MEMORIE DI UN CAPO DI STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO 1943-1945

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PAOLO BERARDJ GENEHALt:

UI CORI'O

D'ARMATA

~IE~IORIE DI UN CAPO DI S1'A'L'O MAGGIORH DELL'ESERCITO (1 !)4;}lfl45)

Coll " Premessa ,, di F. Ronco

O. D. C. U. ~T LIIIO

~~ DITORIAI.E HOI.OGN A


PROPRIETÀ LETTJI.RARIA Rll,"ERVATA


ALLA MEMORIA DEL GENERALE DI CORPO D'ARMATA

TADDEO ORLANDO MIO FRATELLO D'ARMI


AVVERTENZA Queste « Memorie» vengono pubblicate circa .sei mesi dopo che il loro autore è mancato ai vivi. Egli ne curò la redazione, con forte impegno e grande passione, ancora negli ultimi tempi della Sua vita, pur tra le sofferenze e l'andamento avverso di una infermità irreducibile. La famiglia - in ottemperanza alla Sua precisa volontà - desidera che l'opera sia presentata all'attenzione di coloro che, conoscendo l'int.egrità morale e militare dell'autore, saranno in grado di comprendere le ragioni che l'hanno ispirata, e di valutarne lo spirito di verità e l'alto fine patriottico.


PARTE PRIMA P RE .\1 ESSA



I. - LE DOTI DI UN CAPO e Sarò molto lieto ed onorato di una sua personale "premessa" all'opera. Una sola raccomandazione le faccio, a questo proposito: se vorrà parlare anche di me, non si lasci trascinare dall'affetto che mi porta ad esaltare le mie qualità oltre i loro meriti. Io non sono stato un grande generale, che si sia distinto per grandi imprese; sono stato un onesto esecutore di ordini, che ha pagato di presenza ed ha cercato di mantenere intatte le antiche virtù militari: non voglia dire di più>.

Queste parole ci scriveva, proprio nella storica ricorrenza del 4 novembre 1953, il Generale di Corpo d'Armata Paolo Berardi, dal suo letto di dolore, quando già l'ombra della morte -9-


.,i 11ddt>11suva sul suo capo per ghermire, con 1111 cuore ancora ricco di impulsi generosi, con una mente ancora vigile e lucidissima, con un volto irradiato da una cosciente e sublime rassegnazione al trapasso, un'esistenza interamente votata al bene dell'Esercito e della Patria. 1-: noi, in omaggio alla sua volontà, non andremo, scrivendo di lui, oltre i limiti che egli ci ha posti, ben persuasi che la sintesi di vita, così nobilmente e semplicemente espressa dalle sue parole possa valere, meglio di ogni apo- . logia di doti guerriere, per rendere la figura di un capo degna di ammirazione e di meditazione, specie nell'opaco ed incerto clima dei tempi in cu,i vivia1no.

T antu pìù in quanto le passate vicende, e quell,~ stesse di cui fummo testim011i ed artefici, ci fanno avvertiti che, non sempre sono stati veramente « grandi » i generali che, favoriti dalle circostanze e dai volubili capricci della fortuna, hanno compiuto quelle che la storia suole annoverare tra le « grandi imprese », mentre si sono rivelati ben degni di memoria altri che, nel cor-

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so di un'esistenza costantemente dedicata alla affermazione delle più alte idealità, hanno sa puto additare sicure mète, scavare nuovi solchi, gettare semi fecondi, anche se la loro opera non ha avuto gli. onori della pubblicità, e i semi, per cause estranee alla loro volontà, non hanno dato sempre i frutti che ben avrebbero meritato. Pi,1,ò ben dirsi, senza tema di errare, che il Generale Berardi fu tra questi; e lo fu per la sua vita austera ed intemerata, per gli onesti in-· tenti cui rivolse gli sforzi della sua intelligenza e della sua volontà, per gli alti ideali ai quali infarmò la concezione del dovere, per il suo ada1nantino carattere alieno da ogni sottinteso e da ogni compromesso; lo fu, soprattutto, per l'esempio costante che egli, in ogni campo di attività, in pace come in guerra, seppe offrire a coloro che sentono, e sentiranno, il subl.ime richiamo di un apostolato che ha una incomparahile missione educativa e che, ponendo il dovere e l'onore al di sopra di ogni contingenza, è scrupoloso cultore, vigile custode, strenuo di-

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fensore delle vi.rtù nelle quali, soltanto, sta la vera grandezza. Coerente con tale direttiva di pensiero e di azione, il Generale Berardi, pose, innanzi tutto, alla base della sua missione, le più intime e le più pure forze dello spirito, contrapponendo all'agnosticismo, allo scetticismo, alla negazione, di moda nel tempo nostro, il costante ossequio ed attaccamento alla religione degli avi che, senza ostentazione alcuna, in silenzio eJ in umiltà, professò, e per sincera e profonda convinzione, e perchè persuaso costituisca sempre, specialmente nelle ore difficili, il più nobile viatico del buon soldato, la più sicura compagna sull'ardua via del dovere e tlel sacri(tcio, sprone a salire sempre più in alto, là dove lo spirito tende alla ricerca di una superiore perfezione . A questo fine egli molto valorizzò, ed anche personificò, l'importanza e la bellezza delle « doti morali », così essenziali per l'efficace eserciz-io della funzione di comando, doti concepite come sintesi armonica di austerità, di purezza, di one:;t.à di vita e di intenti, e cioè come unità, sotto ogni -

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.aspetto, inscindibile, che non può essere infranta senza provocare reazioni nefaste nei gregari, i quali, nella legittima ansia di ricercare e di ravvisare, nelle figu,re dei loro capi - e cioè nei depositari ed artefici del loro destino - la somma di tutte le virtù, sono tanto propensi ad esaltarne e seguirne gli esempi salutari, quanto so1leG1ti nel rilevarne e moltiplicarne - per la stessa volubilità e fragilità della natura umana - le irnperfezioni e gli errori. Altro fine che egli costantemente perseguì, nella sua opera educativa, è lo sviluppo della personalità, intesa come « fantasia creatrice » e com e « capacità di azione autonoma », sia nei. comandanti che nei gregari; sviluppo che, pur sempre inquadrato nell'unità di dottrina, neila disciplina delle intelligenze, e nell'armonia de!le volontà, costituisce un inevitabile portato delia guerra moderna; questa, infatti, nel suo continuo divenire e nel rapido succedersi di situazicrii e di problemi sempre nuovi, ripudia gli schemi .aprioristici ed esige, più che mai, uomini ricchi. -

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di idee personali, padroni di sè e delle proprieconvinzioni, artisti capaci di inventare un sistema ed in1,porre una novità, caratteri che abbiano ta forza di prendere, con indomito coraggio, le iniziative anche più ardue. Ed è anche in ornaggio a tali principi che, fedele ed apprezzato collaboratore di capi ne1le più varie contingenze di carriera, e capo,. egli stesso, investito di alte responsabilità, non peccò mai di supina e indiscriminata acquiescenza alle convinzioni altrui, ma seppe, allorchè lo ritenne giusto e doveroso, sostenere fermamente le proprie, anche quando ciò potevo ferire le susceuihilità dei presuntuosi, o ri.mhare in contrasto col freddo calcolo di meschini interessi. Ufficiale di stato maggiore ricco di preparazione e di dottrina, cercò, nel governo e nella condotta degli uomini, la controprova di quanto aveva appreso sui libri e nelle scuole, convinto che le costruzioni teoriche, anche sapientemente congegnate, sono vane chimere se -

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non trovano conferma nel collaudo della realtà. Dell'organismo di cui fec e parte egli ben ,conobbe, ed esahò, la grande fo rza morale e gli inestimahili pregi, ma ne indagò, altresì, le insufft,cienze e le debolezze, demmziandole a viso aperto, anche a costo di sacri ficare quella popolarità della quale, i mediocri, sono sempre ' in affannosa ricerca per acquistare, a hen caro prezzo, una benevolenza artificiosa, e inevitahilmente caduca, perchè non sorretta dalla siima e dal prestigio. Ed insufficienze e debolezze eg/,i ehhe modo di rilevare, col suo spirito attento e perspicace, non soltanto nel travaglio della preparazione in tempo di pace, ma anche, e specialmente, nelle varie circostanze di guerra, offrendo, prima lii tutto se stesso, senza riguardo a cowtodità, S{l.cri(ici 'e pericoli, alle !'rave 17iù dure del campo .di hattaglia, a q1,1,elle prove cLdlc quali si misura la vera stat·ura dei comandanti, e che sole possono conferire il diritto di erigersi a severi giudici, e censori, clegli eventi e delle aziuili .altriii. Egli si distinse, soprattutto, per gli altributi -15 -


del carattere, di quesLa dote così preziosa per i veri capi, e che può essere sintetizzata in una forte coscienza di sè, che mai trasmoda n ella presunzione e nell'orgoglio; nella costante capacità di controllo sui propri atti e sulle proprie 1mssioni; nella fermezza delle convinzioni, che non mutano col mutare degli u,omini e delle fortune; nella volontà tenace, che mai tiega, o vacilla, di front,e ai piiì gravi ostacoli e alle più amare delusioni; nella fede ardente, che continua a credere, e a s1Jerare, anche qu ando ogni speranza semhra ormai 1?erduta. In sintesi, il Generale Berardi basò la sua missione sulla forza del!' esempio, che è inesauribile fonle di energie spirituali, che evita fatali frauure tra chi comanda e chi ubbidisce, che rappresenta il vero tesmto connettivo della di~ciplina priva di blandizie, di tolleranze e di com promessi; di quell'esempio che, solo, 'può conferire l'autorità mora!e di pretendere il culto dell'obbedienza, di intervenire per corregge· re e reprimere ogni 1nanclw1Julezza, di iniporrn ogni rinuncia ed ogni sacrificio, e che ha costituito, e costituirà ugnor più. la granitica piatt,a-

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forma di una onesta e feconda azione di co·mando. Per questo egli può hen dire, di sè, di aver « pagato di presenza », e di aver cercato « di 111,antenere intatte le antiche virtù militari >>.

II. - IL

«

MIMCOLO

»

DI UN ESERCITO

Strenuo assertore e specchio fedele di que ste virtù, il Generale Berardi fu veramente il gennino rappresentante di quella stirpe di soldati che, attraverso fortunose vicende, nella prospera e nella avversa sorte, ha dato un'impronta ed un volto alla trudiziune di sciplinare, morale e spirituale del nostro Esercito, tradizione che, pur nell'inev-itabile evolversi dei mezzi e dei metodi, è perennemente viva ed operante, e sicura guida per orientare le mwve generazioni, e gli artefi.ci del!e migli.ori fortune dell' avve-nire. Di questa tradizione l'Esercito è, e siamo sicuri, sempre sarà - se non mancherà l' esempio e l'opera dei capi, in un o con l'ef ficace ed -

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illuminato appoggio dei gorerni - il più degno erede e continuatore , y,oggiando essn su quei v alori che esaltano la vita, sufdimano la morte; e costitu,iscono l' insostit1,1,ibile premessa di ogni sana ecl efficiente organizzazione armata. li.' su queste basi che l'Esercito italiano ha compiuto quello che, si potrebbe chimnarn, « il niirncolo » della sua gloriosa e prodigiosa esi stenza. Nato dalla incoercihile 1 olontà di restituire a libertà una nazione da secoli oppressa, anche quando, per particolarÌ contingenze storico-politiche, ha dovuto r,ortare le armi in territorio straniero, lo ha fatto con animo alieno da ogni supra f fazione, con alto senso tli eqnilibrio, r1i nobiltà e di 1imanità. s·) da meri/.r,re il rispetto, la simpatia e, talvolta, :mche il rimpianto delle stesse popolazioni ne1niche. Risorto .;i n uova vita dopo ima guerra inf el-ice che lo ha travolto,. i·: mneritatamente, insieme al suo rwpolo, si è rinnovalo nell'organizzazione e nei mezzi., i.spirandosi alla nonna di cosciente disciplina nell' ambito delle nuove forme istituzionali, di immutata fedeltù ai suoi ideali, di fraterno cameratismo, di elevazione dei 1

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gregari, di grande compre11sione umana, di pronto e generoso -intervento in tutte le calamità e in tutte le sventure; p1,1,nto d'incontro, dunque, tra le diverse classi sociali, oasi di tregua dei contrasti, simbolo di giustizia livellatrice di ogni privilegio. ausp-icio di fusione totale della vera anima nazionale. S~no mutati i tempi e le fortune, si sono succeduti governi e regimi, si sono verificate guerre e rivoluzioni che hanno profondamente inciso sull'organizzazione sociale ed economica del Paese; gravi eventi hanno sottoposto a ben dura prova la volontà, la fede , e la stessa faticata compagine nazionale; fremiti di speranza si sono alternati a crudeli delusioni, ma l'Esercito, pur col cuore sanguinan te e la fronte cinta di spine, ha resistito a tuui i colpi, ha sopportato tutte le avversità, le inconiprensioni e le negazioni, operoso e silenzioso sempre, nell'intima certezza di costituire il più degno vessillifero, la 11iù solida garanzia della libertà, della sicurezza, dell'indipendenza della Patria. Questo stesso Esercito, pm- nella sua costante povertà, non fu mai secondo a nessun altro nel quotidiano, dmo, insonne travaglio di -

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perfezionarsi, di rinnovarsi nella mentalità e nei metodi, onde mantenere la sua preparazione alla altezza dei nuovi tempi e delle nuove esigenze. Ed infatti, ha avuto scuole di alta rinomanza, frequentate da ufficiali di tutte le nazioni che non hanno mai cessato di ammirarne la organizzazione, la serietà degli studi, dei programmi e del m etodo di lavo:o, lo spirito animatore; ha avuto maestri insigni e precursori, le cui concezioni furono circondate dal più vivo e generale consenso, concezioni che, basandosi sulla giusta interpretazione dell'esperienza storica del passato, applicata ai nuovi tempi, e rifuggendo da miti avveniristici, hanno sempre cosliluiio la via maestra di una seria e concreta preparazione militare; ha saputo esprimere, a volte, ·una dottrin a così ecmilihmtu ed aQQÌorna,. I. ." .. J-a, da far testo anche presso eserciti di ben più larghe possibilità, ed antiche tradizioni. Ha avuto in ogni ternpo, in pace ed in guerra, capi che, per altezza d'ingegno, grandezza morale e di carattere, ugu agliarono, almeno, quando non superarono, i contemporan ei di qualsiasi altro paese. -

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Ha avuto, soprattutto, una classe di ufficiali moralmente e spiritualmente sana, animata da un'ardente fede patriottica, da un'alta coscienza del dovere e della res11onsabilità, nonchè da un sen#mento quasi mistico della propria missione; e se ad essa non sempre ha arriso il premio del successo, ciò non è da attrihuire ad impreparazione od incapacità, 1na a cause molto più complesse, ed estranee alla sfera delle competenze tecniche e professi~ali. E meno che mai mancò, acl essa, il coraggio e lo spirito di sacrificio, taldiè fu sempre rispettata la vecchia tradizione che - come ben fu deuo - vuole un ,ufficiale, su quaranta uomini, negli effetti-vi dei -viventi, ma un ufficiale, .su dieci, souo le bandiere che si piegano a salutare i caduti; nè i gradi elevati feccro eccezione, rispetto al lorn n1,tmero, a questa proporzionale di sangue; l'eloquenza delle cifre - per riferirci soltanto all'ultimo conflitto - lo conferma : 8180 ufficiali, di cui 68 generali e 892 uff. superiori, su di un totale di 11 3. 132 caduti del solo Esercito. Ecco perchè, per le sue stesse caratteristiche, .questo nobile organismo può ben essere paraI

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gonalo al grande popolo di cui è l'espressione più genu. ina; come il popolo da cui prornana eroico, tenace, paziente, e ben meritevole di mig lior fortu na; come il suo popolo, costantemente povero, di quella povertà che è stata la sua croce, ma anche la sua gloria.

lll. - L'ESEH.Cf~

E LA CLJ\SSE

POLITICA 1Wa una cosa l'Esercito italiano non ebbe, e cioè una concomitante classe 11olilica responsabile che ne potenziasse e sorreggesse gli sforzi, la volontà, la fede . E qiiesta fu una delle cause, se non la unica, degli sfasamenti denunziati dalle presenti << Memorie », sfasamenti dovuti, in gran parte - e qui intendiamo completare e non correggere le affermazioni dell'autore - alla fratturet che è, quasi sempre, esistita tra pensiero e azione, tra teoria e pratica, tra progetti e possibilità di attuarli.

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Non bastano, invero, le menti innovatrici, le concezioni geniali, le dottri.ne piÚ aggiornate per vincere le guerre, ma è necessario che esse si concretino in una idonea organizzazione tecnico-logistica, in una congrua dotazione di mezzi moderni disponibili, non soltanio all' atto dell'entrata in. campagna, ma assai prima, per le esigenze della preparazione addestrativa, che è premessa indispensabile di successo. Tali elementi basilari, di 111,assima, mancarono all'Esercito italiano, non certo per colpa dei capi militari, ma piuttosto per le resistenze, le restri.zioni, i dinieghi dei com,pUatori dei bilanci militari. I bilanci: ceco gli eterni, freddi , insuperal1ili ostacoli che si sono quasi sempre frapposti , in Italia piÚ che altrove, alla creazione di una forza annata adeguata a-i tempi e alle finalità da 'perseguire. E' hen lungi dai nostri propositi e sarebbe, peraltro, ingiusto pronunciare, qui, una indi scriminata condanna. Ben sappiamo che, /;ra la classe politica chiamata a reggere le sorti del Paese nelle ore dec-isive, vi furono u omini di alta mente e di piiro -23 -


c1wre, che emersero figure luminose per patriottismo e dedizione all'interesse nazionale, e perciò ben degne di riconoscenza e di memoria; ma è, purtroppo, vero che la loro opera si dimostrò inadeguata ed impotente, non soltanto a vincere l'esiguità delle cifre, ma altresì a sbarrare il passo all'insana marea dei negatori, dei disgregatori, dei mestatori di ogni specie e tendenza politica. E fu per causa di questi ultimi che _tutte le nostre guerre sono nate, e si sono svolte, sotto il segno, più o meno dissimulato, della discordia e dell'ostilità preconcetta, veri tarli roditori del morale di un Popolo e di un Esercito. Accadde così che, per lunghi anni, a mezzo della stampa e dei comizi, si gettò il discredito sulle forze armate colla nefasta teoria delle spese improduttive; che si minò, col ridicolo e col disprezzo, il prestigio dei capi militari e della classe degli ufficiali in genere; che la partenza di truppe per destinazioni di guerra anzichè di applausi e di auspici ebbe, talvolta, il viatico di rotaie divelte, di manifesti e incitamenti sediziosi, di dimostrazioni ostili; come se ciò non bastasse si cercò, sistematicamente, di far pene24 -


trare, nelle trincee e nelle retrovie, con fogli e libelli clandestini, il sottile veleno della sfiducia, della ribellione e del disfattismo. La linea di condotta - se così si può chia · mare - della nostra classe politica, in materia di preparazione bellica, fu quasi sempre contrassegnata da incertezze, incoerenze, contradizioni. A periodi di beato ed illusorio pacifismo, durante i quali non si volle sentir parlare di « berretti gallonati », e le questioni militari furono lasciate in un quasi completo oblio, se ne alternnrono altri di improvvisi risvegli guerrieri, in cni si chiedeva a{{annosamente, all'Esercito, qnello c-he non avrebbe potuto dare perchè nulla, o poco, aveva avuto, e che, comunque, doveva essere predisposto di lunga mano, in una calma, accurata, metodica preparazione del tempo di pace. V{ furono, purtroppo, anche intermezzi in cui si magnificò e si ostentò una preparazione, ed una efficienza, inesistenti: giuoco, questo, ingenuo e pericoloso perchè, mentre non riesce quasi mai ad ingannare occhi vigili ed esperti, può scatenare latenti reazioni, destinate a squar-

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ciare, hrutal-menle, il velo dei puerili artifici e delle fugaci illusioni. Forse, talvolta, alla malafede e al fazioso spirito di parte, sovrastò l'incomprensione, la incompetenza, il dilettantismo, mali cronici asseti di ffu.si in larghi settori della vita politica italiana; forse, fu l'immaturità delle masse e dei tempi che traviò gli animi e le menti, e precluse la giusta visione dei grandi problemi nazionali e militari; ma ciò non toglie che le conseguenze siano state gravi e, sotto certi aspetti, irreparabili. Con queste premesse si giimse al paradosso di chiedere all'Esercito efficienza e spirito offensivo; si addossò ai capi militari la responsabilità dell'impreparazione e del crollo morale delle truppe: come se a tutto ciò si potesse rimediare con un colpo di haccheua magica, e non invece con la volontà cosciente, concorde ed operante di popoli e governi. Duplice paradosso ed ingiusta accusa, perchè è assurdo pensare che l'efficienza di u n esercito possa prescindere - specie oggi - dalla consistenza e potenza dei mezzi e delle armi; illusorio pretendere che lo spirito offensivo possa -26-


scaturire da masse moralmente tarate, e che la formazio ne del cittadino-soldato possa essere demandata alla sola opera rieducatrice delle caserme, opera che, per quanto ammirevole - come è infatti - è troppo imbrigliata nei temi e ristretta nel tempo. Egli è che l'Esercito italiano - seguendo .a nche in ciò il destino del popolo da cui deriva - è sempre rimasto un grande « misconosciuto » , non soltanto per gli stJranieri, m a anche per molti connazionali. Chè se è spiegabile, e talvolta anche commendevole, che la fantasia delle masse s'impa.drunisca degli eventi prosperi e dei fatti gloriosi, suhlimandoli ed elevandoli ad altezze, talvolta mitiche, è, per contro, da deplorare che, di q14,elli avversi, si dimentichino le azioni onorevoli - e per ciò stesso ancora più sublimi - che essi possono vantare, per accomunare il tutto in una sola, indiscriminata condanna. E dovrebbe essere, appunto, compito di una storia serena - anche in omaggio al valore sfortunato - di presentare i fatti nella loro giusta .luce, di sceverare il bene dal male, il vero dal -

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falso, per trarne i dovuti esempi e i n ecessari insegnamenti. 1\/[a, valga il vero, questa storia serena, per molti dei suoi uomini e dei suoi olocausti, l'Esercito italiano - dopo oltre un secolo di vita purtroppo, l'attende ancora.

IV. - IL VALORE DI UNA FEDE Fino a quando esisterà il buon seme e il cattivo seme - ricordiamo la parabola evangelica del seminatore - e la verità sarà mista all'errore; fino a quando grandi rivolgiment·i sociali e politici renderanno possibile ogni bene com e ogni male, purtroppo, il tremendo spettro della guerra incomberà, quale oscura nèmesi, sul destino di questa povera umanità. E' giocoforza, quindi, che gli uomini politici abbiano il coraggio di considerare, con fredda obiettività, i doveri che ne derivano, e collocarli nella giusta cornice dei sacrifoci che esigono e dei destini che involgono, e non rele.-

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garli nell'angolo oscuro, e colpevole, della riserva mentale e della pavida tolleranza. Ammaestrati dall'esperienza di secoli - e chi, sulla base di tale esperienza, può garantire del futuro? dovrebbero ben comprendere che è allo scatenarsi di questo deprecabile m a, talvolta, ineluttabile evento, che sarà posta al vaglio, in maniera decisiva ed irrimediabile, la solidità dell'edificio da essi creato, e messo a nudo quanto vi è di verità, o di inganno, nei loro programmi e nelle loro· opere. Dovrebbero tener presente, infine, che le conseguenze più gravi di una guerra non sono tanto da ricercare nei lutti - per quanto dolorosi - e nelle rovine materiali - per quanto grandi - che essa ha provocato, e neppure, talvolta, nello stesso dramma della disfatta, ma nel modo con cui è stata affrontata la grandE: provu; e questo perchè, è dagli esempi di compattezza morale, di carattere e di coraggio offerti da un popolo, più che dalle sue realizzazioni economiche, sociali e civili che, ancor oggi - checchè se ne dica - si giudica del suo prestigio e del reale valore della sua ami · cizta. -

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Davanti al Dio M arte - e anche questo conferma la storia - non vi sono popoli eletti e popoli diseredati, popoli guerrieri e popoli imbelli, ma soltanto popoli che sono, o non sono, animati da una comune fede: ma se questa manca, od è vacillante, nè i mezzi più perfezionati, nè i procedimenti tattici più aggiornati, nè le più geniali concezioni strategiche basteranno per surrogarla. Alla stregua di queste considerazioni non si può far colpa ai capi nii litari italiani se essi non poterono, sen,tpre, compiere quelle che la storia suole comprendere nel novero delle « grandi imprese » : non si può far loro colpa se essi ebbero la sventura di incontrare, sul loro cammino, una classe politica incapace di considerare i problenti della pace e della guerra, con la mentalità che i tempi avrebbero richiesto, e comporli in una superiore armonia di animi e, soprattutto, di opere. Non si può far loro colpa se, a malgrado di tutte le sollecitazioni, i moniti pressanti, le accorate invocazioni, dovettero, quasi sempre, scen· dere in campo con forze e mezzi inadeguati, con organismi, che l'imprevidenza e l'incom-

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prensione dei gm1erni avevano, fono allora, negletti e lasciati in preda ad oscure forze disgregatrici; non si può condannarli se, con tutto ciò, essi si ind·1,1,ssero ad affrontare l' incerta e tremenda prova del1.e armi, attenendosi alla sacra legge dell'ubbidienza, legge suprema ed inderogabile per capi e gregari, che non è lecito violare senza lasciare negli spiriti, e n ella compagine di un Esercito, lracce ancor più durature e nefaste della stessa. sconfitta.

V - JL DEST l NO D( UN POPOLO Così, andarono ·perdute rare, e fors e uniche, occasioni della storia d'Italia per far rifu lgere, nella giusta luce, il valore e le virtù di un grande popolo, e assicurargli le condizioni di l1enessere, di a11,tonomia, di dignità che avrebbe meritato; così, qu,esto stesso popolo, anzichè conquistare un piedistallo degno del suo pa5sato, del suo genio, della sua capacità di lavoro, ha dovuto cospargersi il capo di cenere, scontare colpe non sue, sopportare delusioni, umiliazioni e mutilazioni, ripiombare nelle incognite della -

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miseria, di più acuiti contrasti sociali senza, peraltro, intravedere indubbi segni che, un domani migliore, liberamente sorga da una più equa giustizia ed 'Umana solidarietà. Per questo, infine, capi e gregari, anch'essi degni di ben altra sorte, dopo aver conteso, con armi impari, su, tutti i campi di battaglia, la vittoria al nemico, dovettero soccombere ed avviarsi verso l'incerta meta della prigionia e dell'esilio. Pure, anche in quell'ora di grande i.ncertezza, una suprema spàanza rimaneva nei cuori : quella, cioè, che il mondo politico ed intellettuale della nazione, chiamato a cond1,irre la volonlà di rinascita e di riscossa, sapesse trovare quel minimo di concordia, di armonia e di coesione, che appariva naturale portato dei comuni dolori e delle immani sventure della Patria. Vana illusione, perchè l'Italia ufficiale non apparve mai, come allora, rosa dalle ambizioni, dagli antagonismi personali, dilaniata dalle passioni di parte, priva di slanci generosi, divisa e discorde: discorde in tutto, e pur mirabilmente concorde nel solo (me di rivolgere - con furia iconoclasta - il piccone demolitore alla distru-32 -


·zione di quegl-i istituti, e di quei valori, sotto l'egida dei quali era stata creata e cementata, faticosamente , l'unità italiana : e tutto questo senza alcuna capacità, o possibilità, di sostituire ad essi un nuovo credo, capace di purificare i cuori, infiammare gli spiriti, accendere una fiaccola atta ad illuminare il nuovo cammino.

VI - I MENDICi\NTl D'ONORE Fu in quest'atmosfera OtJprimente, in questo .ambiente di S1'narrimento e di perversinne settaria, in questa notte senza stelle, che chi ha l'onore e, insieme, la tristezza di scrivere queste pagine, dirigeva ai suoi prodi soldati un << ordine del giorno » in cui affermava, lra l'altro: « Gloria a Voi, che ergendovi indomiti so· pra le ceneri di un mondo in rovina, tra l'insana canea dei politicanti, dei demagoghi e dei gazzettieri, tra l'assenteismo dei profittatori, dei pavidi e degli indegni, mai avete disperato, sempre avete creduto nell'eternità della Patria « Oggi sono i vostri capi che, ben a ragione, vi esaltano; domani saranno i veri italiani che, 2.

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come ridesti da un triste sogno, onoreranno in voi gli eredi e gli alperi della « Legione Sacra >> destinata, per diritto di sangue, a spazzare via le brutture del passato e a creare le premesse qell'Italia nuova ». Giusto privilegio e meritato riconoscimento, perchè era, ancora una volta, l'Esercito che accendeva le prime luci dell'alba, suscitava nuovi palpiti di speranza, operava il miracolo di far rispuntare l'alloro sulle rovine. Era ancora sotio le logore, ma oneste, giuhhe dei soldati, e non sotto le risfoderate livree dei postulanti cariche e prebende, che il cuore di 1talia ricominciava a batte re, e l'antica fede dei padri si andava, via via, risvegliando. U n sempre più forte manipolo di ufficiali della vecchia guardia è fieramente impegnato in quest'opera di rinascita; sono 'Uomini di ferreo carallere, di ·indomita volontà, di solida preparazione, provati da tutte le vicende, soliti a non recedere di fronte alle prove anche più ardue. Alla loro testa emergono tre figure di capi, il cui nome ed il cui ricordo dovranno costituire, sempre, motivo di legittimo orgoglio, e oggetto di profonda gratit11dine per l'Esercito e· -

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per l'Italia : il Maresciallo Messe, i Generali Orlando e Berardi. Rimpatriati dalla prigionia per loro espressa volontà , consenziente lo stesso nemico che aveva ¡ riconosciuto in loro qualità di hen degni avversari sul campo di battaglia, essi, pur delusi e mortificati dallo spettacolo che si parava davanti a loro per volgare jattanza di vincitori, per incomprensione, servilismo, ingratitudine di molti, di" troppi, connazionali, non per qu esto disarmano, ma si accingono ug1talmente all'impresa con la fede, con la capacità , con la tenacia di cui avevano dato costanti prove nella lunga e luminosa carriera. Sotto il loro impulso ovunque fervore di 011ere : occorreva risorgere, ricostituire e rins~ldare i ranghi, valorizzare le glorie del passato e il sangu.e versato, dissolvere, od attenuare, le omhre del presente; occorreva chiamare a raccolta i veri italiani, i veri soldati, risvegliare gl-i antichi entusiasmi, rinverdire nei cuori le sopite speranze, esaltare la poesia del dovere e del sacri ficio, far comprendere che era necessario combattere ancora, per concorrere alla liberazione del suolo della Patria.

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E il miracolo potè compiersi: vecchie unità che avevano fortuno samente resistito alla furia devastatrice dello sfacelo, riprendono vigore di. fede e fermezza di propositi; folle di sbandati laceri, affamati ed avviliti, che errano senza 11ieta, si ricompongono in nuovi reparti sempre più com·patti e disciplinati; v iene rigenerato il fisico e il morale, viene ridata linea e dignità alla persona, viene ripristinato il decoro dello. 1,mifonne, ristabilito il prestigio della gerarchia, il culto dell'obbedienza, il senso del dovere e dell'onore; dal caos e dallo smarrimento stanno, via via, sorgendo quelle fonnazioni del C.l.L. che dovranno mostrare quanto grandi ed ine~aus te siano le virtù cl.ella stirpe. Le di fficoltà incontrate nell'assolvimento di un così ardno compito sono rievocate, con stile sobrio ed incisivo, nelle « M emorie » che presentiamo alla salutare m editazione dei lettori. D egni di maggior risalto e di ricordo i risultati conseguiti, che la modestia dell'autore lascia, in gran parte, nell'ombra : da ]\!fonte Lungo a M. Cavallo, J.al Sangro al Musone e al Cesano, dalla linea Gotica al fiume Reno e -

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alla Valle Padana, è tutta una serie di gloriose tappe di lotta, di sacri{zcio e di Cl.oria. Procedendo di balza in balza, di ostacolo in ostacolo, di croce in croce, quelli che furono chiamati i << ni endicanti d'onore » poterono conseguire l'altra, e non m eno faticata, vittoria di indun-e l'antico avversario a passare da una di ffident e attesa, ad una sincera stima e, in ultimo, ad una incondizionata ammirazione, che si estrinsecò in attestati e riconoscimenti il cui valore può dedursi. da ·un « Elogio » diretto, dal comandante l'armata inglese, ad un reggimento italiano - e parecchi altri analoghi se n e contano - che termina con queste parole : « Tutti gli U fficiali e i soldati dell'8" /\rmuta sono orgogliosi di avervi con loro: Bravi! ». Onore ai gregari, onore ai capi e comandanti di ogni grado che, da tollerati ausiliari, seppero pervenire al rango di apprezzati, desiderati, blanditi compagni di arme, e che dimosl-rarono come, essi pure, sapessero combattere e vincere se appoggiati ad una adeguata organizzazione, e forniti del minimo di m ezzi richiesti dalle esigenze di una gu erra moderna. B, insegnamento non trascurahile per le -37-


eventualità del futuro, quei comandanti, e que1 gregari, confermarono che, non soltanto può aspirare al successo la forma di guerra che si adagia, progressivamente, alla valanga del fuoco, e al vuoto delle distruzioni, ma altresì, e ancor che più, l'altra - propria della stirpe nostra mette l'uomo di fronte all'uomo, in un duello mortale che ha, per appoggio e rincalzo, le insostituibili risorse del coraggio e del cuore: quella forma di guerra, cioè, che può costituire, in casi estremi, la provvidenziale risorsa dei porJOli poveri, ma ben decisi a· sopravvivere.

VII - LA LEGIONE SACRA L'Italia, in gran parte, ignora quanto deve a questi pionieri della Guerra di J,ibercrz-ione. a questi uomini dal cuore intrepido e dalla tempra d'acciaio, ben degni di riportare, e far risplendere, al nuovo sole della battaglia, le insegne di un Esercito colpito da immeritata sventura. Per valutare, a pieno, la grandiosità e il valore della loro opera, occorre rifarsi alle con-

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dizioni morali e mat:eriali in cùi agirono : poveri e tollerati, accanto ai mwvi alleati ricchi e baldanzosi; mezzi e -niateriali sempre limitati e controllati, anche quando sarà giocoforza dimetLere le antiche, ormai consunte, uniformi, deporre le vecchie armi, per indossare e adottare le nuove: cuori esacerbati per le città e le case distrutte, per le famiglie lontane, mutilate, disperse, esposte a tutte le insidie, le angherie, Ìe vendette. Sanno che li attendono, ad ogni tappa, ad ogni ripresa della lotta, le prove più dure; che dovranno costituire la punta rivelatrice destinata a saggiare la consislenz.a della reazione nemica; che, se catturati, verranno sommariamente giustiziati come volgari traditori. Essi, sono ben consci di tutto ciò, ma valut,ano, altresì, l'immensa responsabilità che grava sulle loro spalle di fronte alla parte sana del Paese, al cospetto della storia: erigersi a campioni e vindici di un popolo tradito, offrirsi in olocausto per attenuare la servitù, allentare le catene dell'incerto ed oscuro domani. Portano scolpiti nella loro m ente, e nel loro spirito, gli eroismi delle giogaie alpine, dell'Ison-

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w e del Carso, delle squallide lande albanesi, delle steppe russe e dei deserti africani : trepidano per la guerra perduta, per i perduti affetti, per l'incertezza del futuro; fremono per lo scempio della loro terra e, ad ogni tappa, scrutano, con lo sguardo, i profili dell'orizzonte per scoprire, tra la caligine e il fumo degli scoppi e degli incendi, un segno di conforto e di speranza. Rimpiangono le armi e le insegne della Patria, e sono, talvolta, assaliti dal dubbio di non averle portate col valore che la Patria at-¡ tendeva : invidiano il destino di coloro cui la morte ha risparmiato la visione di tanta rovina.

Sono di diversi ceti sociali, di dif ferenti fedi politiche, ma questo non ha ormai, per loro, alcun valore: hanno imparato a riconoscersi fratelli, soggetti allo stesso destino che livella colti ed ¡incolti, rozzi e raffinati, umili e potenti; non credono piÚ alle dottrine che rinnegano il focolare, le comuni m em orie, la stessa terra dei padri, e tutto offrono al tallone profanatore dello straniero : ora che hanno appreso che cosa significhi sconfitta e servitÚ. -

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Svaniti i miraggi del fasto e della ricchezza, dimenticale le seduzioni degli agi e dei piaceri: ora che si sono persuasi che la libertà è il più ambito dei beni, anche se illumini i miseri cenci di -un mendico. Ovunqu,e presente ed incombente l'immane travaglio, la disperata angoscia dei viventi. Si è con{er-mata, si è risvegliatq, si è rinvigorita, in loro, la fede in Dio, tanto ad essa si suno avvicinati nel dolore e nella sventura; lungo il camniino della battaglia sfilano, silenz.iosi e commossi, davanti ai templi e ai luoghi sacri, Jeì q1rnli cercano di cancellare, con amore, le ferite, le ingiurie e le profanazioni; ogni croce risparmiat,a dalla bufera appare, da mani invisibili, ornala di fiori: tanta l:uce di confarlo e di speranza hanno ·11isto discendere, tra i lutti e le rovine, da questo eterno e sublime simbolo

Jel Calvario. Il loro spirito, purificato, è tornato ad abhe1·erarsi alle fonti ch e non co1Joscono delusioni o rimpianti.

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VIII - L'AUSPICIO Sono trascorsi, ormai, due lustri dal tempo della Liberazione. I superstiti di tutte le battaglie sono tornati alle loro case, alle loro famiglie, alle quotidiane vicende della vita di ogni giorno; si sono dispersi nelle pianure, nelle valli, sulle montagne; nelle cittĂ , ~ei paesi, nei borghi remoti, sovente gli uni dagli altri lontani, solitari cmtodi delle memorie e delle glorie del tempo che fu,. Anche i capi sono rientrati nell'ombra, nel silenzio onesto ed operoso che costituisce il credo e il comandamento di tutta la loro vita; anch'essi vivono nel culto dei ricordi, talvolta sfogliando le pagine di epiche gesla, di eruisnii e di sacrifici, che il tempo senipre piĂš ingiallisce e cancella. Molti non sono tornati : essi giacciono nei cimiteri vic-ini e lontani, i piĂš, sperduti in terre inospiti, indifferenti ed ostili. Su tutto langue una luce di tramonto, comincia a cadere il sipario livellatore del tem110. Dell'ultima grande guerra, spesso, si dimenticano le innumerevoli, le fulgide, le sublimi -

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luci, e ci si indugia sulle ombre; e tra le ombre si aggirano, astiosi, coloro che negano le glorie altrui, per attenuare, o coprire, le proprie colpe. Severi giudici degli uomini e degli eventi, sono diventati, specialmente, i sistematici negatori delle idealità per cui i veri italiani hanno dato la vita, gli eroi della sesta giornata, i professionisti della piazza, gli strateghi da tavolino, che sono, poi, gli eterni transfuga delle grandi vigilie, gli assenti ed i pavidi delle ore supreme, i primi, e veri responsabili delle nostre sventure. A che pro', dunque, aver creduto e sperato?; a che pro', aver combattuto e sofferto?; a che pro', aver fatto olocausto dei doni più preziosi di questa tanto avara e travagliata esistenza? Questi gli interrogativi che urgono, imperiosi, alla coscienza dei superstiti, e rimbalzano sulle croci sparse in tutti i continenti, mentre ogni giorno si fa sempre più angosciosa l'esigenza e l'attesa del grande risveglio. Sinistri presagi si addensano nei cieli, solcati da sempre più oscuri e minacciosi nembi, forieri di piogge mortali; sulla terra ribollono, palesi ed occulte, antiche e nuove rivalità, scom1

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poste, infrenabili passioni, presaghe di urti decisivi . Il dominio dell'avvenire appartiene, oggi più che mai, ai popoli forti e concordi, coscienti della loro missione storica, pronti a sante crociate, all'estrema difesa dei valori che, soli, divinizzano la vita, e la fann o degna di essere vissuta. All'Italia di oggi e di domani, alla terra dei nostri inesausli sogni, l' a1ispicio che, una sempre più folta schiera di viventi, s'ispiri alle verità consacrate dalla sventHra, e santificate dal sangue, verità nelle quali, soltanto, può aver tregua lo spirito vigile ed insonne degli eroi, nelle quali, soltanto, sta la salvezza.

IX IL COMMIATO Mentre queste « Memorie » sono prossime a vedere la luce, giunge il doloroso annuncio che il nobile e generoso cuore di Paolo Berardi. ha cessato di battere. L' autore non ha avuto la sorte di vedere pubblicate le pagine che mai potranno riµettere tutta la grandezza dell'animo suo, nè ha potuto conoscere quelle vergate da chi ha sentit-0, con la -

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legiuima (ierezza di aver mil:itato ai suoi ordini, il patriottico dovere di additare il suo esempio e il suo insegnamento. All'Esercito sonu state dedicate le sue ultime parole di auspicio e di commiato: « Auguro a1l' Esercito, dove ho servito la Patria con onestà .e fedeltà, di conservare la purezza morale che lo ha sempre distinto fra tutte le istituzioni itt!liane, e lo ha posto al di sopra di tutte ». Parole che riecheggiano le note fondamentali del saluto da lui rivolto ai suoi fedeli collaboratori del tempo della Liberazione, sulla V ia Appia, mentre, lasciato il torbido e tormentat() ambiente rmnano, si avviava verso i più fUri ,e sereni cieli del sud: « Io vi trasnietto la nustra onestà, la nostra purezza di intenti, ... raccoJ!Jiete le virtù che hu cercato di diffondere come .I' eredità che io vi lascio ». Questo l' augurio, questo il monito: che essi possano venire raccolti da coloro che hanno il compito, e il privilegio, di forgiare le nuove ,generazioni di soldati, al servizio dell' ideale per cui egli visse, e che non può morire. Bologna, dicembre l 95 3 GENERALE

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F. RoNco



PARTE SECONDA



PREFAZJONE DELL'AUTORE Duplex libelli <los est: duplice è lo scopo dìquesto libretto. Esso vuole rievocare una pagina di storia italiana non priva di gloria, che l'Italia ufficiale ama ignorare, quasi che anch'essq, non abbia contribuito a darle viia e fortuna, ma che annota superamenti di difficoltà e soluzioni di problemi degni di considerazione e di ricordo. Sembra anche opportuno che l'esperienza di chi ha sostenuto determinate responsabihtà, in un particolare periodo di emergenza, non llada perduta e confluisca nel mare magnum delle cose viste, sotto l'angolo visuale di chi 7e ha vissute. Il quale angolo può essere diverso da quello conformistico, ed illuminare certe faccie delle cose a preferenza di certe altre. E se pure taluni modi di vedere possono provocare disapprovazioni o risentimenti, forse in ciò appunto sta il buono del ricordo e della annotazione : chè-

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se gli avvenimenti, e le loro cause, fassero vist-i da tutti allo stesso modo, l'esperienza soffrirebbe di quella monotonia che è nemica del progresso. 1 ricordi e le rifl essioni del presente libretto si riferiscono a date anteriori al giugno 1948, quando il loro autore ha cessato dal servizio att ivo ed è entrato nel novero dei  trapassati  .

San Sebastiano Po, giugno 1953

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n.


I RlTORNO DELLA PRJGlONlA Quando, il 30 ottobre 1943, il M aresciallo Messe, il Generale Orlando ed io fummo avvertiti che saremmo partiti dopo qualche giorno dal1' lnghiltcrra, dove eravamo in prigionia, per raggiungere Algeri, immaginammo due cose: che fossimo i primi di una lunga serie di prigionieri e rientra re in circolazione, e che fossimo destinati in A lgeria per ricostituire qualche unitĂ con gli ufficiali ed i soldati giĂ appartenenti alla I' Armata italiana. D ovevamo presto disingannarci su tali rosee visioni e registrare il primo saggio di diffidenza della politica alleata, che concec.leva un inizio sen za concedere i I seguito, che non utilizzava il magnifico materiale a sua disposizione e che tanto danno doveva, in prosieguo di tempo, produrre all a nostra ed alla sua causa. Frattan to Messe, Orlando ed io avevamo -

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preparato liste di nomi e di quadri per far risorgere, se ci fosse stato concesso, qualche cosa del XX e del XXI corpi d'armata. /\lle 14,45 del 5 n ovembre partimmo .:Iall' aerodromo di Londra, alle 13 <lel 6 giungemmo ad Algeri, ed alle 14,30 dcll'8 rimettemmo p iede in Italia all' areodromo di Brindisi. Dum1ue prima disillusione: niente ricostruzione del la I' Armata, niente Algeria; partecipaz.ione alla guerra molto dosata e concessa come un favore. Ad Algeri, dal generale Castellano, avevamo appreso che un paio di nostre divisioni si stavano allestendo in Puglia e che entro un mese avrebbero dovuto entrare in linea: queste informazion i si dimostrarono presto eccessivamente ottimistiche. In Puglia Messe, Orlane.lo e<l io fummo alloggiati a San Vito dei Normanni, io dal con te Dentice di Frasso. Trovai una casa accogliente, dotata di bei mobili antichi , di oggetti d'arte e <li lihri , cd una ospitalità affabile e premurosa, veramente confortevole dopo la campagna di Tunisia e la convivenza coatta della prigionia. La carità non è fatta di solo pane, e sian rese grazie ai gentili ospiti che, nella loro educazione atavica, c:i pirono queste cose e ci compensarono, con -

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tale accoglienza, ed in an ticipo, degli insulti e ,delle calunnie con cui l' Italia democratica ripagò, i,n seguito, la dedizione alla Patria di tutta la nostra vita. Non ho mai potuto appurare i motivi che provocarono il nostro trasferimento in Italia. Forse era nel disegn o occulto di Badoglio di cambiare l'alto comando dell' Esercito, ma di questo disegno non doveva aver parlato con alcuno. Ed infatti , arrivando a Brindisi, fummo meravigliati di un certo disorientamento, spiegab ile con l'illusione, allora non ancora completamente tramon tata, di poter rimettere presto piede a Roma. Non si p;, rlava di mutamenti, ccl anzi, poichè il generale R oatta, allora capo di stato maggiore dell'Esercito, era ricoverato all'ospedale per incidente automobilistico, si pensava di sostituirlo con un ottimo generale apparten ente al Comando Su premo, mentre il maresciallo Messe sarebbe stato nomin ato l spettore dell'Esercito, carica onorifica perfettamente in utile e di ca;atterc ambiguo. Si vociferava anche di una mia destinazione al comando di un corpo d'armata in Calabria, e di una d i O rlando non r icordo <love. Orlando ed io fu mmo interrogati dal ge-

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nerale Ambrosio circa i nosh·i desideri di destinazione: rispondemmo entrambi che non avevamo preferenze. Il Maresciallo Messe fece capire, a chi di dovere, ch e la carica di lspcttore non gli sembrava intonata alle esigenze del momento, cd io, interpellato, espressi il parere che i capi che avevano sostenuto le accascìanti v icende della sconfitta, per quanto esenti dalla responsabilità personale cli questa, e per lJUanto grandi fossero le loro benemerenze nell'aver capeggiato il ca povolgimento della situazione, erano destinati a ritirarsi, così come era avvenuto per Cadorna, dopo Caporetto, in situazione cento volte meno tragica. Nel compiere questo atto, che mi pareva di doverosa lealtà e di onestà verso il Paese, non pensavo che avrei aperta la via alla mia destinazione alla carica di capo di stato maggiore, tante erano le persone disponibili che ritenevo dotate di titoli superiori ai miei per tale carica, e tanto ero orientato ad assu mere il comando di un corpo d'armata. Invece, la soluzion e al la quale si addivenne fu: Messe capo di stato maggiore generale, Orlando sottosegretario alla G uerra, Berardi capo di stato maggiore dell'Esercito. Orlando ed io -

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;avremmo gradito che Messe, o in qualità di minish·o de.Ila difesa, o senza portafoglio, o anche nella quahtà di capo di stato maggiore generale, facesse parte del Governo per imprimervi autorevolezza e decisione: ne parlammo col primo aiutante di campo, ma il Re osservò che, entrando nella politica, la figura del maresciallo avrebbe corso il rischio di venire compromessa, mentre era bene conservarla incontaminata in vista dei futuri eventi. Vana precauzione: pensarono poi gli italiani liberati , con la collaborazione della franca combattività dello stesso Messe, a privare la Patria dei servigi cli un uomo forte, onesto e di idee chiare. Così, di punto in bianco, mi trovai capo di stato maggiore dell'Esercito, carica alla quale non avevo mai sognato di potere aspirare, per la conoscenza che ho sempre avuto delle mie in sufficienze e per la mancanza di attitmline ai contatti politici. Al mio attivo soltanto una riconosciuta llirittura morale, ed un rardello di idee raggranellato attraverso studi, osservazioni ed esperienze di lunga permanenza al comando di truppe nei gradi elevati, in pace ed in guerrn . E d invero, nei quattordici mesi nei quali detenni -

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l.1 t¡.1riG1 fui bersagliato da pochi libelli stampati .il L, macchia, che pera ltro ebbero la loro inHuen:ta sulle deliberazioni governative; essi sentenziarono che era ora di finirla coi vari Messe, Orlando, De Stcfanis, I3erardi , Armellini eccetera, e che dovevano, tutti, essere buttati alla spazzatura. Come difatti è avvenuto in seguito.

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II RIFORME E SELEZIONl ' Cominciammo dunque a lavorare. Inizialmente tutti a Brindisi. Orlando fu il primo a trasferirsi a Lecce, dove c'era posto per un ministero, mentre a Brin.disi non c'erano più locali liberi. Lecce era l'ideale, per disponibilità di spazio e per tranquillità di vita, onde costituire il centro militare del piccolo Governo italiano Jcll' ep oca: aveva il difellu

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essere eccentrica rispetto alla sede governativa, ch e nel febbraio '44 si trasportò a Salerno, e perciò io insistetti, seguito poi da Orlando, perchè il centro militare si spostasse più verso norrl. Al che si opposero sempre gli alleati, e per le reali difficoltà del trasferimento, e perchè desideravano mortificare le autorità militari italiane, o fors'anche perchè la Commission e militare di ,controllo si era installata in una bella villa a -

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Lcquilc, dove stava bene e si .divertiva con le conoscenze locali . Orlando cd io ebbimo contrasti anche vivaci, ma ìa nostra vecchia amicizia, cementatasi in Tunisia ed in prigionia, conseguì uno stabile accordo che permise di lavorare in perfetta armonia. Le relazioni tra ministero e stato maggiore dell'Esercito sono sempre difficili, poichè non è facile stabilire dove finiscano le due sfere di responsahilità, la politico-amministrativa e la tecnica. O rlando fu l'unico sottosegretario, eppoi ministro, che sostenne lo stato maggiore: nè i ministri borghesi, nè i loro sottosegretari militari fecero altrettanto. Del resto, sulla stessa via erano· stati preceduti da Di Giorgio, Cavallero, I3aistrocchi, Parian i, Soddu. E' strano come tanti generali ital iani abbiano avuto la sad ica volutt>i di deprimere e morti fìcare l'istituzione madre, la salvaguardia, dopotutto, dell'organismo dal quale essi sono usciti e che li ha nutriti. Frutto questo di ambizione all'accentramento, di sete di potere, di sfiducia nelle altrui capacità? .. . Certamente indizio d i immaturità organica, perchè principio sommo e.li ogni organismo sano è la equilibrata · distribuzione dei poteri. Un organ 1-- 58 -


smo tecnico, senza un a testa tecnica espressa dal suo seno, è destin ato a deperire per mancanza di sangue proprio. TI 21 novembre '43 assunsi la carica. Lo stato maggiore si era allogato in un fabbricato destinato per alloggi di impiegati, con pochi mobili scomodi, in tristi locali di una malinconica via di Brin disi. C'era, peraltro, la rnstica semplicità di un comando Lli campagna, che fa sempre del bene. Si consumavano i pasti a bordo del panfì lo « Abbazia », che aveva servito al comando della 2• Armata nei hei tempi in cui questo aveva giurisdizione sulla Croazia. Per tutto il. tempo che lo stato maggiore pcnnase a Brimlisi, e cioè fino a Natale, continuai ad abitare dai Frasso, a Sdn Vit.u llei Normanni. Verso Natale, durante un mio viaggio di ispezione in Sardegna, lo stato rn::igginre traslocò a Lecce e si stabilì. nei locali di una scuola magistrale, spaziosi e allegri, anche se freLldi. lntanto si era costituito il piccolo Governo iniziale, dove regnavano gramle affiatam ento e volontà di lavoro. Oggi , con visione retrospettiva, ricordo con piacere lj uel periodo <li vita in tensamente e onestamente vissuta, quando uomini di buona volontà si erano accinti a -

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creare le basi per risollevare l'Italia dal baratro nel quale era caduta e, senza retorica, penso che l'J talia debba loro una buona dose di nconoscenza. Per prima cosa sfrondai lo stato maggiore dalle sovrastrutture inutili e dannose che lo avevano afllitto per tanti anni, a cominciare dagli ingombranti capi reparto. Rendono soltanto gli organismi semplici e snelli: se le responsabilità debbono passare a traverso una lunga trafila gerarchica, esse si aLtutiscono, si perdono e, in defì nitiva, non funzionano più; e quando non funzionano le responsabilità , tutto va male. I lo sempre concepito lo stato maggiore con le responsabilità ripartite tra un capo che si occupi delle guestioni 111adri , Lcng a incessante contatto con le truppe e rappresenti i I capo morale dell'Esercito, ed un sottoc;1po che, essendo unico, possa éurarc, con visione unitaria e valendosi degli esecutiva delle di rettive. Ritenvo uffici , la ])arte . b grave errore scindere l'esecuzione tra due sottocapi, l'uno per le operazioni e l'altro per i servizi , perch è simile compartimcntaLion e stagna è contro natura, inven tata da professori o da intrigan ti , e perchè la fu nzione del sottocapo è di -

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tradurre in allo la volontà del capo, volontà che non cleve avere compartimentazioni scolastiche. Per realizzare un san o decentramento occorre, poi , ch e il capo si fidi degli uI-Iìci , li lasci lavorare in pace, e limiti il proprio con trollo ad assicurarsi che i capisaldi del la sua volontà siano rispettati. Jn tal guisa gli uffici sono posti .in condizioni di provare la loro parte di gioia del lavoro, ed il capo ha tempo di girare, veder gente, mantener contatti, anche svagarsi con letture amene, e non <liventare un piombo per sè e per gli altri. Un alt.ro dei primi atti. di competenza del ministro, fu l'abolizione del comando della Annata, capitato in Puglia clopo i fatti dcll'8 settembre, e rimastovi con una poderosa intendenza e t:un un brnitato numero di truppe : organo divenuto superfluo, ingombrante ed assorbente ufficial i e mezzi. L'intendenza venne fusa n elle direzioni generali del ministero; tale sistema si dimostrò tutt'altro che perfetto,· ma in quel momento si impose per la necessità di ridurre e <li semplifìcare, di ricon oscere, cioè, coi fatti che eravamo dei vinti, e che il rango <lel nostro Esercito era, purtroppo, scaduto rispetto al passa to. Permasc sottocapo di stato maogiore 11 gene-

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rale Mariotti, col quale ero affiatato per avere egli lavorato con mc, quale mio capo ufficio, quando comandavo - n el 1938 - l'artiglieria dei corpo d'armata di Torino. Mariotti era un esperto intendente, pacato, preciso, organizzatore, forse un po' troppo tenero verso i dipendenti, onesto, ottimo contrappeso alla mia indole, talora impetuosa. Ricordo con piacere e con gratitudine i quattro mesi di comune lavoro, e credo che Mariotti mi fosse sinceramente affezionato. Egli venne poi sacrificato alla piazza cd alla imperante politica di vendetta, la quale, come già il fascismo, si illudeva cli trovar nei giovani ciò che con certezza sacrificava nei maturi. Lavoro lento fu la costituzione del nuovo stato maggiore; la scarsità di ufficiali Ji cui n el '4 3 si venne a trovar l'Esercito - dato che il meglio dell'uffici alità giaceva sotto terra o in prigionia - si ripercuoteva sugli ufficiali di stato maggiore. Per fortuna, alla fine dell'anno, gli inglesi ne fecero rimpatriare parecchi che avevano appartenuto alla I° Armata. Due esigenze io posi alla hase della ricostruzione dello stato m aggiore : - escluderne qualsiasi ufficiale che avesse -

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appartenuto al vecchio stato maggiore od al vec chio gabinetto, allo scopo di rompere radicalmente le cricche, le mentalità burocratiche, la territorialità mentale della quale facilmente si inquinano coloro che lavorano presso gli organi centrali; --- costituire un modello dell'onestà e dello ~pirito combattivo che devono animare gli stati maggiori, grandi e piccoli, e che non sempre erano stati rispettati nel passato. L'opera di selezione e di cernita richiese parecchi mesi; quando avvenne il trasferimento a Roma, ritengo che lo stato maggiore dell'Esercito si disLinguesse per lavoro anonimo, per coscienza, per modestia, per assenza cli inh·igo, per decentramento dei compiti, per iniziativa dei singoli. Ciò fu anche riconosciuto c.lalla non indulgente testimonianza della Com missione militare :1lleata di controllo. Mi trovai circondato da fiducia e da affezione, e lavorai pertanto in un ambiente di pieno affiatamento. Era mio intendimento diffondere, in tutta la categoria degli ufficiali di stato maggiore, il senso di purezza che regn ava intorno a me. Avrò occasione, in seguito, di ritornare sull'argomento stato maggiore. -

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Secondo l'abitudine sempre praticata nei comandi che ressi, impiantai la mia mensa personale con i capi ulfìcio, gli ufficiali di stato maggiore e qualche generale addetto alle commissioni d i discriminazione. Quando un su periore è benvoluto e non pesa sui dipendenti, la mensa in comune è piacevole per tutti e costituisce il riposo della giorn ata. Si crea una certa confidenza tra il capo ecl i subordinati, reciprocamente rispettosa, si scambiano le idee, si conoscono gli uomini in libertà e si <là ad ognuno un senso di serenità gradito a chi duramen te lavora e dalla propria Famiglia è lontano. Sempre a scopo d i semplificazione, abolì la segreteria del capo di stato maggiore, sostitu endola con un semp lice segretario. Questi fu il colonnello G iorgio Vicin o di Pallavicina. Egli, più che sessantenne, con altri ardimentosi, era fuv.o gito per mare dall'Italia occu pa ta, imbarcandosi a S,m Benedetto del Tron to, e verso i primi d i dicembre si era presentato a me per essere comunque impiegato. Non mi parve vero di assumere come segretario questo vecchio amico, perfetto conoscitore della lingua inglese, uomo di societ à, resistente alle fatiche e perciò in grado di -

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:seguirmi nelle mie peregrinazioni, compagno di indole allegra ed insieme riservata, col quale avrei potuto concedermi lo sfogo di esprimere liberamente il mio pensiero su persone e cose. Il che è talora una n ecessità umana per chi vive nel trambusto. Non h o avuto che a compiacermi della scelta fatta. Quale ufficiale a disposizione ripresi il capitano di complemento Angelo Binda, dopo il suo ritorno dalla prigionia, avvenuto verso il Natale 4 3. Il capitano Binda, assunto a mio ufficiale a disposizione in Grecia nel 1941 - quando da comandante della << Brennero» , la più rurale fra le divisioni italiane, fui improvvisamente promosso a rappresentativo comandante della Piazza di Atene -

mi aveva seguito in Croazia cd in

Tunisia. Fui ben lieto di riavere con mc questo uflìcialc intelligente, onesto e fedele. Bendo pubbliche grazie al colonnello Pallavicina ed al capitano Binda per il conforto che mi h anno dato di fedeltà e di devozione. Lavoro grosso, cl,e disturbò l'attività principale del capo di stato maggiore, fu quello della epur azione dei colonnelli e dei generali per il comportamento all'atto dell'armistizio. Si volle isti-

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tuirc una procedura complicata con l'intervento, dei due capi di stato maggiore. Il giudicando, passato al vaglio di una commissione presieduta dal generale Pirzio Biroli, veniva riesaminato da] capo di stato maggiore, eppoi, se gen erale, anche da] capo di stato maggiore generale, cui spettava il giudizio definitivo. Ne conseguiva che, il capo di stato maggiore, doveva ded icare gran parte del suo tempo a far processi, che non poteva rimettere ad altri poichè il giudizio si rifletteva sull'avvenire dei giudicati, mentre <l'altra parte egli, per necessità di ufficio e cli ispezione, n on disponeva delle due o tre ore quotidiane occorrenti per esprimere pareri coscienziosi in materia così. delicata. Appoggiandomi a queste ragioni, e richiesto di opinione, io mi opposi pur riconoscendone ]a elevatezza - al criterio di dare ai capi la responsabilità diretta cleJla discriminazione dei generali e dei colonnelli, e proposi che il compito fosse devoluto a commissioni particolari, de]]e quali una di appello. Non la spuntai, e dovetti assoggettarmi al lavoro che mi costrinse a limitare la mia attività in altri campi,. a mio modo di vedere n on meno importanti. A Lecce fu dato inizio al procedimento di -

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,esame e di eliminazione dei generali che, nel passato, erano stati creati con eccessiva faciloneria, ritenendo che tagli coraggiosi e procedure rapide, fin dall'inizio, per e liminare gli inetti, avrebbero _giovato a snellire l'organismo e a dimostrare l'onestà degli intendimenti nell'Esercito; e ciò anche nella speranza di evitare future sciabolate distribuite senza riguardo per compiacere i demagoghi . . Conservo un grato ricordo della Commissione centrale di avanzamento tlell' epoca, che gettò le basi del lavoro scrio e coscien·zioso compiuto, poi, anche dalle commissioni che le succedettero. Essa era allora presieduta dal generale Gazzera, mente lucilla e !:'recisa, giudice sereno ed umano assai più che non si creda. Avvenne poi che - in omaggio alla piazza assetata di sangue tli generale - un bel giorno fu promulgata una legge che rimise alla discrezionalità tlel ministro la eliminazione dei cattivi e dei buoni: il ministro borghese accontentò la piazza senza discrezione, e non credette di arrischiare u n minimo di succ~sso personale per difendere talun o di quei generali che, pure, erano stati posti sotto la sua tutela all'atto della sua nomin a a quella carica. -

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LI n., volta resomi con to della ferocia con la lJ 11 :1 k , per principio, il mondo politico perseguiLava i generali, mj proposi di essere il loro avvocato difensore e, quando interpellato, nei pareri che espressi, mi sforzai di mettere in luce tutte le ragioni a difesa. Nei casi piÚ palesi di ubbidienza a molivi di opportunismo non fui interpellato. T a]c condotta seguii per debito di coscienza e di onore, aflÏnchè almeno una parola buona giungesse a favore dei disgraziati che la politica aveva messo in condizioni dispera te, e che ora la politica condannava per indulgere agli istinti nobili della ~)sic.:ologia delle folle. Salvai taluno <la del'crimenti al giudice <la mc ritenuti immeritati, proponendo invece provvedimenti, anche gravi, di stato e disciplinari. Non tutii si resero conto dc] beneficio che arrecai loro con tal modo di procedere.

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III IMPIEGO DELLE NOSTRE FORZE INTENZIONI DEGLI ALLEATI E INTENZIONI DEGLI ITALIANI Il 21 novembre 1943 la parte maggiore dei residui dell'Esercito era dislocata in Sardegna. Abolito il comando della 7" Armai.a, restavano nell'Ttalia, cosidetta, liberata i corpi d'armata di Puglia, Calabria, Campania, e due di Sardegna facenti capo al Comando Forze Armate dell'isola. Esisteva inoltre il comamlo del LI corpo d'armata in Puglia, che raccoglieva le truppe campali giĂ appartenenti al1a 7~ Armata. In Sicilia comandavano esclusivamente gli alleati, i quali non avevano ritenuto di collocarvi alcun comando italiano ed iniziavano allora l'invio, dalla Sardegna, della divisione Sabauda per servizi di guardia e di sicurezza. -69 -


Le divisioni mobili erano: in Puglia: la Piceno, una parte della Legn ano che, provenien -te dal nord, era riuscita a raggiungere il sud nelle giornate dell'armistizio, una parte dell'Emilia proveniente dal Montenegro; in Calabria: la Mantova; in Sardegna: la Bari, la Cremona, la Friuli, la Calabria, la Nembo di paracadutisti, oltre a battaglioni varĂŹ non indivisionati; in Sicilia, come ho detto, la Sabauda in arrivo. ln totale una decina cli divisioni abbastnnza in ordine, ben comandate, discretamente inquadrate, certamente affiatate quelle di Sardegna aventi all'attivo una breve campagna onorevolmente sos tenuta che conferiva loro un certo tono di tradiziuu e guerresca. Oltre alle divisioni mobili, l 4 divisioni costiere, di valore certamente piĂš modesto, ma tuttavia utilizzabili dietro opportuna cura ricostituente, ed una infinitĂ di elementi sparsi, comandi, reparti, servizi, rimasugli di quello che era stato l'imponente, ed impotente, esercito di difesa del territorio italiano, mentre le forze vive erano state disperse in Russia, in Bakania, m Francia, nelle var ie Afriche, nella piĂš pazza -

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avventura militare e ridda strategica che la storia ricordi. Uno dei miei compiti fu di fondere nelle unità divisionali gli innumerevoli elementi sfusi, e tli ricercare e far sparire dalla circolazione comandi, comandini e uffici stralcio, che si erano installati nei paesi, dove territorialmente prosperavano. Attraverso gli abitati della Puglia e della Campania, interrogando i soldati oziosi, scoprivo questi enti imboscati e davo immediato ordine di scioglimento. L'illusione con la quale eravamo partiti dall'Inghilterra che all'Italia venissero concessi modo e mezzi per allineare, accanlo agli alleati, un piccolo esercito con fì sonomia propria, perdurava · in noi, ed io calcolavo la possibilità di tenere in piedi una ventina di divisioni, di cui dieci di pronto impiego e le rimanenti da trasformarsi per servizi ausiliari. Nella nostra ingenuità non ci eravamo ancora resi con to dei metodi alleati. Ho già accennato che esisteva una Commissione mili tare cli controllo alleata, composta di una quarantina di ufficiali; essa fu comandata, sino a metà aprile 44, da una cortese e trattabile persona , il generale inglese Duchesne.

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Nei contatti con lui avuti fin dal 15 novembre, prima ancora di entrare in carica, gli avevo prospettato la necessità, sentita dal comando italiano. di ricevere dalla Commissione alleata un programma dei suoi desiderata, all'onesto fine di darvi esecuzione in ispirito di collaborazione (v. appendice I3). Richie<levo inoltre, allo scopo di mettere un po' d'ordine nelle nostre truppe : la disponibilità dei magazzini vestiario del la Sicilia, dove mi risu ltava esistessero, forse, 100.000 serie di vestiario, la assegnazione tli 300.000 paia di scarpe e la assegnazione all'Italia di un piroscafo per il servizio traspo.cti tra Sardegna e Napoli, essendo la Sardegn a il serbatoio delle nostre disponibilità. Non fu mai possibile ottenere questo programma chiaro e completo. Con noi, gli alleati hanno dimostrato di difettare del senso dell a previsione. Invece la commissione andò assumendo Luni sempre più imperativi e, con ordini perentori, spesso non preceduti da consultazioni, prese a manipolare i l nostro povero esercito come se si fosse trattato di chicchi di grano. Avevamo voglia cli dir loro che l'indole ita liana è tale per cui un soldato, lasciato nel suo reparto, col suo paesano e col suo uffìciale, rende molto di più -

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che se scaraventato in un reparto sconosciuto :· imperterriti, quelli, continuavano a disfare una buona divisione combattente, o una preziosa unità carrista, per trarne scaricatori di porto o eone.lucenti di muli. La presunzione del militare vincitore sbattacchiante la sciabola non avrebbe· potuto trovare più limpida espressione. Con danno degli alleati, beneinteso. Nel dicembre 43, coi materiali e coi quadrupedi di cui disponevamo e ricevendo aiuto di vestiario e di foraggi , avremmo potuto mettere insieme le circa dieci divisioni impiegabili che ho detto, di cui quattro da montagna. Sarebbe rimasto da risolvere, è vero, il problema delle munizioni: ma n on sarebbe stato difficile, valendoci degli stabilimenti di N apoli e LÌelle dircz.io11i Ji a rLi glieri a, allestire macchinari per la fabbricazione di determinati tipi di rroiettili. F.' inu tile considerare quanto sarebbero state preziose per gli alleati, attrezzati per il deserto e nuovi ai monti, alcu,ne divisioni italiane attrezzate per la montagna, an imate da un trattamento generoso, valorizzate n ella loro capacità organizzativa, quando gli alleati si trovarono alle prese con le giogaie appenn iniche della linea G ustav o della hnea gotica. -

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Tutto lascia supporre che la valle del Po sarebbe stata raggiunta entro il 44. Gli alleati, all'inizio, si preoccuparono di una cosa sola : avere della manovalanza, prelevandola comunque, a costo di rovinare qualsiasi orga11ismo: non altrimenti agirebbe chi, per sollevare l'acqua di un pozzo, sottraesse il motore di u na magnifica Alfa Romeo. Noi invece, Governo, Messe, Orlando ed io, avevamo un'unica mira: mandare a combattere quanti più italiani fosse possibile. Per ottenere la manovalanza gli alleati cominciarono ad assorbire le divisioni ex costiere, ma vi cacciarono dentro anche ottimi reggimenti di fanteria, per esempio il 114°, ed il 67° ch e, pure, aveva combattuto sulla strada di Monte Cassino. Ho già detto che gli alleati mancarono con noi del senso della previsione e che trattavano gli uomini come chicchi di grano. Per questa ragione, e non per cattiva volontà, essi n on seppero organizzare la man ovalanza che stava pur tanto loro a cuore: non vestiario, non viveri, non alloggiamenti possibili, non trattamento adeguato, continue deprimenti mortificazioni. D a ciò - naturalmente - fughe degli uomini, lamen -

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tele, malattie e, in complesso, un cattivo rendimento del soldato. Qualunque modesto impresario non sarebbe caduto in altrettali errori. I mille comandi alleati che pullulavano nelle ville italiane cominciarono, per conseguenza, ad emanar lettere fulminanti contro i comandi italiani, quasi che le sfuriate abbiano il magico potere di eliminare le colpe. Il buon Duchesne mi diceva: « Signor generale, ora debbo dirle una cosa seria: cesso per un momento di essere Duchesne e <livento il capo della commissione di controllo ». Miglior pasta d'uomo non potevo incontrare. Così stando le cose fu da noi istituito l'ispettore della manovalanza, alla dipendenza dello stato maggiore, nella persona del gen erale M.attioli. Con molto buon senso, con molta attività, egli prese contatto coi i vari distretti, aree, subaree alleate, diede vita ac.l una assistenza., richiese e ricevette distinti ufficiali , conferì una fìsonomia alla organizzazione, ottenne razioni e vestiario e sistemò le cose veramente bene, con piena soddisfazione degli alleati stessi. I quali, peraltro, non appresero che gli italiani in casa propria fanno le cose molto meglio che gli inglesi in casa d'altri. -

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Problema assai arduo fu quello <li mandare a combattere quanti piĂš italiani fosse possibile. I fattori che influivano su di esso erano complessi e si possono cosĂŹ riepilogare: - non deve recar meraviglia se, dopo tante delusioni e tanto sbandamento, le volontĂ di combattere fossero assopite ed occorresse un metcxlico lavoro per risvegliarle, come difatti poi avvenne; - le divisioni dell'Italia continentale vivevano in mez:w agli sban dati, ai reduci, alle famiglie deluse, ai partiti agitantisi e vomitanti odio, in ambiente non atto ad elevarne il morale; - le divisioni della Sardegna, che vivevano in ambiente piĂš sano, non potevano venire in continente per mancanza di mezzi di trasporto, gestiti tutti dagli alleati; - il vestiario della truppa, specialmente le scarpe, erano in condizioni pietose, il vitto insufficiente; - gli alleati non avevano gran desiderio che noi prendessimo parte alla guerra come combattenti. Essi, invero, spedivano in Jugoslavia le nostre nuovissime serie di vestiario della Sicilia e le nostre mitragliatrici, quelle stesse che, n el -76 -


1945, si trovarono puntate contro, al confine giulio. Eppure bisognava andare a combattere se volevamo gettare le basi di un qualsiasi avvenire. J partiti, nella loro incoscienza e nella loro incapacità organizzativa, facevano quanto era loro possibile per togliere all'Esercito q ucl tanto di c.lisciplina e di dignità che tuttora sussisteva; salvo poi, giunti a Roma , a sbraitare che volevano l'annata italiana pronta a schierarsi a fianco degli alleati. Benedetto Croce dava l'esempio nel discreditare le nostre forze regolari e vagheggiava, col generale Pavone, sogni di volontari repubblican i. Non hisogna pensare che gli alleati ci disprezzassero del tutto e pensassero di poter fare a meno di noi. N el seno degli alleati esistevano varie correnti determinate dalle tendenze delle puhbliche opinioni dei loro paesi: ora prevaleva l'una ed ora l'altra, e non è da escludersi che si facessero la forca a vicenda. La corrente J\lexandcr, per esempio, ed in genere la corrente dei combattenti, di coloro cioè che affrontavano la concretezza della guerra, aveva capito la convenienza di utilizzare le truppe di un esercito ch e -

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si era battuto contro di loro con la maestria e la: bravura de1la I" Armata in Tunisia. Ma i rappresentanti delle retrovie, M .I.I .A. in testa, erano ccn trari alla partecipazione attiva dell'Italia alla guerra ed ostacolava.n o i nostri sforzi diretti in tale senso. Del resto ciò capita in tutti gli eserciti: le retrovie non capiscono sempre le necessità e l'anima della gente che è sul la breccia. Comunque bisognava mandare gli italiani a combattere. Quando eravamo giunti in Italia avevamotrovato un Raggruppamento Motorizzato in cos6tuzione ad Avellino e l'intenzione di appron·tare, entro due mesi, la D ivisione Legnano (67° e 68° Fanteria) dislocata a Manduria. Ben iJl'CSto dovemmo accorgerci che sarebbe stata gran ventura riuscire a mandare in linea i pochi battaglioni del I° Raggru ppamento Motorizzato, perchè quanto esisteva della legnano era appena rr . surnc1ente a comp]etarc e a mantenere a numero il raggruppamento : a meno di fare appello alle divisioni della Calabria o della Sardegna, o ai prigionieri, il che era e.la escl udersi. Il R::iggruppamento era stato assegn ato al comando di un volonteroso generale di brigata, ed era stato co-..

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-s6tuito, mettendo insieme clementi di varie divi.sioni, su quatrro battaglioni, di cui due di bersaglieri e due del 67° Fanterìa, oltre ad una mezza dozzina di batterie da 75 e da I 00. Per completare i bersaglieri si attinse ampiamente ai bravi · studenti allievi ufficiali riuniti in una scuola ad Oria. Essi fecero onore alla classe studentesca italiana, perchèf seppero vincere il disorientamento dell' ora, si presentarono volontari in numero rilevante e seppero morire. Con la loro generosità essi mossero i primi passi verso la resurrezione della Patria. D ella quale avete molto · più meritato voi, o allievi u(Iì.ciali del .Curtat onc e M ontanara, dei parolai clel congresso <li Bari. E' umano ed è spiegabile che, nel n ovembre 4 3, fosse scarso l'entusiasmo di combattere. Il ritorno in linea, dopo le speranze d' pace del 25 luglio e dell' 8 settembre, rappresentava una delusione. N ello sconforto, peraltro, u n sentimento animava i combattenti del Raggruppamento, gli ufficiali e gli studenti: la fede nel Re e nel giuramento prestato, unica tavola di salvezza nel naufragio. Poteva essere giusto od -errato, poteva piacere o non piacere, ma il dovere

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verso la Patria, in quella tragica situazione, imponeva di utilizzarlo. Ebbene, gli odii settari che si autodefinivano nazionali, si accanirono a demolirlo, incapaci di rendersi conto che nessun sentimento improvvisato avrebbe potuto sostituire, in una collettività, un sentimento atavico, prodotto di una storia secolare. Al pari del fascismo, padre premuroso dell'antifascismo, questo ignorava la santità dei secoli e disprezzava la storia. Fra tali difficoltà mandammo i soldati a combattere: nel nome del Re, ignorando le sette, essi vi andarono per senso del dovere e si fecero onore. Il Raggruppamento entrò in azione il 9 dicembre a l\ilonte Lungo, tra Mignano e Cassino, inquadrato in una division e americana. L'azione, male impostata dal comando al leato, spinse avanti, verso la punta di un saliente, sui fianchi. pelati éli una montagna avvolta da altri monti occupati da forze tedesche, i battaglioni del Raggruppamento, senza che concomitanti azioni americane neutralizzassero guell' avvolgimento. L' azione fu veramente un esame dato dagli alleati al valore italiano. 11 valore italiano superò la prova. Ma avvenne ciò che doveva avvenire:

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i nostri avanzarono, furon presi di fianco dai fuochi tedeschi, ebbero notevoli perdite e ripiegarono scoraggiati. Scoraggiati i soldati per la loro virtù punita , scoraggiati gli u{Iìciali per i loro sforzi non coronati da successo, scoraggiato il comando del Raggruppamento per la fortuna che non aveva arriso - per colpa non sua agh sforzi generosi, ed assalito dal dubbio, atroce per un comandante, che il Raggruppamento non fosse più in grado di rimanere in linea. Qui si manifestò l' affettuoso cameratismo d' anni del generale Clark, comandante la Sa Armata american a. Si tratta di sentimenti ai quali soltanto i soldati sono sensibili, là, sulle prime lin ce, dove i rancori politici tacciono. Il generale Cb rk, con un suo online del giorno, elogiò il Raggruppamento italiano. Poi disse al gen erale che lo comandava: « voi non tornerete indietro, per ora; voi ripeterete l'azione meglio aiutati; dopo che avrete ricouguistato Monte Lungo, sare·t e ritirati e riordinati » ..Col ch e riconosceva implicitamente l' errore di impostazione. Senza espressioni mortilìcanti per gli italiani, egli supplì, con la sua buona energia, allo scoramen to del comando itali ano. L'atto fu delicato -

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e degno di gratitudine. L' azione fu ripresa il I 6 dicembre, meglio coordinata,e Monte Lungo rimase stabilmente occupato dagli italiani. Allora il Raggruppamento venne ritirato nella zona di Sant' Agata dei Goti e si procedette al suo riordinamento. Durante una riunione di militari tenuta a Salerno il generale Mac Parlane, capo della missione alleata in Italia, avutane autorizzazione dallo stato maggiore di Washington , concesse che il corpo si chiamasse col nome, da me proposto, di Corpo Italiano di Liberazione. Gli alleati intendevano che questo corpo non superasse i 12.000 uomini. Essi ragionavano per razioni. Su di una forza concessa all' Esercito italiano di 312.000 u omini, essi ne volevano per sè, sotto forma di manovalanza e lavoro, circa 20.000. Il resto doveva essere ripartito tra le forze di amministrazione (comandi, distretti, servizi, ecc.), divisioni di sicurezza interna (Sicilia e Sardegna): come forze combattenti, sino all'agosto, furono soltanto ammessi 12.000 uomini. Con vari stratagemmi lo stato maggiore italian o ne fece invece combattere quasi 25.000. Il sistema di ragionar per razioni trovava il suo fondamento nel concetto politico di tener -

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l'Italia per la gola, o per la fame che dir si voglia. Mercè il rubinetto delle razioni i vincitori costringevano l' Italia al laccio e, in mancanza di altre fonti di rifornimento, l' Italia era una schiava impossibilitata di seguire una politica propria. Lungi da me il pensiero di non riconoscere logico l'atteggiamento de] vincitore verso il vinto. Ho voluto solamente prospettare, senza equivoci, le condizioni nel1e quali dovemmo lavorare. Come trovò modo lo stato maggiore italiano di raddoppiare il numero dei combattenti concessi? Cacciando nel Corpo Italiano di Liberazione tutto ciò che, legalmente o illegalmente, racimolava, valendosi dell'appoggio dei comandi alleati in linea e giocando sull' eterno dissìdio fra linea e retrovia. Bisogna sapere che i comandi in linea, a cominciare dal più elevato cl i tutti, mal potevano soffrire la M.l.l.A.: essi la chiamavano mamma mia. Un generale americano mi raccontò la seguente storiella. In un club inglese, tra un gruppo di signori, ve ne è uno che non fa che grattarsi il gomito sinistro con ]a mano destra, e tutti lo osservano. Quando egli se ne è andato qualcuno chiede se eg1i sia af-

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fotto da scabbia. « No - replica un altro egli soffre di tutt' altro male, altrove dislocato, ma siccome è stato vari mesi alla M.I.I.A., non capisce più niente e non distingue più le parti d cl corpo » . 1 comandi in linea, aventi alla loro dipendenza il Corpo Italiano e responsabili delle operazioni, accoglievano volentieri quanta più forza fosse loro inviata. Lo stato maggiore italiano racimolava ccl inviava : la M.I.I.A. si arrabbiava e lo stato maggiore la lasciava fare. Fin dal novembre 43, visitando nel Leccese i campi di concentramento degli sbandati, avevo scoperto degli alpini, dei bersaglieri e dei paracadutisti di varia provenienza: gente, per cause diverse, sorpresa in Italia dall',mnistizio mentre stava per salpare verso ]a Balcania, dove erano dislocati i corpi di appartenenza. Q uesta gente era stata riunita per specialità a Nardò, a Presiccc e a Casarano, come dirò in capi~olo a parte. In complesso, si trattava di elementi disorientati dagli avvenimenti, con la presenza di un certo numero di svogliati e di qualche facinoroso: n egli alpini taluni spiriti ribelli, di quei tipi piemontesi dal guardo torvo e dagli occhi impassibili che, quando ci si met-

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tono, sono brutti. Ricordo che un giorno, durante una mia ispezione a Nardò, ebbi proprio la sensazione che la ribellione avesse a scoppiare, un po' per le circostanze ed un po' per insuffiden ti previdenze: soltanto inviando prontamente indumenti e viveri, eppoi cambiando di sede il battaglion e e trasferendolo a Cisternino, fu possibile rimetterlo in carreggiata. Epurati ed istruiti a traverso tali peripezie, questi clementi costituirono, tra l'altro, il Battaglione Piemonte e furono i primi ad andare a ingrossare il Corpo ltaliano di Liberazione: tutti si fecero onore, ed in particolare gli alpini, a Monte Marone. T ali sono gli italiani. La Marina desiderava costituire un Reggimento San Marco. All' uopo essa disponeva di un ottimo personale, bene equipaggiato perchè la Marina ha sempre tutto, e c'era intera la convenienza militare e nazionale di utilizzarlo. Jo poi sono legato, per il mio passato, da particolare attaccamento alla Marina e non mi parve vero -di dargliene la prova. Anche il Battaglione San Marco, costituito per primo, fu mandato al C orpo. Pure l' aviazione aveva messo insieme un ma-

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gnifìco battaglione, il Duca d' Aosta: fìor di gente, tra cui molti piloti, pieni di fegato: tra essi una medaglia cl' oro. Della formazione si era particolarmente interessato il Maresciallo Messe, il che aveva dato sui nervi alla M.I.I.A., che non poteva soffrire Messe. Per tale isterismo di zitelJona, o che non le piacesse il nome Duca d'Aosta, o che covasse risentime~to perchè la cosa era stata portata avanti a sua insaputa, sta di fa tto che la M.I.I.A. non volle saperne di impiegarlo, ed il battaglione dovette essere sciolto. E così avvenne che, un blocco di gente desiderosa soltanto di combattere e tagliata apposta per combattere, ebbe la proibizione di andare a combattere, mentre nello stesso tempo gli stessi alleati si aifannav::in o a ricercar gen te animata <lal

solo ·desiderio di restare alla propria casa. Che farci? 11 mondo è così e a noi non restava che prenderlo come è.

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IV \

IL RECUPERO DEGLI SBANDATI Ho accennato, precedentemente,·ai campi cli concetramento degli sbandati e credo utile dedicare un capitolo a questo argomento - anche se esso nel 1943 esulasse dalla stretta competenza dello stato maggiore dell'Esercito ·_ per divulgare una volta di più di che cosa siano capaci gl i italiani quando un ideale li guidi cd una disciplina interiore li sonegga. Ed invero, il merito della raccolta e del ricupero di tanti pover i esseri buttati alla deriva dal turbine che li aveva travolti, risale a pochi ufficiali volenterosi, che non attesero ordini ed aiuti, ma ricercarono in sè le energie con le quali far fronte all'impossibile. Mi piace citare, tra altri, il generale Reisoli ed il colonnello Ronco, il quale già si era reso a ltamente benemerito nella campagna di Sicilia. Il problema degli sbandati si presentò nella -

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sua imponenza subito dopo l' 8 settembre : si trattava di decine di migliaia di soldati trovatisi, per ragioni varie, tagliati dal corpo cli appartenenza, privi di mezzi di sussistenza, molti vestiti in abito borghese, racimolato chissà come per sfuggire ad obblighi ingrati, aITTuenti ai centri cli raccolta allo scopo principale cli non morir di fame, ed in buon numero decisi a rimanervi il meno possibile. All'idea, in essi spontanea, che l' epoca degli obblighi militari del cittadino fosse ormai tramontata, si aggiungeva l'opera di una subdola propaganda sulla inutilità di ricostituire un esercito italiano. Lascio immaginare le condizioni di denutrizione di questi miseri, le malattie dalle qu ali erano affetli, le selvose loro barbe e capigliature d ove si an n idavano insetti

fomiti di altre malattie e di diffusioni infettive. Tale essen do, non dirò la materia prima da lavorare, ma l' umanità da bonificare, guali erano i mezzi a disposizione per la bonifica?... ln primo luogo i generali ec.l i colonnelli di cui ho fatto parola, animati di sano amor patrio, di senso di responsabilità e di fantasia costruttiva. A loro disposizione quasi nessun ufficiale di servizio permanente effettivo, ad eccezione di q ualche -

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vecchio disb·cttuale più di impaccio che di aiut o, pochi capitani e numerosi giovani subalterni di complemento, ignari del mestiere, affiitti da un penoso senso di abulia che li rendeva incapaci di interessarsi, non dico dei dipendenti, ma addirittura di se medesimi . Rare le caserme, maldisposti gli abitanti a cedere scuole, o peggio, locali privati. lnsuff-ìciente la paglia disponibile, scarsi i viveri, interrotto l' acquedotto pugliese, introvabili 1c marmitte, le gavette, le posate, le tazze. Non magazz.ini militari a portata per uniformi e scarpe; non infermerie, nè medicinali, nè medici, nè forbici per tagliar le chiome, nè rasoi per raschiar le harbe. ìn presenza <li tanti bisogni e di tanta miseria, entrò in gioco l'iniziativa dei capi, suffragata da pazienza e da costanza. Ho detto fantasia costruttiva e iniziativa? ho detto male: avrei dovuto parlare di caTità, termine più appropriato che sorpassa, in elevatezza ed in calore, tutte le frasi fatte del vocabolario militare. Furon trovati i locali, anche con l' imposizione, e racimolata la paglia; un'improvvisata industria del ferrovecchio ricavò marmitte da botti di benzina, gavette tazze e cucchiai da scatolame <li rifiuto, -

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pezze di rattoppo da vecchie scarpe abbandonate. Furono aperte infermerie dotate di una certa abbondanza di paglia e di ranci caldi adatti ai degenti: i pochi medici lavoravano dal mattino a tarda sera; gli abiti venivano disinfettati facenJoli bollire in appositi pen toloni, i barbieri furono messi a11' opera con strumenti rudimentali. Quanto sopra organizzato a forza di ripieghi, con limitata affiuenza di viveri dagli stabilimenti militari, ridotti anch' essi in condizioni di indigenza. La subdola propaganda, negli ultimi mesi del 1943, non proveniva tanto dai partiti sovversivi <lai quali, anzi, uscĂŹ poco dopo la prima parola di distensione, quanto da uno spiri to cli odio contro il passato, senza la distin zione di buono e di cattivo. In contrasto con quella propaganda, la volontcrositĂ dei pochi sorretti dal sano amor di Patria, dalla bonifica materiale seppe risalire alla rigenerazione morale, per estrarre, da una massa lĂŒi sban dati ribelli, un complesso di soldati sensibili alle voci del dovere e del sacrificio, capaci di alimentare l' ulteriore sforzo bellico, imprescindibile necessitĂ per le sorti d' Itali a. Fu questa -

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la fatica più ardua, dove si manifestò l' arte di comando dei pochi volontari. Per prima cosa si provvide alla rigenerazione dei quadri. Nelle scuole di reclutamento (compresa l'Accademia Militare de' miei tempi) si insegn avano tante belle cose e tante arti m ilitari: ma lo studio delle anime e l' arte di dirigerle eran. trascurati come nozioni superflue: non deve recar meraviglia, pertanto, se ne uscivano ufficiali e sottufficiali capaci, forse, di recitare un brano di dottrina tattica, ma di ma5sima impreparati ad intendere il soldato ed a farsi da lui intendere. Bisognò dunque iniziare i quadri alla mission e educatrice, n uova per la maggioranza di essi, ma che in quel momento era tutto, e al1' ordine amministrativo, quanto mai necessario a non disperdere le limitatissime risorse. Nacquero così - a lume di candela - gli uHìci {l' energia elettrica era un riéordo ed una speranza), vennero stilate le prime istruzioni; i soldati intesero dimenticate parole di fede e cli amore; la famiglia non fu più presentata come un illusorio rifugio da raggiungere ad ogni costo, bensì come up. bene da proteggere e da difendere; a traverso l' opera dei cappellani il Dio

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cristiano tornò ad essere oggetto di venerazione e di fiducia, e non più o non soltanto di dileggio e di bestemmia. Dal le fìla rigenerate si vedevano uscire a decine, gli uomini che chiedevano di potere ancora combattere e morire, se necessario, per il loro paese. Seguì, con avveduta delicatezza, il richiamo alla disciplina: alla ammonizione. alla costrizione, alla punizion e, anche quando richieste dalla prassi regolamenLare, occorreva sostituire la promessa, la lusi nga, l'esortazione, la persuasione, alle quali l' anima italiana non è sorda. Furon ripristinati i l risp etto, l'ubbidienza, la docilità, la rorma. fou allora possibile procedere ad una attività addestrativa che ridesse il senso della co llettività organizzata, del moto sa lubre, deìl' uso delle armi, armi preziose rinvenute chissà dove, che avevano lo scopo non tanto istruttivo all' arte hcllica - povere armi! guanto morale, .di distinzione del militare dal borghese inerme, e di fiducia nella propria capacità di cosciente impiego del moschetto e dell a mitragliatrice. Il lavoro così sommariamente descritto era poi complicato da circostanze disparate: tali le -

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distanze tra accanton amenti dislocati nei centri abitati della campagna pugliese priva di cascinali, la mancanza di mezzi di trasporto e di collegamento, l' incessante rotazione del variabile ed oscillante personale di passaggio, costituito dai rientrati dai luoghi di cura o da licenza, c.lagli inviati in congedo, dai ricuperati dalle assenze arbitrarie, dai provenienti da altri reparti : le provvidenze amministrative furono messe a dura prova. Con tultociò gli ufficiali, affczionatisi al loro compito n obile e scabroso, avrebbero desiderato coronar l'opera portando alla mèta del combattimento i loro rigen erati battaglioni. 11 ch e non fu possibile a causa delle grandi unità già costituite e delle esigenze di impiego del personale imposte dagli all eati. Nei primi mesi del 44 i raggruppamenti anelarono esa urendosi e gli ex sbandati furono riversati, in buon numero, quali complementi, nel Corpo Italiano di Liberazione prima, nei Gruppi di Combattimento poi e nelle divisioni ausiliarie, e contribuirono anche essi a quelle concrete manifestazioni di attività combattiva e lavorativa che valsero, più di ogni altra cosa, ad una valutazione realistica delle gua-

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litĂ del nostro popolo: alla rigenerazione degli sbandati seguiva la rigenerazione dell'Italia. Il riconoscimento veniva dal basso : quelle stesse popolazioni che, nel settembre '43, erano state ostili alla raccolta degli sbandati, accorsero numerose acl acclamare entusiasticamente i reparti partenti: soldati e civili si abbracciavano piangen<lo, fusi nella stessa fede e nello stesso amore. In quei disciplinati reparti le popolazioni vedevano la realizzazione e.li un miracolo, mentre a ltro non erano - come scrisse n ella relazione fĂŹnale uno dei comandanti - che il frutto di un diuturno, tenace, logorante Lavoro, compiuto in circostanze che sarebbero bastate, da sole, a deprimere meno dure volontĂ e meno forti caratteri .

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V

IL CORPO ITALlANO DI LIBERAZIONE Il riordin amen to del Corpo fu preceduto dal conferimento, per ragion cli grado, del comando di esso al generale Utili, che superava per intelligenza, fantasia e volon tà la media dei nostri generali. Sapcya di valere, era ipercritico, si prendeva libertà molto spin te di apprezzamen ti, e non era inferiore comodo. M a era uomo che si reggeva da sè, che si faceva benvolere dai dipençlenti, che sapeva imporsi con dignità agli alleati, che aveva combattu to in Russia e conosceva che cosa fosse la guerra. Egli risolse con la propria testa gli ardui problemi del Corpo di Liberazione, ed aprì la strada ai Gruppi di Combattimento ed a quanto conseguì dalla partecipazione clell' Italia alla guerra contro i tedeschi. L'Italia ignora quanto essa debba a questo generale; prova ne :~ia che taluni giornali non mancarono di attaccarlo -

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con la malafede di chi parla o scrive per partito preso. Fu anche deciso di rinunciare alla costituzion e della Divisione Legnano e cli destinare invece il 68° Fanteria all a sostituzione del 67°, che aveva bisogno di riposo. Se il 67° fosse stato mantenuto in efficienza, si sarebbe potuta stabilire una opportuna rotazione tra i due: ma gli all eati si affrettarono a trasformarlo in manovalanza. Essi sarebbero stati capaci cli prendere uno Stradivari per accendere il fuoco. JI mese di gennaio fu utilizzato per raccogliere le sparse membra del nuovo Corpo che, verso metà febbraio, rientrava in linea, alla dipendenza degli alleati, alle Mainarde. Ho già detto che la parte maggiore, l.: raccolta in ambiente più san o, <lcl nostro Esercito era quella dislocata Lra la Cabhria e la Sardegna : in questa isola alle divisioni Cremona, Friuli, Bari, Calabria, Nembo si univano un Raggruppamento Granatieri e<l un corazzato, uno Alpini di classi anzianissime e cinlJUe o sei divisioni ex costiere. In totale dai l SO ai 200.000 uomini, sui quali gli alleati avevano già posto gli occhi per ricavarne manovalanza, e cont.ro i quali si -

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:appuntavano le ire dei sardi, perchè sembrava loro che i soldati sottraessero tutto il cibo dell'isola. Larghi strati della popolazione italiana, e dell'Italia ufficiale in specie, hanno in ogni tempo sopportato, non mai amato, il loro Esercito, e volentieri hanno colto le occasioni propizie per ignorarlo o per umiliarlo. Conviene poi osservare, a titolo di vana esperienza storica, che è a ltresÏ periodicamente accaduto che, coloro i quali lo hanno maggiormente bistrattato, hanno poi preteso che esso facesse ottimamente la guerra: i Bissolati del 15, i fascisti del 35 e del 40, i comunisti e gli azionisti del 44 e 45. Il che, sotto un certo riguardo, è stato una fortuna, in quanto il n ostro Esercito soltanto in se stesso ha trovato le proprie virt1\. Nell'intento di riunire le sparse forze in poche unità , e nella pertinace illusione <.li pervenire a costituire un piccolo esercito italiano combattente, avevo raccolto, in una divisione tipo motorizzato, i granatieri ed il raggruppamento corazzato: esso ebbe vita dall'aprile alI'agost<? 44. Quanto agli alpini, si trattava di sei battaglioni territoriali, dislocati nel Gennargentu, dove attendevano a lavori stradali: eran soldati sen, 4.

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ubbidienti, lavoratori: pensai di trarne un secondo battaglione da affiancare al Battaglione Piemonte del Corpo Italiano di Liberazione: nacque così il Battaglione Monte Granero, che nel maggio raggiunse la sua destinazione. Di parte alleata, in Sardegna era dislocata una unità americana cli aviazione da bombardamento, comandata dal generale Wetsber, cui incombeva anche il comando militare dell'isola. L'ufficiale americano addetto ai servizi e trasporti era il colonnello Simmons, che si dimostrò nostro amico sincero, come avrò occasione di precisare. Comandante militare italiano rimase, sino al iuglio, il generale Magli, uomo quadrato, fermo, onesto, l'opera del quale meritò ogni plauso. Fino al marzo egli ebbe anche la responsabilità del governo civile e degli approvvigionamenti per la popolazione: disimpegnò tali compiti con soddisfazione di tutti. Nel marzo fu destinato, quale alto commissario per la Sardegna, il generale di Aviazione Pinna, mio antico compagno di reggimento. Io vidi le truppe della Sardegna in due ispezioni che feci verso il Natale 43 e verso la Pasqua 44. Ehhi modo, in tali circostanze, di per-

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,correre l'isola in lungo ed in largo: nel giorno di Pasqua dovetti recarmi col genere Wetsber ad una festa folkloristica a Desula, in pieno Gennargentu. Nell'occasione assistetti ad un episodio che accrebbe il mio scetticismo sulla capacità ,di amor patrio cli tanti italiani: a D esula fummo invitati a pranzo da una famiglia di cui faceva parte una maestrina assai desiderosa di farsi apprezzare; su di un canterano era issata una bandierina degli Stati Uniti: il generale W et.sber notò che le stelle della bandierina erano A9, invece delle 48 rituali. La maestrina si affreuò a dichiarare, con compiaciuto accento : « la 49' ce l'ho messa io ». Le nostre divisioni più efficienti erano la Cremona e la Friuli, ben comandate dai generali Primieri e Pedrotti: esse avevano preso parte alla campagna di Corsica e possedevano addestramento e compattezza ragguardevoli. Le con·sideravamo le pupille dei nostri occhi per il loro eventuale impiego a fianco degli alleati; ma gli alleati, sino all'agosto, non ebbero la minima intenzione di impiegarle ed anzi ci misero, al solito, le manacce inesperte per depredarle di ogni .ben di Dio ed in particolare del personale auti_ 99 _


sta e meccanico, che venne in viato alle unità df manovalanza. Dio li perdoni. Quando poi, nel1' agosto, si decisero a trasformarle in unità di combattimento motorizzate, non sapevamo, nè essi sapevano, dove dare del capo per rifornirle dei necessari autisti. Fu soprattutto malmenata la Friuli, alcuni dei cui battaglioni, alla fine di giugno, furon trasportati in Puglia a mietere il grano. Immagini il lettore dove andò a finire la compagine di quei battaglioni: eppure quando essi, n ell'agosto, ritornarono alla divisione, fw:on ripresi alla mano, e dal febbra io all' aprile 45 combatterono onorevolmente in Romagna. T ante sono le en ergie e le capacità dei nostri comandanti e dei nostri uomini: sole speranze del risorgere della nostra Italia nel saJismo Ji Jislruzione che animò le sètte negli anni dal 43 al 46. Una divisione tutta particolare 11er caratteristiche proprie era la Nembo. Essa era stata costituita nella specialità paracadutisti, nel clima di euforia che, indubbiamente, il fascismo aveva suscitato, con uomini dal fegato sano, se pure raccolti senza andar troppo per il sottile, dotati della spavalderia propria dei soldati destinati ad un particolare sbaraglio: gente che, in combatti-

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mento, è subiime, ma che in pace procura seccature. /\11' armistizio dell'8 settembre, un battaglione della divisione si era nettamente distaccato dai capi, ed era passato ai Fascisti ed ai tedeschi; era anche avvenuto il doloroso episodio dell'uccisione del capo di stato maggiore della divisione, tenente colonnello Ilechi, il quale, in quel la circostan za, avev3 cercato cli fare opera di persuasione. Durante le operazioni condotte contro i tedeschi in Sardegna, dal 1'8 al 20 settembre, la Nembo aveva rappresentato un fastici io per il Comando italiano, poichè non soltanto non aveva potuto essere impiegata, ma aveva dovu to essere sorvegliata. Gli alleati tenevano la Nembo in grande suspicione. Si credette opportuno cambiarne il comandante. Dopo due giorni dal mio arrivo in Italia mi si era presentato, col basco del paracadutista, il generale Morigi, cavaliere olimpionico, scavezzacollo emerito, dal superbo passato di guerra, e mi aveva dichiarato di voler essere impiegato dove ci fosse da menar le mani . E ra il tipo adatto, e lo feci destinare senz'altro a capo della Nembo. Egli ispezionò un battaglione paracadutisti che era in Puglia, eppoi partì per la Sardegna . Si mise sotto con passione, epurò, -

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armò, Fece lavorare i paracadutisti come cani, li p ortò in scena in rivista satirico sentimentale. fondò un giornale paracadutista dove prese in giro il borghese e l'uomo politico, si attrasse le ire dell'uno e dell'altro, fu tacciato di fascismo e alla fine della guerra, per delusioni sofferte. si iscrisse clamorosamente al partito socialista. Contuttociò egli diede vita ad una divisioncella ,di prim'ordine, piena di spirito, di ardire e di fiducia, composta di uomini solda6 nell'anima, generosi e affezionati, se compresi. In occasione di una mia visita mi fecero una fotografia e me la inviarono con la seguente dedica: « Folgore al suo Beran.li ». Conservo la fotografi a come uno dei cari attestati della mia carriera. Ad un certo momento gli allea ti espressero il desiderio che la Nembo cambiasse nome, a causa delle troppe prodezze che essa aveva compiuto anche a ]oro danno, ed accettarono il nome di Folgore, p erchè la Folgore paracadutista aveva valorosamente combattuto contro di loro in Africa Settentrionale. N on si può negare che, in questo loro capriccio, aleggiasse uno spirito di cavaller ia. Essi avevano ben compreso il valore di uno strumento bellico qm le la Folgore, pure avendo-

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ne un po' paura per i precedenti fascisti. Il l\1laresciallo Messe lavorò con abilità , e la M.I.I.A. si comrinse del la convenienza di fare entrare in linea la vecchia I embo con etichetta nuova. I1 trasporto in continente si protrasse sino al maggio. Frattanto la divisione si istruiva e si amalgamava. Il 4 maggio il primo battaglione era già a bordo per la traversata, con grande nostra soddisfazione per il successo, quando, improvviso, da Algeri giunse l'ordine di sospensione della partenza e di scarico del battaglione. Lascio immaginare il n ostro disappunto, aggravato dalla preoccupazione che i lembo si seccassero e ne combinassero qualcuna grossa delle loro. Fui spedito in aereo a Cagliari, insieme col capo della M.I .I.A. , per chiarire la cosa, ed in quella occasione ebbi la prova della sincera amicizia per l'Italia del colonnello americano Sirnmons. l a faccenda era andata cosÏ. Fra i tanti pettegolezzi circolanti in Sardegna, era corsa voce che fosse intendimento della Nembo cli imbavagliare gli equipaggi delle n avi che la trasportavano, e di dirottarle su Livorno per offri rsi alla repubblica sociale Fascista. La voce era giunta alfe orecchie all'ammiraglio italiano comandan te -

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della base marittima della M addalena: dovevano servire al trasporto due nostri incrociatori leggeri. Nella sua preoccupazione per la sorte delle navi, l'ammiraglio non riHettè abbastanza alle ripercussioni che avrehbe avuto, per l'Esercito e per la N azione, la mancata partenza della N embo, e, anzichè riferire i suoi dubbi al comandante italiano dell'isola, o all'alto commissario politico, ne parlò all'ufficiale di marina inglese di collegamento, il quale si nlfrettò a comunicare gli stessi duhhi ad Algeri ; donde l'online cli sospensione della partenza. G ià, prima del nostro arrivo, tanto l'alto commissario Pinna, quanto il gene· rale Magli, avevano dato le più ampie garanzie circa l'infondatezza della voce. Anche le autorità militari americane erano arra bbiatissime, perchè avevano visto il lavoro compiuto per la N embo e dall a N embo, se ne eran o un po' inuarnurati , e si erano adoperati in tutti i modi per inviarla al suo destino naturale, la battaglia. Il genera le W etsber era partito in volo per Caserta ed Algeri onde chiarire l'equivoco, mentre il colonnello Simmons si era offerto di imbarcare col primo hattaglione, così come, da parte sua, aveva pur fotto il generale Magli. F.sau-

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rita l'inchiesta, chiarite le cose, fu ridato l'ordine di partenza: il 20 maggio il l.84° Paracadutisti entrava gloriosamente in linea sull'alto Volturno (M. Cavallo) agli ordini del colonnello Ronco, che ne aveva chiesto ed ottenuto il comando, mentre il resto della Nembo si riuniva nel Beneventano, donde ai primi di giugno raggiunse, sul Sangro, il Corpo ltaliano di Liberazione, che vi si era trasferito dal Volturno. Appena sbarcata in continente la Nembo combinò un'ahra delle sue prodezze. Tn un diverbio avvenuto con soldati indiani messi a guardia di un ponte presso Benevento, un paracadutista , per vendicare una prepotenza ricevuta, ne uccise tre col mitragliatore. Ira e fulmini, pien amente giustificati, da parle inglese, minaccia di trasportar la Nembo in campi di concenlramcnto in Africa: poi tutto finÏ lÏ, salvo, beneinteso, il processo al colpevole. Da quel giorno la Nembo venn e circonfusa da un'aureola di leggenda , ed i soldati italiani furono maggiormen te rispettati dai soldati inglesi. E' vero che poi la M.I.I.A. fece cambiare il nome di Nembo in quello di Folgore, ma scommetto che, in fondo all'animo, gli allea ti stessi si compiacquero e.li -

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,quell'atto di fierezza, sicuramente eccessivo, m a preferibile al prosternarsi cui, fi no a quel giorno, troppi cittadini italiani si erano abbandonati all'udire la voce grossa di qualsiasi inglese, bianco -0 di colore. Anche il lavoro di costituzione dell'artiglieria .del Corpo fu ben co~dotto mercè l'appassionato interessamento degli artiglieri, prima fra tutti del generale Belletti, nominato ispettore dell'arma fin dal suo arrivo dalla prigionia nel gennaio 44. Il reggimento di artiglieria della Nembo fu costituito nell a zona tra Brindisi e Lecce, sotto la guida del tenente colonnello C iaccone, che diede vita ad un saldo ed efficace organismo pieno di spirito combattivo. A dispetto degli alleati fu pure attivato un gruppo da 149119: fu questo il gruppo più utile al Corpo di Liberazione quando si trattò <li smuovere le numerose resi-stenze incontrate negli Abruzzi e n elle Marche, perchè per fare la guerra, oggi, occorrono calibri robusti. Il Corpo venne altresì dotato di gruppi someggiati da 75113, ch e gli inglesi ebbero poi l'abilità di distruggere quando, in seguito, formarono i Gruppi di Combattimento: essi, infatti, trovandosi a combattere nella penisola appenn ini-

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ca, disponendo di un esercito inidoneo alla montagna, avendo a disposizione divisioni italiane fatte per la montagna, le armarono con le armi della pianura desertica deJl' Africa. Non ultima ragione che li costrinse, poi, a segnare il passo più del necessario sulla linea gotica. Le divisioni di cooperazione con le armate alleate, costituite al di fuori del Corpo di Liberazione, nacquero così. Quando giunsero a contatto con gli Appennini, gli a11eati sentirono lan ecessità di disporre di salmerie, cli reparti portaferiti, di reparti del genio: si valsero, a tal uopo, prima di reparti sfusi dei resti dell'Esercito italiano, poi attinsero alle divisioni ex costiere e, per ultimo, col barbaro discernimento che talora li distingueva , anche alle divisioni combattenti_ Inizialmente, e cioè a tutto il 43, tali reparti,. spesso formati a n ostra insaputa ed abbandonati a se stessi, soffersero la fame : dal gennaio in poi essi vennero raccolti in divisioni agli effetti disciplinari ed amministrativi. Si costitufrono così,. al seguito delle armate, le divisioni ausiliarie italiane, che spesso ebbero a combattere più e meglio delle fanterie allea te : subirono notevoli per-

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dite, e gli alleati si affezionarono ad esse ed ai loro generali ed ufficiali. Gli alleati, e particolarmente gli americani, in talune manifestazioni erano infantil i, e facil mente prendevano delle cotte per determinate persone. Allora le volevano con sè ad ogni costo, le colmavano di cortesie, concedevano loro le più ampie libertà e richiedevano per loro on ori e 1)[omozioni, anche se in contrasto con la nostra legislazione. Entrarono n el novero delle cotte, del resto ampiamente meritate, le divisioni 210° e 209° coi loro bravi generali Cortese e T omaselli. Queste divisioni attraversarono, a passo a passo, l'Italia nella sua lunghezza e, per l'opera morale svolta dai loro comandanti, non solo conquistarono la fìducia degli alleati, ma fecero loro apprezzare le solide virtù dei contadini e degli operai italiani. Resero così preziosi servizi alla causa italiana, neutralizzando, in parte, l'opera deleteria dei politicanti . Io ricordo con piacere le mie visite alla 210· divisione, in zone sempre diITerenti e sempre più setten trionali. c_;razie all'affiatamento tra il generale Cortese e i generali americani, riuscìi ad avere contatti relativamente frequenti col genera-

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le Clark, e a raggiungere Gaeta, Roma, Firenze nei primi giorni della loro occupazione, e quando l'accesso ne era severamente vietato ai non ,addetti ai lavori.

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Vl DIPENDENZE Durante il periodo in cui fui capo di stato maggiore ebbi, come superiori diretti, il ministro della Guerra, il capo di stato maggiore generale e la M.I.I.A., vecchia signora grinzosa, sorridente ed imperiosa. Il caflO di stato maggiore generale fu il Maresciallo Messe. Sue doti eminenti sono l'intelli-gcnza, la volontà , l'umanità. Ha can1ttere riso-

luto e, come tutte le figure di rilievo, segnato da taluni contrasti : talora rude nell'espressione, ha l'animo finissimo e profondamente comprensivo delìa natura umana: donde il suo sorprendente -senso di umanità, persino commovente, ed in guerr~ tanto più pronunciato quanto più la situazione si fa difficile e pericolosa. I dipendenti ·si sentono pienamente da lui tutelati. Dotato di ·una franchezza senza mezzi termini, all' occor-

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renza spiattella delle verità che bruciano, ma che, passato il bruciore, fanno del bene agli onesti, mentre risvegliano i rancori delle suscett:Ììi i:t.'i mc"chine. Queste qualità di ottimo comandante, difficilmente pos~:J!lo essere apprezza-te da un mondo politico immiserito negli intrighi e nei personalismi, dove la sdegnosa sicurezza di sè, la schiettezza della espressione, l'onestà degli intenti, gli possono procurare più inimicizie che simpatie. Italiano al cento per cento, il Maresciallo Messe fu indubbiamente tra i migliori generali europei, e non em opei, espressi dalla seconda guerra mondiale : non so quale altro gen erale n emico, od alleato, avrebbe saputo, n ella miseria cli munizioni, cli autocarri e cli aviazione con cui combatteva la 1° Armata italian a in Tunisia, tener testa vittoriosamente alla opulenta s· Armata inglese. Io ho, per i I Marcscial lo Messe, molta riconoscenza, perchè a lui debbo la realizzazion e di talune circostanze che resero particolarmente fortun ata la mia carriera. Egli mi conobbe in Albania, quando, al comando della Divisione Bren nero, passai alle sue dipendenze dopo una marcia di 80 chilometri, eseguita in 60 ore, a traverso le -

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montagne albanesi. Egli apprezzò questa marcia: e allorcliè, due anni dopo, assunse il comando de1Ja I• Armata in Tunisia, mi richiese quale comandante di un suo corpo d'armata. Così ebbi l'onore di comandare il XXI Corpo d'Armata m guerra. Quando giungemmo in Italia dalla prigionia, sarebbe stato augurabile che Messe, in grazia del prestigio person ale, guadagnasse un posto preminente nella vita nazionale. Egli vide molta gente e, fìggendo verso l'avvenire lo sguardo della lucida intcl ligenza, disse grandi verità al Re, a Badoglio, ad Acq uarone, alla Marina, al1a Aeronautica, ai giornalisti, ai capi partito, agli alleati; è risaputo che le verità pungono, e Messe fu sospettato di invadenza. Orlando cd io, che lo avevamo avuto per comandan te cd eravamo convinti del suo valore non comune, lo assecondammo: minore entusiasmo manifestarono, nei suoi riguardi, Marina cd Aeronautica , gelose delle proprie autonomie, favorita la Marina dall'appoggio degli alleali. Questi, per conto loro, cominciarono a guardare allo Stato Maggiore generale con una certa ostilità, come a divoratore di razioni supcr Oue. Ebbe inizio, così, q uc l processo cli -

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:isolamento del capo di stato maggior~ generale, -che proseguì, poi, col disinteressamento dei vari capi dei governi di Roma per le sue molteplici iniziative e per i suoi illuminati suggerimenti su questioni militari, con gli attacchi velenosi della stampa di sinistra, con i processi al S.I.M. e con la freddezza dimostrata al Maresciallo dal capo della commissione alleata di controllo. Conseguenze inevitabili delle scomposte passioni risvegliate dalla sconfìua, ma inevitabile rinuncia alla utilizzazione di una istituzione, e di un uomo, che avrebbero potuto essere grandemente giove·voli alla Nazione. Lo Stato Maggiore Generale ,è istituzione alla quale l'Italia non deve rinunciare, sia per il suo intendimento di risollevarsi, anche m ilitarmente, sia per l'inHusso che tale organ ismo tecnico ed apolitico, può esercitare sulle determinazioni di maggiore importanza per la vita nazionale. L'ostilità che venne a Messe dai partiti è l'attestato più probativo delle sue qualità: se non lo avessero temuto, non lo avrebbero attaccato con tanto accanimento e con tanta malafede per aver e appartenuto alla Casa reale, per essere sta.lo promosso maresciallo da Mussolini, per ave-

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re comandato il C.I.S.R. I replicati scambi. di idee avuti con lui, e la confidenza di cui egli mi ha onorato, mi hanno bene messo in grado di testimoniare che, il Mar,esciallo Messe, non fu mai servo di alcun regime ma che fu guidato, nei suoi atti di soldato, da una sola fede : quella del giuramento prestato. Dio avesse voluto che la. religione dell'onore i:nilitare fosse altrettanto radicata nel cuore di tutti i comandanti italiani: misera la Nazione nella quale possan nascer dubbi sulla santità degli impegni assunti con la. testimonianza di Dio. Si capisce che gli alleati gradissero l'eliminazione di Messe perchè essi avevano interesse ad immiserire l'Italia: ma non avrebbero dovuto proprio gli italiani aiutarli in questa bisogna. Coincise con la destinazione del generale Browning a capo della M. LI.A l'inizio di una guerra sorda contro il Maresciallo: gli organi ministeriali , che erano a contatto diretto con la M.I.I.A., non lo sostennero come avrebbero dovuto: si direbbe che, nel Browning, si fosse sviluppata una forma di antipatia personale con tro Messe, poco seria, talora manifesta in palesi segni di irritazione ai soli accenni alla persona. Si aggiunse la lotta politica contro il S.I.M.. -

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Lo Stato Maggiore Generale fu ridotto a vivere stentatamente, privo di anni per combattere, fìnchè, alcuni mesi dopo la mia cessazione dalla carica di capo di stato maggiore, il poco accomodante Maresciallo venne messo da parte. T ra il dilagare delle passioni e dei personalismi, lo Stato Maggiore Cenerai.e , negli anni 43, 44 e 45, è stato l'organo centrale ch e, con maggior senso di responsabilità, abbia affrontato questioni vitali per l'Italia cd espresso le verità la cui fondatezza si va <li giorno in giorno affermando. I rapporti e le proposte che il Maresciallo Messe dirigeva al capo del Governo, nella qualità di suo consulen te militare, eran coraggiosi richiami a responsabilità e saggi di carattere, non frequenti in tempi di uppurtunismu. Essi si risolsero a suo danno, pcrchè l'umanità è cosiffatta che, nei momenti più gravi , rifi uta spesso il concorso dei suoi figli migliori. Un'altra volta la vita ha portato Orlando e me a lavorare insieme. Compagni di corso, compagni di varie guerre, vincolati da fraterna amicizia che era stata rinsaldata dalla fratclla nza <li comando della campagna di Tunisia (egli comandava il XX Corpo), e di prigionia in Inghil-

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terra, ci siam trovati, per otto mesi, egli ministro .della Guerra, io capo di stato maggiore dell'Esercito. Di vivace intelligenza, duttile nel ragionamento, moderato nel tratto, conoscitore dell'organismo centrale, Orlando possedeva le qualità per amministrare saggiamente l'Esercito in un periodo di ricostruzione e di trasformazione come l'attuale. La sua ambizione di servire il Paese, contenuta nell'innato senso di onestà, si trovò a lottare tra ambizioni di altra natura che finirono col boicottare anch e lui. Col suo senso organizzativo molto sviluppato, Orlando diede vita, a Lecce, ad un organismo mi nisteriale in complesso buono e snello, tenuto conto della scarsità di personale idoneo di cui disponeva. A lui risale il merito di avere abolito la divisione stato maggiore del ministero, organo nefasto, dal quale principalmente trassero origin e gli eterni dissidi tra ministero e stato maggiore. N cli'intcnzionc, ]a divisione dovrehbe essere l'ufficio del ministro che tratta le pratiche tecnich e nelle relazioni con lo stato maggiore; nella pratica succede che essa, costituita in genere con uliìciali ambiziosetti e desiderosi di emergere, non si dispensa dell'esprimere pareri ed è facile -

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che tenda a sostituirsi, presso il ministro, allo stato maggiore regolare: tanto piÚ se il ministro non, è tecnicamente competente, ed ove si aggiunga l'arte sopraffina della adulazione di alta scuola nella quale gli arrivisti sono maestri: il caso., Baistrocchi insegni. A sua volta, lo stato maggiore autentico si adonta dell'invadenza, e tratta la divisione di incompetente presuntuosa: ne sca-turiscono pettegolezzi e guerre sotterranee, che possono anche assumere proporzioni preoccupanti per le sorti dell'Esercito, come avvenne perl'urto tra Badoglio e Cavallero. Orlando, vecchio ufficiale di stato maggiore, sapeva tutto ciò, e conosceva i suoi polli ed il suo mestiere. Egli stabilÏ la regola che il suo consulente in materia tecnica fosse lo stesso capo di stato maggiore: le questioni venivano discusse tra lui e me; in base alle sue conseguenti decisioni egli ed io, <l avamo le disposizioni esecutive di rispettiva competenza. Altra causa di possibili attriti fra ministero e stato maggiore, fonte di dispute vivaci fra Orlando e me, fu la regolazione del funzionamento delle direzioni generali. In tempo di guerra, tanto per. il ministero quanto per lo stato maggiore,. -

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·sono previsti i rispettivi organi dei servizi, nelle direzioni generali per l'uno, nelle intendenze per l'altro: le intendenze sono rifornite dalle direzioni generali, le quali pensano a rifornire pure gli enti territoriali, mentre lo stato maggiore -distribuisce come crede all'esercito mobilitato, che da lui dipende, i materiali delle intendenze. Le ragioni di attrito, almeno in fatto di distribuzione, riescon o così eliminate. Nell'autunno 1943 noi non eravamo propriamente in guerra, o lo eravamo per l'interposta persona degli alleati ; avevamo, peraltro, un corpo che combatteva ed altri che intendevamo preparare per la guerra, i ·quali dunque man giavano, ammalavano e consumavan o scarpe. Poichè non potevamo permetterci il lusso di tenere due organi per i servizi, l'intendenza, logicamente, fu sacrificata e le direzion i gen erali diventarono, in conseguenza, responsabili dei rifornimenti tanto dei mobilitati ,quanto dei territoriali, alla dipendenza del ministro, non a quel la del capo di stato maggiore. Tirate le somme, quest'ultimo doveva comandare delle unità mobilitate senza essere in grado di . -servirle direttamen te, ossia risultava privato di uno dei mezzi di comando più efficaci. N è si ere-

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da che sia la stessa cosa , per un capo di stato maggiore, servire direttamente le truppe o servirle a traverso l'autorità del ministro. Già il ministero è tratto, per sua natura, ad occuparsi più degli enti territoriali che delle truppe: inoltre gli organi ministeriali sono burocratici, legati a1le pratiche emargin ate, faticosi a muoversi, amici del rinvio. Il ministro ha, per conto proprio, i legami de1la politica: dal febbraio in poi egli era spesso in viaggio tra Lecce e Salerno. Da parte sua il capo di stato maggiore non dispone del pungolo con cui punzecchiare i direttori generali , poichè egli non concorre a giudicarli nelle n ote caratteristiche, e l'uomo, di massima , non ha fervori se non per c hi lo tocchi neìl'interesse. Ogn i causa perma nente di attrito fu , p eraltro, ovvinta per l'amicizia esistente fra Orlando e me, per l'indiscussa buona volontlt dei direttori generali che si affrettavano come cavalli da tiro pesante messi al galoppo, per l'abilità del bravo capo ufficio dello stato maggiore, colonnello Quercia, e pei le mie suppliche, od arrnbbiature, a seconda dei casi, dirette ai direttori generali. Mai come in quelle circostanze sarebbe sta- . to necessario il segretario genernle nel ministe-

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ro Llella G uerra: ma la politica ci mise la coda ,e , invece di creare un organo docile ed ubbidiente, fu creato l'organo incompetente, indipendente e disturbante del sottosegretario. U.C. AS. signif-ìca uflicio complicazione affari semplici: ce l'aveva il fascismo, ma anche la democrazia lo ha gelosamente conservato: anzi, a Roma, n e furono inventati due si sottosegretari, ·che avevan nulla da fare nè l'uno nè l'altro. Quello civile, comunista, rappresentava nel min istero il commissario del popolo, commissario, a dire il vero, molto umàno, e che solo qualche volta intesi fare la voce grossa per istigazione superiore. D ell'alLro sottosegretario, il militare, avrò occasione di parlare. Tanto il ministro Orlando, quanto il ministro Casati, mi apparvero sempre p reoccupati di trovare lavoro ai due compari. Il superiore più gravoso cd intransigen te fu la M.1.1.A., retta, sino a metà aprile 44, dal generale Duchcsnc. Il cambiamento cl i questo col generale Brownin g corrispose ad una chiarificazione della politica inglese verso l'Italia. Il periodo sino all'aprile era stato, per gli in glesi, di raccolta di dati e di orientamento: dopo di ciò -

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essi furono in grado di stabilire la politica ed iT trattamento da usare al vinto. Il generale Browning rappresentò il cane da guardia, garante che l'Italia sarebbe rigata diritta. Egli fu veramente il « Lowe » dell'Esercito italiano. Dal punto di vista politico l'Inghilterra si è prefissa il proposito di riparare ali' errore da essa commesso, tra il 1885 ed il 1861, nell'aiutare la costituzione dell' unità e dell'indipendenza italiane, la presente guerra avendo fornito la prova del pericolo, per lei, di un'Italia eventualmente· nemica nel Mediterraneo. La prassi esecutiva del l'anzidetto concetto politico consistette nel guinzaglio alimentare della misura delle razioni: o fate ciò che noi vogliamo o vi tagliamo i viveri: di fronte a simile argomento gli atteggiamenti eroici di taluni nostri partiti facevano sorridere. L' America, dal canto suo, non era disposta a regalarci una sola razione che non rappresentasse un contributo alla guerra: me lo dichiarò brutalmente il colonnello Poletti; il contribuente americano non intende sottrarre ai suoi bambini un etto di farin a se egli non è garantito che questo etto sia speso per la vittoria. E l'opinione pubblica americana stava all'erta; -

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-donde la necessità di un bulldog di guardia , -che fu introdotto nella M .I.I.A. nella persona ·d el colonnello americano Kerr, ind ividuo cal)arbio e villano, che vedeva qualsiasi problema ·sotto l'aspetto eslusivo della razione. Ai suoi ragionamenti non c'era n ul la da replicare: per replicare occorreva non aver perduto la guerra. Dal punto di vista militare gli inglesi perse,guivano due intenti: di sfruttare il nostro Eser,cito piuttosto come ausilia re che come combattente, e di esercitarv un controllo umiliante, improntato a sfiducia e a diffidenza. Se un castigo l'Italia ha meritato per la sua politica megaÌomane, esso le è stato in Hitto nel freddo disprezzo con cui l'Esercito nostro è stato trattato, ahneno sino a tutto il 44. Il ministro della Guena, il capo di Stato Maggiore Generale ed il Capo di Stato Mavviure del l'Esercito, sono stati i so-1J o ,-:, portatori ufficiali di questa grande mortificazione nazionale. Triste incombenza, ricompensata, d'altra parte, coi vituperi di tan ti connazionali, forse inconsapevoli degli sforzi sovrumani che noi facevamo per salvare quakhe brandello di nazionale dignità. Browning fu, dunyue, il tutore degli intendi-

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m enti inglesi . Strano uomo questo gen cr:i le l:3rowning. La mia prima impressione, che ,durò parecchi mesi, fu che egli ricevesse ord ini e li eseguisse senza mettervi un minimo di proprio, istituendo sull'Esercito un imperio duro, assoluto e spesso offensivo. Egli permetteva che i su oi organi di control lo si trasformassero in organ i di comando, svalutando i nostri ufficiali, e privò di ogni libertà di iniziativa anche noi del centro. rl primo nostro incontro fu tempestoso, perchè queste ed altre cose gl i dissi (v. appendice n. 2): dopo cli che attendevo la mia destituzione, e rimasi molto meravigliato quando mi vidi mantenuto al mio posto. N on bisogna credere che gli inglesi siano propensi ad usare indulgenza a chi si p resenti loro col capo cosparso di cenere e recitando il mea culpa; I'esperie117;a personale mi ha portato a concludere piuttosto i I contrario : il che torna a loro onore. A llorchè al Corpo Italiano di Liberazione, di costituzione puramente italiana, succedettero i Gruppi di Combattimento, il gen erale Browning mise nel compito di i:ìllestimento, con materiali inglesi, una passione ed una affettu osità che avrei gradito di trovare n elle sfere governative ita liane. -

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Se un elogio pubblico venne all'Esercito regolare nostro, esso fu redatto dal comando alleato: il «Corriere di Roma>> del 26 agosto 1944 riportava, finalmente, in prima pagina, un vistoso titolo: « Alto elogio del comando alleato allo spirito combattivo cd aJla resistenza del C.LL. »: la pubblicazione era stata voluta dal gen erale Browning, da uno straniero, disgustato della incolore differenza della nostra stampa di ooni ' o verso la più pura delle espressioni nazionali in qualsiasi patria. l n ostri uomini politici vollero ignorare l'Esercito regolare, i cui sforzi sovrumani - pur e logiati sottovoce nel segreto degli uffici - essi non ebbero, in quegli anni, il coraggio di esaltare al di sopra degli sforzi dei partigiani; nè mai essi voi lcro dire forte questa verità: che, pur damlo il più ampio ricunoscimento alla abnegazion e cd agli ~roismi dei partigiani n ella lotta per la liberazione, nel Cèlmpo dei risultati bellici, se essi hanno reso per cim1ue, l'Esercito regolare ha reso per lo meno per dieci. Il che non deve offendere alcuno, trattandosi, in ogni caso, tli italiani che combattevano per la stessa causa. Con Browning stahilimmo, in seguito, rela-

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-zioni di reciproca stima e di leale amicizia, per..chè, a traverso agli urti iniziali, imparammo a ·Con oscersi e ad apprezzare, l'uno nell'altro, doti di onestà messe a servizio del proprio paese. Comunque, debbo con fessare che fu i in timamen · te soddisfatto di essere riuscito a portare, fraudolentemente, il Corpo d i Liberazione a 25.000 uomini, là dove la con tabilità di Browning ne .ammetteva soli 12.000. Browning rappresentava anche la retrovia. In qualunque esercito la retrovia è qualch e cosa -di freddo, di contabile, di burocratico ed è in perpetuo contrasto con la linea, che è invece sentimentale e, per natura, portata aH'en tu~iasmo Nei comandi alleati in linea gli italiani combattenti trovaron o compren sione e calore, fossero

·essi american i od inglesi. Ho già parlato del cameratismo del o~,enerale Clark.. N ostro amico., anche se per ragioni di interesse, fu il maresciallo Alexander : i miglioramenti che ottenemmo, e la maggior nostra partecipazione alla guerra, fu ron frutto della sua azione person ale. Fra lo stato maggiore di Alexander e la M.I.I.A regnava un senso di an tipatia che trapelava anche ,a n oi. La durezza di Browning si manifestava 126 -


in lettere abbastanza frequenti, che egli avrebbe potuto scrivere in tono più cortese facendo migliore figura. Con la scusa di voler trattare con un solo organo, il ministero, egli finì per estromettere dai suoi contatti i capi militari: tanto il lVIaresciallo Messe, quanto io, fummo tagliati fuori. Non so se, e fino a qual punto, Browning abbia influito sulla determinazione di allontananni dalla direzione dell'Esercito : sta di fatto che, dopo la mia partenza, furono divulgate, ai Gruppi di Combattimento italiani, direttive britanniche sotto l'intestazione dello stato maggiore italiano, il che io non avevo tollerato. Così, anche nella forma, fummo asserviti agli inglesi, all'umiliante livello di un esercito e.li colore. Noi ci lamentiamo della nostra burocrazia : ma questa è un fulmine a confronto di quella inglese. Presso gli inglesi una questione, per modesta che fosse, doveva essere presentata con memoria scritta; veniva allora inviata all'ufficio competente; se di maggiore importanza, partiva per Algeri o Londra o \i\Tashington : la risposta giun geva dopo settimane o mesi. Questioni della massima urgenza restavano così insolute. C iò spiega la lentezza della loro guerra, e spiega -

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perchè la loro guerra fosse caratterizzata dalla incapacità di approfittare degli attimi fuggenti; era guerra da gran signori, impostata sulla vastità dello spazio e del tempo; era guerra di isolani, ch e combattevano avendo il loro territorio al sicuro: c.lopo tutto, per loro, l'Italia non era che un campo di battaglia, e.la utilizzare o no a seconda delle convenienze: i problemi italiani che ci assillavano, delle distruzioni , della liberazione del nostro suolo, c.lel risparmio di vittime dalJa barbarie tedesca e dai bombardamenti n on tedeschi, per essi non es istevan o, od esistevano .soltanto in quanto in nuivano su Ila loro tran quillità e sui trasporti per la loro guerra. Nè si può dire che avessero torto: anzitutto noi eravamo dei vinti da punire; in secondo luogo il loro sistema li aveva resi padroni del mondo, e perciò doveva esser buon o, cd essi nun avevano motivo cl i modificarlo nei nostri riguardi. P er chi doveva subirlo esso era, però, esasperante. Valgano taluni esempi. Per la solita ragione delle razioni , la M. l.J .i\. impose la riduzione e.lei distretti militari per chiamare, o richiama re, gli uomini occonenti per la stessa mn novalanza se non per i nostri Gruppi e.li -

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--Combattimento: era come parlare ad un muro. Passati alcuni mesi, gli inglesi si accorsero che non si potevano fare i richiami per mancanza dei distretti, ed ordinarono di ricostituire i distretti. Conseguenze: mesi perduti, rifacimento di ¡quanto era stato disfatto, energie disperse. Quando fu rioccupato l'Abruzzo, c'era bisogno di alpini per il Corpo di Liberazione, e .gli alleati stessi richiedavano alpini. L'Abruzzo rifornÏ va alpini : in Abruzzo c'era fervore di accorrere alle anni contro il tedesco, perchè l'Abruzzo aveva provato il tedesco. Si sa come sono questi slanci popolari: bisogna correre loro incontro, assecondarli, favorirli: se si smorzano, spariscono. Mi affrettai dunque, con elementi locali, ad imbastire un centro di reclutamento ad Aquila, ad inviare vestiario, a stabilire un luogo di raccolta a Chieti, eccetera eccetera. Quando la M.I.I.A. se ne accorse, apriti cielo: sfuriate, spiegazioni, imposizioni di sciogliere ogni cosa; nulla da fare: gli alpini furono rimandati alle loro famiglie. D opo un mese ordine della M.l. I.A. <li richiamare gli alpini dell'Abruzzo: quelli intanto se ne erano tornati alle loro case sparse per le montagne, si erano messi a lavorare i -

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campi, erano stati afferrati dalle gioie della fa.. miglia, gli entusiasmi si erano smorzati. Mandai nell'Abruzzo un bravo ufficiale degli Alpini, il colonnello Scarpa, che riuscì a raccogliere, con ottima organizzazione improvvisata, il Battaglione L'Aquila : ma fu raccolto con ritardo di oltre due mesi e superando difficoltà evitabili con un minimo di previsione. Non parliamo, poi, della questione dcila immissione nell'Esercito dei partigiani. Conviene soffermarci un istante su questo argomento. I primi contatti coi patrioti furon presi dopo il nostro ritorno a Roma . A Roma, per motivi vari, c'eran st:iti clandestinità e complotto - peraltro duramente pagati da coloro che non avevan voluto beneliciare de1l'ospitale palazzo del Laterano - piuttosto che vera attività guerresca. ln provincia, invece, era stato possibile procurare ai tedeschi maggiori fastidi con organizzate azioni di partigiani. Si trattava di italiani che avevano arrischi2to la pelle per idealità nazionale, e al di sopra di tutti i partiti - mi parve opportun o che il capo di stato maggiore prendesse contatto con questi soldati d'Italia, e port"ssc loro la voce della patria ufficiale e la garanzia del loro -

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-riconoscimento di soldati. Perciò, fìn dal 12 luglio, iniziai le visite alle bande del Viterbese, ,dell'Abruzzo e delle Marche, coadiuvato dal ·Capo ufficio operazioni, il fedele tenente colonnello Sampò, dotato di tutte le qualità per accattivarsi l'affetto dei soldati di qualsiasi provenienza. Man mano che si liberava l'Italia e si guadagnava terreno verso nord, aumentava il numero dei partigiani che avevan sopportato sacrifìzi, ,corso rischi e seriamente contribuito alle operazioni degli alleati. Il problema dei patrioti si andava allargando e bisognava affrontarlo in p1eno. Per affrontarlo in pieno il concetto degli alleati era questo: sfruttare i patrioti fìnchè essi fossero nelle retrovie del nemico: disarmarli e rimandarli alle loro case con un attestato di buona condotta quando, per il procedere della guerra, essi si venissero a trovare al di qua delle linee ; concetto, come si vede, di marca prettamente inglese: made in England. Il concetto all'inizio fu applicato con scrupolo: i patrioti trovati, che anelavano alla gloria del riconoscimento e della riconoscenza, venivano disarmati, messi per quattro, sottoposti a marce di diecine di chi-

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lometri, magari sotto ]a pioggia, e rinchiusi incampi cintati da reticolati, sotto basse tende, alimentati con razione civile ... Per gente che aveva vissu to mesi di stenti e di pericoli non c'era male: evidentemente l'Inghilterra lavorava a pro, della Russia. Il eone.etto invece dello stato maggiore, che venne approvato, incoraggiato ed aiutalo dal ministro Casati, fu di correre incontro, a tJuesti fratelli, accoglierh nel miglior modo, vestirli, nutrirli, incorporarli nei Gruppi di C ::imbattjrnento, formando dei battaglioni ed anche delle divisioni di patrioti. A tal uopo presi contatti person ali coi patrioti della Toscana e dell'Emilia, cd inviai Sampò in località varie pcrchè facesse altrettanto. Lo stato maggiore dell'Esercito, che aveva accesso alle prime linee, fu pertanto il primo che portò delle parole buone, almeno, e delle affettuosità ai partigiani. Il generale Cerica, comanclante clelb Toscana , coadiuvò in modo encomiabile, ed alla sua opera, intelligente ed ardita, si deve se si giunse all'incorporamento dei patrioti. L' ostacolo alle nostre buone intenzioni era, al solito, la M.I.I.A., la cui gran de paura era di favorire uno squadrismo bolscevico :n ltalia. La -

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lotta fu lunga ed accanita: noi a dimostrare che il vero metodo di sollecitare il temuto squadrismo era quello di esasperare questa gente mortifìcmdola e trattandola male ; essi a rispondere che obbedivano a direttive ricevute ; noi a replicare che bisognava evitare all' Italia il pericolo di una scissura tra nord e sud ed occorreva pertanto fondere tutte le forze in un esercito solo: essi ad insistere che la loro politica non intendeva immettere patrioti nel ]' esercito; n oi a dimostrare l'assurdità di escludere dalle unità combattenti questi uomini provati, i quali altro non chiedevano che di combattere, mentre si ammettevano tanti obbligati, di classi anziane, certo animati da minore entusiasmo per la guerra: ei;si a ribadire che tutti i cittadini debbono ubbidire senza discutere. Per fortuna nostra i fatti di Grecia aprirono gli occhi anche agli inglesi, e le nostre ragioni non parvero più tanto assurde: fu concesso che i patrioti fossero ammessi quali volontari, purchè non in unità organiche indipendenti, anche se ciò fosse contrario ai desideri dei patrioti: aggirai l' ostacolo dicendo, in un orecchio, ai comandanti dei Gruppi di Combattimento, di tenerli riuniti per squadre e -

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per plotoni. Debbo riconoscere che, come di consueto, i comandi alleati in linea capirono prima queste cose, particolarmente gli americani, e, senza chiedere il permesso ad alcuno, incorporarono formazioni partigian e nelle loro file, vestendole e nutrendole, ed usarono verso di loro modi umani. Voglio men zionare l' appoggio datomi, in lJUCsta opera, dal generale Cl ark, in seguito ad un colloquio avu to con lui. Mi sia lecito, gui, rich iamare il ricordo di una soddisfazione person ale tra le piĂš gradite della mia vita militare. T ra i capi partigiani coi quali avevo stretto relazione era Armando, comandante della divisione partigiana Modena: quando, a Firenze, mi recai a visitare 500 uomini della s ua banda e a parlar loro da generale italiano, Armando diede l'atten ti e tutti, comunisti, democratici, monarchici, tributarono onori militari perfetti a questo gene1ale che rappresentava, in -quel momento, il vecchio Esercito : mi parve allora di vedere l' Italia ravved uta dai rancori e -d agli oclii, per pensare soltanto ai p ropri figli ed alle madri e.li questi. I Patrioti furon, dunque, ammessi d far parte Jell' Esercito: io ne vidi un certo nu mero un -

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paio di volte al centro addestramento di Cesano: parlai loro come mi dettava il cuore: essi - indimi applaudirono. Soldati sciplinatamente generosi che, ben compresi, sarebbero andati all' inferno. Dimesso da capo di stato maggiore, dovetti abbandonare anche l' impresa e.lei patrioti, con il conforto di averla bene iniziata. Difatti, mi è stato detto che gli alleati ammisero, poi, il principio di costituire, in ogni Gruppo di Combattimen to, un battaglione di patrioti. Se ciò risponde a verità, resta dimostrato che non bisogna scoraggiarsi nemmeno quando si tratta con gli inglesi. Qui trova posto una domanda : nel perorare la causa dell' ammissione dei partigiani nelle forze regolari, lo stato maggiore dell' Esercito ubbidiva ad un criterio di opportunità nazionale o a q ucllo di convenienza tecnica per un reale rafforzamento clelle unità? .. Senza dubbio influirono sulla determinazione di amalgama l'urgenza di trovar soldati ed il timore di rinnovare in Italia, nel futuro, la dannazione di uno squadrismo sovrapposto, o contrapposto, all'Esercito regolare. Oggi, sull'esperienza della passata guerra, ed ascoltate le impressioni di comandanti di -

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Gruppi di Combattimento, debbo riconoscere sehe, l'immissione improvvisa di partigiani operanti in unità regolari cli pronto impiego, richiama alla mente la similitudine evangelica del vino nuovo e degli otri vecchi, tanta è la diversità di abitudini e di mentalità degli elementi partigiani dagli elementi coscritti. Altro è combattere, entro certi limiti « a volontà ». ed altro svolgere compiti ben definiti, eseguire ordini coordinati con altri ordini, agire inquadrati in una determinata situazione tattica. Una lunga preparazione, quale nel 44-45 non era ammissibile, avrebbe fuso le due mentalità, traendone il buono di entrambe: l'immissione, nella imminenza delle operazioni, diede luogo a preoccupazioni, certo non comode per i comandanti, in momenti già per se stessi difficili. Questi, peraltro, sono ragionamenti da filosofi: nella situazione in atto non e' era libertà di scelta, e penso che lo stato maggiore abbia fatto bene ad attenersi a criteri non rigidamente teorici, anche se imputabili cli sentimentalismo. Era pur sempre sentimentalismo patriottico.

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VII PROBLEMA DE[ QU/\DRJ Taluni difetti di preparazione de1la massa dei nostri quadri avevano origini antiche, e derivavano, in parte, dal misoneismo proprio agli eserciti stanziali, cd in parte dalla tendenza diffusa di studiare il passato senza abbastanza prevedere l' avvenire. Quando si pensi che l' altoesplosivo fece la su a comparsa nel 1885, e che n oi entrammo n ella guerra del 15 quasi sprovvisti di artiglierie pesanti campali e pesanti: che soltanto nel 19 12 avevamo affrontato il problema delle artiglierie leggere a deformazione altrove in atto fin dal 1895 , che le armi di fanteria, cavaJleria, artiglieria e genio, vivevano praticamente in compartimenti stagni e che i primi reticolati austriaci incontrati sul nostro cammino rappresentarono, per noi, una tliffcoltĂ insormontabile, vien da ch iedersi se si cran sapute trarre le lo-

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gìche conseguenze dallo studio delle campagne di seèessione americana, russo-turca, boera e russo-giapponese. Questa imprevidenza costò all'Italia molto sangue generoso. In ogni tempo, l'addestramento fu eccessivamente subordinato alla preoccupazione amministrativa Llel logorio dei ~1ateriali e del munizionamento, e venne curata l' idolatria del regolamento piuttostoch è l' educazione della fan tasia creatrice. Le idee innovatrici - che non mancarono anch e sulla stan~pa militare - incontrarono, in alto, scetticismo ed incomprensione: basta confrontare gli articoli profetici del compianto generale Pugnani ispettore della motorizzazione verso il 34 - e del colonnello Infante - che seguiva da vicin o gli esperimenti inglesi di unità corazzate - con la deficienza ed insufficien za di carri armati con 1a quale entrammo in guerra nel 1940. 11 problema dei sottufficiali non fu mai definito, anche se - materialisticamente - lo si volle risolvere con l'istituzione di un grado di più e col miglioramento dei premi di rafferma. La guerra italo austriaca, incastrata nella più vasta guerra europea, dimostrò che la politica -

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di grande potenza, inaugurata dall'Italia, richiedeva l'ampliamento dell'Esercito, e che una nuova forza armata, l'Aviazione, si andava mettendo in concorrenza con esso. Si affacciò, così, il problema dell' immissione nell' Esercito della massa imponente degli ufficiali di complemento: il regime democratico non lo aveva previsto nè risolto, il regime fascista lo trattò leggermente e demagogicamente, inquinandolo col doppione della milizia. La grande fortuna del nostro Esercito fu la bontà intrinseca del corpo degli ufficiali permanenti, onesto, disciplinato, fedele, apolitico, patrimonio prezioso della compagine nazionale, perchè reclutato da una classe dirigente educata e moralmente formatasi a traverso le generazioni. Il fascismo ravvivò n ell'Esercito, il sentimento di un prestigio che i permanenti sentivano compromesso dal sorgere di quella milizia privilegiata, e determinò il tacito proposito di affermare una distinzione ben netta dagli improvvisati centurioni e consoli: le virtù del corpo degli uffici ali perman enti vi trovarono una ragione di rinvigorimento, e controbilanciarono l'impreparazione organica gen erale. E' merito loro se l' 0nore militare italiano sostenne la dura e sfortunata -

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guerra dal 40 al 43 senza offuscarsi: è indice di profonda forza morale, ricca di speranze, saper sopportare i colpi della mala sorte senza inco1Tere in viltà. All' infuori delle mansioni di carattere contingente, e su di un piano di importanza non certamente inferiore, incombeva, in parte, sul capo di stato maggiore, il compito di gettare le basi di un esercito avvenire, e per prima cosa occorreva rimettere dell' ordine nella mentalità dei quadri disponibili, in forte proporzione di complemento, richiamandoli a principii la cui aplicazione era stata compromessa da cause varie: il che era nelle nostre possibilità. Causa principale, innestatasi dopo l'8 settembre 43, era stato lo scuotimento della fede politica dei giovani, -che non poteva non provocare lo scuotimento della disciplina. Il 25 1uglio la libertà era penetrata furiosamente, e disordinatamente, nella vita di un popolo che da vent' anni vi era disabituato, -che per vent' anni si era illuso di poterne fare a meno, e che ora si entusiasmava all'idea di libertà senza rendersi conto esattamente dello scossone che questa gli avrebbe inHitto. Prima d.ell'8 settembre, quando un cittadino entrava -

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nell'Esercito, sapeva di dovere indossare la veste monarchica, e che attorno alla fede monarchica si reggeva la compagine militare, quella compagine che tien salde le schiere di fronte alla morte. Dopo 1'8 settembre i partiti si misero a sputare sulla fede monarchica, cioè sull'unico cemento che tenesse insieme il popolo e, col popolo, l'Esercito, ed ognuno si ingegnò d i stiracchiare verso la parte sua un lembo dell'Esercito, ,dopo di averlo ben bene vilipeso : poichè la forte mano degli alleati tirava più di tutti, lascio immaginare a quali prove di trazione meccanica venisse sottoposto l'organismo nei quattordici mesi durante i quali n e fui alla testa. La massa degli ufficiali che trovai non era, nel complesso, la migliore J cll'Esercilo, poichè la migliore era o morta o in prigionia, e ci pensavano gli alleati ad abbrutire i rimasti vivi trat·tenendoli nei campi di concentramento. La massa a nostra disposizione si poteva· considerare d ivisa in tre parti: una, prevalentemente di vecchi a dibiti ad enti territoriali, per i quali la guerra in casa rappresentava una novità, sfiduciata, st,m ca, afflitta dal costo della vita, dal pensiero <della famiglia e degli interes:;i andati a rotoli, -

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attaccata al misero stipendio, svogliata di trasfe~ rimenti, desiderosa soltanto di vivere in santa pace; una seconda, se pur non molto numerosa e composta di gene.::osi clementi entusiasti della libertà, irrequieta ed insoffe!:en te di disciplina; ne facevan parte giovani diventati feroci antifascisti, o ardenti repubblicani, unicamente perchè la parola repubblica suon ava ai loro orecchi come la parola ribellione : ribellione contro tutto ciò che nella vita è peso, e perciò contro il superiore, contro la regola, contro l' ordine, contro il sacrificio, contro le virtù cardinali. Questi sfiduciati, e questi ribelli, vivevano insieme in un'atmosfera cli incert~ za, alimentata da uomini, talora in buona fede, ma sempre n emici inconsci Jella loro patria. Discussa la bandiera, discussa la preghiera per il Re, discussi i generali, discussa la disciplina, discussa la diserzion e: certe e garantite, soltanto, ìe difficoltà materiali e la miseria generale.· L' ultima categoria comprendeva un certo numero cli ufficiali equilibrati, ch e giudicavano gli avvenimen ti con la calma dei soldati , vedevano il male e vedevano il ben e, ritenevano inutili le recriminazioni e si preparavano a ricostruire sul serio, ben sapendo quanto dura -

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:sarebbe stata la strada della ricostruzione. Con queste possibilità , ed in queste condizioni, le im_pazienze dei partiti: dobbiamo, vogliamo fare la _g uerra contro la tirannide, per la gloria d i ChurÊhill e di Stalin : signor capo di stato maggiore preparate le forze. Per preparare le forze occorreva, in primo luogo, preparare i q uadri, e all'uopo sarebbe stato necessario: 1) proceder all'immediato scarto degli elementi di grado elevato risultati incapaci per qualsiasi motivo: col che si sarebbe anche data l'impressione, all'opinione pubblica, del proposito di procedere a<l una rapida cd equa epurazione; 2) ri portare ordin e, chiarezza e<l equilibrio di tratta11nento n elle categorie degli ¡ ufficiali di stato maggiore; 3) raccogliere i generali, e possibilmente i colonnelli, in appositi corsi a scopo di orientamento sulla nuova situazione determi-uatasi; 4) valori zzare i sottufficiali. Dei generali disponibili, una percentuale ab:bastanza elevata n on era idonea alle funzioni del grado. Una delle maggiori colpe demagogiche degli ultimi ministri della Guerra del regime fascista fu quella di promuovere generali, sotto van tipi di etich etta, tutti i colonnelli, creando -

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una specie di diritto alla greca, proprio là dove, la discriminazione dovrebbe essere di estremo, rigore. Ne conseguì che, n on pochi generali, risuitarono privi di spina dorsale, sprovvisti di idee personali, non uomini padroni di sè e delle prO!. prie opinioni. non artisti capaci di inventare un sistema o di imporre una novità. I casi della nostra guerra fecero sì che, anche sulle spalle dei meno quotati, ricadessero gravi responsabilità di situazioni assolutamente impreviste. Non appena il Governo del Sud si trasferì a Roma, sarebbe stato necessario eliminare almeno coloro che nessuno voleva al la propria dipendenza, ed il generale Orlando avrebbe avuto la forza cli carattere per affrontare il non comodo problema. Ma la politica non volle più a capo del dicastero della Guerra nè Orlando, n è altro generale, cd il nuovo ministro ebbe, hensì, ii coraggio di sacrificare generali Ji pruva to va·lore, segnati a dito dalla passionalità dei partiti, non quello di buttare la zavorra indifferente ai partiti. Le mie insistenze non valsero: la legge di riduzione dei quadri, insieme con le disposizioni per la sistem azione economica dei sacrificati, attese ancora per anni la promulgazione, e la cernita fu ultimata soltanto -

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nel 1948. L' Esercito continuò a trascinarsi dietro un corteo di disoccupati, di malcontenti e di incerti, che n on potevano contribuire ad elevare il tono dei quadri. Connessa con la questione dei generali era quella degli ufficiali di stato maggiore, poichè il sistema di avanzamento italiano h a sempre, quasi esclusivamente, concesso i vantaggi di carriera agli ufficiali di stato maggiore, facilitane.lo a questa categoria il raggiungimento dei gradi più elevati, e ingenerando anche l' opinione, errata, ch e il servizio d i collaborazione dei comandi fosse più arduo, e più meritorio, di c1ue1lo di comando diretto delle truppe. La categoria dipendeva direttamente dal capo di stato maggiore dell' Esercito, il che mi consen tiva maggiore libertà di. azione nei loro riguardi : ne approfì ttai per portare dell'ofcline n ella situazione, alquanto c:iotica, che trovai, e per porre mano alfa elimim1 zione di taluni inconvenienti che mi parevano esiziali per l' Esercito. N aturalmente ciò non mi creò <lella popolarità. D ei sedici anni ch e io trascorsi nei gradi cli colonnello e <li generale, quasi dieci anni impiegai in comandi cliretti di truppe, comandando tre divisioni in guerra, un corpo -

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d'armata in guerra ed uno in pace: nel rimanente tempo disimpegnai incarichi di stato maggiore ed appartenni al corpo: carriera più Fortunata del la mia non è immaginabile. Posso quindi, come Massimo d'Azeglio quando criticava la nobiltà piemontese, rilevare i difetti della istituzione senza che mi si possa tacciar di invidia. D'altra parte, la lunga convivenza con le truppe, mi ha permesso di constatare le ripercussioni in basso di quei .difetti: è risaputo che le pagliuzze dei potenti diventan travi agli occhi della plebe: di ciò deve tener conto l'organizzatore, perchè l' esercizio del potere richiede, anzitutto, che questo sia rispettato, e le pagliuzze ingrandite a travi compromettono il rispetto. Nel periodo antecedente alla prima guerra mondiale, gli ut-6ciali collaboratori dei comandi si distinguevano in: ufficiali del corpo di sta lo maggiore per b parte con cettuale del servizio, ed in applicati per le mansioni prevalentemente di ordine. Il gettito degli ufficiali del corpo, commisurato alle proporzioni dell'Esercito, corrispondeva a circa l / 3 clei brevettati annuali della scuola di guerra: la scelta poteva essere accurata. La prima guerra mondiale moltiplicò per 3 l'Esercito -

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italiano di pace, e fu sforzo portato al limite di elasticità: la seconda moltiplicò per 4, ed oltrepassò il limite di rottura. La Nazione, come è capace di un certo gettito medio di avvocati, ingegneri, medici eccetera, è capace di una certa produzione di buoni ufficiali di stato maggiore: se tale produzione viene superata, la qualità decade. Ciò, avvenne tra il 15 ed il 18 in misura contenuta, ed in misura illimitata tra il 40 ed il 4 3. Si cominciarono ad ammettere al servizio di stato maggiore gli ufficiali brevettati di scuola di guerra che, ab antiquo, non vi venivano ammessi; poi si ammise chi avesse superato, sia pure parzialmente.. la scuola; poi si organizzarono corsi di stato maggiore brevi e numerosi ... Ad ognuna di queste ca· tegorie si garantirono, per legge, determinati van· taggi di carriera, per conferire i quali si giunse ad annu]bre la condizione capitale di un coscienzioso avanzamento : l'esercizio del comando. Pare che, alla corsa alle promozioni degli imberbi studentelli, non sia rimasto estran eo il nepotismo di qualche alto papavero dell'Esercito, o di qualche gera rca inOuente. Sta di fatto che, fra tanta confusione di meriti e di diritti, si presentava il caso di un certo numero di capitani, appena trentenni -

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e con minima anzianità di grado, i quali - senza aver comandato la compagnia nè visto il viso di un soldato - per legge, avrebbero dovuto esser promossi maggiori sol perchè avevano sudato sui banchi di una scuola di guerra, quando i loro colleghi, in buon numero di complemento, sudavano e sanguinavano sui campi di battaglia. La cosa ci era sembrata talmente scandalosa, che uno dei primi atti del ministro Orlando era stata l'abolizione del decreto dell' aprile 40 che aveva sospeso, per la durata della guerra, l'obbligo, per gli ufficiali di stato maggiore, del prescritto periodo di comando come condizion e per conseguire promozioni. Raggiunta Roma occorreva, a parer mio, dar valore retroattivo al provvedimenLo onde frenare l' ascesa dei giovani aquilotti imboscati. Oltre all'inconveniente che ho detto, di carattere contingente, un altro fatto di indole permanente mi pareva degno di considerazione e di provvedimenti. Durante tutta la carriera ero rimasto meravigliato dell'antipatia con la quale lo stato maggiore era visto dalle truppe. E' ammissibil e una tale stonatura? ... Chi è alla testa della istituzione deve accontentarsi della semplicistica -

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-spiegazione del fenomeno nell'invidia dei mediocri verso 1 riusciti, ed accettare il dogma che, dal -contatto diretto con le truppe, sostanza vitale dell'Esercito, non si offrano allori e che, invece, dai compiti assai più facili della collaborazione direttiva riesca agevole il raggiungimento delle vette?... Quali le cause del fenomeno? A mc pareva che, la principale, consistesse in una certa abdicazione di poteri da parte di non pochi generali, i quali, o perchè non idonei al grado, o perchè assorbiti dalla moltitudine delle pratiche correnti provocatrici dei fastidi immediati, n el passato, erano stati propensi a cedere agli ufficiali di stato maggiore le incombenze <li fondo, di preparazione alla guerra e di studio delle operazioni. Il male ha radici antiche, assai più profonde che non si creda: tanto è vero che Badoglio, quando fu capo di stato maggiore dell'Esercito, proibiva che i generali chiamati a partecipare alle manovre del così detto corso cli alti studi si facessero seguire <lai loro ufficial i di stato maggior e. Da quanto sopra conseguivano, d2 una parte un decadimento delle qualità del blocco dei generali ed una forma di larvata loro subordinazione ,agli ufficiali collaboratori, e da ll'altra una situazio-

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n e preferenziale di questi ultimi, favorita dalla legislazione di avanzamento, ed un loro inevitabile insuperbi~1en to: tenete conto dell'indole italiana che dona, spesso, un tono di altezzoso sussiego a qualunque cittadino sia autorizzato a portare sulla testa un berretto particolare, o sia collocato dietro allo sportello di un ufficio, e vi convincerete della facilità con la quale il collaboratore, dal suggerimento al suo generale, fosse indotto al la critica od al protezionismo verso il colonnello ed i] maggiort del reparto dipendente. Il che dà maledettamente sui n ervi tanto ai criticati quanto ai protetti , poichè si viene a creare quella deleteria doppia gerarchia, l'ufficiale e la ufficiosa, che Tolstoi in « Guerra e pace » ha saputo così bene mettere in evidenza. Al peccato di presunzione tiene facilmente di etro il peccato cli arrivismo, che le tumultuose vicende del secolo e leggi demagogiche hanno favorito. Il giovane che oggi si presenta alla vita aspira subito ai grossi guadagni, e la lenta ascesa a traverso al sacrificio è rejetta come uria sfortuna . Una legge di avanzamento disastrosa aveva promesso a tutti il bastone di maresciallo: in conseguenza , anche la carriera mil itare aveva assunto il -

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-carattere, che non le si addice, di una lotta di gomiti per guadagnare i prim i posti. Ed i gomiti più robusti , troppo provati , ahimè! in aule scolastiche, e troppo poco nella responsabilità dirette, si trovavano nello stato maggiore, dove eran divenuti .eccessivamente familiari i conteggi d i annuario e d i scavalcamento, e troppo malvise le perma nenze presso le truppe, là dove gli infortun i sono più p robabili ma dove i caratteri si affinano. Era prescritto che la promozione non potesse avvenire se il colonnello non avesse comandato almeno per un anno 11 reggimento : accadeva spesso che, allo ·scoccare del 365° giorno, l'ufficiale cli stato maggiore fosse sostituito nel comando, destando penosa impressione nel reggimento, che appariva considerato come u na forca caudina e non come un ,onore da prolungarsi oltre i minimi. Non poche volte si verificò il caso che le istituzioni J ella p romozione p<'r meriti eccczion::1li, e persino per merito di guerra, volute dalla legge per conservare all'Esercito valori di rarissimo pregio, fossero applicate - con danni di terzi - a titolo di salvataggio di privilegiati raggiunti dagli anni, eludendo con abili manipol azioni, a favor loro, quella legge dei limiti di età che Baldissera definiva -

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la piÚ sacrosanta tra quelle che regolano la carriera degli ufficiali. Il fenomeno dell'intrigo per conservare il po-. sto sicuro, favorevole a facile carriera, era notevolmente piÚ agevole al centro che non alla periferia: esso non era sufficientemente represso da un intransigente rigore dei capi propensi, invece, a ricom pensare i collaboratori vicini a preferenza di quegli altri piÚ preziosi collaboratori lontani che¡ facevan h-, guerra sul scrio. Quando nel 1943, a causa della insufficienza qualitativa dei generali, fu promulgato l'avanzamento per merito comparativo dei generali, fu commesso lo sconcio di farne beneficiare taluni capi reparto dello stato maggiore, dando ai loro meriti la precedenza su quelli di certi loro colleghi impegnati da mesi sui fronti operativi , con quali ripercussioni alla periferia lascio immaginare. Si dette il caso lli un uH-Ïciale che, entrato a Far parte ctello sta to maggiore col grado di colonnello nel 37, Yi permaneva ancora nel 43, prnmosso a generale di brigata prima , a generale di divisione poi, per merito comparativo, sempre con le stesse mansioni in seguito ad opportune modificazioni delle competenze di grado. Quando, nel 1943, il pudore raggiunse persino -

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R oma, e fu deciso che anche i centristi assumessero le loro responsabilità di comando diretto, si stabilì una specie di horsa dei valori dei vari fronti, con quotazione massima per la Provenza e la Corsica, dove si viveva in pace, mentre i fronti di Africa, di Russia e di Bakania trovavano scarsità d i acquirenti. In conseguenza di quanto sopra, nell'ambiente romano aveva preso consistenza, dal 40 al 43, una carrieristica mentalità territoriale che faceva a pugni con le necessità di guerra. Questo stato di cose avevo potuto personalmente constatare nel 1942, quale capo lli stato maggiore della T Armata. Ho citato dei fatti, taluno dei quali trova ri·scontro in osservazioni dirette dal comandante della 1• Armata in Tunisia al Comando Supremo, e potrei citarne altri: fatti tanto più dolorosi in quanto gettavano una cattiva luce su tutta una categoria di ufficiali ricca dì benemerenze, dalla q uale uscirono prodi generali e fieri collaboratori di comandi, che chiesero le destinazioni di prima linea, che pagarono di persona e che aspiravano al comando diretto. Mi sembrava, dunque, che la causa del male non dipendesse tanto dalle persone quanto dal sistema, basato sulla falsa va-

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lutazione comparativa dei servizi ai quali può essere chiamato l'ufficiale, e che ]a responsabilità dovesse, in parte, ricercarsi in condiscendenze non represse dalle Commissioni Centrali di Avanzamento incaricate di vagliare i meriti. Comun que, gli effetti della cattiva luce sussistevano, perchè la plebe rileva più faciLnente le ingiustizie che le benemerenze, ed il capo di stato maggiore doveva ben preoccuparsi e dei fatti e dei loro reverberi, se non voleva ricadere negli stessi peccati di insensibilità che a lui sembravano biasimevoli. Egli pensava che sia indegno del suo grado un generale che, con raggiri o scuse, cerchi di eludere le responsabilità del comando diretto, e che uno stato maggiore che possa dare anche uno solo di sjmili frutti non possa considerarsi perfettamente congegnato. Un'uitima osservazione era motivo, per esso, di seria meditazione in materia di riforme. Avendo al mio attivo, dal 40 a 43, quattro campagne su diversi fronti non contemplativi, non mi erano m,mcate le occasioni per conoscere e per pesare, in veste di inferiore, le doti di comando di numerosi superiori: fra tutti, a mio giudizio, due erano emersi per qualità intrinseche di comanaanti, -

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:guerrieri nati, pronti e sicuri : il generale Messe, di cui ho parlato, ed il generale Carlo Rossi, che comandò il XXV Corpo in Albania: entrambi si eran formai:: da sè, senza essere titolati di scuola di guerra, ed eran sempre vissuti fra le truppe. L'orgogliosa denominazione di Stato Maggiore, estesa a tutte le forze armate ed abusata dai giornalisti, ha significati molteplici e si presta ai più comodi equivoci. Lo stato maggiore vuole esprimere il cervello della forza militare ed è, di per se stesso, etichetta di dubbia proprietà poichè contiene il concetto di potere collettivo, mentre la condotta della guerra richiede potere monarchico, 'Ossia inconfondibile responsabilità. All'Accademia Militare mi avevano insegnato che, con l' espressione stato maggiore, si intendeva il complesso dei generali dell'Esercito, il che era logico. Vi erano poi gli ufficiali di stato maggiore, che in Marina erano gli ufficiali di vascello, ossia gli ufficiai i tattici destinati al comando delle navi , delle squa·dre e della Rotta: il che pure era logico. Nell'Esercito, invece, lo stesso termine stava ad indicare i collaboratori dei comandi, ctl era termine onorifico cd ambìto perchè tendeva a confondersi col cervello direttivo, ed ogni partecipante si -

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sentiva un po' fibra, se n on zona, di quel cervello. Il difetto organico della formazione di questo complesso, nel quale lìguravano brillanti intelligenze, fu l'eccesso della teoria: questi ufficiali passavano spesso dai banchi della scuola al comando di grande unità, dal comando alla cattedra dell'insegnamento, dall'insegnamento all'ufficio, di qui al ministero, con troppo rare apparizioni alle truppe, in un mestiere che è tutto di pratica, di esperienza, di applicazione e di b uon senso. Si foggiaron o i grandi nomi di dottrina militare, di corso di alti studi, si scrissero volumi, si studiò il passato e non sempre se ne trassero tutte le razionali conseguenze per preparare l'avvenire : ad ogni guerra ci presentammo impreparati J i au11 i e Lli sistemi tattici, e fummo sorpresi dalle novità della realtà. Osservazioni del genere, dopo l'altra guerra, furono fatte e pubblicate, sia pure talora con faciloneria e dilettantismo, da una massa di critici estranea alla carriera, la massa degli ufficiali di complemento : i militari di carriera ebbero il torto di n on tenere nel debito conto c1uelle osservazioni, che pur provenivano anche da uomini della tecnica e della organizzazione civile, amanti del loro paese. -

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N on hasta constatare gli inconvenienti e convincersi della loro consistenza : il capo responsabile deve provvedere ad eliminarli. La crisi storica che l'Italia stava attraversando nei mesi durante i quali rivesliì la carica di capo di stato maggiore, lasciava prevedere una revisione di ìeggi e <li organismi alla quale non poteva rimanere estraneo l'Esercito: il momento era, dunque, favorevole per una revisione di criteri e di sistemi. A parer mio occorrevano, all'uopo, provvedimenti di carattere immediato onde evitare il ripetersi di alcuni gravi inconvenienti del passato, e provvedimenti di lunga portata, da meditarsi prima e da attuarsi poi, in sede di rinnovamento delle leggi di Stato e di avanzamento u!lìciali, per raggiungere i seguenti scopi: sostituire al diffuso criterio cli stato maggiore comprendente gli ufficiali brevettati di scuola di guerra col laboratori elci comandanti , un nuovo criterio che considerasse stato maggiore soltanto il blocco dei colonnelli e gen erali, comunque assurti all'al ta gerarchia, perchè pervenuti a traverso una accurata selezione attuata durante l'intero percorso de ll a carriera, ten endo conto, sopratutto, delle qualità esplicate n ell'esercizio del comando; far -

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partecipare alla collaborazione nei comandi ed uffici, per pèriodi n on troppo estesi e senza speciali benefici di carriera, tutti gli ufficiali denotanti idoneità ad assurgere ai gradi più elevati, .addestrancldi al particolare servizio con un corso adeguato; promuovere a scuola di guerra quell'istituto misto delle tre forze armate, riservato .ad ufficiali di età matura, la cui lontana origine in Italia fu merito della Marina, e dove il fen omeno guerra viene esaminato sotto tutti i suoi aspetti di attualità. Innovazioni di tal n atura avrebbero ripercussion i. non soltanto sull'intera legislazione, ma altresì su ogni istituzion e e consuetudine dell'Esercito: negli ultimi anni del m io servizio attivo, in caricato di studi sulle leggi .di stato e avanzamento ufficiali, ne compilai uno schema rispondente ai criteri che ho enunciato. Per il momento occorreva mettere in atto la serie dei provvedimenti immediati, che si potevano riassumere nei seguenti : - sciogliere il corpo di stato maggiore ,che, fra tante categorie di stato maggiore destina.te a compiti analoghi, non aveva particolari diritti di esistenza, e che conferiva a quei col laboratori un grado di superiorità, non gimtifìcato, su -

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altre collaborazioni tecniche non meno importanti nella guerra moderna; - eliminare le categorie e le sottocategorie di servizio di stato maggiore, scartando il superfluo meno selezionato, ed immettendo i prescelti in un'unica categoria con diritti uniformi; - procedere, per conseguenza, alla selezione, dando la dovuta considerazione alle doti di impersonalità di intenti, di amore delle responsabilità dirette e di partecipazion e alla guerra combattuta. · Il primo dei tre provvedimenti fu accolto con piacere dal ministro, a motivo della sua popolarità, e fu attuato nell'autunno 44. Al terza provvidi io direttamente con la nomina di una commissione di gen erali, che lavorò cosciem::io-

samente secondo le mie direttive. Per l'attuazione del secondo, il più moralizzatore dei tre, urtai nella opposizione del nuovo sottosegretario militare, più professore che guerriero, il quale ritenne che la legge non potesse essere violata, e che le promesse dalla legge sancite agli studentelli imboscati dovessero essere mantenute. C iò avveniva in un periodo nel quale, le leggi di epurazione più antigiuridiche che la dema~.o-

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gia umana possa concepire, erano varate per essere poi rivedute da altre leggi in contraddizione con le prime, tanto che il Consiglio di Stato - a tutela del proprio deccrc- - dovette poi riconoscere validi quasi tutti i ricorsi dei colpiti. Non poteva esser dubbia la decisione del ministro, tra il p<1rere del capo di stato maggiore e quello del sottosegretario appoggiato ad un partito potente. D opo cinque anni la questione non è stata risolta, e gli studentelli imboscati fan car·· riera, mentre tanti combattenti sono stati sacrifìcati. Esposti, così, i difetti che io vedevo nella organizzazione della collaborazione occorrente ai comandi più elevali, ed i provvedimenti che mi parevano atti a correggerli, rivolgo un pcn.siero di simpatia e di gratitudine allo stato maggiore che avevo costituito attorno a me a Lecce, eppoi a Roma, traendo, per quanto possibile, gli ufficiali e.la coloro ch e avevano partecipato ad operazioni di guerra , scevri <la presunzione e da carrierismo, presieduti dal generale Santi, puriss ima figura di soldato e di patriota. M inor purezza esisteva nel min istero: le cose vi peggiorarono coi ministri e coi sottosegretari politici, e vi riap-

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parve qualche figura di scodinzolante servitorello, evidentemente gradita ai padroni. Noria vita dei reggimenti, specie nel contin ente, trovai un certo inevitabile stato di abban-<lono. A parte le condizioni generali di demoralizzazione, si trattava di truppe ch e, di massima, non avevano, al loro attivo, la gloria di imprese vittoriose, od almeno di strenue resistenze sostenute e che, travolte dalla bufera, si trovavano spezzettate, private di rifonimenti regolari , mal nu trite, mortificate dal frnmmischiamento con le ricche truppe vincitrici . Non sompre i coman.danti reagivano con sufficiente energia; la fatale inerzia aveva afferrato taluni ; non tutti sapevano inventare i metodi reattivi poichè mancavano il regolamento, o la circolare, che li suggerisse¡ una stentata vita amministrativJ incombeva su non pochi reparti. Al generale scoraggiamento si sovrapponeva la piaga della diserzione, del diritto alla diserzione, favorito dall.c famiglie, dai paesani, dalJ'esempio dei partiti che incitavano i soldati a tornarsene alle loro case, pcrchè tanto tutto era ~nito, e la guerra, e la liberazione d'Italia, eran -questioni che r iguardavano gli inglesi e gli ame6.

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ricani. Il tutto incoraggiato dai lauti guadagni annessi al mercato nero. I quadri inferiori eran facile preda del collasso generale, i quadri superiori avrebbero ben voluto reagire ma, per la scarsa abitudine alle iniziative, non sempre trovavano le vie ed aspettavano ordini. Riconosco peraltro che, nelle condizioni lasciate dalla sconfitta, la disciplina avrebbe potutto essere assai più scossa di quanto fosse in realtà. lo pensavo con rimpianto ai bei tempi nei quali, con poche telefonate, si riusciva a riunire a Roma, in ventiquattr'ore, tutti i generali e tutti i colonnelli d'Italia, per impartire un unico verbo direttivo. Mai il verbo era stato tanto necessario com e in quel momento, e mai più gravi intralci di trasporti e di comunicazioni avevano ostacolato la divulgazione. Comunque, tormentando quotidianamente le truppe che presidiavano la Puglia, trasportandomi per due o tre giorni in Campania ed in Calabria, vulanJo in Sardegn a per mtrattenermici dieci o quindici, mi fu possibile prender contatto con quasi tutte le divisioni e con grnn numero cli reggimenti, e -perseguire così tre scopi : portare parole di conforto e di incoraggiamento, combattere l'ozio là dove an-· -

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,d ava combattuto, e iniziare un sistema di addestramento dei quadri e delle truppe. Ho la convinzione che il problema dei sottuflìciali non sia mai stato affrontato, in Italia, secondo la giusta via, ~n quanto è stato piuttosto valutato sotto l'aspetto dei miglioramenti economici e cli stato che orientato a<l un elevamento morale della categoria. Il quale consiste nel conferire autorevolezza al sottufficiale, nel risvegliare in lui il senso della responsabilità, nel fargli . sentire che ci fidiamo di lui, nel non pretendere che ogni minimo atto della vita militare sia rimesso all'ufficiale, neì considerare mancanza punibile l'invadenza del l'uflìciale zelante nella sfera d'azione del sottufficiale. Per conto mio, cercai di diffondere queste i<lee con la predicazion e, con qualche circolare e con un regolamento che intitolai « Norme per la utilizzazione e 1n valorizzazio.'le del sottufficiale ». Preparai queste norme a Lecce, nella primavera del 44: ·esse furono pronte nel giugno, ma fìnchè fui capo di stato maggiore non mi decisi a divulgarle, sia percbè eravamo asserviti agli alleati, i quali probabilmente avrebbero voluto sindacarle, sia perchè, a rigor di termini, norme di tal -

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natura avrebbero dovuto essere promulgate dal ministro, e non mi fidavo di dargliele per timore che egli, dopo cli averle approvate a voce, col più soave dei suoi sorrisi, per suggerimento di consiglieri occulti, timorosi di novità , le ponesse poi a dormire in un cassetto. Le emanai, invece, in Sicilia, quando ne fui comandante militare, e cercai di farle mettere in pratica, per lasciare all 'Esercito italiano almeno una eredità di buon e intenzioni. Le idee di riform a e di rieducazione dei quadri trovarono dei seguaci entusiasti nei generosi: generali, colonnelli ed ufficiali veramente amanti delle istituzioni, e non colpiti dal male della inerzia, furono d'accordo con me. Gli scettici, gli inerti, gli scoraggiati, non videro che una scocciatura di più e mi classificarono nel novero degli idealisti impenitenti. Quale relitto di vecchie consuetudini trovai. in qualche generale, la tendenza a contrattare le destinazioni e a discutere, da pari a pari, col capo di stato maggiore, gli ordini ricevuti . Tale relìtto era sintomo assai grave di rilassatezza disciplinare penetrata nell'organismo della gerarchia : la perfetta educazione militare sa dimenticare l'a-

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mico od il compagno, per veclere, in servlZlo, esdusivamente la carica. Curai il male con qualche severo richiamo, ed in breve l'inconveniente cessò. Dell'ordinamento del nostro piccolo Esercito, e delle trasformazioni imposteci dagli alleati ho già discorso. l nostri Gruppi di Combattimento, tra i1 febbraio ed il maggio 1945, hanno dato un valido, e spesso decisivo, concorso alla rottura della linea gotica e alla liberazione della valle padana: mi lusingo che, a questo successo, abbia contribuito anche il vigoroso impulso educativo dato all'Esercito, nell'inverno 43-44, dal buon volere degli uomini del sud. Giunto ormai oltre il limite della mia carriern, g uardando le cose retrospettivamente, ho ragione di credere che, i miei sforzi per tenere in vit;, l'Esercito mediante la cura dei quadri , siano stati apprezzati dagli onesti. Tra i bei ricordi dclb rnia vita militare sono le attestazioni cli devozione che, ancor oggi, mi pervengono da sottufficiali già appartenenti al 20° Artiglieria da campagna, che comandai dal 32 al 35, e le lettere di affetto che ho ricevuto, dopo la cessazione dalla emica. da com,mdanti e da gregari dei Gruppi di -

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Combattimento. Ascrivo a mio onore che, durante i quattordici mesi di capo di stato maggiore dell'Esercito, mi siano state indirizzate, forse, ci~que lettere anonime e, negli ultimi mesi, quasi nessuna lettera di raccomandazione. Nella diffi,cile opera, certo superiore alle mie forze, ebbi nella mente, come modelli da imitare, due belle figure di capi: la figura di Luigi Cadorna che a malgrado di taluni difetti dovuti alle sue virtù - ritengo sia stato, fin dopo l'altra guerra, il generale italiano più completo per capacità e per carattere, e la figura del generale Gazzera che, in qualità di ministro, vide chiaramente le lacune del nostro organismo militare, e riuscì in buona parte a colmarle, senza temere l' impopolarità. Entrambi furono invisi alle anime piccole, ma la storia li ha collocati tra gli uomini degni della stima e della riconoscenza della Nazione.

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VIII LIBERAZIONE DI ROMA N ei primi due o tre mesi, le mie ispezioni erano limitate alla Puglia, alla Calabria e alla Sardegna, dove passai le feste natalizie del 1943 per prendere contatto con le unità ivi dislocate. Entrato in linea, il Corpo Italiano di Liberazione, nel dicembre 43, trasferitisi, nel febbraio 44, il Governo ed il capo di stato maggiore generale in zona Salerno-Cava dei Tirreni, il mio campo di azione si allargò, e la mia vita assunse un ritmo più movimentato. Man mano che la Puglia si spopolava, e che le operazioni alleate si spostavano verso Roma, sempre più sentivo la necessità che lo stato maggiore fosse spinto avanti, poichè a Lecce si era completamente tagliati fuori dalla vita pulsante della guerra. Perciò, dal marzo in poi, insistetti incessantemente per il nostro trasferimento verso Napoli, cd anche oltre, ed avevo -

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fatto costruire un'attrezzatura campale per attendare tutto lo stato maggiore : l'ostinato diniego della M.I.I.A. impedì tale semplificazione e rese più difficile e farraginoso il problema dei miei contatti col mondo vivente. Una seconda sosta di quindici giorni feci in Sardegna nell'aprile. La vita diventò turbinosa dalla fine di maggio ai primi di luglio. Scatenatasi l'offensiva dei Vosgi, decisi di abbandonare Lecce, volenti o nolenti gli alleati , e di stabilirmi a Cava, per puntare di qui su Gaeta, s u Roma , sull'Abruzzo, dove frattanto si era spinto il Corpo di Liberazione. Fu quello il periodo più bello della mia permanenza allo stato maggiore, non soltanto perchè il moto continuo ed il lavoro tumultuoso sono avvincenti, ma sopratutto perchè vibrava nell'aria la attesa liberazione di Roma, e sorrideva l,a speranza che Roma rappresentasse, per l'Italia, 1a conquista di una su a maggiore importanza nazionale e militare: come difatti avvenne. Ricordo la sera del 26 maggio, quando il bravo generale Cortese mi portò lìno a Gaeta, presi contatto con i primi profughi reduci dalla montagna, e seppi che gli americani erano già a ·Fondi: ciò sembrava un sogno. Ricordo il 9 giu-

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gno quancio, informato delle proibizioni alleate di raggiungere Roma, andai ad Anzio a trovare Cortese, trasferitosi colà col suo comando, ed insieme combinammo la gita a Roma in jeep, eppoi rimasi a Roma due giorni, ospite del palazzo del Quirinale per gentile invito del Luogotenente; scappata, quella, che risultò poi tanto utile per la chiarificazione della autorità che doveva comandare a Roma. Ricordo la commozione con la quale, da Carroceto, vidi disegnarsi al1'orizzonte la cupola di S. Pietro: oh giorni, ultimi giorni del fiorente maggio! Quale intensità di lavoro, quale ricchezza di vita illuminata dalla speranza, pari sokanto a quella che avevo provato tenendo i comandi in Albania ed in Tunisia. Nel giugno si può dire che, praticamente, avevo abbandonato Lecce: in quel mese, infatti, vi rimasi in totale cinque giorni. Quando gli alleati si accorsero del gioco, contrario alle loro vedute, fecero ordinare che ministero della Guerra e stato maggiore permanessero a Lecce : ma si era già ai primi di luglio: frattanto si era lavo-

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rato a Roma, ed anche gli alleati si erano resi conto della opportunità che tutti gli organi del Governo, e del cmnando militare italiano, vi si stabilissero, se non si voleva che la confusione dei poteri aumentasse, e se si desiderava di combinare qualche cosa di positivo. Fu così che il mio definitivo trasferimento alla capitale avvenne il 7 luglio quando, contro la volontà della M.I.I.A. , già avevo trasferito un buon nucleo dello stato maggiore, come spiegherò in seguito. Dal 9 al 30 giugno cinque furono le gite che feci da Cava a Roma, dove avevo lasciato fì sso il tenente colonnello Sampò che vi lavor ò, al solito, molto bene. Ebbi così occasione di stabilire collegamenti tra gente che stava in Puglia o a Cava e le rispettive famiglie che, nel settembre, eran rimaste bloccate a Roma : vidi, tra l'altro, la Famiglia di M esse, cli Orlando, di De Stefanis, la signora Roatta, alla quale dissi che non ritenevo opportuno che, per il momento, suo marito si spostasse dalla Puglia : « ma perchè ce l'hanno tutti con lui? » mi chiese. Durante la prima gita fui ricevuto, in visita di omaggio, da Sua Santità. Il 17 giugno presenziai al funerale per il colonnello M ontezemolo, nella chiesa di San Car-

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lo al Corso, organizzato dalle autorità di Roma, e così, non so se con loro piacere o dispiacere, fu vista ad una pubblica funzione una autorità militare regolare italiana. Ivi incontrai molte conoscenze. Trasportai pure da Roma al sud, con la macchina a mia disposizione, varie persone altrimenti impossibilitate a muoversi. Queste notizie scambiate, queste distensioni di animi, queste riunioni deJ1e sparse membra di famiglie amiche, erano una consolazione per chi aveva modo di procurarle, ne rallegravano la vita, aprivano la sua speranza che altrettanta gioia Dio gli avrebbe concesso, un lontano giorno, lassù nel Piemonte, tuttora occupato. Invece, nell'ultimo viaggio a Roma, il 28 giugno, gli venne recapitata una lettera del fratello, pervenuta mesi prima da Torino, che gli annunciava la morte della Ma<lre, avvenuta nell'autunno precedente. Il pronto arrivo a Roma di una rappresentanza dello stato maggiore, e la sua permanenza effettuata con la prepotenza, si dimostrarono in seouito forieri di. inattesi bcnelìci, poichè perb misero di rapidamente eliminare le autorità italiane, estranee al Governo, che vi si erano installate con l'appoggio dell'ingenuità degli alleati -

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e che, predominando n ella capitale in concorrenza col Governo legale, speravano di Farne un corpo staccato dal resto dell'Italia libe1ata. Ebbi, così, un'altra conferma della teoria che sono uso di predicare agli ufficiali: dallo studio delle campagne di Napoleone, e delle cause delle sue vittorie, una cosa ho imparato: che egli faceva presto. Le ambizioni personali non tralasciano occasione, in Italia ed in altri paesi del mondo, per creare complicazioni a danno della vita nazionale. Tra i dirigenti della resistenza clandestina in Roma esisteva una vecchia ruvvine, che 00 affiorò in taluni guando si trattò di raccogliere gli allori. [I generale Bencivenga, e più cli ]ui i com ponent i la consorteria cristallizzata intorno a Ìui , pretendevano tli avere una parte preminente nella direzion e dell a cosa pubblica e, in attesa di diventar membri del Governo, non intendevano cedere ad alh·i la porzione di potere acquisita. Perciò inventarono la Città di Roma e, fornicando con gli alleati , si misero alla testa di c1uesto ente. Si anelava così delineando un antagonismo tra Roma ed il sud, che lascio pensare guanto bene avrebbe proc urato all 'Italia. Da costoro, l'ar-

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rivo degli usurpatori sudisti fu visto di malocchio, ed anche peggio la loro installazione negli uffici di via XX Settembre. La consorteria intrigò coi disorientati allea ti, per la parte di competenza ita liana, sulla ci ttà di Roma : ìa venuta nella capitale, almeno degli organismi militari , fosse ritardata sine die, e gli usurpatori se ne tornasse::o a Cava o, meglio ancora, a Lecce. Ciò spiega l'imposizion e della M.I.I.A. perchè ministero della g uerra e stato maggiore non si sognassero di spostarsi dalla eccentrica cittadina. Per fortuna nostra, peraltro , la M.U.J\. stessa si era fatta precedere a Roma, in veste di suo rappresentante, dal colonnello Pidslcy, uomo in telligente, tenace, di buon senso, dotato lli idee personali, capace di iniziative, non prevenuto contro di noi, onesto ed imparziale. Fin dai primi contatti avuti con lui, ebbi modo di constatare come egli si fosse reso esatto conto della situ azione: essere la C ittà di Roma un dannoso ingombro concepito da arruffoni : gli unici in gra.do di lavorare seriamente essere i regolari organi costituiti dal Govern o legale; essere necessità urgente regolarizzare ogni cosa e togliere <Cl i mezzo gli arruffoni. TI tenente colonnello -

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Sampò seppe validamente rappresentarmi quando si trattò cli mettere in luce, a Pidsley, gli inconvenienti derivanti dalla confusa situazione, e penso che Pidsley abbia fatto capo direttamente alla autorità del Maresciallo Alexander, imponendosi anche alla M.I.I.A. Forzando anch' io la mano, fìn dagli ultimi giorni di giugno avevo fatto trasferire, da Lecce a Roma, metà dello stato maggiore: ciò irritò i burocrati della M.I.I.A. Sta di fatto che, mentre il J° luglio perveniva il famoso ordine di rimanere tutti fermi a Lecce, due giorni dopo seguiva il contrordine con la disposizione che - dal 1O dello stesso mese, se non erro - ministero e stato maggiore iniziassero a funzionare a Roma. Bastò allorn che a Roma si trasferisse stabilmente la mia persona, perchè i bagagli e gli uffici già vi erano stati in-

stallati. La norma del far presto non mi aveva tradito. La rapida liquidazione della consorteria non fu l'unico beneficio ricavato dalla pronta venuta del capo di stato maggiore a Roma. Nella città c'era una massa di ufficiali e di sottufficiali che attendeva dal Governo italiano una sistemazione : sistemazione morale, sistemazione di impiego, -

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s istemazione fmanziaria. Molti cli essi erano vissuti alla macchia, distaccati dalla famiglia, senza ricevere il becco di un quattrino. Occorreva dar loro l'immediata sensazione che il Governo si interessava della loro sorte, an che per mitigare Ja spiegabile acrimonia che esisteva verso i signori del sud, quasi che questi non avessero .sopportato la loro parte di guai. Provvidi tosto perchè dalla Puglia fossero spediti alla capitale alcuni milioni, per concedere un primo anticipo .a tutti gli ufficiali e sottufficiali. Occorreva inoltre valersi, senza indugio, dell'opera di ufficiali trovati a Roma, sia per i servizi necessari nella città , sia per colmare gli organici del Corpo di Liberazione e di altre formazioni. Ma bisognava evitare di impiegare person.e compromesse dal loro coml)ortamento politico durante l' occupazione, ed istituire pertanto u na commissione discriminatrice. Mi parve che nessuna scelta potesse essere migliure di quel la dei generali della riserva Amantea, Ago e Guidi, maestri degli ufficiali della mia generazione e di provata clirittura morale. Li pregai cli accettare l'incarico, ed essi si misero senz'altro al lavoro, e furon cosÏ gettate la basi di quella commissione di discriminazione -

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che tanto ha lavorato per purificare e rellimere¡ questo povero Esercito. A Roma andai ad abitare da PaJlavicino alla Salita del Grillo: questa sistemazione fu una vera provvidenza, ma non potevo pensare di rimanerci in eterno. Una sera, in casa di amici, incontrai il professor Castellino, simpatica persona, molto colta e competente di arte, bel conversatore, di larghissimo cuore; anche lui affiissi con le mie pene domiciliari, cd egli fu il mio salvatore. Egli possedeva, tra le vie Puccini e Pinciana, un sontuoso appartamento di rappresentanza, adorno di pregiate pitture e' sculture e di rare porcell ane, accanto al quale aveva ricavato un appartamentino ch e mise a mia disposizion e:

ma mise a mia disposizione, per i ricevimenti richiesti dalla mia carica, anche l'appartamento di rappresentanza, la servitĂš e, sopratutto, la squisita cortesia sua e della sua signora nel coadiuvarmi nei compiti di padrone di casa. Mi parve di essere il protagonista di una fiaba nella strana mia vita di mendicante di lusso che, privato dagli eventi della casa e della famiglia, ha trovato, su l suo cammino, delle anime caritatevoh -

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che gli hanno attenuato le pene del nomadismo e della solitudine. La mensa dello stato maggiore fu stabilita nella pensione Terminus, in piazza dell'Esedra, e fu mensa aH-ìatata e lieta, alla quale parteciparono parecchi generali, vecchi miei compagni di accademia, di scuola di guerra, di carriera, ospiti gradevoli e confortevoli. Taluni di essi, rimasti a Roma fedeli al loro dovere di soldati e perseguitati dai repubblichini, avevano sofferto la fame e presentavano i sintomi del deperimento organico. Era per me una gioia il vederli rifiorire alla men sa, alla quale l'abilità di Santi riuscì a farli partecipare, benchè essi non figurassero tra i razionabili secondo i computi c.lella M.I.I.A. Nelle numerose visite che ricevetti a Roma, e 11ei colloqui che ne risultarono, fui colpito dal fenomeno dello sfasamento c.legl i spiriti, anche in persone intelligenti, nell'appre:aamento delle proprie situazioni personali in rapporto con la situazione gen erale. Ho già riportato l'ingenua domanda rivoltami dalla signora Roatta ; aggiungo, ora, che si presentarono a mc parecchi generali implicati nelle vicende del set-

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Lernbre - sulla cui condotta pertanto era logico che si dovesse indagare - meravigliati di non essere ancora stati richiamati in servizio; essi venivano per segnalarmi le destinazioni preferite, che eran quasi sempre di comandi in linea. Talora erano individui su cui gravavano possibilità di procedimenti penali gravidi di conseguenze, in cospetto di un'opinione pubblica ostile, in una atmosfera politica impaziente di accertare le responsabilità , ed anche di prevenire i giudizi , sotto l'imperio di alleati diffidenti T ra una gita e l'altra a Roma, feci varie visite al Corpo di Liberazione, ch e oramai si era riunito cd era stato trasferito nel settore adriatico. L'avanzata del Corpo a traverso le Marche [u uno dei miracoli ch e solo l'italiano sa compiere. Ho altrove accennato alle condizioni di miseria in cui il Cor po <li Liberazione si è costantemente trovato : miseria di vestiario, di artiglieria, di munizioni , di quadrnpedi, di automezzi, di carri armati. Esso combatteva inquadrato tra unità polacch e ed inglesi dotate cli ogni ben di Dio, ricchissime di trasporti, generalmente gelose cli questi e n on disposte a cederne ai miserabili. Riunendo autoblinde e camionette, -

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racimolate non so come, Utili era riuscito a costituire ciò che pomposamente chiamava il suo corpo motorizzato. Eppure, questi laceri soldati, non vollero rimanere indietro alle divisioni che marciavano in carrozza, e si tennero sempre alla loro altezza a traverso le faticose giogaie che scendono ali' Adriatico. Merita menzion e l'occupazion e di C hieti , eseguita il 9 giugno, da una compagnia del 184° Paracadutisti, per determinazione del colonnello Ronco, in contrasto con precise disposizioni del comando inglese. Questo, infatti , intendeva riservare al prestigio delle forze britanniche l'occupazione della città, rimettendola al giorno successivo dopo massiccia e solenne preparazione di artiglieria e di aerei, che avrebbe arrecato incalcolabili danni all'abitato e agli abitanti. 11 colonnello Ronco - sotto la propria responsabilità e con ponderato senso di patriottismo - ordinò alla dipen<lente 38° compagnia di occupare C hieti la sera stessa, il ch e fu fatto in seguito a violento scontro, preven endo altresì la distruzione di numerose opere d'arte che i guastatori tedeschi stavano allestendo. Io vidi, un giorno di luglio, alle tre del po-

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meriggio, sotto un sole folgorante, i paracadutisti della Nembo camminare con i m ortai da 81 spalleggiati, ed avevano già percorso quindici chilometri, cd ogni giorno, così, ne percorrevano altrettanti. Filottrano era in vista. Forse quei soldati ignorano la somma di bene ch e essi h an n o fatto all' Italia col loro fìero contegno. Soltanto un popolo ricco di energie potenti e latenti è capace, nello stato di prostrazione e di abbandono in cui fummo lasci ati nel 1944, di avere simili reazioni e di fare simili affermazioni. Gli alleati compresero, e n on furono avari d i riconosci menti e di elogi scritti. Si erano, fra ttanto, ordinate le di visioni a usilia rie al seguito delle armate alleate, con piena soddisfazion e di queste. Salmeristi, portafer iti, soldati del genio, reparti di pol izia , rc pa rtj d i lavoratori, autieri, portatori, tu tti si fecero onore e pagarono cli sangue. Sentivano il pungol o dell'amor proprio nazion ale. Una compagnia del genio, presso Vasto, riuscì a compiere, in 24 ore, il gittamcnto di un ponte per cui gli americani ne avevano preventivato 48 : b sera r itardarono rancio c riposo pur cli finire l'opera prima d ello spirare del giorno, e destarono la meraviglia degl i -

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americani. Gli alleati, specie gli americani più affettivi, presero a benvolere questi reparti, e non si doveva parlare di destin arli altrove o di sostituirli. 1) 13 agosto Firenze veniva sgomberata dai tedeschi , stabilizzandosi la linea, per ahri dicci giorni, immediatamente a nord ciel l'abitato, e incroci:md osi le traiettorie delle artiglierie al d i sopra della città. Il 16, col solito sistema di far capo a Cortese e con Ìo scopo di far visita al gen erale C lark, entrai in Firenze tra le festose accoglienze di tanti amici e conoscenti. La periferia era infestata dai cecchini e le artiglierie tiravano rabbiosamente. Presi contai to coi patrioti della divisione Arno, che si era battuta con valore. Ritornai poi a Firen ze il 13 settembre. ln tale occasione il comitato di liberazione fece radunare le rappresentanze elci patrioti a PaJa7.zo Riccard i, cd io li incitai ad arruolarsi quali voìontari, dal momento che g li alleati n on consentivano di incorporare le formazioni partigiane; tra l'altro accennai alla conven icn za che l'Italia si preoccupasse di costituirsi un esercito, n ell'ora in cui l'imperialism o russo si presentava sulla -'>panda mediterranea , venendo a fronteggiare -

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l'imperialismo inglese. La frase dispiacque ai patrioti comunisti, e francamente me lo dissero: essi non ammettevano che la Russia combattesse per scopi imperialistici, ma soltanto per ideali umanitari. O santa ingenuità , perchè perseguiti sempre gli italiani migliori?

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IX 1 GRUPPf DT C OMBATTIMENTO Alla fin e del luglio 44, il Corpo di Liberazione era esausto di mezzi e stanco: presto o tardi esso avrebbe dovuto essere ritirato: non si prevedeva, allora, che altre divisioni italiane venissero armate per combattere accanto agli alleati. Tutto lasciava credere che la partecipazione attiva del I' Italia alla guerra stesse per esaurirsi. La divisione Bari era stata sciolta per imposizione degli alleati ed i suoi battaglioni immessi fra le truppe ausiliarie; battaglioni della Piceno e della Friuli erano stati destinati alla mietitura del grano in Puglia, compromettendone lo spirito militare; si parlava come di cosa certa dello scioglimento della Friuli. Improvvisamente, il 23 luglio, riunione plenaria alla M. I. I. A. , presieduta dal gen erale Browning e con la partecipazione del sottosegre-

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tario alla Guerra italiano e del capo di stato maggiore clell' Esercito. Il generale Browning manifestò la sua cordiale soddisfazione nell'avermi potuto comunicare una notizia che « vi ha fatto · brillare gli occhi di gioia ». La notizia consisteva nella partecipazione, alle autorità italiane, dell'intendimento, quasi sicuro sebbene non ancora ufficiale (gli inglesi erano sempre pieni di riserve), dello stato maggiore alleato, cl i armare ed equipaggiare sei gruppi di Combattimento italiani, con materiali completamente inglesi, entro il termine di tre mesi. J Gruppi di Combattimento dovevano essere costituiti su 2 reggi-· menti di fanteria su 3 battaglioni con 1O batterie: noi avremmo preferito chiamarli divisioni, sebbene, in effetti, fossero brigate miste, pari a mezze divisioni inglesi. Designammo al la trasformazione la Cremona e la Friuli, tuttora per la massima parte in Sardegna, la Piceno in Puglia, la Mantova in Calabria; i due restanti Gruppi sarebbero stati il Legnano ed il Folgore, tuttora costituenti il Corpo cli Liberazione, da ritirarsi dalla linea per la trasformazione. Zona di costituzione e di primo addestramento, il Be-

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neventano, per la sua prossimità ai porti di Tapoli e di Bari. T comandanti dei Gruppi furono: il generale Primieri per li Cremona, Pcdrotti , eppoi Scattirn, per il Friuli, Beraudo di Pralormo per il Piceno, Bologna per il Mantova, Utili per il Legnano e Morigi per il Folgore. Questi generali, che rappresentavano il meglio dei nostri quadri elevati , sostennero il grnve onere, sul cammino che l' ltalia aveva scelto dopo aver abbattuto il regime fascista. L'unico atto, infatti, che poteva redimerci moralmente di fronte agli alleati, era la partecipazione attiva al combattimento, anche se da loro non troppo desiderata, cd anche se i henefici che l'Italia avrebbe tratto dovessero maturare a scadenza di decenni. A sud della linea gotica, lo spettacolo di miseria offerto dai partiti per colpa di politicanti è stato corretto, se non ncutral izzato, dallo spettacolo di valore dato dai sule.lati - specialmente dai soldati rego lari - per merito di generali e di comandanti di ogni grado. T utt1 i generali comandanti dei Gruppi di Combattimento erano tipi caratteristici. Già ho ,<.letto di Utili e di Morigi. Primieri era uomo ,eh aspetto freddo e compassato, ma pieno di -

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fuoco interno, saggio amrnrn1stratore della disciplina e dell'addestramento, serenamente· .tenace nel richiedere e nel protestare. Beraudo, medaglia d'oro guadagnata in Afoea per forza di carattere, taciturno e volitivo. Scattini, già comandante della divisione Spezia in Tunisia ai miei ordini, da me preposto alla Friuli, calcolatore calmo e sereno, anche tra le preoccupazwni più assillanti. Bologna, ardente, affezionato alla sua Mantova come un innamorato, sicuro cd intc1ligente traduttore in atto delle direttive ricevute, rigido coi dipendenti e pieno per essi di pei)sierini gentili. l Gruppi divennero vere e proprie unità di modello inglese: entro ogni Gruppo era inserito un nucleo di sette ufficiali inglesi denominato B.L. U. , presieduto da un colonnello, con l'incarico di controllare e di assicurare che tutto avrebbe camminato secondo i metodi e b volontà inglesi. Taluni di questi B.L. U. esercitarono la loro .funzione, se pure con fermezza e scrupolo, · anche con tatto e riguardo, a titolo di consiglio e di garanzia; altri si comportarono come se fossero veri comandanti titolari, sovrapponendosi addirittura ai comand anti italiani e, per conse-

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guenza, esautorandoli. Questione di carattere delle persone. I nostri comandanti seppero, all' oc, correnza, reagire con dignità. 11 personale dei Gruppi non era scelto ed omogeneo, come sarebbe avvenuto se le nostre divisioni fossero state lasciate nel loro assetto primitivo, e non bistrattate come ho detto altrove. Le sottrazioni di personale, specialmente autista, effettuate nei primi sci mesi del 44, per immetterlo nelle truppe ausiliarie, la destinazion e di interi battaglioni ai lavori di mietitura, il cambio di molti ufficiali per le esigenze di congedamento, compromisero la compagine delle unità e furon causa di non lievi difficoltà per i comandanti: per ripianare i vuoti furon presi soldati un po' dovunque, ricorrendo anche agli ultimi sbandati raccolti, trasferendo uomini da unità ad unità, ricorrendo, al5ne, al richiamo di disertori del 43. Nè gli alleati si decisero, se non molto tardi, ad ammettere volontari e cioè gli italiani più disposti a combattere. E' onesto riconoscere la fondatezza delle apprensioni degli alleati: i volontari per passione patriottica, se posseggono doti di entusiasmo e di coraggio person ale, sono, di norma, elementi di scarso spirito disciplinare e .:li -

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scarsa pazienza , motivi questi di minor loro rendimento: basta leggere i I libro di Cadorna « La riscossn » per rendersene conto. fnoltre, sino all'inizio del 1945 , i partiti estremisti facevano <lel lorn meglio, non solo per vilipendere l'Esercito, mn per agita re l'idea di ricorrere a formazioni volontnrie con ufficia li improvvisati, disconoscendo volutamente gli sforzi meravigliosi del Corpo cli Liberazione, ed esaltando esclusivamente le gesla. delle qua li molte indubbiamente ammirevoli , dei pa rtigiani . J\llinistero e stato maggiore erano disposti a tutto arrischiare pur di dar vita ai G ruppi di Combatti mento. Anche gl i ufficiali de lla M.L l.A., a cominciare dal generc1le Brown ing, die dero 1'a11i111a per far fronte alle non poch e diCiìcoltà. Essi stessi n on eran o sempre in grado <li supC'r;irle come avrebb ero voluto, perchè n on tutti gli arrivi erano p untuali, perchè i materiali inviati non corrispondevano, in ogni caso, per LIuantità e per qualità a lle previsioni, perchè la guerra è fatta di imprevisti e gli imprevisti, di massima, non rappresentano l'acilitazioni. Gli inglesi avevano stabilito, a Benevento, una scuola per l'a<ldestramenLo <lei quadri, non -

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soltanto della loro nazionalità ma altres'ì di tutte quelle alleate. Bisogna riconoscere la serietà e la praticità dei metodi di addestramento inglesi: al riguardo abbiamo da imparare. Essi analizzano ogni atto elementare del combattimento (come il camminare sul campo di battaglia, lo strisciare sul terreno, il postare logicamente un'arma) e per ogni atto dettano al soldato, al graduato, al sottuOìciale, precisi criteri e corrispondenti norme: soltanto quando gli atti elementari sono bene compresi cd appresi, si procede alla tattica di insieme. Di massima, la nostra istruzione er::i più sommaria e rimessa all'interpretazione del singolo. Ogni Gruppo di Combattimento inviò alla scuola di Benevento un buon numero <li ufficia li, sottuflìciali ed interpreti i q uali , dopo un corso di una ventina di giorni, venivano ripartiti nei reggimenti e nei battaglioni per istruirne, a loro volta, gli altri ufficiali e graduati , a traverso ai quali, per ultimo, venivano istruiti i soldati cd i reparti. Di pari passo veniva impartito l'addestramento amministrativo, veniva cioè diffusa la conoscenza tielle minute norme di cura , manutenzione e rifornimento dei materiali distrihuiti. Mentre l'istruzione sulla conoscenza e sul-

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l'impiego delle armi procedeva con soddisfazione, ed anzi, con ammirazione degli ufficiali B.L. U per la prontezza di comprensione italiana, maggior fatica si incontrava per l'applicazione delle norme amministrative, un po' per la deplorevole, generalizzata, incuria con la quale gli italiani usano trattare la roba dello stato, un po' per la ragione che i materiali automobilistici, distribuiti in misura insufficiente, erano continuamente in ballo, senza dar respiro per i periodi di riposo, necessari anche alle macchine. Donde osservazioni, circolari e ramanzine degli alleati a tutta la scala gerarchica italiana, delle quali, invero, non si poteva dar loro il minimo torto perchè, dopotutto, si trattava di roba loro e perchè, in simile materia, gli italiani farebbero perdere la pazienza ai santi. Entro il termine di un paio di mesi giunse il vestiario, e fu una vera consolazione, se pur pagata a prezzo di una uniforme non nazionale, vedere finalmente i n ostri uomini vestiti da soldati e non da pezzenti. Essi avevano l'aria fiera e soddisfatta. Le uniformi erano del tipo inglese, e portavano sulla spalla un rettangolo tricolore col segno distintivo del gruppo: spiga per il -

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Cremona, castello per il Friuli, guerriero (Alber. to da Giussano) per il Legnano, folgore per il Folgore, aquila per il Mantova. La bella uniforme significa disciplina. Il soldato vestito male, povero di oggetti di corredo, con le scarpe rotte, non può essere disciplinato: egli si sente umiliato nella sua miseria, cd è indotto ad attribuire al superiore la causa della umiliazione: la miseria suona sfiducia. Il soldato vuole apparire bello a se stesso, alla famiglia, al pubblico, sopratutto alle donne: la soddisfazione del proprio desiderio di bellezza lo esalta e lo dispone al sacrificio ed all'ubbidienza, che è pur sempre sacrificio. L'anim a del soldato è profumata e.li romanticismo. Allo scopo <li rendere possibile l'addestramento, lo stato maggiore compilò la traduzione italiana della regolamentazione- inglese. Furon raccolti una quindicina di ufficiali interpreti, ed il lavoro procedette con sorprendente rapidità. Se nella regolamentazione vi era abbondanza di istruzioni relative ai materiali ed al loro tecnicismo, mancavano invece le norme di impiego delle varie armi e delle grandi unità : i relativi criteri venivano, di preferenza, esposti oralmen-

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te nelle lezioni. Questi criteri, raccolti dagli ufficiali frequentatori dei corsi, vennero inseriti nel nostro regolamento tattico della fanteria, in guisa che i quadri trovassero, accanto alle norme in uso presso il nostro Esercito, il corrispondente criterio adottato presso l'esercito inglese, facilitandone così la comprensione. 11 genera le Belletti, ispettore di artiglieria, si adoperò per dettar norme che rendessero agevoli agli artiglieri le applicazioni dei metodi e delle graduazioni inglesi. L'artiglieria italiana è indubbiamente superiore a quella inglese per la semplice ragione ch e essa è povera, mentre quell~1 inglese nuota nell'abbondanza: il povero agu zza l'ingegno per trar profitto anche dall' ultimo proietto, e perciò affina l'arte del tiro assai meglio del ricco. Delle nostre capacità artiglieresche ben si accorse la 8" Armata inglese sulla linea cli En rideville, quando 1a 1• Armata italiana, con artiglierie che non raggiunsero mai, in munizioni, la consistenza di una unfoc completa, realizzò tali concentramenti che gli inglesi non riuscirono a sfondarla, a malgrado dei cruenti ten tativi diretti da Montgomery. Belletti faceva frequenti ispezioni ai reggimenti di artiglieria dei Gruppi di Com-

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baLtimento, in pieno accordo col comandante inglese di artiglieria che ne apprezzava l'intelligente attività: questa fu, invece, male interpretata dai piccoli cervelli di alcuni B.L. U ., che inilu cn zarono sfavorevolmente, contro Belletti, il generale Browning. Io incoraggiai sempre Belletti a perseverare nella pro.fìcua opera sua, e credo cli avere, così, agito nell'interesse degli italiani ed anche degli inglesi. Una volta armati, vestiti ed equipaggiati, i Gruppi di Combattimento furono trasferiti nel Chianti e nelle Marche, per un periodo di addestramento di insieme. I due primi Gruppi, Cremona e Friuli, furon fatti transitare per Roma, dove ebbero accoglienze festose dalla popoiazionc. Furono - al solito - gli arruffapopoli a guastare la festa. Ouando transitò il Friuli, il palco delle autorità era stato eretto in via dell'Impero, davanti al la statua di Cesare: sulla statua era stata collocata una bandiera tricolore; sul p alco, oltre alle autorità italiane, politiche e militari, erano varie autorità inglesi, tra le quali il generale Browning cd il colonnello Pidsley. Prima dell'inizio della sfìlata, un gruppo di studentelli, indegni di questo nome, agitando una ban7.

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diera rossa, strappò e buttò a terra il tricolore_ J ministri ed i sottosegretari comunisti, presenti, si presero ben guardia di intervenire per evitare ]o sconcio. Gli inglesi rimasero talmente stomacati del contegno dei ragazzi, e degli adulti, di fronte al simbolo n azionale, ch e non vollero più saperne di sfilate per Roma di altri Gruppi di Combattimento, e risposero sdegnosamente di no ogniqualvolta il min istero, o Jo stato maggiore, insistettero per ottenerle. L'addestramento <li insieme fu condotto in modo molto serio. Le manovre duravano varie giornate, con successive notti invernali fatte passare all'adiaccio, con studio minll7ioso dei particolari, con controllo severo delle reali attività esplicate dai reparti. Dalla esercitazione era bandito qualsiasi intento spettacolare, o propagandistico. da elargire agli occhi di autorità incompetenti : essa mirava al preciso scopo di insegnare, ad ufficiali e soldati, che cosa fosse la realtà della guerra in vista delle prossime operazioni. Grave fenomeno nei Gruppi di Combattimento fu quello delle diserzioni o - con l'eufemismo in uso - delle assenze arbitrarie: un certo numero di soldati se ne tornava a casa, oppure -

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non rientrava dalla licenza . Molte le attenuanti: il desiderio di rivedere la famiglia specialmente in occasione delle feste natalizie, la constatazione cli numerosi disertori lasciati indisturbati per insunÏcicntc azione di rastrellamento dovuta, a sua volta, all'ampiezza del fenomeno , i lauti guadagni possibili nel commercio del mercato nero messi a confronto con le durezze, ed i risch i, della vita militare, l'incitamento dei familiari, l'opera dei partiti. 11 danno che ne avrebbe potuto derivare all'Italia sarebbe stato inaudito: quale figura, quali ripercussioni sulle relazioni con gli alleati, quali con segu enze per la futura pace se i Gruppi non fossero giunti a combattere, e se l'Esercito regolare avesse fallito alla prova. Le diserzioni, in taluni gruppi, raggiunsero, nel gennaio, la cifra di 2000 su 9000 dell'organico: so io le notti bianche che passai sotto l'incubo di tale min accia. Fortunatamente il fenomeno non si manifestò in ogni gruppo con pari intensità ; in un gruppo, anzi, non si manifestò affatto e, dopo le marce <li avviamento al fronte, il suo comandante ebbe la sorpresa di trovare un certo numero di presenti arbitrari. L'inconveniente andò scomparendo man mano che i gruppi si avvici-

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navano alle prime linee: tuttavia , fu necessario sacrificarne uno dei cinque, il Piceno, per trarne complementi onde ripianare le lacune degli altri. Il Piceno servì ad impiantare il centro di addestramento complementi, che fu dislocato a Cesano (presso Bracciano) nel febbraio 45: ivi affluirono i richiamati ed anche i patrioti. I Gruppi di Combattimento diedero superba prova nelle operazioni offensive della 8a Armata inglese, nell'aprile 45, che condussero alla conquista dell'Italia superiore. Senza i nosh·i Gruppi Alexander non avrebbe avuto forze sufficienti per intraprendere l'offensiva. E' indubbio che i gruppi italiani furono tra le unità più manovriere della s· e della 5" Armata; essi concorsero, così, ad abbreviare talune azioni risolutive e riscossero le più ampie lodi dei comandanti allea~i. Gli italiani hanno bene superato anche la decisiva prova dei Gruppi di Combattimento, e debbono essere orgogliosi di essi non meno che dei partigiani: sotto certi punti di vista è stato più difficile costituire e mandare a combattere i Gruppi di Combattimento, che non i partigiani. Se agli effetti sostanziali della vittoria il rendimento dei Gruppi è stato notevolmente su-

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periore a quello dei partigiani, ciò avvenne per chè gli sforzi dei primi erano coordinabili, mentre non fu possibile coordinare gli sforzi dei secondi.

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X CASA REALE E UOMIN I POLITICI Sino al giorno della mia assunzione alla carica di capo di stato maggiore dell'Esercito, i miei contatti con le case reali erano rimasti piuttosto limitati. Durante la mia permanenza in un comando di armata, retto da un principe, avevo per altro avuto modo di studiare gli usi delle corti e la mentalità dei cortigiani. Ricordo il senso di sincera compassione, in me risvegliato, da un ambiente illuso sulle realtà della vita, avvolto nelle presunzioni delle facili prerogative e nelle nuvole d'incen so delle adulazioni, ricercante popolarità nei hvoritismi e nelle raccomandazioni, alla mercè di volgari camerieri e, talora, di aiutanti di campo profittatori. Questi intriganti non si rendevano conto del male che arrecavano alla monarchia, perchè focevan nascer dubbi anche nelle fedi più salde nell'istituto monarchico. Per -

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quanto non sia da credere che, i cortigiani ed i profittatori, difettino nelle repubbliche. AU' atto dc!la assunzione della carica, promulgai un ordine del giorno dove parlavo di resurrezione dell'Esercito e del1'1talia, incitavo i comandanti alla cura morale degli uomini, parlavo della tragedia di Vittorio Emanuele III e lo indicavo come capo del lo Stato da seguire sulla via da lui tracciata. Una parte della stampa sottolineò l'ordine del giorno, e capì la logica del mio atto, nelle circostanze del momento. Seppi che un uomo politico tra i più eminenti dei partiti dell'ordine, lo commentò di scarsa opportunità politica: tanto può la passionalità, fìno a far dimenticare, a<l un uomo indubbiamente equil ibrato, il peso delle circostan~e e J elle responsabilità, ed il carattere sacro che, il giuramento prestato, riveste agli occhi di qualsiasi soldato devoto alla patria e geloso del proprio onore. Con Vittorio Emanuele 111 ebbi quattro colloqui : nelle questioni militari rilevai, in lui, l'amore, di stile piemontese quattrocentesco, a,l rigido formalismo, ed un minore interessamento per la parte sostanziale, che io ritengo consistere nell'addestramento all'impiego delle armi. Adde-

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strarnento è una parola grande, ed anche un po' spregiudicata, e si traduce nel conferimento, ad una moltitudine, d ella capacità di fare la guerra, ri no a quando il malanno della guerra non sia estirpato dalle consuetudini umane. Nella educazion e militare dei principi c'era la tendenza ad attribuire grandissima importanza al formalismi ed alle esteriorità , che n egli eserciti non sono le cose principali. C ol Principe di Piemonte ebbi colloq ui settimanali, ancor prima che egli divenisse Luogotenente del Regno. Le conversazioni, con lui, riguardavano esclusivamente questioni riRetten ti l'Esercito, alle yuali egli prendeva un vivo interesse: si avvertiva in lui, allevato ed abituato ad esercitare attivamente il comando, il piacere dj pa rlare di argomenti militari, e la nostalgia di averne dovu to abbandonare la trattazione diretta per le cure politich e. Ad Umberto II fu riservata la sorte, non lieta, degli credi del trono in attesa, con le aggravanti del sospetto del partito al potere, della concorren za con la Casa d'Aosta. Caduto il fascismo, egli fu il martire dell'idea monarchica e, com e tale, la turba lo ricoprÏ di vilipendio e di calunnie. -

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L'idea monarchica, per il solo fatto di aver retto il mondo per millenni, è degna di rispetto storico, e nessun vivente ha l'autorità di proclam ar e che essa sia superata dalla barbara civiltà moderna. Fra l'utopista Rousseau, che voleva rifare la società con l'azione rivoluzionaria, e lo scettico Voltaire. era più vicino al segreto della felicità umana quest'ultimo, quando affermava che, il passato, cacciato dalla porta dalla fantasia dei riformatori, rientra spesso per la finestra. Le turbe dal 44 al 46, ed oltre, han no commesso lo stesso peccato di orgoglio e di ignoranza che ha rovinato il fascismo, misconoscendo i saggi insegnamen ti dei secoli trascorsi. N ella fase di attesa il Principe si dedicò, con passione e con ser.ietà, all'Esercito : n ei vari comandi che egli resse, giustamen te pretese una maggiore diffusione de lla conoscenza tecnica delle armi, che n ei nostri q uadri non era sufficientcmenle curata ; diede m olta importanza alla disciplina, e la amministrò con severità di stile che incuteva, nei dipendenti, timore e rispetto. Umberto Il conosceva molti ufficiali nelle virtù, nei difetti e nelle vicende cli carriera; esprimeva giudizi esatti e, in forma semplice e non imperativa, dava suggerimen ti che -

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ho riconosciuti, in ogni caso, improntati a giusto criterio e a senso di opportunità. Dalla impressione personalmente riportata della maturità, preparazione, serenità di spirito e buon senso dell'uomo, ho tratto la convinzione che, Umberto TI di Savoia, avrebbe potuto essere un ottimo candidato alla presidenza della repubblica italiana. Troppo elevato e troppo complesso è il concetto di monarchia per essere compreso dalle masse ignoranti o, peggio, dalle semi istruite: queste, o vi credono per impulso sentimentale così come credono alla loro religione, ed amano il loro re come una espressione divina, oppure nella loro presunzione, infarcita di luoghi comuni, non vedono, nella istituzione, se non il privilegio, ritenuto in ogni caso ingiusto: i demagoghi hann o buon giuoco n ello scalzare e nel demolire, salvo a sostituire ai re ed alle Famiglie reali, elette dai secoli, le sovranità del proprio io e delle proprie clientele, elette dalle passioni dell'attimo fuggente. Nei tempi che viviamo, di gretto materialismo, frutto di false :6.losofìe il cui fallimento è visibile anche ai ciechi , l'idea di un capo di stato che derivi la sua autorità da -

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quell'altro Capo indiscutibi·le che sta nei Cieli, fa sorridere anche mohi di coloro che del Capo celeste si fan banditori. Se c'è una istituzion e che dia consistenza al biblico senso patriarcale da cui trae sostentamento la concezione sociale cristiana, essa è la monarchia, la quale eleva al sommo della collettività nazionale un a famiglia, e con la sua continuità nel tempo collega l'una con l'altra generazione. All'orgoglio dei viventi sostituisce il monito dei trapassati, e circonda di un culto religioso l'autorità somma dello stato. Il 2 giugno, il materialismo dei rossi, elci 11cri e dei bigi ha distrutto, forse irreparabilmente, in un popolo, una religion e: e le religioni non si fabbricano nè in un mese nè in un ventennio, ed è difficile trovarne i sur rogati. /\duna distribuzione di medaglie d'oro alhi memoria dei soldati caduti a Roma dall'8 al 10 settembre 43, io vidi la madre di un decorato tremare nel presentarsi al Luogotenente, tremare per l'emozione suscitata, nel subcosciente, nell'avvicinare quell'autorità terrena portata sul trono dalla volontà di Dio, dalla storia di un millennio e dal sentimento degli uomini. E mi chiedevo se, « per l'Itala gente da le molte vite, e da le calde passioni », non sia -

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più confacente una istituzione fondata sul sentimento atavico, anzichè quell'altra, rispettabilissima, ma ispirata soltanto ai freddi dettami della dea ragione. Non si può dire che la scelta dei primi aiuLanti di campo in Casa Reale sia sempre stata felice, perchè nell'ai utante di campo fu ricercato iì sicuro regolatore del servizio di prammatica, piuttostochè i I collaboratore. L'aiutante di campo non è da confondersi col gentiluomo di corte, così come sono due fìgure diverse l' ufliciale di stato maggiore di un comando e l'ufficiale d'ordinanza del generale. Peraltro, nelle particolari ,circostanze della costituzione della Luogotenenza del Regno, ritengo ch e sia stata felice la scelLa del generaie ìnfante, quaie apportatore di ind ispensabili idee innovatrici nel chiuso del la cori.e. Buono cl' animo, intelligente, dotato cli raro intuito, molto disinvolto in società, conoscitore delta lingua inglese, eg li assunse l'incarico contro voglia, ma vi si dedicò con profondo senso del dovere, con passion e e con devozion e del la quale il R e U mberto gli fu grato. Taluno lo diceva invadente: ciò non risponde al vero: l'aiu-.1.antc cli campo, cioè il soldato messo accanto al -

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Sovrano, capo delle Forze Armate, deve conoscere quanto si svolge attorno al Sovrano, anche se ciò possa recar dispiacere a qualche ministro e.li Real Casa o a qualche cavaliere d'onore. Quando Infante entrò nella Real Casa vi destò un po' di scandalo. Ciò avvenne il 9 giugno 44,. nel palazzo del Quirinale: il Luogotenente, accompagnato per la prima volta da Infante, era venuto in volo a Roma su apparecchio degli americani , per la costituzione del nuovo Governo: io vi ero capitato per conto mio, scapolando fra le maglie delle proibizioni alleate. Entrando al Quirinale, avevo notato l'apparato di palazzo regolato come prima dcll'8 settembre: domestici in frak rosso e calze bianche, il corazziere di servizio al suo posto in perfetta uniforme, dame del1' aristocrazia che volevano ad ogni costo presentare i loro omaggi al Principe, senza riflettere che egli era venuto a Roma per ragioni di stato, e che il peggior servizio che gli si poteva rendere, in quel momento, erano le visite di etichetta da parte « des aristocrates » : ma molti monarchici sono stati, dopo 1'8 settembre, i più zelanti nemici Jella monarchia. Insomma , nell'interno del Q uirinale, tutto procedeva secondo il regolamen-

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.to di palazzo, come se quei terribili nove mesi non fossero trascorsi. In tale ambiente di benpensanti piombò la spregiudicatezza di Infante, con la sua pipa, il ritardo nel presentarsi alla mensa dei gentiluomini ed il diritto di critica. :-Jaturalmcntt, egli non raccolse le simpatie del1' ambiente: gli fu fatta una guerra sottomarina, alla quale io mi opposi con tutte le mie forze, perchè [ìnalmente, con lui, un senso di salutare novità entrava in quel recinto chiuso e retrivo. Non avevo mai avuto contatti col mondo politico, e con senso di viva curiosità approfittai di quelli che le circostanze della vita mi offrivano. Ricordo con simpatia guel gruppo di uomini che, a Brindisi, si strinsero attorno a Badoglio nel piccolo Governo del su<l: erano degli onesti volonterosi, più costruttori degli agitatori e.li parte che succedettero loro : quegli uomini avevano riscosso la fiducia degli alleati e, se fossero rimasti, l'f talia ne avrehhc probabilmente guadagnato. Già nel Governo composito di Salerno, ed ancor più in quelli successivi alla liberazione di Roma, l'amministrazione fu soffocata dalla poli tica, sotto i segni del rancore e della vendetta. In materia amministrativa i ministri divennero do-

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cili marionette nelle manj della burocrazia, dando origine a quella onnipotenza che dura tuttora, mentre l'estremismo di sinistra vi iniettava le proprie cellule corroditrici. Ciò avveniva mentre ci si avviava alla firma del trattato di pace: lo straniero, installato in casa nostra, guardava e subsannava. Nel piccolo ambito delle soddisfazioni personali dei nuovi potenti, era curioso notare quanto· questi esponenti democratici - senza distinzione di partito - fossero felici quando capitavano nel nostro ambiente militare, manifestando le stesse puerilità dei loro predecessori fascisti: gli onori, che nel nostro Esercito abbondano e che lasciano impassibile chi è abituato a riceverli normalmente, perchè li sa diretti al grado ed alla carica e non alla persona, li lusingavano, e la loro aspirazione era di passare una rivista: cd invero, la moltitudine di uomini im mobile, presentante le armi alla maestà di una persona, è spettacolo imponente. Allora i potenti sfilavano COI cappello in mano, con l'aria un po' impacciata, tra l'autorità che loro derivava dal popolo, ed il desiderio di farsi perdonare, dai soldati, l'inframmettenza di cui sentivano la -

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falsità; mentre essi anelavano a sollecitare il favore deJla truppa, guardavano con diffidenza ai capi militari, pronti ad addossar loro la responsabilità più assurda. E' abitudine inveterata dei politici di impostar male le guerre, eppoi far colpa ai generali di averle perdute: dei democratici non meno dei fascisti. Dirò, in successivo capitolo, quanti ostacoli l'uomo politico abbia frapposto ad una seria ricostruzione dell' Esercito. Credo che pochi generali abbiano guardato l' Esercito, duran te la loro carriera, con tanta ansia di rinnovamento quanto l'estensore delle presenti note, e siano stati, quanto lui , convinti di riforme sostanziali da apportarvi: ma ho dovuto constatare che nessun aiuto gli venne, fìnchè io rimasi in servizio, dagli uomini politici, anche da quelli che più hanno sbraitato di emende: essi vanno in solluchero <]Uando leggono le sconclusionate proposte di un qualsiasi generale fallito, ma dimostrano democratica paura quando si tratta di por mano a qualche provvedimento che scuota, dalle fondamen ta, la routine del vecchio mondo militare. La ragione della incon gruenza, che risale alla fondazione dell' unità d' Italia, sta nella in-

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sanabile incomprensione, da noi vigente, tra mondo politico e mondo militare. ln Germania, in ¡ Inghilterra, in America, in Russia, i generali sono rispettati come espressione viva della nazione; in Francia i politici si intendono di cose militari e le discutono, a tu per tu , coi m ilitari . ln Italia, i politici, ne capiscono nulla , nulla fanno per aggiornarsi, limitandosi, se mai, a criticare e ad ironizzare. Ricordo un deputato del partito liberaile, che ebbi occasione di conosoere quando tratta vo i problemi di stato e di avanzamento degli uffÏcia li , e che avevo sperato si interessasse della m ateria : ogni due o tre giorni mi perveniva, da lui, la richiesta di raccomandazione per il sotlotcnente X, o per il soldato y, ma non ebbi mai la soddisfazione di sentirmi richiedere spiegazioni su argomenti relativi alla legge in gestazione. CosÏ stando le cose, non è mai successo che un uomo politico italiano abbia formulato un suggerimento positivo di fondamentali innovazioni, salvo poi ad escludere che sia un generale a dirigere il dicastero militare. Al contrario, parecchi corroditori implacabi li dell'Esercito, hanno poi preteso di valersene, p er lfuesto o per guello scopo. nelle inevitabili -

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crisi storiche, quasi che una istituzione dell' ordine d i una forza arm ata non richieda continuità . riguardo, affezione, incoraggiamento da parte dei rappresentanti della Nazione; quasi che la cura dell' Esercito n on si traduca in tutela dell a vita dei cittadini; quasi che sia lecito sollazzarsi, a scopi settari, col sangue del popolo. Per avere un ' Italia sufficientemente forte e sufficientemen te rispettata, occorre che gli uomini politici di tutti i colori si convincano che la guerra è una cosa seria , come ammoniva, trent'anni fa, il M aresciallo Giardino.

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XI MJN1STRl E SOTTOSEGRET ARI ALLA GUERRA Delle relazioni dello stato maggiore col ministro Orlando durante la permanenza a Lecce, e dei buoni risultati del comune lavoro ho parlato. Resta a dire delle relazioni col ministro Casati, assunto al potere dopo la liberazione di Roma. Come uomo politico egli mi apparve corretto nella forma e scarsamente conclusivo n ell a sostanza, genuina espressione di quei cauti partiti d'ordine che, barcamenandosi tra varie paure, provocano le dittature. Affabile, condiscendente, premuroso, pieno di tatto, con la parola suasiva e col fare paterno, seppe conquistare simpatie nel mondo militare, ch e è sempre un po' ingenuo. Alle mie proposte di certa importanza di -

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capo di stato maggiore, la prima n sposta era cli sì, ma, nella gran parte dei casi, la esecuzione era indefinitamente differita e si evitava di tornare sull'argomento : di fronte ad una presumibile opposizione si preferiva [are intervenire terze persone, nomin are una commissione, mantenere un a neutralità, protrarre una soluzione fìnchè i casi della vita l'avessero superata. Nell a dolorosa circostanza della morte, davvero eroica, del lìglio, egli fu perfetto nello slancio spontaneo con cui accolse il primo abbraccio di conforto, nell a fermezza con la quale rimase al lavoro, nella forza di volontà con cui dominò il dolore, pur manifesto nel fisico affranto. Rifiu tò la proposta cli medaglia d'oro alla memona. Casati si 1x esentava come l'uomo probo, il cittadino integerrimo, il propugn atore di t utte le libertà: il frequente contatto da lui tenuto , duran te la vita, con l'ambiente militare, e la dimestichezza goduta con quella forte figura lli galantuomo e di generale che fu Luigi Cadorna , inducevano a ritenerlo l'u omo più adatto - nel Governo di coalizione del 1944 - a reggere le sorti del disgraziato e vilipeso Esercito. A lui -

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si presentava la nobile missione di essere il difensore delle sue ben emerenze, passate e recenti, contro le denigrazioni di quasiasi specie. Verso i capi caduti sotto la sua dipendenza egli non dimostrò, però, quella generosità che, politicamente, sarebbe stata difficile e personalmente incomoda, ma che gli avrebbe guadagnato la stima dell'Esercito. Sotto l'aspetto politico la stima dell'Esercito ha lo stesso difetto della poesia : non dat panem. Nell'assumere il dicastero della G uerra Casati commise un errore: il generale Orlando, su o predecessore, con apprezzabile gesto, si offerse di fargli da sottosegretario : conoscitore del meccanismo, benvoluLo Jai Jiretluri generali, in accordo col capo di stato maggiore a malgrado dei difetti di questo, in armonia col sottosegretario politico, onestamente in ombra a tergo del superiore, Orlando poteva rappresentare la competenza tecnica militare nella compagine governativa e la capacità di decisione che mancavano al Casati, ed inoltre la continuità del funzionamento nell'ingranare Lecce con R oma: l'opera del Casati ed il bene dell'Esercito ne avreb-

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bero sicuramente guadagnato: C asati , forse per ragion di prestigio, declinò l'offerta. Il ministro Casati ebbe un sottosegretario politico, lo stesso di Lecce, l'avvocato Palermo, e due successivi sottosegretari militari, i generali Oxilia e Chah¡ian. Il sottosegretario Palermo, visto in altri tempi girar per Napoli con la camicia nera, era il tipo del signore napoletano, simpatico, spiritoso, e non so fino a qual punto convinto del suo credo politico. Pur non avendo nel ministero nulla di utile da fare ai fini amministrativi , egli si era creata una segreteria di scagnozzi di pura marca fascista, altezzosi come egli non era: aveva l'anticamera sempre affollata <li clientela di aspetto nuovo per i corridoi del vetusto palazzo. Ubbidiente al partito, egli contri buiva, come meglio poteva, a scalzare l'Esercito, ed aveva una certa influenza sul ministro, anche se questi non la voleva ammettere. 1 sottufficiali puniti ricorrevano volentieri al sottosegretario politico per farsi rendere giustizia. Il generale Oxilia, già valoroso comandante della divisione Garibaldi, costituitasi in Montenegro dopo 1'8 settembre con elementi di divisioni regolari italiane, e scelto poi, per queste -

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sue benemerenze, q uale mio sotlocapo nel marlO 44, era stato da me proposto al la carica <li sottosegretario dopo che Casati ebbe scartata la soluzione Orlan<lo. Il generale Chatrian , segu end o le vie della politica, gli successe nella carica dopo la crisi <li governo del dicembre 44. A parer mio, ed indipendentemente dalle facilitazioni che me ne sarebbero derivate, compito principale <lel sottosegretario militare avrebbe dovuto essere quello di affermare la figura del capo di stato maggiore, quale ente tecnico responsabile di fronte al ministro. A tale concezione sono contrari gli uomini politici e, nel periodo considerato, i partiti vi erano addirittura avversi, vedendo n ello stato maggiore la beslia ret1zionaria in agguato. R agione di piÚ pcrch è il

sottosegretario militare impiegasse tutta l' avvedutezza, e lavorasse con garbo nell'interesse superiore, facendo scomparire la propria persona. Forse n essuna buona volontĂ avrebbe potuto sostenere questo punto di vista, ed esso non ebbe seguito. 11 generale Browning, seguendo consuetudi ni inglesi nell'ambien te italiano, intendeva trattare con un unico ente militare nostro, il ministero: -

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nessuno essendosi opposto, o potendosi opporre, a tal modo cli vedere, furon fatte assorbire, dal ministero, funzioni che avrebbero dovuto essere di stato maggiore, contribuendo così ad esautorare quest'ultimo. 11 compito di reazione ricadde sulle mie spalle e, nel limite delle mie possibilità, lo assolsi per manten ere intatte prerogative e dignità dello stato maggiore. Tl curioso è questo: che, non avendo il gabinetto del ministro nè i mezzi nè la capacità per affrontare le questioni, i capi-uflìcio del la missione inglese trattavano con gli uffici dello stato maggiore, il quale esautorato nella forma - risultava, dunque, autorevole nella sostanza. Nè nel 1944 nè nel 19-+5, almeno sino alla occupazione dcll' l tali a superiore, si poteva pensare ad un programma di ordinamento del nostro Esercito, ignorandosi le possibilità fondamenrali della sua struttura, vincolate al trattato di pace, al bilancio dello stato futuro, alla questione istituzionale e via dicendo. Esisteva tutta una serie di problemi, la cui soluzione poteva essere utile a qualsiasi forma di organismo il destino ci riserbasse: tali erano i problemi morali della formazione dei quadri e dei metodi di addestramento -

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e - con carattere di attua1ità - il problema della costituzione dell'organo centrale direttivo. onde snellirlo e definire le varie responsabilità. Com e capo di stato maggiore, abbozzai degli stud i che presentai al ministro, il quale mi assicurò ch e li avrebbe letti c.:on interesse. Il primo studio presentato fu yucllo di una legge di avanzamento che correggesse i diretti ddla sciagurata legge 1934, senza evidentemente avere la pretesa ch e venisse subito emanata . M i semhrava, tuttavi a, conveniente presentarsi alla pace con c.:hiare idee in materia. La legge del 34 aveva commesso l'errore di portare la massa degli uflì c.:iali ai gradi elevati, addensando un a ressa alla porta d'ingresso del grado di generale: un sistema invece che mi par logico. e che propug nai, fu quello di fare emergere, lungo tutta la carriera, i migliori, sì da port·::ire pochi valenti a quella porta d'ingresso, riducendo le eliminazioni forzose a percentuali ragion evoli e non offensive, ed affidando ai limiti di et~, la funzion e di allontanamento dei non idonei all'alta gerarchia. Per l'applicazione d el sistema ritenevo che i criteri selettivi dovessero giocare in ogni grado della carriera, avvantaggiando -

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i meritevoli nelle promozioni , e valutando il me-

rito, in primo piano, sulla capacità di comando e sul coraggio personale, anche morale, in secondo piano, altres1, sui titoli di studio e sulle esteriorità ornamentali: il tutto reso operante dalla dirittura e dalla indipenden za delle commissioni di avanzamento, dotate della dignitosa fermezza ch e distinse le commissioni centrali delle quali ebbi l'onore di far parte dal 1944 al 1948.

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Nell'intento di iniziare, al più presto, un sistema di seria e meditata valutazione dei quadri, inoltrai un progetto di riforma, piuttosto radicale, dei criteri di compilazione delle note caratteristiche degli ufficiali: lo consegnai al ministro nel]' agosto 44 , affìnchè potesse trovare applicazione nei giudizi dello stesso anno. 11 concetto sino ad oggi vigente. in tema di note caratteristiche, è stato quello del premio per la buona volontà dimostrata da] giudicanclo: poichè b buona volontà è qualità diffusa n ell' Esercito, ne conseguì una livel !azione nei giudizi sulle massime classifiche, rendendo impossibile la graduazione dei valori. Il progetto da me presentato si basava sul criterio che, le note, riproducessero la fotografia dell'individuo ne' suoi pregi e n e' suoi -

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difetti, così da far risultare, dal complesso dei ]ibretti, una distribuzione di classifiche proporzionata alla distribuzione cli valori esistente in qualsiasi collettività umana, e di permettere di procedere a1la scelta dei meritevoli mediante il confronto delle note, procedimento oggi inattuabfle per la liveJlazione esistente. Mezzi che suggerivo per l'adozione dei concetti proposti : sostituzione della commissione giudicante ai giudizi singolarmente espressi; classifica del valore rimessa ad autorità che, estendendo la propria giurisdizione su molti elementi, fosse in grado di giudicare con criteri di relatività; contenimento degli ottimi, e dei molto buoni, in percentuali corrispondenti alle n aturali selezioni delle collettività e, conseguentemente, valorizzazione dei buoni (oggi chi non è classificato ottimo, in pratica, vien considerato declassato). Il ministro lodò l'intento, si preoccupò dell'arditezza dell'innovazione, certo poco popolare, nominò una commissione di generali, che di massima fu favorevole al progetto, e richiuse la pratica in un cassetto. Oggi, dopo parecchi anni, siamo al punto di par·· tenza e continua la baldoria degli ottimi. Il problema dell'accademia militare per il re-

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clutmnento degli ufficiali fu risolto in modo assai soddisfacente, tenuto conto della ristrettezza dei mezzi e della prevenzione <legli alleati contro il <lisperdimento dell'occorrente numero di razioni, defraudate, secondo loro, al diretto contrihuto alla guerra: quasichè non fossero, essi stessi, interessati a prevedere il futuro Esercito dell'Italia, e quasichè il futuro Esercito non si basasse sugli ufficiali che si formano n el presente. E' peralt ro doveroso riconoscere che la M.I.I.A. , e lo stesso colonnello Kerr, ci misero della buona volontà e che furon concesse 450 razioni per allievi, ufficiali e personale di governo. Jl merito del ripristino dell'accademia risale al ministro Orlando, poichè l'inaugurazione ebbe luogo il 24 maggio 44. L'accademia fu decorosamente impiantata. in una caserma di Lecce, applicando i criteri <lella scuola unica, e <lello studio delle materie scientifiche anche alle armi di fanteria e di cavalleria: del che fanteria e cavalleria furono contentissime e ne trassero ottimo profitto. Grave difetto di Lecce, auale sede cli accademia militare, era , l'assenza cl i terreno idoneo all'addestramento: io penso che, lo studio del terreno, debba essere il pane quotidiano dell'allievo che intende dedicare -

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la vita alla preparazione della guerra terrestre, e che pertanto la sede dell'accademia abbia ad essere in zona che presenti, a portata, terreni di ogni tipo. Per colmo di sventura, difettavano gli autocarri occorrenti per trasferire gli allievi da Lecce alle alture, che non mancano in Ptiglia. Per questo motivo, dopo la liberazion e dell'Italia centrale, molto insistetti con la M.1.1.A. onde dislocare l'accademia a Spoleto: mi fu risposto che, ncl1'intcresse della vita dell'accademia stessa, era consigliabile non toccare quel tasto. L'abolizione del corpo di stato maggiore fu attuata dal ministro Casati, e l'attuazione facilitata dall'aspetto di popolarità che dal provvedimento emanava. lnsoluto, invece, rimase il problema dei sottufficiali che, per la son1111a importanza morale, avrebbe dovuto e potuto essere avviato a soluzioni immediate, anche se imperfette. Nel n uovo clima creatosi nel 1944, sarebbe stato opportuno ed urgente dettare norme appropriate per regolare il governo disciplinare dell'Esercito: questo impulso vivificatore mancò, salvo le solite circolari stereotipate su questioni di dettaglio, che lasciano il tempo che trovano e scuotono la fiducia dei dipendenti. -

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li nnmstro borghese nei dicasteri militari è una bella cosa e, nell'agitato clima politico italiano, offre degli indiscutibili vantaggi, a condizione che egli possegga l'abilità di limitare la propria attività alla parte amministrativa e politica, e che pertanto accresca l'autorità e la sfera cl' azione dei tecnici. Il guaio si è che son rari i borghesi i quali, quando riescono ad avere sulla macchina il guidoncino col bordo rosso, non pretendano cli farla da capi, e sian tratti daH' abitudine a lusingar la truppa come se fosse massa elettorale: col sorriso che invoca il voto. Quel borghese che s:6.la davanti ad un reggimento col cappello in mano, via, siamo sinceri, non ha l'aspetto cli un capo, ed il reggimento non lo . sente un capo. i\ meno che sia un Churchill: ma nessun Churchill si è mai presentato ad un reggimento italiano.

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XII FINE DELL' INCARICO Il confronto storico tra la preparazion e organica del nostro Esercito nelle successive epoche, e le guerre da esso combattute durante il secolo XX, dà credito alla constatazione che esso sia stato costantemente sfasato rispetto ai tempi, e che, almeno sino a quando io vi prestai servizio attivo, non sia mai stato radicalmente modifi cato dalla sua struttura primitiva. Mentre il mondo si industrializzava, l' Esercito conservò sostanzialmente l'impronta ricevuta immediatamente dopo l'unificazione delJ' Italia. La guerra 15-1 8 aveva dato dei buoni generali: tali furono, tra altri, i marescialli d'Italia; essi però, nel doro-guerra, portarono un'ondata di passatismo che i giovani non seppero superare. La motorizzazione. e l'aviazione militari intravidero bensì la strada de] rinnovamento, ma la motorizzazione, troppo poco potente, dovette subire l'incredulità dei dirigenti; l'aviazione si buttò _alla politica, e 8.

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dovette subire l'incompetenza organica del fascismo: t1ui si parla di organica e non dj organ izzazione, ch e è cosa diversa. Il fascismo, per parte sua, attuò una politica estera sproporzionata alla forza dell'Italia, la basò sulla ipotetica vittoria dcl l' alleato senza averne misurato le debolezze, pure assumendo, nello stesso tempo, il ruolo più importante nella ma.I coordin ata azione. Esso fu, pertanto, trascinato ad ingrandire l'Esercito olh·e le possil>ilità nazionali, a ricercarne la potenza nella massa dei contadini chiamati alle armi, senza dotarli di ordigni adeguati: esso perpetuò, di conseguenza, il tradizionale vecchiume. A volte mi sono chiesto se, per attuare una profonda riforma dell'Esercito, oppur quella della scu ola, non sarebbe saggio metter da parte generali, professori e politici, e affidar ogni cosa alle· mani di qualche buon capitano d'industria. Non ho mai ritenuto dirlo forte per evitare i rimbrotti della retorica ufficiale. T] rinnovamento dovrebbe toccare la disciplina e l'organizzazione. In una concezione militare moderna la disciplina dell'uomo sull'attenti , e del superiore che ha sempre ragion e, non può più sussistere; · -

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nei contatti che, LJ uc:ile comandante di territorio, bo avuto coi reggimenti , troppi ufficiali ho trovato inebetiti cli fronte al superiore, balbettanti ragioni puerili , incapaci di sostenere un'idea, preoccupati, come ragazzini di fronte al maestro, di imbroccare la risposta che gli potesse far piacere. Ben diversi atteggiamenti bo notato nei contatti tra superiori ed inferiori inglesi, americani, tedeschi, nella stessa Marina n ostra , dove regnano, da una parte il rispetto del superiore verso il dipendente, e dall'altra la dignità del dipendente in presenza del superiore: la quale si manifosta nel le risposte, pacate, meditate e razionali, che quegli sa dare a questo. Bisogna che tutti i gradi della berarchia abbiano degli uomin i e non degli scolaretti, cd occorre, perciù, instaurare una disciplina di convinzione e di spirito, più che di forma, sul tipo della disciplinJ che esiste tra professionisti e tra tecnici. Tutti ne guadagnerebbero in serietà. Alla istituzione del nuovo sistema molto gioverebbe un effettivo decentramento delle responsabilità. L'organizzazione militare italiana è pesante, e rende pesanti coloro che vi si avventurano. Un attento esame di essa porta alla conclusione che -

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]e sorti del n ostro Esercito sono, in troppo larga misura , nelle mani del mondo impiegatizio: di massima, anche gli ufficiali ch e vengono immessi nel ministero, facilmente si trasformano in impiegati. Quando lo stato maggiore, che è l'organismo centrale più snello e più ardito, minaccia rl i prender la mano, un provvedimento ministeriale lo frena e gli mette il bavaglio. Ciò tarpa le ah a qualsiasi. pensiero originale ed è fonte di un gretto tradizionalismo. I principii sui quali ri tengo debba basarsi una coraggiosa riforma nel campo organizzativo son o: riduzion e alla minima espressione clell'organismo cen trale, audace decentramento del le responsabilità, semplificazione dei procedimenti disciplinari, suddivisione del lavoro, tecnicizzazione della cultura militare, incanalamento delle attività di natura pesante (amministrative - imJuirenti) lungo canali in dipendenti dalle attività di n atura snella (addestramento - disciplina - amministrazione capillare), creazione del militarizzato accanto al militare, sì che il militare possa conservare la fisionomia avventurosa dell'uomo n omade, e la mentalità, un po' spregiudicata, dell'artista. Troppo le anime si sono legate alla carriera, al banco -

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tlella scuola, al computo del vantaggio di avanzamento, alla immorale lettura dell'annuario, alla pratica della maggiorità, al gusto istruttorio del1'inchiesta, alla civetteria della caserma, alla raffinatezza del, così detto, benessere del soldato. Tutto a detrimento del disagio, della fatica , della vita all'aria aperta, della tecnica diffusa, della manovra seria, delle ferme brevi. Mi riferisco sempre all'epoca del mio servizio attivo, e nutro speranza che in seguito molte cose siano cambiate. Per conto mio, all'infuori delle proposte presentate al mio superiore, procurai, nei limiti delle mie possibilità, di diffondere criteri di decentramento, convinto come sono, e come appare dai miei ripetuti accenni sull'argomento, che una delle raJici profonde di nostri indirizzi errati nel campo organico sia stata l'abitudine all'accentramento, supinamentJe subìto. L'accentramento è contrario al principio della suddivisione del lavoro, e suon a sfiducia verso i dipendenti: ne conseguono lo scoraggiamento e l'inerzia spirituale della gerarch ia e, nel campo della guerra, dove tutto è n ovità cd imposizione di volontà, l'assen za di fantasia e di spirito di iniziativa. Nel giugno 44, lo stato maggiore aveva già -

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trovato il suo equilibrio organico: trasferitosi, in men che si dica, da Lecce a Roma, si mostrò idoneo a lavorare nella nuova situazione con disinvoltura campale. Il ministero che si costituì a Roma, frutto della fusione tra l'organismo formatosi a Lecce, e funzionante in modo soddisfacente, e la massa della burocrazia ereditata dalla Città Aperta di Roma , divenne subito una macchina farraginosa, pesante ed ingrombante. La massa della burocrazia romana, già appesantita dallo stato di guerra prima dell'8 settembre, affamata ed orgogliosa, spregiava la gente del sud ed era disposta a vendere l'anima al diavolo pur di conservare il posto. Il breve periodo del governo Bencivenga le aveva spalancat? le porte del ministero: essa si era installata di diritto ne' suoi

scanni e non intendeva esserne rimossa. Ricordo le impressioni che ricevetti nel giugno, durante le mie prime apparizioni a Roma , di tutto q ucsto impiegatume che aveva nulla da fare, poichè il ministero funzionava tuttora a Lecce : eppure si vedevano i capi sezione, con le cartelle sotto il braccio, andar dai capi ufficio, questi dai direttori generali: i dattilografi copiavano, i capi firmavano, le sezioni preparavano le minute di ri-

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sposta: la massa, di per se stes::,;1, irradiava una vila burocratica, e lo slato la manteneva, così, come si mantiene un mulo che riesce soltanto a portare il foraggio per se stesso. La situazione trovata dal nuovo ministro era dunque tutt'altro che semplice, ed avrebbe richiesto di essere affrontata con esperto senso organizzativo, con prontezza e con energia. Penso che, in quei frangenti, soltanto taluni generali profondi conoscitori dell'organismo e di forte carattere (vi erano parecchi generali di corpo d'armata disponibil i) sarehbero stati in grado di dominarla: perciò fu errore l'averli scartati. Le cose camminarono per la loro china. 'fosto che il governo fu stabilito a Roma, mi affrettai a compilare tmo studio relativo alla semplilìca7.ione dell'organismo centrale dell'Esercito, e ne feci cenno verbale al ministro. Fui discretan,cntc avvertito, da terza persona, che l'argomento non era sembrato di suo gradimento perchè suon ava come mancanza di fiducia n ell'opera sua. La supposizione mi parve così madornale che non ne tenni conto: sta, peraltro, il fatto che il ministro non ritornò sulla questione. Poichè ritenevo urgente il problema, tendente a ehia-

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rire le singole responsabilità in un periodo gravido di eventi interessanti l'avvenire clella Patria, e poichè, d'altra parte, i mesi passavano inerti , nel gennaio mi decisi a tornare io sull'argomento, presentando formale proposta scritta di riforma. In succinto, la riforma prevedeva il ministero funzionante con tre organi : lo stato maggiore per la parte tecnica esecutiva, con ingeren za sulla scelta e destinazione del person ale; la segreteria generale (da costituirsi ex novo) per la parte amministrativa ed i servizi; il gabinetto del ministro per la parte politica ed il bilancio. Al capo di stato maggiore lasciata una piena responsabihtà tecnica, ed imposta una doppia dipendenza dal ministro: di esecuzione in materia amministrativa e disciplinare, di consulenza in materia organica e di governo del personale. Il ministro avrebbe, così, conservato la figura dell'amministratore, ed al capo di stato maggiore dell'Esercito, di quel capo espresso dal proprio seno di cui, ogni organismo sano, n on può fare a meno. Forse, all'uomo politico, p arve sospetta questa affermazione di fìgura e di responsabilità cli un capo militare. Mi confermò, più tardi, nella convin-

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zione di aver suggerito una via non sbagliata Vittorio Emanuele Orlando, in conversazione di cui mi onorò durante la mia permanenza in Sicilia: « Quando Antonino di Giorgio era ministro della Guerra - mi raccontò quel maestro di diritto costituzionale - e voleva stracomandare, io gli dicevo: Tu, come ministro, n on coman di niente e nessun o : tu sei un amministratore e nulla più ». Quando, nel novembre 45, sopravvenne la crisi ministeriale, la questione dormiva ancora. Cominciai a ritenere vero ciò che, in primo ~ mpo, mi era sembrato madornale. La crisi politica portò il generale C hatrian alla carica di sottosegretario militare alla Cu erra. Quando, come tale, lo andai a trovare, gli espressi il desiderio che ci mettessimo reciprocamente d'accordo sulle soluzioni dei problemi organici, onde lavorare in piena armonia. Parve acconsentire. Presente il ministro, cbbimo poi una d iscussione, con pensiero nettamente opposto, sulla questione dei vantaggi , da me ritenuti immorali, da dare a] blocco dei capitani frequentatori degli ultimi corsi di scuola di guerra: il ministro appoggiò la tesi Chatrian . Un giorno, verso i primi di gennaio, egli mi diede in vision e un pro-

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getto di riordinamento dell'organismo centrale studiato dal sottosegretario, pregandomi di esprimere il mio parere, ccl aggiungendo che il progetto avrebbe dovuto formare oggetto di discussione. Era ancora il periodo nel quale il ministro mi tratteneva quotidianamente un'ora nel suo ufficio, e mi chiedeva l'opinione su molti argomenti, climostranc.lomi, con lusinghiere dichiarazioni, completa fiducia. Il progetto Chatrian mirava a sottomettere la fĂŹgura del capo di stato maggiore a quella del ministro, anche nella parte tecnica, e a togliergli ogni responsabilitĂ diretta. Ho giĂ osservato altrove come, i colpi mancini all'autorevolezza ed al prestigio dell'alto comando tecnico, siano sempre stati preparati da generali, e quanto sia strano e doloroso tale fenomeno.

Risposi con la memoria riportata nell'appendice 3, e la consegnai al ministro il 15 gennaio. Non ne ebbi altra notizia, e la promessa riunione per la discussione del progetto non avvenne mai. Dopo dieci giorni, il Maresciallo Messe, mi diede appuntamento nel suo ufficio e, dopo di avere accennato a divergenze di vedute tra il ministro e me a proposito dell'organizzazione cen trale, per incarico del ministro mi comunicò -

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che, questi , aveva stabilito di diminuire le fun zioni del capo cli stato maggiore dell' Esercito, che avrebbe investito della carica un generale di brigata, e che io sarei stato destin ato al comando militare della S icilia, resosi vacante in seguito al collocamento a riposo, d'autorità, de'I comandante, sacrificato alle passioni politiche dell'ora. Confesso che mi sarebbe sembrato più intonato al1'ambiente che il ministro aveva l'onore cli presiedere, cd all'aperta amicizia che ci eravamo ricambiata in sei mesi di comune lavoro, se egli stesso mi avesse fatta la comunicazione, con gli occhi n egli occhi. La determinazione fu portata, qualche giorno dopo, al Consiglio dei Ministri, che ne prese atto e l'approvò come un fatterello di ordinaria amministrazione. La radio ed i giornali dissero così: « Il Consiglio dei l\ilinistri, ritenendo cessate le ragioni fondamentali per le quali al capo di stato maggiore dell'Esercito erano devolute attribuzioni separate e, entro certi limiti, indipendenti dal ministro della G uerra, ha deliberato che il capo di stato maggiore sia alle dipendenze del ministro della Gu erra quale suo organo tecnico, cd ha clato mandato al ministro della G uerra di -

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proporre, con criteri di semplificazione, il nuovo ordinamento dell'ammin istrazione centrale della Guerra. A capo di stato maggiore dell'Esercito è stato nominato il generale di brigata x x x. Al generale Bcrardi, già capo di stato maggiore, è stato affidato il comando delle Forze Armate della Sicilia ». A tale dichiarazione avrebbe dovuto, logicamente, seguire un decreto legge che diminuisse la fì gu ra del capo di stato maggiore dell'Esercito (e anche della Marina e della Areonautica). Non mi risulta che esso sia stato promulgato. E' dunque lecito rilevare come, in sedicente pieno regime democratico, un provvedimento di capitale imporlanza per la vita dell'Esercito tuttora in guerra, e della Nazione, sia stato varato senza aver sentito il parere di un parlamento, o di un qualsiasi consiglio di tecnici , o · di un comitato interministeriale, non solo, ma senza neppur discuterlo col capo di stato maggiore in carica, nè, a quanto mi risulta, col capo di stato maggiore generale. Nella sua buonafede, quell'accolta di persone dabbene, non sospettava certo di aver compiuto un atto altamente dittatoriale. Nel provvedimento che sminuiva la fìgura -

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del capo tli stato maggiore, fa d'uopo distinguere i riflessi di carattere generale da quelli personal i. Nei riguardi dei primi, ritenni mio dovere ribadire ancora una volta, con la memoria appendice n. 4 diretta al ministro quale mio atto testamentario, le ragioni a favore della tesi che non sia lecito sottrarre ad alcun organismo, e tanto meno ad un organismo dell'importanza nazionale dell' Esercito, il capo, sangue del suo sangue, espression e del suo pensiero, tutore dei suoi diritti, conservatore dei suoi doveri e della sua morale. Per l'Esercito, un tal capo, non può essere un borghese, an che se ministro : esso h a da essere un generale di grado olevato, e che abbia un nome rispettato per il suo passato cli pace e di gm:rra. Tanto più inopportuno allora si presentava il provvedimento, tenuto con to del controllo di potenze straniere al quale l'armistizio condannava l' Italia in quel momento : era un'umiliazione inflitta dal Governo italiano al suo Esercito, in guerra, sotto gli occhi compiaciuti dello straniero. Evidentemente vi eran cose che, in quel momento, premevano di più della dignità nazionale, dignità che, invece, /farin a ed Areonautica sapevano fieramente sostenere. -

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Nei riguardi dei riflessi personali, nulla di strano che il capo <li stato maggiore in carica non soddisfacesse il ministro, per mille ragioni, che egli non era tenuto a ren<ler note e che autorizzavano a cambiarlo; ma al suo posto si sarebbe dovuto mettere un generale di corpo d'annata provato al comando in guerra: ed erano disponibili Sogno, Orlando, Armellini, D e Simone; o un gcne:ralc di divisione come Utili, che aveva saputo dar vita al C orpo Italiano di Liberazione e condurlo ad onorevoli imprese : non un nome oscuro, di un grado inferiore, con lo scopo non confessato di averlo compiacente esecutore cli ordini, evitando quella eventuale, onesta, opposiz.ione che, i componenti stessi del vigente Governo, avrebbero preteso nei generali che avevano servito alla dipendenza di Mussolini. Analoga tesi fu sostenuta dal M aresciallo Messe, in lettera da lui diretta al capo del Governo, e le ragioni non dovettero sembrare da strapazzo se, a distanza di tre mesi, lo stesso ministro Casati sentĂŹ la convenienza di rimangiarsi il provvedimento, e di nominare capo di stato maggiore dell'Esercito il generale C adoma, promosso divisionario per merito di guerra. carattere non fa-

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cilmente arrendevole, ma uomo di guerra e di fama. L'arbitrario operato del ministro fu rilevato dalla parte sana dell'Esercito, ed articoli di severa critica apparvero su taluni giornali : il giornale liberale del ministro replicò in tono astioso, e perciò poco convincente. l o penso che la ragione vera del provvedimento sia da ricercarsi nella sensibilità politica del Casati. Egh capì che i partiti più forti , rappresentati nel suo m inistero dal Chatrian e dal Palermo, avrebbero gradito la mortificazione dello stato maggiore e la eliminazione degli uomini del sud , e si attenne alia opportunità politica. A pochi mesi di d istanza fu rono pure eliminati Messe ed Orlando. Resosi conto, o prima o poi. dell'enormità di lasciare l'Esercito privo del capo tecnico, egli corresse l'errore iniziale quando trovò il generale che, con le benemerenze del partigiano, potesse non dispiacere ai partiti. Dato il momento e tutto calcolato, e salvo gli spropositi del grado scelto per la sostituzione primitiva e della forma dispotica del provvedimento, ritengo che, in com plesso, il ministro abbia saggiamente agito n ell'interesse generale. Quello che rimase veramente spiacente, e -

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nobilmente addolorato, fu il complesso degli ufficiali costituenti il mio stato maggiore: lo avevo personalmente Formato con elementi moralmente sani, l'avevo duramente, ma liberamente, fatto lavorare; si eran create, fra esso e me, comprensione e stima reciproche; avevamo dato vita, in collaborazione, al Corpo Italiano di Liberazione ed ai Gruppi di Combattimento: avevamo cioè, insieme, contribuito a tenere in piedi l'Esercito per l'avvenire cl'Italia. Questi fedeli ufficiali mi regalarono un album contenente le loro firme, che conservo come carissimo ricordo di una eletta di dipendenti dei qu ali , in veste di capo, ero riuscito a conqu istare la fiducia e l'affezione. Indirizzai un ordine del giorno all'Esercito eJ u110 ai Gruppi di Combattimento, ai guaii lasciavo il mio cuore. Sono riportati nelle appendici 5 e 6. 11 16 febbraio partiÏ da Roma, diretto aIla Sicilia, coi miei fÏdi Pallavicino e Binda. Pochi chilometri oltre Roma , su Ila Via Appia, il generale Santi mi foce trovare schierati tutti gli ufficiali dello stato maggiore dell'Esercito. per dare il saluto al loro capo ch e li lasciava. Pensiero gentile, saluto non di cerimonia ma lli affetto, -

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lungi dai tetri fabbricati politici, in campagna, quasi in assetto di guerra, secondo l'impronta da me voluta per lo stato maggiore. lo dissi loro, press' a poco, così: « Mi è grato il vostro saluto in questa forma. Ora la burrasca è passata: voi l'avete seguita, voi l'avete sentita. La verità è che la mia generazione è sorpassata. Essa ha commesso molti errori ed essa deve scontarli. Tuttavia, qualche cosa di bu ono in essa c'era. Noi vecchi generali , che abbiamo fatto la guerra in mezzo alle truppe, siamo i detentori di queste cose buone. l o vi trasmetto la nostra on està e ]a nostra purezza di intenti , anche se son nascoste sotto il ca rico cli contumelie ch e, ogni giorno, viene lanciato contro di noi. Tra di voi, taluni , assurge:::anno agli alti gradi, poichè nello stato maggiore h o chiamato quanto di meglio offre l'Esercito. Raccogliete qu dle virtù , che ho cercato di diffondere, come l'eredità che io vi lascio: portatele con voi, e proseguite l'opera di diffusione. Sarà, questo, il miglior modo di provare il vostro attaccamento alla mia person a. l o vi ringrazio e vi sa luto». Strinsi a tutti la mano. Eravamo commossi. Dal finestrino dell'automobile, mentre mi allon-

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tanavo, li salutai ancora con la mano, come si salutano i figlioli. Nel dolore mio di lasciarli, di lasciare, con loro, l'opera intrapresa, stava la soddisfazione di averli comandati; nel dolore loro di vedermi partire, stava la fierezza mia di averli conquistati. Queste sono le gioie dei comandanti, solo apprezzabili da chi sente la poesia del comando e delle responsabilitĂ , esercitati in pace e in guerra.

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APPENDICI



STATO MAGGIORE REGIO ESERC lTO U {fido Or1erazioni

P. M. 151 , 30 Novembre 1943 RESCX~ONTO DELLA RIUNIONE TENUTA PRESSO LO S. M. R. E. IL 29 NOVEMBRE ALLE ORE 18,30 Presenti.: - Il Capo di S.M.R.E.: Ecc. Berardi - Il Sottocapo di S.M.: Gen. Mariotti - Il Capo della Missione Mii. Alleata: Gen. Brig. Ducfles11e - Interpreti: Col. Vicino Pallavicina e T. Col. Mariarty· - Segretario: T. Col. Pixzonù:t

Riorganizzazione delle Forze e Difesa Costiera. BERARDI Il Maresciallo Messe ha esposto al Gcn. Joice un progranuna di riordinamento delle forze italiane sulla base del documento in data 17 ottobre che rappresenta la volontà degli alleati. (lettura del documento) E' interesse italiano riorganizzare le nostre forze per poter giungere nei territori italiani man mano liberati con un nucleo di forze che consenta il mantenimen to dell' O.P. 1. -

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E' interesse alleato che noi riorganizziamo la difesa costiera perchè, nell'eventualità di un tentativo germanico, non ne siano danneggiate anche le forze operanti A.A. DucHESNE - chiede idee Ecc. Berardi sulla difesa costiera. Egli ne aveva già parlato con Ecc. Arisio, Gen. Pelligra e Gcn. Dowler, soprattutto per guanto interessava la Calabria. BERA1w1 - La Calabria è u n paese montano e poi non riveste oggi una particolare importanza ai fìni della difesa. Importante invece è il territorio pugliese, in ispecie la penisola Salentina, oer la presenza dei più importanti porti ed aeroporti ed anche per la sua vicinanza al territorio occupato dal nemico.

DucaliSNE - chiede se sono state studiate anche le possibilità avversarie di sbarco. BBRARDJ Non crede aJ uno shan.:o in forze. E' sempre possibile però uno sbarco di pochi elementi, col concorso di paracadutisti, con lo scopo di disturbare l'offensiva alleata o di concorrere ad una eventuale offensiva germanica. DucHSNE - chiede se anche al Comando Supremo si compiono studi su <]Uesta necessità di dìfesa delle Puglie. BERARDI - La <]Uestione (: stata rappresentata anche al C.S. Ora il probJema è allo studio presso lo S.M. Lo scopo di questa riunione è appunto q uello di procedere d'accordo. - - 246 -


Noi abbiamo disixmibili, oltre le 10 divisioni previste dal noto documento, un certo numero di divisioni costiere: di queste una parlc è già impiegata come manovalanza, il resto conviene sia u Lilizzato per la difesa costiera, anche se non è possibile porla rlo allo stesso grado di approntamento delle prime 10 divisioni di occupazione. Desidera conoscerl: il pensiero del Gen. Duchesne per stabilire insieme uri programma di utilizzazione di queste forze. DucHESNE - Dice si essere solo un u fliciale di collegamento e quindi non può prendere impegni. BEnAI1m Le cose ora ra ppresentatc - sulla base di direttive avute dal Maresciallo Messe - sono state anche dette da quest' ultimo al G-en . Joice. Così come è stretto il collegamento fra l'Ecc. Messe e il Gen. Joice, è opportuno sia t.iucllo fra lui e il G en . Duch esne.

Ducn.EsNn - Prevede divergenza di opinione in merito alla difesa costiera, in quanto le idee alleate circa le gumnigioni della Puglia non vanno al di là di 12 btg. B EnAnDI · ·· Crede siano scarsi. DucHESNE - dice che è bene perciò mettersi d' accordo anzitutto su quanto il nemico può fare. BERARDI Il nemico può scegliere la direzione d'attacco che vuole. N oi abbiamo pochi mezzi, pochi autocarri, e nello stesso tempo le distanze sono forti. Bisogna costituire dei nuclei di forze

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importanti m modo da poler parare ali' imprevisto dovunque esso si presenti. Non si può pensare ad una difesa continua di opere (che non ci sono e pai servono a poco vedi Sicilia ), meglio avere. le -forze riunite. Lo studio è in corso. Crede che siano necessa rie 3 divisioni, da dislocare opportunamente. DucHESNE L' idea degli alleati è invece che guesti nuclei di for ze passano essere rapresentate dall e di visioni alleate m addestramento nella zona. Ha sentito parlare di campi di addestramento nelle montagne di Potenza. BERA RDT Q ueste sarebbero però molto lontane dalla zona di probabile impiego. E' sempre del parere che la dìfosa costiera sia organizzata come detto prima e cioè: un sistema di avvistamento e tre nuclei forti ch e devono servire a ributtare in rn;i re. il nemico. Fatto il quadro completo delle esigenze previste dal d ocumento del 17 ottobre, e di quelile per la difesa costiera, si tratta di stabilire: I ) se si è d'accordo su questo quadro; 2) una volta d ' accordo deiinire un progetto di riordinamento delle forze. DucliliSN.li Nulla in contrario per guanto riguarda il riordinamento delle 1O divisioni pre-

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viste dal documento. Per le altre deve sentire il parere del Comandante in Capo. Inoltre fa notare che non rammenta di aver visto nell'aC<'ordo originali, fat to fra Comando Inglese e Comando Supremo Italiano, il paragrafo riguardante la difesa costiera. C hiede se Ecc. Berardi conosce trami te Gen. Castellano - le idee del Gen. Eisenh ower. IlERARDI Non ha relazioni col Gen. Castellano, ma solo con il Maresciallo Messe, del quale segue le direttive. DucHESNE Sa che si sta preparando qualche cosa in Algeri, circa l'uso delle divisioni costiere: ma non sa di cosa si tratti. Ritiene che sia opportuno prima ddìnire la questione e Poi fare il piano di riordinamento. BERARDI E' della stessa opinione perchè bisogna sapere sempre quello che si vuole. Ha la sensazione che finora si sia andato un p0' a tentoni. DummsNE - Concorda. 2. - Disponibilità vestiario ed equipaggiament-O e richieste degli A lleati. BERA1IDI Dice di non aver potuto aderire a molte richieste degli Alleati perchè non vi è ancora un programma preciso sul da fare . H a autorizzato l'invio delle due divisioni costiere in Campania perchè non si poteva fare altrimenti, pur riconoscendo che ciò avrebbe distur-

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bato il programma ste G.U. La richiesta dei esempio, danneggia divisioni. D ucHESNE Domani

di riordinamento <li

que-

due gruppi someggiati, ad la riorganizzazione delle 10 si recherà al Comando XV

Gruppo Annate e rappresenterà le questioni e farà conoscere le decisioni. BBRARD1 InAuisce sulle richieste alleate anche la questione disponibilità di vestiario ed equipaggiamento. Per quali esigenze devono essere impiegate le poche serie di vestiario rimaste in Puglia? E' necessario disporre del vestiario esistente in Sicilia per poter attuare il programma di riordinamento. DucnEsNE - H a già chiesto notizie circa la destinazione del materiale in Sicilia. Gli è stato risposto che i depositi della Sicilia devono servire per le operazioni che gli alleati svolgeranno in Tugoslavia. BBnAnm Allora bisognerà rinu nciare ai nostri programmi a meno che non siano fornite unifom1i alleate. DucnEsNE Concord a anche egli che ci vuole necessariamente un programma ben d efinito, poichè non si può vivere dall'oggi al domani. IlERARDI · L' intenzione del Mar. ~,fosse e sua

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è quella di lavorare con gli allea,ti con la massima chiarezza possibile. Crede perciò che sia meglio rimandare tutte le richieste fatte a quando sarà definito il programma. DucHESNE Farà del suo meglio per veni rci incontro. 3. - - Gruppi someggiati. DucttESNE Chiede dove sono ora gruppi someggiati. BERARDI 3 gruppi sono m Sardegna (di questi, due gruppi hanno dovuto lasciare il materiale in Corsica). In Puglia vi è solo il gruppo della «Legnano», e ciò sarebbe contro i patti stabiliti. DucHESNE Dice che l'idea alleata è proprio <]Uella di prendere il gruppo della «Legnano »; l' ga Am1ata sa già che questo gruppo è pronto. Egli farà presente l' inconveniente rappresentato. BEnAnm Si augura che sia possibile ritirare i gruppi dalla Sardegna, facendo restituire i pezzi rimasti in Corsica. Preferisce che i pezzi italiani siano serviti da artiglieri italiani ch e combattano con gli alleati, piuttosto che siano serviti da artiglieri francesi i quali combattono per il loro interesse. Tanto più che oggi in Corsica non vi è bisogno di queste artiglierie. 4. - Centri Amministrativi. DucuEsNE Fa presente che le truppe italiane -

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che combattono con l' 8' Annata non hanno alcuna organizzazione logistica alle spalle. Si riferisce alla richiesta degli enti amministrativi i \rmata. per BERARDr Chiede di poter modificare l'organico previsto dagli alleati perchè non possiamo dare i mezzi di trasporto. D ucHESNE Dice che l' organico inviato è soltanto un suggerimento. Ad ogni modo i mezzi cli h·asporto saranno fomiti dagli alleati. Più p resto si costituiranno questi centri, m eglio è. In quauto al personale, vi sono a Foggia due · ufficiali italiani che parlano inglese e si possono adopera re: Esclap<>n e P ellegrini. Anche il Ten. C olonna, che era con il Generale Dapino, è utile perchè parla bene inglese. Vi sarebbe anche il T en. Colonnello Tuzi, già capo di S.M. del raggruppamento motorizzato. BERARDI Molto bene. Nessuna difficoltà per gli uflìciali proposti eccetto che per il Ten. ColonncHo T uzi. 5. - Rattaglioni per servizi di montagna. DucHES~E Prega di riesaminare i1 problema della costituzione dei battaglioni per servizi da montagna che sono richiesti per il 7 dicembre. llEnAIIDI Si può accondiscendere, poichè sono soltanto due. M a la loro costiruzione è sempre subordinata alla disponibilità del vestiario. Gli

r s·

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uomini hanno bisogno cli giubba, pantaloni, scarpe, pastrano e coperte. li miglior modo per risolvere il problema è di prenderli dalla Sardegna (dove vi sono 6 btg. alpini ) itraspartandoli in aereo. Altrimenti bisogna costituirli in Puglia con personale che non è assuefatto alla mon tagna; e poi la sottrazione di personale inciderebbe sulle disponibilità di lavoratori. Gli alpini sono anche bene inquadrati. DucHESNE - Chiede elenco esatto di tutto quello di cui abbiamo bisogno per equipaggiamento cli questi uomini. Se andranno bene questi ausiUari ne prenderemo degli altri. In una divisione si è d ovuto impiegare uno dei tre reggimenti per fare dei por tatori. E' difficile avere aerei per l'aviotrasporto. Ad ogni modo tenterà rivolgersi ad A lgeri; se la proposta sarà negativa, prega esaminare la possibilità di custiturli in Puglia. BEnARDI Sarà fatto, ma non ne garantisce il ren· dimento. La montagna è una cosa seria, e per vivere e combattere in montagna ci vogliono i montanari. D ocH BsNE Approva - rappresenterà ad Algeri la necessità dell' aviotrasporto. 6. - Manovalanza Porto Bari. BER ARDI Anche questa è una q uest,ione di vestiario. Se ci saranno aperti i magazzini d ella Sicilia tutti i problemi saranno risolti. Fino a quando noi sa remo « handicappati » dà queste restrizioni -

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non potremo far niente. Non abbiamo scarpe: le poche esistenti sono tutte di misura grande. DucuESNE Chiede un elenco del materiale di vestiario esistente e vedrà pci di risolvere la questione perchè è necessario assicurare i lavoratori al porto di Bari. Vi sono state delle lamentele contro gli avieri perch è sono troppo giovani e poco disciplina ti. BERARDI Sarà rappresentato all'Ecc. Messe. DucHESNE S.E. Arisio era presente alla riunione tenuta a Bari. Non sa se ha riferito quanto discusso. 8ERARDI Crede di si, perchè il Comando Supremo ha chiesto notizie su Bari per prendere dei p rov· -vedimenti. DucHEsNTI Insiste sulla impcrtanza fondamentale ch e ha il porto di Bari sui trasporti per le truppe alleate. R EnAIIDI Si può dare ancora altra gente, ma non e' è come vestirla. La soluzione del problema potrebbe essere resa più facile se si assumesse della mano d' opera civile. Duc1-IESNE N on c' entra in questa faccenda. L' interessante per lui è avere a Bari 1O mila lavora- . tori altrimenti le navi non possono essere scaricate. B E RARDT E' impossibile mandare gli uomini svestiti . Chiede autorizzazione usufruire magazzini della Sicilia e che non siano frapposte difficoltà. DucHESNR - Spera che Ecc. Derardi non insista

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su questo punto di vista, perchè la questione di Bari dà molto da pensare. BERARDI « Autorizzate prelevamento vestiario e noi faremo tutto quello che si potrà fare». Occorrono a Bari ancora 3.600 uomini circa: saranno dati, ma poi non vi sarà più niente nei magazzini; bisogna per 'forza ricorrere a {JUelli della Sicilia. DucrmsNB Desidera elenco dei materiali di vestiario ed equipaggiamento che sono in Sicilia. Lo presenterà al Gen. Alexander ed appoggerà la richiesta. BEnAilDI Dice che siamo giunti al limite delle disponibilità e si augura che non vi siano più richieste, perchè non ci sono più uomini. I 3.600 uomini per Bari saranno dati entro il 5 dicembre: la richiesta alleata era per il 7. Rivolge preghiera personale perchè si eviti che la truppa italiana sia impiegata a scaricare carbone. Si tratta solo di 300 uomini a Brindisi. Ciò è troppo umiliante per dei soldati, per cui fa appello al sentimento di soldato del Generale Duchesne. DucHEsNE - Promette di provvedere a che lo scarico del carbone sia fatto da civili.

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APPI!.NUI C1".

2•

STATO MAGGIORE REGIO ESERCITO

CON FERENZA DEL G IORNO 23 APRILE 1944 DEL CAPO 01 S.M.R.E. GEN. BERARDL COL GENERALE BROWNING

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Assistuno: Sottocapo S.M.R.E. Capo Ufficio O. M. M aggiore Ba11-man, inglese

D esidero trattare tre questioni : I) complemen ti <lcl raggruppamento motorizzato; 2) forza di d etto raggruppa 111entu; 3) questione del 120" Fanteria. Il 1" raggruppamento motori:a.ato ha attualmente, come forza di fanteria, un reggimento di fanteria (il 68°) e un reggimento cli bersaglieri. O ccorrono, su per giù, per rinsanguare dette unità circa 600 complemen ti. I complementi per il 68° sono già in continente, quelli per il rgt. bersaglieri sono in Sardegna. H o sentito dire che gli A.A. non vogliono concedere l'invio di complementi perchè col prossimo arrivo d ella <Nembo >, il Corpo Italiano di Liberazione supererà la cifra di 14.000 uomini.

.B EnARDI -

:!J.

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Chiedo sia chiarito il pensiero perchè il mancaro invio dei complementi avrà per conseguenza l'indebolimento della forza ora in linea. B ROWNING Servirebbero per il rimpiazzo dei cadetti ? BERARDI No. Sono due cose diverse: una, quella dei cadetti, è un semplice nmpiazzo; l'altra, quella dei complementi, è il nmp1azzo delle perdite. Io domando come si fa a tenere i btg. in linea se questi non vengono alimentati con i complementi necessari. Il raggruppamento, che è ha riserve. Il rifornime nto uorrum è più che una piccola divisione, ha 14 Km. di linea e non urgente. BRoWNING Prego, Eccellenza, di dire tutto quello che ha da dire in merito e poi si risponderà. BERARDI Desidero sapere come verrà impiegata la e Nembo > allorchè arriverà. Perchè l' avere ammesso l'arrivo della « Nembo > significa ammettere un aumento di forza del C.I.L., purchè si resti nei limiti dei 34.000 u. previsti per il C.I.L. - « M antova> e <Piceno». L'aumento dovrebbe andare a detrimento della « Piceno> e della e Mantova>. BRoWNING Crede che V. Ecc. sia al corrente delle cifre proposte dal Generale Alexander ai Capi di S.M . -

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So di una cifra di 14.000, ma mi è stata comunicata come uno studio della sottocommissione e non come una decisione del Generale Alcxander, tanto che la questione è stata rimessa a S.E. Messe pcrchè ne tratti col comando alleato. BnoWNTNG Alexander ha fatto certe prop0ste in cui ha limitato a 14.000 circa la cifra per il BERARDI -

C.I.L. La questione della forza è stata divisa in due parti: - una è quella combattente di circa 13.742 (forza del Gen. Utili e Nembo))); - l'altra è data dalla differenza di 14.000 B.742 rinforzo ai combattenti. La cifra di 14.000 è stata mandata per l' approvazione ai Capi di S.M. a Washington. In questa non si tiene conto di un btg. di marina e di u no di aviazione e di qualche cosa cl' altro che porterebbero ad un totale di circa 20.000 p. C'è per ora da ottenere il benestare per i 14.000 u., poi verrà la discussione per la diffe. renza tra i 14 e i 20 mila. B E RARDI Ma i comandanti in linea, che fanno la guerra, desiderano ben altro! tanto è vero che hanno chiesto altri 2 htg. alpini ! BnowN1Nc - Ma la propcsta originale è di 14.000 ! La differenza tra 14 e 20 mila la sosterrà poi il Generale Alexander.

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Come mai ciu esta affermazione quando è già deciso che il C.l.L. sarà fornito da U tili « Nembo> e si è anche parlato di un comando di e.A. che dovrà com andarlo? BROWNING Sono cose che sono state dette prima che io arrivassi. BEnA1m1 Non sono cose dette, ma sono cose scritte. BROWNING Io prendo ordi ni da Alexander. La divisione di combattimen to è sta ta fissata a 14.000 u. Resta perciò in sospeso la differenza fra 14 e 20 mila. BEHARDI Tale differenza sarà discussa dal Maresciallo Messe. Restiamo pure, ora ai 14.000. O ccorrono complementi. B nOWNING Ci sono due modi di risolvere la questione della forza: - u no: impiegare l'eccedenza attuale della forza rome complementi; - l'altro: organizzare l' eccedenza per altri servizi in attesa d i poterla impiegare in linea. BF:RARDI Noi non po:;siamo decidere. La dedsione è di competenza delle Ecc. Messe - Alcxandcr. BROWNING Ho proposto una conferenza col Generale J\lexander per decidere l'impiego di quella differenza. BERARDI Chiedo al G en. Browning se non ha nulla in contrario a che io esponga il mio parere in tale t}uestione. BROWNI NG Prima e' è la questione dei 14.000 u . BERARDI -

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2(,0


poi si discuterà il reslo e si dov r~ a ml:11 l ' .i <',1 serta per discutere. Ma è bene non me~rnl;11 l' k due cose perchè la cifra di 14.000 non è st ;11 :1 ancora approva ta dai Capi di S.M. BERARm Ma ci vuole del tempo, intanto il raggruppamento è in linea ed ha bisogno di complementi, senza dei quali si lagnerà e non potrà assolvere bene il suo compito nell' interesse degli alleati. J3nowNING - Il raggruvpamento ora 'fa parte della 8" Armata e la responsabilità di pende dal generale comandante di Armata. Rrm ARDI Però ogni giorno il Cen. Utili fa un teleg ramma per rappresentare le sue necessit~. i:l BOWNI.NG Il Generale Alexander ne sarà al corrente. R E RARDI M a no ! pcrchè Alcxandcr non si occupa delle parlicolarità del rifornimenlo uomi ni che toccano invece ai comandanti in posto. BRoWNJNG - Il Generale Utili dipende da un comando i nglese e deve rappresentare le cose a quel comando. B E RARDI Ma si tra tta di un rifornimento corrente, alltomatico quasi, per i complementi ed è strano che si debba seguire una via così ]unga! B11owN 1Nc Deve arrivare presto la «Nembo ». BERARDI Ma la « N embo » non è per complementi. Essa rappresenta la differenza tra i 14 ecl i 20.000 ll. -

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Il Generale Utili chieda i complem enti al suo comandante di C.A. perchè la sottocommissione non è au torizzata a darli. BERARDI (rivolto al Gen. Oxilia): fare un telegramma a Utili perchè ottemperi. BROWNING Tanto più che è ancora in discussione la questione della divisione per sicurezza interna. BERARD1 In discussione ? M a domando come posso lavorare se non ho un programma chiaro da seguire ! BROWN.ING Ritengo sia inutile riscaldarsi, perchè ciò non dipende da noi. BERARDI Domando quale valore io debba dare alle lettere che la sottocommissione mi ha scritto ! BROWNING II programma è la base su cui fondare il lavoro (dà un pugno sul tavolo). Tale programma contiene una proposta nei riguardi della forza dell'esercito italiano; in tale proposta si parla di 14.000 u . per la divisione combattente e di circa 180.000 u. per gli A.A. D a <.Juestc cifre si deve tirar fuori quello che resta per le divisioni italiane. B.,HIMANN Credo di pater dire questo : supponiamo che si concluda nei riguardi dell' esercito italiano sulla base delle propaste. A conclusione · avvenuta si vedrà di dove tirar fuori i complem enti. BBRARDI Ma questa è una particolarità. Quello BROWNING -

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che è essenziale è che voi avete fatto un programma senza tener conto delle nostre possibilità. BnowNING - Io non so nulla. La cosa è partita come una proposta al comando Britannico. BERARDI - Ma a chi mi devo allora rivolgere per sapere ! Propongo di fare una riunione di tutti gli interessati, con l'intervento del Maresciallo Messe, in cui si possa discutere e si possa poi camminare tutti sulla stessa strada. BAUMANN Temo ci sia un malinteso: il Gen. Duchesne aveva fatto delle proposte; V .E. ha fatto controproposte; il Gen. Duchesne ha risposto alle controproposte con un programma che è l' attuale. Tale programma è stato approvato da Alexander e inviato ai capi di S.M. BERARDI - Ma a me nessuno ha detto che il programma doveva essere considerato come definitivo. Tanto è vero che ne ho interessato il M aresciallo Messe! Voi non avete tenuto conto delle nostre necessità (distretti, depositi, ecc.). BnowNING - Purtroppo il programma è partito per i capi di S.M. e, allo stato attuale, non si può pitl fare nulla. Si potrà rivedere la cosa poi con controproposte, quando il programma tornerà, speriamo, accettato. BERARD1 Q uesta è una parola chiara ! (a questo punto diversione semi scherzosa sull'ufficiale di S.M. che fornisce documenti e poi subito tende a ritirarli).

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BnoWNING - Insomma : bisogna basarsi sulle cifre attuali e non uscire da esse. Scommetto un milione contro uno, ch e altre proPoste, ora, non sarebbero accettate. BBRARDI Q ueste cifre il Generale · Alexander le ha già inviate al capi di S. M . alleati? BROWNING - Si. BBRARDI Allora protesto di non essere stato consultato prima dell'i nvio del programma. B AuMAN Il genera le Duchesne ha creduto di fare il vostro interesse proponendo cifre che fossero accettabi li. V. E. è stata consultata, tanto è vero che ha fatto controproPoste. B E RARDI E allora protesto perchè il programma definitivo non è stato modi.lìcato secondo le mie controproposte e di non essere informato che le controproposte non erano state accettate, Chiedo che non sia fatto nulla prima che le cifre pro poste non siano approvate. Mi riferisco al 120° Fanteria il quale tlovrehbt: dare complementi alla <Mantova > e alla « P iceno > e (:l1ii::tlo ch e non sia toccato per farne dei lavoraLOri. BROWNING - Credo di poter riassumere la discussione nei seguenti termini : - le cifre proposte sono già partite; protesta di V. E. perchè non è stato tenuto conto delle sue controproposte; - V. E. vuole avere possibilità di fa re a suo -

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tempo delle controproposte poichè le cifre fissate sono troppo basse. BERARDI Si : insisto :intanto che no n sia compromessa la soluzione. Se mi portate via il 120° Fanteria ciò può compromettere il programma futuro. BROW NING Avremo materia di discussione quando il p rogramma ritornerà approvato. B ERARDI Si; ma insisto che non si comprometta il programma in discussione. B RoWNING Terrò p resenti le idee d i V. E. ed esaminerò la q uestione col mio S. M. B E.BARDI Ringrazio e confermo il mio desiderio id avere un programma chiaro su cui lavorare sicuramente. B m >WNING Comprendo perfettamente il desiderio di avt:re un progra1n ma 1-ìsso, ma le necessità di guerra a volte sconvolgono i p rogrammi. Così insegn avo quando ero prnfcssnre alla scuola di guerra. B ERARDI (ridendo) Appun to perciò non troverete strano che io sostenga che i programm i ,,rganici clehhano essere studiati sulla hase dei risultati d a conseguire, e non solo in base ail.lc r::izion·i <la fornire. Bno wNING (scuote il capo) Non avrete la pretesa che io critichi l'operato dei miei su periori. BERARDI Ed ora risolviamo il problema logistico personale e and iamo a colazione.

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APPENDICE

Roma, lì 15 gennaio 1945

N." 10030/ 0rd. OGcETro:

3•

RIFORMA OELL' ORGANISMO CENTRALE. OSSERVAZIONI DEL CAPO Dl S. M. R. E.

PROMEMORIA PER S. E. IL MINISTRO DELLA GUERRA I) Linee Generali del Progetto l) 11 progetto <li riforma che viene preso in esame coincide, nelle sue linee generali, con quello presentato al Ministro della Guerra sotto fom1a di grafico, nella parte riguardante le attribuzioni degli organi dipendenti dal Ministro: Sottosegretario mi· litare, Capo di Stato Maggiore, Gabinetto, con le differenze che - nella situazione del momento esso sostituisce i i Sottosegretario militare al Segretario generale, funzionario amministrativo contemplato invece nel progetto dello Stato Maggiore. Faccio presente la convenienza in determinate eventualità (Ministero militare e assenza di sottosegretario militare) di ricorrere al segretario generale che forse, per una funzione prettamente amministrativa quale è il coordinamento delle direzioni generali, sarebbe più idoneo di un sottosegretario politico. -

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li progetto dello S. M. invece non prevede la fusione delle direzioni generali, ohe verranno esposl~ nel seguito, e prevede che le direzioni gen erali non siano completamente indipendenti <lal Capo di S. M. 2) Un punto del progetto richiama in modo particolare, l'attenzione: quello che abbozza ,la figura dd Capo di S. M. Poichè, mentre a questo vengono riconosciute in pieno e devol ute tutte le attri buzioni d i su~ ·spettanza, non risulta chiaramente clefìnito se egli abbia ad essc1e alla dipendenza assolu ta del Ministero come direttore generale o come u n Capo cli S. M., o se invece, sotto taluni aspelti, de bba permanere al lato del Ministro secondo la tradizione risalente ali' istituzione della carica. 3) Fra i ll ue progetti presentati al Ministro vi sono du e susta nzia Ii punti e.li accordo. Nei paragrafi che seg uono vengono esposte le d iversità di vedute, e chiariti i pun ti di vista dello S.M.H.E. sugli argomenti in cliscussiune. 11) Ministro e Capo di Stato Maggiore. Considero grave errore l' abbinamento, m atto nella Marina, delle c::i ri che di !Vli nistro e <li Capo di S. M. in una sola persona. A parte la questione dell' assenza di conlinuitl1 <ldl' organo tecnico direuivo in caso di c'. •mbiamenti politici, ritengo che ministro e Capo di S. M. debbano avere precise responsabilità proprie, politica e amnunistrativa l' ·u no, tecnica l'altro, che, a causa dello spontaneo etjuilibrio che nasce tra la respon-

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.sabilit?1 di clii ha l' incarico di forn ire i mezzi e quella di ch i ha l' incarico di impiegarli, evitino deviamenti per l'uno o per l'altro. L' unificazione, avve nuta in regime fascista, ha significato un a sola cosa : il desiderio dell' unico di libe rarsi da <]ualsiasi vincolo e cli detenere tutto il p otere. La consegu enza è stata la cad uta nell' arbitrio. Solo un capo di S. M . con determinate responsabilità è messo in condizioni cli prendere posizione di fronte alla politica, qruan<:lo egli avverta uno sciuilibrio tra l'opera p olitico-amministrati va e la preparazione alla g uerra. IIl) 1l Capo di Stato Maggiore . 1) Bisogna evitare il pericolo ch e il Capo d i S. M. sia considerato al rango di un direttore generale. U n direttore genera le è un esecu tore, h a firma limitata a particolar.i contenuti nelle diretti ve ricev ute t' risponde al J\1in istro, o al Sottosegretario, o al Segretario generale della sua condotta entro lJuelle direttive. Vi è invece un campo nel quale il C apo di S. M. è un creatore sin o a un certo punto indipendente, o dipendente solta nto dal controllo tecn ico a lui superiore del Otpo di S. M. generale: è <]Uesto il campo dell'organizzazione dei corpi arm<1ti, d ell' annamento, dell' addestramento, dei piani di difesa o di a ttacco, delle in formazioni, semprech è rispetti i vi ncoli ammin i~tra tivi. -

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In tali materie egli è accettato o rifiutato, ma èlibero di decidere. La fiducia in lui dipende dal suo passato, dalle prove che e.la. Quando invece i tecnici hanno accettato il compromesso e le responsabilità non sono state ben definite, il paese è stato trascinato all'avventura dei sette teatri d'operazione e alla follia dell'attacco alla Grecia. Tutta l'attuale nostra tragedia militare è frutto dcll' errore fondamentale della conrusione delle, responsabilità. 3) Io penso che raramente si sia verificata tanta armonia come quella che da 15 mesi a questa parte regna tra Ministero e Stato Maggiore. Ciò deriva dal fatto c11e mai come ora sono stati rispettati gli anzidetti principii. I quali dunque debbono essere sani. Così stando le cose, conviene curare che la legge scritta non alteri l'applicazione di quei princ ipii e· anzi li sancisca. IV) Direzioni Generali. 1) Le direzioni generali fornitrici di mezzi e di personale truppa hanno una funzione amministrativa ed una funzione esecutiva. Qucst' ultima rappresenta la logistica dell' Esercito ed è mezzo indispensabile per chi comanda le unità mobilitate dell' Esercito ed accudisce alla loro preparazione. N el momento attuale, soltanto per ragioni di economia, il capo di S. M. non dispone di una intendenza propria, la quale è costituita dalle dire-

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zioni generali in una parte della loro attività, ma per i non facili problemi da risolvere sotto il controllo alleato per la costituzione delle unità di combattimento non è possibile fare a meno di dirette relazioni tra S.M.R.E. e direzioni generali, il che in pratica oggi avviene. Mentre pertanto concordo in pieno nell' istituzione del sottosegretario militare quale coordinatore dell'attività amministrativa delle direzioni generali, faccio presente la convenienza che ]e anzidette dirette relazioni non solo continuino a sussistere ma siano regolarmente sancite. Tale convenienza è provata dalla necessità che si si i:: sentita nel 1937 (se non erro) di distaccare presso ogni direzione generale, con funzioni di cotlegamento. un ufficiale dello S.M.R.E., nei continui contatti tra uffici dello S. M. e direzioni generali, nelle riunioni autorizzate, aill'occorrP-nz::i, fhl ministro, rlf'i clirettori generali con ufficiali dello S. M. sotto la presidenza o del capo o del sottocapo di S. M. 2) L:: di rc:tioni generali e gli uffici fo rn itori del personale ufficiali conviene invece' - a parere mio - che siano maneggiate direttamente dal ministro, rappresentando essi ]e leve del governo giuridico e disciplinare dei quadri e quindi dell'Esercito. Qui entra in pieno gioco la consulenza de] Cape <li S. M. come di colui cui spetta di impiegare una parte importantissima di tale personale. Si tratta dun"-J lle <li yuestioni da risolversi tra Ministro e Capa - - 27 1 -


di S. M .: è complicazione inutile introdurre nel-

1' ingranaggio altre rotelle. Il Ministro consulterà il Sottosegretario militare sempre quando si tratterà di maneggiare personale ch e interessi l'organizzazione territoriale. 3) Non vedo la con venienza delle proposte fusioni di talune direzioni generali. Si tratta <li materie completamente separate tra di loro e che pertanto richioderanno tra ttazione separata; si avranno divisioni invece di direzioni generali, ma il personale dell' ufficio non varierà cli numero salvo che nella persona di un direttore gen erale invece di due. E' in basso, non in alto, ch e occorre dimin'll'ire e snellirese si vogliono r iduziot;i. In particolare la motoriz:.u1zione non h a nulla a che vedere con l"artiglieri a, e occorrono specializzazioni distinte per l' una e per l'altra, tenuto conto della particolare impv[tanza da entrambe aclJuisita negli eserciti modern i. Lo stesso p uò dirsi, sebhene in grado minore, per i servizi di commissa riato e servizi amm.inistrati\>j. li servizio di sanità cd il servizio ippico trovano forse l'unico punto di contatto nelle fornitu re dei medicinali : ma nessun medico ha mai curato cavalli e raramente veteri nari h anno curato uomini. Assolutamente da scartarsi l'idea di affidare il servmo ippico a veterinari. Sarebbe come voler affidare a un medico la leva e trnppa. Tl servizio ippico è

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serv1zw complesso, ch e richiede una capacità organizzativa di larga veduta, ahbraociante tutto lo scibile m ili tare che non è proprietà del tecnico professionista. E' noto come la tendenza dei tecnici sia di restringere i problemi al loro campo, non tenendo sufficiente conto delle rir,ercussioni estranee al loro tecnicismo. Aggiungasi che tentativ i del genere sono sempre stati ispirati <lagli appartene nti al corpo veterinario, che mal sopportano la d ipe nde nza da ispettori di arma a cavallo, e che considerano come primo passo <]Uesta indipe ndenza per ottenere successivamente p er il corpo il grado di generale. Chi scrive h a dovuto sostenere la stessa tesi per lo stesso tentativo c1ttuato nel 1937, <1uando era capo dell'ufficio ordinamento dello S.M.R.E. \1) lspetturati d'Anna e Direzioni Superiori Tecniche. La mem oria non ne parla. Ritengo che gli ispettorati d ' arma debbano far parte integrante dello S.M.R.E .. a motivo del'la loro fun zione che è, da un fato acl de~trativa e dall'altro tecnica, onde assicurare che le armi cd i mezzi prod otti per l'esercito rispondano a criteri fissati dal Capo di S. M. per la preparazione e l'impiego di esso. L'appartenenza degli ispettori d'arma allo S.M.R.E. evita la formazion e altra volta verificatasi di organi od uffici ch e al tro non e ra no se non cloppioni degli ispe ttorati stessi. D i conseguenza le direzioni su periori tecn iche d ovrebbero dipend ere, per la parte amministrativa dalle direzioni generali, e pe r la n;irte ese-eut iva clag,li

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ispettorati <l'arma. ln tal guisa la costruzione sarebbe diretta e controllata da colui che deve impiegare Je armi e i mezzi (capo di S. M.) e anche qui si realizzerebbe il controllo tra organi amministrativi e organi tecnici. In conclusione la riforma sostanziale deJl' organizzazione centrale dell' Esercito è già stata fatta quando si è abolita la divisione S. M. del Gabinetto, e l'ufficio coordinamento, che sottraevano al capo di S. M. la funzione della consulenza e quasi l' intimità col Ministero, costituendo un dannoso doppione (attenzione che q uesto non risorga a traverso l' ufficio CA). La riforma attuale è secondaria rispetto alla prima, e deve consi~tere nello snellimento di pesanti e lenti organi ministeriali, in talune unificazioni, nella precisa definizione de1le attribuzioni, nel coordinamento di talune di rezioni generali affidate al sottosegretario militare, nel riportare il Gabinetto alle sue funzioni di carattere politico e di controllo finanziario, ndl' affidare al solo stato maggiore i compiti degli studi organici, nel togliere di mezzo - in una parola - gli sconfinamenti che erano stati provocati dall' eccessivo accentramento dovuto al regime assoluto. Il Capo di S. M. dell' Esercito f .to BERARDI

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APPEND1CE

4•

STA.I O ,\IAGGIORE REGIO ESERCITO P.M. 3800, lì 27 Gennaio 1945

. N ". 257 / '6/ G.A. Riservnia Perso11ale

Occi:rro: STATO MAGGIORE REGIO ESEI1CITO

A S. E. IL MINISTRO DELLA GUERRA All'Atto di lasciare l'attuale incarico per altra destinazione, in merito alle comunicazioni fattemi da V. E., sulla decisione di assegnare l'incarico di Capo di S. M. <lell' Esercito ad nn Generale d i Brigata, decisione derivante da riforma organica de11' organismo centrale, ritengo che sia mio preciso dovere per il posto che ho occupato -- di far pfesenti a V. E. quelle che io ritengo possano essere le conseg uenze dell'importante provvedimento. Pur non conoscendo la forma che verrebbe data all'organizzazio11e centrale delil'EseTcito, nè le esatte attribuzioni che verrebbero riservate all' Alto Comando, penso che il provvedimento della diminuzione del grado d iminuirebbe altresì il prestigio dell'istitu7jone, e che provochereh he una grave ripercussione sulla compagine dell'Esercito in tempo di guerra, e in un momento in cui, 'faticosamente ricostituitosi at-

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traverso difficoltà materiali e morali di ogni genere, esso sta per inviare in linea talune Unità ad affermare, sui campi di battaglia, la volontà di comhatte rc del popolo italiano. Altri sono l'autorità ed il prestigio di cui può godere, presso C-0mandi italiani e presso Autoritit alleate, un genera'le che rivesta uno dei massimi gradi della gerarchia, ed altri quelili di un inferiore in grado. Avvenimenti decisivi si susseguono, l'opinione pubblica preme per la costituizione addirittura di un'Armata italiana, ]' avvenire può richiedere l'espressione di a utorevoli opinioni, cli autorevoli opinioni tecniche, la discussione con generali alJeati cli problemi militari e d eterminazioni di grande portata, nelle qu..ili-;;ono in gioco, oltre che il presligio dell'Esercito, il prestigio clell' Italia. ln simili eventualità, che possono sorgere anche improvvisamente, non sernhra conveniente presenl:i n: :i ,:ipn .delJ '~serc:ito, quale tecnico rcsponsabi,k, un generak non rivestito cli uno dei gradi più elevati. Nè si può tra scurare il confronto con ~larina l'd J\eronautica, i cui Capi di S. M. son o un /\mmiraglio di S<]Uad ra ed un G enerale di squadra aerea, e che a tali prerogative non rinunciano. L'Esercito, uscito da una crisi tremenda, avente oggi nella ricostruzione della Patria il compito più gravoso, perchè la ricostruzione della Patria è solo ottenibile con la partecipazione alla guerra, l' Eser· cito, oggi p un to di concordia indiscusso di tutte le

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correnti p olitich e, l'Esercito in continua evoluzione e non completamente in nostre mani, abbisognevole di profonde riforme cl' altra parte già iniziate, ha bisogno di un' autorevole figura di Capo tecnico nel nel guale creda, dal quale si senta sostenuto, che ne rappresenti la continuità vitale. Come ho già espresso a S.E. in altro mio memoriale, il problema dell'organismo centrale dd 1' Esercito trova la sua unica soluzione n ella coesistenza delle due responsalJilità, la politica e la tecnica, che nella parte di competenza speòl-ica siano su di uno stesso piano e godano di pari autorevolezza : l'una derivante dalla espressione degli organi costituzionali, l' altra dal grado e dal prestigio personale g uadagnato con tutta una carriera, e alimentato dal tacito con senso della massa dei componenti l' Esercito. Dalle. lihe.n>. cl isc-11ssioni rr:1 :111torit?1 politic-:i <'cl a utorità tecnica, dal freno che l'una esercita sul1' altra non può derivare c he bene. Tanto più in un momento come l'attuale in cui n on funzionano nè consigli milita ri nè parla menti . An che se nel presente sussistono le migliori intenzioni cli mantenere al decapitato Stato Maggiore 1c sue attuali attribuzioni, il principio della piena e lihera responsabilità d el C apo riceve, d al provvedimento, un col.po decisivo e nt,-g}i effatti, a malgrado di tutte 1e buone volontà , lo Stato Maggiore si trasforma in Direzione Generale. perchè ne v iene a

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mancare il sostegno morale cui apoggiarsi, sostegno indispensabile per imparre a mentalità italiane la scelta degli armamenti, le forme organiche, le direttive di addestrainento, oltre all'intimo orientamento morale senza del guale un Esercito è privo di anima. I Ministri cambiano, nè sappiamo guale uso possa fare un futuro Ministro di uno strumento troppo docile nelle sue mani e privo della intrinseca autorità di imporsi. Solo la salda e garantita strut-. tura permette d i evitare le scosse, gli sguilibri. Il defunto regime ha rovinato l'Esercito a forza di scosse e squilibri consentiti da autorità tecniche asservite alla politica. Oggi le colonne dei giornali sono irte di critiche contro le alte gerarchie militari, che non hanno saputo parlare e prevalere quando quelle scosse e quegli squilibri venivano inferti alla compagine del1' Esercito. Ed hanno pienamente ragione. Ho ritenuto pertanto mio debito di carica, e di onestà, far presente il mio pensiero, con tutta la oossibilità chiarezza e lealtà. il Capo di S. M. dell'Esercito

p AOLO

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.BER ARDI


APPENDICI:

5a

STATO i\i!AGGIORE REGIO ESERCITO

ORDINE DEL GIORNO ALL' ESERCITO

Destinato ad altro comando, lascio con oggi la carica di Cap0 di Stato Maggiore dell'Esercito, che detenevo dal 21 novembre 1943. Le tappe del cammino percorso jnsiemc con voi rn questi quattordici mesi sono state : Coipù Italiano di Liberazione Gruppi d i Combattimento

Immissione dei Patrioti nell' Esercito. T appe gloriose che fanno onore all'Italia e che dimostrano al mondo che l'Italia non è una terra di morti. Non so quanti popoli avrebbero saputo, 11ellù stato di rovina e di disorientamento nostro dell'autunno 1943, inviare dopo due mesi un pugno d'uDmini, quale era il corpo iniziale, a combattere e a morire per l'affermazione di un proposito, eppoi partecipare a piedi all'inseguimento del nemico dal Sangro al M.etauro per il guadagno di una fiducia, eppoi sbocciare nei G ruppi di Combattimento per la dimo-

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strazione di una vitalità, eppoi assorbire come sangue trasfuso nel suo Esercito, la passione dei Patrioti, rper la creazione <li una rinnove1lata unità nazionale. D ove c'è speranza c'è volontà di vita. L'Italia ha ragione di sperare perchè risorge dalle sue armi e d:il sangue dei suoi ligli migliori. La constatazione di guanto ha fatto l' Esercito nei quattordici mesi ci permette di dire così. L' opera compiuta si può a buon diritto chiamare avviamento alla rinascita. 1 Caduti ci indicano la strada non ancora percorsa , e ci ammoniscono a percorrerla . Io che ho avuto l'onore di comandarvi, Voi che avete avuto la gloria di marciare, raccogliamo il monito e l'esempio, e procerl iamo fìduciosi nd nostro lavoro. A voi il mio saluto, il m.io ringraziamento e il mio augurio per i destini della Patria.

Febbraio I 94S 71 Capo di Stato Maggiore dell' Esercito

p AOLO

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BER ARDI


A rrENmr.E

6'

SfAl'O Mi\GGIOhL REGTO ESERCITO

Al GRU PPI Dl COMBATTIMENTO Nel momento di lasciarvi, a Voi un particolare saluto. Voi avete creduto, Voi avete guidato la Pa tr,ia sul giusto ca mmino. O ggi la Patria Vi segu e: le sue aspirazioni sono le vostre, ed. essa ha fa ll o suo lo spirilu vostro. Avete chiamato a Voi, in un abbraccio frn te rnu, i Patrioti. P e n siero consolatore, soniso di

sole tra la nuvolaglia delle ire e dei sospe tti. Genera li Comandanti! UTlLl, MORJGl, l3EHAUOO DJ PRALORMO, SCATTINT, PRIMIERI, BOT ,O GNA ! Voi non <1vde 1lispefa lo quando i Vostri soldati erano laceri e senza scarpe, Voi avete tenute deste le fiamme che stavano per spegnersi. Fanti stoici, gravi alpini, bersaglieri ardenti, paracadutisti avventu rosi, arditi cavalieri, seri artiglieri, genieri laboriosi, ecl autie ri infaticabili, e sanitari e cappellani , siete tutti presenti all'appello dei Gruppi di combattimento : in Voi è l'Esercito d el passato

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con le sue glorie; in Voi è l'Esercito dell'avvenire con le sue speranze; con Voi sono i Patrioti. Ma in Voi è sopratutto la Nazione del futuro, perchè i primi diritti saranno i vostri, perchè l'olocausto alla Patria Voi l'avete pagato con i fatti concreti della fa tica e del sangue. U!liciali e soldati dei Gruppi di conmbattimento l proseguite nel cammino intr.a preso; nel1e Armate avanzanti siate Voi i, liberatori più invocati, portate Voi alle donne ed ai figli aspettanti il più puro sorriso dell'Italia redenta, portate con Voi il m onito <lel Vostro capo di stato maggiore, ricordate che Voi ra,ppresenta tc l' Unità d'l ta li;;. Febbmio 1945

Il Capo di Stato Maggiore dell' Esercit-O PAOW BERARDI

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NOTA BIOGRAFICA SUL

GENERALE

01

C. n '

ARMATA

PAOLO BERARDI



P AO LO BERARDI GE NERALE DI C O RPO n'A11MATA

N ato a Torino il 21 giugno 1885, e nominato sottotenente d'artiglieria nel 1906 partecipò, da te1~ente, alla g uer ra italo-rurca del 1911-12, guadagnandosi una « medaglia di bronzo» al V. M . Durante la guerra 1915-18, qu ale camandante di batteria e nell'assolvimento di compiti operativi, fu decorato <li una seconda « medaglia di bro nzo» e d i una « croce di guerra » al V.M. Dopo aver freLruenlaLo, negli ann i 1920-21, i corsi della Scuola di G uerra di T orino, tenne a lungo, a varie riprese, i comandi di truppe inerenti ai gradi da maggiore a colon nello; trasferito nel Corpo di Stato M aggiore vi ricoprì importanti e delicati incarichi, tra cui q uello di sottoe-1,po di S. M . della 1• /\ r rnat.a { 1926), di coadiutore nella Direzione dell'Istituto <li G uerra Mari ttima (1 929-32) e d i capo ufficio Ord.to e Mob.ne del Comando del Corpo di S. M . (]935-37). Da G enerale di Brigata, ricoprì la carica di comandan te d'artiglieria (1938) e di comanclante la Guardia di Frontiera (1939) del I Corpo u'A.; allo scoppio de1la guierra 1940-43, fu assegnato (giugno 1940) al comand o del Ra~oruppamento Alpino « Varaita-Po » opera nte sul fronte alpino occidentale. Prnmos.-;o Generale d i Divisione tenne : prima il comando della D ivisione « Bren nero » durante le upc.'Iazioni sul fronte albanese-greco (1940-4 1), per 0

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k quali fu decorato <lella <1: Croce d i C avaliere» dell'ordine Militare di Savoia; e quindi il comando della Divisione « Sassari» nelle operazioni in Balcania (1942), meritando le insegne di « Cavaliere ufficiale» dell'o rdine predetto. N ell'intervallo fra i due comandi (ottobre 1941 ap1;Je 1942), ricoprì la carica di Capo di S. M. della 7" Armata. Co'l grado di Generale di Corpo d'An n ata, ebbe il comando del XXI° Corpo d' A. nella campa<ma di T unisia (1943), durante la quale fu decorato della « Medaglia d'argento > al V. M . sul campo, e delle insegne di « Commendatore» dell'Ordine Militare <li Savoia. Rientrato dalla prigionia di guerra, òopo l'armi·· stizio dell'8 settembre 1943, veniva nominato, nel novembre stesso a!rno, Capo di S. M . dell'Esercito ( 1943-45); come tale con tribul alla rinnscita <lcl nostrn organismo mili ta re e, in particolare, alla costituzione del C orpo Jtaliano di Libernzion e (C.l.L.) e de i G ruppi di Combatt imento. Per l'opera svolta in tale carica fu decor::ito della « Legione al Meri to >, del grado di comandante in c::ipo, cfo l PrPsidcnte degli Stati Uniti d'America. Dal 1945 al 1948 - an no del suo collocam ento nella « Riserva > per limiti di età - ricoprì, prima la carica di Comandante Militare Tenitoriale <li Palermo (1 945-46), e quindi ebbe parte premine nte in impor-tanti commissioni di studio presso il Mi nistero Difesa-Esercito. Morto a T orino il 13 dicembre 1953.

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INDICE


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Parte Prima: « Premessa

I II III IV V VI VII VIII IX

»

- Le dot i di un Capo . . . . . Pag. 9 )) 17 - Il « Miracolo» di un Esercito . )) 22 - .L'Esercit o e la classe politica )) 28 - Il valore di una fede . )) 31 - Il Destino di un popolo )) 33 - I mendicanti d'onore )) 38 ....:_ La legione sacra )) 42 - L'auspicio . )) 44 - Il commiato

Parte Seconda:

Prefazione dell'Autore . Rit orno dalla prigionia Riforme e selezioni Impiego delle nostre forze; in tenzioni degli alleat i e int e nzioni d egli italiani - Il recupero degli s bandati - Il Corpo Italiano di Liberazion e ·- Dipendenze - Problema dei qua dri - Libera zione di Roma - I Gruppi di Combatt imento - Ca sa Reale e uomini politici - Minis tri e Sottosegret a ri a lla Guerra - Fine dell'incarico .

I II III -

IV V VI VII VIII IX X XI XII

APPENDICI NOTA BIOGR AF ICA su l Generale di Corpo d 'Armata Paolo Ber a r di

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