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La partecipazione elettorale elettronica nel caso italiano
Fabio Ratto Trabucco
1. Voto elettronico e suffragio universale
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Le elezioni democratiche costituiscono la celebrazione di diritti umani fondamentali e, in particolare dei diritti civili e politici. Il loro svolgimento, le modalità con cui gli elettori scelgono i propri rappresentanti e, più in generale, partecipano alla vita democratica di una società sono assolutamente rilevanti. Ovviamente, l’introduzione di nuove tecnologie, come in generale per ogni ambito umano, apre anche per le libere elezioni, nuove opportunità e formi oggetto di un esteso dibattito.
Dissertare in tema di voto elettronico signiica anzitutto valutare la sua compatibilità con la struttura legale del Paese. In Italia questo signiica chiarire se esso sia in primo luogo compatibile con la Costituzione, che prevede alcuni irrinunciabili requisiti di una libera espressione di voto che, proprio per la loro collocazione nel rango costituzionale, non possono essere derogati da fonti costituzionali. Tutto ciò nonostante la mancata costituzionalizzazione del sistema elettorale avendo optato per l’afidamento di tale disciplina al legislatore ordinario1 .
L’art. 48, Cost., sancisce anzitutto il principio del suffragio universale. Da questo punto di vista il voto elettronico può estendere o comunque agevolare e facilitare la partecipazione al voto, sia in caso di ambienti non controllati, per esempio il voto via Internet,
Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole che rende più facile esprimere la propria preferenza in quanto non è necessario recarsi al seggio, ma anche in caso di voto in ambiente controllato perché la gestione elettronica potrebbe permettere all’elettore di recarsi in qualsiasi seggio; inoltre renderebbe più agevole l’accesso al voto a persone disabili2 .
Il principio del suffragio universale richiede però che le procedure di voto elettronico siano suficientemente semplici tali da non creare disparità tra coloro che sono forniti di adeguate capacità tecnologiche e coloro che ne sono sprovvisti3 .
2. Personalità, uguaglianza, libertà e segretezza del voto
Il secondo comma dell’art. 48, Cost., prevede che «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto». Si tratta di due coppie di garanzie fondamentali: personalità-uguaglianza e libertà-segretezza del voto che sono presenti in maniera implicita o esplicita in gran parte delle Costituzioni degli Stati europei e nelle Dichiarazioni, Convenzioni e documenti sovranazionali4. Queste garanzie esigono un’interpreta-
2 Cfr. E. Palici Di Suni Prat, Democrazia diretta e partecipazione popolare nell’età di Internet: presentazione, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2014, 4, 15441549.
3 Sul digital divide, cfr. M.M. Decina, Digital divide et impera: il ritardo del digitale è un caso, Roma, Editori Riuniti, 2016, passim; M. Ragnedda, G.W. Muschert (a cura di), The Digital Divide: The Internet and Social Inequality in International Perspective, London, Routledge, 2013, passim; A. Kolar Prevost, B.F. Schaffner, Digital Divide or Just Another Absentee Ballot?: Evaluating Internet Voting in the 2004 Michigan Democratic Primary, in American Politics Research, 2008, 4, 510529; P. Costanzo, La democrazia elettronica (note minime sulla cd. e-democracy), in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2003, 3, 465-486.
4 Circa le Costituzioni europee si vedano i casi di Austria (art. 26), Belgio (art. 62), Danimarca (art. 31), Finlandia (art. 25), Francia (art. 3), Germania (artt. 28 e 38), Grecia (art. 51), Irlandia (art. 16, c. 1 e 4), Lussemburgo (art. 51), Paesi Bassi (art. 53), Portogallo (art. 10), Spagna (artt. 68, 69, 140), Svezia (cap. 3, art. 1). In un quadro comparato, cfr. L. Trucco, Il voto elettronico nella prospettiva italiana e comparata, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2011, 47-72 e L. Cuocolo, Voto elettronico e postdemocrazia nel diritto costituzionale comparato, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2008, 1, 255-275.
La partecipazione elettorale elettronica nel caso italiano zione dinamica in relazione alla reale evoluzione dei sistemi e contesti politici, ma la dottrina ha sempre ritenuto che l’enunciazione perentoria e completa da parte della Costituzione italiana consenta di pervenire a conclusioni deinitive5 .
Il legame tra personalità ed uguaglianza del voto sta a signiicare che il voto deve essere riconosciuto e attribuito solamente a chi ne abbia maturato il diritto, senza quindi possibilità di cessione a terzi o di mandato, ma anche che la manifestazione del voto medesimo è per ciascun elettore unica e irripetibile. La corruzione elettorale, l’acquisto dei voti, il voto di scambio violano anche il principio di uguaglianza in quanto il voto viene sottratto ai legittimi titolari per essere attribuito di fatto ad altri che avranno così voti plurimi.
Vi sono nel sistema italiano eccezioni alla personalità del voto ma queste riguardano le persone che per disabilità isiche necessitano di assistenza per poter votare. Si tratta, quindi, di eccezioni ragionevoli.
La seconda coppia è libertà e segretezza. Libertà del voto signiica che gli elettori devono essere in grado di esprimere il loro voto liberi da intimidazioni, violenze o interferenze e senza timori di ritorsioni. Ma anche essere liberi di scegliere i propri rappresentanti senza indebite inluenze o pressioni. Per essere libero da indebite inluenze o pressioni il voto deve essere segreto e quindi la segretezza è requisito fondamentale.
La segretezza del voto viene solitamente intesa da un punto di vista essenzialmente interno, soggettivo, cioè come requisito per la tutela della libertà e riservatezza di ciascun votante e le norme che la proteggono servono quindi a soddisfare le esigenze di riservatezza e sicurezza dei singoli.
Ma la segretezza deve costituire anche una garanzia esterna, di rilevanza oggettiva. Non basta che il singolo si senta protetto: occorre che ciascun votante sia ragionevolmente certo dell’effettiva segretezza del voto espresso dagli altri votanti. Questo signiica che la segretezza del voto non può essere un requisito disponibile. Se è ammessa l’esibizione o la dimostrazione del proprio voto davanti a terzi, allora diventa più concreta la possibilità di corruzione o di scambio elettorale. In tal senso è stato stabilito il divieto di accedere
5 Cfr. E. Bettinelli, La lunga marcia del voto elettronico in Italia, in Quaderni dell’osservazione elettorale, 2002, 46, 12 ss.
Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole nella cabina elettorale con dispositivi mobili in grado di scattare fotograie: ciò potrebbe essere utilizzato per fornire la prova del voto6 .
Questa è l’interpretazione del concetto di segretezza del voto data dalla dottrina. Ciò ha come conseguenza che si ritiene compatibile con la Costituzione italiana solo il voto elettronico in ambiente pubblico e controllato. Il voto elettronico via Internet, l’home-voting si ritiene non conforme. Infatti, opportuni espedienti tecnici possono garantire la personalità del voto e la segretezza interna, ma non quella esterna, oggettiva. Come si può essere certi che in un ambiente non controllato il votante sia effettivamente solo al momento dell’espressione del voto7 .
La stessa questione, però, si pone con il voto per corrispondenza: anche in questo caso non si può essere certi che l’elettore sia solo quando vota.
In materia il parere della Commissione di Venezia del 2004 è che il voto remoto, sia esso elettronico che per corrispondenza, è compatibile con gli standard del Consiglio d’Europa8. La stessa Italia ammette il voto per corrispondenza per gli italiani residenti all’estero, introdotto nel nostro Paese con la legge costituzionale n. 1 del 2000, e regolato dalla legge n. 459 del 2001, senza che ciò abbia sollevato questioni di legittimità davanti alla Corte costituzionale.
Nonostante questa importante deroga, la dottrina continua a ritenere compatibile con la Costituzione italiana solamente il voto elettronico in ambiente controllato9. Così anche tutte le proposte e le sperimentazioni hanno riguardato sempre e solo casi di voto elettronico più o meno esteso ma sempre in ambiente controllato.
6 Cfr. ibid., 14 ss.
7 Cfr. E. Bettinelli, La lunga marcia del voto elettronico, cit., 15 ss. e A.G. Oroino, Democrazia telematica e partecipazione democratica. Come la Rete ha trasformato la politica: dalla campagna elettorale in Internet alle elezioni on line, in Ciberspazio e diritto, 2001, 90 ss.
8 Venice Commission, Report on the compatibility of remote voting and electronic voting with the standards of the Council of Europe, Strasbourg, CDL-AD(2004)012.
9 Cfr. E. Bettinelli, La lunga marcia del voto elettronico, cit., 15 ss. e A.G. Oroino, L’e-vote, in F. Sarzana di S. Ippolito (a cura di), E-government. Proili teorici ed applicazioni pratiche del governo digitale, Piacenza, La Tribuna, 2002.
3. Conclusioni
Nell’ambito delle nuove modalità tecniche di partecipazione elettorale sono due le questioni di fondo, ambedue di stretta attualità: da un lato, quella del rapporto tra la partecipazione democratica elettorale e nuove tecnologie informatiche e della comunicazione, e dall’altro, quella delle modalità per agevolare la consultazione elettorale in una fase, come quella attuale, di evidente grave crisi del rapporto tra società civile e sistema politico, o, se si vuole, tra “Paese reale” e “Paese legale”10 .
Il tema s’inquadra in un’ottica giuridica e politologica di ampio respiro e cioè quella gravitante attorno al tema dell’e-democracy, ancorché, ancora frequentemente, la stessa sia percepita come terreno di studio di una sparuta cerchia di specialisti non certo scevri di qualche istanza futuristica11. Del resto, come altre tecnologie legate alla comunicazione, Internet inluenza il comportamento di singoli e organizzazioni, intervenendo soprattutto sulle modalità di interazione individuali e collettive. Più ancora che da altri strumenti di comunicazione, come stampa, posta o televisione, etc., da Internet ci si aspettano trasformazioni così rilevanti da richiedere nuovi concetti. Nel solo campo delle interazioni tra cittadini e Stato, sono stati introdotti termini quali e-participation (cioè la possibilità di esprimere opinioni politiche online), e-governance (cioè la messa online di una serie di possibilità di accesso e informazioni e servizi pubblici) e-voting ed e-referendum (cioè la possibilità di partecipare ad elezioni e referendum online). Si tratta di speciicazioni della più generale trasformazione che l’elettronica porterebbe nella concezione della democrazia: ino a promuovere una e-democracy, deinita come crescita delle opportunità di partecipazione politica dei cittadini per effetto di Internet
10 Cfr. S. Elia, Alcune questioni problematiche circa il voto elettronico, in Ciberspazio e diritto, 2016, 1-2, 83-106.
11 Cfr. T. Zittel, Political Representation in the Network Society: The Americanization of European Systems of Responsible Party Government?, in The Journal of Legislative Studies, 2003, 3, 1-22.
12 Cfr. D. Della Porta, Democrazie, Bologna, Il Mulino, 2011, 127-128.
Dunque l’e-voting si palesa quale ambito partecipativo-elettorale dislocato sul versante degli input del sistema politico dell’era digitale, ma inserito in un quadro più generale, nel quale le Information and Communication Technologies (ICT) ristrutturano vasti e complessi territori dei sistemi politico-istituzionali democratici, in ragione appunto dell’affermazione dell’e-democracy13, dell’e-participation, dell’e-governance (addirittura di scala globale)14 e dell’e-government, anche se, come è stato notato, non sempre queste nuove dimensioni si coniugano in modo osmotico lungo matrici di compatibilità automatica15 .
Tali prospettive non sono però del tutto prive di problematiche con riguardo alla loro concretizzazione alla luce della sussistenza di alcuni punti dolenti come quello del digital divide16, ovvero della diseguaglianza dell’accesso ad Internet e della diseguaglianza nella fruibilità dei suoi vantaggi. Da questo punto di vista, le scuole di pensiero, come noto, si diversiicano; da un lato, Internet è stato presentato come fenomeno largamente democratico, vuoi perché in grado di ampliare la platea degli utenti, vuoi perché propulsivo dell’estensione dei produttori di informazioni17. Non solo, se per alcuni i caratteri di orizzontalità, bidirezionalità e interattività della comunicazione via Internet riducono i tratti gerarchici della politica ed ampliano la partecipazione bottom-up, accrescendo i canali di informazione disponibili per i cittadini e facilitando così la parte-
13 Cfr. B.D. Loader, D. Mercea, Democrazia in rete? Innovazioni sociali, media e politica partecipativa, in Informazione, comunicazione e società, 2011, 6, 757-769.
14 Cfr. R. Rose, A global diffusion model of e-governance, in Journal of Public Policies, 2005, 1, 5-7.
15 Cfr. M. Miani, L’ascesa dell’e-government e il declino dell’e-democracy, in http://www.qualitapa.gov.it/www.urp.it/sito-storico/www.urp.it/Sezione.jsp-titolo=L’ascesa+dell’egovernment,+il+declino+dell’e-democracy&idSezione=987. html, 2006.
16 Cfr. Id., The Democratic Phenix, Cambridge, Cambridge University Press, 2012; P. Norris, Digital divide, Civic Engagement, Information Poverty and the Internet Worldwide, Cambridge, Cambridge University Press, 2011; P. Ferri, Il digital divide: i sommersi e i salvati. L’Information Communication Technology, la globalizzazione, la necessità di uno sviluppo interconnesso, in P. Foradori, R. Scartezzini (a cura di), Globalizzazione e processi di integrazione sovranazionale: l’Europa, il Mondo, Soveria Mannelli, Rubettino, 2006, 259-280.
17 Cfr. D. Della Porta, Democrazie, cit., 129.
La partecipazione elettorale elettronica nel caso italiano cipazione di chi normalmente non ha voce18, per altri Internet, in realtà, favorisce chi è più munito di risorse culturali, individuali e collettive, avvantaggiando quanti già sono inclusi nei circuiti della partecipazione politica19 . il caso del c.d. hate speech online
In ogni caso, la questione dell’e-voting resta nevralgica per le conigurazioni attuali del problema della democrazia, perché costituisce un campo analitico di cruciale interesse in una fase di profonda ristrutturazione del sistema delle relazioni internazionali rispetto al quale è considerato urgente uno sviluppo democratico sovranazionale sul quale ormai le rilessioni giuridiche e politologiche si dipanano in misura incontenibile anche per seguire un’evoluzione che segna l’emersione di autorità multilivello, non sempre, peraltro, munite di legittimità democratica.
Del resto, in questo senso, il posizionamento dell’e-voting – vuoi come momento partecipativo, vuoi come momento democratico – nell’orizzonte della democrazia globale non appare agevolmente rinviabile, atteso che si è in presenza di «una signiicativa internalizzazione dell’autorità pubblica associata a una corrispondente globalizzazione della politica»20. A tacere del fatto che la globalizzazione accresce la consapevolezza della sussistenza di problemi globali che non possono essere trattati a livello di democrazia chiuse nei territori degli Stati nazionali; il che ha portato a ritenere che, ormai, la «democrazia è globale o non è»21. E, peraltro, la crisi inanziaria mondiale e della zona Euro, ma più direttamente dell’impianto istituzionale dell’UE, non è più in grado di affrontare con solerzia ed eficacia questioni riguardanti la vita e i destini dei cittadini dell’Unione, ponendo problemi di governance democratica che travalicano di gran lunga i conini nazionali, rendendo le opzioni legate all’e-voting decisamente rilevanti per la prospettazione di sistemi di governance democratica sovranazionali.
18 Cfr. ibid., nonché D.J. Myers, Social Activism Through Computer Networks, in O.V. Burton (ed.), Computing in the Social Science and Humanities, Urbana, Illinois University Press, 2001, 124-139 e J.M. Ayers, From the Streets to the Internet: The Cyberdiffusion of Contention, in The Annals of the American Academy of Political and Social Sciences, 1999, 1, 132-143.
19 Cfr. M. Margolis, D. Resnick, Politics as Usual. The Cyberspace «Revolution», Thousand Oaks, Sage, 2000.
20 Cfr. D. Held, A. McGrew, Globalismo e antiglobalismo, Bologna, Il Mulino, 2010.
21 Cfr. R. Marchetti, Democrazia globale, Milano, Vita&Pensiero, 2010.
1. Introduzione
Come è ormai ricorrente osservare, Internet costituisce un mezzo di comunicazione estremamente “democratico” che, proprio in ragione della sua particolare diffusione e diffusività, impone la ricerca accurata di un sistema regole che ne impedisca un uso improprio1 . Una delle questioni più delicate, da cui muove il presente lavoro, risiede proprio nell’esatta individuazione di nuovi punti di equilibrio tra libertà di espressione sul web, potenzialmente illimitata, e tutela di altri diritti e valori di rango costituzionale, primi fra tutti, i diritti fondamentali e le garanzie di eguaglianza e non discriminazione2 .
È, al riguardo, evidente che Internet offra opportunità di comunicazione potenzialmente illimitate, creando agevolmente reti comunicative transnazionali inalizzate anche all’educazione e alla sensibilizzazione su questioni attinenti alla protezione degli stessi diritti inviolabili. D’altro canto, è altrettanto paciico che Internet venga utilizzato anche per la diffusione capillare di contenuti offensivi e spesso discriminatori, a carattere razzista, xenofobo o sessista, da parte di individui e gruppi che intendono perseguire opposte inalità di incitamento all’odio.
1 Sulla necessità di un Internet Bill of Rights, cfr. S. Rodotà, Towards an Internet Bill of Rights, intervento al Dialogue Forum on Internet Rights, Roma, 2007. Sul tema, si veda, tra gli altri, D.C. Nunziato, Virtual Freedom. Net Neutrality and Free Speech in the Internet Age, Stanford (Ca), Stanford University Press, 2009.
2 G.M. Teruel Lozano, Il problema della delimitazione della libertà di manifestazione del pensiero on-line, in www.forumcostituzionale.it, 7 settembre 2011.
All’interno di questo contesto, pare quindi necessario che l’ordinamento giuridico ponga le condizioni per un corretto equilibrio tra libertà di espressione e lotta contro le condotte illecite sul web, specie quelle perpetrate nei confronti dei soggetti e dei gruppi sociali più deboli.
2. La disciplina europea e nazionale della rete
La normativa sovranazionale che affronta lo speciico tema della tutela dei diritti fondamentali in Internet, per un verso, è copiosa ed attenta; per un altro verso, tuttavia, essa consiste ancora, pressoché integralmente, in norme di soft law, con limitata eficacia vincolante nei confronti degli ordinamenti degli Stati membri.
Sul versante dell’Unione europea, sono state approvate, in particolare, dichiarazioni (quale quella del Consiglio dell’Unione europea, del 28 giugno 2001), raccomandazioni (tra cui la raccomandazione congiunta del Parlamento e del Consiglio dell’Unione 2006/952/Ce), risoluzioni (la risoluzione del Parlamento europeo sulla libertà di espressione su Internet del 6 luglio 2006) e decisioni (in particolare, rileva menzionare la decisione n. 854/2005/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005). Gli interventi dell’Unione sull’utilizzo della rete Internet sono destinati, con ogni probabilità, ad intensiicarsi, specie in caso di discipline nazionali inadeguate o non armonizzate.
Un approccio più deciso per la tutela dei diritti sul web è stato perseguito dal Consiglio d’Europa attraverso l’adozione di due speciici accordi internazionali che potrebbero aprire un varco risolutivo per la lotta ai crimini informatici e, in particolare, alle condotte discriminatorie sul web.
Ci si riferisce, in primo luogo, alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, entrata in vigore il 1° luglio 2004 e ratiicata dall’Italia con legge 18 marzo 2008 n. 48, la quale stabilisce le linee guida per tutti gli Stati che vogliano sviluppare una legislazione nazionale completa contro la criminalità informatica, e fornisce anche il quadro per la cooperazione internazionale in questo campo.
Sullo speciico tema della difesa dei diritti fondamentali sulla rete, risulta, tuttavia, determinante l’approvazione del Protocollo addizionale alla suddetta Convenzione, entrato in vigore il primo marzo 2006, che si pone la inalità di «assicurare un buon equilibrio tra la libertà d’espressione e una lotta eficace contro gli atti di natura razzista e xenofoba»3. Anche il nostro Paese ha espresso la volontà di aderire al Protocollo mediante la irma del medesimo avvenuta il 9 novembre 2011.4
Inine, vanno segnalati i rilievi di uno speciico organo del Consiglio d’Europa, ossia la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) che anche recentemente, nel suo rapporto sull’Italia pubblicato il 21 febbraio 2012, ha raccomandato alle autorità italiane di intensiicare gli sforzi per contrastare la diffusione di materiale di propaganda razzista, xenofoba e antisemita via Internet.
Sotto il proilo della normativa interna, le disposizioni speciicamente rivolte alla tutela contro le violazioni dei diritti inviolabili commesse via web e, più in generale, quelle dirette a disciplinare la realtà di Internet, sono ancora limitate. Il nostro legislatore ha sin qui seguito una strada molto prudente limitando gli interventi volti a regolare in modo diretto i fenomeni connessi ad Internet, e così attivando un ruolo di “supplenza” da parte dei giudici nell’applicare in via analogica, o comunque estendere alla realtà virtuale, disposizioni già esistenti.
La normativa più rilevante dedicata espressamente al web, e applicabile anche come strumento di tutela contro le discriminazioni perpetrate su Internet, è quella contenuta nel d.lgs. n. 70/2003, che regola, all’interno della disciplina del commercio elettronico, la responsabilità dei c.d. Internet Service Provider (Isp), ossia dei soggetti che forniscono servizi di connessione, trasmissione, memorizzazione dati, anche attraverso la messa a disposizione delle proprie apparecchiature per ospitare siti. L’Isp, in breve, può essere considerato come un intermediario, che stabilisce un collegamento tra chi intende comunicare un’informazione e i destinatari della stessa.
3 Cfr. Considerando n. 12 del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica.
4 Il governo italiano ha inteso ratiicare tale Protocollo; attualmente il ddl di ratiica ed esecuzione del Protocollo è in esame al Senato (A.S. n. 2471).
In linea generale, il decreto sancisce che un provider non è responsabile delle informazioni trattate e delle operazioni compiute da chi fruisce del servizio, a patto che non intervenga in alcun modo sul contenuto o sullo svolgimento delle stesse operazioni. Inoltre, sugli Isp gravano obblighi di informazione e di collaborazione nei confronti delle autorità competenti che non comportano, tuttavia, oneri particolarmente gravosi di veriica e iltraggio preventivo di informazioni trasmesse sui propri server al ine di valutarne la possibile lesività per i terzi. In particolare, l’art. 17 del decreto prevede una clausola generale che sancisce l’inesistenza di un obbligo generale di sorveglianza a carico del prestatore di servizi sulle informazioni che trasmette o memorizza, o di un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. Il prestatore diventa, tuttavia, civilmente responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, avendo ricevuto una apposita richiesta dall’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non impedisce prontamente l’accesso ai contenuti illeciti, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l’accesso non ha provveduto ad informarne l’autorità competente. Sussiste, pertanto, in capo agli Isp sia un obbligo di collaborazione con le autorità competenti, sia un obbligo di rimozione dei contenuti illeciti in caso di speciica e qualiicata segnalazione.
3. Il ricorso a strumenti tradizionali di tutela: il contrasto al c.d. hate speech
Come ricordato, i tribunali nazionali ed internazionali – per risolvere molte delle nuove fattispecie giuridicamente rilevanti sorte sul web – sono stati costretti a ricorrere a categorie ed istituti tradizionalmente destinati ad altri, seppur analoghi, ambiti giuridici.
Le disposizioni che più comunemente possono essere applicate, in via analogica, alle controversie in materia di tutela dei diritti sulla rete, riguardano, a livello prevalentemente sovranazionale, la normativa sui discorsi di odio, c.d. hate speech, e, nel contesto interno, le disposizioni che puniscono il reato di diffamazione.
I discorsi di odio comprendono le manifestazioni verbali contenenti elementi discriminatori che hanno la stessa inalità dei crimi- ni di odio5. In ambito normativo, vanno ricomprese nella deinizione di hate speech tutte le manifestazioni di pensiero ai conini della libertà di espressione, e quindi tutte le diverse connotazioni che le “espressioni odiose” possono assumere, dalla discriminazione razziale all’istigazione alla violenza, dai sentimenti xenofobi alle esternazioni misogine, che trovano, evidentemente, sulla rete uno sfogo libero e potenzialmente illimitato6 .
Risulta particolarmente proliica, al riguardo, l’attività normativa delle istituzioni europee ed internazionali, nonché quella delle Corti di Strasburgo e Lussemburgo, tutte volte ad approdare ad un punto di equilibrio tra l’esigenza di contrasto all’hate speech e la tutela delle altre libertà fondamentali previste nelle carte internazionali, prima fra tutte la libertà di espressione.
Al riguardo, la Convenzione europea sui diritti umani (Cedu) è uno dei primissimi documenti internazionali che contiene un’esplicita affermazione del principio di non discriminazione7. Si tratta di un principio riconosciuto, tuttavia, non in senso assoluto, giacché va applicato in modo bilanciato e combinato rispetto agli altri diritti sanciti nella Convenzione stessa.
La Corte europea dei diritti umani (Corte Edu), affermando il carattere “relativo”, oltre che del principio di non discriminazione, anche della libertà d’espressione prevista dall’art. 10, nonché della libertà di associazione (art. 11 Cedu), ha speciicato a più riprese le tipologie di espressione che devono essere considerate offensive o contrarie alla Convenzione (tra cui, razzismo, omofobia, antisemitismo, nazionalismo aggressivo e discriminazione contro le minoranze e gli immigrati)8, e quindi punibili quali forme di hate speech. Per realizzare questo obiettivo, la Corte è ricorsa a due distinti approcci, basati sull’interpretazione combinata delle stesse norme della Convenzione: da un lato, l’applicazione dell’art. 17, che sancisce il divieto dell’abuso di diritto
5 Sulla natura dei discorsi conigurabili come hate speech cfr. G. Pino, Discorso razzista e libertà di manifestazione del pensiero, in Pol. dir., 2008, 287-305.
6 Sul tema, cfr. R. Kakungulu-Mayambala, Internet Censorship and Freedom of Eexpression: A Critical Appraisal of the Regulation of Hate Speech on the Internet, in Il Nuovo diritto delle Società, 2010, 33-49.
7 Vedi l’art. 14 della Cedu.
8 La Corte ha richiamato, al riguardo, le tipologie individuate nella raccomandazione n. R 97 (20) del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sull’hate speech
Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole
(approccio adottato quando l’esercizio di un diritto riconosciuto dalla Convenzione, e in particolare della libertà di espressione, provochi una condotta riconducibile all’hate speech così negando i valori fondamentali della Cedu)9; dall’altro, l’applicazione delle limitazioni previste nel secondo paragrafo dell’art. 10 e dell’art. 1110 (approccio adottato quando l’offesa in questione, sebbene ricada nella deinizione di hate speech, non leda sostanzialmente i valori fondamentali della Cedu).
Le materie in cui la Corte si è ritrovata ad applicare i suddetti principi sono quelli che legano la pratica dell’hate speech a considerazioni razziali11, religiose12, negazioniste13, di orientamento sessuale14, legate alla dottrina totalitaria15 o al discorso politico16, anti-costituzionale e nazionalistiche17 .
Ad esempio, in una decisione del 24 giugno 2003, la Corte di Strasburgo ha dichiarato che il diniego e la minimizzazione dell’Olocausto devono essere interpretati come una delle più acute forme di diffamazione razziale e come un incentivo all’odio verso gli ebrei, anche, evidentemente, quando ciò si realizzi sotto forma di hate speech. La negazione o la revisione dei fatti storici di questo tipo mettono infatti in discussione i valori su cui si fonda la lotta con- tro il razzismo e l’antisemitismo e rischiano di turbare gravemente l’ordine pubblico.
9 Vedi l’art. 17 della Cedu.
10 Restrizioni ritenute necessarie al ine di assicurare la sicurezza nazionale, la pubblica sicurezza, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale e la protezione dei diritti e delle libertà altrui.
11 Aksu v. Turkey (n. 4149/04 et 41029/04); Féret v. Belgium (n. 15615/07); Leroy v. France (n. 36109/03); Jersild v. Denmark (n. 15890/89).
12 Hizb Ut-Tahrir and Others v. Germany (n. 31098/08); Pavel Ivanov v. Russia (n. 35222/04); Norwood v. the United Kingdom (n. 23131/03); Gündüz v. Turkey (n. 35071/97).
13 Garaudy v. France (n. 65831/01); Lehideux and Isorni v. France (n. 24662/94).
14 Vejdeland and Others v. Sweden (n. 1813/07).
15 Refah Partisi (The Welfare Party) and Others v. Turkey (nn. 41340/98, 41342/98, 41343/98 e 41344/98); Communist Party of Germany v. the Federal Republic of Germany (n. 250/57); Medya FM Reha Radyo ve Iletişim Hizmetleri A.Ş. v. Turkey (n. 32842/02).
16 Otegi Mondragon v. Spain (n. 2034/07); Faruk Temel v. Turkey (n. 16853/05).
17 Beleri and Others v. Albania (n. 39468/09); Dink v. Turkey (nn. 2668/07, 6102/08, 30079/08, 7072/09 e 7124/09); Association of Citizens “Radko” & Paunkovski v. “the former Yugoslav Republic of Macedonia” (n. 74651/01); Sürek v. Turkey (n.1.) (n. 26682/95).
Anche l’Unione europea si è impegnata considerevolmente nel tentativo di arginare il fenomeno dell’hate speech, con evidenti rilessi anche sulla capillare diffusione dei “discorsi d’odio” nell’ambito della rete.
I punti cardinali di riferimento in materia di non discriminazione restano, ovviamente, l’art. 13 del Trattato di Amsterdam18, l’art. 21 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali19, la direttiva 2000/43/ Ce del Consiglio del 29 giugno 2000 («che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica») e la direttiva 2000/78/Ce del Consiglio del 27 novembre 2000 («che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro»).
In particolare, il Consiglio ha fornito un contributo fondamentale tramite la decisione quadro 2008/913/Gai del 28 novembre 2008 sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale. La decisione, che fa seguito all’azione comune 96/443/Gai, prevede l’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri per quanto riguarda i reati ispirati al razzismo e alla xenofobia, afinché i comportamenti razzisti e xenofobi costituiscano un reato in tutti gli Stati membri e siano passibili di sanzioni penali eficaci, proporzionate e dissuasive. La decisione quadro si applica ad ogni reato commesso, da parte di un cittadino dell'UE o a vantaggio di una persona giuridica avente sede sociale in uno Stato membro, sul territorio dello Stato membro quando:
- l’autore sia isicamente presente sul suo territorio, a prescindere dal fatto che il comportamento implichi l’uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul suo territorio;
- il comportamento implichi l’uso di materiale ospitato su un sistema di informazione situato sul suo territorio, a prescindere dal fatto che l’autore ponga in essere il comportamento allorché è isicamente presente sul suo territorio.
A tale riguardo, la decisione quadro propone criteri per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche. Stabilisce come punibili, in quanto reati, determinati atti commessi con intento razzista o xenofobo, quali:
- pubblico incitamento alla violenza o all’odio rivolto contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo deinito sulla base della razza, del colore, la religione, l’ascendenza, la religione o il credo o l’origine nazionale o etnica;
- la diffusione e la distribuzione pubblica di scritti, immagini o altro materiale contenente espressioni di razzismo o xenofobia;
- la pubblica apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio o contro l’umanità, i crimini di guerra, quali sono deiniti nello statuto della Corte penale internazionale (artt. 6, 7 e 8) e i crimini di cui all’art. 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro.
In ogni caso, la motivazione razzista o xenofoba deve essere considerata circostanza aggravante o, in alternativa, tale motivazione dovrà essere presa in considerazione nel decidere quale sanzione inliggere.
Per quanto riguarda le persone giuridiche, la decisione stabilisce che le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive e devono consistere in un’ammenda penale o non penale ed eventuali altre sanzioni quali: l’esclusione dal beneicio di agevolazioni o sovvenzioni pubbliche; l’interdizione temporanea o permanente dall’esercizio di un’attività commerciale; il collocamento sotto sorveglianza giudiziaria; il provvedimento di liquidazione giudiziaria.
4. La diffamazione online
Uno strumento circoscritto, ma attualmente tra i più eficaci per la tutela dei diritti su Internet grazie ad un ormai paciico orientamento giurisprudenziale, consiste nella estensione di proili di responsabilità per l’ipotesi di c.d. diffamazione online.
Il
In particolare, per la tutela dell’onore e della reputazione, che sono evidentemente tra i diritti più esposti al “libero hate speech” degli utenti della rete, il giudice nazionale ha ritenuto necessaria l’introduzione di una fattispecie limitativa della libertà di espressione sul web, superando in qualche modo anche il divieto di analogia in malam partem previsto per la disciplina penale.
Al riguardo, la Corte di cassazione, sez. V, già con la sentenza n. 4741 del 27 dicembre 2000 aveva avuto modo di chiarire che il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione l’esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici20, «non ha ritenuto di dover mutare o integrare la lettera della legge con riferimento a reati (e, tra questi, certamente quelli contro l’onore), la cui condotta consiste nella (o presuppone la) comunicazione dell’agente con terze persone».
Sempre in quell’occasione, il giudice di legittimità aveva, quindi, precisato che l’«utilizzo di un sito Internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è azione idonea a ledere il bene giuridico dell’onore nonché potenzialmente diretta «erga omnes», pertanto integra il reato di diffamazione aggravata».
In particolare, la «diffamazione tramite Internet costituisce un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., in quanto commessa con altro mezzo di pubblicità [rispetto alla stampa]» dato che «essendo Internet un potente mezzo di diffusione di notizie, immagini ed idee [almeno quanto la stampa, la radio e la televisione], anche attraverso tale strumento di comunicazione si estrinseca il diritto di esprimere le proprie opinioni, tutelato dall’art.
21 Cost., che, per essere legittimo, deve essere esercitato rispettando le condizioni e i limiti dei diritti di cronaca e di critica»21 .
In quest’ottica, escludere l’applicazione della fattispecie di reato prevista dell’art. 595, co. 3, c.p., «comporterebbe l’inaccettabile creazione di una sorta di zona franca che renderebbe immune dalla giurisdizione penale il fenomeno del web»22. In realtà, «la diffusività, la pubblicità e la incontrollabilità di un sito Internet, nel quale sono inseriti immagini denigratorie, frasi ingiuriose o, come nella specie, dati personali associati a immagini offensive per la natura erotica e vulneranti il proprio patrimonio ideale costituito dal diritto alla salvaguardia della dignità, onorabilità, riservatezza, è pienamente corrispondente – costituendone la misura estrema e parossistica – agli altri mezzi di pubblicità che, con formula onnicomprensiva e lungimirante, contempla il codice»23 .
20 Va ricordato, al riguardo, il ddl. n. 7292 (Anedda, Selva e altri), presentato il 13 settembre 2000 alla Camera, con il quale si intendeva introdurre nel codice penale l’art. 596-bis che avrebbe espressamente e speciicamente punito la diffamazione a mezzo Internet e avrebbe esteso alle “trasmissioni informatiche o telematiche” l’operatività degli artt. 57 e 57 bis c.p.
21 Cass., sez. V pen., 1/07/08, n. 31392.
22 Cass., sez. V pen., 19/09/11, n. 46504.
La tutela riconosciuta dalla giurisprudenza contro la lesione dell’onore e della reputazione degli individui è ulteriormente rafforzata dalla ricostruzione operata dalla stessa Corte di cassazione in ordine al luogo e al tempo di consumazione del reato.
Al riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che il «reato di diffamazione consistente nell’immissione nella rete Internet di frasi offensive e/o immagini denigratorie, deve ritenersi commesso nel luogo in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete, pur quando il sito «web» sia registrato all’estero»24 .
In particolare, la Cassazione precisa che, se da «un esame dello stretto diritto positivo, ed in particolare della disciplina di cui agli art. 3, 6, 9 e 10 c.p., è evidente che nessuna dificoltà insorge in ipotesi di reato commesso agendo dall’Italia in collegamento con un server parimenti installato in Italia, essendo il fatto interamente commesso nel territorio italiano e, conseguentemente, punibile alla stregua del principio generale di territorialità »; allo stesso modo nel caso in cui «l’agente opera in e dall’Italia su un server installato all’estero sussiste la giurisdizione italiana ex art. 6, comma 2, c.p., alla stregua del quale il reato si considera commesso in Italia»; diversa è la situazione qualora «l’agente opera all’estero, e all’estero è pure collocato il server al quale egli accede, ove si riletta che il messaggio è ricevuto, oltre che nel resto del mondo, anche in Italia».
Anche in quest’ultima ipotesi, la Cassazione afferma la perseguibilità del reato in Italia giacché l’evento del reato consiste nella «percezione del messaggio diffamatorio nel territorio nazionale da parte di una indistinta generalità di soggetti abilitati ad accedere al sistema “Internet”, nulla rilevando che tra costoro vi sia o possa esservi lo stesso soggetto diffamato».
Ne consegue «l’applicabilità della legge italiana, invocando l’art. 6 c.p., poiché la teoria dell’ubiquità consente al giudice italiano di conoscere del fatto-reato tanto nel caso in cui sul territorio nazionale si sia veriicata in tutto, ma anche in parte, l’azione o l’omissione, tanto in quello in cui su di esso si sia veriicato l’evento: dunque, nel caso di iter criminis iniziato all’estero e conclusosi (con l’evento) nel nostro Paese, sussisterebbe la potestà punitiva dello Stato italiano».
Con riferimento alle sanzioni applicabili, la Cassazione ha anche disposto che si possa procedere al sequestro preventivo dei siti Internet laddove venga diffuso materiale diffamatorio25, speciicando che il sequestro costituisce «l’unico mezzo idoneo per scongiurare la reiterazione del reato» e che la «misura cautelare reale, che si concretizza nell’oscuramento del sito Internet che ospita l’attacco denigratorio, è disposta infatti dal giudice per evitare l’aggravarsi delle conseguenze del reato di cui all’art. 595 del codice penale»26 .
5. Conclusioni
La breve sintesi sull’attuale quadro di regolazione della realtà di Internet – con speciico riferimento al complesso rapporto tra libertà di espressione e contrasto alla discriminazione – svela, come detto, la scarsità di strumenti normativi settoriali, soprattutto all’interno del nostro ordinamento. I vuoti di regolazione in ordine alla tutela dei diritti sul web – come anche in materie altrettanto controverse quali il diritto d’autore o i prodotti editoriali online – sono spesso riempiti da ricostruzioni giurisprudenziali, a volte ardite, che cercano di estendere alla rete categorie ed istituti tradizionali.
In quest’ottica, alcuni interventi del legislatore sembrano assolutamente indefettibili, a partire dalla ratiica del Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica che consentirebbe di rendere operative le disposizioni ivi previste per il contrasto agli atti di natura razzista e xenofobica sul web.
La piena eficacia delle norme contenute all’interno del Protocollo consentirebbe, infatti, non solo, di rafforzare il quadro giuridico in materia di reati a sfondo razziale e xenofobo commessi su Internet, ma anche di conferire legittimazione agli interventi delle autorità di polizia e giudiziaria al di fuori del territorio nazionale, evidentemente imprescindibili alla luce della conclamata a-territorialità della rete.
L’adozione di norme appositamente dedicate al web dovrebbe essere tuttavia afiancata, anzitutto, da eficaci sistemi di monitoraggio e collaborazione tra operatori ed autorità competenti, e, quindi, da procedure di risoluzione “a-giudiziale” delle innumerevoli dispute giuridicamente rilevanti che possono sorgere sulla rete.
Possono costituire, inoltre, validi strumenti di prevenzione delle condotte illecite – in un’ottica di massimo rispetto per l’autonomia e la libertà della rete – intese istituzionali aperte ad operatori ed utenti del web, volte alla redazione di linee guida orientative per l’autoregolazione degli Isp e dei social network. In sostanza, la scelta di contrastare la circolazione di messaggi lesivi dei diritti fondamentali della persona mediante meccanismi collaborativi e di auto-condotta, può consentire l’approdo ad un giusto equilibrio tra eficacia dell’azione di tutela e garanzie di libera iniziativa economica degli operatori stessi e di libertà di espressione degli utenti della rete. In quest’ottica, sembra opportuno operare su due piani distinti: in via generale, mediante la redazione di linee guida dirette a tutti gli operatori del settore e, in maniera più mirata, concludendo speciici protocolli di intesa con i soggetti maggiormente signiicativi (in primis, i social network più diffusi).
In deinitiva, un’azione pubblica a presidio delle innumerevoli attività che si svolgono sulla rete non può essere osteggiata aprioristicamente, sulla scorta di una pretesa “autodichia” del web, che facilmente può tracimare in una zona franca di impunità. La tutela dei diritti fondamentali, il cui esercizio è sempre più diffuso online, richiede, in realtà, una nuova e assai delicata operazione di bilanciamento che deve avere in ambito legislativo la propria sede privilegiata, ma nella speciicità della rete l’imprescindibile e nuovo spazio di riferimento.