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2.3. Il trattato di Uccialli e la “Colonia Primigenia”. Pag
2.3. Il trattato di Uccialli e la “Colonia Primigenia”.
Nel marzo del 1887, due mesi dopo i fatti di Dogali, il generale Genè venne sostituito con il generale Saletta154 al quale il Governo italiano diede il mandato di dichiarare e stabilire lo stato di guerra con l’Abissinia. Nel novembre 1887, un corpo di spedizione di circa diciassettemila uomini (compreso un gruppo indigeno) fu pronto in pieno assetto a Massaua, agli ordini del generale di San Marzano155, il quale iniziò subito le operazioni belliche. Dopo una lentissima e cauta avanzata, durata quattro mesi, il corpo italiano giunse a Saati dove cominciò un lavoro di fortificazione. Quando tra il marzo e l’aprile 1888 l’esercito del Negus Yohannes giunse sul posto vi trovò un fortilizio praticamente inespugnabile per le truppe abissine, prive di cannoni e di macchine da assedio. Dopo una prima inutile scaramuccia, il Negus, chiese di intavolare delle trattative di pace che portarono alla salvezza del suo esercito (quello italiano rimase fermo all’interno delle fortificazioni) e culminarono con il termine di quel breve periodo di guerra. L’occupazione di Saati rimase l’unico ricordo del conflitto ed il grosso delle truppe italiane venne fatto rientrare in patria.156
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Nel 1888 le relazioni fra l’imperatore Yohannes ed i suoi vassalli si trovarono al minimo storico; sospettoso delle intenzioni di Menelik non aveva accettato la sua offerta di assistenza durante la campagna di Saati ma lo aveva anzi inviato a Ambachara157, a sud di Gondar, ad osservare i movimenti dei mahdisti sudanesi, contro i quali l’Etiopia era in perenne conflitto. Menelik arrivò tardi per salvare Gondar da un ennesimo attacco mahdista ma sulla via del ritorno si alleò con altri tre Negus per cospirare contro Yohannes. L’imperatore, venuto a conoscenza del tradimento, decise di organizzare immediatamente una devastante campagna punitiva contro il Gojjam patria di uno dei quattro rivoltosi. In seguito si accinse a preparare una identica campagna contro lo Scioa di Menelik il quale si rivolse alla popolazione esortandola a difendere il loro territorio e chiese una più stretta collaborazione all’Italia. L’Etiopia era sull’orlo di una sanguinosissima guerra civile quando l’imperatore cambiò idea, pensando di risolvere per prima la questione mahdista, che riteneva più complicata, nel sud del paese ed in seguito la sua attenzione si sarebbe rivolta a Menelik ed agli italiani. Il destino, però, aveva deciso diversamente poiché il 9 marzo 1889, durante la battaglia di Metemma, Yohannes venne ferito ed il giorno dopo morì.158
154 Saletta, Tancredi. - Generale (Torino 1843 – Roma 1909). Dopo aver partecipato all'assedio di Gaeta (1860-61) e alla campagna del 1866, comandò il corpo di spedizione che occupò Massaua (1885). Tornato in patria (1888), nel 1896 fu nominato capo di Stato Maggiore dell'esercito e nel 1900 senatore. 155 Asinari di San Marzano, Alessandro. - Ufficiale (Torino 1830 – Roma 1906), partecipò alle campagne del 1848-49, di Crimea (1855-56), del '59 e del '66 e alla presa di Roma; promosso generale nel 1877, ebbe (1887-88) il comando delle truppe in Africa. Deputato (1872-76) e poi senatore (1894), fu ministro della Guerra nei gabinetti Rudinì (dic. 1897-giugno 1898) e Pelloux (giugno 1898-maggio 1899). 156 E. Cagnassi, I nostri errori – Tredici anni in Eritrea – Note storiche e considerazioni, F. Casanova, Torino, 1898, Pag. 3746.
157 Secondo la storiografia italiana (Scovazzi, op. cit. pag. 114) Menelik, seguendo i suoi interessi, non unì le sue forze a quelle dell’imperatore con pretesti vari ma al contrario concordò un piano con Pietro Antonelli che avrebbe dovuto portare reciproci vantaggi. 158 B. Zewde, A History of modern Ethiopia 1855-1974, Addis Ababa Un. Press, Addis Ababa, 1991, Pag 59.
48 Dopo avere brevemente rivaleggiato con Ras Mangascià159, e dopo avere ricevuto il sostegno dell’Italia (entrambi avevano richiesto l’appoggio italiano), il 22 marzo 1889 Menelik divenne Negus Neghesti d’Etiopia. Divenuto imperatore con il nome di Menelik II160, il nuovo sovrano d’Etiopia, il 2 maggio 1889, firmò con l’Italia un trattato di amicizia e commercio161, inteso a definire una volta per tutte i confini tra l’impero etiopico ed i possedimenti italiani in Africa orientale. Da parte italiana l’idea del trattato era già chiara fin dal settembre 1888 quando lo stesso presidente del Consiglio Francesco Crispi162, il giorno 12, scrisse una lettera a Menelik preannunciandogli una nuova missione di Antonelli:
“Il conte Antonelli in qualità di inviato di S.M. il Re d’Italia […] le presenterà questa mia lettera ed informerà Vostra Maestà di tutto quello che si riferisce all’amicizia che il governo italiano nutre verso il regno di Scioa.
E’ bene che fin d’ora Vostra Maestà sappia le nostre intenzioni sul possedimento di Massaua ed a questo scopo Le sarà presentato un trattato di amicizia e commercio da garantire alla Maestà Vostra la pace nel suo regno ed i mezzi per rendersi sempre più forte e grande.
I territori che il mio re domanda non sono allo scopo di fare annessioni ma bensì per avere un confine ben tracciato con l’Abissinia e per mantenere i nostri soldati in luoghi meno caldi di Massaua.”163
La bozza del trattato venne presentata a Menelik il 20 febbraio 1889 il quale, pur avendone un’impressione nel complesso positiva, non poteva non soffermarsi sul fatto che in quel momento si stesse parlando di territori appartenenti ad altrui. Inoltre il re scioano aveva problemi ben più gravi dato che il conflitto con Yohannes era ormai ad un passo e Menelik
159 Mangascià . - Ras del Tigrè (m. Ancober 1907). Figlio adulterino del negus Yohannes IV d'Etiopia, fu privato del trono a opera di Menelik (1889). M. tentò di opporsi alla penetrazione italiana nel Tigrè ma, battuto da Baratieri a Coatif e Senafé (1895), fu costretto a riavvicinarsi al negus, insieme al quale sconfisse gli Italiani ad Adua (1896). Arrestato (1899) per essersi più volte ribellato a Menelik, morì in prigione.
160 La qualifica di "secondo" aggiunta al suo nome si spiega con il fatto che il primo Menelik, per la tradizione etiopica, è il leggendario figlio di re Salomone e della regina di Saba al quale tutti i regnanti di Etiopia si riallacciano, come appartenenti a un unico lignaggio. 161 V. Documento n. 14.
162 Crispi, Francesco. - Uomo politico italiano (Ribera, Agrigento, 1818 - Napoli 1901). Avvocato e patriota, ebbe un ruolo decisivo nel convincere Garibaldi a compiere la spedizione dei Mille. Proclamata l'Unità d'Italia, abbandonò le posizioni repubblicane, aderendo alla monarchia. Divenuto presidente del Consiglio (1887-91), fu fautore di una politica 'forte' all'interno e all'estero, sostenne la Triplice Alleanza (con Germania e Austria) in chiave antifrancese e promosse l'espansione coloniale. Tornò al governo nel 1893 e fronteggiò con durezza la protesta sociale (Fasci siciliani, moti in Lunigiana). Fu travolto dal naufragio delle ambizioni coloniali nella sconfitta di Adua (1896).
163 T. Scovazzi, Assab, Massaua, Uccialli, Adua. Gli strumenti giuridici del primo colonialismo italiano, Giappicchelli, Torino, 1996, Pag. 116.
temeva che avrebbe potuto contare solo sulle proprie forze nel prossimo scontro con l’imperatore e dubitava che gli italiani si sarebbero mossi tempestivamente per occupare Asmara ed il Tigrè164. Se Menelik poteva avere dubbi sulle mosse italiane in suo favore, in Italia la situazione non poteva certo dirsi sotto stretto controllo; già dagli ultimi mesi del 1888 si andavano delineando due filoni di pensiero riguardo alla politica da attuare nei rapporti con l’impero etiopico. Una prima visione, cosiddetta “scioana”, che vedeva come principali sostenitori l’ispiratore Antonelli, Crispi, il Re Umberto e gli uomini del nascente Ufficio coloniale, mirava ad un’alleanza con Menelik contro Yohannes, sperando di ottenere alcuni territori settentrionali e di poter realizzare, nei tempi opportuni ed in accordo con il nuovo imperatore, la penetrazione commerciale e politica in tutta l’Abissinia. La seconda visione, definita “tigrina”, sostenuta dal generale Baldissera165, dai comandi militari e dal Ministero della guerra, era invece contraria a qualsiasi azione diplomatica e confidava di annettere gli stessi territori tramite una politica che fomentasse le discordie interne tra i vari ras della zona, indebolendo così il fronte tigrino ed intervenendo direttamente una volta che i vari contendenti si fossero così logorati. Il tempo avrebbe dimostrato che, a parte le riflessioni di ordine morale, entrambe le politiche si sarebbero dimostrate errate, poiché non si tenne conto del nazionalismo etiopico il quale, nonostante le rivalità, nei momenti critici sarebbe riemerso. Infatti nonostante in alcuni casi le due opzioni venissero utilizzate contemporaneamente, l’unico risultato ottenuto fu quello di riunire il fronte avverso.166
Una volta diventato imperatore, Menelik affrontò la questione del trattato con l’Italia e questa volta il suo sguardo sul testo fu tutt’altro che superficiale: ogni articolo venne sezionato e riscritto in modo che l’imperatore non perdesse nessuna delle sue prerogative. Quello che più preoccupava Menelik era la questione dei confini e dei territori che l’Italia richiedeva come compenso per l’aiuto fornito contro Yohannes; da questo punto di vista l’imperatore fu irremovibile e pur concedendo agli italiani il primo gradino per salire verso l’altopiano etiopico, egli non intese donare un metro in più del necessario. Respinse infatti tutte le proposte di confine elaborate dal Ministero della guerra e fissò come località di confine Arafali, Halai, Saganeiti, Asmara, Adi Nefas ed Adi Yohannes. Curiosamente restò invariato l’art. 17, quello riguardanti le relazioni internazionali e che avrebbe portato alla rottura anche se, a dire il vero, Menelik avrebbe voluto toglierlo completamente dato che il sovrano etiopico non vedeva chi altri potesse aiutarlo, in caso di trattative con altri paesi europei, se non il governo italiano. L’articolo venne mantenuto grazie ad un consiglio di Antonelli il quale sostenne che l’Etiopia avrebbe avuto tutto l’interesse ad avere in Europa, come rappresentante, un re amico. Ma veniamo ora ad analizzare il punto che creerà fin da subito così gravi dissidi tra Italia ed Etiopia da sfociare dopo pochi anni in guerra aperta; nella versione amarica del trattato l’articolo cita testualmente: «Per qualsiasi necessità di cui abbia bisogno presso i sovrani d’Europa, all’imperatore d’Etiopia sarà possibile corrispondere
164 Asmara sarà occupata dagli italiani il 3 agosto 1889
165 Baldissera, Antonio. - Generale (Padova 1838 – Firenze 1917). Militando nelle file dell'esercito austriaco, si distinse nelle campagne del 1859 e del 1866. Entrato a far parte dell'esercito italiano nel 1866, fu nominato ten. generale nel 1892 e, destinato in Africa (dove aveva già partecipato alle campagne del 1887-89), assunse (1896) i poteri civili e militari dell'Eritrea dopo Adua. Nella colonia esplicò opera costruttiva di governatore e di comandante. Senatore del Regno dal 1904.
con l’aiuto del governo italiano». La parola chiave è “sarà possibile” (amarico: icciollaccioàl) che nel testo italiano viene tradotta con “consente” (è obbligato) a trattare i suoi affari con l’assistenza dell’Italia. Peraltro nella versione italiana non sono citati solo i sovrani europei ma tutte le potenze ed i governi del mondo.167
In pratica, quando in seguito Crispi andò a notificare alle altre potenze europee l’art. 17 del trattato di Uccialli, in virtù dell’art. 34 dell’atto generale di Berlino, l’Etiopia divenne ufficialmente un protettorato italiano. Già all’epoca si levarono voci contro l’imbroglio ai danni dello stato etiopico e A. del Boca, nella sua opera più importante, esamina con dovizia di particolari tutti gli attori che parteciparono alla redazione ed alla firma del trattato (Menelik, Maconnen, Antonelli, Negussié e Crispi) traendone le opportune conclusioni: se escludiamo Menelik e Maconnen in quanto parte danneggiata e l’interprete Negussié il quale, conoscendo molto meglio il francese dell’italiano non avrebbe certo potuto afferrare le differenze filologiche, rimangono come imputati Antonelli e Crispi. Il primo sembra non aver concordato direttamente la truffa, ma la faciloneria e le negligenze commesse durante la stesura del trattato, unite ad un’ambizione infinita che gli creerà nemici sia in Etiopia che in Italia, non lo assolvono da ogni colpa. Chi invece può essere definito senza ombra di dubbio il vero artefice della truffa ai danni dell’Etiopia è Francesco Crispi, anche se, secondo Carlo Giglio (L’articolo XVII del trattato di Uccialli, 1967) l’imbroglio non si verifica il 2 maggio 1889 con la firma del trattato ma l’11 ottobre, quando l’art. 17 viene notificato alle potenze firmatarie dell’atto di Berlino. Infatti il già citato art. 34 dell’Atto non parlava di territori all’interno del continente africano ma solamente delle coste ed è qui che Crispi è conscio di poter barare dato che ritiene che le altre potenze non avrebbero certamente rifiutato di riconoscere il protettorato italiano sull’Etiopia visto che si erano già prese la loro fetta d’Africa con metodi più o meno ortodossi. Quindi è in quel momento che si consuma la truffa anche perché, senza la notificazione non sarebbero sorti dissidi o per lo meno sarebbero stati facilmente appianabili senza che l’Italia avesse il problema di salvare la faccia di fronte a tutta l’Europa.168
Ciò nonostante, Antonelli al suo ritorno in patria, accompagnando Maconnen ed una quarantina di dignitari etiopici venuti a ratificare il trattato, venne pesantemente messo sotto accusa per aver fatto troppe concessioni a Menelik ed aver stravolto il trattato ministeriale. Gli si rimproverò soprattutto di aver accettato il confine appena al ciglio dell’altopiano etiopico che, secondo il Comando superiore di Massaua, era militarmente indifendibile. Dato che era impossibile pensare di proporre a Maconnen un trattato completamente nuovo, venne redatta una convenzione addizionale in 11 articoli169, centrata principalmente sulla modifica dei confini. Questa nuova convenzione prevedeva di fissare i suddetti confini ai territori occupati dagli italiani fino a quel momento. Pressato da Antonelli ed in seguito a pesanti discussioni, Maconnen firmò la convenzione pensando che gli italiani fossero giunti solo ad Asmara quando invece il generale Baldissera stava già occupando tutto l’Hamasèn, l’Acchele Guzai, il
167 A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale – Dall’unità alla marcia su Roma, Laterza, Bari, 1976, Pag. 347-49.
168 Ibidem, Pag. 352-53.
169 V. Documento n. 15.
Barca ed il Seraè fino a raggiungere la frontiera costituita dai fiumi Mareb-Belesa-Muna. Dopo queste truffaldine annessioni l’Eritrea aveva quindi raggiunto i suoi confini definitivi (anche se Menelik li contesterà) e Crispi poteva quindi dirsi soddisfatto dei risultati ottenuti.170
Il 1° gennaio 1890 con il decreto reale n. 6592171 fu istituita la Colonia Eritrea, raggruppante tutti i possedimenti italiani sul Mar Rosso con un’estensione di 110.000 km2 ed una popolazione di circa 200.000 abitanti. Il regime della colonia divenne da militare a misto (civile e militare) e venne affidato ad un governatore dipendente dai ministeri degli Esteri, della Guerra e della Marina, mostrando così all’opinione pubblica italiana come i tempi delle costose operazioni militari fossero definitivamente tramontati e che ormai bisognasse parlare di sfruttamento della colonia alimentando il commercio e spedendovi coloni. Ma le contraddizioni del nuovo regime non sfuggirono alla penna di E. Scarfoglio172, pur acceso colonialista, che le criticò severamente già il 5 gennaio 1890:
“Il primo difetto, e il più grosso, dell’assetto che dà alla colonia il decreto reale, è questo: che si è bensì costituito un governo civile, ma non si è abolito il governo militare. Se si reputano ancora necessarie, alla sicurezza della colonia, tante forze militari da richiedere il comando di un generale, che bisogno v’era di aggiungergli un corteo di proconsoli civili? […] Una colonia di carattere specialmente militare non può fare che la guerra. L’avere aggiunto tre consiglieri civili al governo della colonia, non può certo mutarne l’indirizzo. […] L’accentramento in Massaua di tanti poteri militari, giuridici, fiscali, didattici, tecnici e agricoli ci pare un non senso. Considerare Massaua come una prefettura, e munirla di tre prefetti e d’un generale di brigata è, per noi, un non senso. Costoro prenderanno delle febbri, sporcheranno della carta, seccheranno il mondo, e non concluderanno nulla.”173
170 A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale – Dall’unità alla marcia su Roma, Laterza, Bari, 1976, Pag. 354-56.
171 V. Documento n. 16.
172 Scarfòglio, Edoardo. - Scrittore e giornalista (Paganica 1860 - Napoli 1917); fece gli studî di lettere a Roma, dove cominciò a collaborare al Capitan Fracassa con scritti di critica e polemica letteraria, legandosi di amicizia con G. D'Annunzio, C. Pascarella, C. De Titta, G. Salvadori, e con Matilde Serao, che sposò nel 1885. Il meglio di quelle prose fu raccolto nel Libro di Don Chisciotte (1885), che, con le novelle di Il processo di Frine (1884), ambientate in un Abruzzo selvaggio e "primitivo", gli diede fama di scrittore robusto e polemista scintillante. Con la Serao passò alla Tribuna (i suoi articoli sono raccolti nel vol. In Levante e a traverso i Balkani: note di viaggio, 1890) e diede vita al Corriere di Roma (188687) e quindi al Corriere di Napoli (1888), che subito rivaleggiò con la migliore stampa nazionale; nel 1891 ne uscì per fondare, sempre a Napoli e con la Serao, Il Mattino, che diresse sino alla morte. Fu sostenitore della politica africana di F. Crispi (la sua intensa attività giornalistica di quel periodo è rispecchiata nei volumi Le nostre cose in Africa, 1895; Itinerario verso i paesi d'Etiopia, 1895-96; Il cristiano errante, 1897, frutto anche di viaggi), ma i rovesci del 1896, le accuse contro di lui e la politica "domestica" dell'Italia dopo il 1898 lo portarono a un amaro scetticismo. Nel 1914 parteggiò per la Triplice Alleanza, temendo un consolidamento dell'egemonia anglo-francese nel Mediterraneo.
173 A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale – Dall’unità alla marcia su Roma, Laterza, Bari, 1976, Pag. 359-60.
In effetti la colonia rimarrà a lungo una testa di ponte per nuove conquiste ed il bilancio militare assorbirà la maggior parte dei fondi destinati al nuovo territorio. Peraltro Crispi non sottopose quasi mai i suoi atti di politica coloniale né alla preventiva autorizzazione né alle approvazioni formali del Parlamento italiano seguendo una sua curiosa teoria riguardo ad una pretesa extrastatutarietà del territorio coloniale, aggirando quindi le disposizioni dell’art. 5 dello Statuto che prevedeva l’assenso del Parlamento «per trattati che importassero un onere alle Finanze, o variazioni al territorio dello Stato». A riguardo ascoltiamo le parole del Presidente del Consiglio in un discorso alla Camera poco dopo l’istituzione della Colonia Eritrea:
“Sono le colonie territorio dello Stato? Niente affatto, sono dipendenze dello Stato, non ne fanno parte integrante; non sono nello Stato, ma sotto il dominio dello Stato. Quando l’articolo 5 parla di territorio dello Stato, parla dello Stato nazionale, parla dello Stato che impera, parla dell’Italia.”174
La questione non passò comunque sotto silenzio, e per due giorni vi fu un aspro dibattito alla Camera sulla presunta violazione dell’art. 5 dello statuto e sulle condizioni generali della colonia. Il deputato di estrema sinistra175 Luigi Ferrari176 presentò una mozione nella quale invitava il Governo a sottoporre al Parlamento il regio decreto sulla costituzione della Colonia Eritrea ma venne respinta. A questo punto si riaprì il dibattito sulle possibilità che la nuova colonia potesse offrire al paese e questa volta non si discusse più su note di viaggio di avventurieri, esploratori e commercianti ma su testimonianze dirette di deputati che
174 A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale – Dall’unità alla marcia su Roma, Laterza, Bari, 1976, Pag. 360-61.
175 Naturalmente per estrema sinistra intendiamo quella storica, cioè formata da uomini con ideali più estremi come gli anarchici od i repubblicani (all’epoca considerati di idee estremiste), pur lavorando nel rispetto delle regole comuni. Da non confondersi quindi con le correnti estremiste degli ultimi 50 anni
176 Ferrari, Luigi. – Uomo politico (Rimini 1849 – 1895) Alle elezioni politiche del maggio 1880 il F. sostituì nel collegio di Rimini Agostino Bertani che, seppure indeciso fino all'ultimo se restare o rinunciare, lo raccomandò ai suoi elettori. Il F., eletto anche con i voti degli internazionalisti e dei repubblicani, sedette in Parlamento negli scranni dell'Estrema Sinistra. Da molti ritenuto un repubblicano autentico, egli sottolineò, davanti, ai "funesti dissidii" della Sinistra, di stare al di sopra delle parti. Nelle vicende più propriamente politiche si distinse per l'opposizione alla politica coloniale chiedendo nel 1887, e a causa del previsto estendersi dell'azione in Africa, che tale azione fosse posta sotto il controllo del Parlamento. In linea di principio non era comunque contrario ad una politica coloniale tanto che sempre nel 1887 si pronunciò in favore - anche per ragioni di prestigio - del mantenimento della stazione militare in Massaua. Riteneva poi che una politica coloniale potesse essere intrapresa solamente da una nazione forte e sana per non distogliere le risorse economiche, finanziarie e morali dalla costruzione dello Stato. Durante il governo Rudinì fece parte di una commissione reale d'inchiesta sulla colonia Eritrea, istituita dal presidente del Consiglio dei ministri; non volle rendere pubblico il suo dissenso dalla relazione finale. Il F. venne ucciso a Rimini il 10 giugno del 1895 durante un diverbio notturno con un gruppo di giovani.
53 visitarono direttamente l’Eritrea. Personaggi come Sidney Sonnino177 definirono l’Eritrea come una terra abbondante, buona, e con un futuro roseo davanti a sé, a patto che ci si mettesse al lavoro con metodo e costanza; Leopoldo Franchetti178 considerò le difficoltà che si sarebbero poste per dei coloni in Africa ma sostenne che attraverso una giusta concessione di terre ai contadini poveri si sarebbero potuti ottenere buoni risultati; infine Rocco de Zerbi179, avendo delle perplessità sulla fertilità della terra eritrea, considerò con miglior favore un avvenire commerciale per Massaua soprattutto se vista come sbocco del Sudan meridionale più che dell’Abissinia.180
In conclusione Crispi credette di avere vinto la sua battaglia coloniale e di avere la possibilità di detenere il potere per lungo tempo. Ma Menelik la pensava diversamente ed il futuro avrebbe riservato sorprese non molto piacevoli per l’Italia, ma di questo parleremo più approfonditamente nel prossimo capitolo.
177 Sonnino, Sidney Costantino, barone. - Uomo politico italiano (Pisa 1847 – Roma 1922). Deputato della destra, ministro delle Finanze e del Tesoro, risanò il bilancio statale. Fondatore della rivista Rassegna settimanale (1878-82), nel 1880 fu eletto deputato e si schierò con la destra moderata. Dopo aver guidato l'opposizione liberal-conservatrice ai governi presieduti da G. Zanardelli (1901-03) e G. Giolitti (1903-05), fu presidente del Consiglio per due brevi periodi (febbr. - maggio 1906; dic. 1909 - marzo 1910). Ministro degli Esteri dall'ott. 1914, dopo aver inutilmente negoziato con l'Austria-Ungheria, in base all'art. 7 della Triplice Alleanza, per ottenere compensi nelle terre irredente, portò l'Italia in guerra a fianco dell'Intesa con la firma del Patto di Londra (26 apr. 1915): con tale accordo S. mirò a completare il processo di unificazione dell'Italia, garantendole la sicurezza strategica, a nord come nell'Adriatico, mentre con una politica di moderazione verso il Mediterraneo orientale puntò a mantenervi l'equilibrio con le altre grandi potenze. Lasciato il ministero degli Esteri con la caduta del gabinetto Orlando (giugno 1919), si oppose nello stesso anno all'introduzione del sistema elettorale proporzionale, ritirandosi poi dalla vita politica, nonostante nel 1920 fosse stato nominato senatore.
178 De Zerbi, Rocco. - Giornalista e uomo politico italiano (Reggio di Calabria 1843 – Roma 1894). Dopo aver preso parte alle campagne del 1860-61 e del 1866, fondò in Napoli Il Piccolo (1868), quotidiano di tendenza moderata ma di tono violento, che diresse fino al 1888. Vivace deputato di destra dal 1874 alla morte, oratore brillante, scrittore sovrabbondante, polemista pronto a disputare di tutto (famosa la sua polemica col Carducci, su Tibullo), scrisse anche un romanzo (L'avvelenatrice, 1884) e Il mio romanzo: confessioni e documenti (1884).
179 Franchetti, Leopoldo. - Pubblicista e uomo politico italiano (Firenze 1847 – Roma 1917); propugnò, insieme con S. Sonnino, lo studio e la soluzione dei concreti problemi economici, sociali e politici della nuova Italia, contribuendovi con inchieste personali (come quelle che diedero luogo a Condizioni economiche e amministrative delle Province napoletane, 1875, e La Sicilia nel 1876, 1877, compiuta insieme col Sonnino e di fondamentale importanza per l'impostazione del problema del Mezzogiorno) e con la Rassegna settimanale (1878-1882), di tendenza conservatrice-illuminata, che riuscì rivista politica assai pregevole e influente (tra i collaboratori: S. Sonnino, P. Villari, ecc.). Pioniere di una razionale attività coloniale, compì una missione in Libia (La Missione Franchetti in Tripolitania, 1914). Deputato dalla 15a alla 22a legislatura (1882-1909), fu poi nominato senatore.
180 A. Del Boca, Gli italiani in Africa orientale – Dall’unità alla marcia su Roma, Laterza, Bari, 1976, Pag. 362.