LA NUNZIATELLA NELLA GRANDE GUERRA '15-'18

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LANUNZIATELLANELLAGrANDE GUErrA1915 - 1918

I GENErALI

presentazione di Giuseppe Izzo

Associazione Nazionale ExAllievi Nunziatella

Napoli, 2021

FErDINANDO SCALA
Gen. C.A. Antonino Di Giorgio

Che la Storia sia fatta dagli uomini è cosa abbastanza risaputa e pacifica. Che, invece, la storia delle Istituzioni sia fatta soltanto dagli Uomini che in tali strutture siano vissuti o che le abbiano governate, è cosa sulla quale mi trovo spesso a riflettere; mi chiedo infatti se da alcune di queste non promani una forza autonoma che condizioni, formi e plasmi le persone che in Essa, o con Essa, siano venuti a contatto.

La riflessione mi appare ancor più interessante se in questa Struttura le persone si siano interfacciate in un’età ed in un momento della loro vita, quello dell’adolescenza, in cui essi erano particolarmente pronti e predisposti a ricevere impulsi e insegnamenti particolarmente determinanti per la loro formazione.

Quando tutto ciò si riferisce ad una Istituzione per sua natura impostata, appunto, per la formazione di giovani uomini (ed oggi anche di giovani donne) questo interrogativo trova una risposta direi quasi naturale e scontata.

Riflettevo su queste considerazioni iniziando a scorrere le note biografiche, redatte a cura di Ferdinando Scala, di tanti Ufficiali (Generali e non) che si sono formati alla Scuola Militare della Nunziatella e non potevo non trovare conferma su quanto su accennato.

È indubbio, infatti, che la formazione personale e professionale ricevuta dai tanti protagonisti di queste pagine tra le mura di quello che per tutti noi che l’abbiamo frequentato non è altro che il “Rosso Maniero”, emerge a chiare lettere dall’esame delle loro vite, contraddistinguendole, tra le altre, in maniera tangibile, pur con connotazioni diverse e ben definite.

Il lavoro di Ferdinando Scala, appassionato e profondo cultore di vicende umane e militari che hanno interessato Ufficiali educati alla Scuola Militare di Napoli e che sono stati protagonisti, a vario titolo, sui campi di battaglia della Grande Guerra, ci apre una finestra su queste esistenze tessendo, tra di esse, un sottile filo conduttore che si diparte dalla loro comune frequentazione nell’Istituto di Formazione a noi tanto caro.

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P
resentazione

Questo scritto trae origine e deriva da un precedente lavoro che ha riguardato il più ampio quadro delle personalità militari che si sono distinte nella Guerra Mondiale, ma approfondisce, con una bella raccolta fotografica, le figure degli Ex Allievi della Nunziatella.

Il lavoro si inserisce tra le attività che l’Associazione Nazionale degli Ex Allievi della Scuola – e per essa il Consiglio Nazionale - ha svolto e svolge, sotto l’egida e la puntuale supervisione del Presidente Onorario della stessa il dr. Giuseppe Catenacci, nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra; esso viene pubblicato nell’anno centenario della deposizione della salma del Milite Ignoto presso l’Altare della Patria in Roma; ciò avviene anche a ridosso del centenario della apposizione, nel Corridoio Comando della Scuola, del “Masso del Grappa”, tangibile memento e monito, per tutti, Allievi ed Ex allievi, del supremo sacrificio dei tanti nostri predecessori che hanno gloriosamente immolato la loro esistenza sui campi di battaglia della Grande Guerra.

L’opera di Scala vuole anche inserirsi nel ricordo ed omaggio per il settantesimo anniversario della concessione, alla Scuola Militare, della Bandiera di Istituto, simbolo e sintesi dell’Onore non solo Militare cui tutti gli allievi sono vincolati dal momento del loro Giuramento di fedeltà alla patria e che, anche quest’anno ci accingiamo a celebrare, ricorrendo il 234esimo anno di ininterrotta attività dell’Istituto voluto dal regnante dell’epoca pre-uniatria, re Ferdinando IV di Borbone, e studiata ed organizzata dal Parisi, vero ideatore e fondatore della Nunziatella.

Queste due ultime ricorrenze, molto sentite ed attese da tutta la folta schiera degli Ex Allievi, non hanno potuto avere adeguata risonanza per le note vicende connesse alla pandemia che ancora limita – e tanto – le attività di tutti noi.

Venendo al lavoro che ci occupa e leggendo le biografie predisposte da Scala debbo dire che l’elemento che più mi sembra di sottolineare come importante e caratterizzante, è quello della provenienza territoriale degli ex frequentatori della Scuola Militare di Napoli.

Pur in presenza, infatti, sul territorio nazionale, di altri Istituti di formazione militare aventi analoghe caratteristiche, colpisce il fatto come siano stati frequentatori della Nunziatella diversi allievi, poi divenuti Ufficiali, provenienti da diverse parti, anche settentrionali,d’Italia,fermarestando la maggioranzadeifrequentatorisempre di origine e connotazione meridionale.

Al di là della immediata riflessione sulla attuale situazione che vede la Nunziatella punto di riferimento, per la stragrande maggioranza, di ragazzi dell’area meridionale del Paese ( ma qui il discorso ci porterebbe lontano), non è dato da trascurare quello che, nel periodo immediatamente successivo al processo di unificazione nazionale – con tutto ciò

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che esso ha comportato sulle modalità di formazione dello del nuovo Esercito unitarioun’Istituzione militare di chiara impronta borbonica, abbia avuto una forza di attrazione non trascurabileinuna struttura militare,appunto il neo istituito Regio Esercito, di chiara impronta “piemontese”; ciò, però, a ben vedere non è se non un altro aspetto di quello strano, ma non incomprensibile, fenomeno che portò ben tre dei primi quattro Capi di Stato Maggiore del nuovo Regio Esercito, ad essere non solo di estrazione meridionale, ma anche e soprattutto essere stati allievi, tutti – anche il Pollio che entrò alla Nunziatella nel 1860 - guarda caso, della Nunziatella in un periodo in cui quest’ultima era ancora una struttura del complesso militare del Regno delle Due Sicilie.

Forse il tanto bistrattato esercito Napoletano, le cui gesta sono state tramandate quasi sempre da mentori molto legati alla vulgata del vincitore, conservava e racchiudeva nel suo seno una forza morale ed una preparazione professionale di base di cui lo storico Istituto di Pizzofalcone era una non trascurabile parte, ma – e questa volta senza “forse”

– elemento significativo del livello di preparazione e di impostazione della classe degli Ufficiali che costituivano la struttura dell’Esercito pre-unitario del Mezzogiorno d’Italia. Esempio che più di altri rispecchia questa realtà, oltre al Cosenz ed al Primerano che per evidenti questioni anagrafiche non sono rientrati nello studio di Scala, è la figura del gen. Pollio, di certo la mente più illuminata, lucida e professionalmente di una spanna superiore alle altre nel panorama dei gradi apicali dell’Esercito Italiano al momento dello scoppio della Guerra Mondiale.

CertononpossiamofarelaStoriaconi“se”,manonèmoltolungidallarealtàimmaginare che sotto la guida del Pollio – benché quest’ultimo molto orientato sullo schema di alleanze dettato dalla ultra decennale “Triplice Alleanza” con gli imperi dell’Europa centrale – lo strumento militare Italiano avrebbe potuto essere meglio utilizzato e, certamente, in maniera più duttile ed adatta alle reali esigenze che lo scenario della Fronte alpina imponeva nello scontro con l’Austria-Ungheria.

Consentitemi, infine, un’annotazione personale.

Un forte sentimento ha contrassegnato la lettura di queste pagine: il ricordo che di quel mondo e di quei avvenimenti mi è stato fatto, negli anni della fanciullezza, da persone, anche di famiglia, che quel periodo avevano attraversato e che per loro aveva rappresentato l’esordio, certamente brusco e improvviso, alla via adulta.

Ricordo ancora – e ne ho potuto, con emozione forte, esporre la relativa documentazione nel nostro Sacrario – quando i miei familiari raccontavano le vicissitudini di un fratello di mio padre, Gaspare il più grande, il quale aveva con anticipo affrontatati gli esami di maturità alla Scuola Militare nell’anno 1917, per poi essere destinato, appena diciottenne, al Corso di Ufficiale di Complemento e, dopo tre mesi, raggiungere le batterie di assegnazione sul Piave, dove avrebbe partecipato alla “battaglia del Solstizio”

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vera e decisiva prova vittoriosa del nostro risorto esercito e passaggio fondamentale per la successiva vittoria di Vittorio Veneto.

Tuttoquestonondeclamatoneimposto,masussurratointonibassiemaidacoluicheneera stato protagonista. Questi, come pure gli altri fratelli impegnati in successive esperienze belliche, tutte tragiche e dolorose, sempre restii a parlare di se, di quanto vissuto, quasi a favorire un naturale oblio delle dolorose vicende che avevano caratterizzato la loro gioventù e, poi di seguito, condizionato la loro vita.

Così nel ricordo si materializzano alcuni nomi riportati dall’Autore e ripetutamente ascoltati, quali il Vespignani, Comandante della Scuola durante la frequentazione del già citato Gaspare Izzo e quello del gen. Antonino Di Giorgio – nome importante nello svolgersi delle operazioni militari dopo la rotta di Caporetto e le successive battaglie difensive sul Piave e poi ancora nella vittoriosa avanzata finale - che l’allora giovane tenente Giuseppe Izzo, assegnato in prima nomina al 6° fanteria “Aosta”, ebbe come Comandante del Corpo di Armata di Palermo; a tale incarico il Di Giorgio era stato assegnato dopo la sfortunata esperienza alla guida del Dicastero della Guerra e la bocciatura della riforma dell’Esercito incentrata su concetti troppo avanzati per il tempo e non collimanti con la politica di gestione del personale militare – in particolar modo i quadri degli Ufficiali - uscito dalla prova della Guerra Mondiale. Ringrazio ancora Ferdinando Scala per il suo lavoro e ne raccomando la lettura specialmente ai giovani Allievi ed Ex Allievi cui spesso manca, per colpe non loro, il giusto ricordo e la necessaria conoscenza di un’epoca non troppo lontana e di cui ancora si avvertono, in special modo nell’attuale contesto europeo, chiare tracce e ripercussioni spessofontediostacoloperunauspicabileveraUnionedell’Europachepotrebbetrovare, in uno strumento militare unico, una importante forma di aggregazione.

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Giuseppe Izzo (corso 1967/70)

Il centenario della Grande Guerra ha dato impulso al rinnovato studio ed alla riappropriazione di quel periodo della nostra storia recente, che le vicende successive hanno relegato, nella memoria collettiva, ad oggetto lontano e misconosciuto. Tale accantonamento è derivato per reazione, in epoca repubblicana, dall’esaltazione del conflitto fatta dal regime fascista durante il Ventennio.

La retorica della fabbrica del consenso di quegli anni, che poggiava le sue basi sull’esperienza autentica del conflitto fatta da molti fascisti della prima ora, utilizzò infatti numerosi stilemi concettuali e formali per trasporre nell’esperienza politica del dopoguerra l’approccio che era stato fonte di identità al fronte. Il collettivismo ed il principio del Capo come forma di sublimazione della volontà; l’arditismo e l’assalto come momento catartico del vivere quotidiano; la concezione totalitaria della vita politica, in cui l’avversario diveniva nemico con cui nessuna forma di composizione era possibile, ma che diventava solo oggetto di distruzione o assoggettamento. Tali stilemi, che il regime totalitario tentò a lungo di amalgamare nell’identità collettiva della Nazione, e che conobbero una larga forma di accettazione fino alla guerra d’Etiopia, furono rovesciati dopo l’8 settembre 1943. Insieme a tali idee, la damnatio memoriae colpì naturalmente gli uomini che le avevano promulgate, ma anche l’evento collettivo – la Grande Guerra – che le aveva focalizzate e rese coerenti. Tale atteggiamento si legge chiaramente nella memorialistica post-Ventennio, ma soprattutto nella storiografia, che per alcuni decenni, fino agli studi pionieristici di Renzo De Felice sul Fascismo, ha collocato la Grande Guerra nel contenitore degli eventi da demonizzare, dimenticare, o lasciare allo studio degli specialisti di storia militare, i quali ne hanno spesso fatto oggetto di esame meristico, limitato alla dinamica delle battaglie, senza esaminarne fino in fondo la valenza di movimento di idee, né la dimensione politica.

Non è difficile, al di fuori della relativamente ristretta cerchia degli specialisti, ritrovare gli stilemi dell’inutile strage, del conflitto voluto per tenere a bada le aspirazioni delle classi sociali subalterne, dell’inumanità delle armi utilizzate – come, ad esempio, l’uso estensivo dei gas - dell’esperienza devastante della trincea. E per il fronte italiano, questo vissuto transnazionale si arricchisce soprattutto degli elementi della disumanità della classe dirigente del Regio Esercito, bollata trasversalmente come incompetente, spietata, lontana dagli uomini che comandava, rinchiusa nella distanza di classe che, presente e viva nella società civile, veniva riproposta sul campo di battaglia. Il paradigma di questo modo di pensare è ovviamente la figura apicale dell’organizzazione militare, quel generale Carlo Cadorna che più di tutti ha subìto gli strali dei critici di parte, e che ancora oggi

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introduzione

incarna nell’immaginario collettivo il peggio che la cultura militare dell’epoca potesse offrire.

A stilare questo atto di accusa furono, in anni successivi alla vittoriosa conclusione del conflitto, soprattutto commentatori di cultura sinistrorsa, che fecero dell’antimilitarismo la propria bandiera. Tale critica esplose soprattutto a valle della conclusione dell’esperienza fascista, che tanto si richiamò nella propaganda al momento fondante della Grande Guerra. La commistione, agli occhi dei commentatori posteri, tra le gerarchie militari e il regime del Ventennio, fu tale da invalidare qualunque risultato o esperienza positiva fosse derivata dal conflitto mondiale. E, coerentemente a quanto sopra, la critica fu tale da far uscire dall’immaginario collettivo alcuni temi che invece erano di dominio pubblico e parte della sfera sociale della nazione: il fenomeno dell’interventismo, che ebbe padri politici di tutte le convinzioni; quello del volontarismo, che vide accorrere al fronte 304.000 italiani provenienti da tutte le parti della nazione e del mondo; la mistica dell’ultima guerra, quella che avrebbe completato il processo risorgimentale e ricondotto nei confini nazionali quelle terre e popolazioni che, italiane di lingua e di costumi, ancora vivevano sotto Stati stranieri.

La cancellazione storica del conflitto, come evento prodromico all’avvento del Fascismo, passò inoltre una mano di vernice coprente su un aspetto importante: i generali italiani della Grande Guerra, vissero, combatterono, soffrirono e talvolta morirono insieme ai propri uomini. Dei quasi sei milioni di italiani che servirono in grigioverde, lasciarono la vita sui campi di battaglia un numero variabile secondo le stime, e compreso tra i 600 e i 700.000 – uno su dieci non tornò dal fronte. Dei circa 600 generali che si avvicendarono alla testa delle grandi unità dell’Esercito, 41 lasciarono la vita al fronte – uno su dodici, una percentuale certamente minore, ma non così differente da quella del complesso degli altri combattenti.

Questo dato contrasta fortemente con la vulgata dei generali impegnati a giocare alla guerra con le bandierine su un tavolo, e dei disgraziati fanti spediti a morire. Se a quanto sopra si aggiungono i diversi generali caduti prigionieri e condotti nei lager tedeschi ed austroungarici, si capisce come la Grande Guerra sia stata combattuta da tutti in egual maniera, spazzando via con la forza dei fatti un complesso di opinioni che non ha alcuna ragione d’essere.

Alla luce di questi dati, vanno rivisitati con forza e decisione anche alcuni miti ed anti-miti che hanno contribuito alla costruzione della lettura falsata del primo conflitto mondiale da parte italiana, aggravata da non pochi storici stranieri, soprattutto inglesi. Primo su tutti, Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu, una cronaca piuttosto parziale delle vicende della Brigata Sassari nel periodo della Strafexpedition. Scritto a distanza di anni in pieno periodo fascista da un Lussu divenuto, da uno dei più valorosi e motivati ufficiali della brigata degli intrepidi sardi, un convinto antifascista in esilio, ha il difetto di passare sotto silenzio molti atti di valore e l’indomita determinazione di soldati ed ufficiali fino ai generali. Dei comandanti di brigata della Sassari, vale la pena ricordare che due rimasero uccisi, uno fu costretto a lasciare il posto per infermità ed uno fu fatto prigioniero dopo strenua resistenza durante la rotta di Caporetto; e che tutti gli altri ufficiali superiori vissero e soffrirono insieme ai propri soldati. Peggiore ancora, se possibile, nel rappresentare la realtà storica della Grande Guerra, fu il film di Francesco

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Rosi Uomini contro, (molto) liberamente ispirato al libro. Realizzata secondo logiche di convinto antimilitarismo, la pellicola propagò, con un linguaggio ancora più facile per il grande pubblico, una percezione ancora più distorta dei fatti, che si ritrova ancora oggi nelle convinzioni più comuni.

In questo processo di revisione storica va collocato anche lo studio delle figure di generali che uscirono da Pizzofalcone negli ultimi anni del XIX secolo, ebbero ruoli rilevanti durante il primo conflitto mondiale, e poi ricoprirono cariche a volte apicali durante il Ventennio fascista. Come per il resto dei comandanti supremi delle grandi unità, anche i generali provenienti dalla Nunziatella hanno caratteristiche simili a quelle del proprio gruppo di riferimento. L’unica difformità è costituita dal fatto che, coerentemente alle grandi tradizioni di cultura militare ivi insegnate, la maggior parte di essi furono ufficiali delle armi dotte, artiglieri e genieri, con un numero più limitato di comandanti di fanteria, e solo alcuni cavalieri. Da ciò discende che essi ebbero spesso un ruolo meno evidente rispetto ai generali di fanteria, ma comunque di grande importanza per la condotta e la conclusione vittoriosa del conflitto.Alcuni di essi, poi, tra tuttiAntonino Di Giorgio, Giuseppe Pennella,Alberto Pollio e Federico Baistrocchi, ebbero responsabilità belliche di grande rilievo, o giocarono successivamente un ruolo politico-militare consistente.

Il nerbo dei 73 generali provenienti da Pizzofalcone che combatterono nella Grande Guerra fu dato da un numero limitato di corsi: 1873 (10), 1874 (6), 1875 (8), 1876 (7), 1877 (10), 1878 (8), 1880 (5). Dei corsi più giovani, il 1882 diede al conflitto un solo generale, ma notevolissimo – Antonino Di Giorgio, poi Ministro della Guerra e autore della visionaria e sfortunata riforma omonima dell’Esercito; e notevoli furono anche due dei tre generali dati dal corso 1883: Carlo Perris, immortalato da Arturo Stanghellini in Introduzione alla vita mediocre; e soprattutto Federico Baistrocchi, a sua volta futuro Sottosegretario alla Guerra (ma di fatto Ministro con Mussolini che dirigeva nominalmente il dicastero) ed autore di una riforma dell’Esercito che invece ebbe buona sorte.

Come per gli altri colleghi, anche i generali provenienti dalla Nunziatella non sfuggirono agli esoneri che colpirono in gran numero gli ufficiali comandanti di ogni grado, anche se in misura molto minore della media dei loro colleghi. Sotto la gestione Cadorna del Regio Esercito, ben 217 generali, circa 255 colonnelli e 337 tenenti colonnelli furono rimossi dal proprio incarico per le motivazioni più diverse. Solo nei primi nove mesi del 1917, ben 407 comandanti di grandi e medie unità furono “silurati”: due dei quattro comandanti di Armata, cinque su quattordici comandanti di Corpo d’Armata, ventuno “divisionari” su trentacinque. Il fenomeno del siluramento non fu limitato al periodo di comando del generale piemontese. Lo stesso Diaz, che la vulgata dipinge come meno severo del suo predecessore, ne silurò ben 176. Alla fine del conflitto, circa la metà dei generali in servizio risultarono rimossi dal proprio incarico. Il loro numero fu tale, da generare nel dopoguerra persino un Fascio Ufficiali Silurati (F.U.S.) – peraltro capeggiato dal generale Ex Allievo Valentino Marafini – che ne portò per lo più inutilmente avanti le rivendicazioni.

Per quanto riguarda i generali educati a Pizzofalcone, il fenomeno del siluramento va per lo più associato a quelli provenienti dai corsi tra il 1869 ed il 1873, ormai anziani e per lo più non in condizione di affrontare con la dovuta forza fisica e di spirito i disagi

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ed i cambiamenti tecnologici di una guerra “verticale” e feroce come quella del Fronte Italiano. Su 18 generali anziani, 14 furono infatti esonerati o allontanati dal fronte dalla giustificatamente spietata politica di svecchiamento voluta da Cadorna. Dei 54 generali più giovani, provenienti dal corso 1874 in poi, solo 8 furono privati del comando, una percentuale che rientra nella normalità, peraltro con alcuni casi controversi e di riabilitazione da parte della Commissione Mazza per la Revisione degli Esoneri.

Tradizionalmente si riconoscono tre caduti tra i generali ExAllievi: il comandante della brigata Sassari e medaglia d’oro Gabriele Berardi; ed i comandanti delle brigate Napoli e Pisa, Vincenzo Galasso e Fileno Briganti. Tuttavia, andrebbe conteggiato tra i caduti e istoriato con gli altri sul Masso anche il valoroso brigadiere generale Antonio Falcone del corso 1877, comandante del 10° reggimento artiglieria da assedio. Il monte San Michele, che ne fece risplendere d’argento il nome, gli costò anche una grave intossicazione da gas, che sterminò o menomò gran parte del suo reparto. Pur avendo impavidamente terminato il conflitto e guadagnato una promozione per merito di guerra e la croce dell’Ordine Militare di Savoia, Falcone non resse alle sofferenze e morì poco dopo la fine delle ostilità. Altri generali condivisero la sorte dei propri uomini, rimanendo feriti come Luigi Coppola della brigata Siena ed il comandante della brigata Sassari Armando Tallarigo, o il grande invalido Eugenio De Rossi, uno dei più capaci ed intelligenti uomini dei servizi di informazione.

I generali provenienti dalla Nunziatella ebbero un ruolo rilevante nei tragici giorni della ritirata di Caporetto. Il già citatoAntonino Di Giorgio fu comandante del Corpo Speciale di Retroguardia, ultima propaggine del Regio Esercito in rotta, incaricata di proteggere la fuga oltre i fiumi delle Armate schierate sul Carso. Negli stessi giorni, la Nunziatella pagò il proprio tributo di sangue con il già citato Vincenzo Galasso e l’eroico colonnello Maurizio De Vito Piscicelli della brigata Caltanissetta. Oltre al sangue, la Scuola depose sull’altare del conflitto anche la libertà di tre dei suoi generali: il citatoTallarigo, peraltro dopo una strenua resistenza a Codroipo, che ebbe l’effetto di evitare l’accerchiamento della III Armata da parte della 200a Divisione tedesca; il suo fraterno amico Alfredo Taranto, comandante della 36a Divisione, ed Enrico Novelli, comandante della 1a brigata bersaglieri.

In conclusione, nel tracciare i profili biografici dei generali della Grande Guerra che ebbero i propri natalimilitari nelglorioso istitutodi Pizzofalcone, intendiamo qui apportare non solo un modesto contributo alla storia della Nunziatella, ma anche di restituire verità e dignità alla dimensione delle Aquile d’oro del Regio Esercito durante quella che essi chiamarono la nostra guerra.

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Ferdinando Scala (corso 1984/87)

ELENCO DEGLI EX ALLIEVI E DEGLI UFFICIALI DELLA NUNZIATELLA

ChE pArTECIpArONO CON IL GrADO DI GENErALE

DUrANTE LA GrANDE GUErrA

GLI EX ALLIEVI

ARENA AlfREdo fEdERico pag. 15

ASSANTE cARlo pag. 16

AVETA EugENio pag. 17

BAiSTRoccHi fEdERico pag. 18

BAUMGARTNER Edmondo pag. 25

BENNATi luciANo pag. 26

BERARDI Gabriele pag. 28

BRIGANTI Fileno junior pag. 32

cAMiciA Francesco Paolo pag. 33

CARBONE Demetrio pag. 36

CARIGNANI Carlo pag. 37

CERILLO Carlo pag. 38

CHIODI Enrico pag. 39

COPPOLA Luigi pag. 40

COSTA Michele pag. 41

D’AGATA Tommaso pag. 42

D’AYALA GODOY Carlo pag. 42

DE ANGELIS Edoardo pag. 43

DE ANGELIS Pasquale pag. 44

DE ROSSI Eugenio pag. 45

DI GIORGIO Antonino pag. 51

DIOTAIUTI Roberto pag. 54

ETTORRE Giuseppe pag. 55

FALCONE Antonio pag. 56

FLOTTERON Augusto pag. 57

FRAMARIN Alessandro pag. 58

FRANCHINI Luigi pag. 59

GABRIELLI Alfredo pag. 59

GAGLIANI Francesco pag. 61

GALASSO Vincenzo pag. 63

GALATI Francesco pag. 64

GALATI Roberto pag. 65

GENOVESE Luigi pag. 66

GIAMPIETRO Emilio pag. 67

GUADAGNI Camillo pag. 68

LEONE Gaspare pag. 69

MAGGIOROTTI Leone Andrea pag. 70

MARAFINI Valentino pag. 71

MARCIANI Francesco pag. 73

MARGHIERI Guglielmo pag. 74

MARTINENGO DI VILLAGANA

Angelo pag. 75

MERRONE Enrico pag. 76

MONETA Giovanni pag. 77

MORABITO Alessandro pag. 78

NECCO Antonio pag. 78

NOVELLI Corrado pag. 79

NOVELLI Enrico pag. 79

PASQUALINO Salvatore pag. 80

PASTORE Umberto pag. 81

PENNELLA Giuseppe pag. 81

PERRIS Carlo pag. 85

PIANA Luigi Ettore pag. 87

PIRRO Egidio pag. 87

POLLIO Alberto pag. 88

RAHO Francesco pag. 90

RATTI Giuseppe pag. 91

RICCIARDI Marino pag. 92

RIZZA Sebastiano pag. 93

ROSACHER Luigi pag. 94

ROTONDI Giovanni pag. 95

RUGGIERI Benedetto pag. 95

RUSSO Alberto pag. 96

SALAZAR Michele pag. 97

SALONNA PERSICO Carmine pag. 98

SANDULLI Roberto pag. 99

SICARDI Francesco pag.100

SODANI Paolo pag.100

SQUILLACE Carmelo pag.101

TALLARIGO Armando pag.102

TARANTO Alfredo pag.105

TOZZI Pasquale pag.107

USSANI Ferdinando pag.108

VELLA Carmelo pag.108

VERDINOIS Guglielmo pag.109

GLI UFFICIALI

CASSINIS Giuseppe pag.121

ENTER Francesco pag.122

VESPIGNANI Ettore pag.122

GLI EXALLIEVI DELCOLLEGIO MILITArE NUNZIATELLA

ChE prESErO pArTE CON ILGrADO DI GENErALE ALLAGrANDE GUErrA

ArENAALFrEDO FEDErICO

Quella di Alfredo Arena fu una delle caratteristiche carriere di ufficiali generali che sostennero il primo impatto con la Grande Guerra e le sue logiche; e che per primi pagarono con l’esonero l’inesperienza verso la “guerra verticale” che gravò le azioni del Regio Esercito durante il primo anno di conflitto. Nacque il 29 gennaio 1860 a Napoli e fu allievo del corso 1876-79 della Nunziatella – uno dei “corsi dei generali”. Passato a Modena come allievo ufficiale di fanteria, e promosso sottotenente, ottenne l’assegnazione ai Granatieri. Dopo aver conseguito il grado di maggiore nel gennaio 1901, prestò servizio presso il 1° Reggimento Granatieri, trasferito nel settembre 1902 a Roma sotto il comando del colonnello conte Silvano Scribani Rossi. Nel luglio 1906 fu promosso al grado superiore, e venne trasferito al 30° Reggimento fanteria Pisa, sotto il comando del maggior generale V. Goggia. Ottenuto il grado di colonnello nel 1911, comandò in successione il 71° (Brigata Puglie) e l’87° Reggimento fanteria (Brigata Friuli), conseguendo il grado di maggior generale poco prima dell’entrata in guerra. Gli fu assegnato il comando della Brigata Pavia (27° e 28° Reggimento fanteria), acquartierata in tempo di pace tra Rimini e Ravenna e facente parte del VI Corpo d’Armata (Bologna). Mossasi verso il fronte negli ultimi, convulsi giorni prima del conflitto insieme alla Brigata Casale, con cui costituiva la 12a Divisione fanteria, la Pavia fu colta a Udine dalla notizia della dichiarazione di guerra. Con l’appoggio del 30° ReggimentoArtiglieria, e insieme alla brigata sorella, l’unità di Arena il 24 maggio 1915 si mosse verso sud in direzione Medea-Versa. Richiamata in località Olivers (Cormons) agli inizi di giugno per proteggere il lato destro delle truppe assaltanti il monte Podgora, vi si schierò inviando reparti a Lucinico, alle porte di Gorizia. Da un punto di vista strategico, la Pavia svolse durante la prima e la seconda battaglia dell’Isonzo il ruolo di unità d’appoggio della Casale. Quest’ultima, infatti, nel corso della prima battaglia (23 giugno-7 luglio) diede l’assalto alle ben munite posizioni austroungariche sul Podgora, avendo due battaglioni della Pavia a coprirla verso Lucinico; nel corso della seconda (18 luglio-3 agosto), il nuovo assalto della Casale al Podgora vide ancora i fanti della Pavia in posizione d’appoggio, ad alimentare l’azione. Entrambe le iniziative, tuttavia, si infransero contro le ben munite difese nemiche, frustrando i tentativi di conquista dell’altura. Il primo successo arrivò tuttavia il 20 luglio, quando il 28° fanteria attaccò con due battaglioni insieme alla Casale, riuscendo a fare numerosi prigionieri e persino a spingere una compagnia in cima al Podgora. La posizione non poté comunque essere tenuta a causa della formidabile reazione nemica, ma ad ogni modo la nuova linea di ripiegamento raggiunta dalla Pavia il giorno 22 costituì un progresso rispetto alle posizioni di partenza. Solo due giorni dopo, le posizioni conquistate furono tuttavia pesantemente bombardate, e fu necessario un nuovo ripiegamento sulla linea pendici del Podgora-margine est di Lucinico. Le battaglie appena combattute richiesero un pesante tributo alla brigata: i due reggimenti ebbero fuori combattimento un totale di 1.600 uomini, tra cui oltre 40 ufficiali. Inviata brevemente a Pradis per riposare e ricostituirsi, la Pavia ritornò in linea il 7 settembre

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1915, assegnata al settore del monte Sabotino e trasferita alla 4a Divisione. Con l’inizio della terza battaglia dell’Isonzo, il 21 ottobre la Brigata di Arena mise in opera un valoroso e sanguinoso assalto all’altura, riuscendo a spingersi su quota 619 e catturando alcune decine di prigionieri. Come sul Podgora, tuttavia, le posizioni conquistate furono contrattaccate, obbligando Arena a far ripiegare il reparto un centinaio di metri più in basso. Gli assalti portati dal 21 al 24 ottobre provarono pesantemente la già scossa unità: alle perdite del Podgora si andarono ad aggiungere in soli tre giorni circa 1.500 tra morti e feriti, tra cui 45 ufficiali. A riprova del valore con cui l’unità si era battuta, il tenente Giorgio Tognoni fu decorato della medaglia d’oro al valor militare. Messa nuovamente a riposo per una decina di giorni nella zona Oleis-Cerono-Medana, la Pavia fu rimandata nel vecchio settore del Podgora, ritornando a Lucinico il 7 novembre. Qui lasciò due battaglioni del 28° fanteria a svolgere l’antico compito di supporto alla Casale, mentre Arena e il 27° si trasferirono nella zona di Oslavia, in appoggio alla brigata Granatieri di Sardegna. Qui riuscirono ad ottenere un buon successo con la conquista della linea q. 188-Oslavia-q.133 e la cattura di circa 300 prigionieri. I combattimenti tra il 16 ed il 23 novembre scavarono tuttavia un ulteriore solco tra gli effettivi, con la perdita di circa 1.000 uomini, tra cui 28 ufficiali. Un nuovo periodo di riposo a Pradis fu seguito da un nuovo periodo in linea a dicembre, durante il quale alcuni battaglioni del 28° conquistarono una trincea nemica davanti all’area denominata “Tre Croci”, venendone tuttavia ributtati dai tiri dell’artiglieria nemica. Fu l’ultimo periodo di presenza al fronte per Arena, che il 7 gennaio fu esonerato per “incapacità e trascuratezza nell’esercizio del suo comando in guerra” e sostituito da Luigi Pirzio Biroli. Collocato a riposo, nel 1923 fu promosso generale di Divisione della riserva.Aposteriori, ed in considerazione del complesso delle sue azioni, l’esonero di Arena appare quanto meno immeritato se non paradossale. La sua unità fu impiegata contro alcune delle più munite ed impervie linee di difesa austroungariche, dai nomi divenuti poi leggenda del Regio Esercito, e non può essergli fatto carico delle elevate perdite subite dalla sua unità. Il provvedimento diventa poi paradossale se si pensa che la brigata Pavia, che doveva pochi mesi dopo diventare la prima unità italiana ad entrare in Gorizia, ricevette la medaglia d’argento alla bandiera, con una motivazione in cui si legge “Confermato l’antico valore e le vecchie gloriose tradizioni, nelle lunghe ed ostinate lotte sull’aspro terreno del Sabotino e del Podgora…”! Appare invece probabile che, ormai sessantacinquenne, fu coinvolto nello sforzo di svecchiamento dei quadri di comando operato da Cadorna nella prima parte del conflitto.

Bibliografia: G. Bongiorno Tasca, I Verdi di Gorizia: storia episodica della Brigata Pavia, 27°-28° Regg. fanteria. Ravenna S.T.E.R. e Mutilati, 1932; E. Cataldi, I Granatieri di Sardegna. Edizioni speciali edite da Rivista Militare, p. 821-822, 1991; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso allievi Scuola Militare Nunziatella, 1787-2015, Napoli 2015; R. Bencivenga, P. Gaspari (a cura di), La campagna del 1915. Gaspari, Udine 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 65. Gaspari, Udine 2011.

ASSANTE CArLO

Fu uno dei numerosi generali provenienti dalla Nunziatella che militarono nell’arma dot-

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ta di artiglieria, e fece parte della numerosa pattuglia di coloro che arrivarono alla Grande Guerra essendo già maturi di anni e di esperienza, ma nello stesso tempo cristallizzati in concetti strategici e di impiego dei reparti ad essi affidati non più al passo con i tempi. Nato a Caserta il 26 Febbraio 1858, fu allievo del corso 1873-1877 della Nunziatella. Ammesso all’Accademia diArtiglieria e Genio di Torino, vi fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1879. Come molti coetanei fece da capitano l’esperienza l’impiego bellico inAfrica Orientale durante il biennio 1887-88, ricevendo poi la promozione a maggiore nel giugno 1899 insieme ad un fin da allora rampante Pietro Badoglio. Fino al 1907 prestò servizio appresso il 12º reggimento artiglieria da campagna, conseguendo nel frattempo nel 1905 la promozione a tenente colonnello. Avanzato al grado successivo nel 1910, assunse il comando dell’8° Reggimento artiglieria da fortezza, reggendolo per un quinquennio. Allo scoppio delle ostilità, il 24 maggio 1915 assunse con il grado di maggior generale il comando dell’artiglieria del IV Corpo d’armata, mantenendolo fino al 1916, quando fu sostituito nell’incarico dal collega B.Anfosso. Durante il suo periodo di servizio in linea, ebbe anche occasione di essere tra i giudici del processo a Giulio Douhet, conseguente l’intercettazione di un memoriale di quest’ultimo contenente aspre critiche alla condotta della guerra. Anche nel suo caso, come per numerosi colleghi, il passaggio di consegne fu in conseguenza di un provvedimento di esonero, motivato dal fallimento delle operazioni contro il M.te Rombon. Allontanato dal fronte, Assante fece ricorso alla Commissione Mazza per la revisione degli esoneri e ne ottenne la riabilitazione nel 1918, dopo che la Commissione stessa ebbe osservato che nessun altro comandante assegnato al suo precedente incarico era poi riuscito a mantenere il possesso delle stesse posizioni. Allontanato comunque dal fronte, gli furono affidati incarichi presso il MinisteroArmi e Munizioni. Con il termine del conflitto fu posto in aspettativa, concludendo la propria esistenza a Rapallo nel 1921.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 70-71. Gaspari, Udine 2011; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso allievi Scuola Militare Nunziatella, 1787-2015, 2015; G. Finizio, Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet, 1914-1916, pp. 392, 541-544. Youcanprint, 16 mar 2018.

AVETAEUGENIO

Quella di EugenioAveta è una vicenda singolare, in quanto durante la sua esperienza bellica ebbe il discutibile privilegio di essere silurato due volte, prima dal comando di Divisione, e quindi da quello di Brigata. Date le modalità con le quali questo insolito doppio evento ebbe luogo, è tuttavia possibile ipotizzare che le vere motivazioni del suo allontanamento dal fronte vadano ricercate nella ripugnanza ad applicare i più severi metodi disciplinari propri della gestione Cadorna. Nacque a Napoli 10 luglio 1859 nel quartiere di San Carlo all’Arena da Giuseppe e Giulia Fleurent, e fu allievo del corso 1873-1877 della Nunziatella. Passato all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, conseguì la nomina a sottotenente di fanteria nel 1880. Ottenuta la nomina a maggiore nel gennaio 1903, due anni dopo lo si ritrova in servizio presso il 63º reggimento fanteria Cagliari; e ancora due anni dopo al 19º Brescia insieme con l’allora tenente colonnello Vittorio De Albertis. Promosso al grado successivo, fu comandante del 35º reggimento della brigata Pistoia con il quale entrò in guerra. Quale comandante di questa unità, meritò sul Podgo-

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ra la Medagliad’argentoalValore il 10 giugno 1915 – peraltronon presente nell’archivio dell’Istituto Nastro Azzurro - con la seguente motivazione: “Nell’attacco di trincee nemiche, guidava risolutamente il reggimento, esponendosi in prima linea e dando prova di mirabile serenità di mente e coraggio personale”. Promosso maggior generale, il 5 luglio 1915 lasciò il comando del 35º, assumendo due giorni dopo quello della brigata Modena, che esercitò fino al 26 aprile 1916. Messo temporaneamente in soprannumero a disposizione, rientrò in organico il 23 luglio, e tre giorni dopo gli fu assegnata la brigata Abruzzi, che tenne fino al 30 settembre 1916. Qui rimase nella memoria dei propri sottoposti come comandante di estrema attività. Un collega ne traccia così la figura: “Egli, sempre in elmetto, di giorno e di notte, teneva involontariamente tutti in istato di orgasmo; più gli eventi si facevano difficili, più aumentava la sua irrequietezza, e, forse, l’innata diffidenza”. Con la Abruzzi, in dipendenza della 24ª Divisione (generale Gatti) del VI Corpo d’armata (Capello), partecipò alla vittoriosa battaglia di Gorizia, conquistando le alture di Oslavia per poi muovere sulla parte nordorientale della città, e ricavandone la Croce di guerra – per la verità, neanche questa registrata nell’Albo del Nastro Azzurro. Nonostante nel suo stato di servizio non comparissero né la Scuola di Guerra, né esperienze belliche in colonia, o periodi di servizio di Stato Maggiore, il 4 ottobre 1916 fu assegnato al comando della 13ª divisione.Alla testa di questa unitàAveta svolse un ottimo periodo di comando fino all’aprile 1917, allorquando fu esonerato dall’incarico con la vaga motivazione di “minor energia morale”, la quale quasi invariabilmente indicava riluttanza nell’applicare severamente le norme disciplinari. Comunque, idoneo al comando di brigata, pur di restare al fronte accettò di comandare la Chieti nella zona di Cima Palone sulle Giudicarie, che però riuscì a tenere solo per il brevissimo periodo dal 21 agosto al 9 settembre 1917, quando fu nuovamente esonerato ed allontanato da qualsiasi incarico di linea. È proprio la brevità di questo secondo periodo di comando che indica che a suo carico non vi fossero probabilmente motivazioni precise per la rimozione dal comando, ma solo la volontà di allontanare gli ufficiali superiori che non mostrassero acquiescenza nei confronti dei metodi punitivi più draconiani. Come altri colleghi prima di lui, Aveta fece ricorso alla Commissione Mazza per la revisione degli esoneri e ne ricevette soddisfazione. Fu quindi riassegnato come comandante alla Divisione militare territoriale di Salerno, venendo poi posto in congedo nel 1919.

Bibliografia:Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali dell’esercito italiano e nel personale dell’amministrazione militare, p. 3031, 1915; Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali dell’esercito italiano e nel personale dell’amministrazione militare, p. 3457, 1916; P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 73. Gaspari, Udine 2011; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso allievi Scuola Militare Nunziatella, 1787-2015, 2015; R. Bencivenga, P. Gaspari, R. Bencivenga jr., La sorpresa strategica di Gorizia e le spallate del Carso del 1916. Gaspari, Udine 2016.

BAISTrOCChI FEDErICO

La figura di Federico Baistrocchi va senza dubbio annoverata tra quelle maggiormente significative nella storia della Nunziatella, sia per i rilevanti incarichi militari e politici ricoperti, che per l’influenza che la sua opera ebbe sulla dottrina bellica e l’organizzazio-

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ne dell’Esercito. Gravata per molto tempo da una immeritata damnatio memoriae a causa del suo entusiasmo per il Fascismo delle origini e la sua lunga militanza come interfaccia militare di Mussolini con le forze armate, alla sua figura va invece restituita una dimensione di maggiore storicità, che tenga conto dell’interezza del suo percorso di vita. Nel trattamento di particolare durezza che egli ebbe a soffrire, nonostante fosse ormai da tempo estraneo alle vicende politico-militari del Fascismo, vanno infatti probabilmente riconosciuti gli esiti ultimi della sua contrapposizione alla figura di Badoglio, che fu suo competitore ed avversario fin dai tempi dell’Accademia. Egli nacque a Napoli il 9 giugno 1871, daAchille ed Elvira Santamaria Nicolini. Il padre era un valoroso ufficiale dei bersaglieri di origini parmensi, che aveva militato coraggiosamente in tutte le principali battaglie del Risorgimento da Goito a Porta Pia, rimanendo ferito a Custoza e concludendo la propria carriera militare con il grado di generale. La madre proveniva invece dalla nota famiglia napoletana che aveva dato tra gli altri il senatore Francesco, magistrato e giudice. A tal proposito, va osservato che sebbene le date possano concordare, è poco probabile che Elvira potesse essere sua figlia, poiché tale dato sarebbe stato eventualmente registrato tra i documenti riguardanti il futuro generale. Al giovane Federico fu certamente impartita un’educazione di stampo militare, tanto che egli entrò al Collegio militare della Nunziatella a soli 12 anni, e che suo fratello Alfredo intraprese anch’egli una carriera nella Regia Marina, diventando ammiraglio. Nell’ottobre 1887 fu ammesso all’Accademia diArtiglieria e Genio di Torino, dalla quale uscì come tenente di artiglieria dopo il prescritto biennio. Degno di nota, e pregnante per diverse vicende della sua vita successiva, è il fatto che Pietro Badoglio accedesse alla stessaAccademia nel 1888, e fosse quindi in rapporti di conoscenza diretta e probabilmente di rivalità con Baistrocchi fin dalla più giovane età. Promosso tenente nel luglio 1891, fu assegnato al 3° reggimento artiglieria da campagna di Bologna. Qui rimase per cinque anni, partecipando poi dopo il disastro di Adua alla spedizione in Eritrea comandata dal generale Baldissera a partire dal marzo 1896. In terra d’Africa partecipò ai combattimenti contro i dervisci per la liberazione del presidio di Adigrat, per poi rientrare in Italia presso il proprio reggimento. Nell’ottobre 1899 sposò a Castellammare di Stabia Elvira Nicolini – l’omonimia con la madre sembra indicare che potesse trattarsi di una sua prima cugina. Dalla moglie ebbe Umberto, futuro generale di squadra aerea, ed Adriana. Nel giugno 1917 fu promosso al grado superiore e contestualmente trasferito al 12° reggimento artiglieria da campagna di Capua, dove sei anni dopo divenne aiutante maggiore in prima. Cavallerizzo provetto, frequentò le scuole di equitazione di Pinerolo e di Tor di Quinto, risultando anche vincitore in diverse competizioni. La passione per l’equitazione, tuttavia, gli costò diverse disavventure, tra cui due serie cadute in cui riportò altrettante commozioni cerebrali. A fine 1909 fu trasferito a Roma al 13° artiglieria, e l’anno successivo transitò al 24° reggimento da campagna, basato a Napoli. È in questo periodo che si rilevano i primi accenni della rivalità con Badoglio, che come detto datavano dai tempi dell’Accademia. I due giovani ufficiali di artiglieria, infatti, polemizzarono a lungo circa le necessità di ammodernamento delle artiglierie sulla rivista politico-militare La Preparazione. Con lo scoppio della guerra Italo-turca, Baistrocchi partì per l’Africa già con la prima ondata, sbarcando inTripolitania nell’ottobre 1911, in quanto ufficiale addetto al comando del 2° reggimento artiglieria da campagna. Come Badoglio, che appunto in Libia incominciò la sua ascesa verso i gradi più elevati dell’Esercito, anche Baistrocchi dette ottima prova di sé, ottenendo la promozione per merito di guerra al grado di maggiore, in conseguenza del combattimento delle Due Palme e per l’attività di allestimento e direzione dell’arti-

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glieria poi impiegata per l’avanzata su Misurata. Riassegnato al 13° reggimento da campagna, nel luglio 1912 partecipò alla battaglia di Gheran. La sua permanenza in Libia durò ancora per due mesi, ed al rientro in Italia, per il complesso delle sue azioni, gli fu concessa la croce di Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia, evento che lo portò anche ad assumere la carica di segretario del medesimo ordine a fine 1914. Ormai in rapida ascesa, fu promosso tenente colonnello nel marzo 1915. Con lo scoppio del grande conflitto mondiale solo due mesi dopo, Baistrocchi fu inviato sul fronte dell’Altopiano dei Sette Comuni come comandante del III gruppo del 13° artiglieria da campagna. In questo incarico, diede prova di grande valore personale, rimanendo più volte ferito ed ottenendo prima una croce di guerra al valore, e quindi, il 12 settembre 1915, la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: Sprezzante del pericolo si riportava presso un pezzo che aveva avuto quasi tutti i serventi fuori combattimento ed assicurava il proseguimento del tiro. Atterrato dal vicino scoppio di una granata nemica di medio calibro e colpito al capo da un sasso, nonostante lo stordimento, ritornava subito al suo posto di combattimento conservando la direzione del tiro. In dicembre si ruppe il piede sinistro quando la sua slitta si rovesciò mentre si recava al comando d’armata a Cortina d’Ampezzo, ma non se ne lasciò fermare.Avrebbe probabilmente conseguito anche una seconda promozione per merito di guerra al grado di colonnello, ma a causa del suo “troppo zelo con tendenza ad invadere e ad attribuirsi tutto il merito”, questa gli fu negata. Forse per la stessa ragione fu destinato il 30 dicembre a prendere il comando del 5° raggruppamento misto in Albania, impegnato segnatamente nella zona di Valona. Il suo impegno su un fronte secondario durò in realtà poco, dato che già nel maggio 1916 rientrò in Italia e fu impegnato nella zona del Cadore come comandante dell’artiglieria della 44a divisione. Qui intrecciò un proficuo rapporto di collaborazione con il generale Papa, che lo portò ad ottenere la promozione a colonnello per meriti eccezionali. Con il passaggio di grado, comandò prima il 15° artiglieria da campagna e quindi il 22° da assedio, ottenendo una seconda medaglia d’argento con la seguente motivazione: In varie contingenze di guerra, preparava e dirigeva, con grande abilità e perizia, l’azione dell’artiglieria da lui dipendente e dava continue e mirabili prove di slancio e di coraggio personale. Passò quindi a dirigere l’artiglieria prima della 47a e quindi della 53a divisione, dando nuove prove di valore combattendo sul Vodice durante la decima battaglia dell’Isonzo. In questo periodo cominciò a sviluppare in maniera pratica i concetti di collaborazione tra artiglieria e fanteria che dovevano renderlo celebre, ed ottenne la promozione a colonnello brigadiere nel maggio 1917. Il nuovo avanzamento di grado lo portò ad assumere il comando dell’artiglieria del II corpo d’armata, e a ritrovarvi come proprio superiore Badoglio, che nel frattempo lo aveva sopravanzato nell’Annuario Militare. L’avanzata della Bainsizza, la maggiore da parte italiana prima di Vittorio Veneto, gli guadagnò una terza medaglia d’argento, con la seguente motivazione: In numerosi, aspri combattimenti, fu sempre ammirevole per sereno coraggio ed alto valore. Il costante impegno nelle primissime posizioni gli causò l’ennesima disavventura: sul monte Santo fu investito da vicino dallo scoppio di una granata nemica, rimanendo fortemente contuso ad un piede e fu trasportato via in barella. Dando prova della sua caratteriale imperiosità, non volle sentire ragioni, e zoppicando riprese immediatamente il suo comando. Ritrovato Papa sul fronte dell’Isonzo, collaborò ancora con lui fino a quando quest’ultimo non cadde sul campo. La rinnovata intesa gli diede il destro di diffondere tra i colleghi i suoi concetti di impiego dell’artiglieria, in particolare per quanto atteneva alla collaborazione stretta con la fanteria, cosa che gli guadagnò l’apprezzamento del sempre

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critico Grazioli. La ritirata conseguente allo sfondamento di Caporetto gli diede occasione di dare ancora una volta prova del suo carattere indomabile. Contrariamente a tutti i suoi colleghi, con uno sforzo titanico di organizzazione e determinazione riuscì a riportare indietro tutti i suoi pezzi dalla Bainsizza, fino ad essere costretto ad abbandonarli al Tagliamento per il brillamento precoce del ponte di Pinzano. Riparato dietro i fiumi, nel dicembre 1917 passò a comandare il gruppo d’artiglieria dei corpi d’armata del settore centrale della ex 2a armata, rinominata in 5a. Nel febbraio 1918 passò al comando dell’artiglieria della 7a armata, applicando anche qui con successo i suoi sistemi. La motivazione della croce di ufficiale dell’Ordine militare di Savoia che gli fu attribuita dà conto del complesso delle sue azioni: Quale comandante dell’artiglieria di un’armata, dimostrava elettissime qualità militari, vasta e profonda competenza tecnica, preziosissime doti di organizzatore nella preparazione dell’arma e nel suo impiego. Sprezzante sempre del fuoco nemico nella sua inesauribile attività che lo ha fatto accorrere ovunque la situazione era più difficile e il pericolo più intenso. Efficacissimo coadiutore del comando nel dar vita al più stretto accordo fra i comandi delle grandi unità e gli organi da lui dipendenti, e nell’assicurare il più intimo collegamento tra fanteria ed artiglieria nel combattimento. Al termine del primo conflitto mondiale, fu destinato nuovamente in Libia, dove rimase da febbraio a giugno 1919.Al rientro in Italia, assunse il comando dell’artiglieria del X corpo d’armata nella sua città natale. Come molti ufficiali e reduci di guerra, fu conquistato dalle idee del Fascismo delle origini e vi aderì entusiasticamente. In occasione della grande adunata di Camicie Nere di Napoli, che precedette di poche ore la Marcia su Roma, Baistrocchi fu a colloquio con Mussolini all’HotelVesuvio e gli assicurò – non sappiamo quanto ciò corrispondesse alla realtà delle cose - l’appoggio dei reparti dell’Esercito stanziati nel Meridione. Sta di fatto che da questo momento iniziò una fortunata carriera politica a fianco di quella militare, venendo eletto due volte al Comune di Napoli e diventandone assessore ai Lavori Pubblici.Atale primo passo fece seguito l’elezione al Parlamento nel Listone mussoliniano del 1924, poi confermata dalle successive elezioni del 1929 e 1934. Interessatosi naturalmente di materie militari, ricoprì l’incarico di relatore del bilancio del ministero della Guerra, di cui fu attento osservatore e censore. Fu tra coloro che avversarono la proposta di riforma del Regio Esercito portata avanti dal collega Antonino di Giorgio, del corso immediatamente precedente al suo alla Nunziatella, ed allora incaricato del dicastero militare. Convinto assertore della necessità di unificare le tre forze armate, fu inoltre membro della commissione incaricata della riforma della giustizia militare.Accanto alla sua carriera politica, continuò in quella militare ascendendo al grado di divisione nel 1926 e venendo nominato comandante della 25a divisione militare territoriale di Napoli. Nominato comandante interinale di corpo d’armata, ottenne nell’agosto 1930 un encomio solenne per gli aiuti portati ai terremotati del Vulture. Nel settembre dell’anno dopo fu ulteriormente promosso a generale di corpo d’armata e incaricato del comando del IV corpo d’armata di Verona. Nel frattempo, l’atteggiamento di Mussolini nei confronti della politica estera stava avendo un deciso cambiamento rispetto al passato, assumendo gradatamente una coloritura maggiormente aggressiva. Contestualmente, il capo del governo aveva la necessità di riequilibrare al ministero della Guerra la forte corrente piemontese che nel ritorno di Badoglio a Roma da Tripoli trovava nuove energie per portare avanti la propria politica fortemente monarchica. Per questo motivo, egli aveva deciso la sostituzione di Gazzera nell’incarico ministeriale, e si stava guardando intorno per identificare il miglior candidato da sostituirgli. Secondo quanto recentemente messo in evidenza in una biografia dedicata al

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generale Tallarigo, la scelta sembrava dovesse cadere sull’ex allievo della Nunziatella Alfredo Taranto, ma la morte improvvisa di quest’ultimo il 6 dicembre 1932 frustrò e rallentò i propositi del leader del Fascismo. La lealtà personale di Baistrocchi a Mussolini fu infine premiata: nel luglio 1933 egli fu nominato sottosegretario alla guerra, e nell’ottobre 1934 assunse anche la carica di capo di Stato maggiore dell’esercito. Ricoprire l’incarico di sottosegretario corrispondeva in quel momento alla carica di ministro in senso effettivo, dato che la posizione ricoperta ad interim dal Duce di fatto era motivata solamente dalla volontà di quest’ultimo più accentrare su di sé il maggior numero possibile dei ministeri critici per la missione espansione internazionale che aveva concepito e che si sforzava di portare avanti. Baistrocchi, infatti, ebbe piena libertà d’azione nel campo governativo militare, lasciando al sottocapo di Stato maggiore Pariani gli incarichi tecnici. Come ha acutamente osservato Giovanni Cecini in proposito, con la guerra d’Etiopia ormai alle porte, il generale napoletano rappresentava un ideale punto di equilibrio tra la casta militare e la monarchia da un lato; e gli esponenti più agguerriti del fascismo militare dall’altro. Nella sua entusiastica attività riformatrice, tuttavia, Baistrocchi compì un errore fondamentale: quello di proporre il quadrumviro Italo Balbo, stella in ascesa assoluta nel panorama fascista, come capo di Stato maggiore generale. Con questa mossa, si mise in contrapposizione a Badoglio, titolare dell’incarico, e contemporaneamente indispose Mussolini, il quale non vedeva di buon occhio la progressiva ascesa della popolarità di Balbo, che, leader dell’innovazione e punto di riferimento dell’immaginario collettivo attraverso le sue imprese aeronautiche, minacciava la posizione del Duce soprattutto in chiave di futura successione. Animato comunque dalle migliori intenzioni rispetto alla necessità di lasciarsi alle spalle la mentalità e la cultura dei generali piemontesi da trincea, Baistrocchi formulò un ambizioso programma riforma organica e strutturale dell’Esercito, suddividendolo nei trienni 1933-1936 e 19361939. Le innovazioni più importanti furono innanzitutto legate all’inquadramento della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale all’interno delle forze armate. Le disordinate formazioni squadristiche avevano reso possibile la presa del potere da parte di Mussolini erano state già sistematizzate in milizia all’indomani dell’ascesa al governo. La riforma Baistrocchi consentiva loro di compiere un ulteriore passo nella direzione dell’istituzionalizzazione. Di fatto, più che fascistizzare le forze armate, come gli fu addebitato in seguito, Baistrocchi tentò di utilizzare il potenziale giovanile e dinamico della miliziacomepuntodiforzapermodernizzarel’esercito.Inoltre,realizzòimportantiriforme pratiche come l’abbandono delle tradizionali uniformi sabaude a colletto chiuso, in favore di una più efficiente divisa di taglio civile, che soprattutto consentiva una maggiore comodità ad ufficiali e truppa nel corso della stagione estiva. Coerentemente alla sua esperienza di artigliere durante la Grande Guerra, promosse inoltre una stretta collaborazione tra l’arma dotta e la fanteria, introducendo inoltre concetti di elevata mobilità attraverso l’istituzione del Corpo automobilistico dell’esercito. Fu inoltre promotore dell’istituzione del Corpo della Guardia alla frontiera, con il fine di liberare i reparti dell’esercito a vocazione maggiormente combattente dai meri compiti di sorveglianza dei confini. Seppur diretta all’aumento della mobilità delle truppe, concetto connesso alla dottrina della guerra dinamica, la motorizzazione voluta da Baistrocchi fu tuttavia effettuata in forma incompleta a causa della ristrettezza dei bilanci dedicati alle forze armate. Inoltre, la sua comprensione delle nuove necessità della guerra non andò fino all’investimento in forma consistente sui carri armati come nuova specialità ibrida, che fornisse all’artiglieria le caratteristiche di velocità di spostamento proprie della cavalle-

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ria. Anche condizionati dalla povertà ingegneristica dell’industria italiana, i primi carri armati furono poco più che delle automobili blandamente corazzate ed armate, tanto da andare dopo pochi anni incontro in Etiopia ad una bruciante sconfitta contro avversari molto meno muniti. In un tentativo di completare in forma organica la riforma delle forze armate, Baistrocchi sfruttò nel settembre 1934 l’introduzione della cultura militare obbligatoria nelle scuole per definire il servizio premilitare e quello post-militare. Fu inoltre il promotore dell’inserimento delle Camicie Nere all’interno dell’organizzazione militare, seppure con compiti inizialmente di supporto. Ne favorì l’addestramento, mettendo alla testa delle stesse durante le esercitazioni degli ufficiali dell’esercito. L’operazione, vista con comprensibile sospetto ed antipatia da parte di una parte dei militari, diede tuttavia i suoi frutti: allo scoppio della guerra d’Etiopia, sette divisioni di Camicie Nere poterono parteciparvi, coadiuvando efficacemente i militari in una serie di occasioni e conseguendo anche alcuni successi sul campo. Onde controbilanciare l’ostilità del mondo militare nei confronti dell’iniziativa, Baistrocchi dispose che i vertici della Milizia dovessero essere sempre ricoperti da ex ufficiali superiori dell’esercito. Sebbene si adoperasse fattivamente per aumentare il potenziale offensivo in Etiopia, Baistrocchi mantenne tuttavia nei confronti del conflitto africano un più o meno aperto scetticismo. Le riserve provenivano dall’essere stato scavalcato dall’azione combinata di Ciano e De Bono, i quali avevano come obiettivo quello di fare dell’avventura nel Corno d’Africa il primo successo militare dell’era fascista, in qualche modo svincolandosi dalle gerarchie militari di estrazione monarchica. Interessato egli stesso a prendere il comando dell’impresa, pur mantenendo intatte le proprie prerogative politiche per l’incarico di capo di Stato maggiore dell’esercito, Baistrocchi cercò di fare pressione su Mussolini tentando di ottenere l’appoggio di Badoglio. Il tentativo fu infruttuoso ed egli si trovò nella condizione di dover fornire qualunque tipo di supporto i coloniali richiedessero sul campo. Deluso ma non scoraggiato dall’insuccesso, alla vigilia del conflitto d’Etiopia egli pubblicò comunque le Direttive per l’impiego delle grandi unità, un documento in cui le sue convinzioni circa l’uso mobile di artiglieria e fanteria venivano portate alle estreme conseguenze, anticipando di fatto molti dei concetti della futura Blitzkrieg tedesca. Sebbene solide dal punto di vista concettuale, le Direttive trovarono tuttavia sulle Ambe serie difficoltà di applicazione. Come già ricordato, ad esempio, i piccoli carri armati leggeri trovarono una fine ingloriosa a Dembeguinà. Tuttavia, i successi dei mesi seguenti, ed il suo costante impegno nell’aiutare le truppe sul campo, gli guadagnarono la promozione a generale d’armata. In questo periodo Baistrocchi giocò una doppia partita: se da un lato come detto assicurò obtorto collo tutto il supporto necessario all’impresa etiopica, dall’altro non mancò di far rilevare a Mussolini le manchevolezze nella conduzione delle operazioni, specie quando queste passarono nelle mani di Badoglio. La vittoria finale lavò tuttavia le difficoltà precedenti, e Baistrocchi riprese ad occuparsi dell’ammodernamento dell’esercito. La sua stagione stava tuttavia volgendo al tramonto, a causa di una serie di coincidenze strategiche che egli tentò vanamente di avversare. Nei corridoi del Ministero degli Esteri Ciano pianificava l’intervento nella Guerra civile spagnola, al punto di creare un ufficio apposito per la sua conduzione. L’eventualità trovò invece Baistrocchi profondamente contrario, dato che avrebbe comportato il ritiro parziale delle truppe dall’Etiopia; e che in aggiunta avrebbe depauperato delle preziose risorse per la conduzione di una nuova e più ampia guerra che in quegli anni si andava prefigurando. In una sua profetica lettera del 18 settembre 1936, egli scrisse a Mussolini: «Con la mia abituale franchezza, pur sapendo di non farvi, anche questa volta, cosa gradita, vi dirò

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che tale ritorno in patria sarebbe esiziale per l’esistenza dell’Impero che voi avete voluto e fondato. (…) La guerra che prevedete sarà lunga (…) troverà l’universo diviso in due campi opposti per una lotta senza quartiere e perciò sarà lunghissima e all’ultimo sangue. Trionferà chi avrà saputo meglio prepararsi, resistere, alimentarsi. Il Mediterraneo non è nostro; l’Inghilterra lo domina (…) la Francia e anche l’America (poiché ritengo che anch’essa sarà contro di noi) vorranno farci scontare il nostro grande successo in Africa». Il realismo del generale non piacque però al dittatore nel suo momento di massimo trionfo, e complici le pressioni di Badoglio e di Ciano, Mussolini decise per la sua sostituzione con Pariani. Pur venendo gratificato del titolo di conte dal re – senza predicato – l’estromissione fu per Baistrocchi fonte di grande amarezza, e di fatto costituì la sua uscita da tutti gli ambienti politico-militari. Avversato dalla lobby degli industriali, cui aveva chiesto in passato qualità e tempi certi nelle produzioni belliche, mettendo sotto pressione i profitti; e dalle pressioni di Balbo per nominare Gazzera, non riuscì ad ottenere la posizione di Commissario per le fabbricazioni di guerra, che alla fine andò a Dallolio. Appellatosi a Mussolini nell’ottobre del 1938 perché gli consentisse di rientrare in qualche incarico, non ebbe successo, e solo nel 1939 gli arrivò la nomina a senatore ed un seggio nel Consiglio dell’Esercito. Nonostante i nuovi onori, la sua figura era ormai minoritaria nell’ambito degli equilibri politico-militari dell’Italia fascista. Quando nel giugno 1939 la rivista La Rassegna italiana pubblicò un numero speciale intitolato Le forze armate dell’Italia fascista, gli fu affidato il compito minore di parlare dell’Attività dell’esercito per l’esigenza A.O. Redasse successivamente un dettagliato promemoria intitolato Mio testamento militare, indirizzato al nuovo Sottosegretario alla guerra Ubaldo Soddu, già suo collaboratore. In esso individuò con grande lucidità tutte le manchevolezze dell’apparato militare dell’epoca, evidenziando del pari gli errori commessi da Pariani, in particolare nella nuova configurazione delle divisioni binarie, e nella confusione tra guerra di movimento e guerra di rapido corso. Il suo fine era quello di mettere in condizione Soddu di proseguire sul cammino delle riforme da lui stesso incominciato. Le sue riserve non furono tuttavia accolte dal nuovo sottosegretario, e con lo scoppio della Seconda guerra mondiale Baistrocchi fu messo completamente da parte, tanto da essere collocato in ausiliaria nel 1944 per limiti di età. Poco prima dell’arresto di Mussolini del 25 luglio 1943, esattamente come fece negli stessi giorni il collega di Nunziatella Tallarigo, scrisse al Capo di Stato maggioreAmbrosio, anch’egli ex allievo, per manifestargli la propria convinzione circa la necessità di sganciarsi dalla Germania. Questo fatto lo portò ad essere convocato dal re insieme ad altre personalità politiche e militari immediatamente prima della defenestrazione del Duce. Con la caduta di Roma, secondo la testimonianza del principe Umberto, Baistrocchi raggiunse la capitale mettendosi a disposizione della massima autorità militare. Con l’esaurimento del conflitto e l’avvio della resa dei conti con il regime fascista, Baistrocchi fu denunciato all’Alto commissario per le sanzioni contro il Fascismo il 17 Febbraio 1945.Atale denuncia non fu certamente estraneo un memoriale redatto dal generaleArmellini, stretto collaboratore di Badoglio, il quale mise in evidenza quelle che a suo parere erano state le intromissioni di Baistrocchi all’interno della struttura dell’esercito, volte a favorire la sua fascistizzazione. Con buona probabilità, tale atto fu una vendetta postuma di Badoglio, il quale vuole rifarsi nei suoi confronti per gli ostacoli ricevuti durante la campagna d’Etiopia. I severi capi di imputazione attribuiti a Baistrocchi gli comportarono la detenzione in carcere per più di un anno. Il periodo di prigionia scavò un forte solco nel suo fisico, dato che lo portò a perdere 21 kg. Le accuse si rivelarono tuttavia inconsistenti da un

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punto di vista giuridico, anche perché Baistrocchi era ormai estraneo da un decennio a qualunque vicenda politico-militare, ed in particolare alla dichiarazione ed alla condotta del secondo conflitto mondiale. A suo favore, inoltre, pesarono le testimonianze di una serie gli autorevoli personaggi, tra cui Messe, Bastico, Caviglia e lo stesso Ambrosio. Il processo si svolse tra il 10 e il 22 settembre 1946 e si concluse con la piena assoluzione, anche perché fu messo in evidenza durante l’escussione delle prove come egli avesse più volte profetizzato sin dal 1936 tutte le conseguenze nefaste che il paese avrebbe subito a causa della propria impreparazione militare se il Fascismo avesse continuato sulla propria linea di condotta. Ormai restituito alla sua piena dignità, nell’aprile 1947 gli fu riconosciuto il reintegro nel grado. Ormai rasserenato, morì a Roma il 1° giugno dello stesso anno. Splendido l’epitaffio che il grande invalido di guerra Carlo Delcroix, scrisse per lui: «Visse abbastanza da rivendicare con il proprio nome quello dell’Esercito che si voleva colpire in uno dei suoi Capi più degni, ma il cuore che aveva contenuto il giubilo della guerra vinta e l’angoscia della guerra perduta alla fine si infranse. La famiglia che amò più di sé stesso e l’Italia che servì fino alla morte, nel piangerne la perdita, non vogliono sia perduto il suo esempio». La sua figura ha subito un ulteriore rivalutazione in tempi recenti, tanto che nel 2017 gli è stata dedicata una mostra commemorativa presso il Museo storico dei Granatieri di Sardegna.

Bibliografia:F. Baistrocchi, L’artiglieria nella battaglia: memoria sintetica compilata in occasione delle esercitazioni completive d’artiglieria del Corpo d’Armata di Napoli. [S.l. s.n.], 1924; F. Baistrocchi, Il fuoco. “Rivista militare” XII, p. 2023, Roma 1927; F. Baistrocchi, Questioni militari esposte alla Camera dei Deputati e al Senato del Regno nell’anno 13. Ist. Poligr. dello Stato, Libreria, Roma 1935; F. Baistrocchi, Questioni militari esposte alla Camera dei Deputati e al Senato del Regno nell’anno 14, Roma 1936; F. Baistrocchi, L’ Italia guerriera. [S.l. s.n.], 1936; F. Baistrocchi, Discorso pronunciato da S. E. Baistrocchi in occasione della inaugurazione del monumento al maresciallo d’Italia Armando Diaz: in Napoli 29 maggio 14. [S.l. s.n.], 1936; F. Baistrocchi, L’ Italia imperiale, Capodistria 1938; U. Baistrocchi, Il caso Baistrocchi, Roma 1900; P. Matucci, Biografie: Antonio Di Giorgio, Federico Baistrocchi, Ugo Cavallero, Giovanni Messe. Pagnini, Firenze 2005; P. Matucci, Federico Baistrocchi sottosegretario: 19331936. Pagnini, Firenze 2006; A. Del Boca, La guerra d’Etiopia, pp. 139, 176. Longanesi, Milano, 2010; M. Ascoli, La difesa dei confini: il generale Federico Baistrocchi e la guardia alla frontiera. Bacchilega, Imola 2014; P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 84-86. Gaspari, Udine 2011; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso allievi Scuola Militare Nunziatella, 17872015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, 2015; J. Gooch, Mussolini e i suoi generali, LEG, Gorizia 2011; F. Scala, Il generale Armando Tallarigo - dalla leggenda della Brigata Sassari al dopoguerra, p. 265. Gaspari, Udine 2018; G. Cecini, Federico Baistrocchi. In: I generali di Mussolini, p. 188-200. Newton Compton, Roma 2019.

BAUMGArTNEr EDMONDO

Nonostante il suo cognome indichi una sicura origine germanica, probabilmente riconducibile a qualche antenato che aveva prestato servizio nel reggimento svizzeri del Regno delle Due Sicilie; oppure ad una famiglia di piccoli imprenditori provenienti da

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quel paese; Baumgartner nacque a Napoli l’11 agosto 1864. Ammesso alla Nunziatella come allievo del corso 1878, fu successivamente ammesso all’Accademia di Artiglieria e Genio di Torino. È di questo periodo una foto che ce lo mostra giovane allievo in uniforme, con i capelli chiari, le labbra grandi, e forse un accenno di strabismo. Ottenne la nomina a sottotenente di artiglieria nel 1884, passando in assegnazione al Polverificio del Liri. Fu successivamente trasferito al 2° reggimento artiglieria da campagna e quindi, promosso capitano, tra il 1904 e il 1909 fu al 10º artiglieria di Caserta. In quest’ultima unità ebbe occasione di condividere il servizio con i futuri generali Francesco Siccardi, Federico Baistrocchi e Guido Guidotti, anch’essi provenienti da Pizzofalcone. Nonostante il suo incarico come ufficiale di artiglieria, in questo periodo diede prova di una notevole attitudine allo studio della storia militare navale, pubblicando in tre riprese successive un corposo studio – oltre un centinaio di pagine - sulla battaglia di Lissa e le cause della sconfitta italiana. Ritornato al 2° reggimento da campagna, vi fu promosso tenente colonnello il 31 marzo 1914. Entrò in guerra con questa unità, inquadrato nelVII

C.d.A. (generale Garioni) in appoggio alla 13a e 14a Divisione fanteria. Per le sue azioni sul fronte del basso Isonzo meritò una medaglia di bronzo al valore. Avanzato al grado di colonnello brigadiere nel 1916, ebbe la responsabilità di raggruppamenti di artiglieria sul Carso ed a Monfalcone. Il 7 luglio 1917 fu invece riassegnato al comando dell’artiglieria del XVIII corpo d’armata (generale Etna) in Valsugana. Con questa unità affrontò con successo la difficile ritirata dalla zona del Cadore, partecipando successivamente alla battaglia difensiva sul massiccio del Grappa. Per la perizia e del valore dimostrati in questo periodo di comando fu decorato della Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia con Regio decreto del 20 settembre 1920. Già dall’anno prima svolgeva in aggiunta al suo incarico di comando la funzione di giudice presso il Tribunale Supremo di Guerra e Marina. Posto a disposizione della direzione generale di artiglieria presso il Ministero della Guerra nel 1920, nel 1922 fu vicedirettore generale presso la Direzione generale di artiglieria. Due anni dopo fu nominato membro della commissione per l’esame delle proposte di ricompense al valore per la Grande Guerra. Successivamente passò in posizione ausiliaria e morì a Roma il 9 febbraio 1931.

Bibliografia: E. Baumgartner; Il Risorgimento italiano. La battaglia di Lissa e le cause dell’insuccesso. “Rivista d’Italia”, settembre 1911, Roma 1911; E. Baumgartner, Il Risorgimento italiano. La Battaglia di Lissa e le cause dell’insuccesso (Continua). “Rivista d’Italia”, Anno 14. Volume 2, p. 461-503. Roma 1911; E. Baumgartner, Il Risorgimento italiano. La Battaglia di Lissa e le cause dell’insuccesso (Continuazione e fine). “Rivista d’Italia”, Anno 14, Volume 2, p. 631-679. Roma 1911; P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 104-105. Gaspari, Udine 2011; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso allievi Scuola Militare Nunziatella, 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, 2015; G. Volpe, Da Caporetto a Vittorio Veneto. Rubbettino Editore, 2018; F. Scala, Il generale Armando Tallarigo – dalla leggenda della brigata Sassari al dopoguerra. Gaspari, Udine 2018.

BENNATI LUCIANO

Fu uno dei generali anziani che parteciparono onorevolmente alla Grande Guerra, tenendo il comando dei reparti loro assegnati per lungo tempo, fino a quando l’evoluzione

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dei combattimenti, e soprattutto la comparsa nei gradi superiori di colleghi maggiormente dinamici e giovani, ne determinò l’allontanamento dal fronte. Nacque a Milano 15 agosto 1852 e fu allievo del corso 1869 della Nunziatella. Ammesso all’Accademia di artiglieria e genio di Torino, vi fu nominato ufficiale di artiglieria nel 1874. Fu quindi destinato a prestare il servizio presso una serie di reggimenti di artiglieria da campagna: 11º, 14º, 9°. Dopo avere ottenuto nel 1872 la nomina a capitano, fu trasferito al 13º reggimento artiglieria da fortezza, per passare quindi all’8° reggimento artiglieria da campagna, ed infine a quello a cavallo. Nel 1894 fu promosso maggiore, e trasferito al 7° artiglieria da campagna e quindi alla 10ª brigata autonoma da fortezza. Nel 1901, ormai promosso tenente colonnello, fu assegnato al laboratorio pirotecnico di Capua per tre anni, per poi passare a quello di precisione a Roma. Promosso colonnello nel luglio 1905, assunse il comando del laboratorio di Roma, che tenne per un quinquennio. Nel 1911 fu tra i partecipanti all’esposizione universale di Torino. Avanzato al grado di maggior generale, ebbe il comando dell’artiglieria da fortezza a Piacenza, e fino al 1914 fu impegnato nel compito di rinnovare il parco d’artiglieria da assedio. Fu collocato in posizione ausiliaria, per età, dal 15 agosto 1914, con R. decreto del 9 agosto 1914. Con lo scoppio della Grande Guerra, fu richiamato in servizio e gli fu assegnato il comando del 2° raggruppamento frazioni parco d’assedio sul Carso. Il 15 giugno 1915 ottenne l’intero comando dell’artiglieria della zona Carnia, che esercitò per oltre due anni fino al 4 luglio 1917. In questo periodo fu gratificato dell’avanzamento al grado di tenente generale e da una medaglia d’argento al valore. La motivazione di quest’ultima fornisce l’immagine di un ardimentoso ufficiale generale: “Comandante d’artiglieria nella zona Carnia, dette per oltre due anni, e specialmente in occasione del cambio di molte batterie con altre di minore efficienza, continue, mirabili prove di coraggio e di sprezzo del pericolo, sia eseguendo numerose ed ardite ricognizioni ed affrontando quasi giornalmente il fuoco del nemico con insuperabile serenità che fu di esempio efficacissimo ai dipendenti, sia attraversando zone infestate da valanghe, sempre nell’intento di rendere più efficace l’impiego delle batterie ed il servizio degli osservatori”. Nonostante l’ottima prova fornita, malgrado fosse ormai sessantacinquenne, fu costretto a richiedere l’avvicendamento nel proprio compito, e fu sostituito dal collega Sachero. In realtà, la richiesta volontaria mascherava un provvedimento di esonero richiesto dal generale Tassoni, suo superiore diretto, e confermato dal comandante generale dell’artiglieria d’Alessandro. L’effettiva richiesta di esonero formulata da Tassoni metteva in evidenza come motivazioni per l’avvicendamento ragioni inerenti al governo e la disciplina dei sottoposti, e la difficoltà di rapportarsi con colleghi più giovani a causa del suo carattere ombroso e suscettibile. Anche in questo caso, come per altri colleghi, è tuttavia possibile ipotizzare che la richiesta di esonero fosse in realtà motivata dalla riluttanza di Bennati ad applicare le forme più gravi della disciplina cadorniana, e dalla generale volontà del Comando Supremo di procedere ad un progressivo svecchiamento dei quadri di comando. Allontanato dal fronte, Bennati fu trasferito nell’agosto 1917 all’Ufficio Inchieste del Ministero Armi e Munizioni, presso il quale spese un biennio, ricoprendo una serie di altri incarichi, come quello di Capo del Servizio Esportazione. Nel 1919 fu collocato nella riserva, ed il 23 giugno 1923 fondò a Roma l’Associazione NazionaleArtiglieri d’Italia sotto il nome iniziale di “Associazione Santa Barbara”, e ne fu il primo presidente. Fu autore di una notevole produzione pubblicistica in materia di artiglieria su quotidiani e riviste di settore.

Bibliografia:L.Bennati, Applicazione della meteorologia all’arte militare, Roma 1894;

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“Luce e ombra rivista mensile illustrata di scienze spiritualistiche”, p. 92. Tip. degli operari, 1902; L. Bennati, I mezzi per l’osservazione del tiro. Estratto dalla “Rivista d’artiglieria e genio”, vol. IV, Roma 1905; L. Bennati, Monografia dei materiali esposti alla mostra internazionale di Milano riflettenti la metrologia e la metrologia retrospettiva: (Direzione d’artiglieria del laboratorio di precisione, Roma), 1906; G. Cavalli, L. Bennati, Nel centenario della nascita del generale Giovanni Cavalli: 1808-1908: fascicolo ricordo d’artiglieria e genio, Roma 1908; Atti del Parlamento italiano: Discussioni, Volume 19, p. 22780. Camera dei deputati, 1908; L. Bennati, I nostri stabilimenti militari. “Rivista militare” XI, p. 2164 Roma 1909; L. Bennati, L’opera dell’artiglieria italiana nei giudizi dell’Arciduca Giuseppe d’Asburgo. “Il Piccolo”, 15 giugno 1933; M. Amaturo, Il generale Luciano Bennati. Estr. da: Rivista di artiglieria e genio, feb. 1943 pp. 85-90; P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 114. Gaspari, Udine 2011; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso allievi Scuola Militare Nunziatella, 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, 2015.

La figura eroica di questo generale merita di essere ricordata tra quelle dei figli più insigni della Nunziatella, che nei propri atti di comando come ufficiale, e purtroppo con la propria fine sul campo di battaglia, hanno dato lustro al nome della Scuola. Un recente ritratto in un atlante biografico ha trasmesso una valutazione ambivalente della sua figura, ma in realtà gli aspetti negativi ivi rilevati sono frutto più del malanimo del suo sottoposto Alfredo Graziani, che di altro. Un profilo più equilibrato e completo è invece riportato da F. Carofiglio. Nacque il 1° marzo 1861 a Sant’Angelo dei Lombardi (AV) da Giovanni, ricevitore del sale, e Luisa De Giorgio. La sua famiglia paterna era tuttavia originaria di Francavilla al Mare (CH), ed in terra abruzzese il giovane Gabriele passò sicuramente dei periodi significativi. Il poeta Gabriele D’Annunzio ricorda infatti in uno dei suoi taccuini che egli fu suo compagno di giochi durante l’infanzia, e che sua madre lo considerava come un altro figlio. Fu allievo del corso 1875-78 della Nunziatella, forse preceduto da un parente – nel corso 1873 si rileva uno Stefano Berardi, di cui però non sono note le origini. Passato all’Accademia di Modena, ne uscì con la nomina a sottotenente di fanteria nel luglio 1880. Subito assegnato al 2° Fanteria Re, vi fu promosso tenente due anni dopo. Conseguito il grado di capitano nel 1889, fu riassegnato al 12° Fanteria Casale, e da qui distaccato presso la Divisione militare di Chieti. Nel novembre 1893 fu quindi assegnato alla Brigata Valtellina, presso il 66° Fanteria. Il suo lungo periodo di servizio nella terra d’origine della sua famiglia gli fornì occasione per dimostrare il proprio coraggio personale. Mentre si trovava nel centro di Ascoli, si imbatté in un uomo armato di trincetto che ne inseguiva un altro, con evidenti intenzioni omicide. Prontamente intervenuto, riuscì a disarmare e bloccare l’aggressore fino all’arrivo della forza pubblica, guadagnandosi la medaglia di bronzo al Valor militare. Comandato tre anni dopo a prestare servizio con la propria compagnia in un comune in provincia di Caltanissetta, si adoperò per sedare le lotte politiche che lo dilaniavano, guadagnandosi la stima dei superiori. Promosso maggiore nell’aprile 1903, fu trasferito presso il 10° Fanteria della Brigata Regina. Fu quindi riassegnato a Belluno a partire dal settembre 1908, dove fu al 56° Reggimento Marche con il grado di tenente colonnello; promosso

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colonnello nel febbraio 1914, assunse quindi il comando della stessa unità. Passato l’incarico al tenente colonnello Padovin allo scoppio della guerra, il 21 luglio 1915 fu assegnato al comando della Brigata Sassari in sostituzione del generale L. Callegari. Al suo arrivo presso la brigata dei sardi,Alfredo Graziani, suo ufficiale d’ordinanza, lo descrive come “un uomo bonario, attaccatissimo alla famiglia e innamorato cotto di un figlio ufficiale. Non è troppo entusiasta della guerra e lamenta la nostra impreparazione”. Questa prima impressione del diarista della Sassari non durò a lungo, trasformandosi presto in risentimento. La Sassari fu inquadrata nella 25a Divisione, comandata dal generale E. Mossolin e schierata inizialmente in retrovia tra Santa Maria La Longa e Lonato, fu successivamente spostata a Redipuglia, dove prese il primo contatto con il fronte di combattimento. Passata oltre l’Isonzo, gli fu affidato il compito di attaccare le postazioni nemiche di Bosco Lancia e Bosco Triangolare. In particolare, quest’ultimo fu oggetto il 21 agosto 1915 di un’azione ardita che Graziani ideò e per la quale si offrì volontario, la quale fu coronata da successo. Per ragioni ignote, tuttavia, non fu subito concessa la licenza premio promessa, né a quest’ultimo fu assegnata la medaglia d’oro come si aspettava. Da questo episodio iniziò un periodo di rapporti difficili – Graziani scavalcò Berardi contattando durante una visita alla Brigata il braccio destro del Duca d’Aosta, generale Vanzo – culminati nella sostituzione del diarista con Guido Brunner. Riassegnato alla cavalleria, sua arma d’origine, Graziani fece domanda per rimanere alla Sassari, mantenendo però un giudizio freddo e risentito nei confronti del proprio ufficiale superiore. Nonostante le critiche non equilibrate del proprio sottoposto, Berardi fu promosso maggior generale il 31 agosto 1915, ed in quei mesi diede numerose prove della propria forza di comandante e del valore personale che aveva già mostrato in passato. Sul San Michele, Sardus Fontana ne racconta la vicinanza ai propri uomini e gli sforzi per motivarli, evidenziandone la bonomia nella tragicità della guerra: “Ricordo che quella sera trovavasi nella nostra linea avanzata il Comandante della Brigata, Generale Berardi, che per assicurarsi della precisione dei nostri fucilieri, stabiliva premi in danaro: lire 35 per ogni nemico colpito alla distanza di oltre 300 metri. Dopo pochi minuti il Generale si affrettava a dichiarare che aveva esaurito la somma a disposizione…”. Sempre Fontana ne ricorda il coraggio personale, che lo spingeva ad essere in prima linea, fante tra i propri sardi: “Il 13 agosto la linea avanzata del 1° Battaglione del 152° (…) ebbe a sostenere un urto formidabile. (…) Il pallore di morte era segnato sul viso di tutti (…) Il caldo soffocante della giornata, il fumo ed il fuoco delle granate incendiarie nemiche, ci soffocavano e toglievano il respiro; (…) L’ordine era di resistere, resistere ad oltranza, e gli ufficiali ne davano l’esempio, condividendo i sacrifizi comuni. Il momento era tale che sarebbe bastato che indietreggiasse uno solo degli uomini impegnati nella lotta, perché la massa si sbandasse, abbandonando la posizione saldamente tenuta. Il Generale Berardi e il Colonnello Torti, impugnato un fucile, erano con noi nella difesa della linea, e il loro esempio fu eseguito da tutti gli Ufficiali del Reggimento, compresi i tenenti medici Mura e Pala di Luras”. Inviata a riposo in retrovia, la Sassari si riavvicinò alla linea del fronte sostando tra il 24 ottobre e il 4 novembre presso il presidio di Villa Vicentina, comandato da soli due giorni dal colonnelloArmando Tallarigo, ex-allievo del corso 1878-81. Come evidenziato da una recente biografia dedicata a quest’ultimo, questo evento minimo fu in realtà un passaggio estremamente significativo. Incontrandosi in retrovia, Tallarigo e Berardi non sapevano infatti che di lì a pochi mesi il primo avrebbe comandato prima il 152° Fanteria, e poi l’intera Brigata Sassari, conducendola prima durante il famoso Anno sull’Altipiano immortalato da Emilio Lus-

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su; poi nella vittoriosa avanzata sulla Bainsizza; e infine nell’eroica resistenza a Codroipo durante la rotta di Caporetto. Ignaro di tutto ciò e del fato glorioso e tragico che lo attendeva, a inizio novembre Berardi riportò la sua Brigata sull’altipiano di Doberdò. Qui erano posizionate le due trincee austriache delle Frasche e dei Razzi, rese tristemente famose dai reiterati ed inutili assalti di tre altre brigate di fanteria e del 1° Reggimento bis dei Bersaglieri. La forza di tali posizioni era tale che l’allora colonnello dei bersaglieri Emilio De Bono, nel lasciare la linea alla Sassari, dichiarò che se queste ultime fossero state prese, si sarebbe dimesso da colonnello ed avrebbe assunto i gradi da caporale della brigata dei sardi. Il 6 novembre Berardi schierò i propri reggimenti, e nell’imminenza dell’azione chiamò D’Annunzio perché parlasse ai propri uomini. Così scrisse in seguito il Vate: “Là, nella guerra, una sera, alla vigilia di una grande azione, vennero a chiamarmi perché io andassi ad arringare la Brigata Sassari già in assetto di battaglia, già destinata alle nuove trincee. Mi chiamava un eroe del mio sangue, un compagno della mia infanzia, un conterraneo del parentado di mia madre, Gabriele Berardi, già promesso alla morte gloriosa. E m’avvertiva come io fossi per parlare a isolani che forse non avrebbero interamente compreso il mio linguaggio (…)”. Al mattino del 10 la Brigata si lanciò contro le posizioni avversarie sul San Michele, arrivando a circa sessanta metri dalla trincea dei Razzi, pur sotto intenso fuoco nemico. I reticolati furono infranti con i tubi di gelatina, aprendo la via per il successivo assalto. Il giorno dopo, qui cadde il sottotenente Enrico Colosimo – già allievo del corso 1911-14, poi decorato della medaglia d’argento al Valor militare. Nella serata del 12, un’analoga azione di brillamento di tubi di esplosivo, aprì un varco anche in direzione della trincea delle Frasche. Il giorno dopo, secondo gli ordini di Berardi e sotto il comando del poi famoso maggiore Emanuele Pugliese, fu dato l’assalto a quest’ultima, il quale ebbe piano successo e consentì l’occupazione della trincea. Dalla sua posizione di prima linea, Berardi ordinò al maggiore Dessì di assaltare all’alba del 14 anche la trincea dei Razzi. Colti di sorpresa, gli austriaci furono catturati in massa – si contarono 289 prigionieri tra cui 11 ufficiali. I successivi rabbiosi contrattacchi nemici furono respinti dalla Sassari, che poté quindi lasciare la linea alla Brigata Cremona il 16 novembre. Le eroiche azioni contro le temute trincee valsero ai soldati isolani la prima citazione sul Bollettino di Guerra n. 173, ore 18, in cui Cadorna scrisse: “Sul Carso è continuata ieri l’azione. Per tutto il giorno l’artiglieria nemica concentrò violento e ininterrotto fuoco di pezzi di ogni calibro sul trinceramento delle Frasche, a fine di snidare le nostre fanterie. Gl’intrepidi sardi della Brigata Sassari resistettero però saldamente sulle conquistate posizioni e con ammirevole slancio espugnarono altro vicino importante trinceramento detto dei Razzi. Fecero al nemico 278 prigionieri dei quali 11 ufficiali”. Trasferiti i propri uomini a riposo tra Fogliano,Aiello e Villesse, Berardi usò i pochi giorni di riposo per mettere nuovamente in efficienza l’unità e per scrivere alcune missive che ne delineano la dimensione di uomo e di comandante. Una prima lettera fu indirizzata al fratello, e testimonia il suo attaccamento al dovere: “(…) Sono contento e soddisfattissimo ora di aver fatto il mio dovere: se io non fossi andato di persona in certi punti della primissima linea e dai quali solo era possibile osservare il terreno e stabilire il sistema di attacco; se io non fossi andato di persona a dare la spinta per l’avanzata, difficilmente, anzi certamente non avrebbe avuto lo stesso splendido risultato! Ora ho il conforto d’aver visto così apprezzato il valore di questa Brigata, della quale sono orgoglioso di far parte (…)”. Il 20 novembre inviò invece un telegramma al Prefetto di Cagliari, in cui scrisse “(gli) eroici figli (di) cotesta isola generosa fedele, votati sacrificio, strapparono sul Carso ardua

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solenne vittoria. Fiero averli guidati mentre mando commosso reverente saluto valorosi caduti pregola esprimere miei sentimenti (di) ammirazione (alla) popolazione (di) cotesta provincia dove il valore è virtù di razza”. Il giorno dopo, lo stesso prefetto rispose entusiasticamente che “Queste forti patriottiche popolazioni hanno appreso leggendarie gesta loro figli col più commosso orgoglio e sono riconoscenti loro impavido, valoroso condottiero che con ardimento e sagacia senza pari seppe condurli alla vittoria”. I successi conseguiti da Berardi e dalla Sassari furono altresì alla base di una decisione storica. Il 3 dicembre il Comando Supremo diede disposizione a tutti i reparti di far confluire alla brigata tutti i sardi che avessero come effettivi. Tale ordine dava del pari facoltà agli ufficiali sardi che ne facessero domanda di trasferirsi alla Sassari. Dopo essere rimasta in posizioni di retrovia a partire dal 18 novembre, accampata nei paesini di Perteole, Saciletto e Mortesins, la brigata rientrò in linea il 12 dicembre nel settore di Castelnuovo. Le nuove posizioni non erano adeguatamente fortificate, e si rendeva necessario quindi intraprendere una serie ragionata di lavori di rafforzamento. Leonardo Motzo, altro diarista della Sassari, ricorda così gli ultimi momenti di Berardi: “Fu appunto in una ricognizione, eseguita il mattino del 15 dicembre nelle trincee più avanzate di prima linea per studiare i lavori che si sarebbero dovuti eseguire per rendere più solide le nostre estreme posizioni e per determinare il punto più sensibile delle difese nemiche in caso di una eventuale azione da parte nostra, che fu colpito da schegge di granata il comandante della Brigata generale Berardi. Egli aveva già percorso la trincea dei Razzi e quella delle Frasche e stava per ultimare la sua visita quando, arrivato quasi al Saliente dei Bersaglieri, volle osservare le posizioni anche di là. Incurante del fuoco, specialmente di artiglieria, che in quel momento si abbatteva sulle nostre trincee, era tutto intento ad osservare le linee nemiche, quando una granata scoppiò a pochi passi da lui. Fu investito dai sassi e dalle schegge, alcune delle quali lo colpirono in modo gravissimo alla coscia sinistra producendogli una ferita mortale. Raccolto subito pietosamente fu trasportato all’ospedaletto n. 89 di Villesse, dove morì alle ore 15,45. Grande fu il dolore che tutta la Brigata sentì per la morte del suo eroico comandante, cui fu concessa la medaglia d’oro”.

Sia per il grado del caduto, che per la fama già acquistata dalla sua brigata, la morte di Gabriele Berardi ebbe ampia eco. Appresane la scomparsa, il duca D’Aosta lo ricordò scrivendo alla moglie Giuseppina Peziardi, la quale si era da tempo trasferita a Belluno per stare vicino al coniuge: “La dolorosa perdita del generale Berardi rievoca nel mio animo il ricordo delle gloriose giornate, nelle quali, alla testa della fiera brigata dei sardi, egli compì sul Carso le imprese che tanto onore fecero rifulgere sulla Terza armata. E questo ricordo, unito al pensiero di ciò che ancora egli avrebbe saputo compiere, rende maggiore il mio rimpianto”. L’Ordine Militare di Savoia, del quale stava per essere insignito per le azioni contro le trincee delle Frasche e dei Razzi, fu come detto commutato in medaglia d’oro. La decorazione fu consegnata all’amato figlio Gaetano, capitano e mutilato di guerra, durante una cerimonia svoltasi qualche tempo dopo a Chieti e che vide l’inaugurazione di un busto in marmo nell’atrio di Palazzo Valignani, sede comunale, dove ancora oggi si trova. Inizialmente tumulata nel cimitero di Villesse, la salma di Berardi fu traslata nella cappella di famiglia a Chieti nel 1922. In quell’occasione Gabriele D’Annunzio testimonia ancora una volta la propria vicinanza a Berardi inviando un messaggio di cordoglio: “Io ebbi l’onore di arringare la brigata del generale Gabriele Berardi prima del combattimento. I suoi soldati erano degni di lui, come gli era degno dei suoi soldati. La sua morte eroica ha esaltato in me e in tutti gli abruzzesi combattenti

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l’orgoglio della nostra razza e della nostra terra e fu a noi esempio fino all’ultimo. Lo considerai sempre come un fratello, perché mia madre lo ebbe caro. Più che un fratello m’è oggi nella memoria. Con tutto il popolo di Chieti m’inchino davanti alla salma e mi inginocchio sopra la sua sepoltura che di nuova fecondità ideale arricchisce la nostra piccola patria di Abruzzo tanto cara”. Il Collegio Militare di Napoli di intitolò il corso 1936-1937. Nel luglio 1971 le spoglie di Berardi furono ricollocate nel Sacrario dei Caduti di Chieti.Anche l’Esercito gli tributò di onori del caso, intitolandogli le caserme del 123° reggimento Chieti nella città abruzzese, e del 231º reggimento Avellino nel capoluogo irpino. In entrambe le città esistono vie a lui dedicate.

Bibliografia: G. Berardi, Considerazioni sul reclutamento dei sottufficiali e sull’avanzamento degli ufficiali, Chieti Ricci, 1907; G. Tommasi, Brigata Sassari: note di guerra, p. 27-28. Tipografia Sociale, Roma 1925; S. Fontana, Battesimo di fuoco, pp. 65-6; 79-80; L. Motzo, Gli intrepidi sardi della Brigata Sassari, p.64. Edizioni Della Torre, Cagliari 20073; P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 115-116. Gaspari, Udine 2011; F. Carofiglio, La militar gioventù ottimamente ammaestrata, Volume 1. Zaccaria Editore, 2013; A. Graziani, Fanterie sarde all’ombra del tricolore, volume 1. La Nuova Sardegna, Cagliari 2014; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso allievi Scuola Militare Nunziatella, 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, 2015; F. Scala, Il generale Armando Tallarigo – dalla leggenda della brigata Sassari al dopoguerra, pp. 100-102. Gaspari, Udine 2018.

BrIGANTI FILENO jUNIOr

Quella dei Briganti è una delle “dinastie” della Nunziatella, dato che suoi membri che ne sono stati ufficiali ed allievi lungo l’arco di diverse generazioni, mettendosi in evidenza nell’ambito della storia militare nazionale. Le origini della famiglia risalgono almeno al XV secolo con il medico e filosofo Annibale Briganti, e più tardi con il criminologo Filippo. Fileno Briganti senior, nato a Chieti nel 1800 daAnnibale e da Clotilde Placido, fu ammesso alla Nunziatella il 3 Febbraio 1815. Suo cugino Giuseppe – nato a Ripa da Ottaviano e Reginalda di Sangro – partecipò alla battaglia di Marengo, fu Aiutante Maggiore del Real Collegio, e fu ricordato da Mariano d’Ayala tra quei “capitani che fecero onore all’esercito napolitano”.Allievi del glorioso istituto di Pizzofalcone furono poi i figli di Fileno senior, Annibale e Donato, rispettivamente dei corsi 1839 e 1842; e quest’ultimo divenne comandante della Nunziatella nel 1877. Fileno Briganti junior – figlio di Annibale - fu invece allievo nel corso 1876 ed ebbe quindi suo zio come comandante; ed un Gregorio Briganti fu allievo del corso 1924. La storia di Fileno Briganti senior, ufficiale generale dell’Esercito delle Due Sicilie, ha sofferto per lungo tempo di una “leggenda nera”, solo di recente messa in discussione. Si segnalò tra i più coraggiosi e valorosi nella difesa della Cittadella di Messina nel 1848, guadagnandosi la croce di diritto di San Giorgio ed una pensione premio. Nella successiva battaglia di Taormina fu ferito alla testa e successivamente condusse il bombardamento su Palermo che mise fine alla rivolta siciliana. Divenuto in seguito generale comandante dell’artiglieria di Messina, fu trasferito al comando della terza brigata di stanza a Reggio Calabria. Secondo le accuse di parte borbonica, qui tenne un comportamento ondivago che causò la perdita della città, e nel successivo ripiegamento, grazie ai buoni uffici del maggiore garibaldino

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Salomone, amico di famiglia chietino ed anche gli ex allievo della Nunziatella, venne a colloquio con lo stesso Garibaldi. Secondo le stesse accuse, questo episodio fu alla base della successiva accusa di tradimento da parte delle sue truppe, le quali lo uccisero a fucilate a Monteleone pochi giorni dopo. Recenti studi hanno invece messo in dubbio questa versione, evidenziando come probabilmente la sua fine sia stata opera di truppe ammutinate, e che sulle sue spalle siano state scaricate dopo la morte responsabilità di altri. In ogni caso, la sua fine lasciò sicuramente una forte impronta nel nipote Fileno, il quale nacque a Napoli il 24 settembre 1862 e come detto fu ammesso alla Nunziatella nel 1876. Suoi colleghi di corso furono i futuri generali Arena, Camicia, e quel Francesco Raho che diede ottima prova di sé come comandante della brigata Sassari. Passato all’Accademia di artiglieria e genio di Torino, vi fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1872. Avanzato al grado di capitano nel Marzo 1890, fu assegnato come docente alla scuola centrale di fanteria, quindi al comando dell’artiglieria di Roma, e nel 1905 all’ispettorato per le costruzioni di artiglieria sito sempre nella capitale. Promosso maggiore nello stesso anno, due anni dopo lo si ritrova in servizio presso il 13º reggimento artiglieria da campagna di Roma. Lo scoppio del conflitto mondiale lo trova con il grado di colonnello idoneo al comando di brigata. Il 22 maggio 1916 assunse dal generale Gandolfo la responsabilità della brigata Pisa, incarico che poté tuttavia mantenere per un solo mese, fino al 29 giugno. In quella data, infatti, mentre si trovava con la propria unità sulla linea della sella di San Martino del Carso, fu investito dai gas utilizzati per la prima volta dagli austriaci sul fronte italiano. Similmente a molti dei suoi uomini, morì per le conseguenze dell’intossicazione circa un anno dopo, dopo atroci sofferenze. Gli fu assegnata la medaglia d’argento al valore con la seguente motivazione: “Comandante di una brigata di fanteria, sotto l’improvviso irrompere di gas asfissianti, che tutto avvolsero seminando ovunque la morte, diede nobile prova di grande devozione al dovere, incitando, quantunque torturato dalle strette dell’asfissia, i pochi superstiti appena validi, a tener testa al nemico irrompente, a contenerlo ed a respingerlo, fino all’arrivo di rinforzi. Mirabile esempio di deliberato sacrificio, che gli costò la vita per porre argine alla grave situazione del momento”. Durante lo stesso attacco austriaco del 29 giugno 1916 rimase intossicato anche l’ex allievo Antonio Falcone, colonnello comandante del 10° reggimento artiglieria d’assedio, causandone la morte poco dopo la conclusione del conflitto.

Bibliografia: R. M. Selvaggi, Nomi e volti di un esercito dimenticato, pp. 94-95. Grimaldi Editore, Napoli 1990; P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 153. Gaspari, Udine 2011; G. Catenacci, F. M. Di Giovine, La fine di un regno – i fatti di Calabria della campagna dell’estate 1860 – la leggenda nera sul generale Briganti. Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Sezione Calabria. Mileto, 2014; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso allievi Scuola Militare Nunziatella, 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, 2015.

CAMICIAFrANCESCO pAOLO

Figlio della terra di Puglia, fu uno dei relativamente pochi comandanti di artiglieria che completarono il conflitto mondiale senza incappare nel proverbiale siluro. Nacque il 28 febbraio 1863 a Monopoli e fu ammesso alla Nunziatella come allievo del corso 1876-

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79. Passato all’Accademia diArtiglieria e Genio di Torino, vi conseguì il grado di sottotenente nel 1882. Dopo aver conseguito il grado successivo nel novembre 1890, come molti coetanei ebbe la sua prima esperienza bellica partecipando alla campagna del 1895-96 in Africa Orientale. Rientrato in Italia, fu assegnato al reggimento artiglieria a cavallo Voloire di Milano, dove nel 1905 conseguì la nomina a maggiore. L’anno seguente fu assegnato al seguito del re Vittorio Emanuele III come aiutante di campo, ed entrò in intimità con i sovrani ed i giovani principi tanto da “essere considerato come un famigliare”. La vicinanza al re fu evidente anche in seguito, quando a più riprese Vittorio Emanuele gli rese visita al fronte. Camicia ebbe anche modo di ben segnalarsi per il grande coraggio personale. Il 17 marzo 1911, infatti, “Affrontò animosamente un malfattore armato di rivoltella, e malgrado le costui minacce lo trattenne fino all’arrivo degli agenti”. Per l’episodio, gli fu attribuita la medaglia di bronzo al Valor Militare, che funzionò senza dubbio da acceleratore per i successivi stadi della sua carriera.All’entrata in guerra nel 1915, infatti, ricopriva già il grado di colonnello; e dall’8 al 12 giugno svolse l’incarico di formare a Zugliano il 45° reggimento artiglieria da campagna con gruppi provenienti da Bari e da Reggio Emilia ed il comando proveniente da Pavia. Il neoformato reggimento fu inquadrato nella 28a Divisione con le Brigate Bari e Catanzaro (XIV Corpo d’Armata, generale Morrone). In questo incarico, guadagnò senza dubbio la stima dei superiori e l’ammirazione dei suoi dipendenti, come ben spiega il cappellano militareAntonio Bertolazzi. Nel dedicare al suo comandante la propria opera “Seguendo il mio reggimento”, egli lo dipinge come “tipo ammirando di soldato e di gentiluomo, che primo resse con mano valorosa le sorti del nuovo 45° Reggimento Artiglieria da Campagna e ne personifica la gloriosa esistenza”. Dalle pagine del sacerdote emerge viva la figura di questo allievo di Pizzofalcone, valente cavaliere, “sempre vigile sul nemico”, “sempre di buon umore”, “sempre pronto alle buone iniziative e di sentimenti elevatissimi”, “che voleva sempre lottare (…) Uomo navigato nelle vicende umane e conoscitore anche della storia antica militare”. Camicia cercava sempre di tenere il proprio Reggimento in attività, anche durante il riposo: “aveva questa singolare mania, del resto esemplarissima, di condurre le cose come se si dovesse sempre combattere, pure rimanendo a riposo per lungo tempo. Squadre di uomini venivano impiegate giornalmente alla pulizia generale del paese, allo scolo delle acque, allo sgombero dei rifiuti in aperta campagna: squadre di altri uomini, sotto la direzione dei propri ufficiali, a costruire baracche e a stendere strade di allacciamento. Sembrava un Reggimento, visto così, non in guerra; ma impiegato al salvataggio per un terremoto o per calamità pubblica”. Il 45° Artiglieria non ebbe opportunità di intervenire in battaglia fino al 2 agosto 1915, quando si schierò a Gradisca d’Isonzo, con il comando a Villa Viola, e puntò le proprie batterie contro il San Michele, ricevendo in cambio dei propri colpi, altrettanti colpi da parte delle batterie nemiche, anche di grosso calibro. Un giorno tra agosto e settembre un proietto da 305 colpì le mura del locale castello senza riuscire a far danno, e Camicia ne fece dono al Principe di Piemonte, il quale lo fece esporre nella Casa Reale con un cartellino indicante la sua provenienza. Il 21 Ottobre, il 45° partecipò all’infruttuoso attacco ai colli di San Michele e San Martino, ma il giorno dopo il suo fuoco aggirante consentì la cattura di circa duemila prigionieri austriaci. Il 7 novembre 1915 il Reggimento fu mandato a riposo invernale a Viscone a Sevegliano, presso Palmanova; e poi a Mortegliano fino a fine mese. Passato a Sclaunicco, vi rimase fino al 25 gennaio, quando fu trasferito verso Oslavia per un improvviso richiamo in linea. Da qui, fu nuovamente chiamato sulle posizioni di partenza. Nel successivo periodo di acquartieramento, sotto il comando

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di Camicia e grazie all’iniziativa del maggiore Cigersa – caduto poi in Trentino - fu realizzato a Sevegliano il Gabinetto topoplastico del Comando Supremo. Si trattava di un ufficio specializzato da cui uscirono modelli plastici dell’intero fronte dell’Isonzo, che furono per ordine di Cadorna distribuiti ai vari comandi. Nel successivo aprile 1916, il comandante di Corpo d’Armata Morrone fu nominato ministro della Guerra, e prima di partire volle passare in rivista il 45° Artiglieria, il quale fece una splendida figura. Il 21 di maggio, in seguito all’inizio della Strafexpedition sul fronte del Trentino, il Reggimento partì in treno da S. Giorgio di Nogaro, e attraverso Mason Camicia salì il 23 sulle posizioni del Monte Interrotto, schierando poi i suoi uomini tra Monte Mosciagh e Cima Echar. Stabilito il comando adAsiago presso l’osteria di Fontanella, il 14 giugno assunse il Comando dell’Artiglieria campale del XIV C.d.A. Presso la nuova sistemazione fu protagonista di un gustoso episodio riferito sempre da padre Bertolazzi, in quanto nel prendere possesso dell’osteria, ne fece sloggiare diversi comandi di Bersaglieri e Artiglieria da fortezza. In quella, “sopraggiunse, in automobile, un ufficiale superiore, un pezzo grosso, anche in massoneria – il grado militare e massonico poco importa – il quale, informato dal suo capitano che di là dovevano sloggiare, furente come Mefistofele, scese ed apostrofò il Colonnello sulla strada. Camicia, sempre tranquillo e signore, gli spiegava il come e il perché di quel suo ordine. Ma quello non volle sentire ragioni, e strillava come un ossesso. Davvero, temetti che venissero alle mani. Camicia lo invitò ad entrare; in camera caritatis gli avrebbe esposto tutto. Entrarono. Uscì poi quel diavolo con gli occhi di bragia, come una furia, ordinando ai suoi che lo seguissero immediatamente. Certo si ebbe la meritata lezione. Quante ne sentii sul suo conto da molti ufficiali, che si esorcizzavano ogni volta che sentivano il suo nome!”.Assunto il controllo della situazione, Camicia “acceso dal sacro fuoco, ma sempre con la calma degli uomini equilibrati, fermò questo e quel reggimento di fanteria, le poche artiglierie le piazzò lì, nei boschi, rianimava ufficiali e soldati” dei reparti in fuga dall’Altopiano. Costretto a ritirarsi per evitare l’accerchiamento, il 45°dovette lasciare le proprie posizioni dopo asperrima resistenza, tanto che al maggiore Cigersa fu assegnata la medaglia d’argento al Valore. Camicia accolse commosso i propri reparti in ripiegamento, per il valore leonino dimostrato. Successivamente, il 45° si schierò sulla linea monte Tondo-Cima Echar-Costa Lunga, da cui prese a battagliare furiosamente con le opposte artiglierie nemiche. L’8 giugno fu una giornata epica, in cui il 45° resistette strenuamente ai bombardamenti nemici, non cessando mai di sparare, coerentemente all’ordine del proprio colonnello: “Resistete, morite sui pezzi. Voi siete la salvezza di tutti.” Camicia mantenne il comando del suo Reggimento fino al 27 luglio successivo. Per le battaglie difensive della linea Turcio-Eckar-Sisemol-Zaibena-Buso (Altopiano dei Sette Comuni) guadagnò la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Fino al settembre 1916 tenne interinalmente anche il comando dell’artiglieria del XXII C.d.A. Promosso colonnello brigadiere, il 5 dicembre 1916 assunse il comando effettivo dell’artiglieria del XIV

C.d.A., collaborando con il generale Murari-Brà, comandante della 34a Divisione. Pur se lontano dal suo 45°, Camicia trovò modo di inventarne il motto, Hostem repellas longius (Che tu respinga il nemico più lontano). Lasciò il comando del XIV C. d.A. il 20 aprile 1917. Lo si ritrova al comando di unità mobilitate il 18 luglio 1918 quando assunse il comando dell’artiglieria del XXIII C.d.A., che guidò a Vittorio Veneto e che lasciò solo il 16 gennaio 1919. Nel 1920 fu messo in aspettativa per infermità derivanti da causa di servizio. Passò quindi in posizione ausiliaria speciale e nel giugno 1930 lo ritroviamo insieme a Eugenio Maria De Vecchi di Val Cismon sul sito della battaglia di Canne, in-

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dividuato dallo storicoAdamo Riontino.

Bibliografia: Bertolazzi sac. Antonio, cappellano militare, Seguendo il mio reggimento (45° Artiglieria da Campagna), Artigianelli, Pavia 1919; Paolo Rumiz, Annibale, p. 107. Feltrinelli Editore, 2008; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso – Allievi Scuola Militare Nunziatella, 1787-2015, Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 25-26. Gaspari, Udine 2019.

CArBONE DEMETrIO

Proveniente da una nobile famiglia di origini genovesi – lo stemma riporta un leone rampante d’oro in campo nero e crociato da una banda rossa - nacque a Reggio Calabria il 17 aprile 1860 da Francesco e Marianna Putorti. La sua famiglia diede un contributo eccezionale alla costruzione dei quadri superiori del Regio Esercito, dato che i fratelli Domenico e Vincenzo furono come lui generali d’arma; mentre Leonardo fu generale medico della Regia Marina. Ammesso alla Nunziatella come allievo del corso 1875-78, passò successivamente all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena. Nominato sottotenente di fanteria nel 1880, non si hanno molte notizie sui primi passi della sua carriera. Sposata a Reggio CaterinaAndiloro, fu promosso maggiore nell’ottobre 1902 e prestò a lungo servizio al 45° reggimento Reggio a Napoli, dove ebbe come comandanti il colonnello I. Buonini e del maggior generale Felice de Chaurand. Nel marzo 1908 fu promosso tenente colonnello, e pochi mesi dopo perse nel catastrofico terremoto di Messina e Reggio Calabria quattro nipoti, figli dell’altro fratello Giuseppe. Nel 1911 fu trasferito al 20° reggimento Brescia, con il quale partì per la Libia. L’11 marzo, agli ordini del colonnello Orgera, partecipò allo scontro di Tobruk, conducendo i propri uomini con calma e valore tali, da guadagnare una medaglia d’argento. Avanzato al grado di colonnello, nel marzo del 1913 ricevette il comando del 13° reggimento Pinerolo. Fu quindi riassegnato al 20°, e con il suo vecchio reparto entrò in guerra stando in posizione di riserva a Lucinico. Lasciato il comando dell’unità a Napoleone Grilli già il 23 giugno 1915, assunse per un brevissimo periodo il comando della brigata Regina, dove il 1° agosto successivo lo raggiunse la promozione a maggior generale. Nonostante la breve permanenza, ebbe modo di segnalarsi nuovamente per valore sul Monte San Michele, dalle cui pendici discese decorato da una seconda medaglia d’argento per le azioni del 18-20 luglio. Lasciò l’unità il 9 agosto successivo, ed il 30 ottobre prese la testa della brigata Treviso, impegnata nell’area dei fortidi Luserna e Busa diVerle. Fino al 24 gennaio 1916 l’unità fu impegnata nella zona di Asiago, per trasferirsi poi nell’area Oslavia-Monte Podgora alle dipendenze dell’11a Divisione. Carbone tenne il comando della Treviso fino al 5 marzo 1916.Atale incarico segue un periodo di latenza, interrotto brevemente con il comando della brigata Trapani dal 9 al 15 dicembre 1916, in sostituzione evidentemente interinale di Emilio De Bono. Lasciata la brigata al colonnello brigadiere Merzlyak, Carbone conobbe un nuovo periodo di pausa, durato fino all’8 maggio 1917. In tale data fu chiamato in Cadore a comandare la brigata Como fino al 16 agosto 1917, alla testa della quale passò un periodo di relativa tranquillità. Il 5 settembre 1917 lasciò la brigata a Guido Fiastri, e riprese il comando della Regina sul monte Zebio fino al 25 ottobre 1917. In conseguenza della ritirata sul fronte Giulio, l’unità fu costretta ad arretrare parzialmente

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fino alle posizioni di Meletta, di fronte a monte Fior – Castelgomberto. Il 29 ottobre Carbone fu avvicendato da Pietro Biancardi, da cui peraltro aveva rilevato il comando.Allo stato attuale degli studi, è difficile individuare una causa precisa per il continuo avvicendamento alla testa di unità diverse, intervallato da periodi di inattività. Sta di fatto che il 27 giugno 1918 gli fu affidato il comando della brigata Barletta, che fu il suo ultimo incarico bellico. Nel 1919 fu collocato in posizione ausiliaria, e nel 1923 approfittò della grande revisione dei gradi per ottenere la promozione a generale di divisione. Nel 1920, rientrato nella natia Reggio Calabria, si dedicò all’attività politica, costituendo con l’on. Giuseppe Valentino, già sindaco della ricostruzione post-sisma, quel Partito Democratico Liberale che vinse le elezioni amministrative.

Bibliografia: “Demetrio Carbone, generale”, in Enciclopedia militare, Milano, volume II, pag. 690; Gaetano Sordiello, Contro Crea e Gironda / Il viandante e la via / Magistrati e giurati/ Mondo antico forense di provincia (a cura di Vincenzo Panuccio), pag. XXI Giuffré Editore, 2010; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 32. Gaspari, Udine 2019.

CArIGNANI CArLO

Carlo Carignani dei duchi di Novoli e dei duchi di Tolve apparteneva ad un’antichissima famiglia nobiliare che aveva le sue radici aTaranto a partire dal XI secolo, poi trapiantata a Napoli nel 1700, dove prese dimora nel seggio di Portanova. La dimora della famiglia, tuttora esistente e posta nelle immediate vicinanze del Palazzo Reale di Napoli, ne dimostra l’importanza ed il ruolo nella storia cittadina. Nato il 19 agosto 1857, fu allievo del corso 1873-76 della Nunziatella. Passato all’Accademia diArtiglieria e Genio di Torino nel 1878, segui il percorso di molti suoi colleghi dell’epoca, transitando in fanteria con il grado di maggiore a scelta. Nel dicembre 1902 fu promosso tenente colonnello e tre anni dopo prestò servizio al 57º Reggimento Abruzzi. Trasferito due anni dopo al 1° reggimento granatieri agli ordini del maggior generaleVittorio Camerana, nel febbraio 1808 fu promosso colonnello e trasferito in qualità di comandante presso all’85º reggimento Verona di stanza a Novara. Promosso maggior generale nel settembre 1913, ricevette il comando della brigata Messina con la quale entrò in guerra e che condusse nella zona di monte Cosich fino al 12 luglio 1915. Transitò successivamente al comando della 13ª divisione di Ancona, ottenendo la promozione al grado di tenente generale, e cedendola al generaleAveta il 19 settembre 1916, quando fu ferito sul Monte Zebio. Non fu il solo generale proveniente da Pizzofalcone a rimanere ferito sullo Zebio: poco più di un mese prima, il comandante del 152° Sassari Armando Tallarigo (corso 1878-81) era stato del pari colpito da una granata nemica. Carignani fu decorato di medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: “Sfidando ad ogni ora il pericolo sulle prime linee di fuoco, esempio costante di sereno coraggio e di ardimento alle sue truppe, rimaneva colpito da palla nemica, mentre esplorava dalle nostre trincee ed apprestava nuovi cimenti alla sua divisione”.Apremiare tutto il periodo iniziale di comando, ed in particolare per le azioni su Monfalcone e le successive operazioni controffensive sull’Altopiano dei Sette Comuni (Val di Nos-Monte Zebio), ricevette inoltre la croce di ufficiale dell’ordine militare di Savoia. Durante il periodo passato in Trentino, il generale napoletano si segnalò per essere uno dei più rigidi e inflessibili nell’applicare la disciplina richiesta da

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Cadorna ai suoi immediati riporti. Dato che la 13ª divisione da lui comandata operava in stretta contiguità con la brigata Sassari, non si va probabilmente molto lontani dal vero nel dire che, oltre al generale Ferrero, il personaggio del generale Leone tratteggiato da Emilio Lussu nel suo Un anno sull’Altipiano sia stato in parte ispirato anche a lui. Dopo un periodo di convalescenza di alcuni mesi, Carignani prese il comando della neoformata 55ª divisione il 20 gennaio 1917 e lo mantenne fino al 1° Marzo dello stesso anno. Idoneo al comando di un corpo d’armata, il 6 Marzo assunse quello dell’VIII, che doveva però segnare la fine del suo impegno al fronte. In questo periodo, coerentemente alla sua stretta osservanza del dettame disciplinare cadorniano, chiese il siluramento del generale Pistoni per la sua eccessiva clemenza nel trattare gli ammutinati della brigata Ravenna. Passato alle dipendenze del generale Capello nella zona Gorizia, fu colpito dalla volontà di quest’ultimo di avere per quell’incarico un proprio uomo nella persona del generale Ricci Armani. Nella richiesta di esonero Capello, pur riconoscendo a Carignani il merito di vivere costantemente a contatto con le truppe di prima linea e di curarne i bisogni, gli fece carico dell’esito non soddisfacente di uno studio “sulla difesa della fronte Salcano-Vipacco”, accusandolo in aggiunta di essersi fermato al grado di generale di divisione e di non comprendere le doti necessarie ad espletare l’incarico superiore. Rimosso dall’incarico, Carignani fu trasferito al comando del corpo di armata diAncona. Fece comunque ricorso alla commissione Mazza della revisione degli esoneri e ne ottenne soddisfazione. Nel 1918 passò in posizione ausiliaria e cinque anni dopo ottenne quel grado di generale di corpo d’armata che non aveva ricevuto durante il conflitto.

Bibliografia: M. Ferrari, A. Petacco, Caporetto, Mondadori, Milano 2017; G. Seccia, Monte Zebio. Dalla Strafexpedition alla vittoria finale 1916-1918, Nordpress, Chiari 2007; A. Zarcone, A. Mola, (a cura di) Dall’Isonzo al Piave 24 Ottobre – 9 novembre 1917- relazione della commissione d’inchiesta, Vol. 2, pp. 359-365. Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico, Roma 2014; M. Isnenghi, Storia d’Italia. I fatti e le percezioni dal Risorgimento alla società dello spettacolo. Laterza, Bari 2014; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 34. Gaspari, Udine 2019.

Fu probabilmente discendente di Felice Carlo Cerillo, che durante il decennio francese partecipò alla conquista di Capri, e poi alle campagne di Germania e Russia, distinguendosi molto. Colonnello del 2° di linea Regina e poi generale, fu nonno materno del noto artigliere della Marina Paolo Cottrau. Carlo Cerillo nacque il 23 marzo 1860, e fu allievo del corso 1874-77 della Nunziatella. Suo fratello Adolfo lo seguì nel corso 1877-80, proseguendo la carriera in fanteria e divenendo generale e giudice militare; e venendo apprezzato perché con la sua “giustizia austera, pur ispirata alla clemenza, il colonnello Cerillo si impone al rispetto e alla stima di quanti lo conoscono e da lui dipendono o gli comandano: ché egli è veramente un bello esemplare dell’antico soldato gentiluomo”. Passato all’Accademia di Artiglieria e Genio di Torino, Carlo fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1881. Promosso maggiore nell’ottobre 1902, nel 1905 fu in servizio al 24° reggimento artiglieria da campagna a Napoli, e vi conseguì il grado di tenente colonnello dal marzo 1909. Promosso colonnello nell’aprile 1913, fu destinato al Co-

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CErILLO CArLO

mando direzione di artiglieria di Verona. Promosso maggior generale il 30 marzo 1916, comandò dall’8 dicembre dello stesso anno al 3 gennaio 1918 l’artiglieria del XXIX C.d.A. In questa data gli fu affidata la responsabilità dell’artiglieria dell’intero Comando Truppe Altopiano, in vista dell’inizio dell’azione contro le posizioni di Col del Rosso, Col d’Èchele e Monte Valbella, più tardi nota sotto il nome di Battaglia dei Tre Monti. Qui Cerillo comandò oltre 900 nuovissime bocche da fuoco in supporto delle eroiche azioni di numerosi reparti di bersaglieri, arditi, alpini ed in particolare della Brigata Sassari, che nell’azione guadagnò la seconda medaglia d’oro al valore per le bandiere di entrambi i suoi reggimenti. Questa azione fu di fondamentale importanza per la dinamica del conflitto, dato che segnò la prima vittoria italiana dopo la rotta di Caporetto, e fu prodromica alla felice conclusione delle ostilità. Il grande successo dell’azione di fuoco effettuata nell’occasione fruttò a Cerillo, lasciò il C. T. A. il 28 febbraio 1918, la croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, assegnatagli il 3 giugno 1918. Ritornato al XXIX C.d.A., vi rimase per un breve periodo, fino al 25 marzo 1918, e non si hanno notizie ulteriori circa un suo successivo impiego al fronte. Ormai cinquantottenne e probabilmente pago del proprio impegno sotto le armi, andò in posizione ausiliaria poco dopo la fine del conflitto.

Bibliografia: F. Carrano, Vita di Guglielmo Pepe per Francesco Carrano. Tipografia Nazionale di G. Biancardi, 1857; N. Cortese, L’esercito napoletano e le guerre napoleoniche: Spagna, Alto Adige, Russia, Germania. Napoli: Ricciardi, 1928; G. Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, p. 610. Mursia, 20143; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 54. Gaspari, Udine 2019.

ChIODI ENrICO

Tra gli ex allievi del corso 1881-84 della Nunziatella, famoso per essere quello del futuro re Vittorio Emanuele III, questo ufficiale occupa un posto di rilievo per aver raggiunto il grado di brigadier generale e per avere avuto la responsabilità della difesa della riva occidentale del lago di Garda e delle Giudicarie, pur senza mai riuscire a comandare una brigata in guerra. Nato a Caserta il 29 dicembre 1867, dopo avere completato il periodo di formazione a Pizzofalcone fu ammesso come allievo ufficiale presso l’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena. Nominato sottotenente di fanteria nel 1887, nel 1902 fu promosso al grado di capitano, e tre anni dopo lo si ritrova in servizio presso il 38° reggimento Ravenna a Mantova. Fu successivamente inviato in Libia ed il 20 settembre 1912 partecipò al combattimento di Sidi Bilal. Si trattava di una posizione sopraelevata rispetto all’oasi di Zanzur, che era stata conquistata nello scontro del giugno precedente il quale aveva visto tra gli altri impegnato e decorato il tenente colonnelloArmando Tallarigo (corso 1878-81). Il combattimento di Sidi Bilal dette agli italiani il definitivo controllo della zona circostante la città di Tripoli, ma fu anche il più sanguinoso dell’intera campagna: vi perirono ben 32 ufficiali e 516 tra sottufficiali e soldati italiani. Per il coraggio dimostrato, Chiodi fu premiato con una prima medaglia di bronzo al valore – la quale tuttavia non risulta inclusa negli elenchi del NastroAzzurro. Promosso successivamente maggiore, entrò in guerra come comandante del III battaglione del 64° Fanteria Cagliari, un’unità che in quell’alba di guerra aveva tanta Nunziatella nel proprio organico. Co-

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mandante del II battaglione del 64° era infatti il tenente colonnello Federico Mensingher (corso 1878-81). Costui per un breve periodo fu anche comandante interinale del reggimento, prima di essere sostituito dal tenente colonnello Luigi Solari. Il primo impiego di Chiodi in linea avvenne il 1° luglio, quando il III battaglione si portò in linea in funzione di supporto al 15° Fanteria Savona nella zona di Polazzo, frazione di Redipuglia ai piedi del Monte Sei Busi. Mentre il I ed il II battaglione rimanevano di rincalzo, quel giorno il 3° ebbe il primo caduto e i primi due feriti. Il giorno seguente, il III Battaglione mosse all’assalto delle alture ad est di Polazzo insieme al 15° Fanteria. Partito l’attacco alle 10.30, sotto un furibondo fuoco nemico, il tenente Bonito della 12a compagnia trascinò i suoi uomini per la prima volta alla conquista della trincea nemica, dove alle 12.50 fecero prigionieri un ufficiale e trenta soldati. Le posizioni conquistate dal 3° Battaglione furono rapidamente rafforzate dagli uomini del I, che seguivano da presso l’azione. Finalmente richiamato dalle posizioni di rincalzo, anche il II si posizionò nelle trincee appena conquistate. La prima lotta per la conquista delle posizioni nemiche era stata epica, ed il Diario del 64° Fanteria ne dà ampio conto: “Il contegno tenuto dal Reggimento in questo energico attacco fu veramente ammirevole e gravi furono i sacrifici sostenuti sia per ciò che riguarda gli ufficiali che la truppa”. Per il coraggio dimostrato, Chiodi ottenne per questa azione la medaglia di bronzo al valore, con la seguente motivazione: “Sotto il fuoco micidiale di artiglieria e fucileria, dirigeva il suo battaglione con calma ed ardire alla conquista dei trinceramenti nemici, riuscendo a spezzare la linea difensiva fortemente tenuta dall’avversario”. La durezza del combattimento sostenuto è testimoniata dal fatto che il collega Mensingher perse la vita lo stesso giorno, meritando la medaglia d’argento – il suo nome fu dimenticato per oltre un secolo ed istoriato sul Masso della Nunziatella solo nel 2018. Sulle alture di Polazzo il 7 luglio 1915 morì anche l’ex-allievo Vittorio Emanuele Rosiello (corso 1910-13), effettivo al 63° Cagliari. Chiodi comandò il III battaglione fino al 17 settembre successivo. Promosso prima tenente colonnello e poi colonnello, assunse il 13 gennaio 1918 il comando del 21° reggimento Cremona, combattendo sulla linea tra il monte Asolone ed il Grappa. Ceduto il comando di reggimento il 20 aprile dello stesso anno, passò alla difesa del Garda, avanzando al grado di brigadier generale nel giugno 1918. Nel 1919 assunse il comando della brigata Barletta durante le operazioni inAlbania e, rientrato in patria, quello della Brescia.Adisposizione del C.d.A. di Napoli nel 1920, chiese il collocamento in posizione ausiliaria speciale e fu promosso nel 1923 generale di brigata.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; F. Scala, Il caduto dimenticato: la breve Grande Guerra di Federico Mensingher. Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Napoli 2016; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 56. Gaspari, Udine 2019.

COppOLALUIGI

Nacque a Benevento il 12 marzo 1867, e fu uno dei generali “giovani” della Grande Guerra. Allievo del corso 1880-83 della Nunziatella, passò successivamente all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, dove ottenne la nomina ad ufficiale nel 1885. Promosso capitano nel marzo 1901, tra il 1905 ed il 1907 prestò servizio al 47° reggi-

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mento Ferrara di Roma. In occasione del terribile terremoto di Messina del 28 dicembre 1908, fu inviato con il proprio reparto a fornire i primi soccorsi. Promosso maggiore nel marzo 1913, fu destinato al 31° reggimento Siena, dove assunse il comando del II battaglione. Con questa unità entrò in guerra sulla linea S. Pietro dell’Isonzo-rotabile di Ronchi, rimanendo ferito il 4 luglio 1915 sulle posizioni di Castelnuovo – il maggiore Vittorio Bonomi, che lo sostituì nell’incarico, cadde sul campo pochi giorni dopo.Va notato che per la ferita riportata non ricevette incredibilmente alcuna decorazione. Tornato al fronte e promosso tenente colonnello, fu inviato al deposito del 23° Fanteria, da cui il 10 dicembre 1915 originò il 202° reggimento Sesia, di cui prese il comando. Rimase al deposito per addestrare il neonato reggimento fino al 24 febbraio 1916, quando fu raggiunto da ordine di mobilitazione. Raggiunse la zona di guerra tra Basaldella e Zugliano tra il 5 e l’11 marzo successivo, e proprio a Basaldella fu costituita la brigata Sesia. Inviato tra Malo e Marano Vicentino, con l’inizio della Strafexpedition austroungarica fu mandato in maggio nella zona tra il monte Corno ed il passo della Borcola. Qui il suo reggimento si comportò brillantemente, tanto che pose le basi, insieme alle successive azioni in Val Posina del mese dopo e sul Carso nell’ottobre dello stesso anno, per la concessione della medaglia di bronzo al valore alla sua bandiera. In tutto questo periodo Coppola tenne la testa del 202°, guadagnando la promozione a colonnello nel 1916 e lasciando l’incarico solo il 28 luglio del 1917. Riconosciuto idoneo al comando di brigata, assunse quello della stessa Sesia che guidò fino al termine del conflitto, meritando una medaglia d’argento sul medio Piave – peraltro non registrata negli archivi del Nastro Azzurro. Brigadier generale dal 20 giugno 1918, nel dopoguerra comandò nel 1919 la brigata Valtellina, nel 1920 la Brescia e nel 1921 la Verona. La giovane età, il valoroso comportamento in guerra e l’ampia esperienza maturata al comando di grandi unità ne avrebbero certamente fatto prefigurare una ulteriore e brillante carriera, ma incredibilmente, ciò non avvenne. Nel 1922 fu infatti collocato in posizione ausiliaria, e grottescamente dati i precedenti, la Commissione per l’avanzamento lo giudicò successivamente non idoneo al grado di generale di brigata. Certamente deluso per il trattamento ricevuto – altri ricevettero molto di più per molto meno - Coppola andò ad ingrossare i ranghi degli smobilitati del periodo post-bellico, chiedendo il collocamento a riposo.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 83-84. Gaspari, Udine 2019.

COSTAMIChELE

Come per molti ex allievi che prestarono servizio nell’arma dotta di artiglieria, su questo ufficiale non esistono molte notizie, essendo più difficile reperirne rispetto agli ufficiali di fanteria. Nato a Brindisi il 22 ottobre 1862, fu allievo del corso 1877-80 della Nunziatella. Ammesso all’Accademia di Artiglieria e Genio di Torino, ne uscì sottotenente di artiglieria nel 1883. Fu promosso capitano nel 1893, e nei primi anni del Novecento fu addetto alla Direzione superiore esperienze di artiglieria. Passò successivamente al 1° reggimento artiglieria da fortezza di Torino, e nel 1907 fu promosso maggiore. Con questo grado, nel 1910 lo si ritrova al 7° reggimento artiglieria da fortezza di Alessandria, sotto il comando prima del colonnello Giuseppe Caprioglio, e quindi del colonnello Massimo Tartagliozzi. Con questo reparto partecipò alla campagna di Libia del 1911-12.

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Dal Nordafrica rientrò senza alcuna decorazione di rilievo, e nel marzo 1913 fu promosso tenente colonnello. Fu poi trasferito al 9° reggimento artiglieria da fortezza di Verona. Partecipò certamente alla Grande Guerra, raggiungendovi il grado di generale di brigata e quindi partecipando alla grande corsa dei gradi che caratterizzò il periodo bellico. Non si conoscono però ulteriori dettagli circa il suo impiego al fronte. Terminato il conflitto, tra il 1920 ed il 1924 fu al comando d’artiglieria del C.d.A. di Torino.

Bibliografia: Annuario militare del Regno d’Italia, p. 603. C. Voghera, 1911; Annuario militare del Regno d’Italia, p. 739. C. Voghera, 1913; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 90. Gaspari, Udine 2019.

D’AGATATOMMASO

Nacque a Sulmona il 6 dicembre 1857 e fu allievo del corso 1873-76 della Nunziatella. Ammesso all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, ne uscì sottotenente nel 1879. Non si conosce lo svolgimento dei primi anni della sua carriera, ma nel giugno 1902 fu promosso tenente colonnello e tre anni dopo fu assegnato al 33° reggimento Livorno, agli ordini del colonnello G. Zoppi. Nel settembre 1907 fu promosso colonnello e destinato al comando del 28° reggimento Pavia dove rimase fino alla fine del 1912. Nel febbraio 1913 fu promosso maggior generale, ed allo scoppio delle ostilità ricevette il comando della brigata Pisa. Resse il comando di questa unità, che avrebbe in momenti successivi visto alla sua testa gli ex allievi Fileno Briganti jr. eAlfredo Gabrielli, solo per un mese, portandola dalle sue basi di Potenza e Nocera Inferiore alla linea di Gradisca d’Isonzo. Passato il compito al collega Petilli il 23 giugno, fu destinato al comando della 3ª divisione (II C. d.A., brigate Forlì e Ravenna), che pochi giorni prima aveva costituito la testa di ponte di Plava oltre il fiume Isonzo. Promosso tenente generale, comandò le due brigate in azioni sul Sabotino e sulla stessa testa di ponte di Plava, con il compito di ampliarla il più possibile. Il fallimento di tale compito – e per la verità la testa di ponte richiese numerosi sforzi per essere successivamente allargata – nonché l’età relativamente avanzata, ne causarono l’esonero l’11 ottobre 1915, alla vigilia della Seconda battaglia dell’Isonzo. Fu quindi destinato al comando della divisione militare territoriale di Cagliari e morì a Firenze nel 1918.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 94. Gaspari, Udine 2019.

D’AYALAGODOY CArLO

Il solo cognome di Carlo d’Ayala Godoy è sufficiente per qualunque conoscitore della storia della Nunziatella e delle forze armate italiane per identificare immediatamente la sua ascendenza. Egli apparteneva infatti alla grande famiglia di origine spagnola dei d’Ayala Godoy, un ramo della quale aggiungeva al cognome principale quello di Valva.

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In tale famiglia numerosi erano i militari, alcuni dei quali prestavano già servizio come ufficiali di artiglieria nell’Esercito delle due Sicilie prima dell’unificazione italiana. Questa vasta stirpe comitale, grande possidente terriera in Salento, aveva dato su tutti il grande Mariano, allievo del corso 1823 della Nunziatella, deputato e acuto scrittore di cose militari. Carlo nacque a Portici il 9 ottobre 1864, e fu a sua volta allievo del corso 1877 della Nunziatella. Passato all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, quasi fatalmente, date le sue origini nobili, fu nominato sottotenente di cavalleria nel 1882. Frequentò successivamente la Scuola di Guerra e fu promosso maggiore nel luglio 1903. Fu quindi assegnato al 19º reggimento Cavalleggeri guide di Milano. Nel 1905 fu destinato nuovamente all’Accademia di Modena, dove insegnò per un quadriennio. Nel 1909 partecipò alla costituzione del 25° reggimento Lancieri di Mantova, venendo promosso tenente colonnello nel settembre dello stesso anno. Esattamente due anni dopo fu quindi promosso colonnello e nominato prima comandante del 20º reggimento Cavalleggeri Roma e quindi del reggimento Cavalleggeri Umberto I. Promosso maggior generale nel 1915, ebbe il comando bellico della 3a brigata di cavalleria, e quindi del presidio di Vicenza. Passato a disposizione in soprannumero, nel 1919 fu collocato in posizione ausiliaria. Cinque anni dopo fu promosso generale di divisione. Suo figlio Mariano, avuto da Paolina Giusti del Giardino ed omonimo del grande avo, divenne un valoroso e pluridecorato pilota di bombardiere Caproni Ca.33. Partecipò ai raid di Pola e Cattaro, cadendo insieme al maggiore Oreste Salomone nel cielo di Padova nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 1918.

Bibliografia: M. D’Ayala, Le vite de’più celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto fino a’ dì nostri. Stamperia dell’Iride, Napoli 1843; Marchese V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Volume 3; Ed. Enciclopedia storico-nobiliare italiana, 1930; D. Ludovico, Gli aviatori italiani da bombardamento nella guerra 19151918, Roma, Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, 1980; G. Pugliaro, I Lancieri di Novara: storia di un reggimento di cavalleria dal Risorgimento a oggi. Mursia, Milano 1978; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 99. Gaspari, Udine 2019.

DEANGELIS EDOArDO

L’arma del Genio durante la Grande Guerra non raccolse forse gli stessi onori delle armi ai combattenti, tuttavia fu una parte fondamentale dell’impegno del Regio Esercito al fronte, ed un attore primario della vittoria finale. Coerentemente con il suo modo di combattere, essa non ha quindi fornito profili di generali così noti come quelli delle altre armi, e tracciare il profilo biografico di uno di loro è dunque difficoltoso per la mancanza di informazioni che vadano oltre il mero stato di servizio. Edoardo De Angelis nacque l’8 Febbraio 1858 adAriano Irpino (AV), e fu allievo del corso 1884-87 della Nunziatella.Ammesso all’Accademia diArtiglieria e Genio di Torino, vi fu nominato ufficiale del Genio nel 1890. Nell’ottobre di 12 anni dopo fu promosso maggiore, e già a quest’epoca si rilevano una medaglia d’argento ed una di bronzo al valor civile, a riprova di una carriera espletata con il massimo impegno e lusinghieri risultati. Nel 1905 prestò servizio al 3° reggimento genio telegrafisti di Firenze, quale ufficiale ai materiali. Promosso tenente colonnello nel settembre 1908, fu assegnato all’Ispettorato del genio. Ancora promosso

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colonnello nel giugno 1913, fu assegnato alla direzione del genio di Firenze. Entrato in guerra con la suaArma e promosso maggior generale nel novembre 1916, fu comandante del Genio prima nella zona dell’alto Tagliamento, e poi quella della Val Lagarina. Ultimato il suo impegno al fronte, comandò il 2° gruppo centro mobilitazione del genio a Piacenza. In posizione ausiliaria nel 1920, fu promosso nel 1923 generale di divisione e collocato a riposo nel 1928.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 100-101. Gaspari, Udine 2019.

DEANGELIS pASqUALE

Vicino d’età e di corso di Edoardo, e quindi probabile suo parente, Pasquale DeAngelis nacque a Napoli il 15 ottobre 1866. La sua è una di quelle carriere fulminanti che caratterizzarono il primo conflitto mondiale, consentendo ad un elevato numero di ufficiali di percorrere gradini successivi della scala gerarchica in un tempio estremamente più ridotto rispetto a quanto sarebbe accaduto al di fuori del contesto bellico. Fu allievo del corso 1880-83 della Nunziatella, e, passato successivamente all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, fu nominato sottotenente di fanteria nel 1886. Nel 1896, con il grado di tenente, prestò servizio al 34° reggimento fanteria della brigata Livorno. Nel luglio 1902 avanzò al grado di capitano, prestando successivamente servizio nel 1905 al 1° reggimento Re a Verona, agli ordini del maggior generale Oreste Baratieri. Promosso ancora maggiore nel 1915, avanzò al grado di tenente colonnello poco dopo l’inizio della guerra. L’11 dicembre 1915 gli fu affidato, presso il deposito del 7° Fanteria, il comando del II battaglione del neocostituito 205° reggimento della neocostituita brigata Lambro. Con questa unità, passò un lungo periodo di addestramento, fino a quando, dopo la costituzione del 206° reggimento, il 4 aprile 1916 si ebbe la formazione della brigata a Marostica. Inizialmente assegnati ad altre grandi unità, i due reggimenti della Lambro operarono separatamente, restando alla dipendenza di altre formazioni di fanteria. In particolare, il 205° fu inviato alle Mandrielle per la realizzazione dei lavori di prima linea. Con l’inizio della Strafexpedition, il reggimento di De Angelis combatté a Castelletto e Brutta Bisa, riportando però gravissime perdite ed essendo costretto a ripiegare. Il 27 maggio il reparto mantenne brevemente la linea a Turcio, in appoggio alla brigata Etna ed il 5° bersaglieri, per poi essere ritirato il 29 fra Covolo e S. Caterina di Lusiana. Trasferita alle dipendenze della 30a divisione, il 9 giugno la Lambro fu inviata prima a Breganze, poi a Bassano, e di lì trasferita nella zona tra Poiana e Grisignano, dove rimase a riorganizzarsi fino a luglio. Nel frattempo, il 22 giugno 1916 De Angelis fu promosso colonnello, ed il 27 prese il comando del 6° reggimento Aosta in conca di Plezzo. Il 2 novembre la brigata si trasferì a Devetaki sul Carso, alle dipendenze della 25a divisione nel settore del Pecinka. Qui l’unità subì fortissime perdite a causa del persistente fuoco di artiglieria avversaria. Dopo aver operato anche nella zona del Dosso Faiti, la Aosta si portò in retrovia a Palmanova nel febbraio 1917. Nell’aprile dello stesso anno la brigata si trasferì nel territorio della 6a Armata per poi portarsi ad Enego come unità di riserva del XXX C.d.A. Il 5 luglio prese posizione sulla linea Strigno-Regione

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Mesola - V. Coalba falde nord cima Caldiera. Il 25 agosto DeAngelis lasciò il comando del 6° reggimento, per ottenere il comando della brigata Mantova, che guidò nella zona Valstagna/Campomezzavia, e quindi inVal d’Assa fino al 17 febbraio 1918. Dopo questa data, in cui passò l’incarico al collega Paolo Paolini, non risultano più periodi di servizio al fronte, né altre informazioni sul suo conto.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 101. Gaspari, Udine 2019.

DE rOSSI EUGENIO

La figura di questo ufficiale merita di acquisire nella Storia della Nunziatella il posto di rilievo che fino ad ora non ha occupato; in parte per il grado relativamente poco elevato da egli ricoperto; ed in parte perché la stessa natura della sua attività ha reso buona parte non evidente il valore della sua esistenza. Egli fu infatti una figura di primo piano nello sviluppo dei servizi d’informazione italiani; nonché un apprezzato saggista, acuto osservatore delle cose militari e dell’ambiente che lo circondava. Nacque a Brescia il 12 marzo 1863, da un ramo cadetto di un’antica famiglia con origini in S. Secondo Parmense, la quale durante il regno di Francesco I si era trapiantata in Francia, dando all’esercito diversi validi ufficiali. Costretta a lasciare la Francia e a passare in Piemonte, si mise al servizio diVittorioAmedeo II nella persona di Giovanni Giacomo De Rossi. Quest’ultimo, da semplice capitano, redasse nel 1712 il regolamento per l’addestramento del reggimento Guardie. Suo figlio Gian Giacomo De Rossi fu successivamente generale sotto lo stesso VittorioAmedeo e sposò una facoltosa dama della famiglia Solaro, il che risollevò le sorti della famiglia. Dopo che VittorioAmedeo II abdicò in favore del figlio Carlo Emanuele, Gian Giacomo si ritirò a vita privata nella propria tenuta della Margarita presso Fossano. Nel 1730 il Duca, pentito di aver abdicato, tentò di riprendersi il tono con la forza, richiamando intorno a sé i suoi vecchi generali, incluso il De Rossi. Il fallimento del tentativo determinò la rovina della famiglia, con la perdita di sostanze e privilegi, e la conseguente morte di crepacuore di Gian Giacomo. L’esperienza fece evitare per qualche tempo ai maschi De Rossi l’intrapresa della carriera militare, fino a quando la presa del potere da parte di Napoleone ve li costrinse nuovamente. Nel 1815 il regime precedente fu ripristinato, e i De Rossi si distinsero per il loro credo reazionario, sebbene il loro collaterale Santorre De Rossi di Santarosa aderisse invece al partito liberale. Nel 1826 Giuseppe De Rossi si stabilì a Torino per intraprendervi il commercio della seta. La ricchezza della famiglia si accrebbe notevolmente, consentendogli di acquisire una numerosa serie di proprietà, tra cui una villetta sui Colli di Moncalieri. Presso questa villetta soleva fermarsi a riposare il re Vittorio Emanuele II di ritorno dalle proprie battute di caccia, acquisendo quindi una discreta familiarità con la famiglia di Rossi fino a quando un tragicomico incidente con un pappagallo parlante ne determinò l’allontanamento. Il figlio di Giuseppe, padre di Eugenio, si laureò in ingegneria e nel 1859, allo scoppio della guerra, corse ad arruolarsi come sottotenente del Genio al comando del generale Cialdini. Promosso tenente, nel 1860 passò alle dipendenze del generale Menabrea, e lo accompagnò a Napoli per impiantarvi il servizio territoriale del

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Genio. Nel 1862 fu promosso capitano e trasferito ad Ancona, dove conobbe la figlia di un commerciantelocale,Maria Bianca Fiorenzoli, di sentimentiardentementepatriottici. Dal suo matrimonio con quest’ultima nacque per l’appunto Eugenio, che seguendo il padre passò i primissimi anni di vita a Catanzaro. Dopo la morte del nonno Giuseppe, nel 1866 il padre di Eugenio dovette lasciare Torino, dove si era trasferito in aspettativa per prendersi cura del proprio genitore, e raggiungere l’esercito sul fronte di guerra. Nel frattempo, Eugenio rientrò con la madre ad Ancona. Quest’ultima, tuttavia, non aveva alcuna intenzione di rimanere lontana dal marito, e sorretta dal proprio animo patriottico, fuggì dalla casa dei genitori per raggiungere quest’ultimo a Rovigo. Non contenta ancora dell’impresa, in più momenti lasciò la 9a divisione dove il marito faceva servizio e dove quest’ultimo aveva tentato di tenerla relegata tra i carri del parco Genio, per entrare da sola e adornata di una coccarda tricolore a Vicenza, Padova, Treviso, dove annunciò l’arrivo degli italiani. Solo l’arrivo di suo padre, che la ricondusse a casa, interruppe l’avventura. Passati i successivi tre anni adAncona, Eugenio raggiunse poi il padre presso la guarnigione di Torino. La sua vita fu, tuttavia, funestata dalla scomparsa della madre, e l’inizio delle prime scuole mise in evidenza da un lato la sua grande capacità di studente, dall’altro un carattere ribelle ed indocile che gli procurava costanti appunti sotto il profilo della condotta. La situazione non cambiò con il trasferimento del padre a Capua, e successivamente a Portoferraio. Un successivo trasferimento a Bari e la sua reazione negativa alla prospettiva che il padre riprendesse moglie, convinsero quest’ultimo a spingerlo a presentare domanda presso il Collegio militare della Nunziatella. Eugenio vi fu ammesso come allievo il 30 ottobre 1877, e secondo le sue stesse parole, vi trovò un’atmosfera di grande eguaglianza tra gli allievi, molto differente dalle distanze di classe che caratterizzavano le sue esperienze scolastiche precedenti. Qui imparò il valore della sincerità, della schiettezza, dell’assunzione delle proprie responsabilità, della lealtà, della condivisione di gioie e dolori con i compagni. Ebbe come comandante il colonnello di Stato Maggiore Gonsalvo, poi sostituito dopo pochi mesi dal colonnello Donato Briganti, figlio di Fileno senior. De Rossi lo ricorda come “mite, alto, un poco curvo, naso aquilino, occhi grifagni. Molto si interessava di noi, sovente lo vedevamo di notte percorrere le camerate ed ascoltare la tosse di questo, il sospiro, od il gemito di quell’altro”. Alla morte del re Vittorio Emanuele II, gli allievi furono chiamati a Roma per partecipare aifunerali, prendendoduranteleesequieilposto subito davantialferetro, ed accompagnandolo fino al Pantheon. Due giorni dopo gli allievi furono ancora chiamati in piazza Montecitorio per fare ala al corteo per il giuramento di Umberto alla camera. In particolare, Eugenio fu scelto con altri sei tra gli allievi più piccoli per stare sullo scalone di ingresso all’aula, dove i cadetti della Nunziatella stavano alternati ai Corazzieri. Al termine della cerimonia, dimenticato dal proprio ufficiale e spinto ancora una volta dal proprio carattere ribelle, Eugenio si dette a passeggiare per Roma fino a quando, ripescato dal proprio tenente, non fu messo su una carrozza e rispedito in direzione San Francesco a Ripa.Ancora una volta però, trovò il modo di mettersi nei guai: vista da lontano la cupola di San Pietro, convinse il vetturino a fermarsi e andò a visitarla. Non ebbe che il tempo di varcare la soglia, che due guardie lo bloccarono dato che aveva ancora sotto il braccio il fucile con cui aveva partecipato alla cerimonia. Preso in consegna da due Carabinieri e condotto dal locale commissario, ne ricevete una severa lavata di capo, nonché la notazione sul libro nero della Questura. Al loro rientro a Napoli, gli allievi incontrarono il capitano di Stato Maggiore ed ExAllievoAlberto Pollio, che allora costituiva per loro il modello ideale dell’ufficiale. Rividero Pollio pochi mesi dopo, il

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17 novembre 1878, quando quest’ultimo arrivò al galoppo da via Toledo a Napoli, gridando agli allievi schierati davanti al Palazzo Reale la notizia dell’accoltellamento del re da parte di Passannante. Al di là degli episodi di sopra ricordati, la vita alla Nunziatella scorreva regolare tra studio e addestramento. In un primo momento Eugenio ebbe come raccomandatario un Conte napoletano amico del padre, che aveva dimora a Foria. Quindi passò sotto la tutela di un ingegnere genovese impiegato nell’amministrazione della Real casa ed abitante nel Palazzo Reale. Proprio la frequentazione della Reggia mise nuovamente nei guai il giovane allievo, il quale sconfinò con il figlio dell’ingegnere verso i giardini reali, incontrandovi il futuro re Vittorio Emanuele III, allora ancora un bambino. Mentre Eugenio completava gli studi presso la Nunziatella, una disposizione ministeriale decretò l’istituzione di corsi rapidi per ufficiali che gli avrebbero consentito di accedere al grado di sottotenente e all’indipendenza economica in tempi molto veloci. Per questo motivo, e pur avendo superato la prova di matematica prescritta per l’Accademia Militare di Torino, De Rossi chiese invece di accedere a Modena. Verso la disposizione di cui sopra egli ebbe poi parole di forte critica, dato che essa fece in modo che inAccademia prima, e nell’Esercito poi, venisse ammessa una quantità dei soggetti eterogenei, molti dei quali normalmente non avrebbero potuto aspirare a divenire ufficiali. In generale ebbe anche parole di riprovazione verso i metodi educativi esercitati a Modena, molto scarsi sotto il profilo della cultura, ed improntati alla formazione non di gentiluomini in uniforme, ma di soldatacci. Il 1° agosto 1880 Eugenio De Rossi fu arruolato avendo compiuto i 17 anni, e successivamente lasciò l’Accademia – dove ebbe come tenente il poi famoso Nicola Marselli (ExAllievo del corso 1842 della Nunziatella) - 90º su 997 allievi, con il dispiacere di non essere ammesso tra i Bersaglieri per gracilità. Nel gennaio 1881 fu assegnato a svolgere il servizio di prima nomina presso il 26° reggimento fanteria Bergamo di Torino. Il suo primo impatto con la realtà del reparto non fu dei migliori. Dalle sue note traspare evidente il ritratto di un Esercito in cui diversi erano gli indifferenti e i delusi, molta l’ignoranza e scoraggiato era lo studio in favore dell’attività fisica – peraltro disprezzata dagli ufficiali. Ebbe tuttavia l’opportunità di conoscere presso il 26º reggimento due giovani tenenti frequentatori della Scuola di Guerra che avrebbero fatto strada e gli avrebbero conservato in futuro la loro amicizia: il futuro ministro della guerra Paolo Morrone ed il futuro governatore della Cirenaica Eduardo Baccari. Accanto ad uno spaccato di vita vera presso il reparto, De Rossi ebbe anche i primi assaggi del significato della vita da ufficiale. Comprese da un lato come il comando di uomini fosse in primo luogo la comprensione delle loro anime, dall’altro ebbe esperienze noiose come i campi d’arma, o spiacevoli come quella di un duello nel bosco di Stupinigi. Nel 1883 passò un trimestre al Corso di Armi, Zappatori e Tiro alla Scuola di Parma, un periodo che gli dette modo di avvicinare l’altro sesso, e che in seguito ricordò come “il più giocondo della mia vita”. Tornato al reggimento a Torino, ebbe la sgradita sorpresa di un cambio di compagnia, ma allo stesso tempo venne a contatto con un non meglio precisato conte valtellinese, suo capitano, che avendo frequentato la Scuola di Guerra lo spinse a fare altrettanto. Un nuovo trasferimento della sua compagnia, diretto alla formazione di una nuova unità aTorino, gli permise di restare nella città piemontese, e di avere come compagno di battaglione il capitano Giuseppe Galliano, futuro eroe della resistenza del forte di Macallè e poi caduto aAdua. Suo comandante di battaglione era invece il conte Gabriele Radicati Talice di Passerano, futuro maggior generale. La morte del colonnello comandante ne vide l’avvicendamento con un colonnello che De Rossi non cita per nome, ma che qui si riconosce in Giovanni De Bono. Costui aveva

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fama di severissimo, ma invece diede prova di grande umanità con i propri ufficiali – il poi famoso figlio Emilio, che De Rossi incontrò a cena, era sottotenente dei bersaglieri. Distaccato il suo battaglione a Chieri, De Rossi vi prese casa e vi condusse nel gennaio 1887 la giovane sposa, che aveva conosciuto qualche tempo prima a Milano. Proprio in quei giorni arrivarono le notizie dell’eccidio di Dogali – vi caddero gli Ex Allievi della NunziatellaAndrea De Benedictis e Giovanni Tirone. De Rossi, come molti altri, chiese di partire per l’Africa, ma non fu accontentato. Nel marzo dello stesso anno arrivò invece l’invito del Ministero di presentare le domande per la Scuola di Guerra, ma la sua non ebbe successo, dato il parere negativo di Galliano. De Rossi fu quindi trasferito al Distretto di Pinerolo per un biennio di servizio obbligatorio per il suo grado. Qui proseguì la preparazione agli esami per la Scuola di Guerra e pubblicò un paio di articoli su riviste militari, tradotti poi in tedesco. Una seconda domanda di ammissione fu tuttavia cassata dal colonnello De Bono, che aveva equivocato in socialismo i suoi studi in scienze sociali. Lo stesso De Bono senior fu però salvato dallo stesso De Rossi da un’aggressione durante il periodo del Carnevale, cosa che ovviamente cambiò l’atteggiamento del superiore verso di lui. Dopo la nascita della figlia Clementina, nell’aprile 1889 De Rossi fece la prova scritta per la Scuola di Guerra, e nell’ottobre quella orale. Superati gli esami, in solo quattro giorni spostò famiglia e mobilio in una nuova casa a Torino e iniziò gli studi alla Scuola, allora comandata da Carlo Corsi. L’impressione che egli riportò dalla Scuola di Guerra fu ancora quella di una istituzione dove, al netto del magistero di alto livello fornito da insegnanti civili del calibro di Galileo Ferraris, molto fosse ancora lasciato alla risolutezza degli allievi, i quali procedevano volenterosamente negli studi avendo la coscienza che il giudizio degli insegnanti specie militari poteva essere influenzato in maniera positiva o negativa da una serie di fattori casuali. L’altra parte, il regolamento degli studi era cambiato solamente l’anno prima, portando la durata dei corsi dagli originali tre agli attuali due, aumentando tuttavia il numero delle ore di lezione dalle 1.262 dell’ordinamento triennale alle 1.445 di quello biennale; e giocoforza la qualità dell’insegnamento ne aveva risentito. Il secondo anno di corso, completato dalla campagna pratica, gli riuscì tuttavia meno gravoso, ed in seguito riconobbe alla Scuola il merito di avergli insegnato a studiare. Ben classificato all’uscita da via Bogino, fu chiamato a Roma a sostenere il corso semestrale di esperimento presso lo Stato Maggiore. La dissertazione finale di questo ennesimo corso fu per lui, tuttavia, esiziale: ne difese la bontà agli esami finali, contro il parere critico della commissione, e questo gli costò la non ammissione nello Stato Maggiore. Rientrato a Cuneo al vecchio reggimento, fu trasferito nel dicembre 1892 al 62° Sicilia diTorino, promosso capitano a soli 28 anni quando la media era di 35. Qui ebbe come collega il poi famoso Luigi Capello, allora maggiore, inviato a Cuneo per punizione dopo che alcuni suoi articoli critici verso il triplicismo dell’Esercito e l’avanzamento per anzianità erano stati pubblicati su alcuni giornali napoletani. Alla fine di ottobre del 1893 De Rossi fu destinato con il suo battaglione alla guarnigione del forte di Fenestrelle. Tale trasferimento, che aveva tutte le caratteristiche di una destinazione punitiva, segnò invece la svolta fondamentale della sua carriera.Approfittando dell’opportunità, e dotato di mente speculativa, redasse quasi per gioco un lavoro ucronico intitolato Progetto francese di un colpo di mano sulle difese avanzate della frontiera italiana e lo spedì al proprio comando di reggimento a Torino. Grazie alla qualità ed al dettaglio delle ipotesi esposte da De Rossi, il documento fu scambiato per vero e proveniente dalle forze armate francesi attraverso una talpa. Etichettato come plico di interesse del Servizio Informazioni, il volumetto fu effettivamente inviato all’Ufficio Informazioni di

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Roma. Qui fu studiato e la sua natura di semplice documento di scenario fu compresa. Chiarito l’equivoco, tuttavia, l’autore fu chiamato a Roma per le spiegazioni del caso. Questo segnò l’inizio della relazione di De Rossi con quell’ufficio. Trasferito con il suo reparto a Cesana Torinese, vi passò ai primissimi mesi del 1896, quando gli fu richiesta la disponibilità al trasferimento nei bersaglieri. Dopo qualche tentennamento, De Rossi accettò, e nel marzo di quell’anno rientrò a Torino andando a prendere servizio nel corpo dei fanti piumati. Qui, nonostante le difficoltà iniziali, trovò finalmente il proprio ambiente naturale, sebbene lamentasse la minor cultura media degli effettivi e degli ufficiali rispetto al proprio reparto di provenienza. Il suo reggimento veniva spesso inviato in azioni di ricognizione e perlustrazione lungo il confine francese, e qui veniva sovente a contatto con i soldati transalpini, segnatamente con i Chasseurs des Alpes. Con costoro, dato il clima politico dell’epoca, veniva mantenuta una sospettosa cordialità, fatta di incontri fugaci e caratterizzati da momenti di reciproco canzonamento. In questo periodo ebbe inoltre l’opportunità di agire come relatore in un consiglio di disciplina in difesa di un tenente falsamente coinvolto in una questione i debiti di gioco contratti da un onorevole. L’intervallo di tempo passato a Torino per questa bisogna gli diede l’occasione di familiarizzarsi con il mondo degli archivi e di appassionarsi alla storia militare, materia nella quale fu anche autore di qualche lavoro. Questa particolare occupazione gli fornì l’opportunità di qualche viaggio all’estero, i quali furono i primi tra le diverse escursioni in bicicletta che gli fece oltre confine, e che di fatto diedero origine alla sua attività spionistica. Il primo ebbe per oggetto la zona immediatamente oltre il confine orientale italiano, con un percorso che da Limone Piemonte lo portò a Nizza e poi a Montecarlo, per poi farlo rientrare via treno a Ventimiglia. Un altro lo eseguì con una allora pioneristica bicicletta pieghevole messa a punto dal capitano francese Gérard, e che lo vide spostarsi sulla direttrice Domodossola - Sempione - valle del Rodano - riva del Lemano - Ginevra e rientrare poi in Italia attraverso il Moncenisio. Lungi dall’essere solamente delle passeggiate di piacere, queste escursioni lo misero nella condizione di osservare e riferire all’Ufficio Informazioni la tipologia, la consistenza e lo stato di approntamento delle truppe estere. Fu successivamente chiamato dal generale Besozzi, già suo comandante di divisione a Cuneo, a prestare il servizio di Stato Maggiore presso il Corpo d’Armata di Torino. Dopò avervi passato qualche mese, nell’aprile 1897 fu indicato dall’allora tenente colonnello Carlo Porro per prestare servizio di Stato Maggiore presso la brigata Bergamo basata a Udine, ed allora comandata dal generale Osio, ex governatore del principe di Napoli. Nel settembre 1898, dopo che anche il generale Pizzuti – che aveva sostituito Osio – fu avvicendato, De Rossi tornò aTorino presso un comando di brigata. In entrambe le assegnazioni fece leva sul proprio talento ciclistico e capacità di osservazione per redigere altre informative. Nel dicembre 1900 fu chiamato dal generale Saletta all’Ufficio Storico presso lo Stato Maggiore a Roma e continuò la sua collaborazione con l’Ufficio Informazioni – i due uffici erano letteralmente porta a porta - alternandola con il lavoro di storico militare. Frequentò la Scuola di Guerra e nell’ottobre 1902 fu promosso maggiore e assegnato al 7° reggimento bersaglieri a Milano. Nel dicembre 1907 divenne tenente colonnello e passò un breve periodo presso l’11° Bersaglieri di Ancona. A metà del 1908 fu trasferito quale docente di Storia militare alla Scuola di Guerra. L’ottima conoscenza delle lingue, la cultura e l’abilità oratoria lo resero sempre un conferenziere molto apprezzato e ne fecero un punto di riferimento per l’attività di intelligence, allora assolutamente in fase embrionale. Colonnello nel febbraio 1913, ricoprì dapprima l’incarico di comandante in 2ª della Scuola di Guerra, per passare quindi al comando del 12°

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reggimento bersaglieri col quale iniziò il conflitto. Promosso maggior generale alla vigilia dall’attacco al Mrzli e destinato alla brigata Cagliari, non volle abbandonare la sua unità e fu gravemente ferito alla spina dorsale, nonché lasciato senza assistenza per l’intera notte fra il 1° e il 2 giugno. Ricoverato finalmente all’Ospedale di Cividale, gli fu diagnosticata la paralisi delle gambe. Per il valore dimostrato, vi fu decorato di medaglia d’argento dal Re, guadagnando anche la copertina della Domenica del Corriere. Promosso tenente generale il 1° aprile 1917, nell’immediato dopoguerra fu direttore del Museo dei bersaglieri a Roma e nel 1920 fu posto – a domanda – a disposizione del C.d.A. di Milano per incarichi compatibili con le sue condizioni di salute. Collaborò a lungo anche con l’Ufficio Storico, lavorando ad una storia dell’Eritrea. Presidente onorario della Sezione mutilati e invalidi di Milano e di diverse società scientifico-letterarie, morì a Roma il 13 giugno 1929.

Bibliografia: E. De Rossi, Il reggimento italiano di cavalleria 1º ussari cisalpino poi Dragoni della Regina, in “Rivista di Cavalleria”, 1900, fasc. VVV-XII e 1901, fasc. I, poi in “Memorie Storiche Militari”, III, 1910; E. De Rossi, L’assedio di Portoferraio 1801-1802, in “Rivista Artiglieria e Genio”, Roma 1904; E. De Rossi, La cavalleria italiana alla Grande armata (campagna del 1813 in Germania), in “Rivista di Cavalleria”, 1903 e poi in “Memorie Storiche Militari”, III, 1910, IX4; E. De Rossi, Il reggimento italiano dei Cacciatori Reali nella campagna del 1807 in Germania, in “Memorie Storiche Militari”, III, 1910, VI; E. De Rossi, Una divisione italiana all’assedio di Colberg 1807, Roma 1905; E. De Rossi. La brigata italiana Zucchi e la divisione italiana Peyri nella campagna del 1813 in Germania, in “Memorie Storiche Militari”, III, 1910, X; E. De Rossi, La cavalleria napoletana in Alta Italia dal 1794 al 1796, in “Memorie Storiche Militari”, 1910; E. De Rossi, Il 111º di linea dal 1800 al 1814. Fasti e vicende di un reggimento italiano al servizio francese, Torino 1912; E. De Rossi, Il Corpo dei Reali Carabinieri nei rivolgimenti politici del 1821, in “Il Risorgimento italiano, Rivista storica”, anno V, n. 1, febbraio 1912; E. De Rossi, La vita di un ufficiale italiano sino alla guerra, Mondadori, Milano 1927; E. De Rossi, Ricordi di un agente segreto (Dietro le quinte della guerra), Alpes, Milano 1929; E. De Rossi, Un D’Artagnan italiano: il Visconte di Verne-Valde e di Praly (1680-1739). Memorie di un soldato di ventura, Milano 1930; A. Beltrame, Il generale dei Bersaglieri Eugenio De Rossi decorato con medaglia d’argento al valore militare da Re Vittorio Emanuele III La Domenica del Corriere 20-27 giugno 1915 Anno XXVII n. 25; G. Alliney, Mrzli vrh.Una montagna in guerra, Nordpress, Chiari 2000; E. Ciancarini, La Scuola di Guerra di Torino – la formazione degli ufficiali nel Regio Esercito (1867-1915). Prospettiva editrice, Civitavecchia 2013; A. Vento, In silenzio gioite e soffrite – storia dei servizi segreti italiani dal Risorgimento alla Guerra fredda. Il Saggiatore, 2014; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015 P. Gaspari, Preti in battaglia, vol. 1°. Tra apostolato e amor di patria i cappellani militari decorati, Gaspari, Udine 2017; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 112-113. Gaspari, Udine 2019.

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DI GIOrGIOANTONINO

La figura di questo generale giganteggia su quelle degli ExAllievi della Nunziatella che operarono sul grande palcoscenico della Grande Guerra, e proietta la sua ombra anche sui decenni successivi. Insieme ad Armando Tallarigo, ad Alfredo Taranto e a Federico Baistrocchi, rappresenta le varie sfumature dell’animo di quanti, dopo l’esperienza di combattimento del conflitto mondiale, ebbero un ruolo di rilievo nel Ventennio fascista e ne seguirono per un tratto più o meno lungo le sorti. Le foto dell’epoca ce lo rappresentano come un ufficiale dal portamento rigido e dallo sguardo severo, e in realtà l’aspetto fisico rifletteva un carattere duro e intransigente, poliedrico e determinato. Di lui, A. Gatti ci ha lasciatoun vivido bozzetto, parlando della reciproca antipatia con Bencivenga durante il periodo passato al Comando Supremo di Cadorna: “[Di Giorgio] è sempre stato considerato come un brutto carattere, ma un uomo intelligente: qui gli è negata del tutto l’intelligenza, e il Di Giorgio è considerato uno che abbia fosforescenza d’ingegno”. Nacque a San Fratello (Messina) il 22 settembre 1867 da Ignazio e Giuseppina Faraci, in una famiglia medio-borghese senza tradizioni militari. Fu allievo del corso 1882-85 della Nunziatella, e quindi ebbe l’opportunità di avere come compagno di studi il futuro re Vittorio Emanuele III. Al termine dei corsi, passò alla Scuola di Fanteria e Cavalleria di Modena, dove ottenne la nomina ad ufficiale di fanteria nel 1888, e fu quindi assegnato a Pescara presso il 77° reggimento Toscana. Sospinto da ambizione e determinazione, nel 1895 sostenne e superò gli esami per l’ammissione alla Scuola di Guerra. Tuttavia, prima di entrarvi fu raggiunto dalle notizie della sconfitta dell’AmbaAlagi, che ebbero un forte impatto su di lui come sulla grande maggioranza dell’ufficialità del tempo. Offertosi volontario per il servizio in Eritrea, partì per il paese africano nel gennaio 1896.Assegnato al 6° Reggimento Fanteria con la Brigata Dabormida, ebbe l’occasione di partecipare alla battaglia di Adua sotto il comando del colonnello Cesare Airaghi. Insieme a lui prestavano servizio anche il futuro generale Giuseppe Menarini, poi ferito e medaglia d’argento, che avrebbe scritto una cronaca della battaglia dal suo punto di vista; e Luigi Bocconi, figlio di un notissimo industriale milanese, caduto sul campo. Durante l’avanzata che precedette il disastro, l’intera brigata si infilò nel vallone di Mariam Sciauitò, perdendo il contatto con la Brigata Albertone e rimanendo isolata. Dabormida perse inoltre il contatto con la propria avanguardia, e lo riprese solamente quando questa, incalzata dagli etiopi che avevano superato lo schieramento del generale Albertone, ritornarono in fuga verso le sue posizioni. Dopo alcuni inutili tentativi di contrattacco, la brigata Dabormida fu costretta ad una precipitosa ritirata, durante la quale rimase ucciso il colonnelloAiraghi, medaglia d’oro. Di Giorgio fu uno dei pochi a non perdere la testa nell’occasione, e ricevette poi la medaglia di bronzo al valor militare per essersi “distinto per coraggio ed energia nel disimpegno delle sue funzioni durante il combattimento e nella lunga e difficile ritirata”.Trasferito al 77° Fanteria, ricevette una seconda medaglia di bronzo il 2 maggio 1896 per avere condotto “con intelligenza la propria centuria ripetutamente al fuoco, dando esempio di coraggio ai dipendenti” durante il combattimento diAga-à. Colpito da malattia infettiva, fu costretto a rimpatriare per ragioni di salute, e riprese servizio presso il suo vecchio reggimento. Sorretto da uno stile acuto e polemico, nel 1899 diede alle stampe una biografia del generale austriaco Benedek, e soprattutto un lavoro in difesa dell’opera del generale Baratieri, teso a riabilitarne la memoria dopo la tragedia di Adua. Da questo momento in poi, la sua attività militare non fu mai più disgiunta da quella pubblicistica, dove dispiegò notevoli doti polemiche e di lucidità

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nell’analisi della situazione politico-militare.Ancora con il grado di tenente, nello stesso 1899 entrò effettivamente alla Scuola di Guerra, al completamento della quale transitò nello Stato maggiore. Promosso capitano tre anni dopo, fu assegnato al 19° reggimento Brescia dove rimase fino al 1906, passando quindi al C.d.A. di Firenze. In questo periodo iniziò un lungo carteggio con Cadorna, segnato da una stima reciproca e che lo porterà anni dopo a caldeggiare la riabilitazione e la promozione a maresciallo dell’ex-capo di S.M. Nel 1908 Di Giorgio fu nuovamente inviato in oltremare, al comando di un piccolo corpo di spedizione in Somalia meridionale. Qui conseguì una lunga serie di successi anche grazie al suo carattere volitivo e determinato, operando in totale autonomia e non tenendo conto dei tentativi di interferenza esercitati dalle autorità civili. Questo lo mise presto in contrasto con il governatore civile Tommaso Carletti, che divenne presto insanabile. Messo sotto inchiesta, ne uscì vincitore nel merito, ma fu comunque condannato ad una lieve pena per insubordinazione. Nel 1911 fu promosso maggiore a scelta e mandato in Libia, prima al comando di un battaglione dell’89° reggimento Salerno, poi di uno di ascari eritrei. Ne tornò con una terza medaglia, d’argento stavolta, e la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (16 marzo 1913) per la perizia e il coraggio dimostrati nell’attacco al Mergheb nel febbraio-marzo 1912. Promosso tenente colonnello nel giugno 1912, si candidò alla Camera dei Deputati nel collegio di Mistretta, vincendo le elezioni contro il candidato giolittiano.All’inizio della guerra fu assegnato al Comando Supremo dove ritrovò Cadorna, ma chiese presto un altro incarico a causa dell’antipatiaconBencivenga.Fuquindiassegnatoil28ottobre1915qualecapodiS.M.dell’VIII

C.d.A., dove fu agli ordini del generale Briccola fino al 1° aprile 1916, ottenendo la promozione a colonnello. Fu quindi trasferito al comando della brigata Bisagno, che guidò fino al 27 agosto 1916 nei terribili quanto inutili attacchi al Cimon d’Arsiero. Si fece fama di comandante duro, ma sempre presente in linea e attento ai bisogni del soldato. Promosso maggior generale, comandò dal 27 agosto 1916 al 29 giugno 1917 il IV Raggruppamento Alpini sull’Altopiano. In questo nuovo incarico, fu protagonista assoluto della battaglia dell’Ortigara, sulla quale redasse anni dopo uno dei testi più importanti, rimasto incompiuto a causa della sua morte. Il 17 agosto 1917 fu riconosciuto idoneo al comando di divisione e assegnato alla 51ª, di stanza in Val Sugana, dove rimase fino al 30 ottobre 1917. In tutto questo periodo continuò ad esercitare il proprio ruolo di deputato, allontanandosi dal fronte ogni volta che i lavori dalla Camera lo richiedessero. Richiamato a Udine da Cadorna nell’immediatezza dell’attacco austro-tedesco, secondo quanto riferisce A. Gatti, Di Giorgio fu con il Capo e con Porro mentre arrivavano le prime tragiche notizie della perdita di monte Maggiore. A ritirata in corso, Cadorna gli affidò il comando del Corpo d’armata Speciale, con l’incarico di coprire la testa di ponte di Ragogna, dandogli autorità su generali di divisione di grado maggiore del suo. Ritiratosi progressivamente al Piave secondo gli ordini superiori, fu promosso tenente generale e assegnato al comando del XXVII C.d.A., che Badoglio salvò dalla rotta di Caporetto. Guidò questa unità dal 12 novembre 1917 al 28 giugno 1919, diviso da roventi polemiche dal generale Giardino e premiato con la commenda dell’Ordine Militare di Savoia (19 settembre 1918) per i combattimenti difensivi sul Grappa del novembre-dicembre 1917. Combatté quindi sul Montello nel giugno 1918 e durante la battaglia di Vittorio Veneto raggiunse la Val Pusteria. Il 17 maggio 1919 gli fu assegnata la croce di grand’ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia per il ciclo operativo del 1918. Nel 1919 fu rieletto in Parlamento e il 6 febbraio 1922 sposò Norina Whitaker, una nobildonna inglese trapiantata in Sicilia, dove la sua famiglia aveva forti interessi economici. Il ma-

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trimonio lo portò a prendere progressivamente in mano le attività della famiglia d’adozione, in particolare introducendo a fini tessili in Italia la pianta messicana Agave sisalana. Nel febbraio dell’anno successivo fu promosso generale di C.d.A. Nel 1924 per volontà di Mussolini sostituì Diaz al Ministero della Guerra e propose il nuovo ordinamento del Regio Esercito che da lui prende il nome. Esso prevedeva la forte riduzione degli effettivi di leva, e il mantenimento di un Esercito permanente altamente professionalizzato e provvisto dei mezzi più moderni attraverso il risparmio ottenuto.Tale ordinamento – è la valutazione di un collega non certo “facile” come il generale Grazioli – “teneva conto tanto del bilancio quanto delle nuove esigenze tecniche della guerra”. Il progetto, inizialmente spalleggiato da Mussolini, trovò la forte opposizione del gruppo dei “Generali della Vittoria” (voterà a suo favore solo Di Robilant). Abbandonato da Mussolini, nonostante la sua sincera adesione al Fascismo, Di Giorgio rassegnò le proprie dimissioni da ministro, venendo sostituito dallo stesso Duce. Richiamato in servizio attivo nel 1926, gli fu assegnato il comando prima del C.d.A. di Firenze, poi di Palermo. Il contrasto con Mussolini per i metodi usati dal prefetto Mori in funzione antimafia –nell’inchiesta fu coinvolto anche suo fratello – gli costò la nomina a designato d’Armata. Nel marzo 1928 si dimise da deputato e chiese il collocamento in ausiliaria. Affetto da problemi cardiaci, fu sottoposto ad intervento chirurgico, ma non superò la crisi conseguente e morì il 17 aprile 1932.

Bibliografia: A. Di Giorgio, Le memorie d’Africa del generale Baratieri e il soldato italiano, Roma 1899; A. Di Giorgio, Il colonnello Airaghi: cenni biografici del tenente Antonino Di Giorgio, Città di Castello 1901; A. Di Giorgio, La rete ferroviaria della Sicilia nei riguardi della difesa, Nuova antologia di lettere, scienze e arti, Serie 4 v. 116 1905;

A. Di Giorgio, Il generale Manfredo Fanti: discorso pronunziato dal capitano Antonino Di Giorgio il giorno 8 d’aprile 1906 nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio nella solenne commemorazione del centenario della nascita, Firenze 1906; A. Di Giorgio, Il caso Ranzi e il mo- dernismo nell’esercito, Firenze 1908; A. Di Giorgio, Sull’impresa di Libia: discorso dell’on. Antonino Di Giorgio pronunziato alla Camera dei deputati nella tornata del 26 febbraio 1914, Roma, 1914; A. Di Giorgio, Caporetto: discorso pronunciato alla Camera dei deputati nella tornata del 12 settembre 1919, Roma 1919;

A. Di Giorgio, I rapporti tra il governo e il comando supremo dell’esercito durante la guerra: Discorso pronunziato alla Camera dei deputati il 12 settembre 1919, durante la discussione sulla relazione della Commissione d’inchiesta per Caporetto, Roma 1919;

A. Di Giorgio, Sull’esercizio provvisorio: politica militare e politica estera, Roma 1919;

A. Di Giorgio, G. Hervo, L’ alliance franco-italienne: discours, Paris Impr. Nationale, 1919; A. Di Giorgio Il problema militare, la questione adriatica, l’Albania, la Libia: discorso sulle comunicazioni del Governo pronunciato alla Camera dei deputati nella tornata del 1. luglio 1920, Roma, 1920; A. Di Giorgio, Crispi: discorso pronunziato nel Pantheon di S. Domenico, a Palermo, il 12 gennaio 1920, per la celebrazione del centenario della nascita, Palermo 1920; A. Di Giorgio Il trattato di Rapallo, Roma 1920; A. Di Giorgio, Sul bilancio della guerra: discorso del gen. Antonino Di Giorgio, ministro della guerra pronunciato alla Camera dei deputati nella 2. Tornata del 13 dicembre 1924, Roma 1924; A. Di Giorgio, Sull’ordinamento e sul reclutamento del R. Esercito: discorsi pronunciati al Senato del Regno nelle tornate dell’1 e 2 aprile 1925, Roma 1925; A. Di Giorgio, Sull’ordinamento del Regio Esercito e sull’avanzamento degli ufficiali: discorso pronunciato alla Camera dei deputati nella tornata del 29 Gennaio 1926.

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Roma 1926; A. Di Giorgio, La Battaglia dell’Ortigara, Roma, Ardita, 1935; A. Di Giorgio, Scritti e discorsi vari: 1899-1927, Milano 1938; A. Di Giorgio, M. Ganci, G. De Stefani, Ricordi della grande guerra (1915- 1918), Palermo, Fondazione G. Whitaker, 1978; C. Airaghi, A. Di Giorgio, A. Pezzini, Scritti vari, Citta di Castello, S. Lapi, 1901; G. Menarini, La brigata Dabormida alla battaglia d’Adua, Voghera 1896; G. Rochat, Di Giorgio, Antonino, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 40 (1991); A. Gatti Caporetto – diario di guerra, Il Mulino, Bologna 1964; G. Pieropan, Ortigara 1917, il sacrificio della sesta armata, Mursia, Milano 1997; P. Pozzato, P. Volpato, R. Dal Molin, Nemici sull’Ortigara, Itinera, Bassano 2007; M. Beccherle, P. Pozzato, Quell’ultimo monte. La prima difesa del Grappa e Bassano nel 1915-1917, Itinera, Bassano 2002; P. Pozzato, La battaglia di Vittorio Veneto, Luci e ombre di una vittoria, Gaspari, Udine 2019; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 118-120. Gaspari, Udine 2019.

DIOTAIUTI rOBErTO

Nato a Napoli il 27 febbraio 1866, fu uno dei numerosi generali partenopei formati a Pizzofalcone. Fu ammesso alla Nunziatella come allievo del corso 1878-81 ed ebbe come capocorso A. Tallarigo. Ammesso alla scuola di Fanteria e Cavalleria di Modena, fu nominato sottotenente nel 1884. Da tenente prestò servizio presso il 21° reggimento Cavalleria. Fu promosso capitano il 19 maggio 1898 e trasferito nel 1905 alla 9ª brigata di cavalleria a Napoli con l’incarico di aiutante di campo. In questo incarico, visse nell’entourage del duca d’Aosta, che aveva stabilito in quel periodo a Napoli la propria residenza. Pur non essendocene testimonianze dirette, è molto verosimile che sia venuto a contatto con l’intera famiglia, ivi compreso quell’Amedeo d’Aosta che dopo poco avrebbe anch’egli preso la via della Nunziatella. Fu successivamente trasferito all’11° reggimento cavalleggeri Foggia. Maggiore nel dicembre 1909, fu destinato al 18° reggimento Cavalleggeri Piacenza, con base a Caserta. Fu quindi in Libia, dove combatté la battaglia delle Due Palme il 12 marzo 1912, venendovi decorato con la medaglia d’argento al valore per aver guidato “due squadroni in combattimento con molta arditezza ed intelligenza, dimostrando, calma, coraggio e valore sotto il fuoco nemico”. Promosso tenente colonnello nel marzo 1913, fu destinato al 15° reggimento Cavalleggeri di Lodi. Promosso ancora colonnello nel 1915, ebbe il comando del reggimento Cavalleggeri Udine, con il quale entrò in guerra avendo per lo più compiti di collegamento e di polizia. Lasciò il comando il 17 maggio 1916 in seguito alla promozione a maggior generale, assumendo dieci giorni dopo – cosa assolutamente inusitata per un ufficiale di cavalleria – l’incarico di primo comandante della neoformata brigata Campobasso. L’unità, assemblata tra Bologna e Modena, fu inquadrata nella 47a Divisione e spedita in addestramento in Veneto fino all’inizio di luglio. Fu quindi trasferita prima a Cividale e quindi a San Pietro al Natisone, per poi essere inviata nella zona del Sabotino dopo l’inizio della battaglia di Gorizia. Passata alle dipendenze della 47a Divisione, la Campobasso fu inviata alla conquista di obiettivi tra il Monte Santo ed il San Gabriele, dove si comportò valorosamente, subendo tuttavia notevoli perdite. Diotaiuti lasciò il comando della Campobasso l’8 settembre 1916, per assumere venti giorni dopo quello della brigata Perugia, sul monte Zebio, in sostituzione del feritoAmos Del Mancino. Trasferita alla fine di febbraio nella zona di Cittadella, passò alle dipendenze del XX C.d.A. Il 17 maggio

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successivo fu inviata nella zona di Gorizia tra Visco e Jalmicco, alle dipendenze della 28a Divisione. La settimana dopo fu trasferita nella zona tra Ferlecchi ed Oppacchiasella, con i propri reggimenti divisi tra le dipendenze della 34a a 31a Divisione. Al termine di questo periodo, la brigata fu inviata prima tra Perteole e Saciletto, e quindi in linea tra Nogaredo e Viscone con la 21a Divisione, che il 30 luglio la schierò nella zona di Dosso Faiti. Dopo un periodo di riposo a Sagrado nel mese di agosto, la brigata passò il 21 del mese alle dipendenze della 31a Divisione, e fu schierata sulla linea tra le q. 309 e 366 nei pressi di Boschini Superiore. Il 6 settembre passò alle dipendenze della 16a Divisione e fu schierata sulla linea Lavariano-Tissano-Chiasellis. In corrispondenza di un nuovo trasferimento, il 27 settembre 1917 Diotaiuti lasciò la Perugia, sostituito dal generale G. Menarini. Il 19 ottobre successivo assunse il comando dell’11ª divisione. Nelle decisive giornate della battaglia del Solstizio tra il 18 e il 19 giugno 1918 meritò sul fronte del Piave (Fagaré, Bocca di Callalta. S. Andrea di Barbarana) una seconda medaglia d’argento al valore con la seguente motivazione: “In due momenti critici della lotta, mentre le sorti delle sue truppe si dimostravano incerte, con la sua azione personale, energica e valorosa, riusciva a ristabilire la situazione, resistendo tenacemente agli insistenti attacchi del nemico”. Cedette il comando di Divisione al generale Negri di Lamporo l’8 settembre 1918. Mancano ulteriori indicazioni, ma certamente passò in ausiliaria nello stesso anno e non risulta più in organico nel 1920.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; G. Bollini, F. Cappellano, B. Di Martino, P. Gaspari I combattimenti degli Arditi sul Piave nel giugno 1918, Gaspari, Udine 2018; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 121. Gaspari, Udine 2019.

ETTOrrE GIUSEppE

Una foto che lo ritrae con il grado di maggior generale ce ne restituisce l’immagine di uno dei rari ufficiali generali completamente sbarbati, dal profilo caratterizzato da un naso prominente e leggermente aquilino, e lo sguardo distante. Un commento dell’epoca lo descrive come uno “di quei simpatici tipi di meridionale semplice, schietto, cordiale, generoso, dalla facile loquela, dal volto aperto ed espressivo, in cui la linea energica e severa era addolcita dal sorriso che lo illuminava, rivelandone il cuore sensibile e profondamente buono. La sua vita fu tutta nobilmente spesa per la famiglia e per la Patria”. Nato il 15 febbraio 1855, allievo del corso 1869-72 della Nunziatella, Fu ammesso all’Accademia di artiglieria e genio di Torino, da cui uscì con il grado di sottotenente di artiglieria nel 1874. Promosso tenente nel 1876, fu successivamente all’11°, 12° e 10° reggimento artiglieria. Dopo essere avanzato al grado successivo sei anni dopo, passò al 14°, al 12° e quindi al 24° reggimento. ancora promosso maggiore nel 1894, prestò servizio al 22° reggimento artiglieria da campagna e quindi nell’artiglieria a cavallo.Aggiunse successivamente il grado di tenente colonnello nel gennaio 1901, venendo assegnato al primo reggimento artiglieria da campagna di Foligno. Ulteriormente promosso colonnello il 30 luglio del 1905, e pare decorato di una medaglia di bronzo al valor civile della quale tuttavia non si trova traccia, fu dapprima direttore dell’artiglieria del C.d.A. di Verona e quindi assunse il comando del 24° reggimento artiglieria da campagna. Nel

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settembre 1910 fu promosso al grado di maggior generale ed assunse il comando dell’artiglieria da campagna a Roma. In questo periodo ebbe la singolare avventura per l’epoca di diventare il primo ufficiale italiano a volare su un aereo Blériot. L’esperienza lo portò ad interessarsi al mondo dell’aviazione, e dopo essere passato in ausiliaria nel 1912, due anni dopo fondò nella capitale la prima scuola di aviazione civile, scrivendone anche su una rivista specializzata. Allo scoppio delle ostilità nel 1915, fu richiamato in servizio e destinato a comandare lo sbarramento di opere Brenta-Cismon. L’età relativamente avanzata lo escluse da ulteriori comandi operativi, e fu quindi destinato a comandare la fortezza di Gaeta. Nel 1916 fu promosso tenente generale e gli fu affidata la difesa aerea nazionale. Autore di saggi e articoli, accompagnò alla passione per l’aviazione quella per le vertenze cavalleresche. In un volume sulle questioni d’onore e sulla ammissibilità del duello in quanto mezzo di risoluzione delle controversie, sostenne la legittimità dello scontro armato riparatore in caso di verificata offesa grave, pur propugnando la necessità generale di evitare il ricorso al duello. A tal proposito, auspicò l’introduzione di una magistratura d’onore in due gradi, cui avrebbero potuto accedere gli alti gradi del mondo militare, della magistratura e della funzione pubblica, nonché “personalità note e stimate per elevate doti di carattere e di onestà”.

Bibliografia: G. Ettorre, Le note caratteristiche degli ufficiali, “Rivista militare” IV, p. 794, 1908; G. Ettorre, Le armi speciali: risposta alle verità ingrate sull’Ordinamento militare, Palermo 1895; G. Ettorre, Come si vincono e si perdono le battaglie, Roma 1910; G. Ettorre, Le questioni vitali dell’aviazione. Rassegna aero-marittima, anno 4, n. 9-12, p. 9-11, 1914; G. Ettorre, Questioni d’onore, Milano 1928; G. Ettorre, Cronache del regime: Anno XVII, Taranto 1939; L’aerotecnica – giornale e atti dell’associazione italiana di aerotecnica, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1929; M. Cavina, Il sangue dell’onore: storia del duello, Laterza, Bari 2014; D. L. Thomas, Julius Evola e la tentazione razzista, Sulla rotta del sole, 2006; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787- 2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 145-146. Gaspari, Udine 2019.

FALCONEANTONIO

Nato a Mesagne in provincia di Brindisi il 6 settembre 1864, fu allievo del corso 1877-81 della Nunziatella. Da qui transitò all’Accademia di Artiglieria e Genio di Torino, dove nel 1884 conseguì la nomina a sottotenente. Divenuto tenente due anni dopo, prestò servizio al 3° reggimento artiglieria da fortezza e quindi al 25° artiglieria da costa. Nel 1893 fu assegnato all’Ispettorato artiglieria da fortezza e due anni dopo fu promosso capitano. Trasferito alla 3ª brigata artiglieria da costa, ritornò nel 1897 all’Ispettorato, rimanendovi fino al 1903. Fu quindi al 3° reggimento artiglieria da fortezza, dove rimase fino alla promozione a maggiore nel settembre 1910. Dotato di eccellenti fondamentali tecnici, fu designato a ricoprire un incarico alla scuola centrale di artiglieria da fortezza dove elaborò studi e strumenti poi applicati alla sua specialità. In particolare, insieme al collega Cortese visitò le fabbriche Krupp di Essen e Goerz di Berlino, ideando con quest’ultimo un cannocchiale panoramico che fu poi usato nel sistema di puntamento dell’obice da 149/12 Mod. 14, derivato dal Krupp 15 cm schwere Feldhaubitze M. 13. Raggiunto nel

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febbraio 1915 il grado di tenente colonnello, fu assegnato quale capo di S.M. ad una frazione del parco dell’artiglieria d’assedio, senza interrompere il suo ruolo di istruttore. Dopo lo scoppio del conflitto, nell’autunno dello stesso anno gli fu affidato il comando del 10° reggimento artiglieria d’assedio, e nel 1916 fu promosso colonnello.Tra l’agosto ed il novembre di quell’anno combatté sul monte San Michele e sul dosso Faiti, rimanendo intossicato dai gas e meritando la medaglia d’argento con la seguente motivazione: “Comandante di raggruppamento d’assedio, diresse con illuminata intelligenza attività e zelo l’impiego tecnico dei numerosi gruppi dipendenti ottenendo risultati ottimi, esponendosi spesso in zone battute dal fuoco nemico per vedere e dirigere l’azione di propri gruppi”. Lasciò l’incarico nel luglio 1917, transitando il 1° ottobre successivo al comando dell’artiglieria dell’XI C.d.A. Nell’ottobre dello stesso anno fu promosso colonnello brigadiere per merito di guerra e nel giugno 1918 brigadier generale. Per la battaglia del Piave (15-24 giugno 1918) fu decorato con la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (19 settembre 1918), per aver obbligato il nemico alla ritirata disorganizzandone fronte e retrovie. Nel settembre 1919, per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute conseguenti all’intossicazione subita sul San Michele, fu costretto a lasciare il comando ed il servizio attivo, e si spense a Roma nel febbraio 1920.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; N. Persegati, M. Juren, Il Quarto Cavaliere. L’apocalisse dell’attacco dei gas sul San Michele, Gaspari, Udine 2016; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 148-149. Gaspari, Udine 2019.

FLOTTErONAUGUSTO

La famiglia di questo ufficiale era originaria di Berna ed aveva antiche tradizioni militari, in quanto suo padre Luigi Augusto aveva militato come capitano nell’Esercito delle due Sicilie durante l’assedio di Gaeta del 1861.Augusto Flotteron nacque a Napoli il 15 gennaio 1864 e fu allievo del Collegio Militare della Nunziatella con il corso 1878-81, insieme a Vincenzo Galasso, Roberto Diotaiuti ed Armando Tallarigo. Tra i migliori allievi del suo corso, superò le prescritte prove di matematica e fu ammesso all’Accademia diArtiglieria e Genio di Torino, uscendone appena diciannovenne con il grado di sottotenente. Promosso capitano nel maggio 1894, fu a lungo in servizio presso la Direzione di artiglieria di Napoli.Ancora promosso al grado superiore nel settembre 1909, fu assegnato al 12º Reggimento artiglieria da campagna, e con questo fu inviato in Libia, dove combatté nel corso della guerra Italo-turca. Nel 1914, rientrato in Italia, passò nuovamente alla Direzione di artiglieria di Napoli e l’anno seguente fu promosso tenente colonnello. Non si hanno molte informazioni circa il suo periodo di servizio durante la Grande Guerra, ma è certo che dal 4 gennaio 1918 al 19 Febbraio dello stesso anno comandò con il grado di colonnello brigadiere l’artiglieria del XXVI corpo d’armata. Ulteriormente promosso brigadier generale il 20 giugno 1918, l’8 settembre successivo fu destinato al comando dell’artiglieriadel XVIII corpo d’armata del tenente generale Luigi Basso, schierato sul Monte Grappa alle dipendenze della 4a armata, posizione nella quale meritò una medaglia di bronzo al valore a cima di Fonte Asiago – della quale peraltro non si trova traccia nel database dell’Istituto Nastro Azzurro. Lasciò questo incarico il

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5 settembre 1919 per assumere il comando dell’artiglieria del corpo d’armata di Napoli. Alla fine dello stesso anno transitò in posizione ausiliaria speciale, e nel 1924 passò in aspettativa per riduzione dei quadri. Morì a Napoli il 15 gennaio 1936.

Bibliografia: Ruoli de’ generali ed uffiziali attivi e sedentanei di tutte le armi del real esercito di S.M. il re del regno delle Due Sicilie, p. 137. Napoli, 1857; Giornale di artiglieria e genio. Parte 1., Ufficiale, p. 495, 1887; Campagna di Libia, Volume 5, p. 364. Italy. Esercito. Corpo di stato maggiore. Ufficio storico. Stabilimento poligrafico per l’amministrazione della guerra, 1927; Il nuovo stato - quindicinale fascista, p. 27, 1935; Almanacco italiano piccola enciclopedia popolare della vita pratica e annuario diplomatico amministrativo e statistico, p. 756. Bemporad, 1936; R. M. Selvaggi, Nomi e volti di un esercito dimenticato gli ufficiali dell’Esercito napoletano del 1860-61, Napoli 1990; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; M. Beccherle, P. Pozzato, Quell’ultimo monte. La prima difesa del Grappa e Bassano nel 1915-1917, Itinera, Bassano 2002; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 168. Gaspari, Udine 2019.

FrAMArINALESSANDrO

Nacque il 23 gennaio 1855 a Lonigo (VC), e fu molto probabilmente parente stretto – se non addirittura figlio – del garibaldino Pasquale Ottavio Framarin (1825-1902). Costui era originario di Gambellara, un paese a pochissimi chilometri da Lonigo e, giovane studente universitario a Padova, si unì alle truppe che combatterono in Veneto nel 1848 contro Radetzky. Dopo la sconfitta raggiunse Garibaldi in Lombardia, dove si stava formando un corpo di volontari e lo seguì poi nell’intera campagna d’Italia salendo i vari gradi fino a diventare prima colonnello e poi generale del Regio Esercito.Alessandro fu allievo del corso 1869-71 della Nunziatella e fu successivamente ammesso alla Scuola di Fanteria e Cavalleria di Modena, conseguendo il grado di sottotenente nel 1874. Fu in Eritrea nel 1887-89, con il grado di capitano, al comando dello squadrone cacciatori a cavallo. Passato all’8° Lancieri di Montebello, fu rimandato in Eritrea nel 1893, quando assunse il comando dello squadrone esploratori diAsmara e ottenne la medaglia d’argento durante la battaglia di Agordat del 20-21 dicembre di quell’anno. Tenente colonnello dal gennaio 1901, e colonnello dall’aprile 1905, fu destinato al comando del 21° Cavalleggeri di Padova a Caserta, dove rimase fino al 1911. Promosso nell’agosto maggior generale, assunse il comando dell’8ª e poi della 5ª brigata di cavalleria. Guidò la prima alle dipendenze della divisione del generale Quercia nelle grandi manovre tenute in Lombardia nel settembre 1913. Arrivato già anziano all’inizio del grande conflitto mondiale, fu allontanato dal fronte già nel 1915 e passato in posizione ausiliaria, transitò nella riserva nel 1918. Morì due anni dopo a soli 65 anni.

Bibliografia: La caserma - letture per i soldati, p. 9, 1892; Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali dell’esercito italiano e nel personale dell’amministrazione militare, p. 70, 1894; Rivista delle corse notizie ippiche e varietà di sport, p. 100, 1896; G. Vitali, G. Monaldi, Le guerre italiane in Africa: la conquista dell’Eritrea e della Somalia, la conquista della Libia, la conquista dell’Etiopia, Sonzo-

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gno, 1936; R. Catellani, G. C. Stella, Soldati d’Africa: storia del colonialismo italiano e delle uniformi per le truppe d’Africa del Regio Esercito, Volume 1, p. 54. E. Albertelli, 2002; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 170. Gaspari, Udine 2019.

FrANChINI LUIGI

Nacque a Napoli il 27 gennaio 1869 e fu allievo del corso 1881-84 della Nunziatella, avendo dunque compagno di corso il futuro re Vittorio Emanuele III. Ammesso alla Scuola di Fanteria e Cavalleria di Modena, vi fu nominato sottotenente nel 1888. Promosso capitano il 20 gennaio 1901, nel periodo 1905-11 prestò servizio al 6° reggimento lancieri diAosta a Nola.Ancora promosso maggiore nel giugno 1912, fu destinato al 17° reggimento cavalleggeri di Caserta dove rimase fino al 1914. Colonnello brigadiere il 10 luglio 1917, ottenne il comando della brigata Porto Maurizio, costituita da pochi mesi ed operante sul monte Rasta sull’Altopiano diAsiago. Ne seguì le vicende trasferendosi con essa sul fronte isontino nella prima metà di agosto, venendo assegnato alle dipendenze della 48a Divisione su posizioni ad est di Gorizia, sul fronte tra Corno della Selletta Cuore e Belpoggio. Pur battendosi valorosamente, la brigata subì gravi perdite, e Franchini fu colpito da provvedimento di esonero il 10 ottobre 1917 e venne allontanato dal fronte – giusto in tempo per non essere travolto dalla rotta di Caporetto. Notevole per essere stato uno dei pochi generali di cavalleria a comandare una brigata di fanteria in guerra, non ricoprì altri incarichi di comando ed il suo profilo non è riportato nell’Enciclopedia Militare.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 172. Gaspari, Udine 2019.

GABrIELLIALFrEDO

Il profilo di questo ufficiale generale è un misto di valore e condizionamenti prodotti dalla società dell’epoca. Appartenente ad una nobile famiglia calabrese, patrizio di Tropea, nacque a Monteleone Calabro il 27 febbraio 1867. Fu allievo del corso 1879-81 della Nunziatella e fu successivamente ammesso all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena. Ne uscì sottotenente di fanteria solo nel 1887, ma non si hanno notizie circa la ragione del ritardo nel conseguimento del grado. Promosso capitano nel settembre 1903, fu assegnato all’83° reggimento fanteria della brigata Venezia, con base a Messina. Come tale, fu certamente coinvolto in prima persona nel terremoto che colpì la città dello stretto il 21 dicembre 1908, e si hanno notizie sicure sul fatto che la sua brigata sia stata impiegata nei soccorsi alla popolazione civile e nell’opera di ricostruzione.All’atto dello scoppio della guerra italo-turca, l’84° Fanteria, reggimento gemello di quello dove Gabrielli prestava servizio, fu inviato in Libia e partecipò alle battaglie di Sciara Sciatt e

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Sciara Zauia. Nel 1913, al diminuire degli scontri, anche Gabrielli fu inviato nel paese africano, e vi rimase fino al 1916, conseguendo successivamente i gradi di maggiore e tenente colonnello. Entrò quindi nel grande conflitto mondiale sul fronte italiano in ritardo, richiamato dalla Libia come molti altri ufficiali, inviato in Trentino, ed assegnato il 1° luglio 1916 al comando del 114° Mantova con il grado di colonnello in sostituzione di Giuseppe Gialdroni. La brigata, inquadrata nella 37a Divisione, aveva subìto l’impatto della Strafexpedition austriaca mentre si trovava schierata su una linea compresa tra Marco ed il monte Sella, e si era rischierata su posizioni tra monte Giovo e Besagno. In questo settore, successivamente denominato “Destra Adige”, rimase schierata sulla difensiva fino al 18 settembre, quando fu inviata nella zona tra Avio-Sabbionara e Vò per riordinarsi. Tornata in linea il 12 ottobre nelle posizioni di S. Valentino-Brentonico-Passo Buole. Il 21 ottobre successivo, l’unità fu rischierata sul fronte carsico, schierandosi prima tra Polazzo e Redipuglia, alle dipendenze della 34a Divisione, e contribuendo alle azioni tra Lukatic q. 238 e Versic q. 224. Il 1° novembre, una decisa azione d’attacco portò alla conquista del monte Lukatic, ma successivamente la posizione dovette essere abbandonata. Passata alle dipendenze della 33a Divisione, la brigata Mantova rimase ancora in linea fino al 18 novembre, quando fu mandata a riposo tra Mortesins edArmellino. Tra il 12 e il 22 dicembre l’unità spese un altro periodo in linea, venendo poi sostituita dalla brigata Padova. Con l’inizio della battaglia del Timavo (Decima dell’Isonzo) la Mantova conquistò tra il 23 e il 24 maggio – come riportato poi nel Bollettino Ufficiale di Cadorna - le munitissime alture di q. 235 e 247 ed estesa la nostra occupazione sino alle prime case di Versic. Giudicato un “colonnello di ferro” dal generale De Negri, suo comandante di brigata, ricevette grazie all’interessamento di quest’ultimo la croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Le conquiste effettuate dalla Mantova costarono tuttavia molte perdite, ed il 29 l’unità fu inviata a riposo nella zona di Porpetto-Villa Codis-Castions di Mure. Ulteriormente trasferita alle dipendenze della 34a Divisione, il 18 luglio la Mantova fu nuovamente inviata in linea nel settore di Monfalcone tra q. 89 e il mare in sostituzione della brigata Arezzo. Tra il 19 ed il 20 agosto la brigata passò all’offensiva contro le posizioni di Jamiano. Il 22, Gabrielli fu protagonista di un’eroica azione che lo portò per due chilometri dentro le linee nemiche alla conquista di Q.208 a sud di Jamiano, ma nell’occasione rimase ferito. La circostanza gli fruttò una medaglia di bronzo al valore perché “Ferito alla spalla da una fucilata nemica, mentre in trincea di prima linea dirigeva un attacco preordinato, continuò a restare per oltre mezz’ora al suo posto di comando”. Se il periodo alla Mantova fu per Gabrielli un’occasione importante per dimostrare il proprio valore in battaglia, fu tuttavia anche all’origine delle difficoltà che egli ebbe in seguito.Aquest’epoca risale infatti la sua amicizia con un ufficiale suo subalterno, che in seguito fu alla base della richiesta di esonero che lo avrebbe colpito. Rimessosi dalla ferita riportata in combattimento, Gabrielli rientrò in servizio il 1° dicembre 1917 come comandante del 67° Palermo, ancora alle dipendenze del generale De Negri, che lo volle con sé. Completata una fase di riordinamento ad Arsego, il reggimento fu inviato sul monte Grappa. Gabrielli vi rimase tuttavia per soli tre giorni fino al 26 gennaio 1918, allorquando, riconosciuto idoneo al comando di brigata, prese quello della Messina. Inquadrata nel XXVII C. d.A., la brigata operava allora nella zona diVegra-Camazzole. Il14 marzo successivo fu trasferita nellazona del Montello, entrando in linea nel settore di Cornuda alle dipendenze della 66a Divisione ed alternando i propri reggimenti sulla linea del Piave lungo il fronte Crocetta-Rivasecca-Barche senza avvenimenti di rilievo. Gabrielli rimase al comando della Messina fino al 22 maggio,

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fino a subire uno strano avvicendamento da parte del generale Sirombo, che tenne l’incarico fino al 19 giugno. Promosso brigadier generale il 20 giugno, dieci giorni dopo Gabrielli tornò al comando della Messina, che si trovava in posizione di attesa nella zona di Maser-Coste-Crespignano. L’evoluzione degli scontri non richiese tuttavia il suo impiego, ed il 30 luglio Gabrielli fu trasferito al comando della neonata 11a brigata cecoslovacca in costituzione a Perugia. Il 20 settembre fu nuovamente riassegnato, e prese il comando della brigata Pisa, che nel 1916 aveva già avuto alla sua testa l’Ex Allievo Fileno Briganti, rimasto ucciso per le conseguenze di un attacco con i gas. Dopo un periodo di riposo a Montebelluna, la brigata fu trasferita sul Montello il 22 ottobre alle dipendenze del XXII C.d.A., in preparazione della battaglia di Vittorio Veneto. Ritardata l’azione da 25 alla notte sul 27 per le persistenti piogge che causarono la piena del Piave, la brigata si mosse con obiettivo la linea tra Moriago e Colle di Guarda. Gettato un solo ponte all’altezza di Biadene per l’impetuosità della corrente, i reggimenti lo attraversarono lentamente, anche perché bersagliati dall’artiglieria avversaria, che interruppe il collegamento due volte. Passato il fiume, la brigata prese posizione sulla linea Fontigo-Molino Frezze-Latteria. Il successivo contrattacco della 12ª div. Schützen del 27 ottobre fu respinto, ma nella circostanza Gabrielli fu nuovamente ferito all’inguine a Sernaglia e lasciato sulla ghiaia in attesa del ripristino dei ponti. Dalla circostanza ricavò la medaglia d’argento al valore perché “Comandante di una brigata di fanteria, in un passaggio di fiume a viva forza sotto intenso fuoco nemico, in testa alle truppe, le stabiliva brillantemente sugli obbiettivi assegnati. In un vigoroso attacco nemico che minacciava d’accerchiamento le sue truppe, un fianco delle quali era scoperto, impiegava a tempo le riserve a disposizione, e, benché ferito, incurante di sé stesso, fulgido esempio di fermezza e valore ai suoi dipendenti, provvedeva al nuovo schieramento dei suoi battaglioni, all’arresto netto dell’attacco nemico e poscia al vigoroso contrattacco che metteva l’avversario in fuga”. Nonostante il valore dimostrato in molteplici occasioni, il comandante del XXII C.d.A., generale Vaccari, chiese l’esonero di Gabrielli per i rapporti col suddetto ufficiale che, pur rimasto alla Mantova, si trovava poco lontano dal comando della stessa Pisa. Conclusosi il conflitto, nell’immediato dopoguerra fu messo a disposizione del comando delle truppe della Venezia Giulia. Nel 1920 passò in posizione ausiliaria e nel 1924 la Commissione per l’avanzamento lo giudicò non idoneo alla promozione a generale di divisione. Nel 1923 fu membro del direttorio fascista della provincia di Catanzaro sotto la guida di Edoardo Salerno, uomo del quadrumviro Michele Bianchi.

Bibliografia: F. Cordova, Il fascismo nel Mezzogiorno: le Calabrie, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003; F. Barritta, I personaggi di Tropea e dintorni, Youcanprint, 2014; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 175. Gaspari, Udine 2019.

GAGLIANI FrANCESCO

Questo ufficiale, nato a Racconigi il 18 luglio 1862, fu uno dei non frequenti esempi di settentrionali che abbiano frequentato la Nunziatella e che successivamente siano assurti al grado di generale. Fu allievo del corso 1876-79 ed ebbe successivamente accesso alla Scuola di Fanteria e Cavalleria di Modena. Dopo aver conseguito il grado di sottotenente nel 1831, fu inviato in Africa Orientale nel biennio 1887-88. Ulteriormente promosso

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maggiore nel 1904, fu nominato comandante di battaglione all’81º reggimento Torino, dove fu collega dell’allora maggiore Vaccari. Partecipò nel 1908 ai soccorsi per i terremotati di Messina, ricevendone in cambio la medaglia commemorativa. Raggiunto il grado di tenente colonnello nel marzo 1910, fu trasferito al 3° reggimento Piemonte. Nel 1914 fu promosso colonnello e designato comandante del 78º reggimento Toscana, con il quale entrò in guerra sul tranquillo fronte delle Giudicarie. Rimase in questa posizione fino all’11 ottobre 1915, allorquando fu promosso maggior generale e destinato al comando della stessa brigata Toscana. Solo nove giorni dopo, l’unità riuscì a completare sotto la sua direzione la conquista del Monte Melino. Fino al marzo del 1916 la brigata rimase nelle Giudicarie alle dipendenze della 6a divisione. Successivamente, fu trasferita sulla linea di fronte del medio Isonzo, passando alle dipendenze della 4a divisione. Il 31 marzo la Toscana entrò in linea nel settore del Sabotino, dedicandosi a lavori di sistemazione del terreno in previsione di un attacco e svolgendo piccole azioni aggressive. Il 20 di maggio dello stesso anno passò alle dipendenze della 45a divisione. Nella notte del 5 agosto, immediatamente precedente la battaglia di Gorizia, la brigata dispiegò il 78º e due battaglioni tratti dalla colonna Badoglio sull’alto Sabotino; mentre il 77º e due battaglioni della brigata Trapani – comandata da Emilio De Bono - si posizionarono sul basso Sabotino.Aquesto punto, il generale Capello, comandante del C.d.A., affidò al colonnello Badoglio – con cui condivideva l’affiliazione massonica – il compito dell’azione principale sull’alto Sabotino, scavalcando Gagliani.All’alba del 6, le unità balzarono all’attacco, conquistando completamente il Sabotino, con la cattura di tutti i reparti nemici ed il raggiungimento in serata del costone San Valentino-San Mauro. Nell’occasione Gagliani dovette subire oltre al danno, anche la beffa: all’inizio dell’attacco rimase ferito da uno scoppio di granata, ed il suo posto dovette essere preso da De Bono. I contrattacchi avversari del giorno successivo non ottennero alcun risultato e la brigata Toscana mantenne tutte le posizioni conquistate, catturando allo stesso tempo un gran numero di prigionieri.Il 13ed il14 agosto successivo l’unità, fortementeprovata dallo svolgersi dei combattimenti, fu sostituita ed inviata a Cà delle Vallade per riorganizzarsi. Per il valore dimostrato nella conquista del Sabotino, le bandiere di entrambi i reggimenti furono decorate con la medaglia d’argento al valor militare. Per l’azione, Badoglio fu poi premiato con il titolo di marchese del Sabotino, mentre nulla fu riconosciuto a Gagliani. Ritornata brevemente in linea nel settore del Pod Sabotino nel settembre successivo, la brigata Toscana fu trasferita il 27 settembre sul Nad Logem. Qui partecipò dal 9 al 12 ottobre, insieme con la brigata Trapani e la prima brigata bersaglieri, all’attacco del Veliki Hrbach e del Pecinka, iniziativa che fruttò la conquista di quota 363. Brevemente a riposo tra il 20 ed il 30 ottobre nei pressi di Gradisca, la brigata ritornò successivamente sul Veliki ed il 1° novembre ne conquistò la cima. Il giorno successivo, un tentativo di contrattacco austriaco effettuato mentre la brigata Toscana stava avanzando verso il Faiti fu respinto, ed anzi anche quest’ultima altura fu conquistata con una brillante manovra che fruttò la cattura di circa 1500 prigionieri tra cui il comandante della 55a brigata austroungarica con tutto il suo stato maggiore. Il mattino del 3, un nutrito bombardamento di artiglieria colpi la brigata Toscana, la quale tuttavia resistette indomita, respingendo tutti i tentativi di avanzata delle fanterie nemiche. Finalmente il giorno 11 l’unità, gravata da sensibilissime perdite, fu inviata a riposo nei dintorni di Palmanova. Per il complesso delle azioni sul Sabotino, sul Veliki e sul Faiti, ed il grande valore personale dimostrato in combattimento, a Gagliani fu finalmente attribuita la croce di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Conquistatosi la fama di ottimo comandante, il 10 Marzo 1917 fu

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destinato a comandare la 45a divisione, che comprendeva la sua Toscana e la brigata Arezzo. Con questo nuovo incarico il 20-24 maggio 1917 occupò le alture davanti a Flondar ed arrivò a minacciare il Monte Hermada. Nel mese di agosto riconquistò parte del terreno perduto dalla 34a divisione. Nonostante non provenisse dallo Stato Maggiore, fu promosso tenente generale nel settembre 1917 per merito di guerra, e rimase al comando della sua unità. In questo periodo si conquistò la stima e l’affetto dei suoi uomini, che pur attribuendogli il poco rispettoso nomignolo di generale Borraccia per la rotondità del ventre, lo festeggiarono pubblicamente per come si era preso cura di loro. Questo, nonostante si trovasse al comando della divisione cui apparteneva la brigata Catanzaro, che il 15 luglio 1917 fu protagonista di una famosa rivolta con conseguenti fucilazioni. Galliani fu trasferito alla 7a divisione - brigate Bergamo e Ancona - il 21 Febbraio 1918, e vi rimase fino al 27 marzo successivo. Passò quindi al comando della 10a divisione e con essa passò il Piave il 30 ottobre 1918 - alle dipendenze dell’11º corpo d’armata del generale Paolini - raggiungendo San Polo di Piave. Lasciò quindi il comando di questa unità nel febbraio 1919, assumendo quello della divisione militare territoriale di Salerno, che tenne fino all’aprile del 1922, quando transitò in ausiliaria e fu sostituito dal collega Carlo De Antonio. Divenne uno dei maggiori organizzatori del Fascismo a Salerno, assumendo un ruolo importante soprattutto nel primo circondario. L’8 novembre 1922, nell’immediatezza della Marcia su Roma, capitanò senza incidenti – previo accordo con il sindaco - una spedizione di 40 Camicie Nere, che occuparono la camera del lavoro di Salerno eleggendola per circa un mese a sede fascista in città. Pochi giorni dopo, insieme a Carmine Sorgenti degli Uberti, costituì la sezione di Sarno del PNF. A gennaio 1923 guidò nuovamente le Camice Nere a rioccupare – stavolta definitivamente – la Camera del Lavoro. Sostituì quindi Gustavo Fara alla testa della XII zona della M.V.S.N. e si fece parte attiva nei confronti dei suoi ufficiali perché effettuassero propaganda fascista presso i propri militi in occasione delle elezioni del 5Aprile. Non se ne hanno più notizie precise dopo il 1926, sebbene vi siano indicazioni che abbia partecipato come teste al processone del 1927 contro Gramsci ed i suoi coimputati.

Bibliografia: D. Zucàro, Il processone, p. 187. Editori Riuniti, 1961; P. Pieri, G. Rochat, Pietro Badoglio, Utet, Torino 1974; E. Fonzo, Il fascismo conformista. Le origini del regime nella provincia di Salerno (1920-1926), Paguro, Salerno, 2011; R. Bencivenga, La sorpresa di Gorizia. Le spallate del Carso nel 1916, Gaspari, Udine 2016; M. Juren N. Persegati P. Pizzamus, Le battaglie sul Carso nel 1916. Doline in fiamme, le “Spallate” dall’agosto-novembre 1916, Gaspari, Udine 2016; M. Juren, N. Persegati, P. Pizzamus, Flondar 1917. Il presagio di Caporetto, Gaspari, Udine 2017; R. Bencivenga, La battaglia della Bainsizza e la crisi dell’autunno 1917, Gaspari, Udine 2017; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 176. Gaspari, Udine 2019.

GALASSO VINCENZO

Nacque adApricena, in provincia di Foggia, il 30 novembre 1863, e appena dodicenne fu ammesso alla Nunziatella come allievo del corso 1878-81 con i futuri generali Diotaiuti, Flotteron e Tallarigo. Passato alla Scuola di Fanteria e Cavalleria di Modena, ne uscì nel 1883 con i gradi di sottotenente di fanteria. Ulteriormente promosso tenente due anni

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dopo, assunse il grado di capitano nel giugno 1897. Nel 1903 fu inviato a Creta nell’ambito della spedizione internazionale diretta a pacificare l’isola, che era teatro di scontro tra greci e turchi. Nel successivo triennio 1905-07 prestò servizio presso il 35° reggimento Pistoia,agliordini tra glialtri del maggior generaleLuigiCadorna.Promossomaggiore nel settembre 1910, fu destinato al comando di battaglione al 49° reggimento Parma. Nel 1915 fu promosso al grado di tenente colonnello, ed iniziò il conflitto al comando del III battaglione della stessa unità. Il 17 luglio raggiunse la prima linea, schierandosi sul vasto settore di S. Pellegrino. Negli attacchi del 23 e 30 luglio a Costabella inflisse notevoli perdite al nemico. Successivamente, si spostò da Valle S. Pellegrino a Cortina d’Ampezzo e di là a Fiera di Primiero. Il 3 luglio 1916 riuscì ad occupare le posizioni di Col Fosso, S. Martino di Castrozza, le pendici di Cimon della Pala ed il 20 luglio le posizioni di Passo Rolle, quota 2.207 e Piano della Cavallazza. Nell’occasione fece prigionieri centoquaranta soldati, tre ufficiali, catturò un cannone, quattro mitragliatrici e altri materiali. L’azione fu ricompensata dalla promozione al grado di colonnello. Preso il comando dello stesso 49° reggimento, lo mantenne per diciotto mesi fino al 21 febbraio 1917. Giudicato idoneo al comando di brigata, il 24 febbraio 1917 gli fu affidata la Treviso, che guidò fino al 13 luglio successivo, cedendola al generale O. Mangiarotti. Tornò per poco tempo ad Apricena, festeggiato dai concittadini, ma con una sorta di oscuro presentimento, dato che li ammonì dicendo che sui campi di guerra, bisognava andar preparati a vincere o morire. Trasferito dal Trentino al Carso con l’incarico di colonnello brigadiere, ed in procinto di essere promosso maggior generale, il 15 luglio assunse il comando della brigata Napoli. La sera del 23 agosto uscì da un osservatorio di prima linea presso Selo, nel settore di Tolmino, dove si era recato per controllare che le sue disposizioni fossero effettivamente applicate. Similmente a quanto successo al collega Gabriele Berardi, fu investito dall’esplosione di una granata scoppiata ai suoi piedi. Ricoverato nell’ospedale mobile di Klinac, ai primi di settembre fu trasportato all’Ospedale del Seminario di Cividale. Il giorno 16 fu operato alla pleura, ma durante il decorso fu colpito da setticemia e morì tre giorni dopo. Secondo il ricordo dedicatogli dalla moglie d. Mariannina Orengo di Alessandria, Morì come visse: da vero credente e da impareggiabile soldato; chiese egli stesso i conforti religiosi e spirò serenamente. Fu oggetto di ammirazione, di edificazione e di compianto per tutto l’ospedale, per gli amici, per i superiori, per i colleghi e per gl’inferiori! Per il comportamento tenuto fino ad essere mortalmente ferito, ricevette una medaglia di bronzo postuma nel 1923, ricompensa piuttosto avara se messa a confronto con analoghi episodi occorsi a colleghi. Il paese natale gli ha dedicato il corso principale e un busto in bronzo.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 177. Gaspari, Udine 2019.

GALATI FrANCESCO

Primogenito dei due fratelli Galati che frequentarono la Nunziatella nell’immediatezza dell’unificazione italiana e divennero successivamente generali del Regio Esercito, Francesco Galati nacque a Napoli il 25 luglio 1864. Fu tra i comandanti di artiglieria

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che maggiormente fecero sentire il proprio peso durante la Grande Guerra e mantennero il proprio incarico diversamente da numerosi colleghi dell’arma dotta. Fu ammesso al glorioso istituto di Pizzofalcone come allievo del corso 1877-80, e successivamente passò all’Accademia di Artiglieria e Genio di Torino, da cui uscì sottotenente nel 1882. Promosso capitano nell’aprile 1893, prestò a lungo servizio al Comando di artiglieria da campagna di Napoli. Ulteriormente promosso maggiore nel 1907, fu assegnato al 10° reggimento artiglieria da campagna. Asceso al grado di tenente colonnello nel marzo 1913, passò al 36° reggimento artiglieria da campagna con il quale entrò in guerra. Nel 1915 fu promosso colonnello e successivamente colonnello brigadiere, assumendo il 20 marzo 1917 il comando dell’artiglieria del VI Corpo d’armata. Il 19 settembre 1918 fu decorato della croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia per la sistemazione difensiva messa in atto prima sull’Isonzo e quindi sul Monte Grappa. Promosso brigadiere generale nel giugno 1918, rimase nel suo incarico di comando fino a dopo la conclusione del conflitto, lasciandolo solo il 1° febbraio 1919. L’anno dopo fu destinato a comandare l’artiglieria del Corpo d’armata di Bari, e nel 1925 fu trasferito nella riserva, dove l’anno successivo lo raggiunse la promozione a generale di divisione.

Bibliografia: Bollettino ufficiale delle nomine, promozioni e destinazioni negli uffiziali dell’esercito italiano e nel personale dell’amministrazione militare, p. 799, 1903; Giornale militare ufficiale, p. 263. Istituto Poligrafico dello Stato, 1905; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; A. Alberti, Vittorio Veneto, parte I, La lotta sul Grappa, Roma 1924; M. Beccherle, P. Pozzato, Quell’ultimo monte. La prima difesa del Grappa e Bassano nel 1915-1917, Itinera, Bassano 2002; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 177-178. Gaspari, Udine 2019.

GALATI rOBErTO

Fratello minore di Francesco, ne seguì le orme in artiglieria, percorrendo una carriera ancora più ricca di soddisfazioni. Nacque a Napoli il 1° febbraio 1866 e fu allievo del corso 1878-81 della Nunziatella – uno dei “corsi dei generali”, che infatti diede anche i grecati Diotaiuti, Flotteron, Galasso e Tallarigo. Uscito da Pizzofalcone a neanche sedici anni, fu ammesso all’Accademia di Torino, uscendone sottotenente di artiglieria appena diciottenne. Fu promosso capitano nel marzo 1894 e prestò a lungo servizio alla Scuola centrale di tiro per l’artiglieria di Nettuno. Ancora promosso maggiore nel marzo 1909, fu destinato al 2° reggimento artiglieria e passò quindi nel 1912 al 18° reggimento artiglieria da campagna. Lo scoppio del conflitto lo trovò a comandare interinalmente un reggimento di artiglieria da campagna con il grado di tenente colonnello. Diede immediatamente prova di avvedutezza e valore, meritando già nell’estate del 1915 la medaglia d’argento al valore operando nella zona Turriaco-Ronchi. Nel novembre dello stesso anno fu promosso colonnello e nell’aprile 1916 fu assegnato alla direzione dell’artiglieria della 17ª divisione, nel settore del Nuvolau in Cadore. Nel 1917 ascese al grado di maggior generale per merito di guerra, assumendo il 23 aprile 1917 la direzione dell’artiglieria del XXIII C.d.A., allora agli ordini di Diaz, reggendola fino al 14 marzo 1918. In questa data assunse il comando dell’artiglieria della 4ª armata sul Grappa, agli ordini

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di Gaetano Giardino. Il 3 giugno per la capacità ed il coraggio dispiegati durante l’intero ciclo operativo fino a quel momento gli fu assegnata la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, formalmente attribuitagli per l’ampliamento della testa di ponte di Capo Sile sul Basso Piave. Il 22 dello stesso mese fu promosso tenente generale per merito di guerra. Pur senza eccellere come il collega Segré nel campo delle innovazioni tecnico-tattiche, Galati seppe comunque dare sicurezza e ordine ad uno schieramento di artiglieria chiamato spesso a risolvere situazioni complesse e non sempre pianificate in precedenza. Le sue capacità e l’indubbio contributo fornito alla vittoria finale gli valsero la croce di ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia (17 maggio 1919). Pur se prestigiosa, questa decorazione appare tuttavia poco generosa nel riconoscere il ruolo avuto dall’armata del Grappa, specie se confrontata con analoghe ma più prestigiose decorazioni riconosciute ad altri colleghi. Lasciata la 4ª armata il 18 luglio 1919, l’anno successivo fu messo a disposizione dell’Ispettorato generale d’artiglieria a Roma. Passò quindi a comandare la divisione di Piacenza e il 1° febbraio 1923 fu promosso generale di C.d.A., un’autentica rarità per un ufficiale d’arma. Due anni dopo gli fu affidato il C.d.A. di Bari chelasciò nel1928. Lostessoanno fu posto definitivamentea disposizione. Dalla moglie Clotilde Ciollaro ebbe il figlio Giovanni, che fu un pluridecorato ammiraglio della Marina Militare, insignito della croce dell’OMS e di ben quattro medaglie d’argento e due di bronzo al valore. Protagonista della guerra dei convogli, rifiutò di obbedire all’ordine di consegnare le proprie unità a Malta dopo l’8 settembre, e fu destituito. Riammesso in servizio, cercò vanamente di portare aiuto alla divisione Acqui a Cefalonia.

Bibliografia: Annuario militare del Regno d’Italia, p. 523. C. Voghera, 1909; P. P. Cervone, Vittorio Veneto: l’ultima battaglia, Mursia, Milano 1994; A. Alberti, Vittorio Veneto, parte I, La lotta sul Grappa, Roma 1924; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 178. Gaspari, Udine 2019.

GENOVESE LUIGI

Di questo ufficiale di artiglieria si hanno poche e scarne notizie, che definiscono una carriera caratterizzata da due impieghi bellici, nonché da una prestigiosa decorazione, ma conclusa dal comune destino dell’esonero che lo affratella a numerosi altri generali ed ufficiali superiori. Nato il 21 luglio 1860, fu allievo del corso 1873-76 della Nunziatella e fu promosso sottotenente a Torino nel 1878. Maggiore nel dicembre 1901, fu a lungo al 10° reggimento artiglieria da campagna a Caserta. Promosso tenente colonnello nel marzo 1907, fu trasferito al 24° reggimento artiglieria da campagna, dove rimase fino al 1912. Conobbe per la prima volta la realtà del combattimento partecipando alla guerra italo-turca, ed in Libia meritò la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (16 marzo 1913) per il comando dell’artiglieria di Bengasi e il valore dimostrato nel combattimento delle Due Palme. Promosso colonnello lo stesso mese, assunse quindi il comando del 22° reggimento artiglieria da campagna, col quale entrò in guerra. Promosso maggior generale, il 1° ottobre 1915 fu destinato al comando dell’artiglieria del IX C.d.A. in Cadore. Nonostante la precedente decorazione, probabilmente vittima della elevata pressione esercitata dagli alti comandi durante i primi mesi di guerra, fu esonera-

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to come molti colleghi artiglieri e collocato a riposo nello stesso anno.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 205-206. Gaspari, Udine 2019.

GIAMpIETrO EMILIO

Da non confondere con l’omonimo deputato e garibaldino napoletano, quasi certamente suo parente, fu tra i pochi generali che mostrarono una decisa opposizione al regime fascista, al punto di essere oggetto di precise attività poliziesche. Nato il 4 dicembre 1868, frequentò il corso 1881-84 della Nunziatella insieme al futuro re Vittorio Emanuele III e passò successivamente all’Accademia di Torino, da cui uscì tenente di artiglieria nel 1887. Promosso capitano nel giugno di tre anni dopo, prestò a lungo servizio al 1° reggimento artiglieria da campagna, anche dopo la promozione a maggiore avvenuta nel gennaio 1912. Non si hanno notizie precise circa il suo impiego bellico dei primi anni di conflitto, ma certamente servì nella sua arma di appartenenza, scrivendo anche la musica dell’Inno dei bombardieri e canto del bombardiere È invece accertato che il 16 gennaio 1918 assunse il comando della brigata territoriale Potenza, che guidò fino al termine del conflitto. Brigadier generale dal 20 giugno 1918, si guadagnò la fama di essere un “tizzone d’uomo” sempre alla testa dei suoi uomini e fra i primi sulla riva del Piave nella riscossa del giugno 1918. Gli aspri combattimenti di quei giorni guadagnarono una medaglia d’argento ad entrambi i reggimenti della sua brigata, una a lui personalmente e una citazione all’ordine del giorno. Terminato il conflitto, nel 1919 fu in Trentino, e se ne ha notizia mentre rendeva omaggio ai martiri della Legione Trentina. Il 12 agosto di quello stesso anno prese dalle mani del collega Gazzano il comando della brigata Acqui. Il 20 settembre 1921 ottenne la croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia, in commutazione della medaglia d’argento ottenuta sul campo, per come aveva guidato la sua unità in più giorni di sanguinosa lotta a Ponte di Piave. Lasciò la Acqui nel settembre 1922, avvicendato dal collega C.Assum, e nel febbraio successivo fu promosso al grado di generale di brigata. In questi anni, iniziò a frequentare in maniera assidua Gabriele D’Annunzio. Sebbene non ci siano prove conclusive in tal senso, esistono alcune indicazioni che al Vate lo legassero comuni origini familiari. L’omonimo deputato Emilio Giampietro, infatti, pur nato a Napoli, proveniva da famiglia originaria di Tornareccio, in provincia di Chieti. E del grande centro abruzzese era originaria anche la famiglia materna di D’Annunzio, il quale, come già notato, aveva peraltro avuto come compagno d’infanzia il poi generale Gabriele Berardi. Alcune fonti indicano inoltre Giampietro come “generale legionario”, sebbene il suo nome non compaia nell’elenco ufficiale dei legionari fiumani. In attesa di ulteriori ricerche che vadano a chiarire i punti di cui sopra, può senza dubbio essere detto che Giampietro frequentò assiduamente l’abitazione di D’Annunzio a Gardone Riviera insieme all’avvocato Salvatore Lauro, essendo accomunato a quest’ultimo alla comune appartenenza alla loggia massonica di Piazza del Gesù. Fu anzi in un certo senso un vero e proprio segretario privato di D’Annunzio, funzionando da cinghia di trasmissione tra l’Immaginifico e gli ambienti della politica nazionale. Fuinfattiintermediariodei rapporti tra D’Annunzio ed il capo del governo Facta, il quale cercò di convincere ilVate a partecipare ad una manifestazione prevista nella capitale per il 4 novembre 1922 – la quale fu anticipata dalla Marcia su Roma.Adducendo motivi di

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salute – era appena caduto da una finestra di casa, anche se la storia del “volo dell’arcangelo”presentanon pochielementi di dubbio – ilVatecomunicò a Facta ilproprio diniego attraverso Giampietro. Secondo l’autobiografia di Mussolini, fu altresì lui, insieme ai generali Giulio Douhet ed Eugenio Colseschi, a consegnare la sera del 27 ottobre 1922 al futuro dittatore la lettera di D’Annunzio con cui gli annunciava il suo appoggio alla Marcia su Roma. L’avvento del regime fascista vide tuttavia l’atteggiamento di Giampietro radicalizzarsi in opposizione netta. Come riferito in un rapporto, egli fu un “deciso e irriducibile avversario dell’attuale regime, siccome massone, già appartenente all’associazione Italia Libera, costituita da Sem Benelli, era unito da legami di amicizia col noto ex-generale R. Bencivenga”. L’amicizia con l’aventiniano Bencivenga, e l’adesione alla subito disciolta Lega Italica (vero nome della sopra riportata associazione Italia Libera, fondata in conseguenza del delitto Matteotti) del già legionario fiumano e fascista critico Sem Benelli, gli guadagnarono l’antipatia personale di Mussolini e l’occhiuta sorveglianza dei servizi di informazione del regime. Continuò ad esercitare il ruolo di emissario di D’Annunzio, che attraverso di lui rassicurò Mussolini della sua inerzia davanti all’uccisione di Matteotti, ma i suoi spazi di manovra si ridussero gradualmente. Nel 1925 un suo progetto di usare capitali inglesi per la costruzione di autostrade, gli fu rifiutato da Mussolini in persona in quanto “feroce antifascista”. Fu tra gli indagati per la strage di Piazza Giulio Cesare avvenuta a Milano il 12 aprile 1928 (14 morti e 30 feriti), ma verosimilmente senza fondamento alcuno. Il 13 giugno successivo il suo nome fu ritrovato durante una perquisizione in un elenco di personalità appartenenti alla loggia di Piazza del Gesù. Inviso al regime, nel 1932 fu posto in aspettativa per riduzione dei quadri. Era ancora attivo tre anni dopo quando scrisse al Maresciallo d’Italia Pecori Giraldi. Manca ovviamente il suo profilo nell’Enciclopedia Militare

Bibliografia: E. Giampietro, F. Nomi, Inno dei bombardieri e canto del bombardiere: musica del colonnello Emilio Giampietro, Città di Castello 1917; Quaderni dannunziani, Edizioni 1-2, p. 259. Fondazione del Vittoriale degli Italiani, 1987; R. Canosa, I servizi segreti del Duce: i persecutori e le vittime, Mondadori, Milano 2000; G. Fasanella, M. J. Cereghino, Le carte segrete del duce, Mondadori, Milano 2014; G. B. Guerri, D’Annunzio, Mondadori, Milano 2017; M. Moraglio, Driving Modernity: Technology, Experts, Politics, and Fascist Motorways, 1922-1943, Berghahn Books, 2017; Fo 371/7660, Secret; Gfm 36/373; The National Archives/Public Record Office (Tna/ Pro), Kew Gardens, Surrey, Regno Unito di Gran Bretagna; Studi in onore di Armando Sapori, Volume 2, Istituto editoriale cisalpino, 1957. M. Caudana, 1922. Edizioni del Borghese, 1972, p. 178; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 72. Gaspari, Udine 2011; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 207-208. Gaspari, Udine 2019.

GUADAGNI CAMILLO

La figura di questo ufficiale generale è una delle tante che pur non raggiungendo vette altissime, ebbe una notevole esperienza bellica, specie coloniale, e tenne il proprio posto onorevolmente in ogni circostanza. Nato a Pomigliano d’Arco il 13 marzo 1861, fu

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allievo del corso 1876-79 della Nunziatella. Ammesso all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, ne uscì sottotenente di fanteria nel 1881. Partecipò alla campagna in Africa Orientale che si concluse con la tragedia diAdua, e vi ritornò nel 1897. Promosso capitano nell’agosto 1894, nel 1905 prestò servizio in Eritrea con il Regio Corpo truppe coloniali, agli ordini dell’allora colonnello Pecori-Giraldi. Due anni dopo prestò invece servizio presso il 19° reggimento Brescia a Napoli. Nel dicembre 1908 ottenne la promozione a maggiore, e partecipò ai soccorsi ai terremotati della città di Messina. Ritornato nelle truppe coloniali, vi rimase a lungo, anche dopo la promozione a tenente colonnello nel marzo 1913. Entrato in guerra, fu presto promosso colonnello e l’11 agosto 1915 assunse la guida del 56° Marche. Come recita la motivazione della medaglia d’argento al valore che gli fu subito attribuita, “Appena assunto il comando del reggimento impegnato in un’azione offensiva su terreno difficile e per lui affatto nuovo, si recava fra le compagnie più avanzate e con esse rimaneva per otto giorni, instancabile, rifulgendo per intelligenza, per valore, per spirito di sacrificio e sapendo spingere i dipendenti alla conquista delle formidabili difese nemiche. Baden-Sextenstein e Junich Riedel, agosto-ottobre 1915” (le località di combattimento erano più probabilmente Boden e e Innichenriedl). Lasciato il suo reggimento il 23 dicembre 1915, passò a comandare, in Comelico, il 92° Basilicata, dove rimase brevemente dal 23 settembre al 13 dicembre 1916. Alla testa di questo reparto combatté nella zona del monte Tomba, resistendo ai ripetuti attacchi austriaci nel corso della Strafexpedition. Riconosciuto idoneo al comando di brigata, assunse il 23 dicembre 1916 la guida della Tevere, che comandò prima in combattimento nel Cadore nella zona di Juribrutto e poi per un periodo di addestramento nelle retrovie del Carso fino al 14 maggio 1917. Il 31 maggio successivo fu promosso maggior generale. Pur non figurando tra i comandanti esonerati, non ricoprì più alcun comando di unità mobilitate e nel 1920 risulta a disposizione del C.d.A. di Napoli. Nello stesso anno passò in posizione ausiliaria speciale e nel 1923 divenne generale di divisione.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 226-227. Gaspari, Udine 2019.

LEONE GASpArE

La foto che ritrae questo ufficiale generale ne dà l’immagine di un uomo dal volto paffuto e l’espressione gioviale. Nato a Palermo il 15 marzo 1862, fece parte della generazione che arrivò al grande conflitto mondiale già matura di anni e di esperienza. Contrariamente a numerosi coetanei, tuttavia, riuscì ad evitare il proverbiale siluro, dando prove ripetute di valore e capacità di comando. Allievo del corso 1887-81 della Nunziatella, sottotenente di fanteria nel 1882, fu promosso capitano nel febbraio 1895 e destinato al 73° reggimento Lombardia, allora di stanza a Bergamo. Ancora promosso maggiore nel marzo 1909, fu trasferito al 24° Como. Ottenuto il grado di tenente colonnello nel settembre 1913 ed effettivo al 48° reggimento Ferrara, ebbe la sua prima esperienza di combattimento in Libia nella campagna del 1913-14. Contrariamente a tanti altri, tuttavia, non ne riportò alcuna decorazione, neanche la tanto comune medaglia di bronzo. L’inizio della Grande guerra sul fronte italiano lo trovò in qualità di comandante del III battaglione del 48° reggimento che guidò però solo per qualche giorno, fino al giugno 1915. Promosso colonnello, fu infatti destinato al comando del 137° Barletta, con il

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quale entrò in linea nella zona del monte Sei Busi. Lo guidò fino al 30 giugno 1916, meritandosi stavolta la medaglia d’argento sul Monte Cimone sopra la città diArsiero (Veneto) perché Con pronto intervento personale e mirabile energia rimetteva e manteneva l’ordine in un reparto scosso per l’avanzata per il combattimento. Idoneo al comando di brigata, fu destinato il 4 luglio al comando della brigata Acqui, che guidò ininterrottamente fino al termine del conflitto, promosso maggior generale dal 31 maggio 1917. Al comando di questa unità, operò prima nelle file della 3ª armata e, nel 1918, in quelle della 1ª. Nel 1918 meritò una seconda medaglia d’argento poiché Diresse con perizia le operazioni della sua brigata, che condussero alla conquista di un’importante posizione nemica, ove furono fatti molti prigionieri e catturato abbondante materiale di guerra. Fu sempre esempio mirabile ai suoi dipendenti di calma e sprezzo del pericolo di fronte al furioso fuoco avversario. Nell’immediato dopoguerra scrisse un’opera dedicata alla Acqui e nel 1920 passò in posizione ausiliaria speciale. Nel 1923 partecipò alla promozione generalizzata a generale di divisione e nel 1931 fu collocato a riposo.

Bibliografia: G. Leone, La brigata Acqui: (17°-18° fanteria), 1919; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 237-238. Gaspari, Udine 2019.

MAGGIOrOTTI LEONE ANDrEA

Quella di LeoneAndrea Maggiorotti è una delle figure provenienti dalla Nunziatella che svolsero un ruolo di rilievo nelle vicende belliche, e non sono assurte a maggior fama solo perché condizionate dalle limitazioni del loro tempo e dal carattere pionieristico delle loro imprese. Nacque a Milano il 26 agosto 1860 e fu allievo del corso 1875-78 della Nunziatella. Dopo essere stato ammesso all’Accademia di Torino, fu nominato sottotenente del genio nel 1879 e conseguì la laurea in ingegneria. Nel 1883, appena tenente, passò ad insegnare fortificazioni e costruzioni presso la Scuola di applicazione d’artiglieria e genio di Torino. Vi restò fino al 1887 e vi tornò da capitano nel 1896, per lasciarla al momento della nomina a maggiore nell’ottobre 1902. Fu dapprima alla brigata ferrovieri e quindi al reparto Intendenza dello S.M., occupandosi in particolare della creazione del servizio automobilistico. Questa prima innovazione fu di particolare importanza, dato che consentì di superare la fase pionieristica della motorizzazione del Regio Esercito, e di avviare il processo di trasformazione estesa della logistica da ippotrainata a meccanizzata. Promosso tenente colonnello nel giugno 1908, due anni dopo passò al 6° reggimento del genio e nell’ottobre 1912 divenne colonnello. Fu poi nominato comandante in 2ª dell’Accademia di Torino, dove rimase fino al 1915. Allo scoppio della guerra tornò a comandare il servizio automobilistico presso l’Intendenza generale dell’esercito. Sensibile alle innovazioni della sua epoca, lasciò questo incarico nel 1916, per assumere il comando del Servizio aeronautico aTorino. Promosso maggior generale il 24 agosto 1916, tornò al fronte come comandante dell’aeronautica, addetto al Comando Supremo. In questo ruolo, a dispetto delle spietate critiche del colonnello Douhet – che aveva peraltro il dente avvelenato per esserne stato sostituito - meritò la croce di ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia (Regio decreto del 6 ottobre 1917) per come aveva assicurato il “dominio dell’aria sulla fronte giulia”. La sua impresa più notevole, e per la quale il suo contributo è maggiormente misconosciuto, è l’ideazione del

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leggendario bombardamento delle bocche di Cattaro effettuato da Gabriele D’Annunzio con il cosiddetto Distaccamento AR, così denominato dalle iniziali del suo comandante Armando Armani. Per una delle coincidenze di cui è piena la storia della Nunziatella, uno dei piloti del raid fu Mariano D’Ayala Godoy, figlio di Carlo che era stato compagno di studi di Maggiorotti alla Nunziatella e nipote del grande Mariano. L’idea fondante di Maggiorotti fu quella di usare dei velivoli i Caproni Ca.33 450 hp che, partendo dall’aviosuperficie di Gioia del Colle, andassero a colpire quella che allora era la seconda base navale per importanza dell’ImperoAustroungarico. La missione di Cattaro ebbe un impatto effettivo sulla condotta della guerra, dato che causò un contraccolpo psicologico notevole nel campo austroungarico, dato che era stata colpita una base ritenuta inattaccabile. Nell’ottobre del 1917 Maggiorotti, uomo di fiducia di Cadorna, fu assegnato a Roma come direttore generale dell’Aeronautica presso il Ministero della Guerra in sostituzione del collega Marieni. Nel marzo dell’anno successivo tornò al fronte quale comandante del genio della 3ª armata, dove rimase fino al 25 marzo 1919. Si adoperò per gli accertamenti dei danni subiti per ragioni belliche e i lavori di ripristino nelle terre liberate, a disposizione del relativo Ministero. Promosso generale di C.d.A., nel 1929 fu collocato a riposo. Fu autore di numerosi studi e testi di carattere tecnico. Morì a Roma il 4 febbraio 1940.

Bibliografia: L. A. Maggiorotti, L. Holik-Barabas, Le fortificazioni di Buda e di Pest e gli architetti militari italiani, Roma 1900; L. A. Maggiorotti, Manuale per l’ufficiale del genio in guerra 1-6, Roma 1916; L. A. Maggiorotti, La figurazione bellica nell’arte antica. Roma 1926; L. A. Maggiorotti, L’archivio di fortificazione nel Museo del Genio, Roma 1927; L. A. Maggiorotti, L’espressione del dolore nella pittura bellica, Roma 1927; L. A. Maggiorotti, L’Istituto di Architettura militare italiana, Roma 1927; L. A. Maggiorotti, Dalle mura turrite alle cinte bastionate, Roma 1927; L. A. Maggiorotti, Opere di stile: l’istituto d’architettura militare, Roma 1928; L. A. Maggiorotti, Castelli di Romagna, Roma 1930; L. A. Maggiorotti, Glorie della scienza italiana: gli ingegneri militari italiani all’estero. [S.l. s.n.], 1930; L. A. Maggiorotti, Mura e torri italiane in Oriente, Roma 1930; L. A. Maggiorotti, Gli architetti militari italiani in Ungheria e specialmente ad Agria: appendice storica, Roma 1930; L. A. Maggiorotti, Le origini della fortificazione bastionata e la guerra d’Otranto, Roma 1930; L. A. Maggiorotti, Gli architetti militari (3 voll.), Roma 1932-1935; L. A. Maggiorotti, L. Holik-Barabas, La fortezza di Giavarino in Ungheria e i suoi architetti militari italiani, specialmente Pietro Ferabosco, Roma I1932; E. Vernole, L. A. Maggiorotti, Il castello di Gallipoli: illustrazione storica architettonica Roma 1933; L. A. Maggiorotti, L. Holik-Barabas, Gyor Vara. Budapest 1933; L. A. Maggiorotti, L. Holik-Barabas, Le fortezze di Temesvar e di Lippa in Transilvania, Roma 1933; L. A. Maggiorotti, Breve dizionario degli architetti e ingegneri militari italiani, Roma 1935; Dell’arte militare = (De re militari)

Flavio Renato Vegezio, traduzione di Temistocle Mariotti, con note e commenti di Leone

Andrea Maggiorotti, Livorno 1936-1937; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; Stato Maggiore della Difesa, Il 1918, La Vittoria e il Sacrificio. Atti del congresso di studi storici internazionali, Roma 2018, p. 124; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 246. Gaspari, Udine 2019.

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MArAFINI VALENTINO

Fu uno dei pochi esempi di ufficiali generali che, partiti da famiglie di umilissime origini, riuscirono a scalare con merito i gradini della carriera militare e civile. Nacque a Cori il 24 marzo 1863 e fu allievo del corso 1877-80 della Nunziatella. Ammesso all’Accademia di Torino, fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1882. Dopo aver percorso brillantemente i primi gradi della gerarchia, frequentò la Scuola di Guerra ed entrò quindi nello Stato maggiore. Ottenuta la promozione a maggiore nel febbraio 1902, tre anni dopo prestò servizio al I C.d.A. di Torino, agli ordini del colonnello Raffaele Vinaj. Nel 1907 fu capo di S.M. della 24ª divisione a Messina, allora agli ordini del tenente generale P. Spingardi, futuro ministro della guerra. Il 16 giugno dello stesso anno fu promosso tenente colonnello e messo a disposizione del comando del Corpo. Il 24 novembre 1908 fu quindi nominato membro della Commissione centrale dei porti, spiagge e fari, in quanto rappresentante del Ministero della Guerra. Il 21 settembre 1911 era certamente a capo dell’Ufficio Coloniale, impegnato nelle predisposizioni per la guerra di Libia. In questa data, infatti, egli inviò una lettera/promemoria all’ufficio intendenza in cui comunicava di aver preso accordi con la Croce Rossa per la fornitura del materiale sanitario necessario all’allestimento delle navi portaferiti da destinare alla zona di conflitto. Nel gennaio successivo fu promosso colonnello, permanendo negli incarichi suddetti fino al 10 aprile 1913, quando fu inviato in missione in Libia e fu sostituito da G. Pennella. Nel paese africano ricevette la richiesta di sottomissione di Farat Bey. Rientrato in Italia, nel 1914 intraprese la carriera politica, venendo eletto consigliere provinciale nella natia Cori, e quindi passò per il prescritto periodo di comando operativo al 60° reggimento Calabria. Nel febbraio 1915 fu promosso maggior generale, e con lo scoppio della Grande Guerra raggiunse il fronte al comando della brigata Modena. Tale incarico, tuttavia, durò per un solo mese, fino al 27 giugno, quando fu sostituito dal collega E. Aveta. Il suo esonero, richiesto dal comandante del IV C.d.A. gen. di Robilant, fu causato dal fatto che gli fu attribuito l’insuccesso delle operazioni nella conca di Caporetto del 28-31 maggio e del 1-4 giugno 1915. In particolare, gli assalti del 2 giugno alle posizioni nemiche, condotti nella zona del Monte Nero dalla Modena insieme al reggimento alpini Pinerolo, e dei bersaglieri dell’appena promosso maggior generale Eugenio De Rossi, si risolsero in un disastro, con il grave ferimento di quest’ultimo. Il generale Cadorna, che si era portato a ridosso della prima linea, ordinò la cessazione dell’attacco, ma Marafini convinse il suo divisionario generale Raspi, a continuare. I risultati disastrosi della nuova azione causarono la rimozione di entrambi. Ritenendo di essere stato mal giudicato, Marafini scrisse al ministro della Guerra Zupelli per ottenerne soddisfazione. Con una lettera dell’11 luglio, quest’ultimo gli assicurò di aver presentato al luogotenente generale del re un decreto che, “durante la guerra, consente di destinare a comandi o servizi territoriali gli ufficiali generali in servizio attivo permanente che abbiano cessato di appartenere alle truppe mobilitate. In virtù di tale decreto sarà possibile assecondare il tuo desidero di prestare ancora l’opera tua a pro dell’Esercito; e io mi riserbo di provvedere al riguardo con sollecitudine”. Tale rassicurazione non ebbe tuttavia esito, in quanto nello stesso 1915 fu nominato delegato del Ministero italiano della guerra a Londra e vi rimase fino al 1917, svolgendo missioni di carattere burocratico e diplomatico in Albania e altrove. L’anno successivo fu finalmente destinato al comando della divisione militare territoriale di Ravenna. Presentato ricorso alla Commissione Mazza per la revisione degli esoneri quando questa fu istituita dopo Caporetto, ne ricevette soddisfazione. In particolare, la

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Commissione rilevò che nel corso delle azioni indicate nessuno dei suoi superiori o dei loro capi di S.M. si fece mai vedere sul campo di battaglia, limitandosi a cedere a lui la direzione di tutte le forze presenti o affluenti come rinforzi. Una sua comunicazione a di Robilant delle 6.00 non fu consegnata perché quest’ultimo era “ancora a letto”. Operò poi senza poter contare su adeguate comunicazioni telefoniche. Ironia della sorte, per quelle stesse operazioni sul M. Nero-Mrzli gli fu conferita la medaglia di bronzo. Transitato in posizione ausiliaria nel 1919, assunse la presidenza del F.U.S., cioè il Fascio Parlamentare degli Ufficiali esonerati, e fu ideatore e presidente della Società Cintia, avente lo scopo di favorire il reinserimento nella società civile a militari congedati dopo l’esperienza bellica. Nel 1924 si rivolse direttamente al duca d’Aosta per avere il patrocinio alla causa dei “silurati”, che poi perorò senza successo di fronte a Mussolini. Gli fu riconosciuto il grado di generale di divisione nel 1923, sulla scorta dei decreti che sanavano le disparità create dal conflitto. Nel 1927 fu presidente reggente della sezione di Roma dell’UNUCI, e nel 1932 fu collocato a riposo. La natia Cori gli ha dedicato una via del centro.

Bibliografia: Atti del Parlamento italiano: Discussioni, Volume 9, p. 10289, Camera dei deputati, 1910; Bollettino ufficiale del Ministero dei lavori pubblici, Anno XIV, p. 615, Roma 1913; Giornale dei lavori pubblici e delle strade ferrate, p. 432. Stab. Civelli, 1915; AA.VV., Cintia. Scuola Tip. Italo-Orientale S. Nilo, Grottaferrata, 1921; L. Oschki, Ricerche storiche, Volume 19, Edizioni 1-3, 1989; G. Imperiali, Diario: 19151919, Rubbettino, 2006; G. Alliney, Mrzli vrh. Una montagna in guerra, Nordpress, Chiari 2000; C. Cipolla, P. Vanni, Storia della Croce Rossa Italiana dalla nascita al 1914, Volume 1, p. 740. Franco Angeli, 2013; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 255-256. Gaspari, Udine 2019.

MArCIANI FrANCESCO

Giunto ormai in età molto matura al primo conflitto mondiale, questo ufficiale generale non sopravvisse alla spietata selezione dei quadri direttivi del Regio Esercito operata da Cadorna nei primi anni di guerra, ed in realtà perse il comando per colpe non completamente sue. Nacque a Napoli il 12 dicembre 1855, frequentò il corso 1871-73 della Nunziatella e divenne ufficiale di artiglieria a 20 anni. Promosso tenente nel 1878, prestò servizio all’8° reggimento artiglieria e nel 1882 tornò alla Scuola di applicazione, dove rimase per tre anni quale insegnante aggiunto. Promosso capitano nel 1893, fu successivamente all’11° e poi al 23° reggimento artiglieria. Nel 1889 divenne docente titolare all’Accademia di Torino e nel 1892 alla Scuola di applicazione, dove insegnava nozioni di artiglieria agli ufficiali del Genio. Promosso maggiore nel 1896, prestò servizio al 3° reggimento artiglieria da campagna e due anni dopo all’Ispettorato artiglieria da campagna. Nel triennio 1900-03 fu aiutante di campo del giovane re Vittorio Emanuele III, conseguendo nell’ottobre 1902 la nomina a tenente colonnello. Prestò quindi servizio presso il 1° reggimento artiglieria da fortezza e nel 1906 passò a comandare il 17° reggimento artiglieria da campagna a Novara, dove nel febbraio dell’anno successivo conseguì la promozione a colonnello. Nel 1908 divenne comandante in 2ª della Scuola di applicazione e nel 1911 prese il comando del 5° reggimento artiglieria. Nel marzo 1912 fu promosso maggior generale e destinato al comando dell’artiglieria da campagna

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a Verona. Entrò quindi in guerra al comando dell’artiglieria del V C.d.A. di Verona, dove rimase fino al 26 giugno 1915. Il 12 ottobre successivo fu trasferito al comando dell’artiglieria del X C.d.A., dove rimase fino al 23 marzo 1916. Alla vigilia della Strafexpedition austriaca in Trentino, fu chiamato a sostituire il generale Bodria al comando dell’artiglieria dell’intera 1ª armata, forte di circa 70.000 uomini. Accusato di erroneo schieramento delle artiglierie di grosso calibro e di un’eccessiva ansia e timore di fronte alla pressione austriaca, fu esonerato. In realtà, le responsabilità più grosse per il successo dell’offensiva austriaca vanno attribuite al comandante d’armata Roberto Brusati, il cui disegno strategico prevedeva uno schieramento eccessivamente offensivo, con concentrazione di risorse ed unità sulla prima linea. Quest’ultima fu letteralmente spianata dal tiro di distruzione operato il 15 maggio dall’artiglieria dell’11a armata austriaca lasciando perciò sguarnite le postazioni di artiglieria retrostanti. In conseguenza dell’accaduto, Marciani fu rimosso dal comando insieme a ben 21 altri generali, cui il successore di Brusati, Pecori-Giraldi, non accordava naturalmente la propria fiducia. Brusati fece ricorso alla Commissione Mazza per la revisione degli esoneri, diventando il punto di riferimento per il gruppo di suoi ex sottoposti. Ad ogni modo, Marciani, ormai tenente generale, lasciò nel 1917 il servizio attivo per esser promosso generale di divisione nella riserva nel 1923.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, I generali italiani della Grande Guerra, volume 1, A-B, p. 156. Gaspari, Udine 2011; G. Pieropan, Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, 1915-1918. Mursia, Milano 2014, p. 183-184; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 259. Gaspari, Udine 2019.

MArGhIErI GUGLIELMO

La foto dell’Enciclopedia Militare ci restituisce l’immagine di un ufficiale generale con i capelli rasati molto corti, stile assolutamente insolito per l’epoca, e provvisto di baffi e pizzo alla moschettiera. Nato a Napoli il 9 dicembre 1859, fu allievo del corso 1873-76 della Nunziatella. Passato all’Accademia di Fanteria e Cavalleria di Modena, vi conseguì la nomina a sottotenente nel 1879. Frequentò quindi i corsi della Scuola di Guerra, ma continuò a prestare servizio dell’arma di Fanteria, piuttosto che nel Corpo di Stato Maggiore. Promosso tenente colonnello nel marzo 1901, nel 1905 prestò servizio al 90° reggimento Salerno a Napoli. Nel novembre dell’anno successivo fu promosso colonnello e destinato al comando del 19° reggimento Brescia, sempre nella sua città natale, e con esso meritò la medaglia di benemerenza per l’intervento a favore dei terremotati del 1908. Due anni dopo fu nominato comandante del Collegio Militare di Roma. Nel marzo 1912 fu promosso maggior generale e destinato al comando della brigata Regina, con cui partecipò alla guerra italo-turca, meritando la medaglia d’argento perché “Dimostrò notevole capacità, slancio e noncuranza del pericolo nella condotta di truppe ai suoi ordini in ripetuti combattimenti” nelle azioni di Benina del 12 aprile, di Zauia el-Gaffa (riportata nella motivazione come Zavia es Gaffa, N.d.A.) del 29 luglio e Gabre Abdallah del 20 agosto 1913. Sempre al comando della Regina entrò in guerra e permase brevemente nell’incarico fino al 22 giugno successivo, in tempo per salvare la vita al parroco di Villesse (don Giovanni Grusovin) già condannato a morte per supposto spionaggio. Fu quindi promosso tenente generale e destinato al comando dell’8ª divisione

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di fanteria, comando che resse fino al 2 maggio 1916. Sei mesi dopo, il 26 dicembre, assunse il comando del X C.d.A. che occupava il settore occidentale dell’Altopiano dei Sette Comuni. Ne fu esonerato il 9 aprile 1917 con un provvedimento tra i più strani e controversi, oltre che insolitamente duri. Non solo, infatti, fu allontanato dal fronte, ma tre giorni dopo fu sospeso dal servizio permanente, un atto che aveva un precedente nel solo caso di Brusati. Il provvedimento chiesto da Pecori-Giraldi fu confermato da Cadorna che, pur parlando di “rammarico” a proposito del provvedimento stesso, ribadì la sua contrarietà nei confronti di un comandante che aveva dimostrato di non conoscere le proprie linee difensive sulla sinistra del Posina. Da notare come dato incongruo che il cap. Cadorna – figlio del Capo di Stato Maggiore - prestava servizio alla 9ª divisione che dipendeva appunto dal C.d.A. di Marghieri, e il padre aveva trovato “magnifica” la sistemazione difensiva di questa unità. Nel verbale di esonero si accennava anche al fatto che, pur essendo duro e rigido, non godeva della fiducia dei suoi dipendenti, ma è indubbio che fu soprattutto l’età avanzata del generale a deporre a suo sfavore. Marghieri fece ricorso alla Commissione Mazza per la revisione degli esoneri, da cui ottenne soddisfazione. Collocato in ausiliaria quindi fin dal 1917, nel 1923 ottenne il grado di generale di C.d.A. e nel 1931 transitò nella riserva.

Bibliografia: Annali del fascismo, diario del marzo 1938; Bollettino della Società africana d’Italia – Volumi 31-32, 1975; C. Gasbarri, La politica africana dell’Italia nelle carte di Pietro Bertolini. Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, Anno 30, No. 1 (Marzo 1975), pp. 107-128. Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO); M. Pluviano, I. Querini Le fucilazioni sommarie nella Prima guerra mondiale, Gaspari, Udine 2004; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 260. Gaspari, Udine 2019.

MArTINENGO DI VILLAGANAANGELO

Questo generale fu tra i più valorosi ufficiali combattenti provenienti da Pizzofalcone, che per il complesso delle sue azioni avrebbe forse meritato la medaglia d’oro al valor militare. Omonimo del senatore nato nel 1833, con il quale non va confuso e di cui fu probabilmente nipote, terzogenito di un colonnello dei Carabinieri, nacque a San Zeno sul Naviglio in provincia di Brescia il 27 dicembre 1866. Fu allievo del corso 1880-83 della Nunziatella, e fu successivamente ammesso all’Accademia di Modena, dove divenne sottotenente dei bersaglieri a 20 anni. Promosso capitano nel luglio 1902, nel 1907 prestò servizio all’11° bersaglieri adAsti. Promosso maggiore nel settembre 1913, fu assegnato all’82° reggimento Torino. Nel 1915 fu promosso tenente colonnello e destinato al comando del IV battaglione del 2° bersaglieri, con cui iniziò il conflitto e combatté soprattutto nella zona dell’Altopiano diTonezza, dove conquistò Monte Plaut e meritò la medaglia di bronzo. Passò quindi sul Cukla, sull’alto Isonzo, combattendo il 10 maggio 1916 nel settore di Q.900-Q.1000. Fu quindi provvisoriamente destinato al deposito di Torino.Tornò successivamente al fronte e sempre con il grado di tenente colonnello ebbe il comando del 37° della brigata Ravenna, che guidò dal 1° giugno 1916 al 19 gennaio 1917. Con questa unità combatté valorosamente nei tragici momenti che seguirono la Strafexpedition austriaca, conquistando durante la controffensiva i Sogli Bianchi ed il monte Calgari. Promosso finalmente colonnello, ebbe il comando del neocostituito 17°

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bersaglieri, dove rimase dal 6 febbraio 1917 al 30 agosto successivo, operando in Val Sugana e nel settore di Castagnevizza. Solo otto giorni prima di lasciare il comando, fu decorato della medaglia d’argento al valor militare perché Con ardite ricognizioni si rese conto delle posizioni, e per dirigere le proprie truppe si portò in luoghi avanzati battuti continuamente dal fuoco nemico. Rimasto il suo reggimento duramente provato in un’azione, ne raccolse e inquadrò rapidamente i superstiti, mettendoli in soli due giorni in grado di partecipare a nuove lotte, durante le quali condusse personalmente in prima linea i rincalzi, sotto l’intenso tiro dell’artiglieria avversaria, contribuendo efficacemente al successo vittorioso (sic) dell’azione. Fu quindi riconosciuto idoneo al comando di brigata e destinato il 4 settembre 1917 alla testa della Grosseto. Coinvolto con la sua unità nella rotta di Caporetto, la guidò con grande efficacia durante la ritirata dall’Isonzo al Piave e fino al 22 novembre 1917. Giunto presso i Ponti della Delizia, fu lasciato senza ordini dai generali Agliardi e Alliana, che avevano la responsabilità della testa di ponte, e che invece cercarono scampo oltre il fiume. Il Regio decreto del 4 marzo 1921 premiò la sua azione di comando in quei giorni con la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia. Il 4 dicembre fu trasferito al comando della brigata Catania dove rimase, brigadier generale nel giugno 1918, fino al termine del conflitto, combattendo sul massiccio del Pasubio e sul Piave. Per le azioni in quest’ultima zona, fu decorato di una seconda medaglia d’argento, poiché Comandante di brigata di fanteria, durante violenta offensiva nemica, che aveva travolta la prima linea, con magnifica azione personale, con pochi elementi trovati sottomano, organizzava dapprima, alla sede del suo comando, un’accanita resistenza all’attaccante di gran lunga superiore di forze e, cedendo poscia palmo a palmo il terreno, si ritirava ed organizzava la resistenza su una nuova posizione, che rappresentava l’arresto definitivo dei progressi dell’avversario in quella direzione. Nel 1920 fu destinato nuovamente ai bersaglieri, quale comandante della 2ª brigata e nel 1923 divenne comandante della brigata Toscana. Nel 1926 fu posto in aspettativa per riduzione dei quadri e due anni dopo passò nella riserva. Nel marzo 1931 presiedette con Pirzio Biroli alla scelta del monumento da erigere al bersagliere.

Bibliografia: E. Cerutti, Bresciani alla Grande Guerra: Una storia nazionale, FrancoAngeli, Milano 2017; Paolo Gaspari, la battaglia dei generali. Gaspari, Udine 2013, p. 165-166; M. Juren N. Persegati P. Pizzamus, Le battaglie sul Carso. Doline in fiamme, le “Spallate” dall’agosto-novembre 1916, Gaspari, Udine 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 265-266. Gaspari, Udine 2019.

MErrONE ENrICO

Tra i generali che, pur non esercitando un comando al fronte, diedero un contributo rilevante alla vittoria italiana merita di essere citato questo ufficiale nato a Maddaloni (Caserta) il 17 aprile 1865. Fu allievo del corso 1878-81 della Nunziatella con i futuri generali Diotaiuti, Flotteron, Galasso e Tallarigo. Ufficiale di artiglieria nel 1883, fu quindi ammesso alla Scuola di Guerra ed entrò nel Corpo di S.M. Capitano dal febbraio 1895, fu a lungo presso il comando del Corpo al Reparto Intendenza, di cui divenne un autentico esperto. Promosso maggiore nell’aprile 1905, prestò servizio al 2° reggimento granatieri a Roma, alle dipendenze del maggior generale Camerana. Nel 1909 fu di nuo-

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vo al comando del Corpo, dove rimase anche dopo la promozione a tenente colonnello nel luglio 1910. Promosso colonnello nel 1914, dal 24 maggio fu nominato Capo di S.M. dell’Intendenza generale dell’esercito, incarico che ricoprì fino al maggio 1917, venendo nel frattempo promosso maggior generale e ottenendo la croce di ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, concessa motu proprio dal sovrano nel novembre 1916. Essa andò a premiare il lavoro svolto prima nell’impianto e nell’ampliamento di tutti i servizi dell’esercito mobilitato, poi per l’azione prestata in occasione dell’offensiva austriaca della primavera del 1916, delle offensive su Gorizia e nel Vallone di Doberdò. Fu decorato anche di medaglia d’argento per la salute pubblica, per gli interventi nei confronti dei colpiti da malattie infettive. Fu posto in posizione ausiliaria nel 1918 e promosso tenente generale l’anno successivo. Morì a Roma nel 1923.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 269-270. Gaspari, Udine 2019

MONETAGIOVANNI

Come per molti generali che hanno speso il periodo bellico in ruoli di supporto, di questo ufficiale abbiamo poche e scarne informazioni. Nato il 31 luglio 1855 a Portoferraio (Livorno), fu allievo del corso 1870-73 della Nunziatella e divenne sottotenente del genio nel 1877. Tenente colonnello nel dicembre 1901, fu a lungo addetto presso il Ministero della Marina, dove divenne capo ufficio del genio dopo la promozione a colonnello, avvenuta il 15 marzo 1906. Nel 1908 guadagnò la medaglia d’argento di benemerenza per l’intervento a favore delle vittime del terremoto di Messina e Reggio. Continuò a restare a disposizione del Ministero della Marina anche dopo la nomina a maggior generale, avvenuta nel luglio 1912, tenendo l’incarico di ispettore per i lavori richiesti da questa forza armata. In particolare, fu autore della progettazione del terzo bacino di carenaggio dell’Arsenale di Venezia. Promosso tenente generale nell’ottobre 1915, fu nominato comandante del presidio di Aquileia. Riuscì ad ottenere il comando di specialità presso una grande unità mobilitata solo il 25 dicembre 1917, quando divenne responsabile del genio della 2ª armata. Come tale, fu responsabile dei lavori di preparazione e fortificazione di un fronte molto ampio, che si sarebbe rivelato critico specie in occasione dell’offensiva austro-tedesca dell’ottobre 1917. Lasciò tale incarico solo il 1° giugno 1918, per ricoprire lo stesso ruolo all’8ª armata, dove restò fino alla fine di agosto. Il 30 assunse il comando del genio della 9ª armata, che lasciò a metà di febbraio del 1919. La guerra lo vide decorato solo di una medaglia di bronzo per le sue azioni sul Montello del marzo giungo 1918, un’autentica miseria nei confronti delle decorazioni assegnate ad altri colleghi parigrado. L’ingenerosa decorazione gli fu poi riconvertita in argento nel 1921, un metallo più nobile e più adeguato alla motivazione, che recitava Comandante del genio di armata, con somma perizia ed instancabile energia, col costante personale esempio di abnegazione, di coraggio e di sprezzo del pericolo, si prodigava giorno e notte alla sistemazione difensiva di un’importante zona intensamente battuta, portando la sua personale attività, oltre che sulle linee, in ricognizioni pericolose, pel più rapido consolidamento della fronte. Durante la battaglia fu esempio costante di fervore ed indomita perseveranza, concorrendo al buon successo delle operazioni. Nel 1920 fu Ispettore generale del genio a Roma e passò quindi in posizione ausiliaria speciale. Nel 1923

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fu anche lui promosso generale di divisione nella riserva, alle dipendenze del C.d.A. di Roma, anche in questo caso un magro riconoscimento, vista la nomina a tenente generale che risaliva al 1915. Nel 1926 risulta consigliere della Società anonima banca “Leone XIII” di Carpineto Romano.

Bibliografia: “Bollettino dell’Istituto storico e di cultura dell’Arma del Genio”, p. 13, 1947; G. Baldini, L’arma del Genio. Edizione di Rivista Militare, 1991, p. 212; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 291-292. Gaspari, Udine 2019.

MOrABITOALESSANDrO

Ufficiale d’artiglieria, nacque a Mongiana (CZ) il 27 dicembre 1859. Fu allievo del corso 1875-78 della Nunziatella e passò successivamente all’Accademia di Torino, da cui uscì sottotenente nel 1880. Promosso capitano nel novembre 1889, prestò servizio al 7° reggimento artiglieria da campagna a Pisa. Nel dicembre 1904 fu promosso maggiore ed assegnato all’8° reggimento artiglieria da campagna a Verona, agli ordini del colonnello G. Lang, dove rimase fino alla promozione a tenente colonnello avvenuta nel settembre 1911. Passò quindi al 20° reggimento artiglieria da campagna e nel 1915 fu promosso colonnello.Iniziòilconflittoalcomandodel2°reggimentoartiglieriadafortezza,perpassare poi al comando del 12° reggimento da campagna. Promosso colonnello brigadiere, il 29 ottobre 1916 assunse il comando dell’artiglieria del II C.d.A. che tenne fino al 17 febbraio dell’anno successivo. Colpito da un provvedimento di esonero, come molti colleghi della specialità che non riuscivano a adattarsi ai cambiamenti tecnico-tattici imposti dal conflitto, e sostituito dal collega Garnier, passò lo stesso anno in posizione ausiliaria. Promosso comunque maggior generale, nel 1921 transitò nella riserva. Morì nel 1923.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 297. Gaspari, Udine 2019.

NECCOANTONIO

Questo generale detiene forse il record per il più breve periodo di impiego bellico nel corso della Grande Guerra. Campano, ufficiale del genio, nacque a Gaeta il 4 febbraio 1858. Allievo del corso 1874-78 della Nunziatella, sottotenente a Torino nel 1879, fu assegnato al 1° reggimento genio zappatori. Promosso maggiore nel giugno 1902, fu nuovamente al 1° reggimento genio, allora agli ordini del colonnello P. Spaccamela, e successivamente (1907) alla Direzione del genio di Napoli. Tenente colonnello dal marzo dell’anno successivo, nel 1910 fu assegnato alla sotto-direzione autonoma di Taranto. Alla città pugliese legò gran parte del resto della sua carriera. Promosso colonnello nel febbraio 1912, assunse infatti l’incarico di capo ufficio fortificazioni di Taranto che conservò fino al 1918, maggior generale dal 24 agosto 1916. L’ultimo giorno del conflitto fu destinato al comando del genio del XXII C.d.A. che conservò fino al 24 marzo dell’anno successivo. Nel 1920 passò in posizione ausiliaria speciale e 4 anni dopo fu nominato generale di divisione nella riserva. Morì a Napoli nel 1926.

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Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 308. Gaspari, Udine 2019.

NOVELLI COrrADO

Nato adAncona il 9 febbraio 1859, fu allievo del corso 1873-76 della Nunziatella. Nominato sottotenente d’artiglieria a Torino nel 1878, frequentò la Scuola di Guerra e fu promosso maggiore nel febbraio 1902. Prestò a lungo servizio al 1° reggimento di artiglieria da campagna a Foligno, agli ordini dei colonnelli Cugia e Solinas. Tenente colonnello dal settembre 1907, fu messo alle dipendenze del comando del Corpo di S.M., dove rimase fino alla promozione a colonnello, avvenuta il 5 maggio 1912. Gli fu affidato il comando del 32° reggimento artiglieria da campagna, col quale iniziò il conflitto. Il 27 ottobre 1915 gli fu affidata l’artiglieria dell’VIII C.d.A., comando che cedette al collega E. Resio il 23 gennaio 1916. Maggior generale dal 1° dicembre 1915, il 20 marzo 1916 raggiunse inAlbania il XVI C.d.A., la cui artiglieria comandò fino al 13 settembre successivo. Rientrato in Italia, il 7 aprile 1917, senza mai aver condotto prima una brigata, si vide affidato il comando della 60ª divisione. Nonostante l’inesperienza nella conduzione di grandi unità, ebbe modo di dare prova di coraggio mentre operava sulle alture di Gorenje Vas, nelle vicinanze del monte Matajur. Come recita la motivazione della medaglia d’argento al valore ottenuta quel giorno, In terreno sconvolto o battuto da violento bombardamento nemico, percorreva intrepido una mulattiera ingombra di uomini e di materiali, rincorando i soldati ed impartendo ordini ai propri ufficiali, e, benché contuso per lo scoppio di una granata, conservava calmo contegno, dando a tutti esempio di coraggiosa fermezza. Per uno dei casi non infrequenti di schizofrenia burocratica delle superiori gerarchie, lo stesso giorno fu esonerato dal suo incarico per richiesta del generale Capello, a causa del ritardo accumulato dalla sua unità nell’avanzare verso il Kuk 711, e sostituito dal generale Squillace. Allontanato dal fronte isontino, il 18 ottobre 1917 fu destinato al comando, prima interinale poi effettivo, dell’artiglieria dell’Occupazione Avanzata Frontiera Nord-ovest, dove restò – salvo un breve intermezzo alla 5ª armata – fino al 10 gennaio 1919. Posto nel dopoguerraadisposizionedelC.d.A.diAncona,nel1920passòinposizioneausiliariaspecialeenel1923fupromossogeneraledidivisione.Nel1928fucollocatoariposo.Sposòla nobildonna Marta Pesci Feltri, da cui ebbe il figlio Gastone, asso dell’aviazione durante la Grande guerra nella squadriglia di Baracca, tre volte medaglia d’argento al valor militare e precocemente scomparso nel 1919 in un incidente di volo.

Bibliografia: C. Novelli, Tenente Gastone Novelli dei Lancieri di Novara, asso della squadriglia “Baracca”: cenni biografici. S.l. s.n., 1919; R. Gentilli, A. Iozzi, P. Varriale, Gli assi dell’aviazione italiana nella Grande Guerra, Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare, Roma 2002; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 311-312. Gaspari, Udine 2019.

NOVELLI ENrICO

Nacque il 20 maggio 1869 a Perugia e fu il valoroso quanto sfortunato protagonista dell’ultimo successo di Conrad von Hotzendorf in Italia, la conquista del nodo montano

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delle Melette sull’Altopiano dei Sette Comuni.Allievo del corso 1883-86 della Nunziatella, sottotenente nei bersaglieri nell’agosto 1887, da tenente fu in Cina nella campagna internazionale del 1900-01 e nel luglio dell’anno successivo fu promosso capitano e destinato al 7° bersaglieri a Milano, allora agli ordini del colonnelloA. Scotti. Maggiore nel 1915, fu promosso colonnello agli inizi dell’anno successivo e il 23 giugno 1916 assunse il comando del 5° bersaglieri, dove sostituì il colonnello Eugenio Di Maria, destinato a morire pochi giorni dopo al comando della brigata Sassari. Durante questo periodo, guadagnò una medaglia di bronzo al valore per “l’abituale e brillante calma e intrepidezza” e la stima che seppe guadagnarsi dai suoi bersaglieri. Lasciò i fanti piumati il 15 agosto 1917, dopo aver combattuto sull’Altopiano dei Sette Comuni. Assunto il comando della brigata Lambro (anche se i diari non lo registrano tra i comandanti di questa unità), affrontò la ritirata di Caporetto, aprendosi eroicamente la strada sia sulla Bainsizza sia sul Tagliamento e meritando la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (Regio decreto del 18 dicembre 1919). Fu quindi destinato (26 novembre 1917) al comando della 1ª brigata bersaglieri, con la quale ascese il saliente delle Melette (Altopiano dei Sette Comuni). Qui il 4 dicembre successivo fu attaccato dalla 1ª brigata austro-ungarica da montagna e dall’11ª brigata di fanteria che sfondarono a selletta Baratono e, aggirando la brigata ai due lati la fecero prigioniera.Avviato in una struttura di detenzione come i colleghi ex allievi Tallarigo e Taranto, rimpatriò solo a guerra finita. Gli fu affidato il comando della brigata Messina ad Ancona (1920) e nel 1927 fu promosso generale di divisione. Non esercitò però tale comando e fu posto in aspettativa per riduzione dei quadri. Nel 1932 risiedeva a Milano.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 312. Gaspari, Udine 2019.

pASqUALINO SALVATOrE

Marchese e patrizio di Bari, questo ufficiale di artiglieria nacque a Palermo il 30 gennaio 1861. Allievo del corso 1874-77 della Nunziatella, fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1879. Fu promosso maggiore nell’aprile del 1904 e assegnato al 18° reggimento artiglieria da campagna, all’Aquila. Nel 1906 passò al 22° reggimento da campagna, in servizio nella natia Palermo, dove rimase anche dopo la promozione a tenente colonnello, avvenuta nel settembre del 1910. Solo alla fine del 1914, promosso colonnello, assunse il comando del 36° reggimento artiglieria da campagna, col quale iniziò il conflitto. Maggior generale dal 1° aprile 1917, il 15 novembre successivo assunse il comando dell’artiglieria del XXIV C.d.A. che tenne peraltro una sola settimana fino al 22. Il 17 dicembre 1917 divenne invece comandante dell’artiglieria del I C.d.A. della 4ª armata e tale restò fino al 12 gennaio 1919. Combatté quindi sul lato orientale del massiccio del Grappa (Tomba-Monfenera), meritando la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (Regio decreto del 19settembre1918)percomeschieròleartiglierieesoffocòinfasedicontrobatterial’attacco austro-ungarico sul Grappa. Il generale Baj-Macario nell’annosa polemica con Giardino sull’opportunità di effettuare o meno la contropreparazione anticipata, dal comandante dell’armata del Grappa negata anche per la 6ª armata, ne citò l’azione nella conca di Alano-Queropersmentireilsuocomandanted’armata.Passatoinposizioneausiliariaspeciale nello stesso 1919, nel 1923 fu nominato generale di divisione; tre anni dopo fu richiamato

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in servizio temporaneo fino al 1930. In quest’anno fu collocato definitivamente a riposo.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 327-328. Gaspari, Udine 2019.

pASTOrE UMBErTO

Ufficiale del genio di origini piemontesi, nacque a Casale Monferrato il 10 luglio 1862. Allievodelcorso1876-79dellaNunziatella,fuammessoall’AccademiadiTorinoeneuscì sottotenente nel 1881. Fu quindi inAfrica Orientale nella campagna del 1887/88 e vi ritornò dieci anni dopo. Promosso maggiore nel gennaio 1904, fu dapprima alla sottodirezione autonoma di Perugia e quindi – nel 1906 - al 4° reggimento genio pontieri di Piacenza, agli ordini del colonnello A. Squillace. Promosso tenente colonnello nel settembre 1910, nel 1914 prestò servizio alla sottodirezione di Padova, alle dipendenze della direzione di Verona.Colonnelloagliinizidel1915,ebbeilcomandodel1°reggimentogeniozappatori. In questo periodo, ottenne la medaglia d’argento di benemerenza per l’intervento contro l’epidemiadicoleradell’Isonzodel1915-1916.Ormaicolonnellobrigadiere,il28febbraio 1917, prese il comando del genio del XXVI C.d.A. Nell’aprile 1918 fu promosso maggior generaleeconRegiodecretodelsuccessivo3giugnoglifuriconosciutalacrocedicavalieredell’OrdineMilitarediSavoiaperilavoridifensivimessiinattosull’AltopianodeiSette Comuni - anche come comandante ad interim del Genio di altre grandi unità - nel periodo aprile 1917-febbraio 1918. Negli ultimi mesi di guerra operò sul basso Piave, partecipando alla battaglia di Vittorio Veneto e di fatto rendendola possibile, come ben recitato dalla motivazione della medaglia d’argento al valore che gli fu attribuita: Quale comandante del genio di un corpo d’armata mobilitato, durante il lungo periodo di assestamento sul fronte del basso Piave e in quello attivissimo di preparazione che precedette l’avanzata, progettò ed esegui opere d’arte che facilitarono il compito alle truppe attaccanti al momento dell’avanzata, durante la quale, personalmente, dirigeva il gittamento di ponti e di passerelle sul Piave, esponendosi con sereno ardimento. Dal 1° febbraio 1919 fu incaricato di ricoprire il ruolo di comandante del Genio della 4ª armata, dove restò fino al 18 luglio successivo. Pocodopo la guerrascelsecome molti colleghi di transitare in posizioneausiliariaspeciale enel1923fupromossogeneraledidivisione.Nel1931passòdefinitivamentenellariserva.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 328. Gaspari, Udine 2019.

pENNELLAGIUSEppE

Quella di Pennella è una delle figure di ex-allievi della Nunziatella che giganteggiano sul resto dei colleghi impegnati sul Fronte Italiano. Fu ufficiale distinto, colto e dal coraggio leonino, e insieme uomo dal carattere imperioso e poco diplomatico e con la fama di piantagrane. In omaggio al suo indiscusso valore, anche nelle avversità in cui incappò verso la fine della Grande Guerra fu trattato con riguardo dai comandi superiori, che riservarono ad altri generali un trattamento molto meno benevolo. Nato da Antonio e Maddalena Plastino a Rionero inVulture (PZ) l’8 agosto 1864, fu allievo del corso 1877-

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80 della Nunziatella.Ammesso all’Accademia di Modena, ne uscì sottotenente di fanteria nel luglio 1883 e fu destinato al 22° reggimento fanteria Cremona. Nominato tenente nel settembre del 1886, fu destinato all’82° reggimento Torino. Fu quindi ammesso alla Scuola di Guerra e transitò dalla fanteria al Corpo di Stato Maggiore. Promosso capitano nell’ottobre 1896, tra il 1902 e il 1905 si fece notare per un’intensa e qualificata attività pubblicistica nel campo dell’organica militare e dell’addestramento delle truppe. Nel 1905 fu trasferito all’VIII corpo d’armata ed operò alle dipendenze del tenente generale A. Baldissera, avendo come capo di S. M. il colonnello E. Reisoli. Promosso maggiore nel giugno 1906, fu nominato comandante di battaglione al 1° reggimento granatieri a Roma, allora comandato dal colonnello Scribani-Rossi, alle dipendenze del comandante di brigata maggior generale V. Camerana. In questo periodo la sua attività pubblicistica crebbe in qualità e profondità, dato che dette alle stampe un’importante opera di tattica applicata e un manuale per l’ufficiale di complemento che fu diffuso in 125.000 copie e conobbe ventuno edizioni. In quest’ultimo lavoro si segnalò come esponente del conservatorismo nell’Esercito di stampo eminentemente cadorniano, ponendo l’accento sulla necessità del distacco tra l’ufficiale e i subalterni, e sulla disciplina assoluta. Nel 1908 riprese a prestare servizio di Stato maggiore ed in particolare fu nominato capo di Stato maggiore della 21a divisione di Bari. Rientrò presso il comando del corpo di Stato maggiore nel 1910 e nel giugno 1911 fu promosso tenente colonnello, rimanendo presso l’organo dirigenziale centrale dell’esercito fino alla vigilia del conflitto. Esordì nella Grande guerra in quanto membro del Comando supremo, ed in particolare ricoprendo l’incarico di capo ufficio segreteria, ottenendo il 31 luglio dello stesso anno l’avanzamento al grado di colonnello. Incaricato nei fatti di essere il portavoce di Cadorna, ricoprì questo incarico fino al novembre 1915. Come detto, col capo di S. M. dell’Esercito egli condivideva un certo astrattismo scolastico che compare nelle sue opere, e una rigidità nella conduzione delle operazioni che gli causò in seguito non pochi problemi. La tendenza a favorire gli ufficiali che ne condividevano le idee e la simpatia contribuì non poco a creare tensioni all’interno dell’ambiente di Udine. Sostituito dal colonnello Bencivenga e promosso colonnello brigadiere, assunse il 4 dicembre 1915 il comando della brigata Granatieri. Dopo aver ottenuto la nomina a maggior generale il 30 marzo 1916, con questo reparto fu impegnato in combattimento nella famigerata posizione del Lenzuolo bianco davanti a Oslavia. Durante la Strafexpedition austriaca tenne bravamente la posizione sul monte Cengio insieme ai suoi granatieri. Sotto il suo comando, i “fanti lunghi” del 2° reggimento compirono un’impresa tanto valorosa quanto terribile: esaurite le munizioni, ingaggiarono gli avversari in un furibondo corpo a corpo, arrivando ad avvinghiarsi ed un nemico e gettarsi in un dirupo che da allora fu denominato il Salto del Granatiere. Per l’accanita resistenza, che di fatto fermò l’avanzata delle truppe nemiche ed evitò che dilagassero in pianura, Pennella ricevette la medaglia d’argento al valore con la seguente motivazione: Comandante di sottosettore, diede mirabile prova di valentia, di ardimento e di saldezza d’animo, e diresse vigorosamente la resistenza contrastando al nemico per più giorni, nonostante la soverchiante preponderanza dei suoi mezzi, posizioni di segnalata importanza. La sua costante frequenza in prima linea durante i combattimenti fra il 29 maggio e il 3 giugno 1916 lo portò ad essere gravemente ferito al volto e a perdere l’occhio destro. Per i combattimenti impegnati sul Cengio, Pennella chiese inutilmente la medaglia d’oro per la bandiera della propria brigata, ma la ricompensa fu rifiutata dal comandante di divisione Trallori e infine concessa solo a guerra finita. Tra le motivazioni per il rifiuto vi fu il numero altissimo di perdite dell’u-

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nità soprattutto in termini di dispersi. Nella percezione dei comandi superiori, infatti, così tanti dispersi equivalevano a un numero elevato di prigionieri e gettavano un’ombra sulla tenuta organica dei Granatieri. Inoltre, la scelta di mantenere solo un velo di truppe sulla sponda destra dell’Assa, e concentrare il grosso delle forze più indietro, fu mal giudicato come scelta tattica. Nonostante le critiche espresse dal comandante di divisione – cui forse questo “spiccante” maggior generale faceva un po’ombra – Pennella non subì alcun provvedimento. Ritornato sul Carso, tra il 9 e il 15 agosto del 1916 guadagnò la seconda medaglia d’argento in pochi mesi, poiché Intelligentemente preparò e valorosamente condusse la sua brigata all’attacco ed alla conquista i forti e ben munite posizioni nemiche. L’azione che gli guadagnò questa seconda decorazione fu la conquista del monte San Michele, che aprì la strada alla presa di Gorizia. Tra il 14 ed il 15 settembre 1916 combatté valorosamente sulle posizioni traVelicki Kriback e S. Grado, guadagnando la terza medaglia d’argento con una lusinghiera motivazione: Anima della sua brigata, avvivato nelle truppe lo spirito offensivo e la fede nel successo, le guidava con grande valore, intelligenza ed energia, superando gravi difficoltà, contro le trincee avversarie, spezzando la resistenza nemica nelle basse pendici del Veliki e conquistando, con rapido, brillante slancio, l’altura di S. Grado. Il successivo 28 dicembre la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia venne a premiare il complesso delle sue azioni al comando dei Granatieri. Tornò quindi ad incarichi di Stato Maggiore, quale capo di S. M. della 4ª armata in Cadore, dove restò per tutto il periodo invernale dal 7 dicembre 1916 al 24 aprile dell’anno successivo. In questo periodo mantenne una fitta corrispondenza con la moglie Elisa e le figlie Maria e Antonietta. Il 6 maggio 1917 fu quindi destinato ad assumere il comando della 35ª divisione, in seguito Corpo di spedizione italiano in Montenegro, gratificato il 13 giugno dalla promozione a tenente generale per merito di guerra. Il carattere non lo rendeva certo adatto alla collaborazione con i francesi, i quali prevedevano per i reparti italiani un ruolo chiaramente subordinato. Ebbe quindi dei duri scontri col comandante francese generale Sarrail, che ne causarono in seguito la mancata promozione a comandante della 6ª armata, la quale avrebbe dovuto operare a contatto con le divisioni transalpine. Rientrato in Italia il 16 giugno 1917, dopo aver cercato invano di sfondare la linea austro-tedesca a Q.1050, fu destinato quale capo di S. M. del duca d’Aosta alla 3ª armata, non certo una sinecura, vista la sostanziale assenza di responsabilità da parte di Emanuele Filiberto.Assunto tale incarico il 24 giugno, lo cedette al collega Vaccari il 6 ottobre 1917 quando, idoneo al comando di un C.d.A., nuovamente per merito di guerra, fu destinato all’XI. Guidò l’XI C.d.A. dal 7 ottobre 1917 al 27 gennaio 1918, superando il Tagliamento a Codroipo durante la ritirata di Caporetto, e occupando nel novembre 1917 la linea del Piave, da Ponte della Priula a Saletto. A premiarne l’opera il 24 febbraio 1918 arrivò anche la commenda dell’Ordine Militare di Savoia. Il 1° marzo 1918 lasciò il suo C.d.A. per assumere il comando della ex-2ª armata, rinominata 8ª - egli avrebbe voluto chiamarla armata del Montello - e destinata alla difesa della cima omonima. In questo incarico, difese efficacemente la posizione dal tentativo di sfondamento austro-ungarico, il che ne fece crescere considerevolmente la fama, tanto dall’essere indicato l’8 settembre 1918 dal quotidiano francese Le Petit Journal, assieme al generale G. Ricci, come il vincitore della battaglia del Solstizio. Commise tuttavia successivamente due errori essenziali: sottovalutò fino alla fine la minaccia che incombeva contro le sue posizioni e non riuscì poi, ad occupazione avversaria avvenuta, a dare l’unitarietà e il necessario sostegno ai contrattacchi destinati a ributtare l’avversario, ostentando un ottimismo regolarmente smentito dai fatti. Il 23 giugno 1918 al

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suo comando giunse quindi Caviglia, con l’incarico di sostituirlo. Pennella dormiva ignaro e Caviglia ordinò che non fosse svegliato, gli avrebbe comunicato l’avvenuto esonero il mattino successivo. Probabilmente il rispetto che si era guadagnato sul campo fece in modo che non fosse allontanato dal fronte. Il 4 luglio successivo fu destinato al comando del XII C.d.A. in sostituzione del generale Cattaneo, in uno dei settori più tranquilli della 6ª armata. Durante l’offensiva di Vittorio Veneto le sue truppe liberarono Pergine Valsugana e Giavera del Montello, e gli abitanti, dopo la sua morte, vi eressero una statua in suo onore. Lasciò il comando del XII solo il 15 luglio 1919, una volta svanita la possibilità di impiegarlo nella progettata spedizione transcaucasica, e gratificato di una medaglia di bronzo per le azioni conclusive in quella stessa Val d’Assa che gli aveva dato dei problemi in passato, e dove dette di nuovo prova di notevole valore individuale. Nell’agosto 1919 fu assegnato al comando della zona militare di Trieste, e da qui al comando del C.d.A.Territoriale di Firenze. Ne fu allontanato alla fine di novembre del 1920, per “aver voluto riportare la disciplina fra le truppe” attaccate dai bolscevichi, come sostenne egli stesso; o perché i postumi della vecchia ferita alla testa e le conseguenti crisi nervose ne consigliavano il ricovero, come sostenne il Ministero della Guerra. Storicamente legato a politici come Leonida Bissolati, che ne aveva condiviso alcune esperienze al fronte, fu progressivamente isolato da Diaz e dal resto dei vertici militari. Amareggiato dalla perdita del suo ruolo, si rinchiuse in un progressivo isolamento, guadagnandosi il soprannome di “generale silenzioso”. Morì nella sua villa di Fiesole il 15 settembre 1925.

Bibliografia: Arch. di Stato di Potenza, Archivio Giuseppe Pennella. Inoltre: A. Mennella, Commemorando il generale G. P., Melfi 1927; Il generale G. P. nel centenario della sua nascita, a cura di M. Botter, Treviso 1964; La battaglia del Montello, a cura di M. Botter, Treviso 1968, ad indicem; V. Verrastro, Archivi di famiglie, storie di persone, Viterbo 2004, pp. 43 s; D. Tamblé, G. P. Lettere dal fronte di un generale lucano, in La Grande Guerra nella memoria Italiana, Roma 2009, pp. 121-137; G. Bollini P. Gaspari, La battaglia del Solstizio 15-24 giugno 1918, Gaspari, Udine 2018; B. Di Martino, P. Gaspari, R. Tessari, La battaglia del Montello. Giugno 1918, Gaspari, Udine 2019; G. Pennella, La questione urgente: il problema dei quadri nel R. Esercito italiano, Roma 1902; G. Pennella, Studio comparativo fra i regolamenti di esercizi per la fanteria in Germania, Svizzera, Italia, Francia, Russia e Austria, Roma 1902; G. Pennella, Le mitragliatrici nell’avanscoperta, Roma 1905; G. Pennella, Il nuovo regolamento di esercizi per la fanteria: commentato e comparato a quello finora in vigore, Roma 1905; G. Pennella, Il terreno della regione comprendente i dintorni di Firenze: studio geografico e topografico tattico, Roma 1906; G. Pennella, Il vademecum dell’ufficiale combattente: ricordi di tattica, logistica, organica, topografia e geografia, Roma 1907; G. Pennella, Il vademecum dell’allievo ufficiale di complemento, Roma 1908; G. Pennella, Saggi di tattica applicata per minori reparti delle tre armi, Roma1907-1909; G. Pennella, Seconda serie di Saggi di tattica applicata per minori reparti delle tre armi, contenente le soluzioni dei temi dati a svolgere negli esperimenti per la promozione a maggiore nel 1908, Roma 1909; G. Pennella, Vademecum dell’allievo ufficiale di complemento, Napoli 1911 e 1913; G. Pennella, La nostra rinnovata regolamentazione tattico-logistica, riassunta e ordinata per affinità di argomento, Roma 1914; G. Pennella, Il vademecum dell’allievo ufficiale di complemento: Svolgimento sintetico completo dei programmi ministeriali di tattica e servizio di Guerra, fortificazione, topografia e organica, nozioni complementari, Roma 1913, 1914, 1915, 1917; G. Pennella, Il breviario dei doveri del comandante di plotone in guerra, Roma 1915; G. Pennella, Discorso per la distribuzio-

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ne delle medaglie al valore alla brigata granatieri, pronunziato il 14 maggio 1916 nel Prato a Sud di Cortello sulla strada Udine-Palmanova, Roma 1916; G. Pennella, Ordine del giorno [13] dicembre 1916: Oggetto Commiato 1916; G. Pennella, Dodici mesi al comando della brigata granatieri (2 voll), Roma, 1923; G. Pennella, Pel battesimo di due gagliardetti: discorso tenuto nel salone del palazzo S. Giorgio in Genova il 29 aprile 1923,Genova 1923; G. Pennella, M. Botter, Il combattimento del 29 marzo 1916 al “lenzuolo bianco”: frammento di relazione ristampato in occasione dell’85° compleanno del generale di divisione Teodoro Alessi, 4 novembre 1959, Treviso 1959; G. Pennella, La leggenda dei granatieri al Cengio: riprodotta nel cinquantenario della battaglia degli altopiani 1916-1966, Treviso 1966; G. Pennella M. Botter, La battaglia del Montello: nel cinquantenario della battaglia, Giavera del Montello 1968; F. G. Moretti, G. Pennella, I diritti del reduce e dei suoi eredi: raccolta completa delle disposizioni legislative regolamentari e ministeriali, Firenze 1920; A. Ghelli, G. Pennella, Napoleone: l’uomo, il sistema napoleonico, i principi della guerra napoleonica, Firenze 1923; G. Bollini P. Gaspari M. Pascoli N. Persegati P. Pozzato, La Grande Guerra italiana. Le battaglie, Gaspari Udine 2015; F. Cappellano B. Di Martino, Un esercito forgiato nelle trincee. L’evoluzione tattica dell’esercito italiano nella Grande Guerra, con un saggio di Alessandro Gionfrida sulla struttura del Comando Supremo, Gaspari, Udine 2008; F. Cappellano B. Di Martino, I reparti d’assalto italiani nella Grande Guerra (1915-1919), 2 voll., USSME, Roma 20162; R. Bencivenga, Il periodo della neutralità, Gaspari, Udine 2014; G. Bollini, F. Cappellano, B. Di Martino, P. Gaspari, I combattimenti degli arditi sul Piave nel giugno 1918, Gaspari, Udine 2018; Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 334-336. Gaspari, Udine 2019.

pErrIS CArLO

“Le labbra del brigadiere tremavano di sdegno in mezzo alla bufera crescente. Quando ci si arrabbia a quel modo in mezzo a quel turbinio di ferro e di fuoco è segno che si ha non solo un gran coraggio e una gran coscienza, ma che ce ne avanza da vendere a qualcheduno che manca dell’uno e dell’altra”. Pressoché l’intero Introduzione alla vita mediocre di Arturo Stanghellini è una celebrazione di questo generale, sempre presente in prima linea, capacedicombattereconessinelcorsodellaritirataalPiaveenell’ansadiZenson,pronto al colloquio anche con l’ultimo dei suoi uomini. Nato adAngri da Roberto e Concetta Di Lorenzo il 28 ottobre 1869, fu allievo del Collegio militare della Nunziatella di Napoli dal 1883 e uscì dalla Scuola sottotenente di cavalleria nel 1890. Transitato in fanteria nel settembre 1892, vi fu promosso tenente nel marzo di quattro anni dopo e destinato al 43° reggimento Forlì, agli ordini del colonnello O. Roffi e del maggior generaleA. Panizzardi. Capitano dall’aprile 1906, dopo sei mesi di aspettativa per motivi familiari, rientrò in servizio e partecipò alle campagne libiche del 1911-13, meritando a Sidi Bilal la medaglia di bronzo il 20 settembre 1912, con la seguente motivazione: Coadiuvò il comandante di brigata con instancabile lena e spirito d’iniziativa, spesso percorrendo coraggiosamente a cavallo, anche zone intensamente battute dal fuoco nemico. Promosso maggiore agli inizi del 1915, entrò in guerra al comando del IV battaglione del 30° Pisa, di cui restò al comando fino al 6 agosto dell’anno successivo. Allo scoppio della Grande Guerra col 4° battaglione del 30° passò per primo l’Isonzo all’altezza di Sagrado, meritando una prima medaglia d’argento, con la seguente motivazione: In un tentativo di passaggio dell’Isonzo, sottoposto, col battaglione ai suoi ordini, a cruento fuoco avversario, manteneva cal-

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ma e contegno ammirevoli, riuscendo, nelle critiche circostanze in cui si trovò il reparto, a conservare la coesione delle compagnie, a portare con sé diciotto prigionieri catturati al principio dell’azione ed a porre in salvo numerosi feriti.Promossonelfrattempotenente colonnello, assunse il 7 agosto 1916 il comando del 13° Pinerolo che lasciò il 4 giugno 1917, dopo aver ottenuto il 15 agosto 1916 sul Pecinka la seconda medaglia d’argento, con la seguente motivazione: Mentre l’ala destra del suo reggimento, fortemente provata per il violento fuoco di potenti batterie avversarie, cominciava a retrocedere, essendo stato sconvolto i trinceramenti sulle posizioni occupate, con fermezza e coraggio, sprezzante del pericolo, energicamente interveniva e, con la parola e con l’esempio, in unione ai pochi ufficiali superstiti, riusciva di condurre i reparti sulla posizione contesa che fu poi mantenuta. SulVolkovniak invece ottenne la promozione a colonnello per merito di guerra, salutata dalla celebrazione di D’Annunzio, cui era legato da profonda stima reciproca. Fu presto riconosciuto idoneo al comando di brigata. Il giorno successivo al suo congedo dal 13° reggimento assunse quindi il comando della stessa Pinerolo che guidò fino al termine del conflitto. Durante i combattimenti nella zona di Podj Korite meritò la terza medaglia d’argento, con la seguente motivazione: Guidò con perizia le operazioni della sua brigata. Diede mirabile esempio di calma e sprezzo del pericolo ai suoi dipendenti. Il 22 agosto, allo scopo di constatare lo stato dei reticolati nemici, attraverso i quali durante l’azione dovevano passare reparti di truppe della sua brigata, si recò egli stesso, allo scoperto, fuori dalle trincee e doline ove si trovavano appiattate le truppe. Con la Pinerolo combatté nella seconda metà di novembre 1917 nell’ansa di Zenson, non riuscendo a respingere il nemico, ma arrestandone la progressione. Passò quindi sull’Altopiano dei Sette Comuni, dove durante la battaglia del Solstizio respinse gli attacchi del VI C.d.A. austro-ungarico alla linea di Cima Eckar-Cima Cischetto, alle dipendenze del XIII C.d.A. del tenente generale Sani. Queste azioni gli valsero la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia nel settembre 1918. Durante l’ultima offensiva – già promosso brigadier generale dal 20 giugno 1918 – occupò dopo vari scontri con le retroguardie avversarie la Val Galmarara e il valico di Bocchetta Portule. Mantenne il comando della sua brigata anche nei primi anni del dopoguerra e nel 1926 ottenne la promozione a generale di divisione, assumendo subito il comando di quella di Chieti. Nel 1927 si iscrisse al PNF. La sua carrieraaquestopuntodecollòdefinitivamenteenelgirodipochiannifupromossoprima generale di C.d.A. (gennaio 1930), posto al comando del C.d.A. di Milano (1931); quindi nel novembre 1932 generale designato d’armata, destinato l’anno dopo al comando di quella di Napoli. Nell’aprile 1932 divenne presidente della Commissione d’esame delle proposte di ricompensa al valor militare e il 30 ottobre dell’anno successivo fu nominato senatore. Il 18 novembre 1937, in occasione del 150° anniversario della fondazione della Nunziatella, comandò la sfilata degli ex-allievi alla presenza del re, anch’egli ex-allievo. Deferito il 7 agosto 1944 per la sua presunta collaborazione con il Fascismo insieme alla quasi totalità dei colleghi senatori, morì a Napoli il 26 dicembre dello stesso anno. Il 18 gennaio 1945, lo stesso Senato stabilì il non luogo a procedere per il suo deferimento. Sposato con Caterina Giotta, ne ebbe tre figli.

Bibliografia: Fascicolo personale del senatore Carlo Perris, Archivio Storico del Senato; G. Abate, Il 13° fanteria (brigata Pinerolo) nell’ultima guerra d’indipendenza 1915-1918, Milano 1919; S. Castronuovo, Storia della Nunziatella, Civita, Napoli 1990. A. Stanghellini Introduzione alla vita mediocre – dal 1916 al dopoguerra passando per Caporetto, Tarka, Mulazzo 2018; G. Bollini P. Gaspari, La battaglia del Solstizio 15-24 giugno 1918,

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Gaspari, Udine 2018; B. Di Martino, P. Gaspari, R. Tessari, La battaglia del Montello. Giugno 1918, Gaspari, Udine 2019; Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 339-340. Gaspari, Udine 2019

pIANALUIGI ETTOrE

Nato a Torino il 20 giugno 1857, fu allievo del corso 1871-74 della Nunziatella. Dopo la frequenza dell’Accademia di Torino, fu nominato sottotenente nel 1876. Della sua carriera si hanno scarse informazioni, eccetto che fu promosso tenente colonnello nel dicembre 1903, mentre prestava servizio presso il comando di artiglieria da campagna di Verona. Passò quindi alla Direzione di artiglieria di Torino, dove il 13 giugno 1909 lo raggiunse la promozione a colonnello.Assunse quindi il comando della Direzione stessa e passò nel 1912 all’Ispettorato di artiglieria a Roma. Fu quindi in Libia e nell’ottobre del 1914, promosso maggior generale, fu nominato comandante dell’artiglieria da campagna di Bologna. Il 24 maggio 1915 entrò in guerra quale comandante l’artiglieria del VI C.d.A. (tenente generale Ruelle), ma la guidò solo fino al 15 giugno successivo. Gli fu infatti imputato di non aver saputo sostenere adeguatamente le fanterie all’attacco delle posizioni carsiche, perché non si era preoccupato di adeguare i tiri ai loro reali progressi. Fu quindi allontanato dal fronte e nel 1918 fu posto “a disposizione in soprannumero”. Transitato in posizione ausiliaria poco dopo il termine del conflitto, nel 1923 fu promosso generale di divisione e nel 1926 transitò nella riserva.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 346. Gaspari, Udine 2019.

pIrrO EGIDIO

Ufficiale del Genio, nacque il 29 gennaio 1859 e la foto dell’Enciclopedia Militare lo ritrae irritualmente con le borse sotto agli occhi, le palpebre cadenti, i grossi baffi spioventi e trasandati.Allievo del corso 1873-76 della Nunziatella, uscì dalla Scuola di Torino nel 1878. Come per molti ufficiali delle armi dotte, non si sa molto della sua carriera, tranne che fu promosso maggiore nel gennaio 1901, prestando successivamente servizio alla Direzione del genio di Napoli.Tenente colonnello nel settembre 1906, fu destinato al Comando genio di Napoli e nel 1910 alla Direzione di Roma. Colonnello dal novembre 1911, restò a Roma quale capo ufficio all’Ispettorato generale del genio. Partecipò alla guerra mondiale e fu promosso maggior generale il 30 marzo 1916, assumendo il 20 aprile successivo il comando del genio del XII C.d.A. che resse senza interruzioni fino al 29 aprile 1918, operando fino all’ottobre 1917 in Carnia. Nel dopoguerra fu destinato a presiedere una delle più importanti commissioni per l’alienazione dei materiali residuati di guerra, nella fattispecie quella incaricata di trattare gli impianti fissi. Passò nel 1920 in posizione ausiliaria speciale dove, nel 1923 lo raggiunse la promozione a generale di divisione; cinque anni dopo passò nella riserva. Morì a Roma nel 1932.

Bibliografia: E. Pirro, Questione dei R. Tratturi del Mezzogiorno d’Italia, Cerignola 1903; E. Pirro, Calcolo pratico delle condotte d’acqua in tubi di ghisa, Roma 1908; E.

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Pirro, Calcolo pratico delle condotte d’acqua in tubi di ghisa: (nota n. 3), Roma 1910; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 350. Gaspari, Udine 2019.

pOLLIOALBErTO

Pur non essendo stato, a causa della sua precoce scomparsa, tra i generali che parteciparonomaterialmenteallaGrandeGuerra,sarebbeimpossibileperqualunqueoperasull’argomento ignorare la sua figura. Alberto Pollio fu infatti il colto e brillante predecessore di Cadorna a capo di quel Regio Esercito che, prima del Patto di Londra, si preparava da decenni a combattere tutt’altro conflitto. Dalla sua opera pluriennale di ammodernamento e riorganizzazione dell’esercito, culminata nella prova del fuoco di Libia, si originò la struttura della forza armata che Cadorna portò poi in pochi mesi al fronte. Pollio nacque il 21 aprile 1852 a Caserta da Michele, ufficiale dell’esercito del Regno delle Due Sicilie, e Maria Oberty – forse discendente del noto ingegnere Luigi. Il 13 novembre 1860, all’età di soli otto anni e in pieno rivolgimento unitario, fu avviato agli studi presso il Collegio Militare della Nunziatella. Uscito da Pizzofalcone nel 1866, fu ammesso a soli quattordici anni alla Scuola Militare di Modena, per poi passare dopo pochi mesi alla più prestigiosa Regia Accademia Militare di Torino. Terminò i corsi di quest’ultima a soli diciassette anni, e l’età ancora precoce lo costrinse a passare un breve periodo da sergente presso il 3° reggimento artiglieria prima di essere nominato sottotenente nel 1870. Due anni dopo fu promosso tenente, frequentò la Scuola di Guerra nel 1876 – appena ventiquattrenne – ed entrò conseguentemente nel Corpo di Stato maggiore. Promosso ancora capitano l’anno seguente, il 13 marzo 1879 fu nominato ufficiale d’ordinanza onorario del re Umberto I, evento che determinò una decisiva accelerazione della sua carriera. Dopo tre anni in questa posizione, ritornò al Comando del Corpo di S. M., e il 22 ottobre 1884 fu promosso maggiore e inviato al 42° reggimento fanteria (brigata Modena). Il 13 marzo 1887 tornò presso il re Umberto I, stavolta in qualità di aiutante di campo, e fu promosso tenente colonnello il 7 ottobre dello stesso anno. Compiuto il quadriennio di prammatica nella carica, fu nominato aiutante di campo onorario del re e inviato quale Capo di Stato maggiore presso la divisione di Palermo il 19 aprile 1891. Tornato al Comando del Corpo di S. M., il 4 febbraio 1893 fu assegnato come addetto militare all’importantissima ambasciata italiana a Vienna e ottenne la promozione a colonnello il 4 maggio successivo. Il 17 novembre 1896 fu nominato comandante del 40° reggimento della brigata Bologna, ma in realtà rimase a Vienna fino al 10 marzo successivo. Questi furono anni fondamentali per la sua carriera, dato che gli consentirono di sviluppare, anche grazie alle sue grandi doti di diplomazia e simpatia, notevoli relazioni con gli ambienti militari e politici austroungarici. È certamente di questo periodo lo sviluppo in Pollio di un ardente sentimento triplicista che non mancava di esternare pubblicamente. La familiarità con l’ambiente della corte viennese lo portò a sviluppare ottime relazioni con Helmut von Moltke e Franz Conrad von Hotzendorf; e addirittura a sposare la contessa Eleonora Gormasz, rampolla di una famiglia nobiliare austriaca. Il 14 gennaio 1900 rientrò in Italia e fu nominato comandante della brigata Siena con il grado di maggior generale. Il 7 giugno di sei anni dopo fu promosso al grado di Tenente generale e asse-

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gnato al comando della divisione di Cagliari. Il periodo tra il 1903 e il 1906 fu caratterizzato da un’intensa e qualificata attività pubblicistica che ne mise in evidenza la statura di studioso di storia militare. I suoi scritti critici sulle battaglie di Custoza e di Waterloo furono ampiamente diffusi e studiati sia presso il pubblico specializzato che all’interno degli istituti di formazione militare, diventando ben presto un riferimento. In particolare, in Custoza 1866 egli criticò aspramente l’operato dei generali piemontesi Lamarmora e Cialdini, mettendone in luce le manchevolezze e l’assenza di cultura militare che non fosse quella – invalsa nel vecchio esercito sabaudo – dell’esperienza pratica. In queste pagine traspare evidente la differenza di impostazione tra quest’ultimo modello, di marca francese; e l’importanza dello studio – propria invece del modello prussiano – inculcata invece a Pollio alla Nunziatella e trasfusa in particolare dagli ex-allievi di Pizzofalcone Cosenz e Primerano nei programmi della Scuola di Guerra. Nel 1908 Pollio fu trasferito al comando della divisione di Genova, incarico che mantenne per soli due mesi fino al 12 aprile 1908, quando fu nominato Capo di Stato maggiore del Regio Esercito. In questa occasione fu preferito a Cadorna, da cui lo divideva una rivalità durata tutta la vita, data la sua maggiore flessibilità nella condivisione delle operazioni con il potere politico in caso di conflitto. La sua attività come comandante in capo fu incentrata soprattutto sul miglioramento della preparazione e dell’organizzazione del Regio Esercito, nella quale egli si spese personalmente. Inoltre, pur mantenendo l’atteggiamento dettato dagli accordi della Triplice, ottenne finanziamenti per la costruzione di un complesso di forti al confine nordorientale, e nel 1908 studiò di persona i piani nel caso di un ipotetico conflitto in Veneto o sulla costa adriatica. Fu poi il principale motore della spedizione di Libia del 1911-12, di cui concepì il piano generale e le principali operazioni, pur mantenendo il controllo da Roma senza andare mai nel paese nordafricano. Il 17 marzo 1912 fu nominato senatore, con relazione di Bava Beccaris. Il drenaggio di risorse da parte delle operazioni inTripolitania e Cirenaica lo mise in condizione di dover ridurre i propri impegni con gli alleati della Triplice. Nonostante ciò, nel settembre 1913, mentre si trovava alle grandi manovre tedesche in Slesia, riaffermò pubblicamente la propria volontà di appoggiare gli alleati con ogni mezzo in un futuro conflitto. Coerentemente a quanto dichiarato, agli inizi del 1914 ottenne dal governo Giolitti l’approvazione di un progetto per destinare tre corpi d’armata sul Reno per partecipare a un’eventuale offensiva congiunta italo-tedesca contro la Francia. Costantemente impegnato ad ottenere fondi dal potere politico per il miglioramento del Regio Esercito che riteneva inferiore per mezzi rispetto agli altri eserciti europei, e ulteriormente impoverito dall’impresa di Libia, Pollio non ebbe il tempo di completare i suoi progetti di riforma. Morì infatti improvvisamente il 1° luglio 1914, due giorni dopo l’attentato di Sarajevo, in una camera dell’Hotel Turin di Torino, per un attacco terminale di quel malessere cardiaco di cui soffriva da tempo. Oltre alla moglie, lasciò tre figlie: Beatrice, coniugata Gregoraci; Margherita che sposò Raffaele Paolucci (affondatore nel 1918 della nave Viribus Unitis, deputato e senatore); e Renata, coniugata all’ambasciatore Umberto Grazzi. Il 27 luglio, alla vigilia della dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia, Cadorna fu nominato Capo di Stato maggiore del Regio Esercito, ed entro un mese stilò i primi lineamenti delle operazioni contro l’alleato austroungarico. L’improvvisa morte di Pollio e una serie di coincidenze hanno portato alla formulazione di un’ipotesi di omicidio mascherata da morte naturale, la quale è stata persino oggetto di un volume monografico. Tale ipotesi che presupporrebbe tra l’altro il tradimento di Pollio a favore dell’Austria-Ungheria, appare tuttavia poco verosimile. Nel caso in cui Pollio si fosse effettivamente rifiutato di

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preparare l’Esercito per una guerra contro l’Austria-Ungheria (ipotesi sconfessata dalla sua attività di CSM), e si ritenesse possibile che potesse passare informazioni classificate, sarebbe stato infatti sufficiente rimuoverlo dall’incarico e affidargliene un altro che lo tenesse lontano dall’accesso a dati sensibili. La sua rimane quindi una figura che giganteggia sullo sfondo del palcoscenico del fronte italiano, alle spalle del tetragono piemontese Cadorna e del vincitore napoletano Diaz, in un’ideale trinità dei capi della Grande Guerra.

Bibliografia: Fascicolo personale del senatore Alberto Pollio, Archivio Storico del Senato; A. Pollio, Napole- one I: conferenze di presidio tenute in Livorno il 7 ed il 14 marzo 1901, Livorno 1901; A. Pollio, Carta del territorio adiacente al Mincio [S.l.] [s.n.], 1903; A. Pollio, Custoza 1866, Baldini & Castoldi, Milano 1903, 1914, 1915, 1923, 1925, 1935; A. Pollio, Waterloo, 1815: Con nuovi documenti, Roma 1906, 1923, 1935; A. Pollio, Manovre coi quadri intorno a Roma, 1908: Osservazioni personali, Sassari 1909; A. Pollio, Waterloo (1815), Paris Henri Charles Lavauzelle, dopo il 1900; A. Pollio, La campagna invernale del 1806-07 in Polonia: studio critico, Roma 1935; A. Fasella, Leggendo “Custoza” e “Water- loo” del Generale Alberto Pollio – parte prima in “Rivista militare” VII, p. 1405, Roma 1913; A. Fasella, Leggendo “Custoza” e “Waterloo” del Generale Alberto Pollio – parte seconda, “Rivista militare” IX, p. 1817, Roma 1913; A. Fasella, Leggendo “Custoza” e “Waterloo” del Generale Alberto Pollio – parte terza, “Rivista militare” X, p. 1965, Roma 1913; AAVV, Tra libri e riviste. Giorgio Arcoleo. Camillo Boito. Alberto Pollio. Aneddoti su Strindberg. Bonaparte luogotenente. Giacomo Lindsay. I licei per signorine in Prussia. Nel cratere del Vesuvio. I misteri d’Eleusi. Giulio Gianelli (con 3 illustrazioni) in “Nuova antologia di lettere, scienze ed arti”, Serie 5 v. 172 p. 346-361, 1914; V. Traniello, Il tenente generale Alberto Pollio: 21 aprile 1852, 1luglio 1914, Tipografia Militare, Bologna 1919; A. Alberti, L’ opera di S. E. il Generale Pollio e l’esercito, Roma 1923; N. Giacchi, Alberto Pollio, USSME, Roma 1928; Comando del corpo di SME, I capi di S. M. dell’Esercito Alberto Pollio, Roma 1935; P. Maravigna, Alberto Pollio, conferenza tenuta dal gen. Pietro Maravigna nel Circolo delle forze armate per il 25. annuale della morte. Roma 1939; L. Susani, Nel 50. anniversario della morte del generale Alberto Pollio: (1. luglio 1914), “Rivista militare” V, p. 525, Roma 1964; C. Simula, Alberto Pollio capo di stato maggiore e scrittore nel cinquantenario della sua morte [S. l. s. n.], 1964; AAVV, La guerra rivoluzionaria. Atti del primo convegno di studio promosso ed organizzato dall’istituto Alberto Pollio di studi storici e militari svoltosi a Roma nei giorni 3, 4 e 5 maggio 1965, Roma 1965; G. Aloia, Il Generale Alberto Pollio, “Rivista militare” I, p. 7, Roma 1965; G. Catenacci, M. Di Giovine, Il generale Alberto Pollio: dalla Nunziatella ai vertici dello Stato Maggiore del regio esercito italiano. [S.l. s.n.], Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Napoli 2015; F. Scala, Il generale Armando Tallarigo dalla leggenda della brigata Sassari al dopoguerra, pp. 37-39; 58; 95-96. Gaspari, Udine 2018; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 358-360. Gaspari, Udine 2019.

rAhO FrANCESCO

Trovarsi al comando di una brigata di valorosi, oltretutto una delle più temute dal servizio di informazioni austriaco, poteva non essere sufficiente a preservare dall’esonero, soprattutto se per salvare da un sicuro massacro i propri fanti si insisteva per un piano diverso da quello proposto dai comandi superiori. Francesco Raho nacque il 23 settem-

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bre 1861, e apparteneva quindi alle classi più anziane fra quelle dei generali in guerra. Fu allievo del corso 1876-79 della Nunziatella, dove conobbe il suo futuro subordinato e successore A. Tallarigo, e divenne sottotenente di fanteria nel 1881. Prestò servizio in Eritrea nel 1887 e nel 1888. Promosso capitano nell’aprile 1893, nel 1907 fu in servizio al 31° reggimento Siena (maggior generale Cigliana) a Fossano, e nel giugno dello stesso anno fu promosso maggiore e destinato a comandare il battaglione al 46° reggimento Reggio. Nel corso del 1910 fu trasferito al 38° reggimento Ravenna, dove rimase fino alla nomina a tenente colonnello del marzo 1912. Fu quindi trasferito al 63° reggimento Cagliari, dove prestò servizio fino al 1914. Nella primavera del 1915 ricevette il comando del 135° Campania che guidò all’inizio della guerra e fino al 22 luglio 1915, data in cui fu ferito sul monte Sei Busi. Il 4 febbraio 1916, ormai colonnello, assunse il comando del 152° Sassari in sostituzione del colonnello Romano, rimasto ferito in combattimento dopo pochi giorni dalla presa di servizio. Raho tenne la testa del 152° per soli 8 giorni, dato che il 13 febbraio 1916 il comandante di brigata Caputo fu promosso al comando della 1a divisione, ed egli fu destinato al comando della stessa Sassari. Forse non fu estraneo alla nomina del citato A. Tallarigo a comandante del 152° in sua vece. Raho comandò gli “intrepidi sardi” fino al 23 giugno 1916, quando fu colpito da un provvedimento di esonero a firma del generale Montuori, formalmente per la scarsa determinazione ad attaccare mostrata sul Monte Fior (Massiccio delle Melette sull’Altopiano dei Sette Comuni) dalla colonna da lui dipendente, formata dal 151° reggimento della stessa Sassari e dal 112° Piacenza. In realtà Raho, sostenuto dal suo comandante di divisione generale Elia, aveva proposto senza esito un diverso piano di attacco che prevedeva l’aggiramento a largo raggio delle difese avversarie. È peraltro curioso notare come gli allegati alla Relazione Ufficiale riportino come piano dell’attacco effettivamente svolto proprio quello proposto da Raho e che gli era valso l’esonero da parte di Montuori. Allontanato dal fronte, nel 1916 Raho passò in posizione ausiliaria, pur essendo trattenuto in servizio fino al 1919. Nel 1917 fece ricorso alla Commissione Mazza per la revisione degli esoneri che gli diede pienamente ragione, osservando come non si fossero tenute in alcun conto le azioni precedenti, in cui egli aveva sempre agito d’iniziativa sostenendo in modo molto efficace la divisione del generale Murari-Brà. Si trattò comunque di una soddisfazione meramente morale, perché Raho non rientrò in servizio e solo nel 1927 poté fregiarsi del grado di generale di brigata nella riserva.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per corso, Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Napoli 2015;

F. Scala, Il generale Armando Tallarigo dalla leggenda della brigata Sassari al dopoguerra, Gaspari, Udine 2018; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 374-375. Gaspari, Udine 2019.

rATTI GIUSEppE

Basso di statura, tarchiato e dotato di grande coraggio individuale, comandò nel corso del conflitto ben tre brigate di fanteria. Figlio di Cosimo, quindi da non confondere con l’omonimo comandante del battaglione alpini “Val Chisone” che all’inizio del conflitto occupò temporaneamente il Sasso di Stria, nacque a Torino l’8 novembre 1864. Fu allievo del corso 1878- 81 della Nunziatella insieme ai futuri generali Diotaiuti, Flotteron,

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Galasso, Merrone e Tallarigo. Sottotenente di fanteria a 19 anni, promosso capitano nel giugno del 1897, fu a lungo aiutante di campo della brigata Basilicata (maggior generale Mario Nicolis di Robilant). Promosso maggiore nel settembre 1910, fu destinato al comando di battaglione al 40° reggimento Bologna, dove restò fino al 1914, dopo aver partecipato alla campagna libica del 1912, 1913 e 1914. Tenente colonnello nel 1915 e, dopo pochi mesi di campagna, colonnello, assunse il 26 ottobre 1915 il comando del 142° Catanzaro. Molto stimato da Pennella, che era del corso precedente al suo alla Nunziatella, fu impiegato dall’allora comandante la brigata “Granatieri” per rioccupare Monte Belmonte sull’Altopiano dei Sette Comuni il 1° giugno 1916. L’azione gli fruttò la prima medaglia d’argento, con la seguente motivazione: Riconquistò brillantemente e tenne per quattro giorni, con forze limitate, una importantissima posizione, di fronte all’incalzare incessante del nemico ed a violentissimi bombardamenti dei maggiori calibri. Ricevuto l’ordine di ripiegare, eseguì la ritirata con vera maestria, imponendo rispetto al nemico incalzante. Ultimo a ritirarsi, rischiò di cadere prigioniero, ma, con la nobiltà dell’esempio, trasfuse coraggio saldezza d’animo nei dipendenti e mantenne il comando in trincea, sulla primissima linea, sebbene fosse rimasto fortemente contuso da un masso. Durante i combattimenti nella zona Monte San Michele-Nad Logem del successivo 6-14 agosto, guadagnò la seconda medaglia d’argento, con la seguente motivazione: Ardito e valoroso comandante, condusse splendidamente il suo reggimento alla conquista di importanti posizioni che seppe conservare, spezzando la baionetta numerosi, accaniti contrattacchi. Diede sempre personale preclaro esempio di ogni più bella virtù militare al suo reggimento, il cui comando, da lui sempre esercitato con paterna energia, non volle lasciare in giornate di azione, sebbene febbricitante. Lasciò il comando del 142° il 30 ottobre 1916, e l’Enciclopedia Militare lo indica come comandate del 39° reggimento Bologna, anche se ciò non trova conferma nei Riassunti storici della stessa Bologna: probabilmente si trattò di un brevissimo periodo con incarico interinale e, come spesso capita, non fu annotato nei Riassunti. Fino al 17 febbraio 1917 risulta invece al comando della brigata Etna (anche se non mancano problemi di compatibilità di date), e dal 3 luglio al 12 settembre dello stesso anno al comando della Siena.Assunse infine il 1° novembre 1917 il comando della brigata Basilicata che lasciò il 14 dicembre successivo. Non ebbe altri comandi prima del termine del conflitto e nel 1920, brigadier generale, passò in posizione ausiliaria speciale. Promosso generale di brigata nel 1925, transitò tre anni dopo nella riserva.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 376-377. Gaspari, Udine 2019.

rICCIArDI MArINO

Nato a Napoli il 17 gennaio 1861, fu allievo del corso 1875-78 della Nunziatella. Transitato all’Accademia di Modena, vi fu nominato sottotenente nel 1880. Fu quindi promosso maggiore nell’ottobre 1902 e destinato all’82° reggimento Torino a Fano. Promosso tenente colonnello, lasciò questo reparto nel marzo 1908, e l’anno dopo fu destinato al 35° reggimento Pistoia, dove rimase fino alla promozione a colonnello, avvenuta il 16 aprile 1913. Assunse quindi il comando del 68° reggimento Palermo, col quale tenne il comando del presidio di Bengasi durante l’azione di Latini su Suluk e Ghemines dell’a-

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gosto successivo. Iniziò la guerra mondiale con lo stesso incarico agli ordini del maggior generale L. Dalmasso e lo resse fino al 14 luglio 1915. I vuoti provocati dal conflitto e dal moltiplicarsi dei comandi, lo proiettarono tre giorni dopo al comando della brigata Roma quale maggior generale. Restò alla Roma fino al 14 giugno 1916, combattendo in Vallarsa e inValTerragnolo alle dipendenze della 1ª armata e contrastando efficacemente le prime fasi dell’offensiva austriaca della primavera del 1916. Il 18 agosto 1916 assunse il comando della brigata Pistoia – la vecchia unità di Cadorna, che mantenne fino al 7 febbraio 1917, combattendo in Val d’Astico. La motivazione dell’esonero fu “un non perfetto equilibrio” che si traduceva in “parola esaltata e sconcludente”. Collocato nella riserva nello stesso anno, fu comunque mantenuto in servizio fino al 1919. Nel 1923 non fu negato nemmeno a lui, come a quasi tutti i colleghi, la promozione a generale di divisione e nel 1930 fu collocato a riposo.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 396-397. Gaspari, Udine 2019.

rIZZASEBASTIANO

Soldato valoroso, fece parte della schiera degli ufficiali generali arrivati alla Grande Guerra già avanti negli anni. Tenne tuttavia onorevolmente il proprio posto, evitando l’esonero che colpì tanti coetanei. Nato a PalazzoloAcreide (Siracusa) il 25 aprile 1859, fu allievo del corso 1874-78 della Nunziatella e dunque ebbe come compagno di corso il celebre economista Enrico Barone. Ufficiale di fanteria nel 1879, combatté in Africa Orientale con i cacciatori d’Africa nel 1888-89 e quindi – ormai capitano – col 16° battaglione d’Africa ad Adua, occasione nella quale meritò una medaglia di bronzo con la seguente motivazione: Schierò la sua compagnia sotto vivo fuoco nemico e la trasse innanzi con la voce e con l’esempio, sinché non gli pervenne l’ordine di ripiegare in posizione più arretrata. Rimpatriato e promosso maggiore nel gennaio 1901, fu destinato al 52° reggimento Alpi, dove rimase fino alla nomina a tenente colonnello avvenuta nel giugno 1906. Trasferito all’84° reggimento Venezia di stanza a Catania, meritò una medaglia di bronzo di benemerenza per il soccorso prestato ai terremotati del 1908. Colonnello dall’agosto del 1911, fu destinato al comando dello stesso 84° reggimento che guidò nella guerra libica. Durante questo conflitto, guadagnò una prima medaglia d’argento l’8 giugno 1912 a Zanzur, con la seguente motivazione: Nella battaglia di Zanzur, interpretando largamente le direttive e gli ordini ricevuti, al momento opportuno mosse decisamente col reggimento all’assalto contro posizioni rafforzate, impadronendosene con slancio e coraggio. Successivamente coinvolto nello scontro di Sidi Bilal del 20 settembre, fu decorato di una seconda medaglia d’argento, con la seguente motivazione: Condusse abilmente il reggimento alla presa di Sidi Bilal, dimostrando in tutta l’azione molto coraggio personale. Rientrato in Italia, poco prima del conflitto fu promosso maggior generale e destinato al comando della brigata Firenze, che guidò fino al 21 giugno 1915. Fu quindi destinato ad assumere il comando della neocostituita brigata Tanaro, che guidò dall’11 marzo 1916 al 13 agosto successivo. Cedutala al generale R. Brussi, assunse il 9 agosto il comando della 28ª divisione di fanteria (basata a Bari) e il 31

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successivo ottenne anche la promozione a tenente generale. Guidò questa grande unità fino al 19 febbraio 1917, partecipando alle azioni controffensive sull’Altopiano dei Sette Comuni alle dipendenze del XX C.d.A. del generale Montuori e al comando delle brigate Bari e Arno. Il 20 febbraio 1917 assunse quindi il comando della 45ª divisione che guidò peraltro solo fino al 10 marzo successivo, quando la cedette al generale F. Gagliani. Il suo nome non figura negli elenchi dei generali colpiti da provvedimenti di esonero, resta comunque il fatto che da tale data lasciò il fronte per assumere solo comandi territoriali, segnatamente delle Divisioni di Torino, Novara e Napoli. Nel dopoguerra, a disposizione del C.d.A. di Roma, ricoprì l’incarico di membro supplente della Commissione per l’esame delle proposte di ricompense al valor militare del conflitto appena concluso. Nel 1920 transitò in posizione ausiliaria speciale.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 400. Gaspari, Udine 2019.

rOSAChEr LUIGI

Un grande naso aquilino che sormontava due grandi baffi brizzolati a manubrio erano i tratti caratteristici di uno dei più solidi comandanti di divisione dell’ultima fase del conflitto. Il parmense Rosacher nacque il 3 aprile 1864 e fu allievo del corso 1877-80 della Nunziatella. Sottotenente di fanteria dal 4 settembre 1882, fu alla Scuola di Guerra e quindi tornò come docente al Collegio militare di Napoli. Capitano dal 31 ottobre 1894, nel 1905 fu aiutante di campo del generale Carmagnola alla brigata Palermo. Maggiore nel giugno dello stesso anno, assunse il comando di un battaglione del 69° reggimento Ancona a Cesena. Colonnello all’inizio del conflitto, guidò fino al 9 giugno 1915 il 17° reggimento della Acqui e guadagnò una medaglia d’argento sul Sant’Elia con la seguente motivazione: Per il contegno sereno e coraggioso con cui condusse il suo reggimento all’attacco di formidabili posizioni avversarie. Rimase ferito nel combattimento. Rientrato in servizio e promosso maggior generale il 1° febbraio 1916, ricevette il 29 maggio successivo il comando della brigata Torino che tenne fino all’aprile dell’anno successivo. Riconosciuto idoneo al comando di divisione, ricevette il comando della 75ª divisione alpina di nuova formazione e alle dipendenze del III C.d.A., per poi passare alla 18ª, la divisione di Perugia. Con essa combatté alle dipendenze di De Bono (IX C.d.A.) all’ala occidentale della 4ª armata. Fu grazie alla tenuta della “sua” brigata Bari e alla rapidità con cui seppe intervenire se fu arginata la pericolosa penetrazione austro-ungarica su Ponte San Lorenzo il 15 giugno 1918. Anche l’offensiva finale lo vide attaccare la munitissima fronte dell’Asolone, con molti sacrifici e pochi risultati. La sua divisione fu quindi trasferita in riserva d’armata. Dopo la guerra ottenne il comando della divisione militare territoriale di Catanzaro, ma già nel 1920 passò in posizione ausiliaria speciale. Nominato generale di divisione il 1° febbraio 1923, nel 1932 fu posto in aspettativa per riduzione dei quadri e l’anno dopo fu collocato a riposo. Si ritirò ad Alessandria con la moglie.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso – Allievi Scuola Mi-

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litare Nunziatella, 1787-2015, op. cit.; Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 408. Gaspari, Udine 2019.

rOTONDI GIOVANNI

Nato ad Avellino il 24 aprile 1863, fu allievo del corso 1876-79 della Nunziatella. Ammesso all’Accademia di Modena, ne uscì sottotenente nel 1881 e fu successivamente ammesso alla Scuola di Guerra. Dopo aver ottenuto la promozione a maggiore nel settembre 1900, fu assegnato al 64° reggimento Cagliari, di stanza a Tortona, agli ordini del colonnello G. Airaldi. Promosso tenente colonnello nel marzo 1906, fu trasferito al 26° reggimento Bergamo a Torino e successivamente al 31° reggimento Siena, e al 53° reggimento Umbria (1910).Ancora promosso colonnello nel giugno 1911, ottenne il comando del 40° reggimento Bologna e partecipò alla campagna libica. Con lo stesso grado, nel maggio 1915 entrò in guerra al comando del 129° Perugia, agli ordini del comandante di brigata I. Buonini. Lo guidò fino al 20 settembre successivo, combattendo sul Podgora e a Lucinico e meritando tra il 5 ed il 7 luglio una medaglia d’argento, con la seguente motivazione: Dava prova di perizia, di calma e di coraggio nel condurre al fuoco il suo reggimento e affrontava, nei momenti più difficili dell’azione, seri pericoli, per infondere vigore e slancio alle sue truppe. Ferito ad una mano, non abbandonava il combattimento, né lasciava il comando, dando efficace esempio a tutti i suoi dipendenti. Promosso maggior generale il 20 settembre 1915, ricevette otto giorni dopo il comando della brigata Benevento. Guidò in combattimento questa unità prima sulla lineaVrh-monte Kuk-monte Jelenik; per poi essere inviato sulle posizioni di S. Lucia. Per l’inefficacia nel conquistare le posizioni assegnategli, il 6 gennaio 1916 subì un provvedimento di esonero che lo allontanò da quell’incarico operativo e dal fronte. Nello stesso anno passò in posizione ausiliaria. Nel 1923 fu comunque promosso generale di divisione e nel 1932 fu trasferito nella riserva. Morì nella natiaAvellino nell’ottobre del 1935.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 413. Gaspari, Udine 2019.

rUGGIErI BENEDETTO

Nato a Castel di Sangro l’11 novembre 1867, si fece durante la guerra la fama di un comandante di brigata valoroso e capace. Il suo capolavoro, per lo più non riconosciuto, fu la difesa del settore occidentale del Grappa durante la battaglia del Solstizio. Allievo del corso 1880-83 della Nunziatella, sottotenente a Modena nel 1886, fu in seguito alla Scuola di Guerra. Nel marzo 1901 fu promosso capitano e destinato a Milano al 30° Pisa, agli ordini del maggior generale V. Goggia, dove svolse anche la funzione di aiutante di campo. Promosso maggiore nel giugno 1912, fu trasferito al 62° reggimento Sicilia, dove rimase fino al 1914. Il 22 novembre 1915, da tenente colonnello, non però come comandante di battaglione del 75° reggimento come indicato da alcune fonti (oppure se le cose stanno così non corrispondono ai diari ufficiali del corpo), diede prova

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di valore alle Cave di Selz tra il marzo e l’aprile del 1916, rimanendo ferito e meritando la medaglia d’argento con la seguente motivazione: Esplicando rare doti di valore, di calma e di energia, preparò e diresse reparti del reggimento nell’attacco i posizioni avversarie, fortemente trincerate, che conquistò durante più giorni di accanita lotta, riuscendo anche a resistere a furiosi e ripetuti contrattacchi, eseguiti sotto l’imperversare del fuoco di artiglieria nemica. Tornato al fronte dopo la convalescenza, assunse il 9 dicembre 1915 il comando del 18° Acqui (maggior generale G. Menarini) che resse, colonnello dal febbraio 1916, fino al 2 agosto 1917, conquistando nel marzo 1916 la trincea “a zeta” nel settore di Selz, fra il Sei Busi e Monfalcone. Nel giugno successivo, nella veste di comandante interinale della brigata, occupò di sorpresa la posizione di Monte Catz sull’Altopiano dei Sette Comuni e meritò perciò la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (Regio decreto del 29 dicembre 1916). Riconosciuto idoneo al comando di brigata, il 4 agosto 1917 fu destinato a quello della Bari e in tale veste il 1° ottobre successivo presiedette un tribunale militare che condannò a morte due disertori recidivi del 32° reggimento Siena. Meritò inoltre a Jamiano una seconda medaglia d’argento, la quale non è tuttavia registrata negli elenchi dell’Istituto del NastroAzzurro.Al comando della Bari si distinse soprattutto sul Monte Grappa, tanto nella battaglia del Solstizio, quanto nell’offensiva finale dove attaccò a più riprese le posizioni del Monte Asolone. Unitamente al IX reparto d’assalto, conquistò l’obiettivo, ma ne fu successivamente respinto dai contrattacchi della 4ª divisione austro-ungarica. Il Regio decreto del 19 settembre 1918 premiò con la croce di ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia solo la parte giocata dalla Bari e dal suo comandante nella battaglia del giugno. Brigadier generale nel giugno 1918, nel dopoguerra (1920) fu posto in aspettativa per infermità derivante da cause di servizio, sei anni dopo – sempre per motivi di salute – fu collocato nella riserva. Lo stesso anno assunse il grado di generale di divisione. Morì a Roma nel 1933.

Bibliografia: A. Alberti, Vittorio Veneto, parte I, La lotta sul Grappa, Roma 1924; G. Bollini, P. Gaspari, La battaglia del Solstizio 15-24 giugno 1918, Gaspari, Udine 2018; P. Pozzato, Vittorio Veneto, luci e ombre di una vittoria, Gaspari, Udine 2019; Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 426. Gaspari, Udine 2019.

rUSSOALBErTO

Nato a Napoli il 25 febbraio 1861, di lui si hanno poche e scarne notizie, come spesso accade per i comandanti d’artiglieria.Allievo del corso 1874-77 della Nunziatella, sottotenente a Torino nel 1880, fu promosso maggiore nell’ottobre del 1902 ed assegnato al 15° reggimento artiglieria da campagna a Reggio Emilia. Sempre qui nel marzo del 1908 lo raggiunse la promozione a tenente colonnello. Colonnello nel febbraio 1913, assunse il comando del 3° reggimento artiglieria da campagna col quale iniziò il primo conflitto mondiale. Promosso maggiorgeneraleil30marzo1916,assunseil16giugnosuccessivoilcomandodell’artiglieria delIIIC.d.A.,sulfrontedelTrentinooccidentale,doverestòfinoal14luglio1918.Dopoaver sostenuto la battaglia del Solstizio, in cui contribuì al fallimento dell’Operazione “Valanga”, cioè il forzamento del Tonale da parte austro-ungarica, fu messo a disposizione in soprannumero.All’indomani del conflitto (1919) transitò in posizione ausiliaria e quattro anni dopo fu promossogenerale di divisione nella riserva. Nel 1930 fu collocatodefinitivamenteariposo.

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Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 427. Gaspari, Udine 2019.

SALAZAr MIChELE

Nato a Napoli l’8 febbraio 1859, nobile napoletano, apparteneva alle classi “anziane” tra i generali del conflitto e – pur con alterne fortune – diede ampie prove di valore che lo fanno annoverare tra i più coraggiosi generali che abbiano partecipato al primo conflitto mondiale. Allievo del corso 1872-75 della Nunziatella, sottotenente d’artiglieria nel 1878, transitò poi in fanteria e prestò servizio inAfrica Orientale nel 1887. Promosso tenente colonnello nel giugno 1900, prestò servizio al 29° reggimento Pisa a Milano, agli ordini del maggior generale Goggia. Colonnello nel settembre 1905, assunse il comando del 36° della brigata Pistoia di stanza a Modena. Lo lasciò nel 1907 per tornare in Eritrea quale comandante delle truppe coloniali, incarico che resse fino alla promozione a maggior generale che avvenne nell’agosto del 1911. Rientrato in Italia, ebbe il comando della brigata Venezia, che tenne fino alla fine del 1914. Tenente generale agli inizi del 1915, cominciò il conflitto quale comandante la 26ª divisione, destinata ad operare in Carnia, segnatamente nel settore But-Degano, agli ordini del XII C.d.A. del generale Lequio. Nel corso dell’offensiva austriaca della primavera del 1916 in Trentino, assunse il comando interinale dello stesso XII C.d.A. in assenza di Lequio. Lasciò il comando della 26ª, dopo 18 mesi, il 22 gennaio 1917. Fu quindi destinato ad assumere il comando della neocostituita 52ª divisione, la prima composta esclusivamente di truppe alpine, che non condusse però al fuoco, lasciandone il comando al collega Como Dagna il 5 maggio successivo. Obbligato a restare a livello di divisione, assunse lo stesso giorno la responsabilità della 2ª che lasciò il 14 novembre 1917. Quattro giorni dopo il figlio, capitano, fu ferito sull’Altopiano dei Sette Comuni. Con la 2a divisione meritò una prima medaglia d’argento a Jamiano-Selo nell’agosto-settembre 1917, con la seguente motivazione: Comandante di una divisione, impegnata per più giorni consecutivi, in volenti combattimenti, per incoraggiare le truppe e portare ai comandi in sottordine l’ausilio diretto della sua direzione personale, altrimenti ostacolata dall’ininterrotto tiro nemico, si recava ripetutamente a posti avanzati di comando, percorrendo con serenità e coraggio insuperabili terreno fortemente battuto dall’artiglieria avversaria, ed assicurava alle azioni la migliore riuscita, dando mirabile esempio di sprezzo del pericolo e di valore. Trasferitosi sull’Altopiano dei Sette Comuni, vi meritò una seconda medaglia d’argento nel novembre 1917, con la seguente motivazione: Comandante di una divisione, in un lungo ed aspro combattimento, recatosi in prima linea, seppe, colla sua azione personale, viva ed efficace, animare le truppe alla riconquista di una importante posizione poco innanzi perduta. Impegnato nella difesa del monte Longara, non riuscì ad assicurarne la tenuta, e nonostante quanto espresso fino a qual momento, il suo superiore generale Gatti ne chiese l’esonero. In seguito, tuttavia, Pecori-Giraldi riconobbe che la perdita del Longara era da imputarsi più ad errori dei suoi subordinati che dello stesso Salazar. Ne propose quindi il reintegro nelle funzioni, non senza aggiungere una postilla a mano in cui chiedeva comunque che detto generale venisse tolto dalle file della 1ª armata. Salazar assunse quindi il 13 febbraio 1918 il comando della 48ª divisione, con la quale sconfes-

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sò il giudizio di Gatti meritando sul Piave la terza medaglia d’argento (15-23 giugno a Nervesa) con la seguente motivazione: Alla testa della sua prode 48° divisione, sempre primo tra i primi, la condusse con intelligente energia oltre il Piave sul colle della Tombola e più tardi, impegnato contro retroguardie nemiche forti di mitragliatrici e cannoni sulle aspre posizioni della sella di Fadalto seppe con l’esempio personale trascinare i suoi con tale impeto da sbaragliare il nemico ed aprire la strada alle unità retrostanti su Ponte delle Alpi. Dopo aver partecipato valorosamente alla battaglia di Vittorio Veneto, a chiudere definitivamente la questione, nel febbraio 1919 ricevette la croce di ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, che ricompensò anche il precedente comando della 26ª divisione. Lasciò il suo incarico il 10 gennaio 1919, e nel dopoguerra divenne membro della Commissione per l’esame delle proposte di ricompensa per il conflitto appena concluso. Nel 1920 passò in posizione ausiliaria e morì tre anni dopo.

Bibliografia: 48a divisione, comandante: tenente Generale nob. Michele Salazar, capo di s.m.: tenente colonello. cav. Giuseppe Marciante: Festeggiamenti 30 Maggio 1918, 1918; G. Finizio, Fra guerra, aviazione e politica. Giulio Douhet, 1914-1916, Youcanprint, 2018; B. Di Martino, P. Gaspari, R. Tessari, La battaglia del Montello. Giugno 1918, Gaspari, Udine 2019; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 431-432. Gaspari, Udine 2019.

SALONNApErSICO CArMINE

Va annoverato fra i nostri comandanti di artiglieria che non sfuggirono ai provvedimenti di esonero che ne falcidiarono i ranghi. Nacque a Napoli il 14 dicembre 1857 da Gaetano e dalla nobildonna Orsola TornoAldana. Frequentò il corso 1873-76 della Nunziatella e uscì dall’Accademia diTorino nel 1876.Tenente colonnello nel settembre 1904, fu capo sezione incaricatoalMinisterodellaGuerrafinoal1908.L’annosuccessivofudestinatoadirigerela fabbricad’armidiTerni.Quinelsettembre1910loraggiunselapromozioneacolonnello.In tale grado fu comandante della Scuola magistrale di scherma ed educazione fisica e quindi del1°reggimentoartiglieriadacampagna(1914).Maggiorgeneralenel1915,entròinguerra al comando dell’artiglieria delVII C.d.A., incarico che cedette al collega L. Durand il 12 maggio 1916, ma solo per un’interruzione di due mesi dovuta a ragioni di salute. In realtà diresse l’artiglieria delVII C.d.A. fino al 18 marzo 1917. Il giorno successivo fu chiamato a dirigere l’artiglieria del IV C.d.A. (tenente generale Cavaciocchi), incarico che ricoprì fino al 25 settembre 1917. Il trasferimento era stato motivato solo dal bisogno che qualcun altro confermasse i buoni giudizi ricevuti fino a quel momento per l’avanzamento dell’interessato. La procedura si era resa necessaria in quanto Pecori-Giraldi, al momento del comando del VII, non ne aveva stilato un giudizio lusinghiero. Fu Cavaciocchi a chiederne l’esonero, motivando la sua richiesta col fatto che in vista dell’11ª battaglia dell’Isonzo nessuno dei progetti sull’impiego delle artiglierie presentatigli da Salonna Persico rispondevano ai criteri richiesti e che il loro autore non vi aveva profuso eccessivo impegno. Il giudizio lo qualificava come idoneo ai servizi dell’interno, ma l’età consigliò il collocamento nella riserva fin dal 1917. Nel 1919 fu comunque promosso tenente generale e nel 1927 fu posto definitivamente a riposo. Sposò la nobildonna Enrichetta Gagliardi, proveniente da una prestigiosafamiglianobilenapoletanarisalenteall’epocaangioinaelacuimadrevenivadai duchi Pignatelli di Montecalvo.

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Bibliografia: V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Volume 3, Forni; L’araldo – almanacco nobiliare del napoletano, 1913; A. Cavaciocchi, Un anno al comando del IV corpo d’armata, a cura di A. Ungari, Gaspari, Udine 2006; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 432-433. Gaspari, Udine 2019.

SANDULLI rOBErTO

Ufficiale d’artiglieria, fu tra i protagonisti non di primissimo piano, ma nemmeno trascurabili, dell’impiego dell’arma nel corso del conflitto. Nacque ad Avellino il 23 gennaio 1864, fu allievo del corso 1880-83 della Nunziatella e divenne sottotenente di artiglieria a vent’anni. Tenente nel 1885, prestò servizio al 10° reggimento artiglieria da campagna fino al 1889. Fu quindi alla Scuola di Guerra e nel dicembre del 1894 fu promosso capitano. Fu dapprima al 13° reggimento artiglieria da campagna, poi nel 1896 alla Scuola di applicazione quale docente di geografia politica e militare. Nel 1897 tornò al reggimento di provenienza che lasciò nel 1903 per passare al 19° reggimento artiglieria da campagna. Vi rimase fino al settembre 1910 quando, assieme alla promozione a maggiore, ottenne il trasferimento presso l’Istituto Geografico Militare, dove riprese gli studi di geografia militare. Nel 1915 fu promosso tenente colonnello al suo vecchio 19° reggimento artiglieria da campagna. Colonnello nel 1916 e colonnello brigadiere nel 1917, meritò una medaglia d’argento per le azioni del luglio-agosto in Val di Fassa, sul fronte trentino, con la seguente motivazione: Comandante di artiglieria a disposizione, con attività intelligente e instancabile e con risoluta energia predispose e comandò lo schieramento delle numerose artiglierie affluite in breve volger del tempo sulla fronte del suo settore. Con frequenti, ardite ricognizioni, eseguite sotto il fuoco nemico, seppe rendersi conto di tutte le difficoltà ed insidie dell’aspro terreno, e giovandosi di tale conoscenza, da un osservatorio posto in prima linea, scoperto e intensamente battuto, giorno e notte diresse il fuoco delle dipendenti batterie, ottenendo risultati efficacissimi e dando mirabili prove di competenza tecnica e di salde qualità militari. Il 4 dicembre dello stesso 1917 assunse il comando delle artiglierie del XII C.d.A., incarico che lasciò solo il 15 luglio 1919. Con tale grande unità combatté sull’Altopiano dei Sette Comuni dove, per il concorso offerto alle artiglierie francesi e inglesi nel corso della battaglia del Solstizio, fu decorato con la croce di guerra francese e con quella di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (Regio decreto del 17 maggio 1919) che ricordava il contributo da lui offerto alla conquista del Mosciagh e al forzamento della Val d’Assa durante l’offensiva finale, oltre a citarne il coraggio personale. Brigadier generale nel giugno 1918, assunse nel luglio 1919 il comando dell’artiglieria del C.d.A. di Firenze fino al 1926, quando fu trasferito in posizione ausiliaria. Nel 1927 fu promosso generale di divisione; divenne quindi commissario prefettizio del comune di Bagno a Ripoli, di cui fu poi podestà per 14 anni. Insegnò inoltre cultura militare per tre anni all’Università di Firenze.

Bibliografia:“Annuario per l’anno accademico 1936-37”, Università degli studi di Firenze, 1937; R. Cantagalli, Storia del fascismo fiorentino: 1919/1925, Vallecchi, 1972; R. Cianferoni, Antifascismo nelle campagne fiorentine, Editori del Grifo, 1991; M. Casprini, Il teatro dell’Antella: oltre un secolo di storia, Pagnini e Martinelli, 2003; G. Bollini, P. Gaspari, La battaglia del Solstizio 15-24 giugno 1918, Gaspari, Udine 2018; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 433. Gaspari, Udine 2019.

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SICArDI FrANCESCO

Nacque Napoli il 2 ottobre 1861 e fu allievo del corso 1875-78 della Nunziatella. Dopo aver frequentato l’Accademia di Torino, fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1880. Come molti coetanei, partecipò quindi alle spedizioni in Africa Orientale. Maggiore di artiglieria dal 1904, fu al 22° artiglieria da campagna a Palermo (agli ordini del colonnello A. Bovio) e nel 1907 fu trasferito al 10° artiglieria da campagna a Caserta. Promosso colonnello nel 1915, iniziò il conflitto al comando del suo “vecchio” 10° reggimento artiglieria da campagna, che guidò sul Basso Isonzo.Vi guadagnò una medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: Comandante dell’artiglieria da campagna di una divisione, ne diresse l’impiego con costante ed assidua cura per la cooperazione con le fanterie, dando disposizioni sempre armonizzate agli intendimenti del comandante della divisione, e con risultati sempre molto efficaci allo svolgimento generale dell’azione. Promosso colonnello brigadiere, assunse il comando dell’artiglieria del X C.d.A. il 25 settembre 1916 e lo tenne fino al 20 marzo 1917, quando lo cedette al collega San Martino di Strambino. Collocato in posizione ausiliaria, fu trasferito all’interno, dove ebbe il comando del deposito del 13° reggimentoArtiglieria campale. Maggior generale nel 1919, nel 1923 divenne generale di divisione nella riserva. Morì nella sua città natale nel 1932.

Bibliografia: G. Catenacci Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 461. Gaspari, Udine 2019.

SODANI pAOLO

Nato il 15 novembre 1857 a Frosinone, allievo del corso 1873-76 della Nunziatella, sottotenente di artiglieria nel 1878, fu assegnato all’11° reggimento artiglieria da fortezza. Promosso tenente nel 1881 e capitano sei anni dopo, passò rapidamente dal 14° reggimento da fortezza, al 10°, al 2° da campagna e infine all’Accademia di Torino come insegnante. Dopo altri sette anni di servizio presso i reggimenti da campagna, nel 1894 fu trasferito alla Direzione di artiglieria di Roma. Passò quindi al Laboratorio di precisione e infine, nel 1897, alla Direzione di artiglieria di Taranto. Promosso maggiore nel 1901, tornò al servizio nell’artiglieria da campagna (prima 5°, poi 13° reggimento). Fu successivamente promosso tenente colonnello nel 1907 e colonnello nel 1911. Direttore di artiglieria a Piacenza, passò nel 1912 a comandare il 28° reggimento artiglieria da campagna e nel settembre sbarcò in Libia. In Tripolitania guadagnò la medaglia di bronzo per le azioni di Benina e Regima del 12 e 23 aprile 1913, con la seguente motivazione: Comandante di artiglieria, coadiuvava efficacemente, durante i combattimenti, il comando della divisione nell’impiego dei reparti dell’arma, dimostrando in ogni occasione ardimento e noncuranza del pericolo. Rientrato in Italia nel 1913 fu ancora al comando del suo vecchio 5° reggimentoArtiglieria da campagna, con cui entrò in guerra nel 1915. Promosso quasi subito maggior generale, ottenne il comando dell’artiglieria del VI C.d.A. che tenne dal 1° agosto al 20 ottobre 1915. Passò quindi a disposizione del Ministero della Guerra che lo impiegò dal 1916 al 1919 quale sottosegretario per le

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armi e le munizioni. Fu inoltre presidente della commissione esoneri e presidente del Consorzio Cooperativo per l’utilizzazione dei materiali residuati di guerra. Nel marzo 1919 lasciò il servizio attivo, e morì a Roma tre anni dopo.

Bibliografia: Le industrie italiane illustrate, p. 59. Istituto edit. Italiano; Almanacco italiano, Volume 29, p. 665. Bemporad-Marzocco, 1924; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 463. Gaspari, Udine 2019.

SqUILLACE CArMELO

Nacque a Napoli l’11 ottobre 1865 e, vista la sua solida carriera di “divisionario” può essere annoverato fra gli ufficiali a cui fu riservata una brillante carriera.Allievo del corso 1878-81 della Nunziatella insieme ad A. Tallarigo, sottotenente di fanteria nel 1883, fu successivamente alla Scuola di Guerra. Capitano dal luglio 1897, nel 1905 lo si ritrova aiutante di campo del maggior generale A. Crispo alla brigata Casale. Due anni dopo fu assegnato al 65° reggimento Valtellina (colonnello L. Amadasi – maggior generale P. Marini). In Libia nel 1911, rientrò in Italia l’anno successivo assumendo l’incarico di aiutante di campo del Re, incarico che resse fino al 1915. Promosso colonnello, entrò in guerra al comando del 131° reggimento Lazio e lo guidò fino al 26 maggio 1916 sul fronte carsico. Promosso colonnello brigadiere, assunse lo stesso giorno il comando della brigata Napoli. Apremiare le sue azioni nella zona tra il monte San Michele e il Basso Isonzo tra il maggio 1915 ed il maggio 1916, arrivò la prima medaglia d’argento, con la seguente motivazione: Seppe educare, istruire e condurre il suo reggimento in lungo e aspro periodo di guerra; con impeto veemente e sanguinoso, conquistò formidabili posizioni e resistette con incrollabile fede e tenacia agli accaniti ritorni offensivi del nemico. In assai critica situazione, sotto intenso bombardamento accorse in trincea, rendendosi esatto conto delle intenzioni avversarie; con calma esemplare e fiere parole incitati i suoi, prevenne e respinse brillantemente un violento contrattacco nemico. Il successivo 2 novembre meritò a San Grado la seconda medaglia d’argento con la seguente motivazione: In un grave momento in cui il nemico, dopo vivo bombardamento, pronunziava un violento contrattacco su una nostra importante posizione debolmente presidiata, essendosi interrotte le comunicazioni e mancando truppe disponibili, si recava sul posto col personale del comando di brigata e vi raccoglieva quanti soldati gli riuscì possibile, radunano i dispersi e formando un nucleo che, ricondotto alla lotta, riusciva a fronteggiare e respingere il tentativo avversario, ristabilendo così a decisivo nostro vantaggio la situazione seriamente minacciata. Apremiare il complesso delle sue azioni, arrivò anche la croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia (Regio decreto del 28 dicembre 1916). Chiaramente tra gli “spiccanti”, assunse il 14 novembre 1916 il comando della brigata Lazio, che tenne fino al 13 luglio dell’anno successivo, ormai col grado di maggior generale (31 dicembre 1916). Squillace era a questo punto maturo per il comando di divisione, uno degli incarichi in cui era più facile – anche per la vigile attenzione di Cadorna – incassare il fatale “siluro”. Il 20 agosto 1917 ebbe la sua opportunità, chiamato da Capello al comando della 60ª divisione (brigate Vicenza e Elba) in sostituzione dell’esonerato generale Novelli, accusato di poca decisione. Con questa unità Squillaceaffrontòl’undicesimabattagliadell’Isonzo alle dipendenze del XXIVC.d.A. (generale E. Caviglia), spingendosi il 22 agosto in direzione sud-est, e minacciando il

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Kobilek alle spalle. A detta di Caviglia, solo l’improvvido ordine di arresto giunto dal comando d’armata, preoccupato del mancato collegamento con l’arretrata 3ª divisione sulla sinistra, impedì a Squillace, con suo grande rammarico, di puntare su Bate, al centro dell’altopiano della Bainsizza, e di tagliare la ritirataagli austriaci che fronteggiavano ilnostro II C.d.A. Posto successivamente al comando della 66ª divisione (brigate Abruzzi e Cuneo) del VI C.d.A. (Lombardi), Squillace guadagnò la terza medaglia d’argento per i combattimenti del settembre-ottobre 1917 sul San Gabriele, con la seguente motivazione: Comandante di una divisione, con esemplare attività e personale intervento riusciva ad ottenere dalle sue truppe, sotto i micidiali bombardamenti nemici, importanti lavori di rafforzamento e notevole progressiva avanzata mediante piccole azioni notturne e di sorpresa che fruttarono la cattura di avversari e i materiale bellico.Affrontata la ritirata di Caporetto, fu successivamente impegnato nella battaglia d’arresto sul Grappa, dove tenne il settore centrale della difesa e guidò l’attacco all’Asolone del 13-15 gennaio 1918. Sempre con questa grande unità (brigate Cuneo – generale Lodomez; e Messina –generale De Bourcard), Squillace operò anche a Vittorio Veneto, alle dipendenze nuovamente di Caviglia. Durante gli scontri, sfondò su Farra di Soligo inviando, il 29 ottobre 1918, punte sino al Soligo. Lasciò la sua divisione il 7 ottobre 1919, per passare l’anno successivo a disposizione del Ministero della Guerra. Nel 1922 comandò la divisione militare territoriale di Genova, assumendo l’anno successivo il grado corrispondente di generale di divisione. L’anno successivo fu trasferito a Napoli, incarico durante il quale presenziò all’inaugurazione al monumento ai caduti di Nola. In aspettativa per riduzione dei quadri nel 1926, ebbe tre anni dopo il grado di generale di C.d.A. nella riserva. Al suo attivo vanno ascritte alcune pubblicazioni sulle operazioni coloniali. Il 7 marzo 1943 fu ricevuto, come del resto altre personalità del mondo militare italiano interessate ad un cambiamento politico (es. il generale Ettore Bastico) da Pio XII in Vaticano.

Bibliografia: C. Squillace, La brigata Cremona: 21 e 22 reggimento fanteria. Firenze Tip. Barbera, di Alfani e Venturi, 1910; Il Carroccio, Volume 16, p. 230. Chariot Publishing Corporation, 1922; S. Laredo de Mendoza Gabriele d’Annunzio, fante del Veliki e del Faiti: documenti e testimonianze. Impresa editoriale italiana, 1932; P. P. Cervone Vittorio Veneto: l’ultima battaglia, pp. 19-20. Ugo Mursia Editore, 1994; G. Catenacci Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex-Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 467-468. Gaspari, Udine 2019.

TALLArIGOArMANDO

“Il colonn. brigad.Tallarigo è ufficiale di aspetto distinto, di aperta intelligenza, di ottima educazione, di solida e vasta coltura, di elevati sentimenti” fu il giudizio che il tenente generale Dabalà diede di lui al ritorno dalla prigionia dopo la Grande Guerra. Primogenito di una nobile famiglia baronale calabrese, nacque a Catanzaro il 14 Agosto 1864. I Tallarigo erano originari di Sersale, un borgo della Presila catanzarese, dove erano la famiglia più facoltosa e in vista. Un Tallarigo, Francesco Maria, era stato arciprete del paese, salvandolo coraggiosamente dalla rappresaglia francese durante l’occupazione murattiana del Regno di Napoli sotto Ferdinando IV di Borbone. Il padre di Armando,

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Francesco, era invece sindaco di Sersale, e aveva sposato Barbara Greco, rampolla di una famiglia di profondi sentimenti risorgimentali, tanto da chiamare gli altri due figli Garibaldi e Italia. Il giovaneArmando dette prova fin dai primissimi anni di essere colto e studioso, e fu mandato al prestigioso Collegio Militare della Nunziatella di Napoli nel 1878. Qui fu il migliore del suo corso, ed ebbe modo di avere come compagni di studio alcune figure apicali del Regio Esercito degli anni seguenti, tra cui i futuri generali Giuseppe Pennella e Alfredo Taranto. Con quest’ultimo si legò di una fraterna amicizia che durerà tutta la vita. Passato all’Accademia diArtiglieria e Genio di Torino, fu sempre tra i migliori, classificandosi al quarto posto della graduatoria finale. Terminati gli studi e ottenutala nomina a tenente, nel 1885 fu inviato presso il 15° reggimentoArtiglieria. Qui fu protagonista di un incidente che avrebbe potuto costargli la vita, dato che fu raggiunto ad una gamba da un proiettile partito accidentalmente dal fucile di un soldato durante un’esercitazione di tiro. Nel 1890 passò al Comando Artiglieria da Fortezza di Napoli, dove rimase per due anni, fino ad essere chiamato, insieme al fraterno amico Alfredo Taranto, come insegnante di Storia Militare presso l’Accademia di Artiglieria e Genio. Qui ebbe come allievi i futuri generali PietroAgo, Riccardo Calcagno e Melchiade Gabba. Nel 1894 fu ammesso alla Scuola di Guerra, dove ebbe come insegnante Galileo Ferraris, e nel 1897 transitò al Corpo di Stato maggiore, assegna- to alla divisione Militare di Genova, prestando poi servizio ad Acqui e a Sassari. Nel febbraio 1900 sposò la nobildonna napoletana Margherita Eustachio-Savarese, proveniente da una famiglia che annoverava tra i suoi antenati alcuni ministri del Regno delle Due Sicilie. Trasferito alla divisione Militare di Ancona, mise radici in Toscana, dove nacquero i suoi quattro figli: Carlo, futuro ammiraglio della Regia Marina; Marcello, prefetto; Franco, ufficiale di cavalleria; e Paolo, diplomatico. A Firenze, Tallarigo studiò Geodesia presso l’Istituto Geografico Militare, conseguendo poi la laurea a pieni voti inAstronomia Sferica presso la locale università. Promosso maggiore a scelta, transitò in fanteria, prestando servizio presso il 4° reggimento fanteria (brigata Piemonte), sempre a Firenze. Costantemente giudicato “eccellente” dai suoi superiori, autore di diversi lavori tecnici sulla Rivista Militare, nel 1907 fu nominato Capo di Stato maggiore della divisione di Ravenna. Nel 1910 ritornò a Firenze, dove fu Capo di Stato maggiore della locale divisione, sotto il comando del famoso generale Antonio Baldissera, protagonista della prima spedizione italiana in Etiopia.Allo scoppio della guerra italo-turca, ormai tenente colonnello, Tallarigo fu inviato in Libia come Capo di Stato maggiore della 3a divisione Speciale, sotto il comando del generale Felice De Chaurand, futuro capo dei servizi segreti italiani. In terra africana, meritò una medaglia di bronzo al valor militare durante la battaglia di Zanzur. Rientrato in Italia, affrontò gli esami per la promozione a colonnello, inopinatamente fallendoli e venendo messo in congedo. In conseguenza di ciò, iniziò un lungo contenzioso per poter ripetere la prova, e alla fine riuscì ad esservi ammesso per una seconda volta, fallendola però nuovamente ed essendo messo in congedo definitivo. Tale situazione durò tuttavia pochi mesi, dato che lo scoppio della Grande Guerra fece in modo che venisse prima richiamato in servizio presso la divisione di Firenze, e poi inviato a comandare il presidio logistico diVillaVicentina.Ansioso di essere inviato al fronte, approfittò di una circolare del duca d’Aosta – suggerita da Vanzo – che offrì ai tenenti colonnelli che avessero fallito le prove di avanzamento, di prendere il comando di un reggimento. Unico tra tutti, Tallarigo accettò e gli fu assegnato il comando del 152° fanteria della già leggendaria brigata Sassari. Qui trovò il comandante Francesco Raho, suo anziano alla Nunziatella e che forse non era stato estraneo alla sua assegnazione; e il poi

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generale Stanislao Mammucari, comandante del 151°. Con la Sassari,Tallarigo trascorse tutti i momenti topici della sua epopea, combattendo sul Carso, durante il famoso Anno sull’Altipiano immortalato da Emilio Lussu, e venendo ferito alla testa sul monte Zebio, quando meritò la medaglia d’argento al valor militare. Dopo la morte del generale comandante Eugenio Di Maria, Tallarigo assunse a più riprese il comando di brigata, venendo poi definitivamente confermato nel ruolo il 24 marzo 1917. In questo periodo, come testimoniato dai diaristi della Sassari Tommasi e Motzo, si comportò sempre valorosamente, così come entrambi i Reggimenti della brigata che sotto il suo comando furono entrambi decorati di Medaglia d’oro. Come brigadiere generale, condusse la vittoriosa avanzata della Sassari sulla Bainsizza. La rotta di Caporetto lo trovò in posizione di riposo, e fu tra i pochissimi comandanti a riuscire a portare intatta al Tagliamento la propria unità. Impegnatosi in combattimento contro soverchianti forze nemiche, riuscì ad arrestarne per alcune ore la corsa, venendo tuttavia catturato poco fuori Codroipo e avviato ai campi di prigionia di Rastatt, Celle e infineAugustabad. Ebbe come compagni di lager i generali Mangiarotti, Fochetti, Torre, Goggia e Poggi. Dalla prigionia tornò minato nel corpo e affetto da sindrome di Basedow che lo costrinse in posizione di quiescenza per tutto il Biennio Rosso. In questo periodo, i suoi figli Marcello e Franco furono protagonisti dello squadrismo fiorentino, partecipando poi alla Marcia su Roma. Pur mantenendo la neutralità richiesta dal suo status di ufficiale, anche Tallarigo fu vicino al fascismo delle origini, soprattutto in ragione del suo atteggiamento in difesa degli ufficiali. Rientrato in servizio, percorse ancora una lunga carriera che lo portò al comando della divisione di Bari, della Scuola di Guerra e del Corpo d’armata di Bologna, raggiungendo il grado di generale di Corpo d’armata. Cessato dal servizio, rientrò a Firenze, dove intraprese un’intensa attività pubblicistica, dando alle stampe I Capi e la loro preparazione morale alla funzione del comando, un volume dedicato alla formazione degli ufficiali che ebbe tre edizioni in anni diversi, e un grande successo di pubblico. All’inopinata morte dell’amicoAlfredo Taranto nel 1932, gli dedicò il volume biografico omonimo. Con i figli tutti avviati a brillanti carriere e convenientemente sposati (Carlo sposò la figlia dell’Ammiraglio Mario Monaco, cerimoniere del re e prefetto dei Palazzi Reali), Tallarigo ottenne nel 1927 il riconoscimento dal re Vittorio Emanuele III del titolo di barone di Zagarise e di Sersale portato dalla sua famiglia sin dal periodo borbonico. Nel 1934 fu nominato senatore, avendo come relatore il generale Maurizio Gonzaga, sua vecchia conoscenza della Grande Guerra. Fu membro della Commissione Guerra, ma mantenne una modesta attività parlamentare. In seguito alla guerra d’Etiopia, maturò un progressivo distacco dal regime Fascista, con posizioni sempre più critiche rispetto all’opportunità di entrare nella Seconda Guerra Mondiale. Quando la sua casa di Firenze fu colpita dai bombardamenti americani, si trasferì definitivamente a Roma, dove seguì le tragiche vicende dell’ultimo periodo di guerra. Caduto il fascismo e finita l’occupazione tedesca, fu messo in stato d’accusa per aver sostenuto il Regime e dichiarato decaduto da senatore. Presentò ricorso insieme con decine di altri colleghi, e pur riuscendo a far infine annullare la sentenza di decadenza, non rientrò più in Senato, dato che l’avvento delle istituzioni repubblicane aveva cancellato il titolo di senatore del Regno. Si spense a Roma il 22 aprile 1952 e fu sepolto al cimitero del Verano, dove riposa tuttora insieme alla moglie.

Bibliografia: Fascicolo personale del senatore Armando Tallarigo, Archivio Storico del Senato; A. Tallarigo, Esperimento comparativo fra i tiri di fronte e i tiri obliqui, “Rivi-

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sta militare” X, p. 1979, 1907; A. Tallarigo, Considerazioni intorno all’avanzata della fanteria nella zona efficacemente battuta, “Rivista militare” IX, p. 1784, Roma 1908; A. Tallarigo, Quattro esercitazioni tattiche svoltesi a Firenze sotto la direzione del generale Antonio Baldissera, “Rivista militare” XI, p. 2145, Roma 1910; A. Tallarigo Considerazioni intorno all’avanzata della fanteria nella zona efficacemente battuta Roma Voghera, 1908; A. Tallarigo Quattro esercitazioni tattiche svoltesi a Firenze sotto la direzione del generale Antonio Baldissera Roma 1910; A. Tallarigo I capi e la loro preparazione morale alla funzione del comando Firenze Rinascimento del libro, 1931, 1938, 1940; A. Tallarigo Il generale Alfredo Taranto Firenze Il rinascimento del libro, 1934; P. Pozzato, Un anno sull’Altipiano con i Diavoli Rossi, Gaspari, Udine 2006; G. Seccia, Monte Zebio. Dalla Strafexpedition alla vittoria finale 1916-1918, Nordpress, Chiari 2007; F. Scala, Il generale Armando Tallarigo – dalla leggenda della brigata Sassari al dopoguerra. Udine Gaspari 2018; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 472-474. Gaspari, Udine 2019.

TArANTOALFrEDO

Alfredo Taranto nacque a Napoli il 15 marzo del 1866 da Francesco Saverio, lucano, uomo colto e buon amministratore, animato da sentimenti sinceramente antiborbonici. La sua era una famiglia quanto meno singolare, anche per i parametri della seconda metà dell’800: Alfredo aveva infatti 20 tra sorelle e fratelli, tre dei quali seguiranno come lui la carriera militare. Entrato alla Nunziatella il 1° ottobre del 1879, vi strinse una fraterna amicizia con il poi generale Armando Tallarigo che durò per tutta la loro vita. Ebbe inoltre occasione di conoscervi il giovane Vittorio Emanuele III che vi entrò nel 1881. Nel 1883 passò all’Accademia di Torino da cui uscì sottotenente di artiglieria il 2 agosto 1886. Quinto classificato sui 64 allievi della scuola di Applicazione, fu al 13° reggimento artiglieria da fortezza e quindi al 25° da costa. La grande preparazione culturale che comprendeva anche un notevole talento da musicista, e una spiccata propensione all’insegnamento, lo portarono nel 1892 ad assumere l’incarico di aggiunto di Arte Militare sempre a Torino, dove incontrò nuovamente Armando Tallarigo. Alla Scuola di guerra nel 1895 e capitano nell’agosto del 1887, la ultimò 2° su 49 l’anno dopo. Passò poi nello Stato maggiore e prestò servizio al comando del Corpo e poi alla divisione di Bari. Cooptato definitivamente nello S.M., fu assegnato alla divisione di Napoli. Maggiore a scelta nel 1907, ricevette il comando di un battaglione dell’11° reggimento. Nel 1911 fu a capo dell’organizzazione logistica a Napoli della spedizione di Libia. Dopo un servizio alla Commissione per le strade ferrate, ormai tenente colonnello, rientrò allo S.M. Promosso colonnello, entrò in guerra quale capo di S.M. del X C.d.A. Agli ordini del Tenente generale Grandi. Ricoprì tale ruolo fino al 26 marzo dell’anno successivo. Tre giorni dopo, ormai colonnello brigadiere, ricevette il comando della neonata brigata Sele. Se la fortuna è, napoleonicamente, la prima dote di un buon generale, non si può certo dire che la dea bendata camminasse a fianco del bravo ufficiale napoletano. Incaricato di condurre i suoi uomini all’attacco di Passo della Borcola, dovette affrontare i duri Kaiserjäger dell’8ª divisione a.u. Due mesi dopo, mentre aveva la responsabilità della difesa della cruciale cima del Cimone diArsiero, subì la mina preparata da tenente Mlaker per eliminare il caposaldo italiano di vetta. La sua competenza e il coraggio personale dimostrato erano fuori discussione, e ricevette quasi a tamburo battente la

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croce di cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia, cosa non frequente per un colonnello di 50 anni; ma il suo carattere – già non facile – risentì di questi insuccessi. Stimato dai suoi comandanti di divisione (A. Graziani e Sailer) che apprezzavano soprattutto il suo senso della disciplina, fu promosso maggior generale per normale scadenza nel dicembre dello stesso anno, restando alle dipendenze della 9ª divisione fino all’aprile del 1917. Mancavano i comandanti di reparto, ma non abbondavano nemmeno gli ufficiali di S.M. preparati, e così, su richiesta esplicita del Tenente generale Di Robilant, divenne Capo di S.M. della 4ª armata. Vi restò però solo tre mesi, dato che nell’agosto del 1917 passò al comando della 58ª divisione, in quel momento alla 3ª armata. Con questa grande unità, dove presto divennero famosi i suoi feroci “cazziatoni”, combatté duramente a Q.378 nel corso della decima battaglia dell’Isonzo. Petitti di Roreto, non certo facile agli entusiasmi per gli inferiori, lo propose per la croce di ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia – la ricevette poi il 4 marzo del 1921. Il 25 ottobre fu scelto per comandare un corpo d’armata, mancando un posto vacante, ma per un caso sfortunato fu inviato in tutta fretta a Tolmezzo a sostituire il maggior generale Isidoro Zampolli, caduto ammalato, al comando della 36ª divisione. Con le truppe di questa unità che nemmeno conosceva, fu coinvolto nella disgraziata ritirata fra leAlpi Carniche che ci costò la perdita di due preziose divisioni e di molti ottimi comandanti.ATamargià, non lontano daTramonti, cadde nelle mani degli uomini della 92ª divisione di fanteria a.u. Condotto nel campo di prigionia dei generali, aVassurany in Ungheria, dopo essere stato a Udine,Wisselburg e quindi ad Hart, vi ritrovò i colleghi Bucalo, Stringa e, qualche settimana più tardi, Rocca. Fu quindi trasferito al campo di Felsösàg, ma la vita in prigionia aggravò le sue condizioni di salute tanto sul piano fisico quanto su quello nervoso. Rientrò in Italia l’11 novembre 1918, e dopo l’immancabile interrogatorio ad opera della relativa Commissione, tornò in servizio nella tarda estate del 1919 quale comandante del settore di Gorizia e della zona di armistizio. Un anno dopo divenne ufficialmente il comandante di divisione della stessa città. Ma il suo destino era quello di sostituire colleghi ammalati in situazioni delicate: nemmeno un mese dopo, il 15 luglio 1920, prese il posto del generale Viora al comando delle truppe della Dalmazia. Ne sovrintese lo sgombero e il 28 luglio 1921 fu inviato in Tripolitania: obiettivo aver ragione della rivolta araba. Qui Taranto sperimentò la tattica dell’infiltrazione di veloci colonne multiarma e fu il primo a valorizzare le capacità tattiche dell’astro nascente Rodolfo Graziani. La sua azione gli valse la promozione a generale di C.d.A. Per merito di guerra, su proposta del governatore Volpi, il 23 maggio 1923. Rimpatriato, assunse il comando del C.d.A. di Verona, fino al giugno del 1926, e quindi di quello di Trieste, fino al 19 marzo 1932, rappresentando uno degli elementi più sinceramente fascisti all’interno dell’esercito. Passato in ausiliaria per limiti d’età, il duro napoletano dal viso magro, i baffi piccoli e radi, le grandi orecchie a sventola, non doveva godersi la pensione. Stimato da Mussolini, e libero da impegni di servizio, fu in predicato di assumere l’incarico di Ministro della Guerra al posto di Gazzera. Il 1° dicembre del 1932 gli fu tuttavia diagnosticato il tumore rino-faringeo, scambiato per una banale infezione, che solo cinque giorni dopo ne causò la morte. La moglie Maria Giardullo, sposata poco prima di intraprendere il corso alla Scuola di Guerra, non gli sopravvisse che pochi mesi. Il fraterno amicoA.Tallarigo gli dedicò una lucida biografia che ne descrisse la “personalità di non comune levatura sia per la potenza dell’ingegno sia per le gagliarde doti di carattere”.

Bibliografia: A Tallarigo, Il generale Alfredo Taranto. Il Rinascimento del libro, Firenze

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1934; F. Scala, Il generale Armando Tallarigo – dalla leggenda della brigata Sassari al dopoguerra, Gaspari, Udine 2018; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 475-476. Gaspari, Udine 2019.

TOZZI pASqUALE

Nato il 7 marzo 1861 a San Martino in Pensilis (Campobasso), allievo del corso 1875-78 della Nunziatella con Carmelo Vella, sottotenente di artiglieria nel 1880 e tenente due anni dopo al 13° reggimento artiglieria. Nel 1888 passò al 14° reggimento artiglieria da campagna, e, promosso capitano nel 1889, fu al 12° artiglieria da campagna e quindi alla Direzione di artiglieria di Torino. Nel triennio 1892-94 fu alla Scuola di Guerra, passando poi al 2° e quindi al 5° reggimento artiglieria per insegnare poi alla Scuola di Applicazione. Nel 1902 passò alla nuova specialità dell’artiglieria da montagna, dove fu promosso maggiore nel giugno 1904. Dal 1906 fu alla Scuola centrale di tiro di Nettuno dove rimase fino al 1909, raggiunto dalla promozione a tenente colonnello, per passare quindi alla Direzione di artiglieria di Roma. Partecipò alla guerra di Libia, al comando prima di un gruppo, quindi di un raggruppamento in Cirenaica. Promosso colonnello, nel giugno 1913 fu autore di una lettera al generale U. Brusati in cui lamentava il cattivo stato di salute dei suoi artiglieri e l’eccessiva condiscendenza mostrata verso gli arabi. Rientrato in Italia fu posto al comando della Scuola di Nettuno e quindi trasferito, agli inizi del 1915, all’Ispettorato di artiglieria quale Capo ufficio. Agli inizi delle ostilità si vede affidare il 13° reggimento artiglieria da campagna, ma non ebbe il modo di portarlo al fuoco perché venne inviato negli USA quale responsabile degli acquisti di armi e munizioni presso l’industria americana. Vi restò tre anni, a dispetto delle frequenti richieste di rimpatrio, collaborando strettamente con Thomas Lamont, co-fondatore della Italy-America Society. Riuscì in particolare a garantire a Cadorna l’invio di un cospicuo quantitativo di armi e munizioni in occasione dell’invasione del Trentino. Fu anche oggetto di insinuazioni di peculato da cui uscì indenne e riabilitato dalle indagini di un’apposita Commissione parlamentare. Nel 1916 fu promosso maggior generale, ma non si vide assegnato alcun comando al fronte. Solo nel 1920 svolse il periodo di comando al C.d.A. di Roma. In tale veste, in occasione della Marcia su Roma sostituì interinalmente il tenente generale Ravazza al comando del VII C.d.A. della capitale e non inoltrò il piano di difesa di Roma, presentato il 27 settembre al comando della grande unità, che il 17 ottobre. Promosso generale di divisione nel riordino dell’esercito del 1923, lasciò due anni dopo il servizio attivo. Nel 1927 ricevette ancora la promozione a generale di C.d.A. della riserva. Morì a Roma nel 1940 dopo aver realizzato un’opera relativa alla sua esperienza americana.

Bibliografia: P. Tozzi, E. Barzan, L’ artiglieria nella guerra campale. Lattes, Torino 1903; P. Tozzi I miei tre anni di missione in America. [S. l.], 1926; D. J. Forsyth, The Crisis of Liberal Italy, p. 265. Cambridge University Press, 2002; C. Crocella, F. Mazzonis, L’inchiesta parlamentare sulle spese di guerra (1920-1923): Saggi, p. 503. Camera dei deputati, Archivio storico, 2002; G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella, op. cit.; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 488-489. Gaspari, Udine 2019.

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USSANI FErDINANDO

Nato a Napoli il 30 luglio 1858, allievo del corso 1874-77 della Nunziatella, sottotenente di fanteria nel 1877, tenente due anni più tardi. Nel dicembre 1903 fu promosso tenente colonnello, due anni dopo lo si ritrova comandante di battaglione all’87° reggimento Friuli con sede a Bari, allora al comando del colonnello C. Pullè. Nel 1907 fu invece all’85° reggimento Verona a Novara. Promosso colonnello nel 1909, ebbe il comando prima del 44° poi del 20° reggimento fanteria, partecipando alle campagne libiche del 1912-13. Promosso maggior generale nel 1914, ebbe il comando della brigata Como con la quale entrò in guerra, alle dipendenze della 2ª divisione (generale Nasalli-Rocca) del I C.d.A. (generale Ragni), guidandola in Val Boite tra Venas e Borca di Cadore. Nell’agosto 1915 fu probabilmente coinvolto nel piccolo terremoto che sconvolse la 4ª armata, rea agli occhi di Cadorna di aver mancato a tutti i suoi obiettivi – forse invero troppo ambiziosi.Assieme al suo comandante di divisione dovette lasciare il fronte. Posto in posizioneausiliarianel1919,ricevettecomunquenel1923 ilgrado di generale di divisione, per esser collocato a riposo nel 1927. Un cronista lo ricorda “piantato come un querciolo” alle celebrazioni del 150° anniversario della fondazione della Nunziatella, nel 1937.

Bibliografia: S. Castronuovo, Storia della Nunziatella, Napoli 1970. G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 507. Gaspari, Udine 2019.

VELLACArMELO

Anche lui non ebbe la ventura di una carriera ricca di soddisfazioni e la sua partecipazione al conflitto fu quanto meno “anomala”. Nato il 29 ottobre 1861, allievo del corso 1875-78 con Pasquale Tozzi, fu nominato sottotenente di fanteria a 20 anni. Promosso capitano nel 1893, partecipò alle campagne in Africa Orientale del 1895-97. Nel 1907 fu in servizio al 24° reggimento Como a Palermo. Promosso colonnello nel 1915, fu destinato inizialmente alla Libia. Rientrato in patria, assunse il 10 marzo il comando del 90° Salerno, allora agli ordini del maggior generale V. Fiorone, che lasciò pochi giorni prima che esso fosse investito dall’offensiva austriaca sull’Altopiano di Vezzena. Lo si ritrova brigadier generale nel marzo 1917 quando assunse il comando della brigata Messina, che peraltro tenne per soli 5 giorni (dall’8 al 13). Scompare quindi dalle scene del conflitto. In posizione ausiliaria speciale nel 1920, divenne divisionario nel 1923 e passò nella riserva nel 1931.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 512-513. Gaspari, Udine 2019.

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VErDINOIS GUGLIELMO

Ufficiale del genio, fu per almeno un triennio il nume tutelare di tutta l’immensa mole di lavoro svolto dalla 4ª armata in Cadore. Napoletano verace, nacque il 2 giugno 1856 e fu allievo del corso 1869-71 della Nunziatella. Fu quindi un autentico “veterano” della Grande Guerra. Sottotenente del genio nel 1874, fu promosso tenente colonnello nel dicembre 1901. Nel 1905 fu al comando del genio di Napoli; promosso colonnello l’anno successivo, nel 1907 fu direttore della sottosezione autonoma del genio di Perugia. Divenne quindi capo dell’ufficio fortificazioni a La Spezia. Maggior generale dal 1912, entrò in guerra contro l’Austria al comando del genio della 4ª armata, che tenne per tre anni fino al 25 luglio 1917, promosso tenente generale fin dal 1° ottobre 1915. Il 19 settembre 1918 la croce di cavaliere dell’OMS andò a premiare questa lunga attività oltre all’impegno profuso nel riordino dei reparti dopo Caporetto. Nel 1920, prima di passare in ausiliaria, comandò il genio a Napoli. Nel 1924, ormai col grado di generale di divisione a disposizione del C.d.A. di Napoli fu giudicato non idoneo al grado superiore dalla Commissione per l’avanzamento (13 no). Ricevette comunque il grado di generale di C.d.A. nel 1925.

Bibliografia: G. Catenacci, Ruolo in ordine alfabetico e per Corso Allievi Scuola Militare Nunziatella 1787-2015, Associazione Nazionale Ex Allievi Nunziatella, Napoli 2015; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 515. Gaspari, Udine 2019.

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GALLErIA DI rITrATTI DI EX ALLIEVI DEL COLLEGIO MILITArE NUNZIATELLA ChE prESErO pArTE DA GENErALI ALLA GrANDE GUErrA

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aveta eugenio Baumgartner edmondo Baistrocchi Federico Berardi gaBriele
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Briganti Fileno jr carignani carlo camicia Francesco Paolo de rossi eugenio

di giorgio antonino generale

di giorgio antonino senatore

ettorre giusePPe

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Falcone antonio
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gaBrielli alFredo guadagni camillo galasso vincenzo leone gasPare
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maggiorotti leone andrea marghieri guglielmo marciani Francesco moneta giovanni
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novelli corrado Perris carlo Pennella giusePPe Pirro egidio
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Pollio alBerto rizza seBastiano ratti giusePPe rosacher luigi
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rotondi giovanni sodani Paolo ruggieri Benedetto squillace carmelo
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tallarigo armando taranto alFredo

UFFICIALI DELL’ESErCITO pErVENUTIALGrADODIGENErALE

DUrANTE LAGrANDE GUErrAGIÀADDETTIALCOLLEGIO MILITArE DELLANUNZIATELLA

CASSINIS GIUSEppE

Alungo in Libia, fu comunque un valido comandante di divisione nel corso del conflitto. Veneto a dispetto del cognome, nacque a Vicenza il 24 settembre 1860. Sottotenente dei bersaglieri a 21 anni, fu addetto al Collegio militare della Nunziatella di Napoli e quindi insegnante all’Accademia di Modena. Maggiore dal giugno 1904, prestò servizio dal 1905 al 1908 al 12° reggimento bersaglieri a Brescia, dove molti dei colleghi capitani diverranno generali nel corso del conflitto mondiale.AModena dal 1909 al 1913, nel dicembre del 1909 fu promosso tenente colonnello. Colonnello nel 1914 ebbe il comando del 1° reggimento bersaglieri col quale fu destinato in Libia e che guidò fino al novembre 1915, tentando invano di liberare dall’assedio la città di Tarhuna. Rientrato quindi in Italia e promosso maggior generale, ottenne il 7 giugno 1916 il comando della brigata Taranto che guidò fino all’8 febbraio dell’anno seguente, dando personali esempi di valore nella battaglia di Gorizia e sul San Marco. Ne ricavò la croce di ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia (28 dicembre 1916). Messo nuovamente a disposizione del Ministero delle Colonie, tornò in Libia quale comandante delle truppe dellaTripolitania, dove tentò invano di stabilire comunicazioni costanti fra Tripoli e Zuara e combatte a Marsa Zuaga e Sidi Bilal senza particolari successi, ma meritando comunque la promozione a tenente generale per merito di guerra il 21 settembre 1917. Di nuovo in Italia fu messo a disposizione della 4ª armata e il 2 aprile 1918 fu comandante titolare della 59ª divisione di fanteria, incaricata della difesa del settore centrale del Grappa che guidò nel corso della battaglia del Solstizio quando, dopo un ripiegamento iniziale di tre battaglioni della brigata Modena, frustrò ogni ulteriore sforzo offensivo della 60ª divisione austro-ungarica del generale von Bardolff. Lasciata la sua unità in seguito ad una ferita, tornò al fronte in tempo per assumere il comando della 27ª divisione in vita dell’offensiva finale (23 ottobre 1918) che lo vede operare con le brigate Taro e Marche alle dipendenze di Montuori sull’Altopiano dei Sette Comuni. Lasciato il comando di questa unità il 14 gennaio 1919, fu nominato comandante la divisione militare territoriale di Bologna che lasciò nel 1921 per la posizione ausiliaria. Promosso generale di divisione nel 1923, ma privo dei titoli culturali che gli avrebbero consentito di restare proficuamente nell’esercito, lasciò quest’ultimo per la M.V.S.N. Nel 1924 la Commissione per l’avanzamento lo giudicò “non idoneo” al grado superiore. Tenne il comando della 9ª zona della milizia fino al 1927. Alla trasformazione della Sezione storica della Regia Aeronautica in Ufficio Storico, avvenuta il 15 dicembre 1928, egli ne fu nominato capo.

Bibliografia: V. Spina, Aeronautica: storiografia e archivi, Acta II Convegno nazionale di Storia Militare; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 39. Gaspari, Udine 2019.

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ENTEr FrANCESCO

Napoletano, nacque il 25 luglio 1852, e appartiene quindi alla schiera dei generali anziani che verranno allontanati dal comando dopo pochi mesi di guerra. Ufficiale di fanteria nel 1877, fu insegnante a Modena e nel giugno 1900 fu promosso tenente colonnello. Nel 1905 prestò servizio al 92° reggimento Basilicata a Viterbo, agli ordini del maggior generale Nicolis di Robilant. Nel settembre dello stesso anno fu promosso colonnello e assunse il comando del 25° reggimento Bergamo a Torino. Nel 1908 fu destinato alla direzione del Collegio militare della Nunziatella di Napoli. Ormai sessantatreenne, fu collocato in posizione ausiliaria e da lì sarebbe transitato a riposo, se lo scoppio della guerra non ne avesse provocato il richiamo in servizio come maggior generale. Gli fu affidato il comando della brigata Barletta, dove restò per solo quattro mesi dallo scoppio della guerra, fino al 26 settembre 1915. Pur non figurando fra i comandanti di brigata esonerati, non ricoprì altri incarichi al fronte. La sua fu quindi con ogni probabilità un’assegnazione del tutto provvisoria, in attesa di reperire un comandante di brigata più giovane – fu sostituito dal maggior generale M. Gianni. Collocato in congedo, nel 1923 fu promosso generale di divisione nella riserva.

Bibliografia: S. Castronuovo, Storia della Nunziatella, Fiorentino, Napoli 1970; P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 128. Gaspari, Udine 2019.

VESpIGNANI ETTOrE

Uno dei non molti romani a portare la greca, nacque nella capitale il 7 agosto 1861. Sottotenente di fanteria a 19 anni, frequentò con successo la scuola di guerra. Tenente colonnello dal dicembre 1903, nel 1905 fu comandante di battaglione al 36° reggimento Pistoia con sede all’Aquila, alle dipendenze dell’allora maggior generale Luigi Cadorna. Due anni dopo fu invece al 39° reggimento Bologna, allora al comando del maggior generale A. Piacentini. Colonnello nel 1909, assunse il comando del 68° reggimento Palermo a Treviso e quindi del Collegio militare della Nunziatella di Napoli. Maggior generale nell’aprile 1914, ebbe il comando della brigata Livorno, che portò in guerra fino all’11 ottobre 1915. La precedente conoscenza con Cadorna non gli giovò o forse fu proprio la causa dell’esonero che lo colpì in tale data, più precisamente il 10 ottobre, per “deficienza di carattere”. Mantenuto comunque in servizio all’interno, comandò dapprima la divisione militare di Napoli e quindi, nel 1919 entrò a far parte della Commissione per l’esame delle proposte di ricompensa al valor militare. Nel 1923 fu posto in posizione ausiliaria col grado di generale di divisione a disposizione del C.d.A. di Roma. L’anno successivo la Commissione per l’avanzamento ne bocciò l’ulteriore promozione (12 no e 4 sì). Passò nella riserva nel 1930.

Bibliografia: P. Gaspari, P. Pozzato, F. Scala, I generali italiani della Grande Guerra, volume 2, C-Z, p. 515-516. Gaspari, Udine 2019.

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col. Francesco enter comandante del collegio dal 1908al 1910

col. ettore vesPignani

comandante del collegio dal 1910al 1914

INDICE GENErALE

Presentazione (Giuseppe Izzo corso 1967/70) pag. 5

Introduzione (Ferdinando Scala 1984/87) pag. 9

I GENERALI

ARENA Alfredo Federico pag. 15

ASSANTE Carlo pag. 16

AVETA Eugenio pag. 17

BAISTROCCHI Federico pag. 18

BAUMGARTNER Edmondo pag. 25

BENNATI Luciano pag. 26

BERARDI Gabriele pag. 28

BRIGANTI Fileno junior pag. 32

cAMiciA Francesco Paolo pag. 33

CARBONE Demetrio pag. 36

CARIGNANI Carlo pag. 37

CERILLO Carlo pag. 38

CHIODI Enrico pag. 39

COPPOLA Luigi pag. 40

COSTA Michele pag. 41

D’AGATA Tommaso pag. 42

D’AYALA GODOY Carlo pag. 42

DE ANGELIS Edoardo pag. 43

DE ANGELIS Pasquale pag. 44

DE ROSSI Eugenio pag. 45

DI GIORGIO Antonino pag. 51

DIOTAIUTI Roberto pag. 54

ETTORRE Giuseppe pag. 55

FALCONE Antonio pag. 56

FLOTTERON Augusto pag. 57

FRAMARIN Alessandro pag. 58

FRANCHINI Luigi pag. 59

GABRIELLI Alfredo pag. 59

GAGLIANI Francesco pag. 61

GALASSO Vincenzo pag. 63

GALATI Francesco pag. 64

GALATI Roberto pag. 65

GENOVESE Luigi pag. 66

GIAMPIETRO Emilio pag. 67

GUADAGNI Camillo pag. 68

LEONE Gaspare pag. 69

MAGGIOROTTI Leone Andrea pag. 70

MARAFINI Valentino pag. 71

MARCIANI Francesco pag. 73

MARGHIERI Guglielmo pag. 74

MARTINENGO DI VILLAGANA Angelo pag. 75

MERRONE Enrico pag. 76

MONETA Giovanni pag. 77

MORABITO Alessandro pag. 78

NECCO Antonio pag. 78

NOVELLI Corrado pag. 79

NOVELLI Enrico pag. 79

PASQUALINO Salvatore pag. 80

PASTORE Umberto pag. 81

PENNELLA Giuseppe pag. 81

PERRIS Carlo pag. 85

PIANA Luigi Ettore pag. 87

PIRRO Egidio pag. 87

POLLIO Alberto pag. 88

RAHO Francesco pag. 90

RATTI Giuseppe pag. 91

RICCIARDI Marino pag. 92

RIZZA Sebastiano pag. 93

ROSACHER Luigi pag. 94

ROTONDI Giovanni pag. 95

RUGGIERI Benedetto pag. 95

RUSSO Alberto pag. 96

SALAZAR Michele pag. 97

SALONNA PERSICO Carmine pag. 98

SANDULLI Roberto pag. 99

SICARDI Francesco pag.100

SODANI Paolo pag.100

SQUILLACE Carmelo pag.101

TALLARIGO Armando pag.102

TARANTO Alfredo pag.105

TOZZI Pasquale pag.107

USSANI Ferdinando pag.108

VELLA Carmelo pag.108

VERDINOIS Guglielmo pag.109

Ritratti degli Ex Allievi pag.111

GLI UFFICIALI

CASSINIS Giuseppe pag.121

ENTER Francesco pag.122

VESPIGNANI Ettore pag.122

Note

Finito di stampare le mese di novembre 2021 da La Buona Stampa - Caserta

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