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Prefazione, di Georges-Henri Soutou »
Introduzione. Il nesso tra nazionale e internazionale nell’Italia delle spie bolsceviche
Nel 1932, dieci anni dopo la Marcia su Roma di Mussolini e un anno prima dell’ascesa di Hitler in Germania, uno storico francese, all’epoca ancora non troppo conosciuto, scrisse uno dei volumi più originali della storiografia internazionale, destinato a diventare una delle pietre miliari per le generazioni degli studiosi a venire. Era Georges Lefebvre, e l’opera – che fu pubblicata dall’editore parigino Armand Colin, sotto il titolo di La grande peur de 1789 – ricostruiva la genesi e gli effetti della “grande paura” della rivoluzione francese, collocandosi sul complesso crinale dell’analisi storica, sociologica e psicologica dei comportamenti collettivi. Il volume fu poi tradotto da Aldo Garosci quando Einaudi ne decise la pubblicazione in italiano, nei primi anni Cinquanta, e percorse innumerevoli altre strade, condizionando certamente un buon numero di studiosi, sino a ritornare nelle mie mani come eco lontana di una delle mie prime letture da appassionata della storia, proprio mentre tentavo di dare una forma all’idea di studiare l’impatto della rivoluzione bolscevica sull’Italia del primo dopoguerra1 .
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Con gli opportuni distinguo (e con la speranza che questo volume conosca almeno una piccola parte dell’apprezzamento che La grand peur ebbe dalla comunità degli storici), questo studio tenta di ricostruire la genesi e l’evoluzione della “grande paura rossa”, la minaccia bolscevica dell’importazione della rivoluzione, da parte delle autorità italiane dell’Italia tardoliberale, tra lo scoppio degli eventi russi del novembre 1917 ed i fatti che anticiparono il compiersi della Marcia su Roma, nell’autunno 1922. La periodizzazione non è affatto casuale: per comprendere e misurare l’esistenza della “grande paura” che contribuì a generare il fascismo, era necessario mantenere un arco temporale nel quale
1 G. Lefebvre, La grande paura del 1789, Einaudi, Torino, 1953; l’opera originale era id., La grande peur de 1789, Armand Colin, Paris, 1932.
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la situazione italiana era ancora fluida, certo già caratterizzata da una sorta di “guerra civile” ma, al contempo, ancora non cristallizzata nella forma del regime fascista.
Il tema dei condizionamenti della rivoluzione bolscevica sull’Italia è stato un argomento battuto dalla storiografia soprattutto tra gli anni Sessanta e Settanta, periodo in seguito al quale l’attenzione degli storici si è rivolta altrove. La presenza di numerose colonie di esuli russi in Italia sin dalla seconda metà dell’Ottocento è stata documentata in volumi di carattere locale e nazionale, fra i quali è senz’altro opportuno segnalare quello di Franco Venturi, Esuli russi in Piemonte dopo il ’48, e lo studio di Tamborra, Esuli russi in Italia, 1905-19172. La dimensione dell’impatto della rivoluzione sullo scenario politico italiano è stata poi ampiamente documentata in altri due libri, stilati da Stefano Caretti e Helmut König, che si sono focalizzati particolarmente sulle conseguenze degli eventi del novembre 1917 sulle dinamiche interne al Partito socialista3. In tempi più recenti, questo filone inerente al condizionamento degli eventi russi sulle culture politiche italiane è stato sviluppato nella tesi di dottorato di Cacelli, con particolare riferimento, in questo caso, a quella cattolica4. La presenza di spie ed emissari bolscevichi in Italia è stato poi ricostruito da uno spoglio della documentazione esistente presso l’Archivio storico del Ministero degli affari esteri, in un volume curato da Accattoli nel 2013, e dall’istituzione di una minuziosa e ricca banca dati, frutto di un progetto, finanziato dal Ministero dell’università e della ricerca, che ha generato il sito russintalia.it5. Giorgio Petracchi, infine, lo studioso che maggiormente ha studiato i rapporti tra l’Italia e la Russia nel primo Novecento, ha messo in rilievo l’importanza delle relazioni italo-russe nella definizione della politica estera italiana, in numerosi interventi pubblicati nel corso di trent’anni di ricerche6. D’altro
2 F. Venturi, Esuli russi in Piemonte dopo il ’48, Einaudi, Torino, 1959; A. Tamborra, Esuli russi in Italia, 1905-1917, Laterza, Bari, 1977. 3 S. Caretti, La rivoluzione russa e il socialismo italiano (1917-1921), Nistri-Lischi, Pisa, 1974; H. König, Lenin e il socialismo italiano, 1915-1921: il Partito socialista italiano e la Terza internazionale, Vallecchi, Firenze, 1972. 4 E. Cacelli, La rivoluzione bolscevica e il comunismo sovietico nella stampa cattolica italiana (1917-1921), Tesi di dottorato, Pisa, 2007. 5 A. Accattoli, Rivoluzionari, intellettuali, spie: i russi nei documenti del Ministero degli esteri italiano, Europa Orientalis, Salerno, 2013; www.russinitalia.it. 6 Tra le più recenti pubblicazioni: G. Petracchi, Viaggiatori fascisti e/o fascisti a modo loro nell’Urss e sull’Urss, «Rivista di studi politici internazionali», anno 81, fasc. 321, gennaio-marzo 2014, pp. 35-58. Come opere di riferimento: id., Da San Pie-
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canto, i maggiori storici che, di recente, si sono occupati della genesi del comunismo e dell’Internazionale comunista, hanno accreditato l’idea che l’Italia costituisse un centro di interesse nella mappa dell’espansione internazionale del bolscevismo: certo, un centro non primario come potevano essere la Germania, la Gran Bretagna o, per certi versi, la Francia7, ma pur sempre un Paese che, per la sua situazione socio-economica e per le proprie endogene caratteristiche, avrebbe potuto costituire una nuova culla per il progetto rivoluzionario bolscevico. Nella sua ultima opera, La rivoluzione globale, Silvio Pons ha rilevato come già nelle settimane immediatamente seguenti alla rivoluzione d’ottobre, il cuore della progettualità bolscevica stesse nella «convinzione incrollabile che fosse imminente lo scoppio di una rivoluzione mondiale»8. Questa fu il motivo per il quale Lenin, nel rapporto tenuto al VII Congresso della Rkp(b), nel marzo 1918, fece appello alla prospettiva di una rivoluzione europea9. L’esportabilità della rivoluzione era un aspetto fondante della ideologia bolscevica: nel 1920, il wishful thinking che pervadeva i lea-
troburgo a Mosca: la diplomazia italiana in Russia, 1861-1941, Bonacci Roma, 1993; id., Ideology and Realpolitik: Italo-Soviet relations, 1917-1933, «The Journal of Italian History», vol. 2., n. 3, 1979, pp. 473-520; id., L’intervento italiano in Russia, (19171919), «Storia contemporanea», 1975, anno VI, n. 3, pp. 469-522; id., La cooperazione italiana, il Centrsojuz e la ripresa dei rapporti commerciali tra l'Italia e la Russia sovietica, (1917-1922), il Mulino, Bologna, 1977; id., L’Italia e la preparazione diplomatica della conferenza di Pietrogrado, «Storia e politica», 1971, n. 10, fasc. 1, pp. 11-58; id., Il mito della rivoluzione sovietica in Italia, 1917-1920, «Storia contemporanea: rivista trimestrale di studi storici», 1990, n. 6, pp. 1107-1130; id., L'Italia e la rivoluzione russa di marzo, «Storia contemporanea», 1974, anno 5, n. 1, pp. 93-111; id., Diplomazia di guerra e rivoluzione: Italia e Russia dall'ottobre 1916 al maggio 1917, il Mulino, Bologna, 1974; id., La Russia rivoluzionaria nella politica italiana: le relazioni italosovietiche 1917-25, Roma-Bari, Laterza, 1982. Riguardo al periodo successivo, si veda: id., Russofilia e russofobia: mito e antimito dell'URSS in Italia, 1943-1948, «Storia contemporanea», aprile 1988, anno 19, n. 2, pp. 225-247. 7 Sulla presenza di commissari in Gran Bretagna, si veda R. Service, Spies and commissars: Bolshevik Russia and the West, MacMillan, London, 2011. Vale la pena di accennare, anche se solo brevemente, che la volontà delle classi dirigenti europee di trovare uno stabile assetto postbellico in tempi rapidi era dettato anche dal timore del bolscevismo. Cfr. M. MacMillan, Peacemakers: the Paris conference of 1919 and its attempt to end war, J. Murray, London, 2001. 8 S. Pons, La rivoluzione globale. Storia del comunismo internazionale, 1917-1991, Einaudi, Torino, 2012, p. 8. 9 Ivi, p. 13.
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der russi li indusse persino a immaginare le future repubbliche sovietiche in Europa10 .
Non fu un caso. Proprio nel 1920, come ha ricostruito Petracchi, la guerra russo-polacca pareva aprire nuove prospettive per il futuro rivoluzionario dell’Italia. Lenin, persuaso dall’imminenza della sollevazione in Germania, era convinto che Varsavia potesse diventare un «ponte rosso» che avrebbe aperto le porte dell’Europa e, quindi, anche al Regno dei Savoia, ove i dirigenti bolscevichi ritenevano giunto il momento di «promuovere senza indugio la rivoluzione»11 .
Certo, non solo l’Italia era nei pensieri dei leader comunisti; ma c’era anche l’Italia12. Dato per assodato l’interesse dei bolscevichi per la penisola, il campo di indagine relativo alla presenza di emissari bolscevichi in Italia rimaneva perlopiù inesplorato. In particolare, e questo costituisce il fil rouge del volume, restava da comprendere se ci sia stato e quale sia stato, nell’Italia delle agitazioni sociali e politiche del primo dopoguerra, il peso delle infiltrazioni straniere di matrice comunista nella genesi di quella che, per dirla con Lefebvre, costituì la “grande paura rossa”, l’ossessione dello scivolamento del Regno verso un assetto rivoluzionario.
Ammetto, sin dal principio, che il tentativo era, per certi versi, un azzardo. Innanzitutto, la questione della presenza di emissari bolscevichi in Italia si sovrapponeva, saldandosi in certi punti, al contesto politico interno, principalmente in riferimento a tre aspetti: l’influsso del mito della rivoluzione in un Paese lontano; la storia del Partito socialista e delle origini del Partito comunista, da un lato, e della genesi del fascismo, dall’altro, nodi focali della storia italiana a cui numerosi studiosi hanno dedicato lunghi anni di ricerche. Era dunque necessario discernere, ove possibile (perché non sempre lo è stato), tra il timore generato dalle autorità per l’incalzare degli eventi interni e l’ossessione generata dalle intromissioni da parte di propagandisti stranieri. In secondo luogo, si trattava non tanto di ricostruire l’effettiva presenza di agitatori infil-
10 G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca…, cit., p. 272; S. Pons, La rivoluzione globale…, cit., pp. 28-29. 11 Ivi, p. 28. 12 L’azione degli emissari bolscevichi fu chiaramente percepita e affrontata dalle autorità inglesi, come ha ricostruito Robert Service in Spies and Commissars, e costituì un elemento di un certo rilievo anche nel contesto francese. R. Service, Spies and commissars, cit.; sul caso francese, si veda l’originale lavoro di Giovanni Bernardini: G. Bernardini, «Pour la cause du désordre…». La politica estera francese e il problema bolscevico nel primo dopoguerra, 1917-1920, tesi di laurea, Firenze, A.A. 1999/2000.
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