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nella società e nell’Esercito. L’Italia sull’orlo del baratro? »

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di mettere in azione dell’artiglieria. Sbarrare le strade vicine con barricate, occupare fortemente le case d’angolo e fornirle con mitragliatrici. Tenere pronta una forte riserva al di fuori della casa per potere respingere eventuali attacchi. Non permettere al nemico di sparare sulle uscite. Curare un buon collegamento. Sbarrare bene le uscite prive d’importanza122 .

Grazie a questo articolo, le autorità ritenevano di aver accumulato una serie importante di notizie su come i sovversivi intendevano muoversi in caso di rivoluzione. Il timore di un’evoluzione insurrezionale degli scioperi di luglio divenne sempre più evidente. Così il Ministro Caviglia inviò un telegramma riservatissimo al Comando del Corpo d’armata per riferire le notizie in merito raccolte dal Ministero dell’interno, secondo le quali, in caso di moti rivoluzionari, i sovversivi avrebbero proceduto immediatamente alla «distruzione» dei mezzi aerei «per impedirne [l’]uso in sostituzione [del] telegrafo et telefono»123. Vista la prevista adesione della classe dei telegrafisti allo sciopero, questo avrebbe impedito alle autorità una qualsiasi forma di coordinamento, favorendo il caos generale e ostacolando la risposta ai sovversivi. Per questa ragione, il Ministero della guerra richiamava l’attenzione dei Comandi dei Corpi d’armata alla «necessità di provvedere adeguatamente [alla] difesa [del] campo [di] aviazione et simili»124. A tali preoccupazioni, si aggiungevano quelle per l’azione del Partito socialista: una «fonte fiduciaria» riferiva che nelle sezioni del Psi di tutta l’Italia circolavano «ordini segreti di tenersi pronti alla prima occasione». Secondo le confidenze raccolte, Lazzari e Bombacci stavano tentando di costituire, in seno alle sezioni del Partito, «speciali comitati segreti, incaricati di organizzare tecnicamente la rivoluzione e di preparare l’avvento del proletariato al potere strappato con la violenza». Nella comunicazione «riservatissima» del Prefetto di Bologna, quest’ultimo specificava di

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122 Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Ufficio di terza divisione ai comandi delle divisioni dipendenti CC.RR., oggetto: regolamento di combattimento dei rossi, riservato, 12 dicembre 1919, Msac, f. 331, fasc. Comando della Divisione di Bologna esterna, Propaganda sovversivi, mene rivoluzionarie, categoria riservata, specialità 2, pratica 2, anno 1919. 123 L’interruzione delle comunicazioni era stata caratteristica anche delle proteste legate alla “settimana rossa”. Cfr. G. Albanese, La settimana rossa tra aspirazioni rivoluzionarie e reazioni d’ordine…, cit., p. 609. 124 Telegrammi riservatissimi al Comando della Divisione militare di Bologna, 21 aprile 1919, Msac, f. 331, fasc. Comando della Divisione di Bologna esterna, Propaganda sovversivi, mene rivoluzionarie, categoria riservata, specialità 2, pratica 2, anno 1919.

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ignorare «quale fondamento» avesse tale informazione ma, ugualmente, raccomandava di «far eseguire le opportune indagini» e rinnovava «la raccomandazione della maggiore e più oculata vigilanza» sull’azione che andava svolgendo il Partito socialista ufficiale125 .

La minaccia di un rivolgimento rivoluzionario fomentato da agenti stranieri in appoggio al Psi e ai nascenti gruppi di eversione armata pareva ancor più grave alla luce del crescente coordinamento tra i gruppi comunisti e quelli anarchici. L’Ufficio di terza divisione della Legione territoriale dei Carabinieri di Torino rese noto al Comando della Divisione di Novara che, in occasione del convegno nazionale anarchico tenutosi a Firenze nell’aprile 1919, si era verificata una «decisa affermazione del programma comunista», «in accordo con gli elementi estremisti affini delle altre organizzazioni proletarie»126. I manifesti propagandistici degli anarchici lasciavano ben pochi dubbi sulla loro volontà sovversiva: lo Stato era «l’alleato e complice» della «plutocrazia capitalistica moderna» e stava al popolo di sostituire ad essa una «organizzazione libertaria e comunista dei rapporti fra gli uomini, divenuti così tutti lavoratori e produttori, avvinti nel mutuo e libero patto della solidarietà»127. D’altronde, lo Stato dava una grande importanza all’istituzione di una sezione italiana dell’Unione anarchica internazionale, avente tra i suoi scopi quello di «adoperarsi alla formazione di un Comitato nazionale di azione rivoluzionaria perché [era] ora che il proletariato rivolu-

125 Comunicazione riservatissima dal Ministero dell’interno alla Prefettura, oggetto: socialisti con ordine di tenersi pronti ad ogni occasione, 22 aprile 1919, Msac, f. 331, fasc. Comando della Divisione di Bologna esterna, Propaganda sovversivi, mene rivoluzionarie, categoria riservata, specialità 2, pratica 2, anno 1919. 126 Legione territoriale dei Reali Carabinieri di Torino, Ufficio di terza divisione al Comando della divisione dei Reali Carabinieri di Novara, oggetto: movimento anarchico, 12 giugno 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Sull’anarchismo: J. Préposiet, Storia dell’anarchismo, edizioni Dedalo, Bari, 2005; F. Giulietti, Gli anarchici in Italia dalla Grande Guerra al fascismo, FrancoAngeli, Milano, 2015; G. Cerrito, L’antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo, RL, Pistoia, 1968; G. Berti, L’istruzione integrale come propedeutica all'integrazione del lavoro nel pensiero di alcuni classici dell'anarchismo, La Nuova Firenze, Firenze, 1979; id., Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale, 1872-1932, FrancoAngeli, Milano, 2003. 127 Regia Prefettura di Novara, n. 2923 ai Sottoprefetti di Provincia e al Comando dei RR. CC. di Novara, oggetto: manifesto dell’Unione comunista anarchica italiana, 8 giugno 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919.

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zionario si trov[asse] concorde e unanime su un terreno di azione schiettamente rivoluzionaria»128. Nella lettura delle autorità, anche gli anarchici vantavano collegamenti con bolscevichi stranieri: una nota della Prefettura di Rovigo riportava notizie raccolte in Svizzera, secondo le quali il gruppo anarchico «Malatesta» di Ancona era in relazione con «gruppi soviettisti ungheresi e croati», che potevano contare su un servizio informativo costituito da marinai in transito tra le sponde di Ancona e della Dalmazia129 .

Infine, l’ultimo elemento di preoccupazione mostrato dalle autorità poteva parere curioso, ma veniva ritenuto centrale nel contrastare i piani dei sovversivi: era il traffico di indumenti militari. Così come per la questione delle armi, quest’ultimo aspetto permetteva e favoriva l’infiltrazione nell’Esercito, considerato – non a torto – uno dei principali obiettivi degli agenti stranieri ed elemento chiave per la sicurezza dello Stato. Numerose «raccomandazioni di vigilanza» erano state fatte circolare tra gli addetti alla Pubblica sicurezza «per impedire e reprimere la propaganda sovversiva fra le truppe» ed ostacolare il «traffico abusivo di indumenti militari da parte degli affigliati ai partiti estremi»130 . Nel corso dei primi mesi del 1919, in varie occasioni le divisioni locali dei Carabinieri avevano messo in luce l’esistenza di tentativi di infiltrazione. Solo per citare due esempi, nell’aprile, alcuni giovani socialisti di Imola avevano tentato di reperire divise militari presso soldati in licenza illimitata o congedati, al fine di «infiltrarsi in uniforme fra le truppe chiamate a tutela dell’ordine pubblico, od introdursi nelle caserme per incitare i soldati alla rivolta, o per compiere atti inconsulti a danni dei Comandanti»131. Un altro episodio a cui venne conferito un certo rilievo

128 Regia Prefettura di Novara, n. 2707, al Sottoprefetti di Provincia e al Comando dei RR. CC. di Novara, oggetto: movimento anarchico, 31 maggio 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 129 Telegramma espresso di Stato della Prefettura di Rovigo, n. 155, 24 aprile 1919, Msac, f. 322, fasc. Comando della Compagnia di Rovigo, categoria R, specialità 10, pratica 9, oggetto: Segnalazione di individui autori di propaganda bolscevica e anarchica, anno 1919. 130 Comunicazione n. 18/138 del Colonello Pietro Casaretto, Comandante della Legione territoriale dei RR. CC. di Novara, Ufficio di terza divisione, oggetto: propaganda sovversiva ed ordine pubblico – raccomandazioni di vigilanza, 27 maggio 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 131 Riservata n. 18/85 della Legione territoriale dei RR. CC. di Novara, Ufficio di terza divisione, oggetto: ordine pubblico – mene rivoluzionarie, 26 aprile 1919, Msac,

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avvenne a Domodossola, dove – in un campo di concentramento per militari che dovevano essere rimpatriati – mostrava di aver un certo successo la propaganda rivoluzionaria: l’Arma mise in guardia le autorità centrali sul fatto che quei soldati, che si trovavano in «uno stato d’animo facilmente eccitabile e propenso a caldeggiare risoluzioni di carattere estremo», in caso di movimenti rivoluzionari, si sarebbero certamente associati ai disordini.132 Infine, l’Ufficio di terza divisione dei Reali Carabinieri di Bologna rendeva noto il piano secondo il quale i socialisti si davano la pena di recuperare le divise dei militari in congedo. Nell’eventualità di un confronto italo-jugoslavo per risolvere la questione di Fiume, occupata da D’Annunzio133, le forze facenti capo al Partito socialista sarebbero insorte «non solo per impedire una nuova guerra, ma per iniziare apertamente la rivoluzione». Per tale scopo – si notava – i soci aderenti al Partito socialista, fossero ex Ufficiali o ex graduati di truppa, avrebbero avuto il compito di «indossare la divisa per fare con tutto agio opera di persuasione presso i militari regolari ed indurli a passare nelle file del proletariato, disubbidendo ai loro superiori diretti» che sarebbero stati dichiarati decaduti e costretti a consegnare le armi, mentre «i rivoluzionari civili» avrebbero istituito subito «la dittatura dei consigli dei soldati, degli operai, dei contadini»134. Dalla lettura delle

f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. Sui propositi dei socialisti rispetto ai furti di indumenti, cfr. Legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Divisione di Imola, oggetto: mene rivoluzionarie (socialisti travestiti da militari), 13 aprile 1919, Msac, f. 331, fasc. 5, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda sovversiva – mene rivoluzionarie, 1919. 132 Comunicazione n. 19/12 della Legione territoriale dei RR. CC. di Torino, Compagnia di Vallanza, oggetto: propaganda rivoluzionaria, 17 aprile 1919, Msac, f. 336, fasc. riservato, n. 4, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda rivoluzionaria. Guardie rosse, anno 1919. 133 Sulla questione di Fiume e la figura di Nitti, si veda: P. Alatri, Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica, Feltrinelli, Milano, 1976. Sulla situazione di Fiume durante il governo Nitti e la sua caduta, cfr. anche G. Parlato, Mezzo secolo di Fiume. Economia e società a Fiume nella prima metà del Novecento, Cantagalli, Siena, 2009, pp. 69-112. 134 Notizie sulla circolazione di «falsi Ufficiali et con decorazioni» che facevano una propaganda sovversiva particolarmente pericolosa «perché confortata [dal] prestigio del grado», erano segnalati anche dal Comando del Corpo d’armata di Bologna. Cfr. Riservata personale urgentissima dal Comando del Corpo d’armata di Bologna al comando della Divisione militare di Bologna, 20 agosto 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. Sul peculiare stato politico-sociale di Bolo-

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carte dell’Arma, i socialisti parevano pronti all’azione e finemente organizzati: non solo a Bologna, in via Zamboni, era stato creato un laboratorio per la confezione di indumenti militari diretto dal socialista ufficiale Guerrino Zanardi, ma si aveva motivo di ritenere che nella Camera del Lavoro della città emiliana vi fossero conservate «bombe a mano in quantità considerevole»135 .

Le autorità non avevano intenzione di farsi cogliere di sorpresa. Una circolare riservata del Ministro della guerra restituiva il senso di pericolo avvertito dagli organi dello Stato e la ferma volontà di contenere il movimento rivoluzionario, endogeno ed esogeno. In primo luogo, andava stroncato il traffico di indumenti, ritenuto particolarmente pericoloso:

È mio intendimento che le autorità militari facciano tutto quanto sta in loro per impedire il traffico in questione e, soprat[t]utto, per rendere impossibile l’effettuazione di criminosi propositi da parte di chi eventualmente riuscisse a procurarsi e ad indossare abusivamente la divisa militare.

Il Ministro Caviglia dava poi delle disposizioni precise circa le modalità per evitare la diffusione illegale delle divise. In particolare, disponeva di accertare che «i militari inviati in licenza od in congedo [avessero] una sola serie di vestiario». Tali verifiche andavano esercitate «non solo all’atto della partenza dei militari dai corpi, ma anche sui treni ed alle stazioni di partenza e di arrivo dei militari stessi». Era necessario sorvegliare affinché non venissero trasportati fuori dalle caserme indumenti di alcun genere; forme di controllo speciali erano disposte in modo «da impedire nel modo più assoluto che [riuscissero] ad introdurvisi [nelle caserme] individui che vestano abusivamente l’uniforme militare». Si disponeva infine che gli Ufficiali mantenessero un «diretto costante contatto» con i propri soldati al fine di «conoscerli personalmen-

gna, anche se con particolare riferimento ai fatti del 1920, si consulti: B. Della Casa, La Bologna di Palazzo d’Accursio, in M. Isnenghi, G. Albanese (a cura di), Il Ventennio fascista…, cit., pp. 332-338. 135 Nota riservata della legione territoriale dei CC. RR. di Bologna, Ufficio di terza divisione alle divisioni dipendenti, oggetto: mene rivoluzionarie, 3 ottobre 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. Analoghi casi di propaganda sovversiva avvenivano, secondo i report delle autorità, anche tra le fila del Partito repubblicano. Cfr. Legione territoriale dei RR. CC. di Bologna, Ufficio di terza divisione ai comandi delle divisioni dipendenti, oggetto: diffusione fra le truppe di opuscoli sovversivi, 13 agosto 1919, Msac, ibidem.

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te» e di evitare infiltrazioni136. La Presidenza del Consiglio condivideva le preoccupazioni del Ministero della guerra: in seguito alla dimostrazione avvenuta a Roma, il 25 giugno, Nitti approvò un giro di vite al controllo delle manifestazioni:

[si rende partecipi della] convinzione che in caso di turbamento dell’ordine, i funzionari e gli agenti chiamati a ristabilirlo non possono usare riguardi personali ad alcuno, quale che ne sia il grado e la condizione sociale.

Distinzioni ed eccezioni in momenti siffatti, oltre che impossibili, sarebbero dannose ed imprudenti; ma sopra[t]tutto non debbono desiderare tolleranze coloro che, vestendo la divisa militare dovrebbero, anziché secondare inconsulte agitazioni di folle faziose, concorrere e fare rispettare gli ordini legalmente dati da chi ne ha il dovere e la responsabilità, e dar l’esempio del più rigido ossequio alla disciplina»137 .

Il Ministro della Guerra Albricci esortava ad evitare «eccezioni e distinzioni» in questo campo e istituiva un «servizio di Ufficiali dell’Arma» creato ad hoc, che, «con opera oculata ed energica», operasse per «impedire che Ufficiali in uniforme frammischiati alla folla [avessero] a partecipare alla dimostrazione, traendo – ove occorr[esse] – in arresto i riottosi, e sopra tutto di evitare che Ufficiali in divisa [avessero] ad essere malmenati ed arrestati da loro inferiori, il che [avrebbe costituito] indubbiamente un fatto gravemente lesivo della disciplina militare»138 .

L’Arma dei Carabinieri non tardò a mettere in opera le indicazioni provenienti dal Ministero della guerra. A partire dal giugno 1919 fino all’autunno dello stesso anno, quando le tradotte ferroviarie furono soppresse, fu istituito un servizio di controllo su tali mezzi di trasporto, con lo scopo di bloccare sul nascere la propaganda bolscevica139. Gli accer-

136 Ministero della guerra, Divisione di Stato maggiore, circolare riservata, con oggetto: traffico abusivo di indumenti militari, 3 maggio 1919, Msac, f. 331, fasc. 5, cat. riservata, specialità 2, pratica 2, oggetto: propaganda sovversiva – mene rivoluzionarie, 1919. 137 Ministero della guerra, Divisione di Stato maggiore, Sezione seconda al Comando Generale dell’Arma dei CC.RR. di Roma, 2 settembre 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. 138 Ibidem. 139 Comunicazione riservata della Legione territoriale dei Reali Carabinieri di Bologna, Ufficio terza divisione, oggetto: propaganda bolscevica sulle tradotte. Relazione settimanale, 26 ottobre 1919, Msac, f. 289, fasc. 6, anno 1919, Carteggio riservato e

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tamenti, previsti sulle tradotte di maggior frequentazione e transitanti per centri sensibili alla sovversione, davano luogo ad una relazione settimanale nella quale veniva esaminata la presenza di propaganda ad opera di agenti stranieri e italiani filobolscevichi, e del trasporto illegale di armi e munizioni. In sostanza, con cadenza giornaliera, Carabinieri travestiti da soldati vigilavano e riferivano l’attività di propagandisti così come movimenti sospetti.

La massima attenzione che venne deputata a questo elemento ci lascia lo spazio per una considerazione. Va infatti rilevato come, da un esame complessivo della documentazione sul servizio di segnalazione delle tradotte, anche nel momento più critico in cui lo sciopero generale, nel luglio 1919, parve a molti come il segnale di un’imminente rivoluzione, l’Arma dei Carabinieri non trasmise che notizie dell’attività di sovversivi minori e atti circoscritti di filobolscevismo, come l’esposizione di una «piccola bandiera rossa» o la lettura di giornali di tendenza comunista. Appare dunque evidente come, mentre un’analisi locale della realtà – così come emerge dalle carte dei Regi Carabinieri – restituiva un quadro tutto sommato non troppo fosco in merito alle infiltrazioni straniere, le comunicazioni provenienti dagli alti piani fossero di tutt’altro tenore. Il Ministero dell’interno, il Ministero della guerra, il Ministero degli affari esteri e la Presidenza del Consiglio giravano circolari dai caratteri fortemente allarmati e allarmanti, tali da indurre a ritenere che un rivolgimento rivoluzionario non solo fosse possibile ma fosse anche imminente. Alla luce di questa considerazione, ci si può dunque chiedere quanto vi fosse di vero in questa sorta di “allucinazione collettiva” e quanto di strumentale: tutto sommato, le simpatie i sostegni che il nascente movimento fascista vantava tra i Prefetti non sono certo un mistero, anche se – come ha ricostruito Renzo De Felice – «da parte del governo centrale si ebbe cura di mostrare in ogni modo di volerl[i] impedire ed ostacolare»140. Dalla lettura della documentazione archivistica, tutta-

ordinario dei Comandi dei Carabinieri della provincia di Bologna, sottofasc. categoria riservato, specialità 10, pratica 3, anno 1919, oggetto: propaganda antipatriottica e rivoluzionaria. Vale la pena di ricordare che nel maggio dell’anno successivo, con il Regio decreto 1802, furono istituiti dei “battaglioni autonomi”, destinati ad essere impiegati nei casi di maggior turbamento dell’ordine. Su questo aspetto e il filofascismo dell’Arma, si veda: M. Mondini, L’Arma, in M. Isnenghi, G. Albanese, Gli italiani in guerra. Conflitti, identità, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, vol. IV, tomo I, Il Ventennio fascista. Dall’impresa di Fiume alla Seconda Guerra Mondiale, Utet, Torino, 2008, pp. 159-165. 140 R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario, 1883-1920, Einaudi, Torino, 1963, p. 602.

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via, non ci pare di scorgere un’azione strumentale nel tenere alta l’allerta delle forze di Pubblica sicurezza, come invece sarebbe successo nel 1921’22 (argomento che verrà trattato nel prossimo capitolo). A chi scrive sembra, piuttosto, che i continui riferimenti alla minaccia proveniente dalla Sinistra si fossero consolidati e stratificati nella percezione della classe dirigente al potere, generando un effetto psicologico di stato di allerta generalizzato e quotidiano che, in particolare nell’estate del 1919, fu rinforzato da alcuni «moltiplicatori», fattori contingenti, di natura internazionale ed interna: la costruzione di un’immagine aggressiva del bolscevismo con la costituzione dell’Internazionale comunista e l’effettiva esistenza di minacce provenienti dalla sovversione bolscevica straniera; l’infuriare della guerra russo-polacca; il consolidamento del bolscevismo al potere con la sconfitta dei Generali bianchi. Inoltre, un capitolo a parte merita la verifica dell’attendibilità della minaccia ungherese. Sebbene possa risultare a posteriori poco credibile che le autorità italiane credessero all’invio di emissari da Budapest, muniti di larghi mezzi, a solo un mese dalla fine della Repubblica dei Consigli, non va dimenticato come, proprio in quella fase, Béla Kun tentò alcuni colpi di Stato – poi falliti – nei Paesi dell’Europa centrale141. Nella visione del governo italiano, dunque, all’evidente declino dell’esperimento ungherese poteva non corrispondere l’abbandono del tentativo di esportazione della rivoluzione. In definitiva, dopo quasi due anni di individuazione di agenti sovversivi, emergeva con chiarezza una cacofonia nei messaggi delle autorità, le quali, raccogliendo informazioni confidenziali – attendibili e non – e accogliendo come buone le notizie provenienti dall’estero, ritenevano che l’insurrezione fosse imminente, in particolare nel momento in cui lo sforzo rivoluzionario sul piano europeo trovava una favorevole congiuntura in chiave interna. Nell’introiezione del pericolo rivoluzionario, il continuo reiterarsi dell’imminenza della minaccia bolscevica nelle comunicazioni aveva avuto l’effetto di rendere questi timori concreti. Insomma: repetita iuvant.

141 F.L. Carsten, La rivoluzione nell’Europa centrale, cit.

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3. Il “biennio rosso” in Italia, la Repubblica dei Consigli in Ungheria. Imprevisti di una special relationship

3.1 Un’Italia filobolscevica o un’Italia bolscevizzata? Scandali internazionali e la questione del prestigio di Roma

Nel corso del 1919, l’Ungheria rappresentò uno dei principali elementi di tensione per l’Italia. Stando alla documentazione reperita, le infiltrazioni di agenti bolscevichi nel territorio del Regno iniziarono già all’indomani della proclamazione della Repubblica dei Consigli. Ma nel corso dell’anno, le preoccupazioni non riguardarono soltanto l’attività degli emissari di Béla Kun. L’attenzione delle autorità italiane si concentrò su alcuni temi ben specifici, che – in non poche occasioni – misero in difficoltà l’apparato dello Stato: nell’estate, la rovinosa fine del regime ungherese e la conseguente presa di responsabilità dell’Italia; l’emergere di uno scandalo relativo alla presunta vendita di armi italiane alla Repubblica bolscevica magiara; la questione dell’immagine e della credibilità internazionale dell’Italia, sempre più indicata come l’anello debole dell’Intesa, il Paese ove le infiltrazioni trovavano una sponda interna, collaborazione che amplificava le possibilità di un rivolgimento rivoluzionario.

Nell’estate del 1919, notizie contrastanti giunsero da Budapest. Da un lato, dopo il fallimento delle rivoluzioni nell’Europa centrale, la Repubblica dei Consigli appariva isolata e, per certi versi, debole. Dall’altro, tuttavia, le continue indiscrezioni sull’attività sobillatrice all’estero lasciavano supporre che il regime – pur sfibrato – continuasse ad essere abbastanza forte da rivolgersi al proprio esterno per proseguire nell’intento di espansione della rivoluzione. In aggiunta, informazioni provenienti dal Commissario politico italiano a Budapest indicavano una rinnovata aggressività del regime nei confronti dell’appropriazione di beni privati, anche all’estero. Dopo essersi impossessato di «gran parte del denaro, dei gioielli e pietre preziose di proprietà privata», in base

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ad un decreto, la Repubblica si avocava la possibilità di «alienare all’estero una parte importantissima del patrimonio privato ungherese, calcolata da 4 a 6 miliardi disponendo pei propri scopi comunistici e sottraendo così agli Alleati una garanzia per il pagamento dell’indennità di guerra e per le forniture di materie prime e merci»1. Il provvedimento veniva approvato in seguito al tentativo di acquisizione, da parte della Repubblica, di tutti i beni in possesso di stranieri sul territorio magiaro, rispetto alla quale gli Alleati avevano promosso un’azione di tutela collettiva degli interessi dei loro sudditi in Ungheria, su proposta del Commissario politico italiano Vittorio Cerruti. Quest’ultimo era in effetti intervenuto direttamente presso Béla Kun, il quale non l’aveva affatto rassicurato intorno a questo punto: Cerruti si era quindi convinto che il governo ungherese «a parole» dicesse di voler rispettare gli interessi stranieri, ma di fatto non avrebbe concesso agli italiani «un trattamento in nulla migliore» di quello che era riservato alle proprietà dei sudditi magiari2 .

Nel volgere di poche settimane, tuttavia, il regime di Béla Kun manifestò forti segnali di instabilità: agli occhi delle autorità italiane, il pericolo costituito dalla presenza di una Repubblica comunista a qualche centinaia di chilometri dall’Italia venne così sostituito dalla minaccia di un nuovo rivolgimento ancor più estremista rispetto a quello del passato marzo. Agli inizi di agosto, il Commissario politico italiano riportava i disastrosi risultati delle truppe rosse contro quelle romene, che tentavano di rovesciare il regime.3 Secondo le informazioni da Budapest, negli ultimi tempi Béla Kun aveva sostenuto la lotta contro il partito estremista di Szamuely e aveva promosso la lotta contro i «soldati terroristi detti figli di Lenin»: sorprendentemente, il leader magiaro sosteneva di aver compreso, solo in quel frangente, che si trattava di «elementi pericolosi». Alla luce di queste notizie, Cerruti mise in rilievo come fosse

1 Rapporto n. 157 dal Commissario politico a Budapest, oggetto: provvedimenti finanziari del governo comunista ungherese, 1 luglio 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, cartella Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), anno 1919, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Ungheria, anno 1919, p. 1. 2 Telegramma n. 18074 dal Mae alla Regia ambasciata italiana a Londra, oggetto: tutela collettiva degli interessi dei sudditi alleati, 8 luglio 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, cartella Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), anno 1919, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Ungheria, anno 1919. Sulle convinzioni di Béla Kun rispetto ad un possibile intervento dell’Intesa: A. J. Mayer, Politics and diplomacy of peacemaking…, cit., p. 838. 3 Sull’atteggiamento dell’Intesa rispetto alla caduta di Béla Kun: ivi, pp. 827-852.

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giunto il momento «più propizio» per far cadere il governo comunista: il Commissario politico spingeva dunque affinché si prendessero delle decisioni chiare e «prestissimo» altrimenti la situazione sarebbe caduta nelle mani degli «estremisti di S[z]amuel[y]»4. Solo due giorni dopo questa comunicazione, la situazione pareva ormai essere al tracollo: Béla Kun chiese la protezione del Tenente Colonnello Romanelli della Missione militare italiana per le mogli e i figli dei Commissari del popolo che si stavano accingendo a lasciare Budapest. Mentre l’«ordine perfetto» regnava ormai a Budapest e la Missione militare italiana operava in stretta relazione con il neo governo socialista, Romanelli accordò la protezione ai parenti degli ex leader della Repubblica rossa5. Questo speciale ruolo dell’Italia affondava le proprie radici nei pregressi rapporti italo-ungheresi e anche nel fatto che, nel breve periodo di potere della Repubblica dei Consigli, la Missione militare italiana era rimasta l’unico avamposto dell’Intesa in Ungheria. Tale rapporto particolare era riconosciuto anche dalla Gran Bretagna: nelle ore convulse che anticiparono il rovesciamento del regime bolscevico, l’Ambasciata britannica si era rivolta al Ministero degli esteri italiano chiedendo a Roma, in veste di «sola potenza alleata che [avesse] un rappresentante a Budapest», di assumersi la «responsabilità della protezione dei prigionieri» che erano stati tenuti in ostaggio dal regime rosso e la cui sorte rimaneva incerta. Dagli Esteri si era fatto sapere che non vi erano difficoltà affinché il funzionario italiano si facesse carico di questo compito, anche se – era bene precisarlo – era in effetti «sprovvisto di veste ufficiale»6. Le notizie raccolte tramite le confidenze del noto socialista moderato Ernő Garami erano inquietanti: l’ex Ministro dipingeva un quadro a tinte fosche, nel quale il governo socialista instauratosi dopo quello di Béla Kun aveva in realtà una «pericolosa tendenza monarchica» che conferiva una certa credibilità alla possibilità di una restaurazione degli Asburgo:

Ciò è pericoloso non solo per Ungheria e per Austria tedesca, che già manifestano allarme, ma anche per Italia perché significa tendenza verso esecuzione piano francese di asservire in grande confederazione danubiana Austria e Ungheria indebolita a preponderante influenza slava del Nord e del Sud. [Garami]

4 Telegramma n. 02591 del Mae alle Regie Ambasciate di Londra e Parigi, 3 agosto 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950. 5 Telegramma n. 3910 da Parigi per Londra, 4 agosto 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950. 6 Telegramma n. 13856 da Manzoni, Mae alla Regia Ambasciata a Londra, 21 giugno 1919, Asmae, b. 40, Rappresentanza diplomatica in Francia, Parigi 1861-1950.

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spiegò come occorresse sforzo dopo deplorati estremi comunisti, per non cadere per naturale reazione in estremi opposti, ma essere indispensabile trovare via di mezzo per evitare che socialisti si organizzassero in aperta opposizione e che fra di essi elementi più estremi prendessero sopravvento causando seri gravi disordini e dando pretesto ad organizzazione comunista Italia, Svizzera, Francia […]7 .

Anche quando il regime di Béla Kun sembrava ormai battuto, le autorità italiane parvero sposare l’idea che la possibilità di uno scivolamento estremista in Ungheria avrebbe potuto condizionare direttamente le sorti del Regno. Il contesto politico interno era, in altri termini, un vulnus fecondo nel quale avrebbe potuto agire ragionevolmente un «moltiplicatore» – le evoluzioni interne allo scenario ungherese – che avrebbe aumentato esponenzialmente le possibilità di uno scivolamento rivoluzionario. bene ricordare che, proprio in questa fase, si tennero le prime elezioni dalla fine della Guerra mondiale, e venne organizzato a Bologna il XVI Congresso del Psi8. Nel corso di tale assise, si votò favorevolmente all’adesione dei socialisti italiani alla Terza Internazionale e si approvarono per acclamazione i due ordini del giorno presentati da Serrati, nei quali si protestava «con tutta l’energia contro la infame e nefasta politica del governo italiano e dell’Intesa in avversione alla Repubblica russa dei Soviet». Il Congresso dava quindi alla Direzione il mandato di occuparsi di «una nuova azione internazionale per venire in aiuto alla Repubblica russa, onde impedire che la reazione “democratica” soffoc[asse] nel sangue, come [aveva] fatto per l’Ungheria, ogni speranza di redenzione proletaria»9 .

Inoltre, all’indomani della “vittoria mutilata” dell’Italia e nel pieno delle trattative sugli equilibri del dopoguerra, i timori per l’espansione del comunismo vennero affiancati da una crisi della credibilità internazionale dell’Italia. Due erano le criticità che emergevano: lo scandalo

7 Le sottolineature sono presenti nel testo originale. Comunicazione di De Martino, Mae, alle Regie Ambasciate italiane di Londra, Berlino e Parigi, 14 agosto 1919, Asmae, b. 469, fasc. 1, cartella Rapporti politici Europa (Jugoslavia-Ungheria), anno 1919, fasc. Ambasciata d’Italia a Londra, Ungheria, anno 1919. 8 Circa le campagne elettorali nel primo dopoguerra, si veda: M. Ridolfi, “Partiti elettorali” e trasformazioni della politica nell’Italia unita, in P.L. Ballini, M. Ridolfi (a cura di), Storia delle campagne elettorali in Italia, Mondadori, Milano, 2002, pp. 7881. 9 Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, vol. 3, cit., pp. 45-103, in particolare, p. 68.

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