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5. I prodromi del consenso

5. I prodromi del consenso

La resistenza alla leva obbligatoria, piuttosto che dall'azione persuasiva delle autorità politiche, fu quindi vinta, pur con tutte le sue carenze, dalla repressione governativa. Ovviamente, interagirono anche altri fattori: in particolare, il carattere individuale, e pertanto più facilmente circoscrivibile, che assumeva nella stragrande maggioranza dei casi la renitenza e la diserzione, e una maggiore conoscenza, dopo le prime chiamate, dei meccanismi del reclutamento e delle opportunità che esso offriva per sfuggire legalmente all'arruolamento. L'azione svolta dalle autorità municipali si rivelò tuttavia incisiva sotto un aspetto. Affinché la chiamata alla leva fosse "giustamente apprezzata" dai coscritti come un momento "solenne", i funzionari governativi avevano invitato i sindaci ad organizzare delle "manifestazioni esteriori che attestino l'alto concetto in che è tenuta presso il Pubblico quella eletta parte di gioventù". Tra queste venivano suggerite l'affissione di manifesti "per eccitare gli inscritti a presentarsi spontanei", l'organizzazione al momento dell'estrazione sorte di una "refezione" con l'intervento della "Banda Nazionale, o del Concerto Comunale, ove esistano, ed in difetto dei Tamburi della Guardia Nazionale" perché i giovani fossero "convenientemente festeggiati" (84). Questo tentativo di far assumere al reclutamento le caratteristiche di un momento di festa e di partecipazione collettiva fu coronato da un certo successo e rappresentò un primo sintomo che le disposizioni dei coscritti verso la leva andavano mutando. Certamente nel lungo periodo, come è stato recentemente sottolineato, la graduale accettazione del peso della coscrizione fu favorita dall'emergere di un "consenso prepolitico" verso il servizio militare che era alimentato dal significato di "rito di passaggio" assunto dalla leva all'interno della "cultura popolare". Le feste e le dimostrazioni spontanee in occasione dell'estrazione a sorte e della visita di leva rappresentavano appunto i tipici comportamenti rituali che sancivano l'abbandono della giovinezza e l'approdo alla maturità, il passaggio dalla famiglia alla società (85). Questa ipotesi suggestiva, per quanto concerne il caso forlivese, deve tuttavia essere quantomeno sfumata o differita nel tempo. Prescindendo da una valutazione dell'attendibilità delle descrizioni delle autorità in cui le masse di coscritti si recano "pieni d'entusiasmo e d'allegria" al sorteggio, e difficile riconoscere in questo atteggiamento un carattere di assoluta spontaneità. All'affermazione della ritualità della coscrizione, infatti, non furono probabilmente estranee, come dimostra l'azione specifica svolta dai sindaci del forlivese, anche sollecitazioni esterne alla cultura popolare (86). Una maggiore importanza rivestì probabilmente un altro fattore. Dopo qualche anno di concreta sperimentazione della leva la popolazione maturò una certa consapevolezza degli effetti positivi che il servizio militare aveva sui giovani coscritti e le loro famiglie. L'esame dei questionari e delle monografie dell'"Inchiesta agraria" conferma, per quanto concerne le classi rurali, il ruolo svolto da questo fattore nel suscitare un qualche consenso nei confronti della coscrizione (87). Se la leva, come si è già visto, era di grave pregiudizio economico per la maggioranza delle famiglie coloniche, questa influenza negativa era controbilanciata da altri influssi di segno contrario:

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E` lamentata la tolta alle famiglie di una parte delle migliori loro braccia e del miglior elemento; ciò costituisce economicamente un aggravio. La maggioranza paga però volentieri questo tributo non fosse altro perché il giovine va per qualche tempo a vivere meglio che in casa propria, e riede dirozzato ed istruito (88).

Il sindaco di Riolo forniva un elenco dettagliato degli effetti positivi che il servizio militare aveva sulla persona del coscritto:

Le influenze in genere che si riscontrano nei nostri giovani coloni congedati dal servizio militare possono riepilogarsi in una maggior istruzione, disciplinatezza e civilizzazione; ed in genere in un maggiore sviluppo delle facoltà fisiche ed intellettuali (89).

Federico Masi, estensore di una monografia sul circondario cesenate, manifestava un ottimismo ancora maggiore e riteneva che la sperimentazione delle influenze positive della coscrizione avesse ormai vinto l'avversione della popolazione agricola:

I giovani compresi nella Leva quando ritornano dall'aver compiuto il servizio militare abituati alla disciplina rigorosa del campo e della caserma conservano nelle loro azioni un certo ordine e si distinguono per modi più urbani, sanno leggere qualche volta scrivere e fare un pò di conti cose tutte che loro concigliano la stima degli eguali, tanto che nelle campagne si incomincia a persuadersi che il servizio militare pel contadino è una scuola, un periodo di tempo passato in luogo d'educazione (90).

I progressi registrati dai giovani arruolati sotto il profilo dell'istruzione erano indubbi. Durante il periodo della ferma essi avevano la possibilità di imparare a leggere e a scrivere frequentando le scuole istituite presso i corpi. Le informazioni rese disponibili, a partire dalla classe di leva 1846, dalle relazioni ministeriali testimoniano una sensibile riduzione del tasso di analfabetismo: la percentuale di coloro che non sapevano leggere e scrivere, che all'atto dell'incorporamento si attestava a livello nazionale vicino al 50%, scendeva al momento del congedo sotto il 10% (91). Una conferma indiretta dell'influenza del servizio militare sul grado d'istruzione dei giovani coscritti viene fornita anche dai dati censuari: nella provincia di Forlì, le classi d'età maschile comprese tra i 26 e i 31 anni presentavano al censimento del 1871 un tasso di analfabetismo sensibilmente inferiore a quello fatto registrare dagli arruolati delle classi di leva 1841-1845 (92). Secondo alcuni sindaci, inoltre, il servizio militare contribuiva al miglioramento del livello complessivo d'istruzione della popolazione rurale: le nuove acquisizioni non restavano infatti confinate ai soli coscritti, in quanto essi, una volta ritornati a casa, contribuivano "a diffondere qualche cultura nelle famiglie coloniche" (93). Il servizio militare favoriva, oltre al miglioramento intellettuale, anche lo sviluppo fisico del giovane arruolato. Nonostante la situazione igienico-sanitaria delle caserme fosse assai carente e l'alimentazione inadeguata, i soldati durante il periodo della ferma registravano spesso un aumento del peso e della statura (94). Al ritorno in famiglia i coscritti, diventati "più amanti della pulizia", potevano inoltre favorire l'osservanza e la diffusione di alcune nozioni igieniche elementari (95). Mentre i sindaci erano concordi nell'inserire tra gli effetti positivi del servizio militare i progressi nell'istruzione e nell'igiene, assai contrastanti erano invece le posizioni relativamente all'influenza che il periodo passato sotto le armi aveva sulla moralità dei coscritti. Se alcuni consideravano la leva una "potente molla di moralità e di educazione civile", altri temevano invece che proprio le influenze positive sul piano dell'istruzione e dell'igiene fossero controbilanciate da un peggioramento sul piano morale dei giovani contadini: "Dio non voglia che acquistino queste buone tendenze a scapito della moralità" (96). Se per i primi il servizio militare rendeva i contadini più docili e laboriosi, "assuefandoli alla disciplina, al rispetto delle Leggi e al mantenimento dell'ordine", per i secondi "li fa[ceva] disamorati dal lavoro" e "piuttosto presentuosi e prepotenti", diffondendo in essi la tendenza al libertinaggio e "il desiderio di combriccole, di giuoco, di bettola" (97).

In particolare, emergono due posizioni del tutto contrastanti relativamente al reinserimento nell'attività lavorativa dei giovani congedati dall'esercito. Alcuni sindaci che sostenevano che il servizio militare "rende malvolenterosi a continuare le fatiche dei campi", togliendo ai coloni "l'attitudine" ai lavori agricoli (98). Gli estensori delle monografie erano invece di parere diverso. Il 105

già ricordato Masi negava infatti che il servizio militare influisse negativamente sulla laboriosità dei coscritti, polemizzando apertamente su questo punto con i proprietari agricoli:

Vuolsi che i reduci si trovino alquanto sconcertati avanti alla durezza del lavoro dei campi, e che incontrino difficoltà prima di ripigliare le abitudini agricole; proprietari di quelli che non sanno mai nulla approvare, mai di nulla chiamarsi contenti, li accusano addirittura di poltroneria, noi preferiamo di credere che queste osservazioni sieno piuttosto da altre cause anziché motivate dal fatto che si vuole lamentare (99).

Sostanzialmente dello stesso avviso era anche Filippo Ghini, estensore di un secondo studio sul circondario cesenate:

nella generalità ritornati i giovani campagnoli alle loro case ben presto si rimettono alle abitudini campestri, e sebbene si verifichi che alcuni di essi si mostrino malvolenterosi a riprendere e continuare le fatiche dei campi, ciò deve ritenersi come una eccezionalità (100).

Addirittura, secondo la monografia dell'ingegnere Luigi Biffi, nelle campagne del faentino

i proprietari accordano una preferenza ai reduci della leva, non solo prescegliendoli come semplici lavoranti, ma ben anche come assistenti agli altri lavoratori (101).

Tra gli altri effetti negativi del servizio militare i sindaci individuavano soprattutto una serie di turbative che si creavano all'interno delle famiglie con il ritorno a casa del coscritto. Il giovane congedato non era soltanto strumento di diffusione di nozioni culturali, tecniche e igieniche, ma anche portatore di tendenze disgregatrici per la compattezza dei nuclei familiari. Egli ritornava a casa svogliato, meno legato ai costumi tradizionali, imbevuto "di idee e tendenze non tutte appovabili né utili" (102), e, "per la presunzione d'avere imparato assai", con "la pretensione e burbanza di dirigere e comandare in famiglia, con detrimento della gerarchia", che è "il fondamento del buon regime della famiglia medesima" (103). Se dopo un ventennio dalla sua introduzione il malcontento per la coscrizione aveva ancora radici profonde nelle campagne, dove, anche se "i contadini sono rassegnati", la leva militare non è in genere gradita", essa, tuttavia, era ormai entrata stabilmente nei costumi e nelle abitudini della popolazione agricola: il servizio militare veniva accettato, non solo "con abbastanza indifferenza e senza contravvenzioni", ma addirittura "volentieri" (104). Masi, nella sua monografia sul circondario di Cesena, ammetteva che la coscrizione "nel principio della sua applicazione" aveva incontrato "anche da noi le sue difficoltà", ma subito precisava che "oggi non [ci sono] più renitenti" e che il giorno della partenza è diventato

un giorno d'allegria: le giovani reclute senza pianti od altre esagerazioni partono per loro destino (105).

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