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Internet e le regole dell’economia

Lino Cinquini

La rivoluzione tecnologica legata alle tecnologie digitali, ovvero le tecnologie che comprendono hardware, software e reti informatiche, ha ormai trasformato radicalmente le nostre vite e le strutture socio-economiche di tutto il globo.

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Scopo di questo intervento è dare un sintetico quadro dei caratteri portanti delle tecnologie digitali, che hanno avuto e tuttora hanno un effetto di profonda trasformazione delle regole di funzionamento dell’economia. Tale trasformazione è conseguente alle nuove modalità indotte sia nei modi di offerta di beni e servizi che riguardano non solo i processi ma anche l’output e i modelli di funzionamento d’impresa – i c.d. modelli di business – sia nella domanda rispetto alle modalità di utilizzare i beni ed usufruire dei servizi da parte dei consumatori. Gli effetti di tali cambiamenti non si sono ancora pienamente dispiegati e si proilano all’orizzonte scenari tecnologici ulteriormente innovativi.

Capire le radici di tale trasformazione e l’impatto sulle strutture economiche può offrire gli elementi concettuali e gli spunti metodologici anche per affrontare il tema delle possibilità e dei limiti di interventi regolatori in un contesto economico per questa via già profondamente mutato, ma ancora in continuo cambiamento.

1. Il progresso nell’era di Internet

È stato osservato come la natura del progresso delle tecnologie digitali presenti tre caratteristiche che sono fondamentali per comprenderne le conseguenze: è esponenziale, digitale e combinatorio1 .

La regola del progresso esponenziale, enunciata da Gordon Moore, imprenditore informatico americano, si è dimostrata valida dal 1965 con diverse evoluzioni e indica che: «A parità di costo le prestazioni dei processori, e il numero di transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi». In altri termini, nelle tecnologie digitali a parità di prestazioni i costi si dimezzano in un certo (rapido) periodo di tempo. Quindi la velocità dell’evoluzione tecnologica digitale subisce una continua accelerazione (in termini di capacità dei computer e nuove applicazioni digitali). Oggi la crescita esponenziale uniforme prevista dalla legge di Moore è andata accumulandosi al punto che i dispositivi digitali al loro interno sono abbastanza veloci e economici da consentire una molteplicità di applicazioni innovative ad un tasso di crescita esponenziale.

La seconda caratteristica si collega alla forza della digitalizzazione, ossia del processo di codiicazione dell’informazione (testi, suoni, foto, video ed ogni altro tipo di dato) come un lusso di bit, che costituisce il linguaggio nativo dei computer2. Esistono caratteristiche speciiche dell’informazione digitale che la rendono sostanzialmente diversa da altri beni.

Una prima caratteristica è la non rivalità: essa consiste nella circostanza che a differenza di quelli isici i beni immateriali basati sulla conoscenza possono essere fruiti da più soggetti nello stesso momento o in momenti diversi3. Diversamente dai beni isici i beni

1 E. Brynjolfsson, A. McAfee, La nuova rivoluzione delle macchine, Milano, Feltrinelli, 2015. Si veda anche: S. Quintarelli, Costruire il domani. Istruzioni per un futuro immateriale, in Il Sole 24 Ore, Milano, 2016.

2 C. Shapiro, A. Varian, Informations Rules. A Strategic Guide to the Network Economy, Boston, Harvard Business School Press, 1999. Un bit è l’unità di misura dell’informazione (dall’inglese binary digit), deinita come la quantità minima di informazione che serve a discernere tra due possibili eventi equiprobabili. Un bit è una cifra binaria, ovvero uno dei due simboli del sistema numerico binario, classicamente chiamati zero (0) e uno (1).

3 Una copia di un libro essere passata da soggetto a un altro dopo che è stato letto. Se due soggetti vogliono leggere quel libro nello stesso istante o abbiamo digitali possono essere replicati perfettamente ed inviati in modo istantaneo e quasi gratuito; con la digitalizzazione crescente vi sono sempre più prodotti gestibili in tale logica.

La seconda caratteristica dell’informazione digitale è che essa ha costo marginale di riproduzione quasi nullo. Più precisamente, attività quali riprodurre, archiviare, trasferire e manipolare beni immateriali digitali hanno un costo tendenzialmente nullo: «l’informazione è costosa da produrre ma poco costosa da riprodurre»4 .

Una terza caratteristica dell’informazione digitale è collegata alla possibilità che essa consente di accedere immediatamente ad enormi quantità di dati. Questo ha enormemente accresciuto la capacità di comprensione e la capacità predittiva della scienza.

L’ultima caratteristica nel progresso tecnologico legato alle tecnologie digitali è costituita dalla sua natura combinatoria, ossia nella possibilità che le tecnologie digitali consentono da un lato di sviluppare nuove idee in applicazioni prima inesistenti, dall’altro di combinarsi con prodotti o servizi già in essere innervandoli con modalità assolutamente nuove di produzione e di fruizione. La digitalizzazione rende possibile la combinazione di funzionalità che provengono da diversi ambiti tecnologici in un modo del tutto nuovo nell’evoluzione della tecnologia5. Questa potenzialità si origina dalla natura propria delle tecnologie digitali di essere delle tipiche general purpose technologies. Così come la macchina a vapore e l’energia elettrica, le tecnologie in discorso sono in grado di diffondersi in tanti settori, ovvero sono pervasive, e lo fanno tempi rapidi. Inoltre esse migliorano continuamente nel tempo e in questo processo generano ulteriori innovazioni in modo cumulativo. Come il linguaggio, la stampa o l’istruzione, la rete digitale facilita l’innovazione ricombinante, ossia la possibilità di mescolare e rimescolare idee vecchie e nuove secondo modalità prima impensabili. Lo stesso web è una combinazione tra la vecchia rete di trasmissione dati TCP/IP di Internet ed il linguaggio una seconda copia oppure il testo andrà fotocopiato, con conseguenti costi di duplicazione (diritti e fotocopie) e di trasferimento. Con il testo in forma digitale, la duplicazione è immediatamente possibile, semplice ed economica, così come il trasferimento.

4 C. Shapiro, A. Varian, Informations Rules. A Strategic Guide to the Network Economy, cit., 3.

5 B. Arthur, La natura della tecnologia, Torino, Codice Edizioni, 2011.

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole chiamato HTML: è la combinazione tra questi due elementi che ha generato l’innovazione del web. Anche Facebook, di fatto, ha sfruttato il web per consentire alle persone di inserire dati digitali sul proprio social network senza dover imparare complicati linguaggi informatici.

2. I caratteri dell’economia digitale

La digitalizzazione rinforza le proprietà del fattore produttivo immateriale costituito dalla risorsa conoscenza, che per questa ragione si presenta profondamente diversa dai fattori produttivi tradizionalmente considerati nei processi economici:

– non è scarsa perché i suoi usi non sono concorrenti tra loro;

– non è divisibile perché il suo costo è solo minimamente riferibile ad un utilizzo singolo. La produzione e diffusione della conoscenza richiedono sostenimento di elevati costi issi, costi sommersi o sunk costs;

– non è escludibile perché non si può impedire che altri possano beneiciare della conoscenza mediante copia, imitazione o apprendimento compiuto in base ad esperienze altrui6 .

Facendo leva sui caratteri precedenza indicati, la digitalizzazione dell’informazione assieme alla connessione globale in rete hanno trasformato le modalità di combinazione delle risorse produttive aziendali.

In particolare, si sono drasticamente ridotti i costi di coordinamento tra le diverse attività e processi aziendali che in precedenza costringevano a gestire all’interno dei conini dell’organizzazione le diverse funzioni. L’esplosione del fenomeno dell’outsourcing in anni recenti si collega a questa circostanza: un numero crescente di funzioni aziendali possono essere convenientemente esternalizzate, ad esempio call center, design, gestione paghe, fatturazione e contabilità, così come la produzione stessa.

La riduzione dei costi di coordinamento riguarda anche relazione tra domanda e offerta, in quanto si rende possibile la conoscenza e l’adesione in tempo reale ai cambiamenti qualitativi e quantitativi richiesti dai consumatori inali. I consumatori hanno oggi la possibilità di intervenire direttamente nel processo produttivo deinendo le caratteristiche del prodotto o del servizio richiesto. La connessione digitale permette l’aggiustamento rapido delle risorse necessarie per la soddisfazione della domanda, siano esse fattori produttivi interni aziendali o attività da coordinare tra diverse organizzazioni. Ad esempio, la rivoluzione nel settore trasporto aereo con il sorgere delle compagnie low cost si è basata fondamentalmente su questi principi dell’economia digitale.

Di più, si assiste ad un allargamento della disponibilità di risorse impiegabili nei processi produttivi, ino ad includere anche quelle degli stessi utenti consumatori. Anche questa è una conseguenza della riduzione dei costi di coordinamento grazie alla digitalizzazione ed alla rete: chiunque di noi disponga di una risorsa che può essere utilizzata la può mettere a disposizione se esiste una domanda rivolta ad essa. È il modello di funzionamento di alcuni servizi nei trasporti (Blablacar, Uber), nell’ospitalità (Airbnb) e nell’alimentazione (Gnammo).

Sono questi gli elementi fondanti la cosiddetta sharing economy o economia della condivisione, che si basa appunto sulle possibilità nell’economia digitale (a) di ridurre drasticamente i costi di coordinamento informativo tra gli attori del sistema economico, (b) di far interagire in tempo reale produttori e consumatori e (c) di creare le condizioni per estendere l’apporto di risorse produttive anche da parte dei consumatori stessi. Questi aspetti hanno trasformato profondamente la struttura, l’organizzazione e la strategia delle imprese, e tale trasformazione è visibilmente ancora in corso.

3.

Il concetto di business model è stato appunto concepito per riuscire ad esprimere e far capire l’innovazione nei modelli di impresa conseguente all’avvento dell’economia digitale. La sua nascita e diffusione devono essere infatti attribuiti al fenomeno delle c.d. dot.com, le imprese strettamente connesse allo sviluppo di Internet a partire dagli anni Novanta. La stretta connessione tra il modello di business e questo fenomeno è dimostrato dal fatto che molti studi si sono inizialmente concentrati sui modelli basati su Internet, vale a dire i cosiddetti nuovi e-business model da far capire agli investitori. Successivamente è stato riconosciuto che il concetto di business model può essere adattato a qualsiasi tipo di impresa indipendentemente dal settore in cui opera: in questa prospettiva esso è oggi considerato un modello per comunicare, in modo più o meno dettagliato, il funzionamento di un’azienda sempliicandone le complessità.

Un modello di business è quindi una «rappresentazione sintetica di come un insieme interrelato di variabili decisionali in materia di strategia di impresa, architettura ed economia sono volte a creare un vantaggio competitivo sostenibile in speciici mercati»7 .

La trasformazione dei modelli di business conseguente all’avvento dell’economia digitale ha riguardato tutte le possibili dimensioni che possono essere oggetto d’innovazione, ossia: a. la “catena creatrice del valore” del settore industriale, mediante:

– l’entrata in nuovi settori industriali

– la rideinizione della “catena del valore” che collega le imprese operanti in una iliera produttiva esistente

– la creazione nuove “catene del valore” b. il modo in cui i ricavi vengono generati, mediante:

– nuove value propositions ai clienti in termini di offerta di prodotti/servizi – nuovi modelli di formazione dei prezzi (pricing), ossia di formazione dei ricavi di vendita c. il ruolo dell’impresa nella “catena del valore”, mediante:

– una maggiore specializzazione o una maggiore integrazione verticale

– la trasformazione del network fornitori-clienti-partners-concorrenti.

Nella igura seguente si riportano alcuni esempi di trasformazione nei modelli di business intervenuti in questi anni in imprese globali (Fig. 1)

7 M. Morris, M. Schindehutte, J. Allen, The Entrepreneur’s Business Model: Toward a Uniied Perspective, in Journal of Business Research, 2005, 58, 726-735.

Se consideriamo le caratteristiche dei modelli di business più recenti due aspetti meritano particolare attenzione. Da un lato, le modalità di ottenimento dei ricavi risultano basate su meccanismi di determinazione di prezzi che sono sempre più dissociati dalla considerazione dei costi degli investimenti effettuati. In tali contesti il pricing (ossia il modello di determinazione dei prezzi dei prodotti/servizi) non segue approcci tradizionali ma si lega piuttosto alla strategia dell’impresa. In particolare, le dinamiche di generazione dei ricavi si presentano sempre più spesso dissociate dalla misurazione del costo del prodotto o del servizio e connesse ad altre dimensioni che fanno leva sulla disponibilità a pagare da parte del cliente9. Nei servizi Internet-based (ad es. social network quali LinkedIn o piattaforme marketplace tipo eBay) i prodotti digitali includono certamente delle funzionalità rispetto ad una speciica esigenza da soddisfare, ma anche la soddisfazione ed il divertimento personale legati ad una esperienza che il consumatore sperimenta nell’utilizzo del servizio. Spesso tali piattaforme rendono possibile la creazione autonoma del “prodotto” da parte del cliente in una logica di co-creazione (es. Facebook). Il volume di utenti diventa in questi casi il più importante driver dei ricavi e della proittabilità, in quanto attrattore di investimenti pubblicitari mirati ad intercettare l’attenzione del cliente. Sono questi ultimi le principali fonti di ricavo che consentono la copertura della mole di investimenti (costi issi) in infrastrutture tecnologiche legate allo sviluppo delle applicazioni software. Si perde così il legame più o meno diretto tra costi e prezzi che ha caratterizzato il mondo di produzione dei beni isici, dove il nesso causale costi-prezzi derivava dalla focalizzazione sui processi diretti che creano i prodotti o i servizi.

8 Fonte: R. Gleed, Business Model Innovation. Paths to Success: Three Ways to Innovate Your Business Model, IBM, March 2009.

9 A. Bhimani e M. Bromwich, Management Accounting: Retrospect and Prospect, Oxford, CIMA, 2010.

In altro aspetto, è in corso una trasformazione profonda anche del valore dei beni isici a seguito delle tecnologie digitali e dell’evoluzione della domanda che ribalta la prospettiva tradizionale di valutazione da parte del cliente verso una vera e propria “nuova logica”: il consumatore cerca sempre più delle “soluzioni” per la soddisfazione dei suoi bisogni, quindi “servizi”, risorse da tradurre in prestazioni e non oggetti isici. Pertanto è interessato alle dimensioni immateriali (servizi) piuttosto che alle caratteristiche tangibili del bene isico che le procura. È questa una nuova logica dominante del servizio (new service dominant logic) che costituisce l’esito inale di un processo di servitizzazione in corso nei settori industriali, termine con cui si indica il processo di integrazione di servizi nei pacchetti di offerta dei beni isici. Questo processo oggi è divenuto talmente profondo e pervasivo che tali elementi non sono più come in passato degli “accessori” di un valore aggiunto di origine essenzialmente manifatturiera e di prodotto, ma divengono gli elementi fondanti di tale valore10 .

In generale, l’idea di vendere il prodotto attraverso il servizio è oggi una strategia pervasiva e diffusa: signiica, ad esempio, proporre e vendere auto come “lotte gestite” (leet management), offrire Hardware/Computer “a consumo” (pay per use), proporre Software/ applicativi a consumo (on demand), vendere il prodotto “polizza di assicurazione” a consumo (pay as you drive), proporre un aereo civile (ma anche militare) attraverso un “costo per ora di volo” (pay as you ly), offrire una macchina movimento terra (o macchina utensile) a “ore di utilizzo” (pay as you work).

Queste ultime considerazioni inducono ad un’importante rilessione: sempre di più assume rilievo sotto l’aspetto economico della creazione di valore l’utilizzo del bene isico piuttosto che la sua proprietà e possesso diretti. La determinazione dei valori economici (e dei contratti) si è tradizionalmente focalizzato sulla valorizzazione (e regolazione) del momento transattivo, di trasferimento della proprietà. Oggi, ciò che l’economia digitale rende possibile è un accesso on demand al consumo dei servizi richiesti dal consumatore, prodotti e servizi spesso forniti da piattaforme tecnologiche o isiche. Il valore di “afitto” o la “tariffa” legata al tempo o ad altri parametri d’uso sta assumendo ed assumerà molta più importanza del prezzo di vendita tradizionalmente applicato a beni e servizi.

Il concetto di “piattaforma” è anch’esso paradigmatico nell’evoluzione dell’economia digitale.

In logica di servitizzazione in precedenza descritta, una “piattaforma” può essere innanzitutto un prodotto isico, che attraverso dispositivi tecnologici si connette alla rete e si trasforma in piattaforma su cui innestare servizi a valore aggiunto. La trasformazione di beni isici in piattaforme di servizi si collega allo sviluppo di quello che è stato deinito l’Internet of Things (IoT – Internet delle Cose). L’uso integrato di sensori e rete consente infatti lo sviluppo di strumenti e applicazioni che permettono non solo alle persone di parlare con le macchine, ma anche agli oggetti di dialogare direttamente tra loro. Ciò signiica portare “intelligenza agli oggetti”, facendo sì che questi comunichino con noi o con altre macchine e possano offrirci un nuovo livello di interazione o di informazione rispetto all’ambiente in cui si trovano. Dai frigoriferi agli impianti di irrigazione, dai meccanismi di sorveglianza a quelli biomedicali, dal monitoraggio industriale a quello energetico non c’è un campo che sia escluso dalla diffusione dell’IoT. Nel prossimo futuro miliardi di sensori, collegati a ogni apparecchio, strumento, macchina o dispositivo, raccorderanno ogni cosa e ogni persona in un’unica rete neurale che si estenderà senza soluzione di continuità lungo tutta la catena economica del valore11 .

11 M. Cosenza, Internet of Things, a che punto siamo?, in Wired.it, 17 ottobre 2014. Sono già 14 miliardi i sensori collegati a lussi di risorse, magazzini, sistemi stra-

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole rivoluzione industriale, altrettanto c’è voluto per mettere a punto le macchine digitali ed i dispositivi in grado di dispiegare tutto il loro potenziale trasformativo nei sistemi di produzione.

Il concetto di “piattaforma” indica anche un nuovo modello di azienda costituito da un’architettura hardware e software che consente di aggregare ed organizzare risorse, transazioni, relazioni tra soggetti ed attori diversi (consumatori, professionisti, imprese, istituzioni) per co-creare valore. Il paradigma dell’azienda piattaforma si presenta alternativo rispetto al tradizionale concetto di impresa. Quest’ultimo nasce per indicare un’organizzazione inalizzata a ridurre i costi transazionali di produzione, internalizzando e organizzando risorse e relazioni. Le nuove tecnologie, abbiamo visto, consentono di diminuire i costi delle transazioni e rendono meno eficiente la loro internalizzazione; risorse e relazioni pertanto ritornano ad essere negoziate tra interno ed esterno di quello che chiamiamo impresa mediante le “piattaforme”12 .

La suindicata natura esponenziale, digitale e combinatoria del progresso tecnologico nell’era di internet sta facendo emergere una nuova struttura dei sistemi industriali e produttivi che conigura una vera e propria nuova rivoluzione industriale.

La rivista Time deinì il computer macchina dell’anno nel lontano 1982: così come sono state necessarie più generazioni per migliorare la macchina a vapore ino a riuscire a fornire energia alla dali, linee di produzione industriali, reti elettriche, ufici, case, negozi e veicoli, per monitorarne ininterrottamente le condizioni e il rendimento e trasmettere la massa di dati così ricavata, i Big Data, alle Internet delle comunicazioni, dell’energia e della logistica e dei trasporti. Si ritiene che nel 2030 l’ambiente umano e quello naturale saranno collegati, in una rete intelligente a diffusione globale, da oltre centomila miliardi di sensori.

12 M.W. Van Alstyne, G.G. Parker, S.P. Choudary, Pipelines, Platforms, and the New Rules of Strategy, in Harvard Business Review, 2016. Ad inizio 2016 sono state mappate 176 piattaforme a livello globale con un valore che supererebbe i 4.300 miliardi di dollari, che spaziano dai marketplace di e-commerce (Ebay), ai professional network (LinkedIn), al business dello sharing e della on-demand economy (Uber), ad ecosistemi di servizi (Apple, Amazon, Google, Samsung): cfr. A.A.V.V., The Platirm Age, supplemento ad Harvard Business Review Italia, 2016, 7/8.

Finora le rivoluzioni industriali del mondo occidentale sono state tre: a partire dal 1784 con la nascita della macchina a vapore e lo sfruttamento della potenza di acqua e vapore per meccanizzare la produzione; a partire dal 1870 con il via alla produzione di massa attraverso l’uso sempre più diffuso dell’elettricità, l'avvento del motore a scoppio e l'aumento dell’utilizzo del petrolio come nuova fonte energetica; a partire circa dal 1970 con la nascita dell’informatica, dalla quale è scaturita l’era digitale destinata ad incrementare i livelli di automazione avvalendosi di sistemi elettronici e dell’IT (Information Technology) (Fig. 2). L’inizio della quarta rivoluzione industriale (Industry 4.0) non è ancora stabilito, probabilmente perché è tuttora in corso e solo a posteriori sarà possibile indicarlo.

Ancorché non ne esista ancora una deinizione esauriente, possiamo affermare che la quarta rivoluzione industriale trova i suoi elementi determinanti in un insieme di nuove tecnologie, nuovi fattori produttivi e nuove organizzazioni del lavoro che modiica-

13

Fonte: Ministero Sviluppo Economico, Piano nazionale Industria 4.0 (20172020), in http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/incentivi/impresa/ industria-4-0

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole no profondamente il modo di produrre, mediante l’integrazione tra macchine, oggetti e persone in un sistema cyber-isico. Quest’ultimo individua un mondo composto da una complessa rete di macchine, beni isici, oggetti virtuali, strutture di calcolo e di memorizzazione, strumenti di comunicazione (video, sonora ed olfattiva), raccoglitori di energia, che interagiscono tra loro e con gli operatori economici. In Industry 4.0 questo sistema può essere impiegato sia per migliorare i processi industriali e distributivi per ottenere più eficienza, e quindi ridurre i costi e i prezzi di vendita per incrementare la domanda inale, sia per creare nuovi prodotti e nuovi servizi oggi impossibili da realizzare per le limitazioni inora incontrate nell’uso delle tecnologie.

Il dispiegarsi di Industry 4.0 è possibile grazie all’uso integrato di speciiche tecnologie abilitanti resesi disponibili con il progresso tecnologico digitale, in particolare le nove tecnologie indicate nella igura seguente (Fig. 3):

14 Fonte: Ministero Sviluppo Economico, Piano nazionale Industria 4.0 (20172020), cit.

La multinazionale di consulenza McKinsey15 ha raggruppato tali tecnologie secondo quattro direttrici di sviluppo:

– la prima riguarda l’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività, e si declina in big data, open data, Internet of Things, machine-to-machine e cloud computing per la centralizzazione delle informazioni e la loro conservazione;

– la seconda è quella degli analytics: una volta raccolti i dati, bisogna ricavarne valore. Oggi solo l’1% dei dati raccolti viene utilizzato dalle imprese, che potrebbero invece ottenere vantaggi a partire dal machine learning, dalle macchine cioè che perfezionano la loro resa “imparando” dai dati via via raccolti e analizzati;

– la terza direttrice di sviluppo è l’interazione tra uomo e macchina, ovvero delle modalità con cui comunichiamo con le macchine, con quali strumenti, interfacce, linguaggi (interfacce touch, sempre più diffuse), e la “realtà aumentata”: per fare un esempio la possibilità di migliorare le proprie prestazioni sul lavoro utilizzando strumenti come i Google Glass;

– inine c’è il settore che si occupa del passaggio dal digitale al “reale”: una volta avuti i dati, analizzati, processati e resi strumento per “istruire” le macchine, l’ultimo passaggio è trovare i modi, gli strumenti per produrre i beni. Essi comprendono la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni.

15 McKinsey Digital, Industry 4.0. How to navigate digitization of the manufacturing sector, 2015, in https://www.mckinsey.de/iles/mck_industry_40_report.pdf

Si veda anche: A. Magone, T. Mazali (a cura di), Industria 4.0. Uomini e macchine nella fabbrica digitale, Milano, Guerini e Associati, 2016.

L’economia digitale ha già rivoluzionato e rivoluzionerà ulteriormente l’economia globale in ogni suo aspetto e recherà con sé opportunità economiche e modelli d’impresa assolutamente inediti. L’unica certezza che abbiamo è che, come le precedenti, questa rivoluzione è destinata a cambiare per sempre la società e l’economia mondiali con novità che avranno ripercussioni positive, ma anche negative, sulla vita dei cittadini del mondo.

Le aspettative rispetto agli scenari possibili sono differenti, con luci ed ombre che vengono diversamente evidenziate in funzione delle propensioni dei ricercatori e commentatori di fronte a queste radicali trasformazioni.

Il noto futurologo Jeremy Rifkin, ad esempio, non nasconde una iducia sostanziale rispetto all’evoluzione in atto16. In particolare evidenzia l’importanza, quale effetto della sharing economy, della trasformazione da semplice “consumatore” a “prosumer” (produttore e consumatore), ossia di attore che non solo consuma, ma produce e scambia direttamente beni e servizi beneiciando della riduzione del costo marginale di riproduzione reso possibile dalle tecnologie digitali. Rifkin annuncia la nascita di un nuovo modello di economia fondato sulla condivisione, che ibriderà il modello capitalistico basato sulla proprietà. In particolare, identiica l’Economia Collaborativa come un vero e proprio spazio economico “comune”, dove grazie all’infrastruttura comunicativa di Internet ed ai Big Data generati dall’Internet delle Cose i costi transazionali si stanno avvicinando allo zero: in questo modo si renderebbe possibile il passaggio ad una economia che valorizza la condivisione al posto dello scambio. Inoltre, il passaggio dal possesso dei beni all’accesso alla rete per la soddisfazione dei bisogni signiica la tendenza per un maggior numero di persone a condividere un minor numero di beni, con la conseguenza di una riduzione del numero di nuovi prodotti venduti e contrazione dell’uso di risorse e delle emissioni di gas serra nell’atmosfera. In altri termini, la spinta verso una società a costo marginale zero e verso la sharing economy ci condurrebbe ad una economia più sostenibile ed ecologicamente eficiente.

Tuttavia vi sono anche molte posizioni che additano aspetti di criticità, anche molto acuta, dello sviluppo conseguente alla diffusione delle tecnologie digitali, sia dal punto di vista economico che più in generale socio-politico.

Un punto particolarmente critico riguarda la posizione delle emergenti “aziende-piattaforma”, che starebbero creando in realtà nuove posizioni di monopolio e concentrazione di potere. Secondo Morozov17 , la retorica del “capitalismo delle piattaforme” – con il suo implicito presupposto per il quale queste aziende sono soltanto intermediarie neutrali – è fuorviante. Le aziende che noi riteniamo semplici intermediari si stanno attrezzando per diventare fornitrici di servizi, e offrire quei servizi signiicherà per l’intelligenza artiiciale assumere un ruolo fondamentale. L’obiettivo di molte di queste aziende è proprio offrirci servizi gratuiti o fortemente agevolati al ine di ricavare quante più informazioni personali possibili sui clienti. La giustiicazione convenzionale è che l’obiettivo inale è vendere pubblicità, e quante più informazioni riescono a ottenere tanto più mirate potranno essere le loro inserzioni. Morozov invece indica un altro obiettivo che si sta rivelando molto più rilevante: tutte le volte che lasciamo una scia di informazioni che ci riguardano nelle piattaforme ciò insegna ai loro algoritmi a diventare più intelligenti e soltanto con la raccolta e l’analisi di questi dati tali aziende possono costruire le loro tecniche avanzate di intelligenza artiiciale. Nessuno vi può accedere, fuorché queste aziende, di conseguenza esse possono dettare a tutti, inclusi i governi, termini e condizioni d’uso. Inoltre questi sviluppi hanno già adesso implicazioni occupazionali rilevanti per la rarefazione del coinvolgimento dell’essere umano nelle attività economiche18 .

17 E. Morozov, Come difendersi dai feudatari digitali, 12 settembre 2016, https:// interestingpress.blogspot.it/2016/09/come-difendersi-dai-feudatari-digitali.html.

Più ampiamente: E. Morozov, I signori del silicio, Torino, Codice Edizioni, 2016.

18 A Pittsburgh, Uber sta già immettendo sul mercato auto che si guidano da sole. Il Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos che possiede Amazon, ha usato l’intelligenza artiiciale per generare articoli sui Giochi di Rio, abolendo la necessità di avere giornalisti. Google e Facebook hanno assistenti virtuali che fanno afidamento sull’intelligenza artiiciale e riescono a scoprire il nostro tempo libero sulle agende, farci fare acquisti e così via. Tutto questo senza alcun coinvolgimento di esseri umani.

Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole

Oltre a questo vi sono, come discusso in altri contributi di questo volume, molti aspetti di criticità che attengono alla sfera della tutela dei diritti messi in gioco dalla pervasività delle tecnologie digitali: la gestione dei dati dei clienti (privacy) e la loro tutela da possibili discriminazioni all’accesso delle piattaforme, i diritti dei lavoratori in un contesto di aumento del lavoro precario legato ai servizi forniti dalle aziende-piattaforma (agency work, outsourcing, crowdsourcing, solo-self-employed), il possibile futuro lavorativo per i low-skilled workers ed i non-digital-natives, il tutto in un contesto di generale tendenza al ribasso degli standard di sicurezza sociale.

Vi è anche un ulteriore aspetto strutturale che merita in chiusura un accenno. La velocità e la profondità dei cambiamenti in corso stanno determinando una crescente divaricazione tra «chi vive un presente molto simile al passato e chi vive in futuro quasi da fantascienza»19. L’aumento della distanza tra tali “avanguardie” e “retroguardie” tende ad accrescersi, soprattutto a seguito della natura esponenziale della velocità dell’innovazione delle tecnologie digitali di cui abbiamo detto all’inizio di questo intervento. È questo probabilmente il problema più importante e di maggiore discontinuità rispetto al passato, che è alla base di effetti pericolosi ed indesiderati sia sotto il proilo sociale che economico e che richiede una capacità di governo che ad oggi risulta, purtroppo, ancora dificile da intravedere.

Bibliograia

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