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RICORDO DI EPISODI DELLA «GUERRA PARTIGIANA»

di Sergio Marchini

Sono della classe 1923, ma come studente non ero militare. Dopo·1'8 Settembre con la Repubblichetta di Salò e le sue chiamate alle armi e i minacciosi bandi, pena la fucilazione per i disertori e renitenti, io, che non me la sentivo di servire il fascio e tanto meno il Governo di Salò al servizio dei tedeschi, mi allontanai da Chiusi dove allora abitavo e, da sfollato, andai a Moiano mio pa ese di origin e , dove venne anche mio fratello e dove, oltre che dei parenti, avevamo anche degli amici. Ma il motivo più vero era che lassù c'era anche una ((banda» di partigiani, giovani come me che preferirono il bosco con i rischi che c'erano, piuttosto che servire i fascisti e t edesch i che s'erano impadroniti di questa parte dell'Italia centro-nord. E quella «banda» non era la sola, perché altre nei paesi vicini s'erano formate e tutte con lo stesso scopo: sfuggire ai tedeschi, sabotare la guerra fascista, opporsi. Sapevo molto bene tutto ciò, perché quelle «bande», poi tra lor o collegate nella «Brigata Risorgimento», erano sotto il Comando di «Luca», cioè mio . cugino Alfio, venuto quassù da Roma con il preciso compito di coordinare e organizzare, con l'aiuto politico dell'amico «Sole» benché schedato, questa «resistenza».

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lo mi aggr egai alla «banda» di Romeo, e quando questa aumentò di numero ed anche per motivi tattici e di maggior sicurezza si divise in due squadre, a me fu affidata quella operante con sabotaggi quaggiù in pianura, in stretto collegamento con quella di Walter che era al bosco sul monte Pausillo con Romeo, responsabile di questo gruppo. Lassù era anche il Comando della Brigata che prese questo stesso nome quando si costituì, RISORGI · MENTO.

Il giorno 31 maggio fui convocato da «Luca» che mi ordinò di mettere d'urgenza in atto il colpo di mano che stavamo maturando da vari giorni, accostando da semplici borghesi e «lavorando» molti militari italiani di una compagnia in mano tedesca accaser - mata nei locali delle Scuole, v1emo alla strada statale e a breve distanza dal Molino.

Il Sergente magg. Manca, un sardo, era d'accordo per farsi catturare e con lui tutta la Compagnia, per aggregarsi ai partigiani, ma sarebbe stato utile anche l'accordo del loro Ten ente. Ne tentò l'approccio «Sole», facilitato dal fatto della sua parentela col mugnaio Serafino, nella cui casa il Tenente era alloggiato, ma il sondaggio fu negativo perché l'ufficiale si rifiutò. In questa situazione divenuta assai pericolosa bisognava agire subito, perciò abbozzam mo un piano di azione , e io provvidi subito a mobilitare alcuni dei miei e a prendere contatto con Walter e i suoi. Perfezionammo nelle nostre intenzioni il piano predisponendo perfmo la guardia per la nostra sicurezza, impegnammo il carro agricolo per i l trasporto del materiale abbondante in armi, munizioni, viveri e quanto altro esistesse, ma dovemmo rimandare tutto al giorno dopo 1° giugno, perché non riten emmo prudente attuarlo di notte, · dato che a sera riprendeva il traffico tedesco, sia della truppa che, per quanto possibile, degli automezzi, verso il fronte del sud, oltre Roma. Questo traffico di giorno era fermo a causa della continua vigilanza dei caccia inglesi che spazzavano tutte le vie di comunicazione, la statale e la vicina ferrovia. Per noi l'ora più adatta per muoverci era nel tardo pomeriggio, verso le ultime ore del giorno. E così facemmo. Predisposto tutto, compresa la conferma dell'accordo co l Sergente magg. Manca, e il carro agricolo a buoi del partigiano Serafino detto «Lillo» che dal Palazzolo venne all'appuntamento dalla stradina campestre dietro il Molino (che poi sbocca quasi davanti alla Scuola), mettemmo in atto il piano. Era con me l'altro capo squadra Walter e, disposto per la cattura del tenente italiano che era alloggiato al Molino, tutto il gruppo di una diecina di partigiani corremmo alle vicine Scuole, invadendo, armi alla mano, tutti i locali. Tutti i militari si arresero, data la sorpresa e l'accordo, alzando le mani, compresi tre tedeschi che si manifestarono contentissimi della sorpresa. I nostri razziarono tut te le armi (un a quarantina di mos chetti, alcune pistole e tutte le munizioni), i viveri e quanto fu possibile caricare nel carro, ma il materiale era tanto e sarebbe occorso un secondo carro, al quale già pensavo, essendo il colono Buricca poco più in sù. Ma intanto stava quasi annottando e noi c'eravamo attardati troppo, ma occorse più tempo di quello previsto, e anche se ·eravamo padroni della zona e sicuri nei nostri movimenti, tuttavia in quelle condizioni era pericoloso rimanere ancora lì. Perciò facemmo ripartire il nostro carro per la strada del ritorno, e dal Palazzolo proseguire per il bosco. E partimmo tutti: una dozzina di partigiani, 39 militari italiani, il tenente italiano e i tre tedeschi nostri prigionieri, diretti al bosco sul monte Pausillo, dove ci attendevano tutti gli altri . accampati con Romeo a «Malagronda)). Era con noi . anche il maestr ino Umberto Palmerini, arrestato dalla polizia fascista circa un mese prima, che era stato rilasciato dal carcere di Perugia appena da qualche giorno, e che ora deviò per Ravigliano. E qui è finita questa storia vera, un episodio pieno di rischio della lotta partigiana.

Ma prima di chiudere, voglio ricordare anche l'ultimo episodio di guerra nella nostra zona, liberata il giorno 19 giugno, quando, scesi dal monte con gli inglesi nella pianura di Moiano, tre miei partigiani «Alberino» e altri due che non ricordo, in ricognizione nella piccola valle del Maranzano per individuare una attivissima batteria tedesca di retroguardia, furono oggetto della mira di una loro mitraglia e si salvarono dietro il greto del torrente, difendendosi con lancio di bombe a mano e provocando così l'immediato intervento di una pattuglia avanzata inglese, lì nei pressi, che, nello scontro, sopraffece i tedeschi, che ebbero tre morti e persero otto uomini fatti prigionieri e tutte le armi. I partigiani però, in compenso, furono disarmati e chiusi in uno stalletto del contadino lì vicino, da dove, chiarite le cose, furono liberati alcune ore dopo. Così, nella società borghese, ci trattano gli stran ieri, anche se amici.

Sergio Marchini

LA RESISTENZA NEL PIEVESE: I RISCHI DEL PARTIGIANO

(Testimonianza di Umberto Palmerini)

Trascriviamo dal libro «ANTIFASCISMO E RESISTENZA (Ap· punti di storia pievese)» del Prof Mario Villani, quanto scritto su una testimonianza, confermata dai documenti in archivio della Sezione ANPI di Moiano: «Non mancarono esemp i di solidarietà anche tra uomini di diverso credo politico. Significativo fu il comportamento dell'ufficiale Palmerini Umberto di Moiano. Rimpatriato in licenza di convalescenza e in attesa di congedo definitivo, veniva più volte invitato, anche con aspre minacce che poi si concretizzarono in arresti, a riprendere il suo posto di comandante ne lle file dell'esercito repubblicano. Il Palmerini invece entrava in relazione con il movimento partigiano. Arrestato una prima volta, fu portato a Città della Pieve e poco dopo rilasciato. Arrestato di nuov.o, insieme ad altri cinque moianesi, su mandato della polizia politica sotto la pesante imputazione di fare tra i giovani opera di persuasione a non presentarsi alle armi, fu trattenuto a lungo nelle carceri giudiziarie di Perugia. Nonostante gli interrogatori a catena, egli non tradì quei concittadini che la voravano al movimento per la libertà. Ecco in un documento ufficiale, nel suo sintetico insieme, il contributo del partigiano Umberto Palmerini:

LEGION E TERRITORIALE DEI CARABINIERI REALI DEL LAZIO

Stazione di Città della Pieve

«L'anno millenovecento quarantacinque addì 16 giugno, in Città della Pieve ufficio di Stazione alle ore 11. Innanzi di noi

PIAMPIANI Emilio maresciallo maggiore comandante la Stazione è presente a nostra richiesta PALMERINI Umberto di Palmiro, insegnante elementare, il quale interrogato in merito all'azione svolta nel Gruppo Patrioti «Monte Pausillo», ha dichiarato quanto segue: «La mia a ttività partigiana incominciò verso la metà del mese di aprile 1944, dopo aver preso contatto con i primi organizzatori della banda locale; ma non erano trascorsi che una diecina di giorni quando il mio lavoro fu improvvisamente interrotto da due arresti a breve distanza l'uno dall'altro. Nel primo, operato dall'arma dei carabinieri, fui trattenuto presso la caserma di Città della Pieve per qualche giorno; nel secondo, operato dalla G.N.R. per ordine dell'U.P.I. di Perugia fui trattenuto nel carcere giudiziario di Perugia. Negli interrogatori che subii, tenni scrupolosamente in segreto tutto ciò che si stava facendo in Moiano nei riguardi della Banda Partigiana, nonostante che gli interrogatori della polizia di allora vertessero su che cosa accadesse a Moiano poiché risultava diserzione e renitenza totale da parte dei giovani alle ordinanze fasciste repubblicane. Certamente la polizia era informa· ta, per mezzo dei fascisti e delle spie locali di ciò che avveniva, poiché fui incalzato con richieste ripetute sulla attività di alcuni individui del Moiano (noti antifascisti, Sacco ed altri) che in realtà erano tutti i primi e i veri organizzatori della Banda. Riuscii a non tradire chiudendomi nella ignoranza del tutto. Liberato il 25 maggio pres i nuovamente contatto con la banda e dal comandante Ceccarini Romeo mi fu dato il comando di una squadra dislocata nei pressi della lo cali tà S. Donato. All'uopo furono fornite delle armi necessarie che ritirammo presso il comando della Brigata. Ai primi di giugno ho partecipato con patrioti non facenti parte della ·mia squadra all'az ione presso le Scuole del luogo ove fu disarmata una compagnia di soldati italiani e furono catturati militari tedeschi che accompagnammo all'accampamento della Banda. Durante il passaggio del fronte non ho compiuto azioni armate con la mia squadra, ma posso asserire di avere vigilato e sorveg liato tutta la zona assegnatami per contro llare che non fossero compiuti atti di violenza o rapine alla popolazione dai nazifascisti in ritirata. Ho potuto fornire informazioni utili a compiere azioni di collegamento. Non ho altro da aggiungere e in fede di quanto sopradetto mi firmo. Fatto, letto, chiuso e sottoscritto.

Umberto Palmerini»

Ricordi Di Un Partigiano

(di Walter Peppoloni)

Sono della classe 1916, ero militare e dopo 1'8 Settembre 1943 fui anche io un militare sbandato e ritornai a casa a Terni.

Qµando col nuovo fascio e la Repubblica di Salò incominciaro· no minacciosi bandi di richiamo dei militari sbandati che dovevano ripresentarsi al corpo, io non ero d'accordo e mi allontanai da Terni e mi rifugiai presso alcuni parenti a Moiano di Città della Pieve, mio paese di origine, dove nell'inverno mi ritrovai con molti altri sbandati come me. Poi mi ritrovai con Romeo a formare la prima «banda>l di giovani decisi a riparare al bosco, piuttosto che andare in guerra per i tedeschi, e intanto si compivano azioni di sabotaggio al traffico militare. Poi , cresciuta, la «banda)) fu divisa in due squadre e a me fu dato da Rom eo e da chi dirigeva le cose il comando di una di queste squadre, quella formata con gli elementi più in pericolo per le ricerche dei carabinieri, e perciò dislocati verso il bosco sul Monte Pausillo. In pianura c'era l'altr a squadra di Sergio, i:na io facevo sù e giu, e così ho partecipato a vari atti di sabotaggio e disarmo, oltre ad aver vissuto le peripezie delle bande di partigiani raccolte sulla montagna nelle ultime settimane di guerra e nei giorni del passaggio del fronte, dove rimanemmo per quattro giorni tra le due linee sotto le ~an nonate. Prima ho partecipato con Sergio all'importante azione di disarmo e sequestro del 1° giugno 1944 alle Scuole e al Molino, e il giorno dopo, assieme ad altri 4 partigiani, al disarmo di 4 militari tedeschi in lo calità «Paradiso)) presso un cascinale poco discosto dalla strada del Maranzano, e li portammo con noi prigionieri al bosco. In montagna, nei quattro giorni del passaggio del fronte, ho parteci· pato con altri partigiani locali («Alberino», ccDero)), «Tino)), «Ris)) e altri) e col Serg. Magg. Manca ed alcuni suoi soldati, alle azioni dei «Tre Molini» e poi all'ccAcquasanta», fino all'arrivo delle truppe inglesi il -· mattino del giorno 19 giugno 1944. Già il giorno precedente loro avevano raggiunto la cima del monte e scendeva- no verso Paciano, mentre noi più a ponente, un po' disorientati per lo scontro del giorno prima, appena vedemmo i carri armati leggeri inglesi scendere dal le colline pievesi di fronte, verso la sottostante valle, col Comandante «Luca » gli andammo incontro scendend o da l mont e per incontrar e le prim e pat tu glie inglesi, giù nella pianura di Moiano finalmente libera.

Walter Peppoloni

Rico Rdi Della Lotta Pa Rtigiana

d i Lorenz o Belardinelli

Lo sbandamento dell'Esercito italiano avvenne dopo 1'8 settembre 1943; dov e va esser e di ar mistizio e invece da lì in co minciarono i mali peggiori. lo mi trovavo militare a Terni e scappai come tanti altri , per ritornare a casa in quella co n fusione. I fascisti, con l'appoggio dei ted esch i che liberarono il duce da Campo Imperatore dove er a prigionie ro dopo il 25 luglio, formarono la famosa Repubblica di Salò. Da quel momento cominciarono i richiami di noi militari sbandati, con minacce di gravi pene per chi non si riprese n tava e poi di morte pe r i disertori. Noi che non volevamo tornare a servire la repubblichin a e sotto i tedeschi, ci chiamavano «tradi tori della patria», e ci davano la caccia sia i fascisti che i carab inieri a Paciano dove ab itavo al vocabolo ccTre cas e». Allora nel nov emb re 1943 fum mo cos tre tti a darci la titan ti e al b osco. Così nacqu ero i gruppi di giovani partigiani e io fui uno dei primi a co n vincere anche tanti altri a fuggire a rifugiarci sul monte Pa u sillo, rimane nd o collegati quaggiù con le nostre fam igli e. Que , sto indirizzo ch iaro io l'ebbi attraver so il mio ami co Nanni Raffa ell i che mi fece conoscere e mi mise in contatto (i n segreto, certo) con il noto antifas cis ta locale, il fotografo Solismo Sacco di Moiano, assai conosciuto anche perché più vo lte arrestato, che si fid ò d i me. lo intanto mi aggregai al gruppo clandestino dei giovani fuggiaschi che fu la banda del Moiano, ma anch e n el pacian ese il mio lavoro clandestino e quello di altri , pure se per prudenza quasi slegati da m e, com in ciò a dare i suoi frutti , perché s i formò una squadra clandestina di giovani raccolti dal serge nte Aldo Serafini che già nel gennaio 1944 iniziò a compiere atti di sa bo taggio co n tro lin ee te lefoniche ecc. com e era rac co mandato da i capi che in segreto dirigevano questa resistenza contro i ted eschi e i fascisti. Il pericolo era grande come d imostra questo fatto e tanti altri sim ili: un g iorno a casa mia vennero i carabinieri col Ma res ciall o, alcu ni fascisti e due tedeschi con un cam ion già carico di ostaggi per prelevarci, perché nella mia famiglia eravamo ricercati io e mio fratello; noi non c'eravamo perché si e ra nel bosco e allora presero ostaggio un altro fratello, anche se lui era riformato, buttandolo sul camion com e merce. Quella povera gente sequestrata la portavano al campo di concentramento tedesco del Ferretto, oltre Castiglion del Lago, dove tenevano qu esti ostaggi per il servizio del lavoro e dove furono trattenuti per tutto l'inverno fino a maggio 1944. I più giovani li portavano ancora più avanti e qualcuno non ha fatto più ritorno; mio fratello poté ritornar e. Le cose si aggravavano e così la «banda» cresceva. Noi eravamo in contatto con la banda di Panicale comandata da un certo Serse e con quelle del Moiano ch e intanto erano divenute due, comandate da Romeo Ceccarini. lo ero legato a quella dislocata sul Monte Pausillo, nel bosco chiamato dell'Acquasanta. Altri gruppi partigiani si sapeva che erano nella zona di Sanfatucchio e Macchi e e sullo stesso monte Pausillo l'altra banda moianese era nel bosco di Malagronda. Tutto questo complicato lavorio, che si sentiva che c'era ma non si vedeva, formò la «Brigata Risorg imento» comandata da «Luca», cioè il tenente Alfio Marchini di Rom a e da Solismo Sacco «Sole» per noi grande uomo politico. Negli ultimi due tre mesi eravamo già molti, ma con·poche armi, sequestrate qua e là a fascisti e tedeschi che, visto come per lo ro andavano le cose, avevano perso la loro prepotenza. C'era necessità di armi, in specia l modo di bombe a mano che era p iù facile procurarsi. Vicino a Panicarola, in località Cascina, esisteva un grosso d e posito tedesco di munizioni, un campo un po' protetto da alberi e io un giorno di maggio andai da solo a ispezionare la zona e scoprii dove era sistemata la stiva delle bombe, e allora studiai il piano. La mattina seguente ritornai con altri 4 amici partigiani verso mezzogiorno, ora del rancio dei t edeschi che si allontanavano e, disposti i mi e i compagni armati ma travestiti da contadini nei campi vicini a mia copertura, mi avvicinai alla sentinella di guardia, lui solo, e alla buona gli dico «ciao»; mi rispose in friulano o mezzo tedesco, io non capii nulla, ma di colpo di co : «non ti muovere, sono un partigiano, la montagna ch e vedi è piena di partigiani, qui fra giorni scoppia tutto, ascolta: io voglio delle bomb e a mano, ti dò 50 lire, tu da questo momento fai la guardia a me, non più per i tedeschi.» La sentinella spav e ntata reclamava ma io a brutto muso gli dissi: «Ti preme la vita? fai quello che ti dico: se qualche tedesco dovesse ritornare, tu cammini, se non c'è nessuno stai fermo, e stasera scappa verso le colline, perché fra qualche giorno qui brucia tutto». Ora acconsentì, prese i soldi e io chiamai i miei uomini e co minciammo a trasportare quelle casse di bombe; dalla stiva le portammo 400-500 metri lontano e le nascondemmo in una forma coperte col fieno, saranno state una ventina circa e il carro venne pieno. Verso sera io col carro e i miei buoi tornai sul posto insi eme al partigiano Libero Papa e ricaricammo tutte l e casse sempre nascoste sotto il fieno. Sembrava il trasporto di un normale carro di fieno, quella era la stagione e noi contadini, non destava sospetti neanche nei brevi tratti di strada maestra che dovevamo attraversare, da quelle campestri piuttosto lunghe che ci riportavano per sotto i Mazzarelli all~ Trecase. Lì giunti, un po' prima in aperta campagna ripetemmo tutta l'operazione di scaricarle e nasconderle sotto il fieno. A notte tarda andai ad avvertire «Sole» e finalmente quella notte potei . dormire a casa mia. Avvertito il Comando, la notte dopo venne dalla montagna un grosso gruppo di partigiani a prendere il nostro bottino e trasportarlo attraverso i campi e boschi, sù per i faticosi sentieri del «Pietreto» e della «Pineta» fino agli accampa· menti dell'«Acquasanta» e di «Malagronda». In quei difficili giorni noi intanto aspettavamo. Qualche scaramuccia qua e là per qualche disarmo di fascisti, niente cose grosse fino all'avvicinarsi del fronte nella nostra zona. Intanto il Comando della Brigata mandò da noi il tenente Gatti che collegò, unendole, le bande di Paciano e di Panicale nel Battaglione Gesmundo. Ora nelle ultime settima· ne la situazione si fece calda e infine a Paciano la Caserma e la guardia repubblicana furono disarmate e si arresero; io non c'ero, ero al bosco. Martedì 13 giugno il paese era sotto il controllo dei partigiani che in qualche modo abbozzarono il C.L.N., ma in verità timorosi perché in paese erano pochi, e i tedeschi in ritirata erano violenti. Si seppe poi che dovettero giocare da collaboratori per ammansirli per evitare danni al paese e tentare deviarli dal salire sulla pericolosa montagna. Dopo le serie vicende di quei difficili quattro giorni, tra le cannonate degli inglesi fermi a Piegare e dei tedeschi ritiratisi sulle prime colline del Trasimeno, e dopo lo scontro della domenica 18 giugno, finalmente tutta la nostra zona e i paesi di qua dal lago furono liberi.

Il giorno dopo il maresciallo dei CC uscì in piazza in servizio d'ordine, avendo levate le «MM» dalla giacca e rim esse le stellette, ma la popolazione che già aumentava minacciosa, gridava contro, insultava e inve iva per cacciarlo e forse aggredirlo, specialmente i giovani perseguiti o deportati al Ferretto e i loro genitori. Arrivai in tempo per aiutare il C.L.N. a controllare la sit uazione che era proprio pericolosa e fui spinto a intervenire. Bussai ed entrai in , Cas erma. come partigiano, feci deporre le armi e così uscimmo fuori dicendo alla folla: «Quest'uomo ha co mpiuto errori, risponde· rà alla nuova legge, ora ness un o lo tocchi». E così tutto tornò in ordine.

Sindaco del C.L.N. fu Serafini Ernesto.

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