9 minute read

4. L'azione persuasiva delle autorità politiche

4. L'azione persuasiva delle autorità politiche

Si è già visto come verso la metà degli anni sessanta le disposizioni dei coscritti verso la leva fossero decisamente migliorate: il numero dei renitenti era notevolmente diminuito e diventato quasi irrilevante, le operazioni di reclutamento avevano assunto, almeno esteriormente, l'aspetto di un momento di festa e di partecipazione collettiva. Se l'avversione della popolazione per la coscrizione non era ancora stata vinta completamente, il comportamento meno antagonistico dei giovani soggetti alla leva testimoniava comunque come al rifiuto fosse subentrata una certa rassegnazione. Quali fattori avevano originato questo mutato atteggiamento? Nella lettura proposta dalle autorità politiche locali, esse tendevano ad attribuire un'importanza decisiva all'opera di sensibilizzazione da loro svolta per convincere la popolazione della necessità e dell'utilità della coscrizione. Il prefetto Campi, ad esempio, scriveva nella sua monografia che all'"azione perversa funesta dissolvente" del clero

Advertisement

altre e ben più nobili influenze si opposero: quanto avvi nei paesi di sinceramente onesto liberale intelligente e devoto alla propria patria, si levò a combattere le fatali prevenzioni contro la leva. I migliori cittadini si studiarono di spandere in terra tanta luce di verità, quante furono le tenebre d'ignoranza che si vollero lungamente addensate fra le popolazioni rurali. E si deve appunto a questo generoso apostolato di patriottismo, se colla dolcezza e colla persuasione furon tolte di mezzo le seduzioni di perniciosi esempi, e ridotti molti colpevoli nel dritto cammino della legalità e del dovere; se seminando anche nelle campagne il sentimento di ciò che ogni cittadino deve al proprio Paese, e consigliando il sagrifizio ed il rispetto alla Legge, le operazioni di Leva procedettero non solo sicure e spedite, ma raggiunsero ormai risultati, quali non è dato sperarli migliori in molte fra quelle antiche Provincie Subalpine (65).

In effetti, nel debellare la resistenza alla leva obbligatoria, l'impiego della forza pubblica e il ricorso a misure eccezionali rivestì senza dubbio un ruolo assai maggiore. Delle due "vie" che il sottoprefetto cesenate Pallotta indicava per "menomare" la renitenza,

1. procurando che i renitenti non abbiano tregua dall'inseguimento della Forza, tanto che o cadano in suo potere quanto meno sel pensano, o per instanchezza di quel vivere al bando della Legge si costituiscano volontari; 2. controbilanciando le triste, ed ostili influenze del Clero con quelle pacifiche ed incivilitrici delle autorità Municipali,

era la prima ad essere più spesso praticata (66). La repressione fu sempre anteposta al tentativo di suscitare il consenso verso la coscrizione, o perlomeno l'osservanza del nuovo obbligo, mediante un'azione persuasiva. Era proprio il limitato successo conseguito da quest'ultima, infatti, che contribuiva parallelamente a rafforzare la scelta delle autorità governative di privilegiare nella loro strategia complessiva una risposta essenzialmente poliziesca al problema della renitenza. L'analisi degli strumenti e degli argomenti ai quali fece ricorso la propaganda governativa riveste comunque, a prescindere dai risultati ottenuti, un'indubbio interesse. L'organizzazione di uno specifico intervento volto a sensibilizzare i giovani coscritti e le loro famiglie, oltre ad essere sollecitata da precise direttive del potere centrale, rispondeva anche alla necessità di contrastare efficacemente sullo stesso terreno la mobilitazione clericale contro la 100

coscrizione, attivissima specie nelle campagne.

Gli abittanti delle Città -scriveva, ad esempio, l'autore di un opuscolo propagandistico- ben sanno cosa sia la Leva [...]. Nei villaggi e nei campi ove con più difficoltà possono combattersi le tristi insinuazioni de' partiti avversi, ed ove le antiche preoccupazioni son più difficile a sradicare perché meno contraddette è dove conviene mostrare la verità ed il senso pratico della legge. Ai nobili ed onesti abitanti del contado sono specialmente dirette queste parole, poiché essi più d'ogni altro potrebbero preoccuparsi d'una istituzione che non conoscono, che ad alcuni torna il conto di travisare, e che presentandosi come cosa nuova in queste contrade è per certuni ragione sufficiente per avversarla (67).

L'azione propagandistica attivata dalle autorità utilizzava essenzialmente due canali distinti e complementari. Il primo canale, mediato, era rappresentato dalla pubblicazione di opuscoli e articoli propagandistici che si proponevano l'obiettivo di volgarizzare per la massa della popolazione i vantaggi derivanti dall'introduzione del servizio militare obbligatorio. Questa ricca produzione cartacea, redatta da militari o da personalità di area liberale, presentava caratteristiche comuni ed era speculare, nella scelta degli argomenti presi in esame, alla propaganda clericale, alla quale cercava di controbattere punto su punto (68). Un primo elemento, di carattere generale, che contraddistingueva questa letteratura filogovernativa era quello di mostrare l'irreversibilità del processo unitario:

non rimane dubbio veruno sulla stabile separazione di queste provincie (69).

In secondo luogo, veniva sottolineata con altrettanza forza la necessità che l'esercito del nuovo stato si fondasse sulla leva militare:

Le nazioni abbisognano di una milizia, che le difenda dai nemici di dentro e di fuori, ed una milizia ordinata e valente non si può comporre di volontari e mercenari (70).

In questa posizione si nota la presenza di un duplice motivo polemico: da un lato, verso la tesi democratica della leva in massa basata sul volontariato, dall'altra, nei confronti dell'esercito pontificio reclutato su base mercenaria. Affrontando poi la principale motivazione dell'avversione popolare per la leva veniva negato che essa arrecasse un danno economico alle famiglie dei coscritti e all'attività produttiva complessiva. All'obiezione che la leva "spopola Città e Campagne, fa deperire l'industria e l'agricoltura, e toglie per intiero ai padri di famiglia l'aiuto de' figli", si rispondeva facendo notare come la "legge provvida e giusta" contemplasse un tale ventaglio di possibilità di esonero da obbligare di fatto al servizio militare solo un numero assai limitato di giovani (71). Il maggiore impegno era posto tuttavia nella descrizione dei molteplici miglioramenti, d'ordine fisico, intellettuale e morale, che il coscritto poteva acquisire durante gli anni della ferma. Se i giovani arruolati erano

spessissimo ignoranti, dediti alcune volte all'infigardaggine [...]; con poche o nulle cognizioni,

il soldato congedato, al ritorno in famiglia,

condurrà l'abitudine al lavoro ed all'attività; al rispetto [...], deferenza ed 101

obbedienza [...], ricondurrà un ordine perfetto in tutte le sue azioni, ordine a cui deve lo svolgimento delle sue facoltà intellettuali e delle forze fisiche (72).

Il servizio militare veniva equiparato ad una scuola

in cui si apprende l'ordine, la subbordinazione ed il rispetto ai superiori, in cui l'infingardo e scioperato si abitua alla fatica; l'arrogante e presentuoso si doma (73).

Sul piano morale veniva inoltre respinta l'accusa che il servizio militare fosse un incentivo alla irreligiosità: non solo il soldato

è essenzialmente religioso; rispetta i buoni ministri dell'Altare attento e deferente ai suoi morali consigli,

ma nell'esercito

si temperano colla disciplina i costumi, e si osservano indeclinabilmente i comandamenti della Chiesa, ed il culto cattolico (74).

Il periodo passato sotto le armi consentiva inoltre di acquisire utili nozioni sul piano professionale. A secondo della loro assegnazione ai vari corpi dell'esercito i coscritti rurali avrebbero potuto "perfezionarsi" nella propria attività, o "iniziarsi" in un mestiere. Gli arruolati in fanteria, muovendosi "dall'una all'altra Provincia", usufruivano di un'esperienza "pratica interessantissima sui vari metodi di Coltivo ne vari luoghi usati"; coloro che entravano in cavalleria imparavano "per assimilazione la cura e l'igiene" non solo dei cavalli ma anche di tutti gli altri animali "necessari ai campestri lavori"; quelli destinati al genio e all'artiglieria, esercitando "le arti del carraio, del fabbro, del falegname", diventavano esperti nel riparare gli attrezzi agricoli (75). Per il contadino, i vantaggi arrecati dal servizio militare potevano addirittura concretizzarsi in un miglioramento della sua condizione sociale. Se una qualche mobilità ascendente non era preclusa all'artigiano, che dalla qualifica di garzone aveva la possibilità, acquistando una bottega propria, di elevarsi al rango di padrone e di raggiungere una certa agiatezza, il contadino era invece ancorato alla sua posizione di subordinazione e sfruttamento:

Raro è che egli ascenda al grado di fattore, più raro ch'entri in denari tanto da comperare un podere per coltivarlo di sua mano (76).

L'unica sua opportunità di avanzamento sociale era rappresentata dalla carriera militare:

L'aspettativa del contadino sta nel cammino delle armi. Di costumi semplici ed onesti [...], docile, operoso, sofferente alla fatica, egli è più ch'altri atto a farvi buona riuscita. I migliori soldati, i più robusti e meglio disciplinati si traggono dalle campagne; que' che appresero a leggere ed a scrivere possono salire di grado [...], ed ove, per la ignoranza delle lettere, non sia dato loro di uscire dalle file dei soldati, possono, dopo un certo numero d'anni, deporre le armi e ripigliare ancora giovani le cure domestiche nelle loro famiglie (77).

Questa argomentazione d'ordine economico-professionale merita una riflessione. Il servizio militare, in una situazione rurale caratterizzata da una forte disoccupazione stagionale e da una cronica sovrappopolazione relativa, poteva indubbiamente esercitare una qualche attrazione sui 102

coscritti contadini, garantendo per alcuni anni un lavoro sicuro. L'arruolamento in questi casi si configurava come una soluzione meno rischiosa e drammatica rispetto alla renitenza (78). La stessa rilevanza che nel forlivese ebbe, accanto a questa, anche il volontariato lascia poi intravedere come il basso tenore di vita della popolazione potesse contemporaneamente agire nelle due direzioni della fuga e dell'arruolamento. Pur caratterizzandosi come un comportamento tipico delle classi urbane medio-alte, il volontariato trovava infatti qualche appendice anche tra gli strati artigiani più bassi. Prescindendo dall'eccentricità di talune sue affermazioni, il limite maggiore della propaganda governativa consisteva propriamente nel vettore cartaceo che utilizzava. Se è lecito avanzare qualche dubbio sull'effettiva circolazione che avevano questi materiali, era comunque l'altissima percentuale di analfabeti denunciata dalla provincia di Forlì, ancora superiore all'80% al censimento del 1871, a privarla di qualsiasi efficacia (79). Lungi dal raggiungere la popolazione rurale, che nelle intenzioni doveva rappresentare il destinatario privilegiato di questi messaggi, questa propaganda rimaneva quindi confinata nelle classi letterate medio-alte, che, appartenendo allo stesso segmento sociale degli autori, erano presumibilmente già "educate" all'obbligo della coscrizione. Una maggiore efficacia, almeno in linea di principio, avrebbe dovuto rivestire il secondo canale, diretto e non mediato. L'esecuzione di un'azione persuasiva più capillare venne infatti affidata alle autorità municipali, confidando nell'esistenza di uno stretto legame con la popolazione. I sindaci furono invitati a mettere

a partito la loro influenza per imprimere nell'animo dei giovani quei generosi sentimenti di Patrio amore e d'abnegazione che rendono forte e civile una Nazione, e che concorrono potentemente a cancellare ogni preconcetta e vieta idea di avversione ai sacrifizj che le Leggi impongono ai cittadini (80).

Nel complesso tuttavia il ruolo che i sindaci furono in grado di esercitare sulle disposizioni dei coscritti si rivelò modesto e il loro legame con i propri amministrati assai precario. Sul versante di un rapporto personale e continuato con la popolazione, essi erano inoltre costretti a subire l'ingombrante concorrenza dei parroci. Consci della maggiore presa sociale del clero, le autorità municipali non disdegnarono, come si è già visto, di richiederne la collaborazione, senza ottenere peraltro risultati tangibili. Gli errori commessi nella compilazione delle liste di leva alienarono poi ai sindaci una parte di consenso, minandone l'attendibilità e favorendo anzi l'insorgere di un diffuso sentimento anti-municipale (81). Accanto alle autorità municipali, anche i proprietari agricoli furono sollecitati dai funzionari governativi a svolgere un'azione di convincimento presso la popolazione rurale.

Io raccomando a questi possidenti -scriveva, ad esempio, il delegato di pubblica sicurezza di Civitella- di illuminare i loro coloni onde sventare possibilmente i lavori del partito retrivo (82).

Indubbiamente, il forte controllo sociale che i "padroni" esercitavano sui contadini, contemplando anche la possibilità del ricatto economico, può aver rappresentato in qualche caso un deterrente alla renitenza delle campagne. Assai interessante al riguardo è la vicenda di un disertore di Poggio Berni. Il giovane, già incitato dal sindaco a presentarsi alla partenza del suo contingente, non recede dal suo proponimento neppure quando il proprietario del fondo che la sua famiglia conduce a colonia minaccia "di cacciarli tosto dal podere se venissi a sapere che gli dessero ricetto". La singolarità di questo caso, tuttavia, non consiste tanto nella circostanza che la minaccia dell'escomio non impedì la fuga del coscritto, quanto nella figura del proprietario: il parroco di S. Maria di Camerano (83).

This article is from: