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Persone con disabilità e web: altri spazi di esclusione?

Paolo Addis

1. Premessa

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Le persone con disabilità hanno sofferto, nel corso dei secoli, una perdurante condizione di esclusione economica, sociale, culturale e politica. Quando Internet e il web hanno iniziato a godere di una maggiore popolarità e diffusione è stato immediatamente chiaro che si tratta di strumenti che offrono grandi opportunità alle persone con disabilità, consentendo di abbattere alcune delle barriere, ancora esistenti, che impediscono loro una piena ed eguale inclusione. Anzi, data la rilevanza che Internet e la rete hanno acquisito nelle nostre vite quotidiane, chi non vi può accedervi si trova a essere, già solo per questo, in una condizione di svantaggio: si tratta del fenomeno – articolato e di non lineare lettura – del digital divide1 .

1 Il tema del digital divide, in termini generali, è stato analizzato da numerosissimi autori: si vedano, fra i tanti, P. Norris, Digital Divide: Civic Engagement, Information Poverty, and the Internet Worldwide, Cambridge, Cambridge University Press, 2001; M. Castells, Galassia internet, Milano, Feltrinelli, 2002, 231 passim; in chiave critica rispetto all’impostazione di Castells, cfr. J.A.G.M. van Dijk, A theory of the Digital Divide, in M. Ragnedda, G.W. Muschert, The Digital Divide. The Internet and Social Inequality in International Perspective, London, Routledge, 2013. Per quanto concerne la relazione fra digital divide e disabilità cfr. P.T. Jaeger, Disability and the Internet. Confronting a Digital Divide, Boulder, Rienner, 2011; K. Dobransky, E. Hargittai, The Disability Divide in Internet Access and Use, in Information, Communication & Society, 9, 3, 313-334. Per un inquadramento “quantitativo” del digital divide con particolare riferimento alle persone con disabilità, si veda M.R. Vicente, A.J. López, A Multidimensional Analysis of the Disability Digital Divide: Some Evidence for Internet Use, in The Information Society, 2010, 26, 48-64.

Per le persone con disabilità, però, nonostante la potenziale e preziosa utilità delle nuove tecnologie della comunicazione in chiave inclusiva, la questione è ancora più complessa: Internet e il web si presentano spesso, pur in misura e con modalità variabili, non accessibili.

Gli esempi sono molteplici, sia in positivo che in negativo: in una prospettiva inclusiva, si pensi alle maggiori opportunità lavorative e di studio offerte dal telelavoro o dall’e-learning; alla possibilità, per chi soffra di una particolare disabilità, di poter entrare in contatto con reti di sostegno o con persone che si trovino nella medesima condizione, senza intermediazione alcuna; o, ancora, si pensi ai possibili ritorni positivi in termini di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, tramite un semplice blog o i social network. In termini negativi, si pensi invece, a titolo meramente esempliicativo, ai possibili problemi, per una persona ipovedente, nell’accedere a una pagina web che non sia compatibile con uno screen reader; o all’impossibilità, per una persona con una disabilità auditiva, di fruire di un contenuto video che non sia stato sottotitolato; o, ancora, ai problemi, per una persona con disabilità cognitiva, nel fruire di un servizio web che si presenti come inutilmente complesso o adoperi un linguaggio poco comprensibile. In casi come quelli appena elencati, la condizione d’esclusione iniziale sofferta dalle persone con disabilità è ulteriormente aggravata dall’essere tenuti fuori da una dimensione – quella della comunicazione digitale – che appare sempre più rilevante.

La domanda di ricerca dalla quale questo scritto prende le mosse è quindi relativa al chiarire quali siano i rimedi giuridici per ridurre, almeno parzialmente, il digital divide per le persone con disabilità, con riferimento all’ordinamento degli Stati Uniti d’America e all’ordinamento dell’Unione europea. In particolare, si prenderà in considerazione il versante della web accessibility: non quello, quindi, inerente all’accesso al “mezzo di comunicazione”, ma quello inerente all’accesso ai contenuti di una parte di Internet, il world wide web2. Per quanto concerne il concetto di web accessibility, si farà qui riferimento a una nozione piuttosto ampia, quale quella proposta da Helen Petrie, Andreas Savva e Christopher Power: «all people, particularly disabled and older people, can use websites in a range of contexts of use, including mainstream and assistive technologies; to achieve this, websites need to be designed and developed to support usability across these contexts»3, pur nella consapevolezza che essa ricomprende un concetto – quello di usabilità – differente da quello di accessibilità4. La nozione di accessibilità è stata elaborata in primo luogo per il mondo isico; come per quest’ultimo, anche nel presente ambito di indagine ha acquisito una notevole rilevanza il concetto di progettazione universale (o universal design).

2 Con riferimento all’accesso a Internet delle persone con disabilità si veda G. Chiara, L’accesso a internet dei soggetti diversamente abili; per quanto concerne gli aspetti qui presi più puntualmente in esame, cfr. G.A. Ferro, Note sulla normativa tecnica in materia di accesso dei disabili alla rete Internet; entrambi i lavori citati sono in A. Ciancio, G. De Minico, G. Demuro, F. Donati, M. Villone (a cura di), Nuovi mezzi di comunicazione e identità. Omologazione o diversità?, Roma, Aracne, 2012.

Persone con disabilità e web: altri spazi di esclusione?

Prima di affrontare l’analisi delle regole volte a garantire la web accessibility negli ordinamenti appena sopra menzionati è però necessario affrontare alcuni punti relativi ai processi di standardizzazione e al diritto internazionale pattizio.

2. Processi di standardizzazione e una Convenzione ad hoc per i diritti delle persone con disabilità

Volgendo lo sguardo al contesto internazionale, si riscontra un fenomeno parallelo: se da un lato, a partire dagli anni novanta, si è affermata la necessità di standard tecnici destinati a garantire un certo grado di accessibilità del web a favore delle persone con disabilità, dall’altro si è avuto un importante processo di negoziazione che ha condotto all’elaborazione e all’entrata in vigore di uno strumento di diritto internazionale pattizio, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, conclusa a New York nel dicembre del 2006 e contenente alcune disposizioni rilevanti ai ini di questo scritto.

3 La deinizione sopra riportata è stata elaborata dagli autori supra menzionati sulla base di molteplici e variegate deinizioni presenti in testi scientiici e normativi; cfr. H. Petrie, A. Savva, C. Power, Towards a Uniied Deinition of Web Accessibility, Proceeding of the 12th Web for All Conference, Florence, May 18-20, 2015.

4 Il concetto di usabilità verrà richiamato incidentalmente infra; per una chiara distinzione fra “accessibilità” e “usabilità” v. M. Capponi, Sui concetti di “accessibilità” ed “usabilità”, in Vega Journal, 2007, 3, 3, 12.

2.1 La standardizzazione e la web accessibility: attori e processi

In questa sede non è possibile dare conto dell’importanza che la deinizione di standard tecnici comuni ha acquisito, nel corso degli anni, nella prospettiva di una regolazione non statuale, soprattutto un ambito tecnologico5; attualmente gli strumenti di maggiore rilevanza per favorire la web accessibility sono quelli messi a punto dal World Wide Web Consortium (W3C). Il W3C è un organismo non governativo, con sede negli Stati Uniti d’America, dotato di una struttura simile a quella di altri organismi di standardizzazione: esso è composto da circa 400 membri, fra i quali igurano grandi gruppi industriali, aziende del mondo dell’informatica e delle TLC, enti non proit e centri di ricerca di tutto il mondo. Una sua sezione, la Web Accessibility Initiative (WAI), si occupa speciicamente, a partire dal 1997, dell’elaborazione di standard di accessibilità al web. Gli standard elaborati dalla WAI, qui rilevanti, sono attualmente le linee guida WCAG (Web content accessibility guidelines), le ATAG (Authoring Tool Accessibility Guidelines) e le UAAG (User Agent Accessibility Guidelines). Per quanto riguarda i contenuti, possiamo dire – molto sommariamente – che lo standard WCAG (che è stato aggiornato nel 2008 e è quindi giunto alla versione 2.0) riguarda i linguaggi, i protocolli e gli strumenti cui coloro che realizzano dei siti web dovrebbero fare riferimento per la realizzazione di questi ultimi; le relative raccomandazioni, ruotanti attorno a 4 principi cardine («The website must be “Perceivable” – “Operable” – “Understandable” – “Robust”») sono divenute de facto lo standard internazionale per quanto concerne l’accessibilità, venendo adottate anche dall’International Standard Organization (ISO)6, essendo spesso indicate dalle legislazioni nazionali quali paradigmi di riferimento o fungendo comunque da base per l’elaborazione di ulteriori standard nazionali o sovranazionali.

5 Cfr., ad esempio, F. Cafaggi, New Foundations of Transnational Private Regulations, in E. Palmerini, E. Stradella (a cura di), Law and Technology. The Challenge of Regulating Technological Development, Pisa, Pisa University Press, 2013, 77, passim. Per un inquadramento degli standard nella prospettiva della global polity, cfr. S. Cassese, Chi governa il mondo?, Bologna, Il Mulino, 2013, 15 ss.

6 Il recepimento ha avuto luogo con lo standard ISO/IEC 40500:2012.

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2.2 La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità

Il secondo fenomeno riguarda il diritto internazionale pattizio: in particolare, come si è detto, la negoziazione, la redazione e l’entrata in vigore della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (d’ora in avanti, semplicemente Convenzione ONU), conclusa a New York nel dicembre del 2006, a chiusura di un percorso di consapevolezza e di rafforzamento dei diritti delle persone con disabilità risalente agli anni ’70. Molto si è scritto a proposito della Convenzione, sottolineando l’ambiziosa portata dei suoi obiettivi (consistenti nel coprire tutti gli ambiti di vita delle persone con disabilità attraverso una speciica declinazione dei diritti umani), mettendo in luce il fatto che si tratta del primo trattato internazionale in materia di diritti umani del XXI secolo e rimarcando lo straordinario numero di paesi che lo hanno sottoscritto e reso esecutivo in un lasso di tempo piuttosto contenuto7. Per quanto concerne l’oggetto speciico della nostra analisi, la Convenzione ONU contiene diverse disposizioni rilevanti in materia di accesso (anche) al web. L’art. 2, nel deinire alcuni dei concetti generali che vengono poi richiamati in altri punti della Convenzione, speciica che per “comunicazione” devono intendersi anche «i supporti multimediali accessibili nonché i sistemi, gli strumenti ed i formati di comunicazione migliorativa ed alternativa scritta, sonora, sempliicata, con ausilio di lettori umani, comprese le tecnologie dell’informazione e della comunicazione accessibili» (corsivo aggiunto). Poco più avanti, all’art. 4, lett. f), si legge che gli Stati parte della Convenzione si impegnano a «intraprendere o promuovere la ricerca e lo sviluppo di beni, servizi, apparecchiature e attrezzature progettati universalmente, secondo la deinizione di cui all’articolo 2 della presente Convenzione […]» e – alla lett. g) – che gli SP si impegnano a «intraprendere o promuovere la ricerca e lo sviluppo, ed a promuovere la disponibilità e l’uso di nuove tecnologie, incluse tecnologie dell’informazione e della comunicazione […] adatti

7 I commenti alla Convenzione ONU sono piuttosto numerosi; v. almeno

R. Kayess, P. French, Out of the Darkness into Light? Introducing the Convention on the Rights of Persons with Disabilities, in Human Rights Law Review, 8, 1, 2008, 1-34;

G. Quinn, The United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities: Towards a New International Politics of Disability, in Tex. J. on C.L. & C.R., 15, 20092010, 33.

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole alle persone con disabilità, dando priorità alle tecnologie dai costi più accessibili (corsivo aggiunto)». Da richiamare sono poi – nella particolare prospettiva di questo scritto – gli artt. 9 (relativo all’accessibilità)8 e 21 (dedicato alla comunicazione)9 .

Nell’impostazione della Convenzione ONU, ricostruibile anche da una sommaria lettura delle disposizioni appena menzionate, si può cogliere – come evidenziato da Marco Lazzari – la differenza che corre fra due diversi modi di vedere le tecnologie; da un lato, esse possono essere inquadrate come strumenti per «recuperare il terreno che separa “disabili” e “normali”» (ad esempio, in ambito educativo), concependo il computer come calcolatore isico (hardware) e virtuale (software). Ma, dall’altro lato, emerge chiaramente un riferimento agli strumenti tecnologici come dispositivi di informazione e di comunicazione: ed è questa l’accezione in cui essi vengono in considerazione nell'ottica della web accessibility. In questo senso, «si prospetta dunque l’idea che la tecnologia non agisca soltanto da ampliicatore cognitivo, ma divenga un vero e proprio ampliicatore sociale per le persone disabili»10 .

8 L’art. 9 della Convenzione ONU recita, al I comma, che «Al ine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita, gli Stati Parti adottano misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente isico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali». Fra questi impegni rientra anche, alla lett. g) del II comma, il «promuovere l’accesso delle persone con disabilità alle nuove tecnologie ed ai sistemi di informazione e comunicazione, compreso internet», nonché «promuovere alle primissime fasi la progettazione, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di tecnologie e sistemi di informazione e comunicazione, in modo che tali tecnologie e sistemi divengano accessibili al minor costo possibile».

9 All’art. 21 si menziona l’obbligo per gli SP, di «mettere a disposizione delle persone con disabilità le informazioni destinate al grande pubblico in forme accessibili e mediante tecnologie adeguate ai differenti tipi di disabilità, tempestivamente e senza costi aggiuntivi» (lett. a), nonché «di richiedere agli enti privati che offrono servizi al grande pubblico, anche attraverso internet, di fornire informazioni e servizi con sistemi accessibili e utilizzabili dalle persone con disabilità » (lett. g) (corsivi aggiunti).

10 Così M. Lazzari, La Convenzione ONU i diritti delle persone con disabilità e le

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3. La web accessibility nell’ordinamento statunitense

Quali, quindi, i possibili mezzi utilizzabili per ampliare l’accessibilità del web, nei due ordinamenti che si intendono prendere in esame in questa sede?

L’ordinamento statunitense contempla una nutrita panoplia di strumenti di garanzia dei diritti delle persone con disabilità11; il concetto di “accessibilità”, in particolare, è stato reso oggetto di una speciica tutela normativa da numerosi atti legislativi a livello federale, fra cui possono essere annoverati, per quanto riguarda l’oggetto di questo scritto, almeno il Rehabilitation Act del 1973, il fondamentale Americans with Disabilities Act del 1990 (d’ora in avanti, ADA), lo Individuals with Disabilities Education Act, il Telecommunications Act, il Twenty-irst Century Communications and Video Accessibility Act del 201012 .

tecnologie telematiche, in O. Osio, P. Braibanti (a cura di), Il diritto ai diritti. Rilessioni e approfondimenti a partire dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, Roma, Franco Angeli, 2012, 77 passim. L’A. in questione richiama a sua volta A. Mangiatordi, M. Pischetola, Sustainable Innovation Strategies in Education: OLPC Case Studies in Ethiopia and Uruguay, in Proceedings of the III World Summit on the Knowledge Society, Corfù, Grecia, 2010, vol. II, 102.

11 Va sottolineato che gli Stati Uniti non hanno ancora ratiicato la Convenzione ONU; in proposito, per un possibile (positivo) impatto della Convenzione sul sistema statunitense, cfr. A.S. Kanter, The Americans with Disabilities Act at 25 Years: Lessons to Learn from the Convention on the Rights of People with Disabilities, in Drake Law Review, 63, 2015. Si può poi rilevare che il sistema statunitense di tutela dei diritti delle persone con disabilità ha avuto una certa inluenza sul sistema dell’Unione europea: v. in merito M. Priestley, In search of European disability policy: Between national and global, in ALTER – Revue européenne de recherche sur l’handicap, 1, 2007, 61 ss.

12 P.T. Jaeger, Disability, human rights and social justice. The ongoing struggle for online accessibility and equality, in First Monday, 20, 9, 2015: l’A. in questione rileva però che a tale ampia copertura formale non corrisponde una tutela sostanziale di pari latitudine: «Yet, the laws are often lightly enforced and are often ignored […]. This has led to scholars proposing new legal schemes or new ways of enforcing the existing laws […], but these have not led to widespread calls for change to the current legal structures».

3.1 La Section 508 del Rehabilitation Act

Ma fra gli atti citati nelle prime righe di questo paragrafo quello che va analizzato con maggiore è attenzione è il Rehabilitation Act del 1973; in particolare, merita d’essere presa in esame la Section 508 dell’atto legislativo in questione, introdotta durante la seconda amministrazione Clinton, con il Workforce Investment Act del 1998. Che cosa prevede la Section 508?

In buona sostanza, essa stabilisce che, a partire dal 2001, il governo federale degli Stati Uniti d’America debba dotarsi di tecnologie elettroniche e informatiche accessibili alle persone con disabilità. Per quanto riguarda i siti web del governo federale, essa issa degli standard di accessibilità stringenti e giustiziabili, incorporandoli nella regolazione federali degli appalti di fornitura13. La determinazione degli standard da osservare, ai sensi della Section 508, è afidato all’operare di un’agenzia federale (denominata Access Board). All’interno dell’Access Board opera un più ristretto comitato, denominato Electronic and Information Technology Access Advisory Committee (EITAAC), cui spetta la decisione sostanziale circa la standardizzazione; va osservato che, sino a oggi, si è optato per il recepimento degli standard dettati dal W3C. Che impatto ha avuto, in quasi vent’anni, quanto disposto dalla Section 508? La risposta è – tutto sommato – positiva; va innanzitutto premesso che il raggio d’azione della Section 508 di per sé è abbastanza limitato, dal momento che riguarda solo i siti web delle agenzie federali, mentre i siti pubblici dei singoli stati dell’Unione hanno una disciplina a sé. Né – va rimarcato – la Section 508 pone alcun onere di accessibilità per i siti web privati. Il grado di osservanza degli standard da essa dettati è piuttosto alto; stando ai dati resi disponibili dal governo federale statunitense nel mese di agosto 2016, la maggior parte delle Agenzie ha un livello di compliance superiore all’80%.

Tuttavia, l’obiettivo che la Section 508 si era posto, rendendo vincolanti gli standard di accessibilità, era ben più ambizioso; esso consisteva nel creare un mercato tecnologico orientato all’accessibilità, anche nei servizi da elargire via web. È stato centrato? La risposta non è lineare, ma la soluzione statunitense è stata mutuata, con alcune variazioni, in diversi altri ordinamenti14 .

13 Cfr. L. McLawhorn, Recent Development: Leveling the Accessibility Playing Field: Section 508 of the Rehabilitation Act, in N.C.J.L. & Tech., 3, 2001-2002, 63.

Persone con disabilità e web: altri spazi di esclusione?

Da ultimo, va sottolineato che nel corso del 2015 si è parlato di una possibile riforma della Section 508; l’obiettivo della novella sarebbe lo stare al passo con i progressi tecnologici degli ultimi 16 anni. Fra i punti rilevanti della possibile riforma, vanno menzionati l’allargamento dell’applicabilità degli standard WCAG 2.0 e l’eliminazione di alcuni dei punti poco chiari presenti nel dettato legislativo, oltre a una più nitida deinizione di alcuni concetti e a un rafforzamento delle misure per l’interoperabilità. Si è detto, poco sopra, che nel sistema statunitense non sono presenti speciici oneri di accessibilità per il web “non istituzionale”, nonostante oggi esso abbia acquisito una notevole rilevanza. Merita a questo punto un rapido cenno una particolare evoluzione dell’ordinamento statunitense, relativa – appunto – a tale punctum dolens.

3.2La web accessibility e lo Americans with Disability Act (ADA)

È accettabile che siti web visitati quotidianamente da milioni di navigatori siano – del tutto o in parte – inaccessibili alle persone con disabilità? Alla luce di quanto esposto sino a ora, la risposta è decisamente negativa. In assenza di una disciplina ad hoc, l’ordinamento statunitense ha dato una parziale soddisfazione a quest’istanza d’eguaglianza e inclusione per via giurisprudenziale: per attaccare l’inaccessibilità dei siti web privati si è tentato di ricondurla a una discriminazione che ricada sotto la scure del titolo III dell’ADA15 .

Quest’ultimo vieta, in quanto discriminatoria, l’inaccessibilità di tutta una serie di “public accommodations” e “commercial facilities”, articolate in 12 categorie, che vanno dagli studi medici, alle strutture scolastiche, ai ristoranti, a cinema e teatri. Il punto su cui hanno lavorato i giudici d’oltreoceano riguarda la possibilità di non limitare la nozione di di “public accommodations” e “commercial facilities” agli spazi isici, ma di espanderla ulteriormente16. L’esercizio

14 Cfr. G. Astbrink, W. Tibben, Public Procurement and ICT Accessibility, in Proceedings of the 7th International Convention on Rehabilitation Engineering and Assistive Technology (pp. 1-4). Singapore: Singapore Therapeutic, Assistive & Rehabilitative Technologies (START), 2013, 1-4.

15 Va ricordato che l’accessibilità delle public entities è coperta dal II Title dell’ADA.

16 L. Wolk, Equal Access in Cyberspace: On Bridging the Digital Divide in Public Accommodations Coverage throught Amendment to the Americans with Disabilities

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole ermeneutico non è stato inane, ma – come sottolineato in letteratura – sarebbe preferibile, allo stato attuale, tentare un aggiornamento più deciso dell’ADA, che consenta di cogliere alcuni sviluppi tecnologici non prevedibili quando esso, oltre vent’anni fa, è stato approvato dal Congresso e successivamente trascurati all’atto della novella del 200817 .

4. Across the pond: il diritto dell’Unione europea. La web accessibility fra soft law e hard law

Per quanto concerne il quadro della web accessibility delineato all’interno della legislazione dell’UE, va preliminarmente sottolineato che l’Unione è vincolata, a differenza dell’ordinamento statunitense, da quanto previsto dalla Convenzione ONU18 .

L’UE, a partire dagli anni ‘90, ha diffuso una serie di documenti sull’accessibilità del web; si trattava di atti riconducibili alla categoria del soft law. Fra essi, seguendo un ordine cronologico, possono essere menzionati il piano eEurope – an Information Society for Act, in Notre Dame L.R., 91, 1, 2015.

17 Oltre a L. Wolk, Equal Access in Cyberspace: on Bridging the Digital Divide, cit., cfr. anche B.A. Areheart, M.A. Stein, Integrating the Internet, in The George Washington Law Review, 83, 2015, 449 ss. e R. Colker, The Americans with Disabilities Act is outdated, in Drake Law Review, 63, 3, 2015: l’A. appena citata osserva, a pagina 788, che «No statute is perfect, however, and the ADA has been slow to catch up to the 21st century’s emphasis on information technology. Neither the statutory nor regulatory language explicitly responds to the technological changes that impede access for many individuals with disabilities – especially those with visual or learning disabilities – even though the preamble to the original 1991 ADA regulations aspires to meet this need».

18 Circa il rapporto fra diritto UE e Convenzione ONU si vedano L. Waddington, The European Union and the United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities: a Story of Exclusive Shared Competences, in Maastricht J. Eur. & Comp. L., 18, 2011, 431 ss., nonché D. Ferri, The Conclusion of the UN Convention on the Rights of Persons with Disabilities by the EC/EU: A Constitutional Perspective, in G. Quinn, L. Waddington (eds.), The European Yearbook of Disability Law, vol. II, Antwerp, Intersentia, 2010, 47 ss.; J.W. Reiss, Innovative Governance in a Federal Europe: Implementing the Convention on the Rights of Persons with Disabilities, in European Law Journal, 20, 1, 2014, 107-125.

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All, lanciato nel 1999; fra il 2001 e il 2002 si registrano in particolare la comunicazione dalla Commissione al Consiglio, al CESE, al Parlamento e al Comitato eEurope 2002: Accessibility of Public Web Sites and their Content, ove si richiamava un documento più ampio (lo eEurope – european action plan) e si evidenziava la necessità, per le istituzioni dell’Unione e per gli stati membri, di adottare gli standard WAI. Inoltre, nel documento in questione si delineava un pur tiepido meccanismo di controllo (con l’individuazione di alcune good practices da monitorare) e – è interessante rilevarlo – l’intento di saldare quanto previsto in tema di web accessibility con il contenuto dei programmi quadro di ricerca inanziati dall’UE. Inoltre, va sottolineato che l’adozione degli standard di accessibilità veniva considerato uno strumento di carattere politico, funzionale all’inclusione delle persone con disabilità nella società dell’informazione19. Un importante obiettivo, all’epoca, veniva individuato nell’implementazione delle linee guida in occasione dell’anno europeo sulla disabilità, proclamato per il 2004. In occasione di tale appuntamento venne proposto, già nel 2003 uno European disability plan (più volte rilanciato), in cui la web accessibility è ben presente. Altri documenti – non vincolanti – in cui si fa menzione della web accessibility sono stati stilati nel 2005, nel 2007 e nel 2009; e – merita rilevarlo – nel 2010, con la Strategia europea sulla disabilità 2010-2020, ove si precisa che per “accessibilità” si deve intendere «la possibilità per le persone disabili di avere accesso, su una base di uguaglianza con gli altri, all’ambiente isico, ai trasporti, ai sistemi e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nonché ad altri servizi e strutture» (corsivo aggiunto); nello stesso anno, l’Agenda digitale europea rilanciava l’impegno dell’UE per una società dell’informazione accessibile20. Sin qui, come detto, il soft law. Va però registrata, nelle settimane in cui questo scritto vede la luce, un importante punto di svolta: il 26 ottobre 2016 il Parlamento europeo ha approvato, in seconda lettura, una propo-

19 Lo sottolinea G.A. Ferro, Note sulla normativa tecnica, cit., 97 20 È appunto questo (Verso una società dell’informazione accessibile) il titolo di una Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, richiamata all’interno dell’Agenda digitale europea.

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole sta di direttiva, il cui iter è iniziato nel 2012, che intende rendere obbligatori, per i siti istituzionali dell’Unione e degli Stati membri, oltre che per le relative mobile app, degli standard europei approvati nel 2014 e basati sugli standard WCAG 2.0, nella prospettiva della creazione di un mercato digitale accessibile. L’armonizzazione richiesta agli Stati membri sarà oggetto di una speciica azione di monitoraggio, deinita dall’art. 8 della Direttiva in questione.

Inoltre, de iure condendo, avrà probabilmente, anche in quest’ambito, un impatto notevole lo European Accessibility Act, destinato a regolare organicamente l’accessibilità di beni e servizi all’interno del mercato unico europeo e attualmente in fase di elaborazione.

5. Stati Uniti ed Europa: conclusioni e spunti di comparazione

Da quanto esposto emerge un trend convergente: le due sponde dell’Atlantico sono – sotto il proilo della web accessibility – piuttosto vicine: in entrambi i casi, infatti, si è individuato nel public procurement il mezzo idoneo a spingere il mercato verso la piena accessibilità del web, almeno sul versante pubblico; sul versante privato, come detto, non mancano nodi piuttosto intricati da sciogliere. Nell’ambito dell’Unione europea si parla da tempo dell’inserimento di standard di accessibilità anche per i siti commerciali, con l’approvazione dell’European Accessibility Act, menzionato appena sopra, non senza resistenze e perplessità da parte di alcuni attori economici21. Abbiamo visto come problemi simili si siano posti negli Stati Uniti. In proposito, erano stati riportati, da parte degli organi di stampa, alcuni segnali di una possibile disciplina federale. Tuttavia, dato il successo elettorale di Donald J. Trump nelle elezioni presidenziali del novembre 2016 e l’indecifrabilità, al momento, del suo programma in materia di inclusione delle persone con disabilità, non è possibile azzardare pronostici per il futuro.

21 Si vedano, ad esempio, alcune delle perplessità e delle obiezioni riportate in J. Harris, O. Marzocchi, The European Accessibility Act – In-depth analysis, paper redatto dal Policy Department on Citizens’ Rights and Constitutional Affairs del Parlamento europeo, 15 agosto 2016.

Persone con disabilità e web: altri spazi di esclusione?

Si è detto (cfr. n. 12) che la disciplina statunitense, nonostante l’alta percentuale di osservanza degli standard da parte del governo federale, non è riuscita a plasmare un sistema nel quale i siti web del governo sono universalmente accessibili; e allo stesso modo, è stato osservato che è stato solo (assai) parzialmente conseguito l’obiettivo europeo di creare un sistema di e-government pienamente accessibile22. Inoltre, in conclusione, va ravvisato come non manchino voci critiche nei confronti della stessa idea di standardizzazione dei requisiti di accessibilità del web, alla luce dell’intrinseca politicità delle scelte di standardizzazione e del fatto che esse, nella loro attuale impostazione, inirebbero per non rispettare la natura della disabilità quale fenomeno complesso e culturalmente variabile23 .

22 Cfr. C. Easton, Website accessibility and the European Union: Citizenship, Procurement and the Proposed Accessibility Act, in International Review of Law, Computers & Technology, 27, 2013, 1-2, 187-199: come sottolinea l’A. in questione «The failure to create accessible public websites demonstrates the implementation gap between the, often opaque, legislative requirements and the achievement of access for all. The Digital Agenda and the EU Citizenship Report highlight the importance of accessible egovernment and, ultimately, commercial websites. The piecemeal development of legislative provisions in relation to disability access has led to a fragmented position that has not resulted in tangible change, even in the public domain».

23 Cfr. S. Lewthwaite, Web Accessibility Standards and Disability: Developing Critical Perspectives on Accessibility, in Disability and Rehabilitation, 36, 16, 2014, 13751383.

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