la retribuzione degli arabagi " · Pt!r il vitto la Commissione si era divisa in quattro gruppi. Uno composto dal commissario turco Tahir pascià, con i suoi tre ufficiali- aggiuntì, più un segretario non militare, una mensa russa tenuta dal colonnello Bogoljubov « tut- to solo», una mensa romena composta dei colonnelli Falcojano, Arion e dal signor Ferichides, della quale facevano parte i commissari germanico e austriaco colonnelli Scherff e Ripp, una mensa inglese diretta dal commissario britannico, colonnello Home, della quale facevano parte il commissario italiano ed il commissario francese, comandante Lemoyne.

Il terreno, intersecato in tutti i sensi da piccole valli, rendeva impossibile trovare delle lunghe linee di demarcazione naturali e ben definite che si mantenessero nella direzione stabilita dal trattato. Perciò la Co.missione, spostandosi verso sud o verso nord, rispetto alla linea direttrice Silistria-Mangalia tentò di ovviare nel miglior modo all'accidentalità del terreno e, nei limiti che il trattato concedeva, dì soddisfare i desideri delle popolazioni, cercando sempre di compensare i vantaggi e gli svantaggi che per questo modo venivano a risultare ora da una parte ora dall'altra. Poiché il commissario russo fin dall'inizio dei lavori sul terreno si era separato dai colleghi, astenendosi dal prendere parte alle deliberazioni della Commissione, gli accordi sull'andamento da darsi alla frontiera erano presi senza il suo concorso . Tuttavia ogni qual volta la sua opinione era contraria all'assegnazione alla Romania di un villaggio o di una valle, egli esponeva le sue ragioni accompagnando queste ragioni con proteste ed accuse alle quali la Commissione non dava eccessiva considerazione. « Essendomi io proposto di dire qui la verità pura e semplice - notava il colonnello Orero - non potrei in tutta coscienza affermare che un po' di sentimento ostile alla Russia non serpeggiasse nella maggioranza della Commissione e conseguentemente non potrei affermare che nella delimitazione della nuova frontiera rumeno-bulgara, gli interessi della Bulgaria, di cui era caldo patrocinatore il colonnello Bogoljubov, siano stati trattati alla stessa guisa, colla quale furono trattati gli interessi della Rurnania, ma ciò che in tutta coscienza posso affermare è che le simpatie della maggioranza non fecero velo al sentimento di imparzialità al punto da concedere alla Rumania vantaggi superiori a quelli che era nella intenzione dei plenipotenziari del congresso di accordarle». La Commissione, a suo giudizio, diede numerose prove di imparzialità, respingendo non solo la proposta fatta dai rappresentanti romeni di assegnare al principato la città di Silistria, cosa questa contraria allo spirito e alla del trattato, ma respingendo varie altre rettifiche di frontiera, che pure poteva accettare rimanendo ilei limiti che le erano imposti dal trattato. Descrivendo poi i luoghi dove la Commissione aveva operato Orero sottolineava come la Dobrugia presentasse nelle rovine dei suoi villaggi distrutti e abbandonati tracce di una vita e di una attività che sarebbero rifiorite una volta pacificata la regione.

Favoriti dalla stagione e dal lavoro costante dei topografi che seguivano la Commissione il compito degli ufficiali euro- pei poté procedere regolarmente e senza interruzione; fissando in media dieci chilometri di frontiera al giorno in dodici giorni furono completati i lavori nei 120 chilometri tra Silistria e Mangalia. Le divergenze di vedute esistenti tra il commissario russo e la maggioranza della Commissione non alterarono visibilmente i rapporti che intercorrevano tra gli ufficiali europei, soprattutto tra il rappesentante italiano e quello inglese e francese con i quali, ricordava Orero, aveva fatto praticamente vita comune come durante la « alleanza di Crimea ». Alcune pagine della relazione registrano le impressioni riportate dall'ufficial e italiano nei rapporti con le popolazioni incontr ate durante i lavori. Queste «cui altra cosa fu sempre ignota ad eccezione della guerra » osservavano il passaggio della Commissione e della loro scorta con la convinzione che la guerra fosse ben lontana dal concludersi. Informate dello scopo pacifico e interrogate sulle loro preferenze rispetto alla Romania o alla Bulgaria rispondevano, mussulmani o bulgari che fossero, non aver altro desiderio che quello di poter vivere tranquillamente. E' comunque indubbio che fra quelle popolazioni miste la Romania rappresentava uno Stato neutro al quale i turchi si sottomettevano volentieri perché evitavano di divenire sudditi di quella stessa gente « che avevano sempre considerato e trattato come loro schiava » 1 mentre i bulgari manifestavano apertamente la propria soddisfazione nell'essere sottratti al dominio ottomano. Narrati altri episodi della vita in comune con gli altri ufficiali europei il delegato italiano descriveva sinteticamente le caratteristiche dell'esercito romeno, esprimeva giudizi positivi sulla cavalleria cosacca, che costituiva la scorta della Commissione (1).

Dopo dodici giorni di lavori sul terreno l a Commissione giunse a Mangalia sul Mar Nero ultimando così la ricognizione di quel tratto di confine che essa stessa aveva stabilito di definire prima che l'inverno sopraggiungesse ad interrompere i lavori.

Uomo di formazione tipicamente risorgimentale, Orero sottolineava come Mangalla risvegliasse «in un cuore italiano ricordi di una gloria e di una potenza che il Risorgimento politico e l'unità d'Italia furono ben }ungi dal r i donarci ». Sintetizzata la storia della città riferiva come fosse stata distrutta dalla guerra del 1877. Incendiata e saccheggiata per tre volte, la popolazione era fuggita in massa e solo con l'arrivo dell'esercito russo gli abitanti bulgari, insieme ad altri connazionali erano tornati a prendere possesso di ciò che i mussulmani avevano abbandonato. Sul finire del novembre 1878, quando cioè la Commissione si trovava a Mangalia, la città si presentava come un centro importante di commerci e di affari (1).

(l) B. ORERO, Relazione , cit., pp. 59-63. L'esercito romeno era costituito da due reggimenti su quattro squadroni di cavalleria regolare ( ussari) e otto di cavalleria territoriale o irreçolare. I cavalieri erano contadini aventi l'o bbligo di tenere in tempo dt pace un cavallo con il quale presentarsi in caso di chiamata alle armi. Esprimeva poi giudizi positivi sulla caYalleria cosacca personalmente ammirata già nel 1875 durante le grandi manovre svoltesi a Pietroburgo. Meno positivo era invece il giudizio sugli 'Jfficiali russi.

Ultimati i lavori la Commissione si sciolse dandosi appuntamento a Costantinopoli entro otto giorni, tempo necessario per la preparazione degli atti o documenti da firmare e da inviare ai rispettivi governi.

La maggior parte della Commissione si diresse a Varna per imbarcarsi sul postale austriaco e rientrare così a Costantinopoli per la via più breve. Orero e il ccmmissario germanico, colonnello Scherff, preferirono usare gli otto giorni per recarsi a Bucarest. Insieme ai rappresentanti romeni partirono da Mangalia per Custendie a cavallo, quindi, con la ferrovia, da Custendie a Cernavoda, da Cernavoda a Braila discesero il Danubio con un battello messo a disposizione dal governo romeno e da Braila a Bucarest nuovamente in ferrovia.

In merito ai rapporti russo-romeni l'ufficiale italiano scriveva: « Indipendentemente dai dissapori creati dalla condotta poco generosa dell Russia verso la Rumania, esisteva un'altra causa, la quale rendeva sempre più sensibile l'avversione reciproca tra i due eserciti russo e rumeno. Cuoceva all'amor proprio degli ufficiali russi la parte abbastanza considerevole avuta dall'esercito rumeno nelJa vittoria finale; epperciò si valc;ero del malcontento e delle proposte del loro alleato per la retrocessione della Bessarabia come di un pretesto plausibile a liberarsi del peso della riconoscenza e dar sfogo al ferito sentimento di alterigia che era in loro» (2) .

Giunto a Bucarest Orero non mancò di osservare come la città fosse un «misto bizzarro» di lusso, comodità e conforto delle più grandi città europee insieme a vie fangose e povere abitazioni in legno: «La civiltà che si incontra a Bucarestscriveva - non è frutto indigeno, non è il risultato di un progresso graduato e armonico, è un semplice frutto di importazione e d'importazione francese"· Deprecando tale sudditanza psicologica e di costumi affermava essere tanto più grave in quanto si manifestava in una minoranza di ufficiali, « bellimbusti cui il mestiere delle armi anzi che uno scopo, si direbbe un pretesto per portare una sfarzosa uniforme », e in un momento in cui avrebbe dovuto prevalere su tutti gli altri il sentimento nazionale . il Banato e parte della Bcssarabia e coi loro calcoli li fanno ammontare a circa 5 milioni. Per dire la vcdtà, anziché prevedere il giorno in cui il principato assorbirà questi elementi della stessa razza, formando un ·solo regno di 10 o 11 milioni di abitanti, mi pare sarebbe più utile dirigessero i propri sforzi a mostrarsi colla. modestia e col lavoro e non con uno sfarzo di libertà mal intèsa, degni di conservare l'indipendenza che già venne loro concessa» (1).

(l) B. ORERO, Relazione , cit., pp. 64-06. Interessanti considerazoni sulla presenza italiana in quelle furono registrate da Orero che rimproverava al governo italiano dt disinteressarsi delle possibilità economiche e commerciali che quelle regioni offrivano. La decrescente presenza italiana derivava, a suo giudizio, dalla concorrenza vittoriosa della a vapore su quella a vela dell'antico Piemonte e delle Due Sicibe e, soprattutto, dalla inattività del governo. Orero delineava quelle linee di penetrazione economica nel mondo balcanico messe in luce da A. TAMBORRA, The Rise of Jralian lndustry and the BalkattS (1900-1914), in "'Journal of Economie Histor "· vol. 3, n. l, 1974, pp. 87-120. Cfr. anche R.A. WEBSTER, L'imperialismo industriale italiano (1908-1915). Studio sul prefascismo, Torino 1974 e M. VERNASSA, Opi11ione ptlbblica e politica estera. L'interessamento italiano nei confronti dettarea balcanica (18971903, in •Rassegna Storica del Risorgimento•, LXIII, III, 1976, pp. 338-364.

(2) B. ORERO, Relazione... , cit., pp. 68-69.

Presentatosi al console italiano, barone Fava, ottenne di essere ricevuto dal principe Carlo il quale, informato delle vertenze avvenute in seno alla Commissione, mostrò la propria riconoscenza per le eque deliberazioni prese dalla Commissione aggiungendo ringraziamenti particolari per l'opera svolta dal colonnello Orero in sostegno dei diritti della Romania (1). Sulla figura e sulla politica del principe Carlo l'ufficiale italiano aveva idee ben precise che manifestò nella sua relazione con chiarezza. Ricordato che i rapporti tra un popolo e un principe straniero, quale il principe Carlo in effetti era, erano <stati sempre difficili, individuava la causa della frattura che esisteva in Romania tra il popolo e il regnante nelle idee importate dalla Francia. Scriveva a questo proposito: « Idee importate in Rumania dalla Francia da tribuni e cospiratori che vissero colà molto tempo, miste al più grande epicureismo alimentato da una ibrida educazione che i giovani signori vanno ad attingere a Parigi, sono i capisaldi della civiltà di Bucarest, città che per disgrazia dei rumeni comincia ad assorbire tutta la vita nazionale del paese. Pregiudizio il sentimento religioso, pregiudizio il sentimento di devozione al sovrano, pregiudizio il sentimento di rispetto alle persone che rappresentano l'autorità e la legge, il patriottismo messo in bilancia col tornaconto individuale, la politica una arena di vanità e mezzo per ottenere ciò che il merito non può dare, le maggiori cariche dello Stato un palio dal quale non sono esclusi gli intriganti il parlamento non un organismo di governo ma un teatro di commedia e di declamazione e negli attori tutto il fare degli istrioni, è il plauso del momento, è il proprio utile che cercano e non il bene della patria. A queste piaghe che la Rumania ha tutte e che rodono con maggiore o minore intensità altre nazioni si potrebbe aggiungere, volendo prestar fede ai discorsi che sentii come eco di voci a tutti note, atti di corruzione incredibile per parte dei ministri di cui mi si declinarono i nomi. Ora è evidente, che in queste condizioni un paese non può formare col capo dello Stato un insieme molto solido. Come vidi più tardi in Atene, così potei riconoscere a Bucarest, che tanto in Grecia come in Rumania H governo parlamentare è fonte più di guai che di vantaggi. La salvezza di questi due paesi non credo quindi possa sperarsi senza un cataclisma sociale. Dal quale venendo a galla il buon elemento, che pure esiste in grande maggioranza nella campagna, dia vita ad un governo meno gonfio di grosse parole ma onesto e forte. I rumeni contano con molta compiacenza il numero dei fratelli irredenti che popolano la Transilvania o.

(l} E. SARTORIS, art. cit., scrive che a missione compiuta il governo romeno dimostrò la propria riconoscenza al colonnello Orero dedicandogli una delle maggiori vie di Bucarest.

Dopo una sosta di tre giorni, sempre in compagnia del colonnello Scherff. Orero partì da Bucarest per rientrare a Costantinopoli. Il 26 novembre la Commissione riprese le sue sedute in Costantipopoli, con la speranza che il gabinetto di Pietroburgo avrebbe finito per dare al proprio commissario istruzioni di non persistere nella opposizione contro tutti gli altri colleghi, o che, quanto meno, gli avrebbe ordinato di non spingere le cose fino al rifiuto della sua firma all'atto finale. Così non fu. Il colonnello Bogoljubov si mostrò non solo irremovibile nella sua protesta, ma gettate da parte le stesse forme nelle quali si era fino allora più o meno mantenuto, attaccò la Commissione con termni talmente violenti da mettere a dura prova la cortesia dei suoi colleghi (2), in particolare del colonnello Home, rappresentante inglese e del colonnello Scherff, rappresentante tedesco. ll 17 dicembre 1878 l'atto diplomatico, le carte e i documenti che descrivevano la linea di frontiera tra Silistria e Mangalia vennero firmati da sei commissari e inviati ai rispettivi governi senza la firma del commissario russo. Dopo ciò la Commissione sospendeva le sue sedute e fissava di riunirsi nuovamente a Costantipoli il 15 aprile 1879 per la ripresa dei suoi lavori (3).

Il contrasto tra l'ufficiale italiano e quello russo, in sintonia del resto con la politica dei propri governi, costituì, in pratica, una costante per tutto il periodo dei lavori della Commissione. L'oggetto della vcrtenza, se comprendere o meno Silistria nel territorio romeno, era di estrema importanza politica e militare, come si vide nel gennaio 1879.

L'importanza strategica di Arab Tabia, e quindi di Silistria, era fuori discussione. Fortificazione avanzata di Silistria, posscderla rendeva possibile il controllo delle comunicazioni con la Dobrugia. Per questo fu al centro delle vertenze dei primi mesi del 1879. In gennaio i romeni avevano occupato il forte Arab Tabia e premevano affinché le potenze europee risolvessero sen7..a indugio il problema. Depretis riteneva, e così si era espresso in un colloquio diretto con il rappresentante romeno a Roma, Obedenaru, che la vertenza dovesse essere risolta con un accordo diretto tra la Russia e la Romania mentre «il governo italiano, sincero amico della Romania, non può dispensarsi dal farle presente la gravità delle conseguenze di quello stato di tensione che sembra sempre più manifestarsi nei reciproci rapporti tra il principato e la Russia » (1). Il rappresentante italiano a Bucarest, Fava, aveva comunicato ai dirigenti romeni il pensiero del proprio governo ma non mancava di sottolineare come l'azione romena si fosse svolta secondo i canoni della dimostrazione simbolica: «Procedendo da Mangalia in sù, seguendo il tracciato della Commissione europea, i rumeni presero possesso di Arab Tabia senza alcun contrasto e senza nemmeno una protesta da parte del comandante russo di Silistria ». Le truppe romene si ritirarono da Arab Tabia sul finire del febbraio 1879; il governo di Bucarest volle tuttavia precisare essere quello un atto di buona volontà nei confronti delle potenza e non una rinuncia al diritto romeno (2).

(l) B. ORERO, Relazione , cit., pp. 70-76.

(2) Cfr. Orero a Cairoli, Costantinopoli 26 novembre 1878, rapp. n. 4, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1463; ID., Costantinopoli 4 dicembre 1878, rapp. n. 5, ivi; ID., Costantinopoli 11 dicembre 1878, rapp. n. 6, ivi.

(3) Cfr. Orero a Cairoli, Costantinopoli 17 dicembre 1878, rapp. n. 7, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Turchia, b. 1463.

Gli inviti alla prudenza espressi al governo romeno durante gli avvenimenti di Arab Tabia non modificarono le posizioni assunte dall'Italia al congresso di Berlino e nei lavori di delimitazione. Il 13 aprile 1879, alla vigilia della convocazione della Commissione, Depretis, ministro degli Esteri, nell'inviare precise istruzioni al colonnello Orero sul comportamento da tenere nei lavori relativi alla delimitazione della Rumelia ricor-

(l) Depretis a Fava, Roma lO febbraio 1879, MAE-AS, Registro copialettere in partenza, n. 1202, pp. 146-148. Defretis informava il console italiano a Bucarest dell'incontro avuto con i console di Romania a Roma. Il governo italiano, scriveva allora Depretis, di fronte agli avvenimenti di Arab Tabia, non poteva nascondere all'amica Romania la propria preoccupazione per lo svolgersi degli avvenimenti. L'agente romeno aveva comunque precisato non essere intenzione della Romania occupare più territori di quelli attribuiti dal Congresso di Berlino. L'occupazione del forte era stata necessaria in quanto la Romania si era vista minacciata dalla Russia. Cfr. Depretis a Pava, Roma 14 febbraio 1879, MAE-AS, Registro copialettere in partenza, n. 1202, pp. 148-149. Sulla presenza russa in Dobrugia e sui difficili rapporti russo-romeni cfr. anche Maffei a Fava, 25 novembre 1878, n. 194, Registro copialettere in partenza, n. 1202, pp. 117-118; Fava a Cairoli, Bucarest 6 dicembre 1878, n. 928, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396; Depre t is a Fa\'a, Roma l febbraio 1879, n. 205, Registro copialettere ..., cit., pp. 135-136; Tornielli a Fava. Roma 3 febbraio 1879, n. 208, MAE-AS, Registro copialettere , cit., pp. 140-142. Tomielli informava Fava dei passi compiuti a Roma dall'agente romeno in vista della nuova convocazione della Commissione per la delimita2.ione dei confini. Fava a Depretis, Bucarest 21 febbraio 1879, n. %5, MAE-AS, Rapporti ù1 arrivo. Rumania, b. 1396.

(2) Fava a Depretis, Bucarest 20 febbraio 1879, n. 963, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396. Fava a Depretis, Bucarest 22 febbraio 1879, n. 967, MAE-AS Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396. Informa· va che da un punto di vista strategico il posseso di Arab Tabia era necessario per le comunicazioni con la Dobrugia. Con il possesso di quella fortezza i bulgari avrebbero potuto impedire ogni transito verso la regione. Fava concludeva che essendo Arab Tabia una fortificazione avanzata di Silitria, le potenze firmatarie degli accordi di Berlino avrebbero potuto esigerne lo smantellamento. Fava a Depretis 26 febbraio 1879 n. · 980, MAE-AS, Rapporti in arrivo. Rumania, b. 1396: ' dava all'ufficiale essere ferma intenzione del governo italiano mantenere la linea politica elaborata al congresso di Berlino dove "l'accordo unanime dei plenipotenziari poté conseguirsi mercé l'adesione del plenipotenziario russo , conte Schouvalow, (Suvalov), a che, conformente al voto della Commissione tecnica, il confine abbia a dipartirsi dal Danubio, in tale località dove sia possibile la costruzione del ponte» (1). Che questa località fosse un punto vicino a Silistria era, a giudizio di Depretis, un fatto incontestabile: se opposizione doveva esserci questa doveva manifestarsi nella sede idonea e cioè nella riunione dei plenipotenziari prima delle decisioni definitive. La Commissione di delimitazione, organo essenzialmente tecnico, non aveva il potere di modificare le decisioni di Berlino e bene aveva fatto il delegato italiano ad attenersi fedelmente alle istruzioni ricevute a suo tempo dal ministero degli Esteri.

· Il problema della frontiera bulgaro-romena fu risolto comunque solo nel 1880 dopo una trattativa tra Austria-Ungheria e Russia: il forte di Arab Tabia fu assegnato alla Romania mentre la Bulgaria fu compensata con una rettifica della frontiera che passava in prossimità di Silistria (2).

Nel 1879 Orero tornò nuovamente a Costantinopoli per prendere parte alla seconda fase dei lavori della Commissione per la delimitazione del confine tra la Bulgaria e la Rumelia orientale eretta, dal Congresso di Berlino, a provincia autonoma. Il compito affidato alla Commissione, ricordava Orero, era « molto più importante di quello generalmente affidato a4 una Commissione di delimitazione» poiché si trattava di stabilire un confine che permettesse alla Turchia una adeguata difesa militare mentre « un esercito padrone della Bulgaria può avanzare su Adrianopoli e Costantinopoli per tre linee d'operazione diverse» e precisamente da Sciumla a Varna, da Tin10vo a Sipka e da Sofia per Filippopoli ad Adrianopoli. Il confine rumelo-bulgaro in conclusione non aveva, sia considerato nelle su tre parti sia nel suo complesso, « quelle condizioni che sarebbero necessarie per renderlo atto alla difesa di uno Statr> ». Il Congresso di Berlino che pure aveva creato la regione della Rumelia Orientale per dare alla Turchia, privata del suo confine danubiano, una buona frontiera difensiva aveva negato al sultano il diritto di guarnigione e di soggiorno nella regione con la sola possibilità dj erigere posti fortificati alla frontiera tra la Bulgaria e la Rumelia. Bene quindi aveva fatto il governo ottomano a rinunciare a questo diritto poiché era facile immaginare << di quale efficacia possono essere per la difesa di ·uno Stato dei posti isolati lungo la frontiera senza punti d'appoggio indietro ed anzi col paese alle spalle abitato da una popolazione nemica retta da un governatore autonomo avente ai suoi ordini una gendarmeria ed una milizia armata locale, organizzata e istruita come vera truppa di guerra». Non potendo inglobare Varna e Sciumla nell'Impero ottomano e non potendo quindi tener fede al dettato del Congresso di creare per il sultano una frontiera difendibile, il lavoro della Commissione veniva ad essere enormemente semplificato in quanto assumeva un carattere mcramente formale se i delegati componenti la Commissione si fossero accordati su alcuni punti preliminari conciliando la condizione di difendibilità con quella, tassativamente imposta dal Congresso, di seguire in alcune parti la «cresta » dei Balcani ecl in altre la «catena» princìpale. Orero si fece allora promotore di una serie di proposte presentate all'approvazione della Commissione e precisamente:

(1) Depretis a Orero, Roma 13 aprile 1879, n. 220, MAE-AS, Registro copialettere in partenza. Turchia, n. 1234, pp. 233-244, il passo cit. a p. 237.

{2) B. CIALDEA, La politica estera della Romania nel quarantennio prebellico, Bologna 1933, p. 110.

« l) la linea frontiera definita nel testo dell'espressione "cresta dei Balcani" o "catena" dei Balcani sarà interpretata nel senso geometrico di "linea di divisione delle acque";

2) però ai passi principali od in quelle posizioni che saranno giudicate militarmente importanti, la commissione potrà spingere il confine al nord di detta linea nei limiti che giudicherà strettamente necessari alla difesa del passo o della oosizione importante confonnemente al penultimo comma dell'articolo 2 del trattato;

3) questi limiti non potranno mai oltrepassare la "cresta militare" nei tratti ove il testo si serve dell'espressione "crete des Balcans", e la "catena" là dove si serve dell'espressione di "chaine principale des Balcans";

4) per cresta militare s'intenderà la parte di superfice pianeggiante che generalmente si riscontra sulla sommità di un colle o di una posizione militarmente importante. Ove non esiste questa superficie pianeggiante ed i due versanti s'incontrano ad angolo si intenderà non esistervi cresta militare ed il confine sarà segnato dalla linea di divisione delle acque;

5) per catena principale dei Balcani s'ntenderà tutta la massa coprente formata dai due versanti principali sulla sommità dei quali si trova la linea di displuvio che divide le acque che si gettano nel Danubio;

6) le divergenze sia per l'interpretazione delle parole "ere· sta militare" e "catena" sia per l'applicazione del principio della difesa strettamente necessaria saranno risolte volta per volta a maggioranza di voti .

I cinque primi punti furono, dopo qualche difficoltà, accettati da tutti i commissari. La difficoltà vera fu nel far accettare dal commissario russo colonnello Bogoljubov, il sesto punto.

E poiché il desiderio di riuscire e di riuscire presto nel nostro intento mi aveva fatto assumere in questa faccenda la parte principale mi misi all'opera per far sparire anche questa opposizione.

Il colonnello Boguljubov era in sostanza dominato dal ti- more che sul terreno egli si ·sarebbe talvolta trovato solo a sostenere l'interpretazione imparziale dei principii che egli pure accettava come guida delle nostre operazioni, e per conseguenza voleva in questa eventualità conservarsi le mani libere. Con assicurazioni personali e dimostrandogli essere infondato il suo timore, poiché in realtà i principi accettati tutti favorevoli alla causa ch'egli difendeva, erano -e questo lo sapevo per scienza certa - superiori di gran lunga ad ogni sua speranza, cominciai a renderlo perplesso. Diedi allora il colpo di grazia. Nel congresso di Berlino i plenipotenziari dello zar aveva manifestato il desiderio che il passo di Sipka, ove erano raccolte in cimiteri cristiani le ossa dei valorosi soldati russi morti nella difesa di quel passo, fosse dichiarato terreno neutrale. Era questo desiderio inconciliabile colle esigenze militari. Lo studio attento di una recente carta topografica di quel passo sulla quale erano segnati i cimiteri in questione, mi aveva invece persuaso della possibilità di assegnare alla Bulgaria il terreno in cui stavano quei cimiteri senza perciò invalidare le condizioni di difendibilità del passo di Sipka e senza, soprattutto, far sanzionare a nome dell'Europa una cosa illusoria e oserei dire ridicola, quale sarebbe stata quella della neutralizzazione di un passaggio tanto importante. Con questa concessione insperata, il sentimento piettoso od altro dello zar sarebbe stato soddisfatto, e grande onore ne sarebbe ridondato al colonnello Boguljubov. lo, promettendogli tutto il mio appoggio in questa vertenza e facendogli brillare davanti gli occhi La fondata speranza che io aveva di indurre la commissione ad accettare una proposta in questo senso qualora egli si fosse mostrato arrendevole, lo decisi ad accettare anche il principio contenuto nel 6° punto, quello cioè di rimettersi, nel tracciamento della frontiera sul terreno, al verdetto della maggioranza. Risoltà così in modo soddisfacente la questione più grave, venne sollevata dal commissario ottomano, appoggiato dal commissario francese, un'altra questione che minacciava, qualora fosse stata presa in considerazione, di prolungare indefinitamente e senza speranza di un possibile accordo il nostro mandato

I due commissari ottomano e francese avrebbero voluto che la commissione determinasse quali erano i punti della frontiera e del litorale della Rumelia Orientale, in cui il sultano poteva tenere guarnigione e la forza delle guarnigioni stesse. Io prevedo che una tale discussione avrebbe dato luogo a divergenze inconciliabili, e d'altra parte era questo delle guarnigioni tenute nel territorio della Rumelia Orientale, un punto che nello stato di eccitamento in cui si trovava la popolazione di quella provincia poteva essere scintilla per divampare un nuovo grande incendio.

Facendomi forte delle buone ragioni che avevo attinto nella ripetuta lettura dei protocolli di Berlino, mi opposi ad una tale idea sostenendo non essere quella attribuzione di nostra competenza.

Detta attribuzione era difatti stata esclusa dai plenipotenziari del congresso come risulta in modo palese dai protocolli 6 e 8. E perché la mia opposizione alla proposta ottomana non rivestisse il carattere di una tendenza parziale in favore del commissario russo notoriamente contrario ad essa, mi valsi per combatterla anche del fatto che la proposta medesima era stata presentata al congresso dai plenipotenziari russi e respinta dagli altri perché ledeva la sovranità lasciata alla Sublime Porta alla quale sembrava spettasse questo diritto senza bisogno dell'intervento europeo.

L'opposizione a detta proposta fu certo un errore o un inganno in cui a Berlino sono caduti i protettori dell'Impero ottomano, _poiché evidentemente ammessa l'idea di concedere alla Turchia il diritto di guarnigione nel territorio rumeliota, lunico mezzo per rendere questo diritto efficace era quello di farlo sancire e specificare da una commissione europea. Ma ciò non ci riguardava e non era lecito a noi neanche di farne cenno.

La vertenza era per noi troppo ben definita dai due protocolli 6 e 8 e bastò la lettura di quella parte di essi che a detta vertenza si riferiva per stabilire non potersi dar seguito alla proposta franco-ottomana.

Al primo maggio 1879 tutte le questioni di principio riferentisi alla frontiera rumelo-bulgara, che era certamente la più importante e la più difficile a determinarsi, si trovavano definite.

Rimanevano a stabilire gli accordi circa il modo di procedere dei nostri lavori ndla delimitazione del confine bulgaro verso la Macedonia del Ciadir al Cemi Ur e verso la Romania da Viddino a Silistria.

Per la prima di dette due frontiere la commissione non aveva da risolvere alcuna questione speciale di principb, unico compito suo essendo quello di ritrovare sul terreno la linea-confine tassativamente determinata dall'articolo 2 del trattato di Berlino.

Circa la seconda, da V iddino a Silistria, esisteva bensì una questione di principio da risolvere; ma poiché il parlarne qui mi porterebbe a dare un troppo gran sviluppo alle presenti note, mi rimetto per essa ai protocolli delle sedute della Commissione in cui la vertenza fu trattata ampiamente.

Frattanto però si conviene che il principio del voto della maggioranza da ritenersi obbligatorio per tutti i commissari, era applicabile anche a queste due frontiere. Durante la sospensione dei nostri lavori nell'inverno 1878-79, il colonnello Boguljubov aveva informato la commissione che alla ripresa dei medesimi egli si sarebbe trovato in grado di fornire a ciascuno dei suoi colleghi una copia di una carta topografica alla sçala di l :42.000 della zona frontiera che ci riguardava tolta dalla gran carta che lo stato maggiore russo aveva intrapreso ad eseguire subito dopo la guerra.

Ai primi di maggio 1879 questa promessa del colonnello Boguljubov non av eva potuto essere mantenuta che in parte, però la zona frontiera c he ci poté fornire , era tale che compiendo un piccolo tratto di una ventina di chilometri dal Cliadir Tepe alla Velnia Moghila saremmo stati in grado di iniziare subito le nostre operazioni sul terreno. Profittando allora di una squadra di ufficiali topografi diretti dal magigore Ardagh che il commissario britannico generale Hamley successore del povero colonnello Home, aveva condotto seco, la commissione deliberò di far compiere questo tratto da detti ufficiali; epperò furono essi fatti partir subito per la volta di Samakov calcolando le cose per modo che al 20 di maggio giorno in cui ci saremmo trovati sul posto , il tratto mancante necessario all ' iniziamento dei nostri lavori, sarebbe stato ultimato .

Secondo le assicurazioni del commissario russo , il tempo c he per noi si richiedeva per il tracciamento del confine lungo la zona frontiera di cui già possedevamo la carta, cioè fino al passo di Kotel, sarebbe in seguito stato più che sufficiente ad ultimare il rilievo della zona frontiera tuttora mancante, cioè dal passo di Kotel al Mar nero e dal Ciadir Tepe al Cerni Ur.

GUERRA RUSSO-TURCA:lA DISCESA DEl RUSSI NEllA RUMHIA (1877)

RUSSI - TURCHI

O 10 20 30 4pkm.

Tenuto conto dei giorni necessari per il nostro viaggio da Costantipoloi a Banja, punt<> in vicinanza della frontiera d'onde avrebbero avuto principio le nostre operazioni e dove dovevamo trovarci , come dis si, il 20 maggio, e tenuto conto del tempo occorrente agli ultimi preparativi per metterei, dirò cosl, sul piede di guerra, la commissione fissò la sua partenza pel 13 maggio.

La nostra assenza da Costantinopoli durò cinquanta giorni» (1).

Le impressioni e le note di questo viaggio furono puntualmente registrate da Orero nella sua lunga relazione e successivamente riportate nel volume di memorie citato. Il funzionamento delle ferrovie ottomane, il cui alto costo derivava a suo giudizio dall'essere quelle monopolio di un ricco ebreo tedesco che ricevendo un tanto a chilometro le aveva costruite secondo un percorso sinuoso senza opere costose e con il risultato di far marciare i treni a velocità ridottissima, gli usi e i costumi delle popolazioni bulgare attrassero l'attenzione del vivace uf. ficiale italiano che ne ha lasciato vivace testimonianza. Esaminando le possibilità di un nuovo scontro fra la Russia e la Turchia giudicava inevitabile per l'Impero ottomano l'abbandono dell'Europa: «La prossima lotta tra turchi e russiscriveva - potrà essere e sarà con tutta probabilità molto accanita L'attaccante ripeterà i suoi colpi ed allora potrà bensì accadere che gli interessi della Gran Bretagna, all'evenienza coalizzati con quelli dell'Austria-Ungheria, spingano la prima di dette potenze od ambedue a prendere una parte attiva nella lotta ma il risultato ultimo, cioè l'abbandono dell'Europa per parte dei turchi, è ormai fatale. La differenza può essere in ciò che anziché ad altri, al discendente di Pietro il Grande sia riservato l'onore di abbattere la mezza luna, e di rimettere sulla cupola di S. Sofia la croce greca. In mano di chi cadrà Costantinopoli? Piuttosto che terra britannica io penso essere molto meglio per noi appartenga alla Russia. Per l'Italia, mi sembra obbiettivo suo dover essere quello di farla città ellenica o meglio città libera e neturale ». Con questi termini l'ufficiale italiano tornava a sottolineare la necessità di una politica balcanica più attiva da parte dell'Italia confortato in ciò dalle opinioni raccolte tra i residenti italiani nelle regioni attraversate e in particolare a Filippopoli dove la colonia ita· liana, pur considerevole come numero mancava di un proprio rappresentante ufficiale (2).

La sistemazione raggiunta con il Congresso di Berlino, ]ungi dal soddisfare le legittime aspirazioni dei popoli balcanici aveva creato quelle situazioni che di Il a pochi anni avrebbero messo in discussione quel tipo di equilibrio che pure il Congresso aveva cercato di stabilire. Delusi i serbi e i greci dalla politica russa che aveva puntato sulla creazione, con il trattato di Santo Stefano, di una Grande Bulgaria quale avamposto della propria politica nei Balcani; delusi i bulgari che dal Congresso erano stati ridimensionati nelle loro aspirazioni nazionali e mentre Serbia e Grecia finivano inevitabilmente per avvicinarsi all'Austria e all'Inghilterra, tradizionali avversarie della politica russa nei Balcani, la Bulgaria finiva per legare sempre più i propri destini all'assistenza tecnica, finan- · ziaria e militare della Russia. L'attivismo della politica bulgara, seguita con attenzione da Belgrado e Atene, finì per deteriorare progressivamente le relazioni tra la Serbia e la Bulgaria, accusata quest'ultima di fomentare le ribellioni e aiutare gH oppositori del re Milan Obrenovié. La costante politica di espansione territoriale perseguita da Alessandro di Batte!Tlberg terminò nel 1885 con Ia proclamazione dell'unione con la Rumelia orientale e la conseguente guerra con la Serbia nel novembre 1885. L'intervento delle potenze europee e le successive trattative di pace riconobbero solo di fatto l'unione rimanendo i due paesi formalmente separati (1).

(l) B. ORERù, Relazione..., cìt., parte Il, p. 14.

(2) lvi, p.

4. Le relazioni di viaggio pubblicate costituiscono una fonte documentaria non secondaria anche per il loro contenuto, ricco di elementì di costume, di colore locale e di carattere poli ti co-militare.

La relazione del viaggio che Ugo Brusati (2) aveva effettuato in Romania dal 20 al 30 magigo 1888, mentre era addetto militare a Vienna, fornisce un ritratto immediato del paese. La Romania, la cui indipendenza era stata riconosciuta dal Congresso di Berlino, nel 1880 aveva avuto il riconoscimento dalle Potenze europee come Stato sovrano e indipendente. Vivo era nel paese il risentimento verso i russi, dai quali i romeni si consideravano sacrificati dopo la determinante partecipazione alla guerra, verso l'Austria-Ungheria per la questione della Transilvania (3) e per l'ingerenza dell'Impero nella vita economica. Inevitabile perciò l'avvicinamento alla Germania verso la quale Carlo di Hohenzollern, incoronato nel 1881, era attratto anche per motivi personali e dinastici. Brusati, giunto a Bucarest per presenziare alle manifestazioni per l'anniversario dell'incoronazione di re Carlo, era stato accolto con particolare cortesia e invitato a visitare gli stabilimenti di interesse militare, le opere di fortificazione e la Scuola ufficiali. Il contenuto del colloquio avuto personalmente con il re il 26 maggio riportato fedelmente, aveva spaziato dai problemi militari alle spese per gli armamenti, dalla difendibilità del territorio al problema della Dobrugia, dalla politica estera a quella interna. Delineate le influenze straniere prevalenti in Romania l'ufficiale italiano dedicava una parte consistente della propria relazione alla descrizione dell'esercito romeno (1).

(l} Cfr. A. TAMBORRA, La crisi balcanica del 1885-1886 e l'Italia, « Rassegna Storica del Risorgimento •. LV, fase. III, 1969, pp. 371-396. Inoltre oltre alle opere già cit. cfr. V. MANTEGAZZA, La Grande Bulgaria, Roma 1913; N. STANEV, Istoriia na Nova Bulgariia 1878-1942, Sofia 1943; Istoriia na Bulgariia, a cura dell'Accademia Bulgara delle Scienze, 2 voli., Sofia 1945-1955.

(2) Ugo Brusati (Monza 1847-Roma 1936), sottotenente nel 1866 entrò a far parte del Corpo di Stato Maggiore nel 1875 quale insegnante della Scuola di Guerra. Addetto militare a Vienna, capo di Stato maggiore dell'XI corpo d'armata, dopo la battagalia di Adua - durante la campagna d'Africa (1895-96) - fu insignito dell'ordine militare di Savoia. Maggior generale (1897) nel 1898 fu nominato primo aiutante di campo di sua altezza reale il principe dì Napoli e nel 1902 divenne primo aiutante di campo generale del re Partcx:ipò con tale carica alla prima guerra mondiale fino al 1917 mentre nel 1912 era stato nominato senatore. Ha pubblicato: Breve studio s ull'ordinamento dello Stato Maggiore, Roma 1879 e Ordinamento degli eserc iti gennanico, austriaco, frances e e italiano, Roma 1883. Il suo carteggio è io ACS, fondo Ugo Bru s ati.

(3) L. CIALDEA, La Transilvania aspetti diplomatici e politici, Isti· tuto per gli studi di politica internazionale. Milano 1939.

Luchino Dal Verme (2), fecondo scrittore e appassionato conoscitore di paesi lontani come il Giappone e la Siberia visitata nel 1883-84 , è l'autore dell'agile relazione che racocglie le impressioni di un viaggio compiuto nel 1889 attraverso la Serbia, la Bulgaria, la Tr.acia, la Turchia e la Grecia (3) alla quale è dedicata anche la relazione di Marini (4).

La relazione redatta da Eugenio Barbarich, autore di nunumerose pubblicazioni e figura di rilievo dopo la prima guerra mondiale per l'importanza degli incarichi ricoperti (5), si

(l) U. BRUSATI, Appunti di viaggio in R.umania, Vienna 15 giugno 1888, SME-AUS, b. 38, Addetti militari, rapp. n. 98 al ten. gen. Sironi, co. mandante in 2• del Corpo di Stato Maggiore, pp. 52. Notizie sull'esercito romeno nel 1885 nei dispacci di A. CERRUTI, Notitie sull'esercito rumeno, Bucarest 10 maggio 1885, n. 17, pp. 7; ID., Osservazioni sull'esercito rumeno, Bucarest 18 ottobre 1885, n. 87, SME-AUS, b. 12, Addetti militari, scacchiere orientale. Corrispondenza con l'addetto militare a Bucarest. C. CARBONI, Fortificazioni della R.umania. 1891, SME-AUS, b. 25, Reparto operazioni. Stati esteri, fase. 10: studio sulle fortificazioni di Foçsani, Galatz, Bucarest e sulle difese della Dobrugia.

(2) Luchino dal Verme (Milano 1838-Roma 1811), sottotenente dei granatieri (1859) prese parte alle campagne del 1859 e del 1860 meritando una medaglia d'argento nell'assedio di Mola di Gaeta. Entrato nel Corpo di Stato maggiore (1861) insegnò presso la Scuola Militare di Modena e partecipò alla campagna del 1866 meritando un'altra medaglia d'argento. Colonnello (1882), maggior generale (1890) comandò le brigate Pinerolo e Umbria. Tenente generale (1896), dopo essere stato del Tribunale Supremo di Guerra e Marina, fu nominato in quell anno Sottosegretario di Stato per la Guerra. Deputato al Parlamento dalla XVII alla XVII legislatura, dopo il \iaggio in Estremo oriente (1883-84) scrisse Giappone e Siberia, Milano 1885; Il paese dei somali, Roma 1889; I dervisci del Sudan anglo-egiziarw, Roma 1894; La disfatta dei Mahadisti, Roma 1898; La Guerra anglo-ooera, Roma 1936. Cfr. EnciclopediaMilitare, Milano 1933; volume III, p. 370.

(3) L. DAL VERME, Una rapida escursione in Levante. Impressioni e note, Roma giugno 1889, pp. 54, SME-AUS, b. 29, Stati Balcanici.

(4) P. MARINI, Note raccolte durante la permanenza in Atene, Costantinopoli 26 agosto 1890, n. 63, pp. 32, SME-AUS, b. 48/B, Addetti militari.

(5) E. BARBARICH, Da Cattaro a Ceti11je, Roma febbraio 1897, pp. 98, SME-AUS, b. 18, Stati Balcanici.

Eugenio Barbarich (Pasiano 1869 - Torino 1931) sottotenente di Fanteria partecipò at?vamente alla guerra mondiale con vari incanchi. Nel 191? partectpò operauoru di Albania, Montenegro, Dalmazia capo. d1 Stato Mag.gwre del comando in capo delle forze italiane Balcaru. Dopo la guerra fu presidente delle Commissioni di delimitaZione della tr.a Italia e Dalmazia e Fiume e delegato Conferenze ltalo-]ugosl!lve dt Margherita, Venezia, F1renze e Nettuno. Autore dt numerost saggt dt carattere storico, geogra. (segue a pag. 69) raccomanda, come scriveva l'allora capo di Stato Maggiore Zupelli, perché «scritta con l<Y'ghezza di vedute» mentre «meritano speciale menzione per la loro importanza: a) le notizie sulle fortificazioni di Cattaro, b) l'organizzazione ·dell'esercito montenegrino e l'esposizione completa dell'intero ordinamento militare del Principato, c) il cenno sulle aspirazioni politiche del Montenegro » (1).

Le relazioni di Salaris (2) e di Trombi (3) riguardano invece la Grecia proprio all'indomani di quella guerra con la Turchia (febbraio 1897) alla quale avevano partecipato con slancio ed entusiasmo i volontari garibaldini italiani. La Grecia, che fin dalla crisi d'Oriente del 1875-1878 aveva cercato di riscattarsi dal dominio ottomano, sorretta dalla spinta irredentistica di ricostituire l'antico Impero bizantino, era uscita dalla guerra notevolmente indebolita ed era stata salvata solo dall'intervento delle Potenze europee che imponendo l'armistizio (maggio 1897) e la pace (dicembre 1897) avevano permesso alla Grecia di conservare la Tessaglia (4). Il tenente colonnello Trombi, membro della Commissione per la delimitazione dei confini in Tessaglia nel trasmettere le sue relazioni precisava che « sebbene i nostri obiettivi probabili non siano diretti a detta ragione, tuttavia penso che gli appunti presi possano giovare a completare presso codesto Comando i dati geografico- fico si occupò anche di tattica. Tra le sue pubblicazioni: Studi tattici sulla battaglia di Custoza. 1886, Torino 1891; La civile chilena. 1891, Torino 1892; La guerra serbo-bulgara. 1885, Tonno 1893 poi ripreso nelle Considerazioni sulla guerra serbo-bulgara, Torino 1898; Per l'altra via dell'Adriatico, Roma 1904; Albania, Roma 1910; L'arte militare sul Carso, Roma 1907; La campagna del 1796, Roma 1910; Il Piave e le due guerre di liberazione italica, Roma 1923; Le prime lotte per la libertà in Italia, Roma 1923; La Carnia Giulia, Roma 1925; Per l'ingranamento degli studi militari negli universitari, Roma 1925; Tra teoria e pratica di guerra, Roma 1926. Collaboratore di numerose riviste e dell'Enciclopedia Militare diresse la c Nuova Rivista di Fanteria,. (1912-1915) e la c Rassegna dell'Esercito Italiano" (1920-1925). Cfr. Enciclopedia Militare, Milano 1933, volume II , pp. 60-61.

(l) Appunto manoscritto del capo di Stato Maggiore Zupelli, Roma 26 marzo 1897, SME-AUS, b. 18, Stati Balcanici.

(2) E. SALARIS, Note sulla Grecia, sul suo esercito e sui rceenti avvenimenti. Impressioni di viaggio, Atene-Firenze 1897, pp. 35, SME-AUS, b. 29, Stati Balcanici, e pubblicata in c Rassegna Nazionale " l ottobre 1897. Ufficiale di complemento nel 1897 segul le operazioni della greco-turca. Diresse successivamente la rassegna « Il bibliofilo militare ,. e collaborò alla " Rivista di Cavalleria » militari che già possiede, e a dare un'idea esatta delle' difficoltà più o meno grandi che si dovettero superare nella recente campagna greco-turca» (1). ·

(3) V. TROMBI, Delimitazione della frontiera di Tessaglia, anno 1897. Estratto del giornale di viaggio, e Completamento dei lavori di frontiera in Tessaglia, Terapia 9 giugno 1898, n. 25, SME-AUS, b. 38, Reparto operazioni. Ufficio coloniale. Stati esteri. Vittorio Trombi (Modena 1854-Capannori 1934) sottotenente d'artiglieria nel 1875, colonnello nel 1899 comandò per due anni le truppe in Africa. Maggior generale (1905) fu aiutante di campo del re (1906-1911) e partecipò alla guerra di Libia. Generale di corpo d'annata nel 1924.

(4) Sulla Grecia oltre alle opere già cit. fr. C. CESARI, Le truppe italiane nell'isola di Creta (1897-1906) , Roma 1919; N . SVORONOS Histoire de la Grèce moderne, Parigi 1953; J. DUTKOWSKI, L'occupadon de la Crète 1897-1909, Parigi 1953.

5. Alcuni mesi dopo gli accordi di Mi.irzsteg (2-3 ottobre 1903) il maggiore Rubin de Cervin, addetto militare italiano a Sofia e buon esperto dei probelmi balcanici (2) in un lungo rapporto al capo di Stato Maggiore esprimeva nettamente i propri dubbi sulla validità delle riforme imposte al sultano per la Macedonia. Ribadita, infatti, la complessità della questione balcanica in generale e della macedone in particolare, sottolineava come la ribellione delle popolazioni della provincia fosse mantenuta viva « dalle potenze che sovra essa vantano diritti e covano desideri di conquista » e dalla comprensibile esigenza delle popolazioni cristiane di affrancarsi dal giogo ottomano che soffocava ogni libertà e iniziativa di progresso. La strada intrapresa dalla diplomazia, quella appunto delle riforme, si sarebbe rivelata priva di valore giacché era impossibile «modificare il vieto e tradizionale regime turco» mentre la dorganizzazione della gendarmeria, che costituiva lo strumento per riportare l'ordine nella regione, «anche riuscisse ottima (e la cosa è incerta, date le contrarietà e le mene occulte che da ogni parte la minano) non sarà mai sufficiente a procacciare l'ordine materiale in una regione alpestre, difficile, con scarse comunicazioni e nella quale sono in lotta ogni sorta di interessi, di razza, di relizione e di lingua» (3) .

La Macedonia, infatti, pur essendo una regione economicamente povera (gli abitanti che nel 1900 assommavano a tre milioni, erano in costante regresso a causa dell'emigrazione, del brigantaggio e della miseria) costituiva l'area dove maggior· mente si scontravano le direttrici di espansione delle potenze. La stessa posizione geografica, al centro della penisola balcanica, ne faceva il punto di incontro e di conflitto degli interes· si bulgari, greci, serbi e rumeni, tutti in opposizione al dominio ottomano risalente alla seconda metà del secolo XIV (4). Le contese sulla Macedonia presero maggior vigore nel momen-

(l) Trombi a comandante in 2a del Corpo di Stato Maggiore, Costan· tinopoli 30 gennaio 1898, n. 6, SME-AUS, b. 38, Reparto operazioni. Ufficio coloniale. Stati Esteri.

(2) Gustavo Rubin de Cervin (Ferrara 186.5-Pordenone 1918). Sottotenente di Cavalleria (1883), compiuti i corsi della Scuola di Guerra da capitano, venne trasferito nel Corpo i Stato Maggiore (1889). Maggiore (1903), aiutante onorario di campo del re (1905), fu collocato a disposizione del ministero della Guerra e fu addetto militare a Sofia (1904-1910). Comandante del reggimento Cavalleggeri di Padova (1911), colonnello (1912), maggior generale 1915( assunse il comando della IV Brigata di Cavalleria. Tenente generale (1917) assunse il comando della 4• Divisione di Cavalleria prima e della 13• Divisione di Fanteria poi.

(3) G. RUBIN DE CERVIN, Questione Balcanica, Torino 28 dicembre 1904, pp. 14, p. 2, rapp. n. 2, destinatario il generale Tancredi Roma; SME·AUS, b. 81, Addetti Militari.

(4) R. RISTELUEBER, Storia di paesi balcanici, Rocx:a di San Casciano 1970, pp. 274-288. · to stesso in cui si pose il problema nazionale, il problema cioè del passaggio da nazione a Stato nazionale. Fin dalla metà del secolo XIX la Grecia, grazie all'attiva presenza del proprio clero, aveva avuto una netta preponderanza, diffondendo il mito di un rinnovato impero bizantino, con impronta nazionale neoellenica, nel quale la regione macedone avrebbe costituito la via di comunicazione con Costantinopoli. Dopo il 1870 la Bulgaria, con il riconoscimento da parte delle autorità ottomane dell'esarcato autocefalo, aveva ottenuto la giurisdizione di coloro che si dichiaravano slavi: il nucleo etnicamente più omogeneo venne così ad essere quello bulgaro e dal 1878 l'irredentismo macedone costituì, in Bulgaria, l'idea nazionale per eccellenza. L'aiuto del pricipato ai macedoni si concretizzò con l'apertura di scuole, con il patrocinio di organizzazioni culturali per la diffusione e lo studio della lingua e della cultura bulgara, con il finanziamento delle associazioni filo-bulgare, con la concessione della nazionalità agli esuli macedoni, con la formazione di comitati bulgaro-macedoni la cui principale attività era costituita dalle insurrezioni armate che dal 1899 ebbero un carattere costante ripetendosi puntualmente ogni anno alla fine dell'inverno. Altra comunità etnicamente rilevante era costituita dai serbi, che avevano dominato la regione nella prima metà del '300 con lo zar Stefano in netta preponderanza nell'alta valle del Vardar. Questi, pur non avendo una vera e propria organizzazione, erano presenti e attivi attraverso le iniziative dei consolati e delle scuole. Inoltre gli albanesi, gli ebrei discendenti direttamente da quelli cacciati dalla Spagna nel secolo XVI, gli armeni e i cutzovalacchi, pastori della regione del Pindo, sostenuti nelle loro rivendicazioni dalla Romania (1), costituivano il vasto e complicato mosaico macedone, nel quale ben si inseriva l'abile politica ottomana di riconoscimenti e concessioni diverse al fine di impedire il collegamento e l'unità tra i macedoni, la quale, se realizzata, avrebbe portato ad un diverso sviluppo politico della regione.

In grado di contrapporsi realmente alla presenza turca nella regione, fu l'« Organizzazione rivoluzionaria interna macedone» o VMRO dal nome bulgaro Vntresna Makedonska Revolucionarna Organizacija, che in breve tempo era riuscita a darsi una struttura militare agendo con metodi di vera e propria guerriglia partigiana (2). La situazione macedone, cosl come si era venuta sviluppando sin dal 1900, era stata ampiamente seguita dall'Ufficio coloniale e dall'Ufficio dello scacchiere orientale dello Stato Maggiore italìano attraverso i dati originali desunti dalla corrispondenza degli adetti militari, dalle relazioni dei viaggi compiuti nella regione dagli ufficiali italiani e dalle notizie degli informatori. L'importanza che lo Stato Maggiore italiano annetteva alle questioni balcaniche ed ai problemi della Macedonia intorno ai primi anni del secolo, si inseriva nel contesto della stessa politica estera italiana, determinata ad acquisire un proprio peso politico nei Balcani (l). La questione macedone in particolare, non poteva essere eliminata dalle competizioni internazionali e il problema - come aveva scritto il Rubin - era duplice: sottrarre le popolazioni cristiane al dominio turco e sistemarle secondo il principio di nazionalità. La situazione internazionale aveva determinato lm capovolgimento delle influenze nei Balcani; l'Austria appoggiava ormai la Bulgaria, mentre la Russia sosteneva la Serbia. L'Italia, la cui politica nei Balcani si era andata sviluppando già dal 1896 con il matrimonio del principe ereditario Vittorio Emanuele con la principessa Elena del Montenegro, intensjficò con il ministro degli Esteri Tittoni la propria azione economica e culturale nella penisola, interessandosi particolarmente dell'Albania (2).

(l) L. CIALDEA, La. politica estera della Romania , cit , p. 220-226. Cfr. anche RUBIN de CERVIN, Questione , cit, p. 6.

(2) Sulla Macedonia, oltre ai testi già citati, cfr. C. LAMOUCHE, Histoire de la Turquie, Paris 1934, pp. 331-344; Idem, Quinze ans d'histoire balkanique (1904-1918), Paris 1928, pp. 7-66. Numerose le opere, i saggi sulla situazione macedone; sinteticamente cfr. N. IORGA, Histoire des Etats balcaniques à l'époque moderne, Bucarest 1914; A. PERNICE. Origine ed evoluzione storica delle nazioni balcaniche, Milano 1915; J. IVANOV, Les Bulgares devant le congrès de la paix, Berne 1919; G. BAJDAROV, La questimze macedone, Roma 1928; D. DAKIN, The Greek struggle in Macedonia 1887-1913, Salonico 1966; D. DJORDJEVIé, Revolutions nationales , cit.

Nel 1903, dunque, la situazione macedone, con le rivolte del febbraio e del luglio (rivolta di Sant'Elia del 20 luglio). tornò ad aggravarsi sollecitando indirettamente gli accordi di Mtirzsteg il cui programma prevedeva la nomina di agenti civili austro-ungarici e russi presso l'ispettore generale turco della Macedonia, il riordinamento della gendarmeria da affidare ad ufficiali europei al servizio del sultano e, infine, un definitivo assetto dei distretti amministrativi. Il ministro Tittoni ottenne, in cambio dell'appoggio italiano al programma delle riforme, la nomina di un ufficiale italiano in qualità di comandante della riorganizzazione della gendarmeria (3). In base a questo accordo nel gennaio del 1904 venne nominato il generale Emilio de Giorgis che il mese successivo giunse a Costantinopoli per assumere ufficialmente il comando della gen- darmeria (l). Nonostante l'evidente successo diplomatico, negli ambien t i militari non s i nascondevano le perplessità in merito alla reale efficacia delle progettate riforme. Una nota dell'Ufficio coloniale, redatta dal capitano Zampolli (2), sottolineava come il progetto au s tro-russo, non rispondesse « a ciò che pretendevano gli insorti bulgari, i quali volevano essere bulgari, uniti o no alla Bulgaria», e non fosse attuabile ne l giro di pochi anni poiché le insurrezioni si sarebbero ripetute a breve scadenza: " la propaganda dei comitati continua , l'organizzazione delle bande si va perfezionando con regolamenti emanati dai comitati, e divulgati in tutti i paesi, con coscrizioni, usi militari, con tasse percepite anche dai più poveri per l'armamento e arruolamento degli insorti ... ». Proseguendo nella sua analisi lo Zampolli affermava che non era sufficiente l'aver affiancato al governatore del1a Macedonia, H ilmi pascià, due alti ·funzionari (uno austriaco e uno russo) che pure avrebbero avute pieni poteri di controllo su tutto ciò che riguardava l'amministrazione e la giustizia (3). L'accordo - secondo il giudizio espresso più tardi da Rubin de Cervin - non poggiava su basi solide: la Russia, impegnata contro il Giappone, era interessata al mantenimento dello statu quo anche se vedeva «con rancore svanire il sogno di avere nella Bulgaria uno Stato pressoché vassallo», mentre il comportamento austriaco lasciava trapelare l'intenzione di una p enetrazione in Macedonia: « i consoli vanno propiziandosi le popolazioni mediante protezioni e soccorsi in denaro, vengono di sottomano osteggiate le riforme che, quando ottenessero buona riuscita, allontanerebbero vieppiù il raggiungimento delle note mire su Salonicco. Aiuti sono poi fomiti ai comitati perché viva possa essere mantenuta l'agitazione ».

(l) Ufficio coloniale, Ufficio dello scacchiere Orientale, Promemoria, generalmente anonimi avevano la funzione di riassumere i principali avvenimenti. SME-AUS, b. 3, Stati Balcani. A questo proposito cfr. anche L. SALVATORELLI, La Triplice alleanza, Milano 1939, pp. 263 ss.

(2) Cfr. Annuario di politica internazionale (1939), ISPI, Milano 1940, pp. 142-146.

(3) F. VERNEAU, La questione d'Oriente. Dal Trattato di Berlino (1878) ai giorni nostri, Bologna 1959, pp. 140-158.

Citati alcuni fatti , a prova di quanto sostenuto, l'ufficiale italiano concludeva il suo rapporto affermando che l'Austria avrebbe approfittato dei torbidi per intervenire in Macedonia (4).

(1) Giovanni Battista Emilio de Giorgis (Susa 1844-Roma 1908). Sot· tote nente del Genio (1867) combatté contro l'Austria . Colonnello comandò il 46<> Fanteria (1891 ) insegnante presso l'Accademia Militare di Torino fu promosso generale (1898). Passato a disposizione del ministero degli Esteri (1904) fu inviato in Macedonia con mandato internazionale per assumere il comando della riorgani1.zazione della gendarmeria Cfr. V. ELIA, Il gene· rale de Giorgis a Costatinopoli, Costantinopoli 5 febbraio 1907, rapp. n. 9, SME-AUS. b. 31, Stati Balcanici. A pag. 7 l'addetto militare scriveva intorno ad un episodio che può maggiormente far luce sulla personalità del gene· rale italiano: " Sei mesi dopo che il generale de Giorgis, giunto col grado di generale di divisione, era stato promosso biringi ferik, gli venne comu. nicato che il suo stipendio era aumentato di 50 lire turche (in totale 1150 franchi) e che gli arre trati di sei mesi erano a sua disposizione. Il generale ringraziò ma rispose che, con l'aumento di grado, non intendeva accettare alcun aumento di stipendio •

(2) Note per il gene rale de Giorgis redatte con il concorso del capitarw Zampolli, minuta manoscritta, s.d ma presumibilmente del gennaio 1904, pp. 6, SME-AUS, b . 3, Stati Balcanici.

(3) lvi, p. 4.

(4) G. RUBIN de CERVIN, Questione , cit., pp. 11, 12, 13.

Compito non facile, quindi, quello che si presentava al generale de Giorgis sia per la situazione internazionale che per quella interna. La gendarmeria costitutiva infatti un corpo tra i meno efficienti dell'apparato militare turco e comprendeva ben 71 reggimenti, suddivisi in 133 battaglioni, i gendarmi erano reclutati per arruolamento volontario con ferma non minore a due anni, i sottufficiali provenivano dalla truppa mentre gli ufficiali erano reclutati in parte tra i sottufficiali e in parte dalle altre armi, ricevendo come compenso il passaggio ad un grado superiore poiché entravano a far parte di un corpo di minor prestigio e di servizio oneroso. L'istruzione militare era inesistente, mentre l'amministrazione era caratterizzata dalla incuria nella distribuzione e nella manutenzione dell'equipaggiamento dal1a irregolarità nei pagamenti degli assegni spettanti agli appartenenti al corpo: in pratica i gendarmi turchi, « malvestiti, non pagati, strumenti di un governo quanto mai arbitrario», non godevano di alcun prestigio con conseguenze negative sullo spirito e sulla disciplina. La conseguenza era un servizio estremamente approssimativo: « nelJe campagne e nei villaggi è ai gendarmi che sono da imputarsi molti dei furti; e non di rado essi si abbandonano isolati od a gruppi ad atti di vero brigantaggio » (1).

Il programma di Mi.irzsteg stabiliva di riorganizzare la gendarmeria aumentandone l'organico, roigliorandone il trattamento economico ed ammettendovi gli elementi di religione cristiana. Il governatore generale incaricato dell'applicazione delle riforme, Hilmi pascià, « sia per la sottile mala volontà in che son maestri i turchi», sia per le difficoltà oggettive, non ottenne altro che l'aumento dei gendarmi da diecimila a circa ventimila - il che era poi un pretesto per armare dei turchi in funzione anti bulgara -e l'arruolamento di circa set· tecento cristiani, reclutati tra gli eltm1enti peggiori: nessun cristiano che avesse « miglior mestiere» poteva infatti sentirsi attratto da una «posizione» che lo esponeva all'odio e alla vendetta dei colleghi mussulmani, in particolare albanesi, ostili alle riforme e dei correligionari (2). In verità l'arruolamento dei cristiani, in genere trattenuti nei centri di raccolta di Monastir e di Uskiib (Skoplje), doveva servire a dimostrare dal punto di vista formale che l'applicazione della riforma procedeva regolarmente. ·

I primi due anni di attività furono impiegati dal generale de Giorgis e dai suoi collaboratori a porre le basi per un reale ed efficace funzionamento della gendarmeria: congedo degli elementi peggiori, scuole per allievi gendarmi e pel' ufficiali a Sa-

(l) I 133 reggimenti di gendarmi comprendevano ·420 compagnie a piedi, 234 a cavallo e due con cammelli. Il numero dei battaglioni \"ariabile e la forza media di ogni battaglione di circa 80 uomini. Cfr. La gendarmeria nei tre vilayets di Salonicco, Kossovo e Monastir prima delle riforme chieste dall'Austria e dalla Russia, promemoria s.d. dell'Ufficio coloniale, pp. 12, p. 3 e 4, SME-AUS, b. 3, Stati Balcanici.

(2) lvi, p. 6. Cfr anche C. LAMOUCHE, Quinze ans , cit., pp. 33-36 lonicco, Monastir e Uskiib (Skoplje), progetti per la costruzione di nuove caserme - ostacolati da Hilmi pascià - arruolamento degli elementi cristiani. L'attività degli ufficiali europei procedeva lentamente e con difficoltà per la sotterranea opposizione delle autorità ottomane e per l'endemica lotta che opponeva le bande bulgaro-macedoni e quelle greche, spesso incoraggiate e finanziate dalle stesse autorità turche (1). Sempre più spesso il generale de Giorgis doveva ricorrere all'appoggio delle ambasciate per ottenere l'essenziale al buon andamento della gendarmeria. Una serie di richieste presentate personalmente dall'ufficiale italiano al governo ottomano e un memorandum del febbraio 1907, testimoniano lo stato di disagio che accompagnava l'azione degli ufficiali europei (2). La gendarmeria era stata sempre considerata un corpo al di fuori dell'esercito, strument0 della volontà delle autorità civili locali; ora, il primo articolo del regolamento, prevedeva che la gendarmeria entrasse a far parte integrante dell'esercito, e ciò costituiva uno dei punti più difficilmente acettabìli da parte delle autorità locali e dagli stessi ufficiali della gendarmeria, i quali, « ignoranti, privi di senso morale e di amor proprio, invecchiati in un mestiere che teneva del birro e della spia» (3), si assoggettavano facilmente al mutevole volere delle autorità civili. Con la riforma, gli ufficiali uscivano dalle scuole preparati secondo il costume e lo stile europeo ed erano appoggiati, contro i soprusi delle stesse autorità ottomane, dal generale de Giorgis. La nuova dignità produsse effetti diversi: alcuni mantennero i giusti limiti del rispetto reciproco con i funzionari governativi, altri, invece, furono animati da un sentimento di rivalsa nei confronti di quelle stesse autorità dalle quali, fino a poco tempo prima, erano stati umiliati. Questo - ricordava il tenente colonnello Elia, addetto militare a Costantinopoli (4) - fornì ai funzionari ottomani il pretesto per deprecare l'influenza europea, la validità delle riforme e per formulare l'ipo-

(l) Cfr i rapporti di G. RUBIN de CERVIN, Ufficiali bulgari che fanno parte di organizzazioni macedoni, Sofia 5 aprile 1905, p. 4; Bande in Macedonia, Sofia 16 giugno 1906, n. 10, pp. 5, SME-AUS, Addetti Militari, b. 81. Idem, Situazione in Macedonia, Sofia 27 marzo 1906, n. 3, pp. 4, SME-AUS, b. 34, Stati Balcanici. t

(2) Requétes présentées par le général de Giorgis, copia allegata al rapporto del 5 febbraio 1907 del colonnello V. Elia, pp. 5 e memorandum dì pp. 2.

(3) V. ELIA, Il generale de Giorgio , cit., p. 2 tesi che una gendarmeria mmeliota. riorganizzata da ufficiali europei, costituisse « l'avanguardia di una armata europea che, un giorno o l'altro, poteva essere mandata ad occupare la Macedonia» (1). Altro motivo d'intralcio per la riorganizzazione era costituito dall'elemento ellenico, «potente in Costantinopoli e a Palazzo per il denaro e le aderenze di cui dispone>> e che in quel momento trovava nat u rale allearsi con l 'amministrazione ottomana per distruggere in Macedonia qualsiasi influenza bulgara, serba o cutzoval acca. Lo stesso general e de Giorgis aveva incontrato a Costantinopoli numerose difficoltà per farsi ricevere dal sultano e presentare le proprie richieste e l'intervento congiunto dell'ambasciatore italiano a Costantinopoli, marchese Imperiali e del capitano Romei Longhena, in quel momento aiutante di campo del sultano (2) evitarono che la situazione giungesse ad un punto di rottura; alle oggettive difficoltà della situazione macedone si aggiungevano quindi quelle frapposte dalle autorità ottomane.

(4) Vittorio Elia Montiglio 1859-1944). Sottotenente dei bersaglieri (1888), in Africa (1900-1902), aiutante di campo onorario del re (1906). Addetto militare a Costantinopoli (1907-1910), colonnello (1909) prese parte alla guerra libica ed alla prima guerra mondiale. Maggior generale (1914) comandò la brigata «Marche», Sottosegretario di Stato per la Guerra (1914-1916), generale (1915), comandò il Corpo d'occupazione dell'Egeo e il Corpo di spedizione nel Mediterraneo orientale (1917-19) meritando la Croce dell'Ordine Militare di Savoia. Generale di divisione (1923) fu collocato a riposo nel 1929. Cfr. A. BIAGINI, La rivoluzione dei Giovani Turchi nel carteggio degli addetti militari italiani, in «Rassegna Storica del Ri·sorgimento», LXI, fase. IV, 1974, pp. 562-591.

Al momento del rinnovo del mandato del generale de Giorgis e degli ufficiali europei fu posto il problema di un ampliamento dei poteri degli organi d elle riforme (3), così come l'esperienza dei quattro anni precedenti aveva dimostrato essere necessario al fine di eliminare l'attività delle bande greche e bulgare (4). In una interessante l ettera del colonnello Trombi al generale Ugo Brusati, aiutante di campo del re (5), si rinvengono el ementi utili circa la posizione del de Giorgis in Macedonia. Questi -a giudizio del Trombi - era stanco e deciso, allo scadere del contratto, a rientrare in Italia: «il generale de Giorgis, per i suoi continui attriti con Hilmi pascià, governatore della Macedonia, attriti non sempre giu stificati, ha finito per lasciare un po' freddi p er lui i due ambasciatori che più lo sostennero in passato : l'inglese O'Connor e il tusso Zinoviev. Questi anzi gli rimproveravano la sua continua immobilità a Salonicco (donde non si è mai mosso) per la quale tratta unicamente per iscritto questioni che de visu potrebbero trovare più facile soluzione... Infine alcune proposte recenti del generale de Giorgis hanno un po' sorpreso l'ottimismo dell'ambasciatore Imperiali per il generale. Fra le proposte v'è la seguente: che gli aggiunti militari in Macedonia corrispondano

(l) V. ELIA, Il generale de Giorgis ... cit., p. 3.

(2) lvi, pp. 6-10. Giovanni Romei Longhena (Brescia 1865-1944) fu aiutante di campo del sultano (1904-1909) e capo della missione militare italiana in Russia (1914-1918) e addetto militare italiano in Polonia (1919· '21). Cfr. A. BIAGINI, Una relazione inedita del generale Giovanni Romei Longhena, addetto militare in Russia, sulla del febbraio 1917, comunicazione presentata al VI Convegno degli Storici italiani e sovietici, Fondazione G. Cini, Venezia 2·5 maggio 1974.

(3) V. ELIA, Abboccamento del regio Ambasciatore con il generale de Giorgis, Terapia 24 agosto 1907, rapp. n. 79, pp. 3, SME-AUS, Stati Bai· ca1rici, fase. II-4-B, souofasc. 3.

(4) V. ELIA, Bande elleniche in Macedonia, ·costantinopoli 30 luglio 1907, rapp. n. 68, pp. 4, fase. cit direttamente con le autorità locali, senza passare per il tramite del generale . Ora, se questo sistema può allegerire il generale de Giorgis da una numerosa corrispondenza, porta ad una dìminutio capilis di prestigio, all'ingerenza e al controllo che le sei potenze hanno voluto dare al generale organizzatore della gendarmeria macedone » (1). A questo, proseguiva il Trombì, doveva aggiungersi che gli aggiunti militari non erano riconosciuti dalla Turchia e che, comunque, non era il momento di porre altre questioni sul tappeto data l'imminenza dell'inizio deUa riforma giudiziaria. Il marchese Imperiali raccomandava per suo tramite che, se si doveva sostituire il generale de Gìorgis, lo si facesse con un ufficiale dì carattere fermo, ma dì modi e dì forme più consone alla particolare situazione poiché « ai turchi si possono dire le cose più dure, pretendere di imporre molto, ma coi guanti e con le dovute maniere: l'irritarli è peggio » (2). Le critiche mosse al generale de Giorgis in questa lettera sono relativamente giuste, se si considera che dopo quattro anni ininterrotti dì permanenza (la carica non prevedeva sostituzioni o interinato) e di attività nella regione macedone, non si era giunti ad alcun risultato notevole.

(5) Trombi a Brusati, Sanremo lO ottobre 1907, ACS, b. 9, Ugo Brusati, fase. V-2-31.

L'addetto militare a Costantinopoli, in un rapporto del febbraio 1908 (3), ribadendo concetti già noti, sottolineava che la riorganizzazione della gendarmeria procedeva lentamente a causa delle difficoltà che le autorità ottomane opponevano all'attività degli ufficiali europei nonostante le pressioni delle potenze. Un progetto inglese, presentato verso la fine del 1907 per « dare soddisfazione all'opinione pubblica britannica, una parte della quale accusava il governo di disinteressarsi troppo delle atrocità macedoni >> , prevedeva la formazione dì brigate speciali composte di gendarmi e militari di truppa, per la repressione dell'attività delle bande mentre il governo ottomano, per mostrare la propria «buona volontà», istituiva una speciale commissione di polizia destinata alla raccolta di informazioni e di notizie sulla attività delle bande. Dì questa commissione, alle dirette dipendenze di Hilmi pascià, non faceva parte alcun ufficiale della gendarmeria. In pratica i problemi reali investivano la contrarietà del sultano all'ingerenza europea che progressivamente, con l'avvio della riforma finanziaria e il progetto di riforma giudiziaria, si faceva sempre più marcata con scopi ben lontani dalla pretesa pacificazione della Macedonia. Nel 1907 l'Italia aveva intanto ottenuto che un ufficiale italiano, il colonnello dei carabinieri Tornassi, fosse incaricato deJla riorganizzazione della gendarmeria nel vilayet di Aidin (4),

(l) Trombi a Brusati, lettera cit., foglio 3.

{2) lvi, foglio 5.

(3) V. ELIA, Riassunto della situazione politico-militare attuale della Turchia e dei provvedimenti militari adottati dall ' ottob1·e 1907 ad oggi, Costantinopoli 26 febbraio 1908, rapp. n. 9. pp. 24, SME-AUS, b. 35/A, Stati Balcanici.

(4) V. ELIA, Riorganizzazione della gerzdarmeria nel vilayet di Aidin, Smirne 10 maggio 1907, rapp. n. 47, pp. 15, SME-AUS, b. 31, Stati .Balcanici mentre nel 1908, alla morte del generale de Giorgis, fu lo stesso Abdul Hamid, attraverso il maggiore Romei, a richiedere al sovrano italiano la nomina di un nuovo ufficiale da porre a capo della gendarmeria; contemporaneamente l'ambasciata ottomana a Roma inoltrava analoga domanda al ministero degli Esteri. Che l'ufficiale a capo della riorganizzazione dovesse essere comunque italiano era previsto dagli accordi sul rinnovo dei poteri agli agenti civili. L'addetto militare a Costantinopoli, scrivendo direttamente al capo di Stato Maggiore, generale Tancredi Saletta, sottolineava a questo proposito che l'ambasciatore tedesco, barone Marschall, e quello russo, Zinoviev, avevano dato il proprio assenso mentre più riservato si era mostrato il marchese Pallavicini ambasciatore austriaco che sosteneva essere la nomina competenza diretta delle potenze firmatarie dell'accordo di Mtirzsteg. La richiesta ottomana e la tempestiva risposta delle autorità italiane con la nomina del generale Mario Nicolis di Robilant (l) soffocarono su nascère ogni possibile polemica: «Quando Vostra Eccellenzascriveva a questo proposito il colonnello Elia capo di Stato Maggiore- pensi alle difficoltà d'ogni genere che accompagnarono la nomina e l'insediamento del generale d Giorgis quattro anni fa vedrà quale cammino abbio fatto la nostra influenza in questo tempo e come il programma di Mtirzsteg sia da riguardarsi come un fatto di storia contemporanea e come praticamente esso abbia cessato dall'avere un valore reale » (2).

La nomina del generale di Robìlant era stata del resto , favorevolmente accolta dalla Sublime Porta, dal barone Marschall, decano del corpo diplomatico, che aveva già avuto modo di apprezzare le qualità dell'ufficiale italiano a Berlino dove era stato addetto militare, dallo stesso ambasciatore italiano, legato da vincoli di amicizia al generale e in buoni termini da tutto il corpo diplomatico (3).

Il 10 maggio 1908 il generale di Robilant giungeva a Costantinopoli: le manifestazioni di simpatia del corpo diplomatico, dei funzionari ottomani, dello stesso sultano il quale lo aveva ricevuto in udienza il 15 maggio , assicurandogli la massima collaborazione per la riorganizzazione della gendarmeria, testimoniavano la validit?t della scelta italiana (4). Delle accoglienze ricevute dal sultano ne è rimasta traccia in una simpatica let-

(l) Mario Nicolis di Robilant (Torino 1855-1955). Sottotenente di artiglieria (1873) , colonnello (1898), maggior generale (1907); tenente generale (1908) a disposizione del ministero degli Esteli fu inv iato in Mace· donia per sostituire il generale de Giorgis. Rientrato in Italia (1911) CO· mandò la divisione Piacenza (1911-14), la divisione Torìno (1914) , il XII Corpo d'Armata (1914-15) e il IV Corpo d'Armata (1915). Membro del Comitato consultivo interall.eato eli Versailles (1918), comandante dell'VIII Armata (1919), generale d'Armata (1925).

(2) V. ELIA, Intorno alla nomina del generale di Robilant come riorganizzatore della gendarmeria rumeliota, Costantinopoli 24 marzo 19098, rapp . n . 2, pp. 7, SME-AUS, b. 35/ A, Stati Balcanici

(3) lvi, pp. S-7.

(4) V. ELIA, Il generale di Robilant riorganizzatore della gendarmeria in Rumelia, Costantinopoli 16 maggio 1908, rapp. n. 4, pp. 8, (segue a pag. 79) tera del generale di Robilant al generale Ugo Brusati, aiutante di campo del re. L'ufficiale italiano riferiva di essere stato invitato a pranzo dal sultano. il quale si era mostrato « sempre di ottimo umore e di grande cordialità», mentre la conversazione aveva sfiorato argomenti curiosi: « .. .in Europa - aveva esclamato Abdul Hamid - cal unniano i turchi e avrete certamente sentito parlar male di n oi: siamo invece buonissi ma gente e sono sempre lieto di prendere al mio servizio ufficiali e funzionari esteri come voi, i quali vedendoci da vicino pos· sono meglio apprezzarci e giudicarci più equamente » (1). A questa inaspettata considerazione della propria missione il di Robilant rispondeva che le ottime qualità dei turchi gli erano già note, al che il su ltano aveva replicato, riferendosi ai bulgari ed ai greci: « sono i vicini che mi si dicono amici che guastano i miei sudditi, mentre valgono assai meno di noi; ho notizie particolari della Russia c mi dicono che là ci sono bande dap· pertutto .. . ». Il di RobHant rispose citando il vecchio proverbio italiano " dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io» che «piacque moltissimo a Su a Maestà» e ne fu tanto lieto che volle la trascrizione e « volle conferire a mia madre l'o r dine del Chepukut di prima classe... » come premio per la lontananza del figlio. Commentando il gesto « degno di un animo squisita· mente gentile», il di Robi lant concludeva immaginando, diver· tito, la meraviglia della propria madre, « una vecchia signora pressoché ottantenne che vive lontano dal mondo», nel momen· to in cui si sarebbe vista arrivare la decorazione (2). La let· tcra proseguiva informando il Brusati dei primi contatti avuti a Costantinopoli e a Salonicco con i funzionari europei, con quelli ottomani e, più in generale, con gli ambienti politici e diplomatici interessati ai problemi macedoni. Sempre nel gìu· gno 1908 il di Robilant inviava al generale Brusati rapporti concernenti la situazione maccdone e l'attività dei còmitagi con speciale riguardo al capo Evangelo Moropulos (3).

Nell'aprile del 1908, prima ancora della nomina del nuovo riorganizzatore della gendarmeria, erano scaduti i contratti degli aJtri ufficiali italiani che si trovavano in Macedonia. Il colonnello Albera, aggiunto militare a Monastir, aveva fatto presente già dal marzo i desideri degli ufficiali nei riguardi della eventuale permanenza nel servizio di riorganizzazìone: il maggiore Cicognani, i capitani Ridolfi e Garrone, i tenenti Basteris, Castoldi e Luzzi avevano espresso l'intenzione di rimanere senza porre speciali condizioni; il maggiore Muricchio e il capitano Lodi desiderava rimanere fino al settembre mentre i tenerti Vinccnzi e Mazza si erano dichiarati per un rimpatrio imme· loc. cit., Cfr. anche lettera del generale di Robilant al generale Ugo Brusati, Costantinopoli 16 maggio 1908, pp. 6, ACS, busta 9. fase. V-1-30, VRO Brusati. diato. Dai vari aggiunti militari erano poi state presentate delle richieste ai capi-missione in Costantinopoli da aggiungere ai contratti e ciè la possibiJità che l'indennità, pagata dal governo turco in caso di morte di un ufficiale per cause di servizio, fosse estesa oltre che agli eredi naturali anche a quelli testamentari e la facoltà di usufruire delle facilitazioni doganali di cui fruivano le rappresentanze estere. T capi-missione rigettarono la prima istanza, mentre la seconda venne parzialmente accettata dietro interessamento del generale di Robilant, del ministero degli Esteri e della Guerra italiano che attraverso il cavalier Sforza proposero un compromesso accettato poi da tutti i capi missione: i bagagli degli ufficiali europei avrebbero goduto della franchigia diplomatica. Altri tre ufficiali italiani erano presenti in Turchia con una giurisdizione speciale e cioè come aiutanti di campo del sultano, erano cioè presenti non in base ad un accordo diplomatico ma in virtù di una richiesta personale del sultano al sovrano italiano ed erano H maggiore Romei, il capitano Tornassi e il tenente Mazza. Mentre il primo risiedeva a Hildiz gli altri si trovavano a Smirne con il compito di riorganizzare la gendarmeria di quel vilayet, lavoro che suscitava nell'Elia numerose perplessità soprattutto per l'impegno di due ufficiali (1).

(1) Di Robilant a Brusati, Salonicco, 1 giugno, pp. 5, ACS, loc cit., pp. l e 2.

{2) lvi, pp. 4 e 5.

(3) Di Robilant a Brusati, Salonicco 6 giugno 1908, pp. 10, ACS. loc. cit..

Nel 1908 si svilupparono sostanziali avvenimenti nella situazione balcanica: in particolare la rivoluzione dei Giovani Turchi, l'annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell'Austria e la dichiarazione di indipendenza della Bulgaria. Dei tre avvenimenti indubibatnente il primo fu il più importante e costituì la causa che mosse gli altri due. Il movimento dei giovani ufficiali - capeggiati da Enver bey, brillante ufficiale che avrebbe assunto notevole importanza nella successiva storia della Turchia (2) - favorito dalle potenze, prese il via a Sa- lonicco dove maggiore era il contatto con i rappresentanti europei e dove maggiore era il numero degli ufficiali che avevano studiato nelle scuole europee e quindi sensibili all'urgenza ed alla necessità di un rinnovamento degli equilibri di potere all'interno dell'Impero al fine di salvarne l'esistenza. Fu chiesto il ripristino della costituzione del 1876, proclamata l'uguaglianza nei diritti e nei doveri verso lo Stato indipendentemente dalla razza e dalla confessione religiosa di appartenenza Il movimento dei Giovani Turchi rappresentò in pratica, con i suoi aspetti liberaleggianti, costituenti una obiettiva novità nel «sistema » ottomano, l'ultimo tentativo messo in atto per salvare l'esistenza stessa del vetusto impero travagliato dalle lotte intestine delle varie nazionalità. Tentativo generoso che giungeva troppo tardi e che finì in un certo senso per produrre effetti contrari agli intendimenti dei promotori. La politica nazionalistica dei Giovani Turchi provocò immediate ripercussioni che trovarono il loro riflesso naturale nell'annessione della BosniaErzegovina da parte dell'Austria -Ungheria e la dichiarazione di indipendenza da parte della Bulgaria. In politica interna i Giovani Turchi conobbero poi il fallimento della politica di ottomanizzazione, di quella politica cioè volta a creare un comune sentimento nazionale ottomano (e non turco!), che tuttavia contrastava con la valorizzazione dell'elemento turco il quale, a causa dell'ingerenza delle potenze europee, era venuto a trovarsi con minori diritti rispetto alle altre componenti raziali dell'Impero. Ma dove maggiormente si infranse il sogno di un Impero costituzionale fu nel tentativo di laicizzazione dello Stato: intuizione profonda resa vana dall'opposizione interna dell'elemento turco poiché il sultano aveva, oltre al carattere pubblico, quello eminentemente religioso . I Giovani Turchi, del resto, non ebbero il coraggio di portare alle estreme conseguenze il movimento costituzionale mettendo in discussione lo stesso presupposto monarchico-religioso dell'impero. Questa contraddizione - propugnare un impero liberale senza però intaccarne i pressupposti monarchici e religiosi che ne facevano uno Stato teocratico - non permise ai Giovani Turchi quella vera e propria rivoluzione quale era stata formulata nei programmi (1).

(l) V. ELIA, Ufficiali del regio esercito al servizio turco, Costantinopoli 19 aprile 1908, rapp. n. 3, pp. 12, SME-AUS, b. 35, Stati Balcanici.

(2) Enver bey poi Enver pascià (lstambul 1881-Turkestan 1922) terminò la Scuola di Guerra nel 1899 e l'Accademia militare nel 1903. Fu messo, col grado di capitano, nel III ordù di stanza a Salonicco. Fu tra i membri fondatori della società " Unjone e progresso • e tra gli ufficiali che costrinsero Abd ul Hamid a proclamare la costituzione. In questi anni strinse amicizia con Hilmi pascià, Niazi bey e Talàt bey che sarà più tardi un membro del Triumvirato. Con la presa del potere da parte degli « Unionisti" fu nominato ispettore per la Macedonia, quindi addetto militare a Berlino O\ e subì l'influenza della corrente pangermanista e il suo nazionalismo si trasformò in panturchismo tenace. Si distince particola.r· mente come condottiero militare nella guerra di Libia. Con il colpo di Stato del partito « Unione c progresso" del 24 gennaio 1913. nel 1915 fu nominato ministro della Guerra e persuase il governo ad entrare in guerra a fianco della Germania. E' il periodo del triumvirato Enver-TalatKemal. La resa degli alleati e l'impossibilità di continuare la guerra costrinse il governo a dimettersi e i maggiori esponenti a fuggire. Anche Enver lasciò la Turchia passando per Odessa si recò a Berlno e da qui a Mosca. Kel 1920 partecipò al congresso dei popoli d'oriente riunito a Bakù. Messosi a capo delle forze irregolari insorte nel Turkestan contro il governo eli Mosca morì in combattimento. Cfr. S.S AYDEMIR, Makedonya'dan Orta Asya'ya Enver pasa, Istambul, s.d., L. FISCHER, I sovieti nella politica mondiale, Firenze 1957, trad. it., 2 voli., vol. I, pp. .50-460.

Questi avvenimenti ebbero immediata ripercussione sulla posizione degli esponenti europei presenti , per vari motivi, in Turchia. Per quanto riguardava l'Italia già nel settembre del 1908 si era provveduto a predisporre il rimpatrio dei tre ufficiali aiutanti di campo del sovrano e mentre il maggiore Romei - autore tra l'altro di un vivace rapporto sulla rivoluzione inviato al generale Brusati (2) -e il tenente Mazza si erano immediatamente dichiarati in attesa degli ordini, il capitano

(l) A. BIAGINI, La rivoluzione dei Giovani Turchi ., cit

(2) Romei Longhena a Brusati, Hildiz 24 luglio 1908, ACS, Ugo Brusati, busta 9, fase. V-2·31.

Tornassi aveva dato origine ad un singolare episodio riguardante il pagamento delle spettanze e delle indennità previste dal contratto (1). Per quanto riguardava poi gli ufficiali impegnati nella gendarmeria il governo italiano, attraverso il marchese Imperiali, prospettò la propria disponibilità a rivederne la funzione e la permanenza: «Fin dai primi giorni - scriveva a questo proposito l'addetto militare a Costantinopoli - del nuovo regime si capì di quanto poche simpatie godessero gli organi delle riforme in Macedonia sia agli occhi del comitato Unione e Progresso, la cui parola d'ordine era ed è la Turchia ai turchi, sia a quelli dell'esercito il quale... , vedeva con amarezza la posizione privilegiata della quale godevano l camerati europei che indossavano la stessa uniforme » (2). Non solo, ma la posizione dei Giovani Turchi in merito alle riforme non peccava di logica: queste, infatti, erano state formulate in base all'esigenza di proteggere i cristiani dai soprusi dei mussulmani dominanti ma ora « che la costituzione dava ai mussulmani, ai cristiani, agli israeliti uguali diritti e uguali doveri, ora che i componenti della nazione ottomana, fossero essi di razza turca o greca, bulgara o serba, albanese o valacca. erano uguali di fronte alla legge » (3), tutti i programmi di riforma, tutte le ingerenze risultavano superflue e dannose alla vita dell'Impero. La Germania, « studiosa di cattivarsi le simpatie del nuovo regime», aveva richiamato il proprio rappresentante militare in Macedonia, colonnello von Alten, pochi giorni dopo la proclamazione della costituzione; il 15 agosto era la volta di quello austriaco seguito da tutti gli ufficiali presenti. Francia, Inghilterra e Italia pur disponendo e preparandosi ad un eventuale rimpatrio attendevano Io svolgersi degli avvenimenti poiché «sarebbe stato poco riguardoso verso il nuovo ordine di cose, quasi che non si volessero lasciare degli ufficiali a contatto con un regime sorto dalla rivoluzione» (4).

Finalmente, alla fine di agosto, il governo ottomano aveva lasciato intendere, sia pure indirettamente, che si attendeva dalle potenze europee un ritiro degli ufficiali dover procedere ad iniziative diplomatiche. Il 5 settembre una nota congiunta degli ambasciatori di Francia, Inghilterra, Russia e Italia comunicava al ministero degli Esteri turco:

«Ora che la nuova costituzione pone il principio dell'uguaglianza di tutti davanti alla legge, essa dovrà estendere a tutto l'impero quelle riforme che le potenze, d'accordo con la Sublime Porta, avevano organizzato nei tre vilayet di Salonicco, Mona-

(2) lvi, pp. 3 e 4.

(3) lvi, p. s.

(4) lvi, p. 13.

(l) V. ELIA. Ricltiamo in Italia degli ufficiali del regio esercito: maggiore di cavalleria Romei, capitano dei carabinieri reali Tornassi e tenente Mazza. Gli ufficiali europei e la riorganizzazione rumeliota, Terapia, 9 settembre 1908, rapp. n. 9, pp. 16, destinatario il Pollio, capo di Stato Maggiore, SME-AUS, b. 35/A, Stati Balcanict. 82 stir e Kossovo. Le potenze si sono chieste se non sarebbe conveniente di lasciare al governo ottomano di proseguire da solo quell'opera di riforme che pare abbia l'intenzione di estendere a tutto l'Impero. Prima però di prendere a tale riguardo una decisione definitiva, le potenze hanno giudicato necessario di conoscere il sentimento del governo imperiale. E perciò i rappresentanti delle quattro potenze pregano il ministero degli Esteri di far loro sapere se il governo imperiale avrebbe difficoltà a che i contratti che a lui legano gli ufficiali degli Stati rispettivi fossero provvisoriamente sospesi e che dei congedi sine die fossero accordati a detti ufficiali. Nel caso in cui la Sublime Porta ne manifestasse il desiderio, gli ufficiali verrebbero richiamati a brevissima scadenza» (1).

Tale nota, sebbene accolta con soddisfazione proprio in quanto costituiva prova della fiducia che i governi europei avevano del nuovo regime, non ebbe un'immediata risposta. L'annesnessione della Bosnia-Erzegovina e l'indipendenza della Bulgaria non l'avevano permessa. Probabilmente, e questa è l'ipotesi dell'addetto militare italiano, «partiti dalla Turchia i meno graditi tra quegli elementi di controllo imposti dall'Europa, cioè gli austriaci », la Turchia non aveva in realtà premura di allontanare gli altri che rappresentavano pur sempre un elemento d'ordine nei cazà e che potevano divenire testimoni preziosi di fronte all'opinione pubblica europea sull'imparzialità che la Sublime Porta e il Comitato di Unione e Progresso intendevano mantenere nelle imminenti elezioni (2). Indubbiamente per l'Italia il problema non si limitava solo al rimpatrio dei dieci ufficiali presenti in Macedonia ma alla presenza del generale di Robilant, investito di un mandato europeo di comandante supremo della riorganizzazione. Fin dal settembre il governo italiano aveva mosso gli opportuni passi affinché la Porta esprimesse il desider.io che il generale dì Robilant rimanesse al servizio ottomano come consigliere tecnico della riorganizzazione della gendarmeria o con altro incarico analogo. In questo senso si era mosso l'ambasciatore Imperiali e, alla fine di novembre, il generale di Robilant era stato convocato a Costantinopoli per conferire direttamente con il ministro della Guerra allo scopo di prendere opportuni accordi sulla riorganizzazione della gendarmeria (3). Il generale italiano giunse a Costantinopoli il 28 novembre 1908, accompagnato dal cavalier Brizzi, segretario dell'Ufficio di riorganizzazione, e vi si trattenne per quattro s.ettimane caratterizzate da intensi colloqui con le autorità ottomane: praticamente la riorganizzazione della gendarmeria doveva continuare non più sotto l'egida delle potenze europee ma sotto quella del governo ottomano e doveva estendersi a tutto l'impero, escluso lo Yemen (1). Nel frattempo la Sublime Porta aveva accettato l'offerta di ritiro degli ufficiali formulata dalla Francia, Inghilterra, Russia e Italia pur non escludendo, per il futuro, la possibilità di usare ufficiali stranieri appartenenti ad eserciti in cui la gendarmeria avesse carattere tipicamente militare: cc basandosi sui risultati ottenuti dalla nostra riorganizzazione in Creta e Rumelia i turchi riconoscono che l'affidare tutto il lavoro all'elemento italiano costituirebbe la maggior garanzia nell'omogeneità e bontà del riordinamento: tuttavia ovvie ragioni di opportunità politica consigliano loro di chiedere ufficiali anche ad altre nazioni che saranno la Francia, che possiede un'ottima gendarmeria, e l'Inghilterra» (2).

(l) lvi, p. 15 e 16.

(2) V. ELIA, Intorno alla permanenza del generale di ·Robilant ad servizio ottomano, Costantinopoli 22 novembre 1908, pp. 5, p. l e 2, SMEAUS, b. 35/A, Stati Balcattici.

(3) lvi, p. 3 e 4.

Nel marzo del 1909 il governo ottomano comunicava alla ambasciata italiana i nomi di quegli ufficiali italiani, già in servizio ottomano, che intendeva riassumere con le stesse condizioni di grado e stipendio. Questi erano i capitani Ridolfi, Garrone, Borroni, i tenenti Castoldi, Basteris, Luzzi, Carossini ed inoltre il colonnello Albera, aggiunto militare a Monastir ed il maggiori Caprini già segretario del generale riorganizzatore (3). In due successivi rapporti del giugno, l'Elia confermava questi nomi, aggiupgendo quelli dei tenenti Mazza e Lauro dei carabinieri e del capitano De Mandato, archivista e interprete presso l'ambasciata italiana e informava del progetto completo di riorganizzazione presentato dal generale di Robilant (4). L'attività degli ufficiali italiani proseguì validamente per tutto il 1909 e 1910. Luci ed ombre di questa attività vengono delineate nei rapporti del generale di Robilant soprattutto per quanto riguardava i rapporti, non sempre facili, con le autorità ottomane (5).

Ancora nell'aprile del 1911 il nuovo addetto militare a Co- stantinopoli, tenente colonnello Prospero Marro (1), scrivendo al capo di Stato Maggiore, generale Albero Pollio, confermava che la Turchia avrebbe avuto tutto l'interesse a mantenere gli ufficiali stranieri nella riorganizzazione (2). Il 27 settembre l911 il generale di Robilant riceveva dal governo italiano l'ordine di rimpatriare con tutti gli ufficiali a causa dell'inasprimento dei rapporti italo-turchi e dell'invio dell'ultimatum dell'Italia alla Turchia. Il 28, giorno della dichiarazione di guerra, la delegazione italiana lasciava Costantinopoli. «Pochi giorni prima- scriveva a questo proposito il generale di Robilant a Brusati - nessuno vi avrebbe creduto, e confesso che io pure ero stato tratto in inganno sulle vere intenzioni del governo dal congedamento della classe, dalle grandi manovre della flotta e dall'annunziato arrivo del nuovo ambasciatore» (3).

(l) V. ELIA, Arrivo in Costantinopoli del generale di Robilant, Costantinopoli 28 novembre 1908, rapp. n. 121, pp. 2. ID.• Ritorno a Salonicco del generale di Robilant. Schema per la riorganiu.azione della gen- darmerùl in tutto l'impero. Glì ufficiali italiani del servizio di riorganiz· zazione, Costantinopoli 22 dicembre 1908, rapp. n. 130, pp. 10, SME-AUS, b. 35/A, Stati Balcanici.

(2) lvi, p. 9 e 10.

(3) V. ELIA, Ufficiali italiani per la riorganiu.azione della gendarmeria, Costantinopoli l marzo 1909, rapp. n. 25, pp. 2, SME-AUS, b. 37, Stati Balcanici.

(4) V. ELIA, Ufficiali per la riorganiz.zazione della gendarmerùl ottomarra.. Terapia, l9 giugno 1909, rapp. n. 87, pp. 2; Riorganiz.zazione della gendàrmerùl nell'impero, Terapia ll giugno 1909, rapp. n. 81, SME-AUS, b. 37, Stati Balcanici.

(5) M. NICOLIS di ROBILANT, Riorgan iz.zaz.ione della gendarmeria ottomana, Salonicco 30 luglio 1910, pp. 7 SME-AUS, b. 38, Stati Balcanici. V. ELIA, Incidente accaduto ad un ufficiale del regio esercito al serviz.io ottomano, Costantinopoli 25 gennaio 1910, rapp. n. 9, pp. 3, ivi, b. 39.

(l) P rospero Marro (Garresio 1854-Roma 1938). Sottotenente di artiglieria (1827) fu in Eritrea (1859-96) e durante la guerra dì Libia capo del servizio informazioni istituito ad Atene. Addetto militare a Costantinopoli (1911), colonnello (1912), membro della commissione per la delimitazione dei confini dell ' Albania. Maggior generale (1915), fu addetto militare in Serbia e comandò. durante la prima guerra mondiale l'artiglieria del VI Corpo d'Armata. Generale di divisione (1923).

(2) Marro a Pollio, Costantinopoli 1 aprile 1911, pp. 5, SME-AUS, b 25 / bis, Stari Balcanici.

(3) Di Robìlant a Brusati, Roma 16 ottobre 1911, pp. 5, ACS busta 10, Ugo Brusati, fase. VI-4-36, p. t.

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