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LA RESISTENZA NEL PIEVESE: UNA TESTIMONIANZA di DINO VERDI

La guerra dell'Asse, cioè delle dittature italiana e tedesca, volgeva verso il disastro, tanto che con le continue disfatte mil itari all'est dopo Stalingrado e in Afri ca e poi lo sbarco alleato in Sicilia, il fascismo cadde il 25 luglio 1943 e si sperò, almeno per noi, nella fine della guerra. Ma le cose andarono diversam en t e e il tardivo armistiz io dell'8 settem bre, con la fuga di Pescara del Re e di Badoglio che abbandonarono Roma, . anz ich é dare una tregua d'armi, provo cò l'invasione militare dell'Italia da parte di alcun e divisioni tedesche, e il nostro Paese cadde nel caos. L'Eserci to si sbandò e si divise, come si divise l'Italia e il nostro popolo, nel fondo antifascista e antitedesco, perché la farsesca Repubbliche tt a di Salò usò la brutale violenza del potere del nuovo fascismo, per irreggimentare ancora la giov e ntù italiana per la guerra tedesca.

Ma la gioventù si ribellò e non rispose ai bandi di richiamo neppure quando minacciavano la fucilazione per i «dis e rtori». Così nacque lo spirito della Resistenza contro lo straniero ted esco e contro il fascismo, che si concretizzò in atti quando preferì il bosco e si organizzò in «bande partigiane», armate per meglio difendersi e pronte ad ogni evenienza, sotto la guida clandestina, ma ugualmente valida, di uomini «vecchi resistenti» perseguitati dalla dittatura fascista. lo non potevo che essere di questa gioventù ribell e ed entusiasta nella lo tta che si presentò durissima. Col mio amico Yafet Leprini finanziere in convalescenza, che abitava vicino a me non lungi dal villaggio di Trevinano dove anche io ero riparato appena dopo 1'8 settembre e gli avvenimenti che seguirono, ci trovammo a riflettere su qu es ti gravi e confusi avvenimenti per tentare di capirli. Nelle nostre difficoltà Yafet disse: «Andiamo da uno che in politica ne sa» e mi ripeté il nome di Solismo Sacco, il fotografo, noto antifascista perseguitato, col quale lui aveva allacciato dialogo politico, subito dopo il 25 lug lio, essendo andato da lui con la scusa di una foto tessera ma solo per farsi conoscere. Anch'io sapevo chi era, pur non avendoci alcun rapporto, e la sera stessa di notte andammo da lui allo «Stradone» di Moiano. Ci accolse cortese, anche se un po' riservato, ma poi fidandosi oltre che di Yafet anche di me, forse sapendo l'origine della mia famiglia. La serata fu utilissima per chiarire le nostre idee e da quel momento questi incontri notturni, sempre pericolosi dato il rapido evolversi in peggio della situazion e, si ripetevano spesso nel rapido sviluppo delle cose, per interpretarle.

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Già in ottobre e novembre si andava delineando la inevitabilità della lotta armata contro i tedeschi e fascisti, dato il ritorno della minaccia fascista, anche se ora con etichetta repubblicana ma con gli stessi gerarchi di prima, ciecamente virulenti al servizio dei tedeschi; e i giov ani che, richiamati, fuggivano al bosco e si univano in «bande» armate, e questo anche per opera nostra. Tutto questo ci costringeva a provvedere concretamente e ci preparava al peggio nell'incerto futuro forse assai prossimo. Noi sapevamo dell'esistenza di una Cellula comunista, ora clandestina anche se per noi era facile individuarne i componenti, e li era il Sacco, ma noi eravamo con lui impegnati diversamente. Intanto a novembre avvenne che suo padre, forse già malato, si aggravò e improvvisamente morì. Noi, per rispetto e per non importunarlo in quella sua triste situazione, sospendemmo le nostre visi te e i nostri pur necessari colloq ui per alcune settimane, pur seguitando a darci da fare sulla base dell'indirizzo generale da lui datoci, e il nostro buonsenso nel lavoro di raccolta di quelle forze giovanili che per convinzione o forzata necessità rispondevano al nostro indirizzo.

Avevamo capito il valore della sigla C.L.N. e noi praticamente eravamo già un CLN in embrioil_e con «Sole» alla guida (così ingergo si chiamò il Sacco) e questo ci entusiasmava, tanto più che sapevamo della saltuaria presenza a Moiano di un suo amico, forse un parente, ufficiale romano sbandato. Qµando ritornammo da lui nel successivo dicembre, gli riferimmo del nostro lavoro in quelle settimane e ci facemmo forti di queste due iniziative: l'avvio di una raccolta di fondi per il sostegno de i gruppi di giovani al bosco, privati delle tessere alimentari alle loro famiglie, tessere già ridotte ai minimi termini, tenendo di questa raccolta segreta regolare registrazione dimost rativa. La seconda iniziativa era stata l'invio di alcune lettere ai virulenti gerarchetti locali, moianes i e di Città della Pieve (al Console della M.V.S.N.), avvertendoli di - smetterla col fascismo ormai finito, e dal perseguire i giovani sbandati se volevano salvarsi dalla giusta vendetta di oggi, nel caso fossero provocati danni o vittime, o di domani a guerra finita, quando avrebbero dovuto rendere conto di tutte le loro malefatte. Una lettera invece fu indirizzata al mugnaio Serafino per incoraggiarlo a disobbedire alle leggi fasciste in fatto dei rigorosi controlli sul macinato, sia molendo il grano dei contadini nascosto perché sottratto agli Ammassi obbligatori, e consentire così rifornimenti alle famiglie più bisognose, sia fornendo farina alle famiglie ch e non potessero pagare, facendogli largo credito, che poi sarebbe stato regolarmente pagato a guerra finita dalle nuove autorità del C.L.N. - Noi avevamo le copie di queste lettere, tutte firmate «CLN». Eravamo soddisfatti di queste iniziative, ma il Sacco le ridimensionò, approvando la raccolta dei fondi per quegli usi, ma distruggendo l'ordinato quaderno di cassa da sostituire con insignificanti appunti decifrabili solo da noi; e per le lettere, ci fece distruggere subito le copie a carbone degli scritti che avevamo battuto a macchina nel salo ttino di Yafet, per il rischio che costituivano, e giudicò l'iniziativa assai pericolosa per la possibile reazione dei gerarchi minacciati, e quella al mugnaio inutile, perché potevamo farlo con assoluta sicurezza a voce, dato che era suo cognato. Con la ripresa dei contatti col Sacco raddrizzammo e sviluppammo in gennaio e febbraio 1944 la nostra azione certamente su un terreno più giusto, con la guida della sua esperienza politica nell'interpretazione degli eventi. Ci ritrovammo così in cinque a collaborare in quella difficile situazione, tre comunisti, e noi due politicamente ancora non definiti: «Sole» capo politico, «Luca» capo militare di tutta la zona con la Brigata Risorgimento (Alfio Marchini che prima non conoscevamo), Romeo il capo della prima «banda moianese», io Dino, e Yafet, utilizzati oltre che localmente anche per i collegamenti con l'ambiente antifascista pievese, per sollecitarlo a trovare affiatamento tra tutte le diverse forze democratiche (anche se di sicuri ex fascisti) che ora potevano comunque servire nella difficile lotta che la situazione imponeva. Tassa tivamente questi contatti potevano essere soltanto e separatamente personali col dott. Crinelli, con i Bombagli, e col geom. Remo Orlandi. Ma Yafe t, sofferente di ulcera dovette ricoverarsi in Ospedale e per nostra disgrazia morì. Io rimasi solo, tuttavia seguitai a fare quanto mi fu possibile. Nell'ultimo mese dovetti anche io darmi al bosco, specie nelle ultime settimane dopo la caduta di Roma e nei pericolosi giorni sul Monte Pausillo, dovuti alla sosta del fronte di guerra nella nostra zona. I partigiani tenevano l'importante posizione del monte, perciò ci trovammo tra le linee e sotto le cannonate incrociate degli opposti eserciti, e la domenica 18 fu proprio calda. Il giorno successivo, mentre i carri armati inglesi dalle colline di Città della Pieve scendevano verso la pianura di Moiano, e «Luca» con i suoi partigiani si unì a lle prime pattuglie inglesi che occuparono il paese, noi, io e Sacco, scendemmo il monte diretti a Città della Pieve per la prima riunione del C.L.N.

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