FORZA ALLA LEGGE - STUDI SUI CARABINIERI E POLIZIE ARMATE

Direzione

Virgilio IlarI

Società Italiana di Storia Militare

Comitato scientifico

Ugo BarlozzettI

Società Italiana di Storia Militare

Jeremy Martin Black University of Exeter

Gastone BreccIa Università degli Studi di Pavia

Giovanni BrIzzI Emerito Università di Bologna

Flavio carBone

Società Italiana di Storia Militare

Simonetta contI

Università della Campania L. Vanvitelli

Piero crocIanI

Società Italiana di Storia Militare

Giuseppe Della torre

Università degli Studi di Siena

Piero Del negro

Università di Padova

Giuseppe De VergottInI Emerito Università di Bologna

Mariano gaBrIele

Società Italiana di Storia Militare

Gregory Hanlon Dalhousie University

John Brewster HattenDorf U.S. Naval War College

Anna Maria IsastIa

Associazione Nazionale Reduci

Carlo Jean

Istituto di Studi Strategici

Vincenzo Pezzolet

Arma dei Carabinieri

Donato tamBlé

Soprintendente archivistico

Germana taPPero merlo

Società Italiana di Storia Militare

FVCINADI MARTE

COLLANADELLASOCIETÀ ITALIANADI STORIAMILITARE

L’expérience historique a favorisé la prise de conscience théorique. La raison, effectivement, ne s’exerce pas dans le vide, elle travaille toujours sur une matière, mais Clausewitz distingue, sans les opposer, la conceptualisation et le raisonnement d’une part, l’observation historique de l’autre.

R.aron, Penser la guerre, 1976, I, p. 456

Fondata nel 1984 da Raimondo Luraghi, la Società Italiana di Storia Militare (SISM) promuove la storia critica della sicurezza e dei conflitti con particolare riguardo ai fattori militari e alla loro interazione con le scienze filosofiche, giuridiche, politiche, economiche, sociali, geografiche, cognitive, visive e letterarie. La collana Fvcina di Marte, dal titolo di una raccolta di trattati militari italiani pubblicata a Venezia nel 1641, affianca la serie dei Quaderni SISM, ricerche collettive a carattere monografico su temi ignorati otrascuratiinItalia.Includemonografieindividualiecollettivediargomento storico-militare proposte dai soci SISM e accettate dal consiglio scientifico.

LITERARY PROPERTY

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© 2023 Società Italiana di Storia Militare

Nadir Media Srl

ISBN: 9788894698459

Sulla copertina:

Bottone della gendarmeria con scritta “Liberté Ordre Public” (1848)

Musée Carnevalet – Histoire de Paris, Collections Online

Graphic design and realization:Antonio Nacca

Print: Nadir Media - Roma • info@nadirmedia.it

09 Prefazione di VIrgIlIo IlarI

15 Introduzione di flaVIo carBone

19 « Soldats de la loi » aux armées. Les prévôtés de la Gendarmerie nationale, des origines au début du XXIe siècle, par Jean-noël luc

49 From ‘Jack of all Trade’ to ‘Master of Everything’: Changing Role of Colonial Police in Bengal, 1750s to 1920s, byaryama gHosH

83 L’exercice de la police en tenue civile : Débats et pratiques au sein de la gendarmerie belge (19e -20e siècles), par Jonas camPIon

109 L’Arma dei Carabinieri e l’intelligence: una tradizione secolare, un iter storico dal 1814 al 1950, di marIa gaBrIella PasqualInI

141 Police reform and the military in Rio de Janeiro (1831 - 1858), byanDré luIs zullI - gonçalo rocHa gonçalVes

165 Polizia e politica. Legge e ordine nel nord-ovest indiano fra Otto e Novecento, di gIanluca PastorI

197 On the front line: the police, police officers and public health in São Paulo state at the end of the 19th century, by anDré rosemBerg

225 Le rôle de gendarmes dans l’avènement du renseignement au GrandDuché de Luxembourg (1913-1961), par géralD arBoIt

263 Gendarmes français et auxiliaires. Acteurs et témoins de la sortie de la Grande Guerre en Macédoine, Cilicie et Syrie-Liban (1918-1925), par romaIn Pécout

283 Le Forze dell’Ordine tra il 1919 e il 1926. La sofferente stabilità dell’Arma dei Carabinieri Reali di fronte alle trasformazioni dei corpi di Pubblica Sicurezza, di flaVIo carBone

329 Ritorno alla normalità? La Legione CC.RR. di Alessandria e la ricostituzione di un apparato di polizia nel contesto post bellico (maggio – dicembre 1945), di ferDInanDo angelettI

365 De l’école à la rue. Conceptions et pratiques de l’ordre public à la gendarmerie belge (1960 – 1991), par elIe teIcHer

391 Gendarmerie in Poland. Outline of history, dianDrzeJ mIsIuk -aleksanDra zaJac

413 The Establishment of the Mexican Guardia Nacional (2012-2019): A Gendarmerie Force for Crime Wars and the Fourth Transformation of Mexico,

by JoHn P. sullIVan - natHan P. Jones

Prefazione

di VIrgIlIo IlarI

Il titolo di questo volume, Forza alla legge, evoca un istituto d’antico regime, ossia l’appello del pubblico ufficiale agli astanti a prestargli “man forte”, specialmente per l’arresto di un malfattore1. Nel clima della Rivoluzione francese, che attribuiva la sovranità alla nazione e la fonte del diritto alla legge, «Force à la loi» divenne però nel 1791 la «devise»2, incisa sui bottoni dell’uni forme, della gendarmerie nationale, nuovo no me rivoluzionario assunto dall’antica Prévôté et Maréchaussée3, e recepita nel 1797 sui bottoni della gendarmeria cisalpina4, prima delle altre create in seguito nelle «Repubbliche sorelle»5 e poi nei due Regni napoleonici d’Italia e di Napoli. Istituzioni, insieme al code Napoléon e al sistema giudiziario e amministrativo, sopravvissute o imitate negli stati italiani della Restaurazione. Segno non tanto della vantata impar-

Bottone della gendarmerie nationale (32e Escadron /16e Légion).

Musée Carnevalet, Histoire de Paris, Collections online

1 «Tous les citoyens sont tenus … de donner force à la loi lorsqu’ils sont appelés en son nom» (Projet de déclaration des droits naturels, civils et politiques des hommes,Article Premier, xxx. Convention nationale, 1793). Ancor oggi il «rifiuto di prestare la propria opera in occasione di un tumulto» è passibile di arresto (art. 652 c. p.).

2 Il 22 aprile 2020 il Centre national d’entraînement des forces de gendarmerie (CNEFG), la cui insegna esibisce una tigre ruggente con artiglio minaccioso, ha adottato formalmente la devise «Pour que force reste à la loi».

3 PascalBrouIllet,«‘Lecorpsleplusutiledel’État’oucommentlamaréchausséeseprésentait à la fin de l’Ancien Régime», Société & Représentations, 2003/2, N° 16, pp. 39-51.

4 https://bottonibutton.forumfree.it/?t=76242472 (consultato il 26 marzo 2022). Sulle gendarmerie napoletana e cisalpino-italica del 1797-1815, v. V. Ilari, Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, 65, 2017, 1, pp. 211-274 e 2, pp. 219-275.

5 V. IlarI, P. crocIanI e c. PaolettI, Storia militare dell’Italia giacobina (1796-1801), Roma, USSME, 2000,

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 10

zialità6 e apoliticità7 dell’istituzione, quanto della sua utilità e adattabilità nei più vari e perfino opposti contesti politici, sociali e ideologici8 .

Proprio l’estrema diversità dei contesti temporali e socioculturali spiega perchélostudiocomparatoe/odiacronicodelleistituzioninazionalidiapplicazione (coercitiva) della legge è meno avanzato, e probabilmente molto più complesso di quello degli strumenti militari, dove il confronto avviene anzitutto sul campo di battaglia e in secondo luogo attraverso la pianificazione, che non può assolutamente prescindere da tipologie e modelli (anche se l’attrito socioculturale ne complica sempre, e in larga misura, la concreta applicazione).

La definizione Nato della «gendarmerie-type force (GTF)», approvata il 3 marzo 2022, recita: «an armed force established for enforcing the laws and that, on its national territory, permanently and primarily conducts its activities for the benefit of the civilian population»9. L’edizione inglese di wikipedia classifica come «gendarmerie», indipendentemente dal nome proprio, ogni «military force with law enforcement duties among the civilian population». Quindi non vi rientra la «military police (MP)»10, perché questa svolge il «law enforcement» e il mantenimento dell’ordine nei confronti dei membri delle forze armate e/o

6 Il 7 settembre 1805, durante la missione svolta a Milano per organizzare il «servizio politico» della gendarmeria reale italiana, l’ispettore generale della gendarmeria imperiale, generale di brigata Étienne Radet (1762-1825) indirizzava candidamente al navigato maresciallo Masséna, nuovo comandante dell’Armée d’Italie, delle «notes secrètes à brûler après lecture» (e ovviamente conservate da Masséna) in cui lo pregava di prendere la gendarmeria «sous sa prudente protection» e di difendere «cette magistrature armée», concepita come strumento di lotta sociale della borghesia produttiva contro le «caste» parassitarie dei «ricchi» aristocratici e dei «preti». Edouard GACHOT, Histoire militaire de Masséna: la troisième campagne d’Italie (1805-06), Paris, Plon-Nourrit, 1911, pp. 13-14 nota.

7 Antonio gramscI, Passato e presente,Torino, Einaudi, 19544, pp. 23-24 [«Esercito nazionale e apoliticità (Q. VIII)»]

8 «Force à la loi» figura anche, insieme al motto «ordre public», sul recto di una medaglia coniata nel 1831 sotto Luigi Filippo (comptoir des monnaies.com, p-66191) per celebrare il ripristino dell’ordine borghese sotto la monarchia liberale nata dalla rivolta parigina del luglio 1830 («les trois glorieuses» che innescarono i moti mazziniani della Savoia e delle Romagne e la prima insurrezione polacco-lituana e bielorussa). L’icona raffigura un guerriero greco (in exomis ed elmo), che impugna con la sinistra la bandiera “liberal-nazionale” adottata nel 1831-48 (ossia col puntale a forma di gallo, invece dell’aquila napoleonica) e con la destra, armata di glaive di giustizia, cinge le spalle di una donna velata, che reca le due tavole (‘mosaiche’) su cui è incisa la parola “lex”.

9 NATO Term: The Official NATO Terminology Database, Record 40669.AAP-06/15/39.

10 «Designated military forces with the responsibility and authorization for the enforcement of the law and maintaining order, as well as the provision of operational assistance through assigned doctrinal functions» (NATOTerm, Record 22140, approvata il 12/08/2019.AAP06/15).

della popolazione civile di un terrirorio soggetto ad amministrazione militare: anche se i compiti di polizia militare possono essere attribuiti ad una gendarmeria (come è il caso di quelle europee). Più netta, almeno in astratto, la differenza con la polizia, anche armata, e che consiste nello statuto militare, sia come arma o corpo specializzato dell’esercito, sia come forza armata autonoma. E per statuto militare non bastano la mera organizzazione gerarchica e le regole d’ingaggio; occorre anche la dipendenza,siapurenonesclusiva,dalministero della difesa. Elemento che ricorre anche nella dipendenza della Gendarmeria Europea (Eurogendfor) da un Comitato interministeriale di alto livello (Cimin) composto dai ministri degli esteri e della difesa dei sette paesi partecipanti (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda, Romania e Polonia)11

La definizione però non risolve i problemi di identità e funzioni. Scriveva dieci anni fa Derek Lutterbeck, esaminando in particolare i casi austriaco, belga, italiano, francese e spagnolo, che le “gendarmerie”, ossia le forze di polizia a ordinamento militare con doppia dipendenza dai dicasteri degli interni e della difesa, si trovano paradossalmente a doversi confrontare con una crescente espansione dei compiti, che però accentua la tendenza verso la smilitarizzazione

11 Istituita nel 2004 per coordinare le operazioni multinazionali di gendarmeria nelle missioni Eu, Nato e Osce. Il Cimin ha sede a Vicenza nella Caserma dei Carabinieri “Generale Chinotto). Michiel De Weger, The Potential of the European Gendarmerie Force, Netherlands Institut of International Relations, Clingendael, March 23009.Florian trauner, The Internal-External Security Nexus: More Coherence Under Lisbon?, EU Institute of Security Studies, Occasional Paper 89, 2011. GiovanniarcuDI & Michael smItH, «The European Gendarmerie Force: a solution in search of Problems?», European Security, 22, 2013, pp. 1-20. Igor gelarDo, La polizia (militare) europea: Eurogendfor compie 7 anni, ma in pochi la conoscono!,Adagio eBook, 2014. Lencka PoPraVka, «La force de gendarmerie européenne», Res Militaris, hors-série, Gendarmerie, novembre 2019, pp. 1-8. M. recHtIk, M. mareš, «Evropské četnickésíly», Politické Vedy.[online].Vol.23,2020,No.1,2020,pp.202-240.DanilocIamPInI & Michael DzIeDzIc, «Assessing the Results of Gendarmerie Type Forces in Peacekeeping and Stability Operations», Militaire Spectator, Jährgang 191, Nr 3, 2022, pp. 124-139.

o civilizzazione o perfino verso lo scioglimento, come nel caso austriaco e belga12. A ciò si aggiungono fenomeni di segno opposto, da un lato una crescente militarizzazione delle forze di polizia a statuto civile13, e dall’altro la tendenza, anticipata dagli studi del criminologo canadese Jean Paul Brodeur (1944-2010) sulla rivitalizzazione della «haute police» nella lotta contro la criminalità organizzata14, verso l’impiego crescente di misure di polizia predittiva e preventiva15 basate sulla statistica criminologica («evidence-based policing») e di indagine basate sulle tecniche di intelligence («intelligence-led policing»16) incluso l’im-

12 Derek lutterBeck, The Paradox of Gendarmeries: Between Expansion, Demilitarization or Dissolution, Geneva Centre for the Democratic Control of Armed Forces (DCAF), SSR Papers 8, 2013. V. pure Id., «The differentiation between internal and external security, and between police and military, has been a core principle of the modern nation state.», Policing International Order, PIR 30118 (ca 2014). 2014 BusH and DoDson, «Police Officers as Peace Officers Policing from a Peacemaking Perspective»

13 Nella sterminata bibliografia sul tema, citiamo ad es. M. easton & R. moelker, «Police and Military: two worlds apart? Current Challenges in the Process of Constabularisation of the Armed Forces and Militarisation of the Civilian Police», in easton et al. (Eds.). Blurring Military and Police Roles, Boom Juridische Uitgevers, Reeks Het groene gras, Den Haag, 2010. Radley Balko, Rise of the Warrior Cop The Militarization of America’s Police Force, New York, PublicAffairs, 2013. Tobias WInrIgHt, «The history of the warrior cop. Militarized policing», Christian Century, September 17, 2014, pp. 10-12. John lea, «From the criminalisation of war to the militarization of the crime control», in S. Walklate & R. mcgarry (Eds.), Criminology and War: Transgressing the borders, Abingdon, Routledge, 2015, pp. 198-207. Tyler Wall, « Ordinary Emergency Drones Police and Geographies of Legal Terror», School of Justice Studies, Antipode, 2016, pp. 1-18. Timothy tIetz jr., « Militarizing the Police and Creating the Police State», Peace Review, 28, 2016, 2, pp. 191-194.

14 Jean-Paul BroDeur, «High Policing and Low Policing: RemarksAbout the Policing of PoliticalActivities», Social Problems, 30, 1983, 5, pp. 503-520. Philippe Robert, « Jean Paul Brodeur.APhilosopher entre deux continents», Canadian Journal of Criminology and Criminal Justice, 53, 2011, Nr 3, pp. 311-324. Benoît DuPont, «The unique legacy of a cosmopolitan thinker.TributestoJean-PaulBrodeur»ePeterK.mannIng,«Jean-PaulBrodeuronHighand Low Policing », Champ Pénal/Penal Field, 9, 2012.

15 Emilio guIDa, «Predictive analysis. L’approccio logico-investigativo nei modelli predittivi e il ruolo dell’ampiezza geografica nelle dinamiche regionali», 2018, academia.edu.

16 Marilyn Peterson, Intelligence-Led Policing: The New Intelligence Architecture, US Department of Justice, Office of Justice Programs, Bureau of JusticeAssistance, NCI 210681, September 2005. Zakir gül, Ahmet kuHle, «Intelligence-Led Policing How the Use of Crime Intelligence Analysis translate in to the Decision-Making», International Journal of Security and Terrorism, Uluslararası Güvenlik ve Terörizm Dergisi, 4, 2013, 1, pp. 21-40. Stefano BonIno, « Intelligence e polizia sotto Copertura in Gran Bretagna: il caso della Special Demonstration Squad e della National Public Order Intelligence Unit», 2019; ID., Sicurezza e intelligence nel Regno Unito del Novecento, Prefazione di Mario calIgIurI, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2020.

piego di agenti provocatori. Temi, peraltro, non certo privi di precedenti17

I temi e problemi che ho accennato sono ormai oggetto di una letteratura specialistica internazionale imponente, in cui gli approcci criminologici, giuridici e pratici si combinano in misura crescente con quelli storiografici, che da almeno trent’anni – anche se non ancora pienamente in Italia – hanno superato la fase meramente identitaria e acritica delle storie di corpo.Anzitutto producendo vere storie sociali e istituzionali di specifici corpi di polizia armata – penso ad esempio alle ottime monografie sulla British South African Police (BSAP), la cui possibile influenza sulla nostra Polizia Africa Italiana (PAI) meriterebbe forse di essere indagata. In secondo luogo cogliendo analogie e condizionamenti reciproci tra le polizie nazionali per contesti cronologici e geografici significativi: ad esempio nell’Europa delle guerre della Rivoluzione e dell’Impero francese, in quella dell’Età Vittoriana e Edoardiana con la nascita della polizia scientifica e criminologica, o postbellica della prima e della seconda guerra mondiale, dove i moti sociali e rivoluzionari, non più affrontabili col sistema prebellico del manforte attinto dalla truppa di leva, provocarono la formazione di forze antisommossa paramilitari (‘Black and Tan’, Palestine Police, Guardia de Seguridad yAsalto, Regia Guardia di P. S.18, Battaglioni mobili CCRR, Gendarmerie Mobile, Sicherheitspolizeinel primo, e ancora CRS e Reparti Celeri e autocarrati di P. S., e di nuovo Battaglioni Mobili CC nel secondo dopoguerra). Ma anche una storia delle polizie coloniali europee nell’Africa dello ‘Scramble’ o nella frammentazione dell’Impero Ottomano (dai Balcani al Medio Oriente), in India o nelle concessioni cinesi.

Temi che la Società Italiana di Storia Militare aveva cominciato a saggiare incidentalmente fin dai ‘Quaderni’ del 2018 (Over There in Italy) e 2019 (Italy on the Rimland), ripresi poi nel 2021 col fascicolo speciale NAM di storia dell’intelligence militare curato da GéraldArboit e con un articolo sul fascicolo N. 12.19

Il volume, che ora pubblichiamo come N. 14 della Collana SISM “Fvcina di Marte”, è il primo prodotto del Comitato di studi di storia delle Forze dell’Or-

17 V. ad es. Jacqueline ross, University of Illinois College of Law, Tavola rotonda all’Università Statale di Milano su Storia comparata delle indagini sotto copertura negli Stati uniti e in Franca nell’Ottocento, 28 maggio 2018, presieduta da LivioAntonielli.

18 Raffaele camPosano (cur.), Il Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza (19191923), Ufficio Storico della Polizia di Stato, Quaderno 2020.

19 Javier cerVera gIl, «De la calle a la trinchera. El frente como escenario de lealtad y compromiso de la Guardia Civil en la Guerra Civil Española», Nuova Antologia Militare, 3, 2022, N. 12, pp. 269-311.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

dine formalmente costituito nel marzo 2023 nell’ambito del Consiglio direttivo della Sism e presieduto dal generale Vincenzo Pezzolet, con Maria Gabriella Pasqualini e Piero Crociani vicepresidenti e Flavio Carbone segretario. Nonché ideatore e curatore di questo volume internazionale, nato da una call for papers pubblicata il 4 gennaio 2022 su Calenda e academia.edu.

A questo volume faremo seguire, a partire dal prossimo anno, un quinto fascicolo ordinario annuale di storia militare delle polizie, curato dal Comitato, con l’auspicio che serva da modello anche per analoghe iniziative di storia specialistica. Scopo del fascicolo di storia delle polizie militari è coordinare, promuovere e internazionalizzare la ricerca italiana, tanto accademica quanto indipendente, e promuovere la storia sociale, giuridica, istituzionale e militare comparata tanto delle polizie quanto delle teorie generali che hanno presieduto e presiedono alle loro molteplici attività.

Introduzione

di flaVIo carBone

Questo volume ha una lontana origine legata allo sforzo della Società Italiana di Storia Militare che, da tempo, sta promuovendo la conoscenza della storia militare, abbracciando contributi che partono dall’età antica sino a quella contemporanea. Si tratta di un grande impegno per una associazione che, se mi posso permettere in qualità di membro del consiglio direttivo, raggiunge risultati importanti e costantemente grazie all’impegno del Presidente, il professor Virgilio Ilari.

Voglio ricordare in questa sede che la Società Italiana di Storia Militare fu fondata nel lontanissimo 1984 (ci apprestiamo a celebrare i quarant’anni) sotto la guida e l’impulso di un grande storico militare italiano, Raimondo Luraghi, e sin dai suoi esordi ha promosso la storia critica della sicurezza e dei conflitti, prestando “attenzione ai fattori militari ma soprattutto alla loro interazione con le scienze filosofiche, giuridiche, politiche, economiche, sociali, geografiche, cognitive, visive e letterarie”.

Dal 2020, con attenta determinazione, infatti è stata lanciata sul web la NAM

– Nuova Antologia Militare, una rivista fatta e diffusa attraverso i canali digitali ed offerta in Open Access, liberamente consultabile e scaricabile.

Si tratta di un grosso peso e un investimento di risorse che ha raggiunto un pubblico viepiù diffuso che apprezza questo approccio e la trattazione di temi distinti.

Nell’ambito delle iniziative di NAM – Nuova Antologia Militare ha avuto un buon esito il fascicolo curato da Gérald Arboit intitolato “Intelligence militare, guerra clandestina e Operazioni Speciali” al punto che lo stesso Presidente ha chiesto a chi scrive di raccogliere il testimone dall’amico Gérald e lanciare una nuova proposta con l’obiettivo di raccogliere contributi dedicati alla storia delle forze dell’ordine a statuto militare sul modello dei Carabinieri italiani e della Gendarmeria francese.

Il lancio della proposta di pubblicazione di saggi per la rivista è stato condotto attraverso diversi canali. Di questi mi preme segnalare la pubblicazione

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 16

sul sito del CePoC1, su Academia.edu attraverso il profilo personale2, sul blog del progetto di comunicazione digitale Storia dei Carabinieri3, curato dal sottoscritto la comunicazione su Calenda.org che offre una diffusione in un ambito scientifico internazionale4, i social più professionali come LinkedIn e singole e-mail inviate a vari autori di studi dedicati alle forze dell’ordine.

L’idea era di ripetere la stessa operazione condotta da Gérald rivolta al mondo delle forze dell’ordine. In questo senso, si può rilevare come gli autori abbiano diverse provenienze e background che non si limitano unicamente al mondo scientifico, ma spaziano in ambiti differenti. A nostro modo di vedere, tali contributi arricchiscono enormemente la riflessione che quindi prende un respiro più ricco e permette ulteriori considerazioni rispetto la sola area accademica.

Complessivamente sono stati proposti 19 contributi, di cui effettivamente presentati 14 articoli. Tre di questi hanno 2 co-autori ciascuno, mentre i rimanenti 11 sono firmati da un solo autore. Se guardiamo alla composizione geografica, ci sono 4 italiani (di cui una autrice), 3 francesi, 3 brasiliani, 2 belgi, 2 polacchi (di cui una co-autrice), 2 statunitensi e 1 indiano. In questo senso ci sono due considerazioni che ci stanno a cuore: l’assenza del continente africano e di alcuni Paesi che avrebbero potuto offrire contributi e riflessioni e la presenza di due sole autrici che ci fa pensare quanto ci sia ancora da fare in termini di espansione della conoscenza soprattutto verso il mondo scientifico composto da giovani e studiose.

Per una questione più mirata ai contenuti cinque contributi sono dedicati ad una visione diacronica di questioni legate al tema principale: Luc analizza la funzione di polizia militare nell’arco della prospettiva della storia della Gendarmeria Nazionale francese, Ghosh guarda al mutamento del ruolo della polizia coloniale nel Bengala sotto controllo inglese, Campion dedica la sua attenzione a pratiche e dibattiti nella gendarmeria reale belga sul servizio in borghese, Pasqualini affronta nel lungo periodo il tema dell’intelligence condotto dai Carabinieri, mentre Misiuk e Zajac presentano una breve storia della funzione della gendarmeria in Polonia.

1 https://www.cepoc.it/archives/2733)

2 academia.edu/65960207/Carabinieri_Gendarmerie_C4P

3 Oltre al podcast che rappresenta il core business dell'iniziativa esistono altri strumenti di comunicazione tra cui il blog reperibile all'indirizzo storiacc.hypotheses.org. Tutti i contatti sono disponibili su https://linktr.ee/storiadeicarabinieri

4 Call for papers Histoire comparée des carabinieri de la gendarmerie et des forces armées pour le maintien de l’ordre public, 4 janvier 2022 (calenda.org/951149).

Altri autori affrontano territori limitati come Rio de Janeiro con le riforme di polizia 1831 – 1858 (Zulli e Gonçalves), il nord-ovest indiano fra Otto e Novecento (Pastori), la sanità pubblica in San Paolo alla fine dell’Ottocento (Rosemberg), la funzione della raccolta informativa in Lussemburgo 1913-1961 (Arboit), la gendarmeria francese in Macedonia, Cilicia e Siria-Libano 19181925 (Pécout) e la legione Carabinieri Reali diAlessandria nel 1945 (Angeletti).

Infine, i rimanenti contributi guardano alle trasformazioni nel breve/medio periodo in Italia tra il 1919 e il 1926 (Carbone), l’ordine pubblico in Belgio 1960-1991 (Teicher) e il Messico con la fondazione della guardia nazionale 2012-2019 (Sullivan e Jones).

In questo senso, pare opportuno segnalare un imprevisto, chi scrive si scusa con tutti gli autori e collaboratori, a causa di impegni professionali e familiari il progetto che avrebbe dovuto vedere la fine entro il mese di settembre 2022 è dovuto slittare di alcuni mesi in avanti e vede la stampa solamente nella Primavera 2023.

Si consideri inoltre che, inizialmente, si era ritenuto di inserire la pubblicazione all’interno dei numeri speciali (o fuori collana) della Nuova Antologia Militare mentre, più opportunamente, il Presidente ha suggerito in prossimità della chiusura del progetto di procedere alla stampa quale volume della collana “Fvcina di Marte” dalla raccolta di trattati militari italiani pubblicata a Venezia nel 1641.

Tale collana rappresenta uno dei pilastri dell’attività di pubblicazione e di diffusione della SISM, allo scopo di raccogliere e distribuire ricerche collettive o individuali a carattere monografico sulla proposizione dei soci e previa accettazione del consiglio scientifico.

Così, effettivamente, i contributi trovano una collocazione più pertinente in questa collana e, cosa che mi onora molto, consente la possibilità di garantire una maggiore diffusione attraverso diversi canali di distribuzione.

Se mi è consentito tornare ad alcune considerazioni espresse poc’anzi, mi interessa molto segnalare una questione di grande importanza. Tale iniziativa prende anche spunto da un altro progetto molto più strutturato che fa capo da tanti anni a LivioAntonielli, studioso attento alle questioni del policing in tutti i suoi aspetti.Atale scopo nel 2012 è nato il Centro studi su “Le Polizie e il Controllo del Territorio” (CePoC)5, che ha raccolto e organizzato le numerose attività di ricerca sin dalla fine del XX secolo e che può presentare tra i suoi grandi

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successi la conduzione di convegni con grande regolarità e la realizzazione di una collana editoriale dedicata a tali convegni e ad altri studi qualificati.

In questo senso, tale iniziativa vuole essere integrativa e non sostituiva del grande lavoro svolto daAntonielli e gli studiosi che si sono raccolti intorno a lui, aprendo il panorama e offrendo differenti punti di vista e di riflessione.

Dunque ci auguriamo che questa iniziativa possa costituire effettivamente un ausilio e uno stimolo per altri studiosi e che possa lanciare nuove attività.

Effettivamente, almeno per quanto riguarda la Società Italiana di Storia Militare, della quale ho il privilegio sia di essere socio, sia ancora più impegnativo, di far parte del consiglio direttivo.

Dunque proprio basandoci su questa e su altre attività avviate in Italia e all’estero, è parso opportuno proporre un nuovo progetto aggregativo dei saperi e degli studiosi che si muovono in questo terreno così irto e pieno di insidie rappresentato dalla storia delle forze dell’ordine.

Così, all’indomani dell’ultima assemblea dell’associazione, è stato investito l’intero direttivo per ottenere un nihil obstat alla costituzione di un piccolo comitato di studi della storia delle forze dell’ordine (Co.SSFFOO) che possa raccogliere attorno ad un tavolo studiosi interessati a tale tema. Al momento il progetto vede alcuni soci della SISM farne parte e si è avviata lentamente una riflessione che possa accogliere e non escludere chi, in Italia, svolge funzioni di polizia latu sensu.

par Jean-noël luc Professeur émérite à la Sorbonne

résumé. Instituée à partir de 1791 à la place de la Maréchaussée, la gendarmerie française hérite de sa devancière la police des « gens de guerre » et des civils qui suivent l’armée. Des guerres de la Révolution aux actuelles OPEX, elle assume cette mission en détachant des prévôtés auprès des troupes en campagne ou stationnées en dehors du territoire national. Ce panorama analyse la réglementation de ces unités, leurs interventions au cours de plusieurs opérations, les limites de leur action et leur contribution à la militarité de l’Arme. Au-delà des enquêtes de police judiciaire, les tribunaux prévôtaux et les prisons prévôtales – deux organismes longtemps négligés par la recherche – éclairent le rôle des gendarmes comme instruments de l’État de droit et auxiliaires de la justice. Aujourd’hui, la prévôté assure des missions de police judiciaire militaire, sa tâche prioritaire, de police générale en faveur des personnels et des installations, de renseignement et d’appui. Elle est officiellement chargée de contribuer, à la fois, au respect du droit par les troupes en opération, à leur sécurité et à leur liberté d’action. mots clé. Armée, Guerre, MarécHaussée, GenDarmerIe, PréVôté, JustIce mIlItaIre, PremIer emPIre, SeconD EmPIre, Guerre de CrImée, PremIère Guerre monDIale, SeconDe Guerre monDIale, Guerre d’InDocHIne, OPEX, France.

«Noussommesenguerre,vousêtessoldatetvousn’avezpasàdiscuter», lance un officier d’état-major à un prévôt, d’un grade inférieur, qui refuse de faire fusiller des suspects, finalement innocentés. « C’est exact, rétorque le gendarme, mais si le soldat tout court exécute sans hésitation ni murmure, le soldat de la loi que je suis ne reçoit, en matière judiciaire, d’ordre que de la loi ». Et devant l’insistance de son interlocuteur, le gendarme le fait arrêter, « au nom de la loi, pour outrages à commandant de la force publique et à officier de police judiciaire, que vous voulez contraindre à une illégalité »1 . Cette altercation, en septembre 1914, illustre la volonté de l’État de droit de ré-

1 Louis Panel, La Grande Guerre des gendarmes. «Forcer au besoin leur obéissance», Paris, DMPA-Nouveau monde éditions (NME), 2013, p. 303.

« Soldats de la loi » aux armées. Les prévôtés de la Gendarmerie nationale, des origines au début du XXIe siècle

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 20

guler le fonctionnement des armées, y compris en temps de guerre, ainsi que les entraves créées par une autre conception de l’ordre militaire. Parmi les acteurs essentiels de cette régulation, les détachements prévôtaux de la gendarmerie sont longtemps restés méconnus, alors qu’ils constituent l’un des trois rouages du système disciplinaire, avec l’organisation hiérarchique et la justice militaire. Marginalisés dans la mémoire officielle de l’Arme, qui préférait mettre en avant les prouesses de ses unités combattantes, ces détachements n’intéressaient pas davantage les historiennes et les historiens, du moins jusqu’à l’ouverture du chantier de la Sorbonne, en 20002 .

De la police de l’Ost royal à celle des soldats de la République

Au début de la Guerre de Cent ans, qui commence en 1337, le roi PhilippeV créée une juridiction et une troupe spéciales, placées sous l’autorité des prévôts des maréchaux, pour traquer, juger et punir les déserteurs, ainsi que les soldats et les autres individus coupables de pillage et d’exactions contre des civils ou des militaires pendant les campagnes. Après l’organisation d’une armée régulière, au milieu du XVe siècle, la maréchaussée devient une force permanente, implantée dans les villes de garnison. Si sa compétence est étendue, à partir de 1536, à des crimes et des délits commis par des civils, elle reste chargée, selon une ordonnance de François Ier, de « tenir ordre et police aux gens de guerre et corriger les fautes, oppressions et pilleries »3 .

2 À mon initiative, l’Université Paris-Sorbonne, devenue en 2018 Sorbonne Université, a ouvert, en 2000, un séminaire sur l’histoire de la gendarmerie. Dans le cadre d’une convention avec la Direction de la Gendarmerie nationale (DGGN), ce chantier a profité d’un partenariat fécond avec l’ancien Service Historique de la Gendarmerie Nationale (SHGN), puis avec la Société Nationale Histoire et Patrimoine de la Gendarmerie-Société des Amis du Musée de la Gendarmerie (SNHPG-SAMG). Plus de 250 travaux universitaires ont été soutenus, entre 2000et2022,auseinduséminaire,quiafournidesmatériauxà45ouvragesetà12colloques. Sur ce chantier, voir Jean -Noël Luc, «Promouvoir l’histoire académique de la Gendarmerie au début du XXe siècle», Revue Historique des Armées (désormais RHA), 295, 2019 (Laurent LóPez, dir., Être gendarme hier et aujourd’hui, en France et ailleurs), pp. 112-122. L’action des prévôtés est l’un des thèmes de recherche de l’histoire renouvelée de la gendarmerie française. Ce sujet a été jusqu’alors étudié à propos des campagnes d’Algérie (à partir de 1830), du Mexique (1862-1867), de 1870-1871, de la Grande Guerre, de la Seconde Guerre mondiale, des guerres d’Indochine et d’Algérie. Pour en savoir plus, voir la bibliographie commentée dans Jean-Noël Luc (dir), Histoire des gendarmes, de la maréchaussée à nos jours, Paris, Nouveau Monde Éditions (NME), 2016. Le panorama présenté ici s’appuie essentiellement sur des travaux, parfois inédits, réalisés à la Sorbonne, et qui ne sont pas tous cités pour ne pas multiplier les références.

3 Pascal BrouIllet (dir), De la maréchaussée à la Gendarmerie. Histoire et patrimoine, Mai-

Des membres de la maréchaussée accompagnent les troupes au cours de chacune des guerres de la monarchie. Deux règlements dits « provisoires », l’un en 1778, l’autre en 1788, chargent « le prévôt de l’armée et les détachements à ses ordres » de veiller « à la police et au bon ordre » de multiples manières. La prévôté patrouille dans les camps, elle empêche les soldats d’en sortir et elle surveillelestroupesendéplacement.Elleenregistreetcontrôlelescivilsàlasuite del’armée(vivandiers,commerçants,domestiques);ellearrêtelesvagabondset chasse les prostituées, après les avoir fait fouetter. Elle garde, dans ses prisons, les prévenus qui relèvent des « cas prévôtaux ». Elle sanctionne les soldats et les civils auteurs de certaines infractions (perturbation des distributions de vivres, maraude, etc.), en particulier par des peines « afflictives », administrées par les « Caporaux de la Prévôté »4. Par leur double fonction, policière et judiciaire, les membres de la maréchaussée, que l’opinion appelle les « juges bottés », contribuent à l’autorité du monarque sur la force armée5

Votée le 26 août 1789, la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen confie leur protection à une « force publique […] instituée pour l’avantage de tous ». Mais pour éviter que l’État issu de la Révolution ne dépende des troupes royales ou des nouvelles gardes nationales, soumises aux pouvoirs locaux, l’Assemblée constituante le dote d’une force spéciale, en réorganisant, le 16 février 1791, la maréchaussée sous le nom de « Gendarmerie nationale ».Au nom de la séparation des pouvoirs, le nouveau corps perd le droit de juger les coupables, exercé par sa devancière depuis sa création.

Bien que les premiers textes organiques de la gendarmerie, le 16 février 1791, puis le 29 avril 1792, ne mentionnent pas, curieusement, sa fonction de police aux armées, des détachements prévôtaux sont organisés dès le début de la guerre contre l’Autriche, en avril 1792. Pendant la Première Coalition (17931797), plus de 3 000 gendarmes sont envoyés, par roulement, auprès des autres troupes pour maintenir l’ordre dans les camps, assurer la bonne marche des convois, traquer les traîneurs, les déserteurs et les maraudeurs, contrôler la distribution des vivres, enregistrer et surveiller les civils à la suite de l’armée, vé-

sons-Alfort, SHGN, 2003, pp. 14-15 ; Louis Saurel, «Les prévôtés des armées en campagne», RHA, n° spécial 1961, pp. 135-137.

4 Règlement provisoire sur le service de l’infanterie en campagne, Caen, G. Le Roy, 1778 («De la discipline et de la police dans les armées», pp. 256-268 ; «De la prévôté et de la police du quartier général», pp. 268-276), et Règlement provisoire sur le service des troupes à cheval en campagne du 12 août 1788, Paris, Magimel, 1811, pp. 64-73.

5 Jacques LorgnIer, Maréchaussée, histoire d’une révolution judiciaire et administrative, 2 tomes, Paris, L’Harmattan, 1995 et 2000.

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rifier les poids et mesures des commerçants, garder les prisonniers en instance de jugement, etc.6. La plupart de ces missions étaient d’ailleurs prévues, malgré plusieurs imprécisions, par le règlement de 1792 sur le service de l’infanterie en campagne, qui reproduit de nombreux articles du règlement de 1778, déjà cité7 . La grande loi organique de la gendarmerie, celle du 28 germinal an VI (17 avril 1798), tient compte de ce dispositif : elle rappelle que l’Arme, d’abord créée « pour assurer, dans l’intérieur de la République, le maintien de l’ordre et l’exécution des lois » (article 1er), doit également fournir, « en temps de guerre, des détachements destinés au maintien de l’ordre et de la police dans les camps et les cantonnements » (article 215)8. Le même texte annonce un règlement du service de ces détachements (article 221), qui ne verra pas le jour. Seule la gendarmerie des nouveaux départements de la rive gauche du Rhin bénéficiera, sur cette question, de l’instruction spéciale du 29 floréal an VII (19 mai 1799), rédigée par son organisateur, le général Wirion, l’un des inspirateurs de la loi de Germinal. Ce texte se signale à l’attention en rétablissant une justice prévôtale, au moins partielle, malgré le principe de la séparation des pouvoirs, puisqu’il prescrit d’organiser des tribunaux prévôtaux – non mentionnés dans le règlement de 1792 – pour punir les auteurs d’infractions parmi les civils attachés à l’armée9 .

Les prévôtés, d’un Empire à l’autre

La prévôté intéresse particulièrement Napoléon, qui souligne son utilité pour réguler l’armée dans une lettre envoyée, en 1812, au maréchal Berthier. Le gendarme n’est pas un homme à cheval ; c’est un agent qui doit être créé dans chaque poste, parce que ce service est le plus important, qui doit être chargé de la police sur les derrières de l’armée et ne doit pas être employé ni en sauvegarde [protection d’une ville non occupée], ni pour les escortes. Deux à trois cents hommes de cavalerie de plus ou de moins ne sont rien. Deux cents gendarmes de plus assurent la tranquillité de l’armée et le bon ordre.10

6 Louis Saurel, art. cit., p. 137.

7 Règlement provisoire sur le service de l’infanterie en campagne du 5 avril 1792, Paris, Magimel, 1808 («De la discipline et police dans les armées», pp. 140-146 ; «De la police du quartier général», pp. 146-152).

8 Jean-Noël Luc (dir.), Histoire de la maréchaussée et de la gendarmerie. Guide de recherche, Maisons-Alfort, SHGN, 2004, p. 287 et 293.

9 «La prévôté aux Armées», Le Cahier Toulousain, s.d

10 Lettre du 26 juin 1812, Correspondance de Napoléon Ier , Paris, Imprimerie impériale, 1859-1869, tome XXIII.

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Sur le terrain, les missions des prévôtaux gagnent en importance au fil des campagnes du Consulat, puis de l’Empire, avant même d’être partiellement récapitulées dans le règlement de Schönbrunn sur le service des troupes (1809), destiné à l’«Armée d’Allemagne », engagée contre l’Autriche pendant la guerre de la Cinquième Coalition. Ce règlement reprend, parfois mot pour mot, les prescriptions des textes, déjà cités, de 1792 et de 1778. Réapparue, on l’a vu, dans l’instruction de 1799, la justice prévôtale est à nouveau mentionnée dans celle de 1809, qui charge des « tribunaux prévôtaux » d’appliquer « les peines de police et correctionnelles » à des civils à la suite de l’armée (vivandiers, blanchisseurs, domestiques) coupables d’une infraction11 .

La gendarmerie de la Grande Armée est une institution hiérarchisée. Elle est pourvue d’un Grand Prévôt, rattaché à l’état-major (le général Jean-Baptiste Lauer, entre 1805 et 1813, puis le général Étienne Radet), ainsi que de grands prévôts et de prévôts, respectivement affectés auprès des principales armées et de chaque corps d’armée. Les éloges adressés, en 1808, par le maréchal Davout, gouverneur temporaire du duché de Varsovie, au général Saunier, grand prévôt du 3e corps d’armée, confirment l’étendue des fonctions de la prévôté, bien audelà de la seule surveillance des militaires : « il me tient au courant de tout ce qui se passe […], il est instruit de l’arrivée de tous les voyageurs, des motifs qui les amènent dans le duché, de ce qu’ils rapportent, des bruits qui circulent, et généralement de tout ce qu’il peut être important de savoir »12

L’ordonnance du 3 mai 1832 sur le service des armées en campagne développe, avec plus précision, les missions des prévôtés évoquées dans les textes antérieurs.

La gendarmerie remplit à l’armée des fonctions analogues à celles qu’elle exerce dans l’intérieur. La surveillance des délits, la rédaction des procèsverbaux, la poursuite et l’arrestation des coupables, la police, le maintien de l’ordre, sont de sa compétence et constituent ses devoirs (article 169). Les attributions du Grand Prévôt embrassent tout ce qui est relatif aux crimes et aux délits commis dans l’arrondissement de l’armée. Son devoir est surtout de protéger les habitants du pays contre le pillage ou toute autre violence (article 171).

11 Extrait du règlement provisoire pour le service des troupes en campagne, imprimé pour l’armée d’Allemagne, Schönbrunn, Imprimerie impériale de l’armée, 1809 («Vivandiers, blanchisseurs et marchands à la suite de l’armée», pp. 171-176 ; «Police et discipline», pp. 177182 ; «Répression des délits», pp. 182-184 ; «Gendarmerie», p. 184-189). Sur les tribunaux prévôtaux, voir p. 182, 183, 185, 186.

12 Jacques-Olivier BouDon, L’Empire des polices. Comment Napoléon faisait régner l’ordre, Paris, Vuibert, 2017, pp. 211-222.

En réaction contre l’encombrement des tribunaux militaires par des affaires mineures, comme les infractions commises par des commerçants, lors des expéditions en Morée (1820), en Espagne (1823) et en Algérie (1830), le texte de 1832 étend le pouvoir répressif des prévôts. Désormais, ces officiers de gendarmeriepeuventinfligeruneamendede50francsmaximumauxvagabonds et autres civils présents à l’armée sans permission et de 100 francs maximum aux marchands malhonnêtes et aux tenanciers de cabarets ouverts en dehors des heures réglementaires13 .

Le Second Empire consolide l’organisation de la prévôté à travers deux textes fondamentaux, bien plus précis que les précédents. Le décret organique de la gendarmerie du 1er mars 1854 consacre à cette formation trente-deux articles (505 à 536), dont certains répètent, mot pour mot, ceux du texte de 1832, par exemple à propos de la désignation d’un « Grand Prévôt » ou des amendes infligées à des civils14. Le code de justice militaire du 9 juin 1857 signale que la juridiction prévôtale ne peut exister que lorsqu’une armée opère à l’étranger – une condition qui sera maintenue par tous les règlements ultérieurs. Il reconnaît aux prévôts, dont les verdicts sont sans appel, le droit de juger seuls, assistés d’un greffier, choisi parmi les sous-officiers de gendarmerie. Il étend leur compétence aux prisonniers de guerre non officiers coupables de « contravention de police » ou d’infractions à la discipline, et il élève le niveau des sanctions jusqu’à 200 francs d’amende et six mois de prison, pour les militaires comme pour les civils15 .

La filiation établie par l’ordonnance de 1832 et le décret organique de 1854 entrelesmissionshabituellesdepoliceadministrativeetjudiciairedesgendarmes et celles qu’ils assument auprès des armées positionne les prévôtaux comme des instruments de la loi et des auxiliaires de la justice. Chargée du service de « force publique » aux armées, selon la formule du décret de 1854 (article 536), la prévôté ne demeure pas moins une institution d’exception, et à double titre. D’une part, car elle ne peut être organisée qu’à l’occasion d’un conflit ; d’autre

13 Ordonnance sur le service des armées en campagne. Règlement du 3 mai 1832, Limoges, E.Ardant, C. Thibaut, s. d., p. 168-177.Auparavant, un règlement de 1823, non retrouvé, reproduisait largement le texte de 1809.

14 Jean-Noël Luc (dir.), Histoire de la maréchaussée et de la gendarmerie, op.cit., pp. 323-327.

15 Code de justice militaire pour l’armée de terre du 9 juin 1857, Paris, Lavauzelle, s.d., pp. 1516, 21 et 60. Pour rester dans la logique de ce panorama, on signalera simplement l’existence de textes ultérieurs sur le service en campagne de la gendarmerie, inspirés par les réorganisations de l’armée française, et notamment les instructions des 25 octobre 1887, 18 avril 1890, 13 février 1900 et 31 juillet 1911, cette dernière en vigueur lors de la Grande Guerre.

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part, car elle réunit, comme la maréchaussée, des prérogatives policières et un pouvoir de justice, mentionné, on l’a vu, dès les textes organiques de 1799, 1809 et 1832.

Sous le Second Empire, puis sous la Troisième République, des détachements prévôtaux sont envoyés sur tous les théâtres d’opérations, en Europe (Guerre de Crimée, 1853-1856, Campagne d’Italie, 1859, Guerre de 1870187116), au Moyen-Orient (Expédition du Liban, 1860-1861), au Mexique (1861-1867), où le nombre de déserteurs augmente beaucoup après les progrès de la guérilla à partir de 186417, et, lors de l’expansion impérialiste, en Afrique et enAsie, où les prévôtés constituent parfois le noyau des futures gendarmeries coloniales. Quelques témoignages tirent de l’ombre les prévôtaux engagés dans la campagne de Crimée. En juillet 1854, un zouave de passage à Gallipoli, ravagé par le choléra et les trafics, et visiblement influencé par le discours officiel des alliés, admire l’un de ces militaires, qui surveille, « en tenue irréprochable », un bazar largement déserté : Sans l’intervention du gendarme français, l’Occident échouerait dans tous ses plans de réforme en Orient […]. Le gendarme déblaie le terrain et inspire aux masses populaires le respect de l’ordre. […]. Toute la canaille cosmopolite, le rebut de la société occidentale, qui s’est réfugié en Turquie, tremble devant la buffleterie jaune.18

La même confiance inspire la réclamation, en août 1855, par le commandant de la place de Constantinople, de l’envoi de 50 gendarmes au lieu de 13 : L’uniforme du gendarme fait toujours une forte impression sur l’esprit du soldat. Je pense, par ce moyen, arrêter le commerce d’effets, qui ruine la discipline et démoralise le soldat, et empêcher aussi la maraude dans les vignes.19

16 OlivierBottIn, La Guerre de la gendarmerie. Des gendarmes aux gens d’armes (1870-1871), mastère I, sous la dir. de J.-N. Luc, Paris Sorbonne, 2010.

17 Benoît HaBerBuscH, «L’emploi de la gendarmerie au Mexique (1861-1867) : force prévôtale ou force de sécurité intérieure ?», RHA, 258, 2010, pp. 3-13 ;Adrien KIPPeurt, La Gendarmerie au Mexique (1861-1867), Force publique, Revue de la SNHPG, 7, 2012.

18 Cité par Marie-Hélène DeBIès, Du pays des Chouans à Sébastopol. Jean-Michel Gangloff (1802-1871), La Crèche, Geste éditions, 2010, p. 221 (les bandes de l’uniforme du gendarme étaient alors de couleur jaune).

19 Édouard EBel, «La Gendarmerie pendant la Guerre de Crimée», Carnet de la Sabretache, 158, décembre 2003, pp. 180-184.

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Zoom sur les prévôtés au cours des deux guerres mondiales

Au cours de la Grande Guerre, 17 800 gendarmes territoriaux sur 22 000 constituent, par roulement, des unités prévôtales, pourvues de 6 000 hommes à partir de 1915, et qui perdront en tout 450 de leurs membres. Pendant la « Grande Retraite » de la fin du mois d’août 1914, les prévôtaux couvrent le repli des troupes, rassemblent des éléments épars et remplacent des cadres hors de combat. Lors de la première bataille de la Marne, au début de septembre 1914, ils reçoivent l’ordre de « maintenir les hommes sur la ligne de feu et [de] forcer au besoin leur obéissance ». Tout au long du conflit, ils surveillent les voies de communication pour garantir la fluidité de la circulation des soldats, des munitions et des approvisionnements, une obsession du commandement. Leur contribution à l’écoulement des flux sur la « Voie sacrée » pendant la bataille de Verdun leur vaut d’ailleurs plusieurs félicitations.Après les combats, ils assurent la police du champ de bataille, où ils arrêtent les auteurs de larcins sur les cadavres et où ils récupèrent les corps, ainsi que les armes. Ils participent également à la lutte contre l’espionnage et à la gestion des prisonniers20 L’armistice de 1918 n’interrompt pas leur travail, puisqu’ils restent chargés du maintien de l’ordre aux armées pendant la démobilisation et de bien d’autres missions au cours de la longue sortie de guerre, comme le repérage du matériel militaire abandonné ou volé21 .

Un détour par l’Armée d’Orient, implantée à Salonique à partir d’octobre 1915, révèle l’ampleur des missions de police assumées par la prévôté six cents ans après sa création. Le maintien de l’ordre et la discipline restent ses objectifs prioritaires. Ses hommes traquent les déserteurs, dont le nombre augmente avec l’allongement de l’expédition. Ils contrôlent les cabarets et les maisons de tolérance officielles. Ils assistent les médecins pendant les vaccinations et les tests d’urine, destinés à vérifier la prise régulière de quinine, que les soldats vivent comme des brimades. Comme les civils sont considérés comme des espions potentiels, les gendarmes enquêtent, par ailleurs, sur les responsables locaux, afin de pouvoir signaler les suspects et les francophiles au 2e Bureau. Ils interviennentdanslavieéconomiqueendélivrantdesautorisationsàdesmaisons

20 Louis Panel, La Grande Guerre des gendarmes, déjà cité, p. 95-114, 347-383, 593, et, du même, «La gendarmerie nationale francese nella prima Guerra Mondiale», dans La Grande Guerra dei Carabinieri,acuradiFlavioCarBone,MinisterodellaDifesa,ComandoGenerale dell’Arma dei Carabinieri, Ufficio Storico, 2020, pp. 206-213.

21 Sur les gendarmes dans la sortie de la Grande Guerre, voir l’étude de Romain Pécout dans ce numéro.

de commerce, non sans essayer de favoriser les exportations françaises, et en contestant les prix, jugés exagérés, des marchands autochtones. Ils contribuent, plus largement, à l’instauration du nouvel ordre français en désarmant la population villageoise et en obligeant les habitants à enlever les ordures des rues et à se faire vacciner contre le typhus et le choléra. L’arrêt des hostilités ne met pas fin à cette pluriactivité. Comme sur le front français, les prévôtaux de l’Armée d’Orient participent à l’organisation du départ des hommes et du matériel, première étape de la démobilisation22 .

Vingt ans plus tard, pendant la « Drôle de guerre », les 5 000 prévôtaux et leurs 300 officiers contribuent toujours à la discipline des troupes, « force principale des armées », comme le rappelle le règlement de discipline général de 1933. Dans un contexte marqué par la démoralisation des soldats, la peur du défaitisme et la hantise de l’espionnage, la prévôté apparaît d’abord comme un instrument de contrôle de la zone des armées. Ses hommes répriment une circulation militaire et civile anarchique, qui inquiète beaucoup l’état-major ; ils arrêtent des déserteurs ; ils enquêtent sur la reconstitution, réelle ou fantasmée, de réseaux communistes. Le déclenchement des opérations, à partir du 10 mai 1940, élargit leur rôle à l’orientation des unités en repli, à la participation à des combats isolés et à la gestion de la retraite désordonnée des autres soldats, des civils et des services publics. Lors de la panique de la mi-mai 1940, et alors que les prévôtés de la IIème armée refoulent plus de 16 000 fuyards, de nombreux chefs d’état-major rendent hommage à cette troupe particulière. Mais quand la débandades’accentueaprèsladéfaitedelaSomme,le7juin1940,lesprévôtaux sont emportés, à leur tour, par « ce fleuve humain en crue », selon le témoignage de l’un des leurs23. La France libre renoue avec l’organisation traditionnelle d’une force armée en dotant ses unités de deux prévôtés, l’une pour encadrer les soldats français présents en Grande-Bretagne, l’autre pour suivre les troupes engagées, à partir de 1942, en Afrique du nord, où les gendarmes participent également aux combats. L’exploitation des archives prévôtales nuance l’image idéaliséedesForcesFrançaisesLibres,enrévélantl’existencedefortestensions, politiques, idéologiques et raciales24 .

22 Isabelle Roy, La Gendarmerie française en Macédoine pendant la Première Guerre mondiale, Maisons-Alfort, SHGN, 2004, pp. 29-37, 57-75, 118-126, 188-192.

23 Aziz Saït, les Prévôtés, de la «Drôle de guerre» à «l’Étrange défaite», doctorat, sous la dir. de J.-N. Luc, Paris-Sorbonne, 2012, chapitres V à VII et XIV.

24 Vincent LHomeau, Les Prévôtés de la France libre, 1940-1944. Discipliner «L’autre Résistance», Force publique, Revue de la SNHPG, 9,2014.

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Le gendarme prévôtal, enquêteur, magistrat et agent pénitentiaire

Ces responsabilités particulières méritent un développement autonome, car elles positionnent la prévôté comme un maillon essentiel de la chaîne judiciaire aux armées. Les fonctions d’officier de police judiciaire militaire sont d’abord exercées par les seuls commandants des formations prévôtales, puis également par d’autres officiers et, même, pendant la Grande Guerre, par les sous-officiers. Tous ces militaires sont alors qualifiés pour collecter les informations relatives à une infraction à travers des interrogatoires, des perquisitions, des saisies et des arrestations. Pendant l’occupation d’une partie de l’Espagne, entre 1809 et 1814, ils enquêtent, par exemple, sur des détournements de fonds par deux généraux, la falsification de la farine importée de France, la profanation d’objets de culte et des viols25.Au cours de la conquête de l’Algérie, à partir de 1830, ils interviennent, notamment, à propos des duels entre soldats, de l’abus d’alcool, des vols de marchandises appartenant à l’armée et des pillages perpétrés par la troupe26

On dispose d’une vue d’ensemble sur les infractions commises par des soldats, en l’occurrence parmi ceux du Corps expéditionnaire français en Italie, grâce au registre d’écrou de la prison prévôtale de Naples, entre juillet 1944 et septembre 1945 : plus du tiers (37 %) des 373 militaires incarcérés sont accusés de désertion, 18 %, de viol, 14 %, de vol et de pillage, et 3 %, de meurtre ou tentative de meurtre. Souvent favorisés par l’abus d’alcool, les homicides volontaires sont généralement provoqués par des humiliations ou des rivalités à propos d’une femme ou associés à des viols ou à des tentatives de viol27

Les riches archives des prévôtés du Corps expéditionnaire français en Extrême-Orient (CEFEO) renseignent sur la gestion de certains crimes commis dans le cadre d’une guerre de décolonisation. Interrogé par les prévôtaux après la découverte, en mai 1946, du corps d’un coolie, son supérieur, un brigadier-chef, reconnaît qu’il a l’habitude de frapper les ouvriers quand « ils mettent de la mauvaise volonté pour travailler ». Après l’avoir arrêté, pour « coups et blessures ayant entraîné la mort », les gendarmes remettent le cadavre à un

25 GildasLePetIt, Saisir l’insaisissable. Gendarmerie et contre-guérilla en Espagne au temps de Napoléon, Rennes, Presses Universitaires de Rennes (PUR), pp. 116-117.

26 Damien Lorcy, Sous le régime du sabre. La gendarmerie en Algérie, 1830-1870, Rennes, PUR, 2011, pp. 169-176.

27 DimitriRoulleau-GalaIs, La Prévôté, une solution efficace face aux comportements du corps expéditionnaire français en Italie de 1943 à 1945 ?, master I, sous la dir. de J.-N. Luc, Paris-Sorbonne, 2007, p. 67.

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médecin, vietnamien, de l’hôpital de Cholon, qui conclut, après l’autopsie, à un décès par éclatement de la rate sous l’effet de coups de poing. Le viol et l’étranglement, en 1947, d’une jeuneAnnamite, retrouvée nue et à demi enterrée, sont plus difficiles à élucider. Les villageois expliquent aux enquêteurs qu’ils avaient eu peur de sortir de leurs paillotes la veille au soir, malgré les appels au secours de la victime, car un homme ivre et nu circulait dans le village.Après la découverte, près du lieu du crime, de pièces d’uniforme de la Légion, les gendarmes inspectent, sans succès, les paquetages des détachements du 1er Régiment Étranger de Cavalerie (REC) stationnés dans les environs. En poursuivant leurs investigations à l’infirmerie, ils repèrent un légionnaire portant « des égratignures fraîches, faites par des ronces », et dépourvu de short, de chemisette et de képi. Soumis à un interrogatoire, le suspect avoue son double crime28 .

Des gendarmes peuvent également juger les auteurs de certaines infractions, puisque les tribunaux prévôtaux – qui fonctionnent peut-être auparavant –sont mentionnés, on l’a vu, dès les règlements de 1799 et de 1809. Même s’ils constituent surtout « une soupape de délestage des conseils de guerre […] pour les affaires mineures », ces tribunaux font ressortir, symboliquement, la dignité et l’indépendance des officiers de gendarmerie en tant qu’hommes de loi et représentants de l’État de droit. C’est dire la déception de ces cadres au cours de la Grande Guerre, dont les opérations se déroulent essentiellement sur le territoire national, où la justice prévôtale ne peut pas être organisée29. En revanche,lestribunauxprévôtauxmissurpied,àpartirde1916,enMacédoineet en Serbie, jouent pleinement leur rôle.Au-delà des vagabonds et des prisonniers de guerre non officiers, ils jugent, en fait, tous les civils, attachés ou non à l’armée, en infraction avec la réglementation des déplacements, du commerce et de l’hygiène publique. Selon la faute commise, la sanction peut être une amende, un travail forcé, une peine de prison ou la fermeture d’un établissement commercial30. Les tribunaux prévôtaux organisés au Levant pendant la Seconde Guerre mondiale sont encore plus actifs, car leur compétence est étendue à l’ensemble de la population locale pour de nombreuses questions relatives aux intérêts français. Ainsi ont-ils jugé plus de la moitié des affaires traitées par la justice militaire entre 1941 et 194331. Dans d’autres contextes, où ces tribunaux

28 Pierre-Yves Le Quellec, L’Exercice de la police judiciaire par les prévôtés du CEFEO au Vietnam (1946-1954), master II, sous la dir. de J.-N. Luc, Paris-Sorbonne, 2012, p. 65 et 81.

29 Louis Panel, op. cit., pp. 299-303.

30 Isabelle Roy, op. cit., pp. 99-102.

31 HelènedeCHamPcHesnel, La Déchirure : guerre fratricide en gendarmeries, Levant 19391945, Vincennes, Service Historique de la Défense (SHD), 2014, pp. 190 sq

particuliers ne sont pas organisés, des prévôts peuvent intervenir dans les autres cours militaires à titre de magistrat, commissaire-rapporteur, juré et même avocat.

Déjà prévues dans les règlements de 1799, 1809 et 1832, les prisons prévôtales, longtemps négligées par les chercheurs, constituent un dispositif crucialdumaintiendel’ordreauxarmées,etquiimposeauxgendarmesuntravail souvent considérable. Cent cinquante d’entre elles ont fonctionné pendant la Grande Guerre, dans des locaux disparates (étables, caves, églises). Installées à tous les niveaux, de la division à l’armée, elles ont reçu, au total, une population hétéroclite de 150 000 personnes : justiciables des tribunaux militaires, ou de droit commun, et condamnés à de courtes peines, soldats et civils, hommes et femmes, Français et étrangers. Décrite comme « le cauchemar des officiers et des gendarmes », la surveillance de ces établissements de fortune, d’où les évasions sont fréquentes, représente le premier motif des punitions infligées aux prévôtaux, qui n’aiment pas évoquer cette mission32

Aux yeux de plusieurs gendarmes, les enquêtes sur les infractions commises par des militaires contre des civils, et la punition des coupables, sont d’autant plus nécessaires qu’elles peuvent contribuer à supprimer ou, au moins, à réduire l’hostilité de la population à l’égard des troupes d’occupation.

« Protéger les habitants du pays contre le pillage et toute autre forme de violence »33 : les prévôtaux, pionniers de la doctrine « Gagner les cœurs et les esprits » ?

Bien avant la théorisation de cette stratégie, la protection des habitants des territoires occupés est considérée comme un atout pour contrecarrer l’influence des opposants à la présence française. « On ne peut attaquer avec succès toutes les causes du brigandage [la guérilla] qu’en réprimant sévèrement les actes irréguliers de la troupe », assure un général de l’armée d’Espagne en 181134. EnAlgérie, au XIXe siècle, le même raisonnement conduit des gendarmes à protéger des indigènes, leurs bêtes et leurs cultures contre des soldats ou des colons violents ou malhonnêtes. L’impartialité et l’efficacité des agents de l’administration française – du moins de certains d’entre eux – sont officiellement présentées

32 Louis Panel a tiré de l’ombre cette «oubliée de la Grande Guerre» dans l’ouvrage déjà cité, p. 304-315.

33 Ordonnance du 3 mai 1832…, op. cit., article 171, p. 169.

34 Gildas LePetIt, op. cit., p. 118.

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comme l’un des moyens de convaincre les habitants qu’ils sont mieux défendus contre les abus qu’à l’époque des Ottomans. Pour régler « le grand problème de la domination », résume, en 1856, le commandant de la gendarmerie d’Afrique, il faut « prévenir le plus insignifiant déni de justice » et « défendre [la population] quand elle devient victime d’un délit ou d’une erreur »35. Pendant la Grande Guerre, on retrouve le même projet en Macédoine, où la prévôté de l’armée d’Orient espère séduire les populations locales en se montrant plus efficace et plus juste que les polices turque ou bulgare36 .

Au cours de la Guerre d’Indochine, les enjeux des relations avec la population locale conduisent les prévôtaux à souligner explicitement l’irresponsabilité d’un grand nombre d’autres soldats. Pour le commandant du poste de Bac-Ninh, en juillet 1952, la recrudescence des attentats aux mœurs, tolérés par une grande partie des officiers du corps expéditionnaire, « porte, non seulement préjudice à la renommée de notre armée, mais sont exploités utilement par l’ennemi ». À la même époque, le responsable du poste d’Hadong dénonce l’ébriété de 90% des militaires « rencontrés en ville », fiers de leurs « cuites mémorables, où la solde est bue en une soirée », ainsi que leur comportement « agressif et hargneux », avant de rappeler les conséquences négatives de ces actes : « c’est sur ces faits et gestes que s’appuie la propagande antifrançaise du Vietminh »37 .

Ce tableau serait cependant incomplet s’il ne s’étendait pas aux divers obstacles rencontrés par les gendarmes détachés auprès des armées.

Les limites de l’action des prévôtés

Elles résultent d’abord de la faiblesse numérique des détachements : 400 hommes pour la campagne de Russie (1812), 160 hommes en Algérie (1833), 158 au Mexique (1867), 315 en Macédoine (1915-1918) ou 264 en Indochine (1947). Comment des effectifs aussi réduits – leur insuffisance est un leitmotiv des rapports – pourraient-ils contrôler des milliers ou des dizaines de milliers de soldats : 650 000 pour la GrandeArmée de 1812, 114 000 à l’armée d’Orient, en 1916, et 90 000 en Indochine, en 1949.Au cours de la campagne de Russie, par exemple, les prévôtaux sont impuissants face aux pillages commis par une multitude de soldats mal ravitaillés. Ils ne parviennent pas davantage à

35 Damien Lorcy, op. cit., pp. 171, 284-287.

36 Isabelle Roy, op. cit., p. 82 sq

37 Pierre-Yves Le Quellec, op. cit., p. 5 et 105.

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garantir la sécurité des villes occupées, ni à empêcher l’incendie de Moscou38

Les maigres effectifs des prévôtés entravent d’autant plus leur action que leur polyvalence, accrue par les demandes des états-majors et par les emplois abusifs, freine leur réactivité en matière de police judiciaire. En 1940, deux officiers proposent d’ailleurs de remédier à cette situation en organisant, soit une « brigade de recherche » spécialisée, soit une « gendarmerie du droit », auxiliaire de la justice aux armées et distincte d’une « gendarmerie de combat », chargée du maintien de l’ordre et de la participation aux opérations39

L’indulgence abusive ou la corruption de certains prévôtaux peuvent également réduire leur efficacité. À Salonique, en 1916, deux d’entre eux refusent de régler leur consommation, puis de contraindre au paiement deux autres militaires, qui déclarent publiquement vouloir « faire comme les gendarmes »40 ! En Indochine, des prévôtaux participent au trafic des piastres, ferment les yeux sur un convoi de riz illégal en échange d’une bouteille de Cognac ou ne poussent pas les investigations contre des soldats brutaux qu’ils fréquentent quotidiennement. La formation insuffisante de certains jeunes gendarmes et leur faible expérience de la police judiciaire retardent également des enquêtes. Le commandant de la prévôté du Centre-Vietnam – qui semble ignorer les difficultés du recrutement – réclame, en 1951, une vraie sélection des prévôtaux, « investis d’une mission délicate », qui leur impose d’être « des hommes solides, irréprochables et connaissant à fond le métier ». La gendarmerie, conclut-il « se doit d’envoyer au corps expéditionnaire ce qu’elle a de meilleur »41

Dernier obstacle, et de taille, à l’action des prévôtés : l’hostilité des autres soldats, irrités par les pouvoirs policiers et judiciaires accordés à des militaires non combattants, et le refus, par de nombreux officiers, des entraves à leur autorité sur leurs hommes, dont ils peuvent tolérer, bon gré, mal gré, les excès. Mutisme, invectives et coups ne sont pas exceptionnels, surtout quand la solidarité des chefs soude l’unité face au gendarme verbalisateur. « Le rapport du Grand prévôt est sans pudeur ; c’est bien un rapport de gendarme », proteste un commandant des troupes d’Algérie, en 183342. Traumatisés par l’horreur des tranchées, les poilus s’indignent, eux aussi, devant les injonctions de ceux qu’ils traitent d’embusqués, en rappelant, avec ironie, que « le front commence au

38 Jacques-Olivier BouDon, op. cit., pp. 216-218.

39 Aziz Saït, op. cit., chapitre IX.

40 Isabelle Roy, op. cit., p. 81.

41 Pierre-Yves Le quellec, op. cit., p. 43.

42 Damien Lorcy, op. cit., p. 142.

dernier gendarme » ! Tenace, l’image persiste dans la mémoire littéraire de la guerre. Dans Les Croix de Bois (1919), Roland Dorgelès ironise sur la surveillance des aubergistes par les prévôtaux : « ils sautent la patronne ; comme ça elle est parée contre les contraventions, et eux ont la croûte ». Dans La Main coupée (1946), Blaise Cendras se moque des « gens d’armes de métier, qui ne voulaient pas aller se battre »43. Que sont les gendarmes, d’ailleurs, pour certains cadres de l’armée ? Des coursiers ou des « valets de chambre », proteste l’un de leurs officiers. Au Tonkin, en 1948, et alors qu’un gendarme colonial assiste un prévôtal dans son travail, le chef de bataillon commandant le secteur donne l’ordre « d’embêter ce petit merdeux qui enquête à Phong-Tho, afin qu’il n’obtienne aucun renseignement ». L’un des prévôts du corps expéditionnaire déplore d’ailleurs que sa mission soit « incomprise, parce que trop nombreux sont les officiers qui méconnaissent le rôle de la Prévôté auxArmées » 44

Si les hauts responsables militaires défendent le plus souvent les prévôtaux, ils peuvent aussi ménager les officiers qui s’en plaignent : « on aura soin, qu’à l’avenir [le Grand prévôt] ne se fasse pas le trompette des délits que commettent les soldats autour de leurs cantonnements », répond, en 1832, le chef d’état-major de l’armée d’Algérie à un autre général, tout en invitant les chefs de détachements à mieux surveiller leurs hommes45. Le choc des mutineries de 1917 dissipe cependant ce genre de réserves. Le 11 octobre, Philippe Pétain, commandant en chef des armées françaises depuis le mois de mai, apporte un soutien appuyé aux membres des prévôtés : Au cours de récents incidents, des militaires des armées se sont laissés aller à proférer des injures et même à exercer des violences graves contre les gendarmes. Des officiers et sous-officiers ne sont pas intervenus immédiatement de toute leur autorité. Ces faits dénotent un fâcheux état d’esprit, qui ne doit pas être toléré. Comme leurs camarades des autres armes, les gendarmes remplissent avec conscience et dévouement leur mission.46

Mais après la victoire, les missions prévôtales ne sont pas moins évacuées d’une mémoire nationale chargée d’exalter les souffrances et le courage des poilus. À l’exception des moments forts de la revendication – vaine – de la carte d’ancien combattant pour les prévôtaux, au cours des années 1930 puis 1950,

43 Louis Panel, op. cit., pp. 384, 531-532, et, pour les citations, Yann Galéra, Les Gendarmes dans l’imaginaire collectif, de 1914 à nos jours, Paris, NME, 2008, pp. 85-98.

44 Pierre-Yves Le Quellec, op. cit., p. 27.

45 Damien Lorcy, op. cit. p. 175.

46 Louis Panel, op. cit.,p. 452.

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la mémoire gendarmique ne fait guère mieux jusqu’au début du xxIe siècle47 Quand elle n’oublie pas, le plus souvent, les prévôtés de la Grande Guerre, elle retient surtout leurs missions de contre-espionnage et de renseignement, plus consensuelles et plus valorisantes que l’arrestation et la détention de soldats coupables d’infractions.

La prévôté, instrument et symbole de la militarité gendarmique, de la fin du XVIIIe siècle aux OPEX

L’histoire des prévôtés éclaire également la militarité originale de la gendarmerie48, qui a été enracinée dans l’armée par la Révolution et par les régimes suivants. L’héritière de la maréchaussée fournit des troupes combattantes dès le début des guerres révolutionnaires, à partir d’avril 1792, puis pendant la Guerre d’Espagne, entre 1809 et 1813. La loi de Germinal an VI (1798) lui attribue, en plus, la prérogative de l’ancienne Maison militaire du roi : « prendre toujours la droite et marcher à la tête des colonnes » (article 152). L’ordonnance de 1820 confirme son statut militaire en la définissant comme « l’une des parties intégrantes de l’armée » (article 2). Enfin, le décret organique de 1854 accentue cet arrimage en reconnaissant à l’Arme la possibilité de constituer des unités combattantes (article 536) et en la rattachant au ministère de la Guerre pour le contrôle de « toutes les parties du service » (article 73). La « nature mixte » de ce service maintient cependant le corps « dans les attributions » de trois autres ministères : l’Intérieur, la Justice, la Marine et les Colonies (article 5).

La gendarmerie emprunte alors à l’armée ses hommes, son encadrement supérieur, son organisation hiérarchique, ses équipements, ses uniformes, ainsi qu’une partie de sa symbolique, de sa culture professionnelle et de son mode de fonctionnement. Mais cette forte influence des standards militaires ne doit pas faire oublier qu’elle reste une force dédiée principalement à la sécurité intérieure, et non aux champs de bataille. Si les engagements de ses unités combattantes, peu nombreuses, contribuent à sa militarité, ils ne la résument pas. Il est donc vain de vouloir évaluer l’identité militaire de la gendarmerie à l’aune du seul critère de sa participation au combat, considéré comme « le but final

47 Yan Galéra, op. cit., pp. 121-132.

48 Jean-Noël Luc, «Histoire d’une identité militaire particulière. La militarité de la gendarmerie française, de la Révolution au début du XXIe siècle», dans Hervé DréVIllon et Édouard EBel (dir.), Symbolique, traditions et identités militaires,Vincennes, SHD, 2020, pp. 173-186.Voir également La Gendarmerie, les gendarmes et la Guerre, dossier de Force Publique, 1, février 2006.

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des armées », selon la célèbre formule du colonel Ardant du Picq, dans un ouvrage posthume publié en 188049. Un tel raisonnement masquerait les diverses missions militaires que cette institution assume depuis sa création50, y compris en temps de paix, à côté de son engagement, prédominant, dans la police de la société.

Dès son origine, la gendarmerie française fonctionne effectivement comme une force armée complémentaire des autres troupes, avant, pendant et après les opérations. Pendant les périodes de paix, elle assure la police des militaires en intervenant, entre autres, dans l’organisation de la conscription, le contrôle des permissionnaires, l’administration des réserves ou la protection des convois de munitions. L’entrée en guerre accroît ses contributions au rassemblement, à l’équipement, au transfert et au contrôle des troupes. Des gendarmes peuvent, en plus, se battre, au cours de certaines campagnes, au sein de formations préexistantes ou d’unités créées pour l’occasion51. Et l’Arme continue d’assumer des missions militaires après la fin des hostilités, en participant, à plusieurs niveaux, à la transition vers le temps de paix, y compris dans les régions libérées ou occupées52 .

La contribution essentielle de la gendarmerie au bon fonctionnement de

49 Charles ArDant du PIcq (1821-1870), Études sur le combat, Paris, Hachette et Dumaine, 1880, p. 7.

50 Ces missions se sont d’ailleurs amplifiées depuis le milieu du XXe siècle. À côté des unités maritimes, créées à partir de 1791, le corps s’est alors doté d’autres formations spécialisées rattachées aux armées (gendarmeries de l’Air, de l’Armement, de la Sécurité des armements nucléaires). La mise en œuvre des doctrines du continuum «paix-crise-conflit armé» puis «sécurité-défense» a, par ailleurs, augmenté la participation de la gendarmerie à la Défense opérationnelleduterritoire(DOT),auxOPEXetàlaluttecontreleterrorisme.Simultanément, ses effectifs se sont accrus, jusqu’à représenter, en 2011, 43 % de ceux des armées, dont le volume a diminué, et la moitié de la réserve opérationnelle. Au début du XXIe siècle, les textes officiels relatifs à la défense nationale rappellent sa «vocation à participer à la défense du territoire» et sa capacité à fournir un «appui essentiel» aux armées (article 53225-6 du Code de la Défense et Livre blanc Défense et Sécurité nationale, Paris, DILA, 2013, p. 96).

51 Formationspréexistantes:gendarmerieàpieddelagardeimpériale(GuerredeCrimée),garde républicaine mobile (campagne de 1939-1940), gendarmerie mobile (Guerre d’Algérie). Unités de circonstance : régiments à pied et à cheval (Guerre de 1870-1871), 45e bataillon de chars légers (1939-1940), légions de garde républicaine de marche (Indochine), commandos de chasse (Algérie). Sur les engagements combattants de la gendarmerie française, voir Laurent LóPez (dir.), La Gendarmerie, ses emblèmes et ses faits d’armes, dossier de Histoire et Patrimoine des gendarmes, 16, 2e trimestre 2019.

52 Sur l’exemple de la sortie de la Grande Guerre, voir l’étude de Romain Pécout dans ce numéro.

l’armée en campagne et à la projection des forces est assurée par ses unités prévôtales. Là où les autres soldats vont, des gendarmes les suivent53. Cette pratique réglementaire perdure bien au-delà des guerres de décolonisation et de la « Guerre froide »54, puisque l’actuel code de justice militaire prévoit l’organisation de prévôtés dans deux contextes, dont le premier déjà mentionné par la loi de Germinal an VI : « En temps de guerre, sur le territoire de la République. En tout temps, lorsque de grandes unités, formations ou détachements des armées stationnent ou opèrent hors du territoire de la République »55, c’est-à-dire dans les bases françaises à l’étranger ou lors des Opérations extérieures (OPEX), en expansion depuis les années 1990.

L’histoire de la participation de la gendarmerie aux OPEX, notamment à travers les prévôtés, est un sujet d’étude autonome, que le travail en cours d’un historien de l’Arme tire un peu plus de l’ombre pour les années 1960-201056 . Exclusif pendant les interventions françaises enAfrique subsaharienne au cours des années 1960 et 1970, le modèle prévôtal classique est toujours mis en œuvre au cours de certaines opérations ultérieures : Liban (à partir de 1978), Guerre du Golfe (1990-1991), Somalie (Oryx, 1992), Zaïre (Turquoise, 1994) ou Albanie

53 Notre panorama de la fonction prévôtale de la gendarmerie française gagnerait à être complété, pour la période des OPEX comme pour les décennies antérieures, par l’étude des prévôtés organisées au sein des gendarmerie d’autres pays. Sur ce chantier, voir Arnaud Houte, JeanNoël Luc (dir.), Les Gendarmeries dans le monde, de la Révolution française à nos jours, Paris, PUPS, 2016, p. 60, 345, 349, 355.

54 Une prévôté existe, par exemple, dans les bases temporairement conservées par la France en Algérieaprès1962:SophieSartHou, La Prévôté, un témoin original de la présence française sur la base de Mers el-Kebir à la suite des accords d’Évian,master1,sousladir.deJ.-N.Luc, Paris-Sorbonne, 2016. D’autres unités sont envoyées aux côtés des troupes engagées dans l’expédition de Suez, en 1956, ou du bataillon français de l’ONU pendant la Guerre de Corée (1950-1953).

55 . Code de Justice militaire (article L411-1). Voir aussi l’instruction n° 86164.DEF/CABMCM14 du 26 juillet 2013 portant sur la prévôté hors du territoire de la République en temps de paix.

56 Benoît HaBerBuscH, «Aux sources de la militarité du gendarme ? L’histoire ignorée de la gendarmerie nationale dans les OPEX», resmilitaris.net, novembre 2019, et, du même, «Sortie de guerre, l’exemple de la gendarmerie nationale en Bosnie-Herzégovine (1992-2012)», RHA, 304, 2022, pp. 55-65 (deux travaux auxquels notre développement emprunte beaucoup). Voir aussi Jean-Philippe BérIllon, La Gendarmerie et les missions d’assistance extérieures dans le cadre des Nations Unies, du Sud Liban à l’opération «Turquoise», DEA, sous la dir. d’André Martel,Aix-Marseille, 1996 ; Laurent GerIn, La Gendarmerie nationale dans les opérations extérieures sous mandat de l’ONU, DEAsous la dir. de Hervé Coutau-BégarIe, EPHE, 2003, et Opérations sous mandat international et forces de police à statut militaire, RGN, 253, septembre 2015.

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(Alba, 1997). Mais l’engagement international croissant de l’Arme à partir des années 1990 la conduit également à élargir ce cadre traditionnel, puis à adopter d’autres dispositifs, mieux adaptés aux multiples objectifs – militaires, administratifs, humanitaires – des opérations organisées par l’ONU, l’OTAN, l’Union Européenne ou sous mandat français.

Les activités de la gendarmerie en Bosnie-Herzégovine, à partir de 1992, témoignent de cette capacité à diversifier les intervenants en fonction des besoins : brigades prévôtales classiques auprès des forces françaises, brigade prévôtale d’investigation, pelotons prévôtaux de surveillance et d’intervention, centre opérationnel gendarmerie, mais aussi détachement de gendarmes dans des structures internationales militaires et civiles, comme le Groupe international de police des Nations Unies (GIP), mis en place à partir de 1996 et commandé, à partir d’avril 2000, par un général de l’Arme. On retrouve ce spectre élargi dans d’autres opérations, comme au Cambodge, où la gendarmerie française participe, à partir de 1992, à des missions de police civile (CIVPOL), et surtout enAfghanistan, où elle fournit, à la fois, à partir de 2002, des prévôtés, engagées notamment dans des investigations judiciaires à risques, les cadres de plusieurs centres de formation de la police afghane et des unités d’appui, composées de gendarmes mobiles, aux forces de sécurité locales.

La multiplicité des emplois de la gendarmerie à l’étranger sous différents mandatsest récapitulée,en 2013, par ladoctrineinterarmées,qui identifie« quatre missions génériques » : l’accompagnement des forces, par la gendarmerie prévôtale, la protection des intérêts nationaux, internationaux et humanitaires, le maintien de la paix, notamment à travers l’amélioration des systèmes de sécurité locaux, les opérations de secours et d’urgence57. Plusieurs observateurs étrangers jugent d’ailleurs positivement les interventions des « gendarmes de la paix », français ou venus d’autres pays, en estimant que l’expérience de ces militaires particuliers, habitués au contact avec la population, est bien adaptée à des contextes où les missions militaires et policières sont imbriquées.

Depuis les années 2000, l’essor des OPEX, la réintégration de la France dans l’OTAN et l’emprise accrue du droit sur l’activité du soldat58 ont conduit la prévôté à s’adapter aux évolutions du contexte militaire et du cadre juridique. Une étape importante est franchie avec l’instruction du 4 octobre 2006, qui définit clairement les missions assurées par cette institution pour « garantir la liberté

57 Emploi de la gendarmerie nationale en opérations extérieures. Doctrine interarmées IA3.22(A). GEND-OPEX(2013), n° 126 DEF/CICDE/NP du 10 juillet 2013, p. 6 et 7.

58 Sur cette toile de fond, voir notamment Inflexions, 15, 2010-3, La judiciarisation des conflits

d’action et la sécurité des forces françaises en opération », et qui crée un commandement de la force prévôtale (CFP), confié au commandant de la gendarmerie Outre-mer (CGOM). L’action des détachements et des brigades s’inscrit désormais dans trois chaînes hiérarchiques : prévôtale, judiciaire et militaire opérationnelle59. En 2013, le CFP est remplacé par un organisme autonome, le commandement de la gendarmerie prévôtale (CGP), rattaché au directeur général de l’Arme, puis, en 2021, au CGOM, dans le cadre de la réduction des effectifs de la direction générale. Le CGP est l’interlocuteur du parquet du Tribunal de Grande Instance (TGI) de Paris, compétent depuis 2012 pour les infractions commises, en temps de paix, par ou à l’encontre des militaires en dehors du territoire national60. Il est doté d’une brigade de recherches prévôtale (devenue une section de recherches en 2021), qui peut poursuivre, en France, les investigations initiées par des prévôts à l’étranger ou partir auprès des troupes pour diriger des enquêtes très sensibles. Pour optimiser l’action des gendarmes et réduire les tensions avec les autres soldats, le CFP, puis le CGP, ont engagé la prévôté dans la voie de la professionnalisation. Très sélectionné, le personnel est également mieux formé, notamment au contexte juridique complexe de ses interventions, tandis que son rôle et son utilité font l’objet de campagnes d’information régulières auprès des troupes projetées61

En 2021, la gendarmerie française fournit six détachements prévôtaux permanents (Allemagne, Émirats Arabes Unis, Djibouti, Gabon, Sénégal et Côte d’Ivoire)ethuitdétachementsprévôtauxdits«decirconstance»(Estonie,Liban, Jordanie, Tchad, République centrafricaine, Niger, Mali, États-Unis), composés de soixante-dix gendarmes, tous officiers de police judiciaire des forces armées (OPJFA). Ces détachements sont officiellement chargés d’assurer des missions

59 Instruction n° 3401/DEF/CC4 du 4 octobre 2006 sur l’organisation, les missions et le service des prévôtés, communiquée par le GAR (2S) Jean-Régis VécHamBre, co-rédacteur de ce texte, que je remercie également pour les informations relatives à cette institution. L’instruction de 2006 est modifiée, sur certains points, par l’instruction n° 8164/DEF/CAB/CM14 du 26 juillet 2013 portant sur l’organisation, les missions et le service de la prévôté hors du territoire de la République en temps de paix. La prévôté française a été dirigée par les généraux VIcaIre (2007-2010), VécHamBre (2010-2011) et CaIllet (2011-2012), en tant que commandants de la GOM, puis par les chefs successifs du CGP : colonel KIm (2013-2015), colonel Gosset (2015-2019), général BonneVal (2019-2021), général Haas (depuis 2021).

60 Le processus d’intégration de la justice militaire dans la justice de droit commun en temps de paix aboutit, en 2012, à la suppression du Tribunal auxArmées de Paris (TAAP), dont les compétences sont transférées à une section spécialisée du TGI.

61 Stéphane Uséo (lieutenant-colonel et officier de liaison de l’état-major des armées auprès du CGOM), «Pourquoi une prévôté ?», Inflexions, 15, 2010-3, pp. 85-88.

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de police judiciaire militaire, leur tâche prioritaire, de police générale, d’appui à la force et – grâce à leurs relations avec les autorités et les forces de sécurité locales – de renseignement62. D’après le témoignage d’un officier de liaison, la prévôté intervient comme « outil de conseil au commandement », « gardefou » et « l’un des facteurs d’acceptation de la force déployée dans le territoire étranger », puisqu’elle contribue, à la fois, au respect « des valeurs de la société française, de son droit national et du droit international » par les troupes et à la protection de ces dernières, y compris par la prévention, face à des menaces internes (vols, trafics, contentieux divers) et à des mises en cause externes63 . Au-delà de l’approche institutionnelle, c’est la multiplication des travaux académiques qui permettra d’en savoir plus sur l’action de la prévôté depuis le début du XXIe siècle, et notamment sur l’évolution de son domaine de compétence face à la direction du renseignement et de la sécurité de la Défense, chargée de la contre-ingérence, sur son insertion dans le dispositif des polices militaires de l’OTAN et sur ses interrelations avec les corps de troupe et les populations – autant de chantiers qui sortent du périmètre de la recherche historique.

Ce panorama de l’histoire des prévôtés montre leur contribution essentielle à l’affirmation, par l’État, de la force du droit au sein des armées, y compris pendant les campagnes. L’action pluriséculaire des « soldats de la loi » détachés auprès des autres troupes révèle ainsi la dimension historique, négligée par la plupart des commentateurs, d’une partie de la judiciarisation des opérations militaires. Attestée depuis les guerres de la Révolution et de l’Empire, la polyvalence des prévôts témoigne, par ailleurs, de la capacité des gendarmes à intervenir sur l’ensemble du spectre maintien de l’ordre – crise – guerre – sorties de guerre, grâce à leur triple culture, militaire, policière et judiciaire.

62 D’après la définition des missions prévôtales par les instructions de 2006 et 2013 déjà citées. Sur la prévôté au début du XXIe siècle, voir Olivier Kim (colonel), « La gendarmerie prévôtale et le recueil de la preuve sur le champ de bataille », RGN, 253, septembre 2015, p. 151159 ; et Michel Halipré (colonel), « La prévôtale, brigade territoriale ? », RHA, 269, 2e trimestre 2021, pp. 149-155.

63 Stéphane Uséo, art. cit., pp. 88-89.

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From ‘Jack of all Trade’to ‘Master of Everything’: Changing Role of Colonial Police in Bengal, 1750s to 1920s

byaryama gHosH1

aBstract: Bengal served as the ‘bridgehead’ for the British colonial expansion and for that since the beginning, the province experienced all the approaches of the nascent colonial state to control the native society through coercion and conciliation. By this benefit of being the earliest stretch of land to be colonized, Bengal experienced the colonial policing apparatus from the start to the end of colonial rule. The capital of the British Colonial state was transformed from Calcutta to Delhi in 1911; up to that period, Bengal was the centre of Colonial control. In this long period, the policing activities started with the provision security to the tiny enclave of Fort William, and within a few decades, when the East India Company became the landlord after the grant of the Dewani right in 1765, the volume of work increased. Collection of revenue and subduing refractory subjects became the new job. Apart from maintaining day-to-day law and order or occasional job of pacifying insurgents, police started to other interestingly subsidiary jobs like keeping the city clean or saving local subjects from pariah dogs. Keeping in mind this multi-tasking apparatus of the Bengal colonial police, this article intends to argue that the colonial intention, if not ability, for a panopticonic system made the early policing system grab more than it can ingest, leading to occasional failures. Nevertheless, the system worked as a sphere of limited state-society interaction despite of failures. This article further argues that with the growth of colonial technologies of social order and their prompt and well-thought adaptations, the colonial police in Bengal outgrown into a ruthlessly efficient system of control by the end of the First World War. In this journey of growing efficiency, the police system gradually militarized its particular sections, sharpened its apparatus of intelligence gathering, and even reformed its day-to-day control over minute things. The changing nature of the colonial state was met with new kinds of challenges like communal riots, revolutionary activities, and the police system adapted to these challenges. This article argues that this continuous adaptation became successful due to the indigenous subalterns serving in the police forces. keyWorDs: PolIce

1 Senior Research Fellow in the History Department of the Jadavpur University, Kolkata, Republic of India.

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“Jamādār! shyamchand mangao”2 (Lieutenant! Bring the shoe.)

This proverbial Bengali harangue, associated to the policemen at work in the 19th century, elucidates a historical conjuncture in a microcosm where the pre-colonial modes of malice paradoxically persisted within the colonial modes of management of the society or its social order. But at the same time, these dreaded minions of imperialism were often became subject of slur, satire, and stigma in the narratives of colonial Bengali gentlemen. This paradoxically contradictory existence has indeed borne out of manifold elements. These multiple identities were caused due to the multiplicity of policing jobs in colonial Bengal. This article tries to delve into this particular side of colonial policing in Bengal to figure out its structural and multifarious development.

It is true that the colonial policing or ‘police’as a concept in this discussion was to some extent bred out of the 19th century Britain3, but in the colonies policing far from being an importation, became a hybrid; result of acculturation. It was neither unarmed policing based on the policy of policing by consent, nor a totally coercive policing based on full armament of police force, but a hybrid of both.As Bengal was the first of the Indian regions to come under colonial political control of the English East India Company, it had gone through some initial formative phase when even England’s police was not totally modernized itself. This makes it an interesting area of research. This article argues that the organisational progress in colonial policing was based on specialising in the areas of necessities; state-society interaction in which the police acted as the state’s subaltern embodiment, countering insurgencies in which they acted as specialised troops of brutal coercion, and controlling space in which they acted as the state’s monitor of spatial control. These wings of necessities would transform into specialised branches of policing in later day, creating a modular precedent for other colonies. These various necessities had geographical specificities, differential expression of consent and dissent from the subject population, and periodical ideological as well as responsive shift among the authorities to the necessities. This article argues that three particular objectives: claiming the monopoly of legitimate violence, creating a bridge between society and state, shaping the

2 ‘Shyamchand’ was a type of long shoe (according to some references a type of whip) used to beat common criminals during investigations. Ramakhoy CHATTERJEE, Police o Lokrokhyā, Subarnarekha, Kolkata, 1892, p. 34.

3 Egon BIttner, The Functions of the Police in Modern Society: A Review of Background Factors, Current Practices, and Possible Role Models, JasonAronson, New York, 1975, p. 15.

contours of control, constituted the colonial policing authority. Claiming Sovereignty: Security-centric Justification and Limited Political Space

Policing duties in the countryside was basically a zamindari duty since the Mughal times but colonial establishment planned to restructure the system. If we compare it with the pre-modern times, India under Islamic rule state’s authority of disseminate justice was limited. Since the period of Sher Shah Suri (1540-1545), the basic responsibility of maintaining law and order was local responsibility, which more or less remained the same throughout the Mughal phase.4 Though scholars like Parmatma Saran has criticised this conventional analysis pioneered by Sir Jadunath Sarkar, it seems principally localities were independent in case of day-to-day policing, until or unless the flow of revenue extraction met a halt caused by collective rebellion.5 Zamindari control over local modes of coercion proves this. But the East India Company after turning into a ruler of these new lands gradually marched towards the total monopolization of legitimate violence and policing was typically part of this notion.

Sinkichi Taniguchi in his study of the fall of Dinajpur estate, a Zamindari estate which continued since the pre-colonial period, shows that since the acquirement of the Dewani grant apart from their main objective of revenue maximisation, they had been trying to reduce zamindar’s military establishment. Vansittart started this by drastic reduction of expenses of zamindar’s central and local officers and this trend continued. There were nearly 50% reduction of Dwaks and Paiks; nearly 27% reduction of Barkandazes and Peons; and nearly 92% reduction of Sawars in Dinajpur estate.6 There was also a steady reduction of nearly 40% lands which were kept for the maintenance of such zamindari units.7 This trend continued in other districts also where such kind of rent free ‘Chakran’, ‘Ghwatwal’ lands were brought under the system of revenue collection. Once these armed men were disbanded, they either turned into bandits or migrated westward for military employment. This systematic reduction of the zamindari

4 Sir Jadunath sarkar, Mughal Administration, M.C. Sarkar & Sons, Calcutta, 1920, pp. 7980.

5 Parmatma saran, The Provincial Government of the Mughals, 1526-1658, reprint 2021, LG Publishers, Delhi, 1941, p. 371.

6 ‘Dwaks’ were native postal runners; ‘Paiks’or ‘Paikos’were native foot soldiers; ‘Barkandazes’were native armed guards mostly armed with native small firearms called ‘banduk’; Peons or ‘Pyoons’were low-ranking guards; ‘Sawars’were native cavalry.

7 Shinkichi TANIGUCHI, «The Permanent Settlement in Bengal and the Break-Up of the Zamindari of Dinajpur», The Calcutta Historical Journal, 3, 1 (1978), pp. 27-28.

ability to muster armed men was termed by John McLane as ‘demilitarisation of the Zamindars’.8 While the state was trying to replace indigenous policing with their pre-conceived notions of policing, it met challenges in some areas.

After the famine of 1776, banditry increased and zamindar’s lack of military troops due to disbandment made it impossible to check the situation. In 1782, the colonial authority ordered all the landed elites to keep vigilant eye to prevent law and order problems like banditry within their respective areas and if they failed or themselves commit such crimes would be severely punished with death.9 This was the foremost attempt to be in command of social ordering. The approach was both draconian and arbitrary. In 1793, authority planned the appointment of the head of the police system to be controlled by the state rather than the zamindars. By severing the patron-client tie between the landed elite and police, state tried to monopolize the means and actors of day-to-day coercion. This effort led to more expenditure and taxation; ultimately caused the levying of the Police Tax, which was proposed to be taxed from the shops, bazars and gunges. 10 The plan was to tax the merchants in place of the peasantry who were already under huge taxation, because the merchants needed security from the robbers the most and were not under any direct taxation. Different District Magistrates surveyed local trade, classified merchant classes, and assessed the rate of payment. The Police Tax of 1793 was met with protest and hartals, an indigenous form of nonviolent protest.11 On 31 August 1797, following a series of hartals, the Company acknowledged the tax as a failure and rescinded it. People in Banaras protested against the Banaras House Tax (1810-11) in a way comparable to this instance.12 In 1816, residents of Bareilly attempted hartals by closing businesses and gathering outside the Magistrate’s office to lodge collective petition. Despite various amendments, the plan was a failure and the

8 John R. MCLANE, «Revenue Farming and the Zamindari System in Eighteenth century Bengal», in R.E. Frykenberg (ed.), Land Tenure and Peasant in South Asia, Orient Longman, New Delhi, 1977, p. 20.

9 Subhas Sinchan ROY, Police Administration of Bengal (1793-1833), Firma KLM Private Limited, Kolkata, 2008, p. 2.

10 WEST BENGAL STATE ARCHIVES (here after WBSA), Kolkata, Revenue Department Judicial Proceedings, dated 7th December 1792, n. 37.

11 Basudeb CHOTTOPADHYAY, «PoliceTax andTrader’s Protest in Bengal, 1793-1798», in Basudeb CHOTTOPADHYAY, Hari S. VASUDEVAN, Rajat Kanta ROY (ed.), Dissent and Consensus: Protest in Pre-Industrial Societies, K.P. Bagchi & Company, Calcutta, 1989, p. 30.

12 Richard HEITLER, «The Varanasi House Tax Hartal of 1810-11», Indian Economic and Social History Review, 9, 3 (1972), pp. 239-257.

problem was solved with the introduction of the Stamp Tax of 1797.13 These successive events shows that the colonial state’s striving for control over coercion and try of justifying the revenue based of state’s position as sole security provider opened up a possibility for new state-society interaction. Petitions and legal litigations were brought under the new stamp taxation which successfully funded the new police system, and made way for new state-society conversation, ‘a limited political space’.14 Within this ‘limited political space’, the new police came up as a character whose job was not only to stop criminals but as

13 WBSA, Kolkata, Letter from the Court of Directors to the Governor General in Council, dated 29th May 1799.

14 Aryama GHOSH, «A “Peace” of Paper and a Necessary Clown: Colonial Policing, Bengali Intelligentsia, and the Birth of Limited Political Space in Bengal», Journal of People’s History and Culture, 6, 2 (2021), pp. 63-71.

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The Regulation of 1793 was planned to endow with an enduring solution to the predicament of social order. Coming of Marquis Charles Cornwallis, veteran of the American Wars had changed the situation a lot because a man endowed with comparatively much power was posted for first time replacing the pervious officials like Sir John Macpherson, who were purely nabobs with the intention of prolonging their carrier as well as fortune. Warren Hastings had tried fragmentary reorganisation of the concerns regarding law and order which was consolidated into a proper system by Cornwallis for first time. Cornwallis expressed his utter dislike for the fact that control of the native remains in case of law and order.

In his minute he said,

“The multitude of criminals with which the jails in every district are now crowded, numerous murders, robberies and burglaries daily committed and the general insecurity of person and property, which prevails in the interiorparts of the country”,... prove “the inefficacyresulting from all the criminal courts and their proceedings being left dependent on the Nabob Mahommad Reza Khan, and from the objections which he may be naturally disposed to feel, on the ground of his religion, to any innovations in the prescribed and customary rules and application of Mahommedan law, we ought not, I think, to leave the future control of so important a branch of Government to the sole discretion of any native, or indeed, of any single person whatsoever.”15

So, the plan was to replace the natives from the controlling position. Secondly, Cornwallis’ other ideological intent was to create an improving society whose societal elites, in this case the zamindars, would be the proprietary owner of the land with an obligation to pay revenue assessed on permanent basis while relieved from the obligations to maintain law and order of the lands. This intention was not novel, but a fruition of collective objective pursued since the beginning. But with the striving towards westernisation, policing itself spread as many headed hydra, which was not totally under control of the colonial state.

Calcutta grew up as the keystone of the British Imperial dream because it had been the ‘bridgehead’to their colonial endeavour. Scholars like Peter James Marshall, Rhodes Murphy found that colonial towns like Calcutta as ‘beach-

15 W.R. GOURLAY, A Contribution towards a History of Police in Bengal, Bengal Secretariat Press, Calcutta, 1916, p. 32.

heads of an exogenous system, peripheral but nevertheless revolutionary’16; based on foreign foundations, ‘alien to environment’, and resulting into ‘entirely new kind of social system’17. But it seems that the materialisation was hybrid rather than alien. In the earliest phase, policing the city was mostly a native job and by wielding the colonial baton of coercion lots of collaborators became rich enough to style themselves as ‘black zamindars’. People like Nandaram Sen, Gobindaram Mittra who were at the head of the city’s watch and ward unit and also acted as the deputy of the Calcutta zamindar of the Company, used to act as cord of relation between the nascent colonial state’s native collaborators and agents and the subjects. Known for his infamous club wielding paiks, Gobindaram was the first representative native imagery of colonial coercion.18

There was an interesting relationship of the Company’s zamindar and their ‘black deputies’, based on the trend of corruption. The first force was made in the time of Benzamin Bowcher, the second collector zamindar of Calcutta. It was made of one chief peon, forty five peons, two club holders, and twenty goalas or guards of cow-harder caste.19 Interestingly these goalas belonged to the so called unclean castes of Bengal. The colloquial verses continued to recite the awe-inspiring rise of such ‘black zamindars’ as new societal elite which was a sign that the state had found its necessary collaborators through whom they could have made their presence felt. But this early development started to crumble since the ending decades of the 18th century as the authorities trying to get more control over the system of coercion.

Notaries like Jaganmohan Mukharjee, Netaichand Sarma, Ramgopal Bose, and others in the 1790s petitioned the Governor-General to do something about the rising rate of robberies in Calcutta. They said in their petition that the town’s day-to-day safety had not improved despite the implementation of various kinds of policies. In addition to lamenting the deterioration of law and order, they brought up the issue of the Choukydary Tax, which was levied based on safety. This type of petition not only shows that the society had been in constant interaction with the state through a new type of political language but also shows

16 Rhodes MURPHEY, «Traditionalism and Colonialism: Changing urban roles inAsia», Journal of Asian Studies, 29, 1969, p. 83.

17 Peter James MARSHALL, «Eighteenth-Century Calcutta», in Robert Ross and Gerard J. Telkamp (ed.), Colonial Cities: Essays on Urbanism in a Colonial Context, Martinus Nijhoff Publishers, Dordrecht, 1985, p. 87.

18 Reverend Father James LONG, Calcutta and Its Neighbourhood: History of People and Localities from 1690 to 1857, Indian Publications, Calcutta, 1974, p. 201.

19 C.R.WILSON, The Early Annals of English in Bengal, vol. I,W.Thacker & co., London/Calcutta, 1900, p. 240.

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that the early native collaborators were being purged due to the continuous importance on replacing natives from the position of influence and pushed them in the lower tier of colonial state structure. The petitioners went on saying that the earlier position of Hoodadars, a group of local notaries tasked with selecting and appointing peacekeeping officers for the police force, should be reinstated because ‘when power was committed in the hands of Hoodadars, no mischief was attended’.20 The initial collaborators were aware of their declining position as stakeholders in the day-to-day safety and security. But by putting forward the argument that they are taxpaying citizen they tried to justify their position as stakeholder in the state’s daily affairs. This demand of subject-hood and the expression of dissent through petition structured the early limited political space where the colonial subject and colonial masters accompanied each other into a modern era political language.

This interesting shift was due to the English plan for setting a rule of proprietary right over land, an unprecedented development in the state-society relation. Ranajit Guha argued that in the early phase of the Company rule in Bengal, all the administrators were locomoted by the idea that a sound administration is only possible when proprietary right over land could be secured and due to the distance from the metropolis London, there was a need for ‘a class of native entrepreneurs who had solid interests in the land and were politically reliable’, on whose help ‘the permanence of dominion’ would be kept.21 This idea of property was a post-Glorious Revolution invention, imported to Bengal and another interrelated idea accompanied this importation; the rule of law.22 Early modern Europe has seen a pacification of European elite lifestyle as a byproduct of modern state formation.23 England’s gentry class in the 16th century refashioned themselves as ‘polite and restrained gentleman’, which Norbert Elias described as ‘self-pacification’.24 Violence became irrelevant for political mobility

20 NATIONAL ARCHIVES OF INDIA (here after NAI), New Delhi, Petition of Jaganmohan Mukharjee, Netaichand Sarma, Ramgopal Bose and others representing that have been on increase, Home Department, Public Branch, 1791, pp. 3470-3477, Original Collection (here after O.C.), 19th October, N. 23.

21 RanajitGUHA, A Rule of Property for Bengal: An Essay on the Idea of Permanent Settlement, Orient Longman Ltd., New Delhi, 1959, pp. 17-18.

22 Julian HOPPIT, «Compulsion, Compensation and Property Rights in Britain, 1688-1833», Past and Present, 210, 1 (2011), p. 93.

23 Norbert ELIAS, The Court Society, trans. Edmund Jephcott, Pantheon Books, New York, 1969; Charles Tilly, Coercion, Capital, and European States, AD 990-1990, Basil Blackwell, Cambridge, 1990.

24 Norbert ELIAS, «Introduction» in Norbert ELIAS and Eric DUNNING (eds.), Quest for Ex-

Bengal Native Infantry, Sargent and Grenadier, Vinkhuijzen Collection, 1910. Draper Fund, NYPL, Image 1502850, Public Domain.

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for which these men adopted strategies like law, which ‘required verbal competence and technical learning rather than martial skill’25. The idea of non-martial gentlemanly elites was a preconceived notion, following which Company’s administrators planned for a demilitarisation of the zamindars in Bengal, who gradually became the proprietary landed elites, Cornwallis’so called mirror representation of Whig improving landowner gentlemen collaborator.

Bengali landed elites were themselves been going through a collective behavioural change. Since the Mughal conquest of Bengal till the time of Murshid Quli Khan’s reign, martial elites were ruthlessly exterminated and replaced with non-martial upper castes coming from Brahmin and Kayastha lineage. These men already been through the process of ‘self-pacification’ and adopted different strategies of societal control while the affairs of statecraft was in the hands of Muslim Nawabs and his Afghan entourage.26 Even before the East India Company entered in the politics of Bengal, native pacified elites considered the English as militarily superior and characteristically secure ally than the Muslim powers. During the Sobha Singh’s Rebellion, Raja Ramkrishna of Navadwip, predecessor of famous Krishnachandra of Navadwip, sent forty thousand rupees ‘thinking it more secure’in the hands of the Company behind their forts.27 By the start of the 18th century, the Company was aware of its position as a security provider to the inhabitants under its small fortified jurisdiction of Calcutta and the Court of Directors had instructed Sir Charles Eyre for raising revenue in form of custom subsidies and other taxes as ‘the protected should have an acknowledgement to their defenders’.28 In the middle of the 18th century, when Maratha raids caused havoc in Bengal which then Nawab Alivardi himself failed to contain totally, Company planned to fortify its territories with a ditch. The native inhabitants supported this effort with voluntary contribution29

citement: Sport and Leisure in the Civilizing Process, Basil Blackwell, Oxford, 1986, p. 58.

25 Jonah Stuart BRUNDAGE, «The Pacification of Elite Lifestyles: State Formation, Elite Reproduction, and the Practice of Hunting in Early Modern England», Comparative Studies in Society and History, 59, 4 (2017), p. 788.

26 See more, Aryama GHOSH, ‘Pacification’ of Bengal Presidency: Small Wars, Legitimacy, and Colonial State, 1760-1800, unpublished Master of Philosophy thesis, Department of History, Jadavpur University, 2019, pp. 57-92.

27 Extract from General Letter from Fort St. George to the Court, September 30, 1696, Original Consultation No. 6279, in C.R. WILSON (ed.), Indian Record Series: Old Fort William in Bengal, John Murray, London, 1906, pp. 21-22.

28 Extract from Instruction from the Court to Sir Charles Eyre, London, dated 20th December 1699, Letter book n. 10, in WILSON cit., p. 47.

29 ExtractfromtheMaterials‘BengalHistory’,OrmeCollection,O.V.,vol.66,inWILSONcit.,p.82.

which was a sign that ‘protection being the true foundation’ of Company state, created a background of state-society relationship based on security-centric legitimacy of rule which later developed into a limited political space. So when Jaganmohan Mukharjee, Netaichand Sarma, Ramgopal Bose and other notaries expressed their complaints through petition regarding the decline of law and order, as successors of Krishnachandra and other pacified landed elites and further strengthen with the colonial state’s propitiatory rights entered into a new type of collaborative relation. These men in turn were the predecessors of the Bhadrabittas or gentlemanly middle class-upper caste societal elites who would dominate the scene in later days’limited political space.

A‘Necessary Clown’from the Countryside: Social Bandits, Darogas and Gentlemen

While the urban space had been going through reordering based on western sense of modernity, rural society has seen different type of development which might be useful to show the growing bifurcation of colonial modernity as a whole. The countryside experienced banditry since the initial phase of the Colonial rule. Since the famine of 1770, the ranks of such bandits swelled. The bandit gangs became so numerous and fearless that they started to attack revenue on transit.30 Stopping the rural disturbances became the prime concern of the state. As mentioned before the Cornwallis Code first tried to transform the system totally and after demilitarising the landed elites, planned to post centrally appointed police officials like Darogas. But while the District Magistrates, who were not aware of the particularities of appointing a Daroga, used to depend on their native lower officials. These native officials used to take bribe for recommending the names of potential candidates to the collector.A19th century autobiography of a Daroga titled Mianjan Darogar Ekrarnamah (Confessions of Mianjan Daroga) mentions about the protagonists’rise to the post of Daroga due to nepotism and bribery.31 So just like Gobindaram Mitra, the ‘black deputy’, these little rural coercive masters started act as little corrupt minions of already corrupt colonial district collectors. But corruption soon became projected as a lower caste or Muslim stereotypical trait as most of the policemen were coming from such backgrounds. Hindu gentlemanly classes’discourse told and

30 Basudev CHATTERJI, «The Darogah and the Countryside: The Imposition of Police Control in Bengal and its Impact (1793-1837) », The Indian Economic and Social History Review, 18, 1 (1981), p. 21.

31 Anon., Miyajan Darogar Ekrarnama,Ayan Publishers, Kolkata, 1957, pp. 11-12.

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retold this story till it became a normative narrative.

Urban and mofussil middle class mostly coming from an upper and middle caste lineage would start to criticise these Darogas mostly belonging to Muslim or lower caste communities as corrupt. These men were Bhadrabittas or gentlemanly middle classes with a hegemonic prominence in the system of socio-economic and cultural representation, who would continue to dominate the colonial and to some extent post-colonial socio-political sphere. Interestingly even the white colonial masters also keep on criticising them as corrupt. While for the westernised upper caste-middleclass natives this corruption was bred out of colonial bad governance, the colonial masters would keep on saying that this kindofcorruptionwastheingrainedcharacterof the orientalnatives. How come the Company bahadur isn’t the target of these complaints about native officials’ incompetence and malpractice? Dukhina Ranjan Mukharjee presented a paper on the state of the Company’s police establishment in the Society for the Acquisition of General Knowledge in the early nineteenth century in which he pointed out the corruptive malpractices of the police. Mukharjee’s narrative of dissent has interesting similarity with his 18th century predecessors, who criticised government for not fulfilling the governmental duties efficiently rather than criticising the colonial system as a whole. His predecessors had petitioned Hastings government for the decline of law and order but at the same time petitioned higher authorities during the impeachment ofWarren Hastings, that the later had governed with excellence.32 So, expression of dissent as modelled according to colonial logic of governance, far from being anti-colonial, served in legitimising governance. Following his predecessors Mukharjee argued, it would be unfair to suggest that the present system of policing was one in which the locals had rest the least confidence because the indigenous under the East India Company’s administration were safer than those under previous governments.33 In response to that Captain Richardson declared that indigenous had unparalleled security and abuses were caused by the corrupt tendency of the native darogas.Although Richardson was slammed in the Bengal Harkaru, his views were reprinted in every daily with a general acceptance of his comment. In spite of the Grambarta Prakashika’s reputation for outlandish sarcasm against native police, it always acknowledged that the British Government was not the problem and

32 NAI, New Delhi,Translation of an address from the zemindara and talukdars of the district of Dinajpore, in appreciation of the administration of Mr. Hastings, Home Department, Public Branch, 1788, pp. 5600-5605, O.C., 31st December, No. 16. (B).

33 Basudeb CHOTTOPADHYAY, Crime and Control in Early Colonial Bengal 1770-1860, K.P. Bagchi & Company, Calcutta, 2000, p. 166.

that they were the ones who could correct these behaviours.34 This tendency would get further development later. From newspaper editorial letters from rural and urban Bhadrabitta castes to later day satirical plays, darogas continued to be represented as corrupt and ludicrous effigy against which they penned their criticism.35 The colonial state, who themselves criticised the corrupt darogas, became saved from the direct criticism of the Bhadrabittas

These darogas, ridiculed as corrupt and jocular, remained to be fearsome and atrocious for the rural population, often ridiculed by the urban Bhadrabitta as chāsā-bhusa (Bengali colloquial term for village bumpkin or rustic men without any kind of urban sophistication). Though various periodicals like the Gram-

34 CHOTTOPADHYAY, cit.

35 GHOSH, cit., p. 69.

Hindu priest garlanding the flags of the 35th Bengal Light Infantry (c.1847)-BLAdd. Or.741. This file has been provided by the British Library from its digital collections CC0 1.0 Universal Public Domain.

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barta Prakashika used to put forward the disgrace of the rural population in the hands of corrupt policemen, the mainstream rarely talked without a patronising tune. They were busy with satirical compositions where the darogas were the effigial joker for both Bhadrabitta and the government. The Grambarta Prakashika wrote,

“Kiskinder Poshak Pora

Mukhe Shala Bol

Ghush Paile Naik Chalan, Mete Sakal Gol

Babu Sadai Chata”36

Gentlemanly classes’limited political space was further limited or I should say totally shut down for the rural populations; except for landed classes who lived in urban areas on the rent of their rural population. So, limited political space of colonial Bengal was essentially an urban, upper-caste dominated ‘Bhadrabitta’ space, where the colonial state and society constituted their parlances of interaction in a different, alien and impersonal political language. This non-inclusive character of the Bhadrabitta left for the rural and too some extent lower caste population to express their dissent in the pre-political norm. Scholars like Ranajit Guha perceived that the colonial criminological archives always showed sign of ‘a clear recognition’of ‘the passage from crime to rebellion’as a ‘process by which violence switched codes’.37 But while the resistance transitions from Guha’s ambiguity level to tangible insurgency level growth, so-called criminal activities never came up in the Bhadrabitta public discourse as a sign of resistance. One can perceive it from the Marxist model of ‘social banditry’but I would like to engage into this as a paradoxical wave of resistance from unrepresented lower rural strata in a time of Bhadrabitta inertia.

Since the time of Warren Hastings, there was a conviction regarding the fact that the bandits in Bengal were habitual criminals who had been practicing such acts as hereditary occupation. The robbers were described as ‘robbers by profession and even by birth’, ‘formed into communities’and ‘in a state of declared

36 Grambarta Prakashika,August 1881. [Translation: Police officer wears uniform like monkey and they are fond of foul words and bribes. They do not act if bribes are paid and otherwise always in atrocious mood.]

37 Ranajit GUHA, Elementary Aspects of Peasant Insurgency in Colonial India, Oxford University Press, New Delhi, 1983, p. 82.

war with government’ and ‘wholly excluded from every benefit of its laws’.38 This shows that the Company state differentiating between law abiding subjects from the lawless in which the gentlemanly classes obviously forming the former ranks. The administrators aimed at dispensing collective punishment to use it as ‘an incentive to guilt’ which they believed that would be able to turn such subjects into more ‘civilised inhabitants’.39 It is true that later administrators like Warren Hastings became aware of the fact that rapid demilitarisation of zamindars and famine might have created a pool of demobilised martial men joined by poor peasantry in banditry works.40 But the idea of habitual criminality loomed in the imperial mentality which was supported with numerous scattered evidences. It was also true that early zamindars had direct relations with the robbers and often acted as masterminds behind such acts but once ‘self-pacification’of the societal elites started under the colonial limited political space, these men were cut off from the old patron-client relationship. In the Cornwallis system, due to the new daroga-zamindar nexus, the need for old robber-zamindar nexus became obsolete.

One particular thing which previous historians never delved into that is the caste of these bandits. Most of these men came from Hindu lower caste rural background or from lower class Muslim communities who were ambiguously kept out of the imagery of colonial Bengaliness. John Rossellie argued that the western education reformed the Bengali societal elites as docile subject pursuing legal and clerical jobs who ‘excluded or hierarchically subordinate lower castes and Muslims’, and fell into the pitfall of creating a stereotype of its own image that Bengalis as non-martial or feminine.41 In the end of the 19th century, the Bengali bid for self-respect as masculine ambiguously would make the return of these martial lower tiers in the gentlemanly public discourse when the Bhadrabitta would start to incorporate lathials into its invented martial past. Bengali physical culture would adopt stick-play, sword-play as a past which

38 Extracts from the Proceedings of the Committee at Kissen Nagar, dated 28th June 1772, Alexander Higginson, Secretary of the Revenue Department, Fort William, in G.W. FORREST, ed., Selections from the State Papers of the Governor General of India, vol. II, Warren Hastings Documents, B.H. Blackwell, Oxford, 1910, p. 289.

39 FORREST, cit., p. 289.

40 Walter Kelly FIRMINGER, The Fifth Report from the Select Committee of the House of Commons on the Affairs of the East India Company, vol. I, R. Cambray & Co., Calcutta, 1917, p. 245.

41 John ROSSELLIE, «The Self-Image of Effeteness: Physical Education and Nationalism in Nineteenth Century Bengal», Past and Present, 86, 1 (1980), p. 121.

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beforehand they despised as un-gentlemanly. But this incorporation was incomplete due to the diverged educational background. Unlike the Bhadrabitta, the police workers and rural bandits were typically under-educated in western education scale. According to reports, from 1878 to 1887 the percentage of uneducated policemen in the lower tier was between sixty-two to seventy-five percent.42 Though the Inspector and Sub-Inspector levels were soon started to recruit from the Bhadrabitta service gentry, the scene would remain the same till the middle of the 19th century. Initially there was a racial tendency of depicting Bengalese, lawless and law-abiding, as cowardly and weak. Lieutenant Colonel H. Bruce once opined that the ‘character and nature of the crime in Bengal’was so non-lethal compared to other provinces that ‘maintenance of any separate establishment to surmount’ such problems were not necessary.43 The plan was to recruit non-Bengali police to stop banditry, but since 1815, many young Bengali men from gentlemanly class would start to get entry into police which by the end of the World War I would create a different type of cleavage within the forces. Lower tier policemen like constables and head-constables, ‘dominated by miserably paid upcountry migrant men’, formed associations from which they deliberately excluded the Bhadrabitta police inspectors.44 But that would be a different era.

Iron Hand within a Silken Glove: Militaristic Side of Policing in Bengal

Since the time of the East India Company’s rise as a zamindar of the areas, it had to indulge in policing activities to stop frontier raids as well as peasant/tribal rebellions within their jurisdictions. In case of frontier the initial tactics was typically military in character which would transform gradually into quasi-military approach. I would like to argue as gradual policisation of military pacification where the colonial state would gradually try to move towards a ‘minimum force policy’where use of sheer force was the last resort. If we take into account the earliest pacificatory duties in Rajmahal hills or Midnapur’s jungle territories or

42 Report on theAdministration of Bengal, 1878-79, Bengal Secretariat Press, Calcutta, 1879, p. 8; Report on theAdministration of Bengal, 1884-85, Bengal Secretariat Press, Calcutta, 1886, p. 25; Report on the Administration of Bengal, 1885-86, Bengal Secretariat Press, Calcutta, 1887, p. 26, Report on theAdministration of Bengal, 1886-87, Bengal Secretariat Press, Calcutta, 1888, p. 20.

43 Lt. Col. H. BRUCE, Final Report on the Establishment of the Lower Provinces of Bengal, Bengal Secretariat Office, Calcutta, 1864, p. 21-22.

44 Partha Pratim SHIL, «The ‘Threatened’ Constabulary Strikes of Early Twentieth Century Bengal», South Asian Studies, 33, 2 (2017), p. 167.

Memorial of the Chuar Rebellion against East India Company in Chotanagpur areas of the Bengal Presidency (1783-1816). Medinipur town, West Midnapore Foto Pinalpani own work 2022, CC BY-SA4.0.

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the peasant disturbances in Dhalbhum, Barasat etc, we can see a general gradual transformation towards minimum force policies as well as occasional demand for specialised quasi-military regiments to fulfil such special jobs.

The Company initially experienced the periodic raids from the Paharia tribes in the Rajmahal area and to contain that adopted militaristic coercion.According to European observers like Bishop Heber, Muslim zamindars had been murdering the Paharia people like rabid dogs or tigers before British officials came.45 The British encounter of the Paharia problem came as the attacks on the Company’s dak runners across the main linking pathway of Rajmahal hills. The Paharias, who had risen to spread havoc across the lowlands, had no problem taking advantage of the dak runners of a distant empire that was still only known by its name. They showed no mercy to anyone. After all was said and done, the theft of federal cargo continued. The British were able to regain control of the territory in 1772 after forming an infantry corps under Captain Brooke to deal with the onslaught of hill men.46 Brook had stormed the hill fort of the Paharia chiefs at Tiur and cannons were used to break the resistance.47 While travelling through Rajmahal, Dean Mahomet, a native sepoy and his company, was attacked by Paharia. He wrote in his memoirs about how the piquet guards followed, murdered, and captured some of them during one such raid. It was a harsh punishment for their crimes, which included having their ears and noses cut off, as well as hanging them on gibbets, for those apprehended. Mahomet further spotted Captain Brook’s five companies of Sepoys stationed around the Bhagalpur-Ramjahal passes in order to protect them from the Paharia insurgents, but the attack on Mahomet’s company while crossing reveals that these insurgentshadverylittleconcernfortheCompanyforces.48 LaterCaptainJames Brown conducted the Paharia campaign from 1777 to 1778. According to him, disarming the chiefs and their levies would result in the instability of the western boundary, which would be left undefended against the Marathas, the state’s natural foes.49 Browne also followed the policy of militaristically coercive tac-

45 I.K. CHOUDHARY, «The Socio-Political Organisation of the Paharia Tribe of Damin-I-Koh of Bihar-Jharkhand:AStory of Continuity and Change (1595-1784) », Journal of Adivasi and Indigenous Studies, 5, 2 (2016), p. 6.

46 L.S.S. O’MALLEY, District Gazetteers: Santal Parganas, The Bengal Secretariat Book Depot, Calcutta, 1910, p. 35.

47 O’MALLEY, cit., p. 36.

48 Michael H. FISHER, The First Indian Author in English: Dean Mahomed (1765-1851) in India, Ireland, and England, Oxford University Press, Delhi, 1965, pp. 33-35.

49 Major James BROWNE, India Tracts, Logographic Press, London, 1788, p. 25.

tics like punitive counter raids, village burning, and harvest destruction just like French brutal colonial pacificatory measures named Razzia. 50 After them in 1779, Augustus Cleveland fulfilled his objective to subdue the unruly people of the Jungle Terry via conciliation, confidence, and kindness.51 But along with paternalistic conciliation, Conscripting young Paharias, who served as paid archers in olive uniforms till the Great Mutiny of 1857, Cleveland formed the ‘Bhagalpur Hill Rangers’.52 This system was later followed in the pacification of Bhil, Gonds, Garos and many other tribes in India but more interestingly it provided a model for social ordering in which militaristic pacification showed a repetitive tendency of metamorphosing into minimum force day-to-day policing. But the swift shift into brute force remained to be the iron hand under the apparently visible image of silken glove.

Apart from occasional tribal disturbances, colonial police faced peasant insurgencies where they equally used the militaristic approach whenever necessary. While the colonial state tried to reorder the society due to its own preconceived notions like improvement by starting the Permanent Settlement, it in turn developed into social disturbances. Social banditry about which we have already discussed often developed into large scale insurgencies. As most of the time it was against the zamindars, the collaborator societal elites, the state chose brute force to stop it. In case of Chuar Rebellion of 1799-1800, when the local martial castes tried to stop the infiltration of native collaborator farmers like Narayan Mustafee leading to disturbances, police forces often supported by military battalions used maximum force and punishment to stop it.53 In 1832, Ganganarayan of Dhalbhum joined hands with the Chuar rebels and local village police forces failed to contain it, three regiments of infantry and eight pieces of canons were sent to cull the rebellion: two guns with 24th Regiment of Native Infantry and Ramgarh Battalion, two guns with the 34th Native Infantry, two guns and two howitzers with the 50th Native Infantry and a detachment of 5th Malwa Local Horse.54 The sheer size of the force and ordinances show that

50 See more, Aryama GHOSH, «Old Wine in New Bottles: Elements of Modern CounterinsurgencyModalitiesinEarlyColonial‘Pacification’ofRajmahal», Journal of Adivasi and Indigenous Studies, 11, 2 (2021), pp. 20-37.

51 K.K. BASU, «Augustus Cleveland», The Journal of the Bihar and Orissa Research, 28, 1 (1942), pp. 75-76.

52 H. RISLEY, The Caste and Tribes of Bengal, Indiana Publishing House, Calcutta, 1891, p. 161.

53 WBSA, Calcutta, Judicial Proceedings, Criminal Branch, dated 14th March 1800.

54 WBSA, Calcutta, Judicial Proceedings, Criminal Branch, dated 13th November 1832, n. 1.

once the disturbances took exceptional scale, colonial policing took the garb of military often supported by military itself. Armed offensives always ended with legal procedures. For example, in case of the Barasat Uprising of 1831, Company forces used two six-pounders and several muskets55 to overwhelm the rebels and the apprehended insurgents were put on trial which led to hanging or prison sentence. The Barasat Rebellion was primarily aimed at stopping the extortive acts of Hindu zamindars, the Bhadrabitta collaborators of the colonial state and when the insurgents took resort to violence, the colonial police forces extensively used brute force to stop the spread of the rebellion. In this phase, military and police would act as two different wings but often as one in the time of exceptional resistance but specialised force of military police would not develop till the first decade of the 20th century.

By the end of the 19th century, apart from tribal insurgencies, armed uprising reduced to none and expression of dissent in rural areas started to enter into the limited political space, already dominated by the collaborator Bhadrabittas. For example, 1873’s Pabna Rebellion was characteristically a rebellion of the ‘rich peasants’ or kulaks who were aware of the legal and non-violent processes of expression of dissent.56 Apart from the typical Marxist flavour to that connotation, these rural middle peasants challenged the feudal zamindars economically and too some extent legally, but their way of challenge was following the Bhadrabittas’ new colonial parlance. Police rarely resort to exceptional brute force in these cases but anti-colonial resistance from this time started to return back to the urban and mofussil space again as revolutionary terrorism. By the end of the 19th century, partly due to importation of European ideas like anarchism and nihilism in one side and Hindu revivalism on the other, gentlemanly youth would resort to violence, assassination based resistance to the colonial state. On the other hand, gradual communalisation of politics since the end of 19th century would another challenge to the colonial social order. This would lead to the second militarisation of the police force in Bengal.

This previous knowledge of dealing with insurgencies in Bengal served as a background for later day development of military police to deal with occasional violent peasant insurgencies as well as comparatively new nuisances like revolutionary terrorists and communal riots. Armed police as a division for such specialised jobs had been at work but the 20th century necessities made further progress in specialisation. The Commissioner of Police of Calcutta in 1910 pro-

55 WBSA, Calcutta, Judicial Proceedings, Criminal Branch, dated 22nd November 1831, n. 78.

56 See more, Eric STOKES, «The return of the peasant to South Asian History», South Asia: Journal of South Asian Studies, Series 1, 6, 1 (1976), pp. 96-111.

posed for the formation of a new company of Military Police as the armed police force seemed to be ‘inadequate for a Reserve for disturbances in Calcutta’.57 But interestingly it was not only for Calcutta but as H.T. Cullis, Under-Secretary of the Bengal Government proposed that the foremost activity of this police force would be ‘to be kept ready and intact, prepared to move directly their services are requisitioned wherever danger is threatened’.58

Cullis specifically pointed out the difference between the armed polices, whose job was to provide escort duty related miscellaneous jobs, while military police was for swift culling of insurgencies and riots, which were clubbed into the colonial taxonomy of disturbances. This colonial development was a departure from the traditional policing in the London metropolis, where the British policing was personified with ‘unarmed Bobby’ compared to the continental policing where the French Gendarmerie, the Italian Carabinieri, or the Dutch Marechausséepracticedarmedpolicing.59 WhileRoyalIrishConstabularywasa deviation from the earlier unarmed policing of London, this example was widely used, and to some extent perfected to be used in India and rest of the empire.60 Bengal interestingly shows the microcosmic picture of duel development: from early overlapping between military and policing duties to gradual specialisation of forces. In this gradual process some forces continuously changed its character like the Calcutta Mounted Police.

These tendencies of crowd control would later turn into much developed kind of policing systems. For suppose the mounted police system would come into existence due to the necessities of crowd and riot control in 1840s.61 Various other states like Madhya Pradesh also adopted mounted police just like Calcutta. Initially it was for courier and ceremonial services, but soon they started to serve ‘for bringing out orderliness in the carriages and people’.62 Soon these men were

57 Government of Bengal (here after GOB), Letter from F.L. Halliday, the Commissioner of Police, Calcutta, no. 16195, dated 24th December 1910, Political Department, Police Branch, File No. 34 of 1911, SL No. 1, paragraph 3.

58 GOB, Letter from H.T. Cullis to the Commissioner of Police, no. 1827P-D, Political Department, Police Branch, File No. 34 of 1911, SL No. 2, paragraph 2.

59 Dilip. K. DAS & Arvind VERMA, «The armed police in the British colonial tradition: The Indian perspective», Policing: An International Journal of Police Strategies & Management, 21, 2 (1998), p. 354.

60 P.J. STEAD, The Police of Britain, Macmillan Publishing Company, Basingstoke, 1985.

61 Lord Dalhousie adopted the London Metropolitan Police model in Calcutta in 1945. Mitchel ROTH, «Mounted Police Forces: a comparative history», Policing: An International Journal of Police Strategies & Management, 21, 4 (1998), p. 713.

62 Tapan CHATTOPADHYAY, The Story of Lalbazar: Its Origin and Growth, Firma KLM Pri-

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deputed with special patrolling duty around the maidan area of Calcutta armed with ‘a brace of pistol in holster and a belt of pouch containing ten rounds of ball ammunitions’.63 Most of the time, the traditional patrolling in the potential riotous areas stopped the possibility of riot. Controlling traffic and to some extent supervising surveillance over petty matters like ‘drainage, club plots, tents, and the general condition of the maidan area’ became the matter of their daily job.64 Apart from stopping petty criminals, Black Watch, the name given to the mounted police division, gradually became useful for stopping riots in Calcutta. Riots, particularly communal in character, became a new nuisance for the colonial urban management for which more specialisation in crowd control became necessary. However during the 1946’s riot in Calcutta, due to the new strategic policy named the ‘Emergency Action Scheme’, mounted police were kept in the Lalbazar control room and failed to check the riotous Muslim at outrage.65 Despite its iconic continuity as the symbol of colonial coercion, it remained as one of the most efficient coercive arms for crowd control even in the post-independence. Bengal’s first chief minister, Bidhan Chandra Roy’s government used thesepolicetostoptheprotestingcrowdin1954resultingintofivedeaths.66 This type of mounted police could be related to the militaristic development within the urban crowd control which was adopted by post-colonial state also; a type of continuous specialisation and evolution according to the colonial necessities.

Gods of Small Things: Minuscule Control as Policing the Urban Space of Kolkata

The striving to stop criminal activities is not new to an establishment, but the Calcutta police gradually started to muster some new codes of control which was the interesting point of departure from the pre-colonial past. By the Charter Act of 1793, a new type of official rose up; the Justice of the Peace, who were authorised to impose taxes on houses and lands to meet the expenses for

vate Limited, Calcutta, 1982, pp. 113-114.

63 Memorandum of the officer commanding the Black Watch, 2nd Bengal Native Cavalry, dated 7th June 1913, Fort William, quoted in CHATTOPADHYAY, cit., p. 115.

64 CHATTOPADHYAY, cit., p. 118.

65 NakazatoNARIAKI,«ThePoliticsofaPartitionRiot:CalcuttainAugust1946»,inSatoTSUGITAKA (ed.), Muslim Societies: Historical and comparative aspects, London/New York, Routledge Curzon, 2004, pp. 120-121.

66 Anwesha SENGUPTA, «Anti-Tram Fare Rise and Teachers’ Movement in Calcutta, 195354», in Ranabir SAMADDAR (ed.), From Popular Movements to Rebellion: The Naxalite Decade, London/New York, Rutledge, 2019, p. 78.

sanitation, maintenance of roads, police.67 Now, this was an importation from the British structure of municipal government just like posts like mayors, aldermen, burgesses.68 Like these structural importations, ideas of an ideal city were imported too. These men basically came from the gentlemanly upper middle classes who had already been gone through a hybrid metamorphosis in which tradition and modernity coexisted. Originally, the western idea of improving society transformed the objective of control, where policing was not only about apprehending criminals but to maintain law and order, where ‘order’ meant a lot related to the control of urban space. Paltry things related to sanitation and public health became part of this new era policing. Foucault points out such minute things of regulatory actions performed by the police related to sanitation as control which ultimately aims for ideal order.69

For suppose in the year 1791, the Superintendent of Police ordered the payment of one anna for every pariah dogs killed at the streets.70 These particular dogs used to get ferocious during the hot seasons, for which the colonial head of police used to conduct an annual cull of these dog breeds.This was not a particular case of Calcutta, but in Bombay, another important port city, the police used to conduct such annual purge of pests for public safety. In Bombay during 1832, special dog-killers were appointed just like Calcutta in exchange of payment of eight annas for each dog killed.71 So, the very job of pest exterminator was emerged as a duty of urban police which was a sign of modern control. Men and beasts of the colonised country were situated in the ideal urban map, and it was the job of the police to keep up to that mark. On the other hand killing of animals with cruelty became a concern of policing as a part of modernity. Calcutta was not an exception in this case. Due to the British pre-conception that dogs should be killed during rabies outbreak, colonial police often practiced an annual cull but with the growth of voices against animal cruelty things became more balanced and under jurisdictional control. In Hong Kong, police was empowered to kill any dogs in the streets between 10 pm to 6 am.72 On the other hand killing of

67 NAI, New Delhi, Minute of the Board, Home Department, Public Branch, 1794, O.C., 27th January, No. 1, pp. 397-428, paragraph 6 & 7.

68 Keshab CHOUDHURI, Calcutta: Story of its Government, Orient Longman, Calcutta, 1973.

69 Michel FOUCAULT, The Birth of the Clinic: An Archaeology of Medical Perception, Routledge, London, 1973, p. 24.

70 NAI, New Delhi, Letter from Mr.T. Harding, Clarke to Mr. Edward Hay, the Commissioner of Police, Home Department, Police Branch, 1791, O.C., 14th December, No. 12, pp. 4032-4033.

71 Jesse S. PALSETIA, «Mad Dogs and Parsis:The Bombay Dog Riot of 1832», Journal of Royal Asiatic Society, 11, 1 (2001), p. 14.

72 Shuk-Wah POON, «Dogs and British Colonialism: The Contested Ban on Eating Dogs in Co-

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

animals, even rats with cruelty became a punishable offence.73 Civilised empathy towards animals along with systematic culling of animals which became an interesting but dichotomous side of modernity became a space of policing.

Keeping the urban crowd in control was another important function of the police. Effective crowd control within escalating urbanisation became a concern of colonial police which would later grow into specialised branches for such objectives. The colonial urban governance always tried to keep a ledger of population residing and day-population. Along with sanitation and security-related necessities, keeping numerical control of the population became another important aspect of social order. Captain Birch, the Superintendent of Police in 1837, tried to keep a ledger of people entering the city throughout the day and classified them according to caste, nationality, gender. This taxonomic intention was locomoted by the objective of efficient social control.

Nationality/CasteMalesFemales

English19531185

Eurasians29501796

Portuguese 17151475

French10159

Armenians465171

Jews185122

Muguls314195

Parsees328

Arabs27279

Mugs450233

Chinese243 119

Madrasees3025

Native Christians3019

Hindoos8514552506

Mohamadans3893419810

Low Castes120747010

Total: 2,29705

74

lonialHongKong»,The Journal of Imperial and Commonwealth History,42,2(2014),p.316. 73 POON, cit., p. 313.

74 WBSA, Calcutta, Judicial Department, Criminal Branch, dated 27th April 1841, N. 10.

Figure 1: Captain Birch’s Census of Day-Population

The whole idea of having a population register got impetuous after 1850’s. Due to epidemics and growth of Eurasian population, officials often expressed the need of a proper estimate of the city’s population which ultimately partially materialised in 1866.75 This first scientific and systematic census despite various flaws was completed and according to the memorandum of the Chairman of the Justices of Peace, 26,480 rupees was the total expenditure of the endeavour.76

Not only keeping a ledger, but also with the growth of imperial confidence since the gaining of paramountcy by the East India Company after the Third Anglo Maratha War, Calcutta city administration took a new leap towards population control. For suppose in 1849, the Superintendent of Police imposed some restrictions related to native festival of Durga Puja, in which the devotees brings out a procession just like a carnival.77 As such processions used to crowd the important streets, the police planned to restrict a few streets from such religious processions. Native dignitaries of Hindu society protested against such regulations. The government didn’t approve such proposals but the intention of crowd control soon would be a necessary predicament of the city police. Just like the procession of Durga Puja, the city administration tried to ban the performative acts of Churuck festival. During these acts, the devotees used to pierce their bodies

Portrait of Ganga Narayan Singh (1790-1833), the great leader of Bhumij Tribes Revolt (183233), also known as Chuar Revolt. Britishers also named the rebellion as ‘Ganga Narain’s Hangama’, Kingsman3’s own work 2021, CC BY-SA4.0.

75 WBSA, Calcutta, General Department, General Branch, datedAugust 1862, Proceedings 40, 43.

76 WBSA, Calcutta, General Department, General Branch, dated February 1869, Proceedings B 66/69.

77 WBSA, Calcutta, Judicial Department, Judicial Branch, dated 5th September 1849, No. 9-10.

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with hooks, arrows and other sharp objects, which were seen as potential threat to law and order as well as disturbing to the reformed visual of the imperialists. Now, as the later festival was lower caste in nature, Bengali urban elites supported the ban unlike the case of the Durga Puja procession. While the Lieutenant Governor Cecil Beadon denounced the Churuck as ‘a practice dangerous to human life and safety and as an annoyance to all educated and right-thinking persons’78, the British Indian Association, an organisation of native townsmen, denounced the practices as ‘barbaric’, ‘cruel and degrading’and proclaimed that such practices are ‘confined to the lower orders of Hindoos’only.79 The critique of native ways due to colonial civilizing process became the agenda of urban policing and it seems that the new educated upper caste selectively collaborated to those reforming initiatives of the city administrations. The gentile middle class-uneducated lower caste divides which was the driving force of colonial times’state-society collaboration, remained the main scale of policing for which ‘Churuck’ crowd became criminalised while the upper caste crowd of ‘Durga Puja’ continued to dominate the space. Native Bhadrabitta collaborators had restricted but remains as sole agency in representing the indigenous realities and administrators rarely became able to go past them.

Public sanitation was the important factor which became part of the policing duties. Despite some early tries, the original drive towards the maintenance of city’s public hygiene started in the 19th century. The administration took initiatives like enacting laws and bye-laws for the acquiring of lands or improvement of sanitary condition. For example, in 1863 the Justice of Peace prepared a list of bye-laws for the sanitary purpose. According to these bye-laws, injunctions were proclaimed on bathing, washing of cloths, utensils etc in public; bathing any person suffering with contagious disease in public bathing places; unclean state of slaughter-houses, marketplaces within city periphery; shop owners congesting lanes, walks and pathways; irregular burial and crematory practices.80 Police was instructed to fine defaulters 20 rupees for each offence and further penalty of 10 rupees everyday for continuing such offences.81 But various forms

78 WBSA, Calcutta, Judicial Department, Judicial Branch, dated March 1865, Proceedings No. 141.

79 WBSA, Calcutta, Judicial Department, Judicial Branch, dated March 1865, Proceedings No. 141.

80 WBSA, Calcutta, Judicial Department, Judicial Branch, datedAugust 1863, Proceedings No. 93.

81 WBSA, Calcutta, Judicial Department, Judicial Branch, datedAugust 1863, Proceedings No. 93.

of protest from the indigenous society continued also. For example in 1781, native protesters hung posters in Calcutta Court house addressing the Governor General in Council and other white settlers of the town that if the ‘bye-law is attempted to be enforced or caused into execution against the Natives of the country, they will rise to defend their property’.82 These areas of minuscule control were never unchallenged. This was where policing became necessary. In April 1865, the government passed the first SlaughterhouseAct in which all the slaughterhouses were tried to be kept under centralised control locating in Tangra.83 Police soon would take the job of surveillance over such minute cases of sanitation and cleanliness. Tangra stockyard would be structured again in 1916 and despite the protest from the butchers, slaughter houses would be structured in a most centralised manner. Food Inspectors in that year would destroy 12000 tin-cans of adulterated clarified butter, editable oils, milks and 16000 lbs of diseased meat.84 Form early bye-laws which were supervised by common policemen, specialised sanitary and food inspectors were recruited by the end of the 19th century which shows the gradual progress of specialisation in managerial technology which grew along the line of earlier objective of minuscule control.

Keeping the city clean or streets uncongested became such an important concern for the city police that soon controlling the traffic became part of urban policing. The Hackney Carriage Act of 1864 passed a set of regulations and bye-laws by which the police administration tried to regularise crowd free traffic. The palanquin bearers were licensed to keep them under proper register.85 Authorities extended the system of registration further to all Coolies, Porters, and Hackney Coaches.86 These public vehicles were provided with stands and number of such stands increased later on. Such regulatory measures would soon demand for the organisation of a proper traffic police. DavidArnold argued that the coming of traffic police and growth of traffic expanded the opportunity of policing as well as the consolidation of ‘everyday state’.87 Interestingly day to

82 NAI, New Delhi, Letter from the Commissioner of Police, Home Department, Public Branch, 1781, O.C., 22nd January, C File, No. 19.

83 Samiparna SAMANTA, Cruelty Contested: The British, Bengalis, and Animals in Colonial Bengal, 1850-1920, unpublished PhD Thesis, The Florida State University, School of Arts and Sciences, 2012, p. 130.

84 Report on the Administration of Bengal 1916-17, Bengal Secretariat Book Depot, Calcutta, 1918, pp. 45-46.

85 WBSA, Calcutta, Judicial Department, Criminal Branch, dated 16th August 1836, No. 5.

86 WBSA, Calcutta, Judicial Department, Criminal Branch, dated 27th August 1838, No. 14.

87 David ARNOLD, «The Problem of Traffic: The street-life of modernity in late-colonial In-

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day chances of defiance and occasional protest by disturbing the traffic became a matter of resistance. So, basically traffic police became the specialised agents of the old objective of spatial control which had started with the early 19th century interest of jostle free traffic in ordered urban space.

Conclusion

It seems that early Bengal policing was the phase when imported notions of modernised control was checked with colonial realities like the lack of manpower and capital, for which the Company state used the police to fulfil various objectives ranged from city sanitation and control to culling of armed insurgents. They became the ‘Jack of all trades, but master of nothing’ leading to occasional misadministration and structural failures. But gradual specialisation of the forces based on the necessities and objectives, policing ability gradually increased and efficiency reached to optimum for which till the end of the rule apart from some stray cases, Police successfully controlled Bengal. This specialisation happened in the sector of gradual militarisation, steady state-society relation, and regular growth of the microphysics of spatial control. Compared to London metropolis and its European counterparts, Bengal police not only continue ‘policing by consent’but also periodically used militaristic brutality to cull exceptional disturbances. This hybridisation and steady evolutionary specialisation made it one of the most efficient police forces. But this development had some uncontrolled by-products. Native Bhadrabitta collaborators due to their monopoly over the limited political space strengthen their casteism and infused that into the colonial policing structure which detached the lower tier majority from the demonstrative welfare of the colonial statecraft. These men rarely found entry into the limited political space till the end of the World War I.

dia», Modern Asian Studies, 46, 1 (2012), pp. 119-141.

Statue of Sidhu and Kanhu Murmu, the leaders of the Santhai Rebellion, in Dinajpur District. Kritzolina’s own work, 2020, CC BY-SA4.0.

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L’exercice de la police en tenue civile : Débats et pratiques au sein de la gendarmerie belge

(19e -20e siècles)

par Jonas camPIon1

aBstract. The Belgian gendarmerie is a police force with a military identity. For the gendarmes, to be uniform dressed while on duty seems to be evidence and a constitutive part of their professional values. However, from the first third of the 19th century onwards, there were increasing discussions and tensions about the need and the right for gendarmes to use civilian clothes for policing. Some saw this as a guarantee of efficiency. Others denounced this: in their view, this idea was both illegal and illegitimate in the liberal values of Belgian society. The use of bourgeois dress was thus seen as High Police. It is a long way to see the use of civilian clothes by gendarmes becoming a legal, and mostly accepted, way of policing. In this contribution, we want to review the key moments and the main arguments developed around this issue. The aim is to understand, from the Belgian independence (1830) to the aftermaths of World War II, how and why this form of policing became part of the normality of the gendarmes’modes of action. We use unpublished archives from the gendarmerie, as well as official and press debates. We also use printed publications as leaflets or pamphlets.

keyWorDs: BelgIum – genDarmerIe – unIform – cIVIlIan clotHes – PolIce – PolItIcal PolIce.

Comme les autres gendarmeries européennes issues du moule impérial français, la gendarmerie belge a été jusqu’en 1992 une force de police d’identitémilitaire.Danscecadre,leportdel’uniformedurantleservicesemble être une évidence, part constitutive et indiscutable de l’identité professionnelle des gendarmes. Pourtant, dès le premier tiers du 19e siècle, les échanges se multiplient en Belgique autour de la nécessité de pouvoir exercer certaines missions en tenue civile.

Il ne s’agit pas seulement d’une question d’apparence ou de symbole. Le choix de rendre visible ou non l’action policière dans l’espace public interroge

1 Professeur, Département des Sciences humaines, Université du Québec à Trois-RivièresCentre interuniversitaire d’études québécoises (CIEQ).

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 84

la perception de la « bonne police »2 : en démocratie, celle-ci est-elle par nature loyale, car visible de tous, ou peut-elle être, et dans quelles circonstances, clandestine ? Le paradigme de la « bonne police » soulève tant des questions identitaires sur la nature de la police dans la société belge que sur son efficacité.Au sein d’un État moderne, le rôle de la police est d’assurer l’ordre et la tranquillité publique, de protéger les biens et personnes et de réprimer la criminalité. L’uniforme le permet-il grâce à sa visibilité, faisant office de frein au passage à l’acte criminel ?Au contraire, faut-il pouvoir agir de manière discrète pour surprendre les criminels ? Enfin, ce paradigme interroge le contrôle hiérarchique – politique, judiciaire ou militaire – de ces pratiques en vêtements civils, ainsi que le degré d’autonomie des policiers ou gendarmes lorsqu’ils y recourent.

Dans la Belgique de la première moitié du 19e siècle, certains y voient la garantie d’une meilleure efficacité policière – une nécessité face aux enjeux de l’ordre et de la sécurité d’une société en pleine industrialisation. Au contraire, d’autres dénoncent à cet égard des méthodes à la fois illégales et illégitimes, s’opposant aux valeurs libérales alors en vigueur : le recours à l’habit bourgeois est décrié comme moyen d’exercice d’une Haute Police, outil répressif et au service exclusif du pouvoir. Entre scandales, dénonciations, lente évolution du cadre réglementaire et des pratiques effectives des gendarmes, la question de la discrétion des gendarmes dans l’exercice de leurs fonctions traverse les décennies, se développant entre période de « crises » et moments plus apaisés. Le chemin sera long pour que l’usage de tenues civiles devienne une modalité légale, et majoritairement acceptée de l’exercice de la police par les gendarmes belges.

Cette contribution veut baliser cette histoire, révélatrice d’enjeux policiers plus larges. S’y entrechoquent l’articulation entre dynamiques civiles et militaires de l’ordre, la question de l’autonomie des agents de l’ordre ou celle de la spécialisation des polices3. Il s’agit de comprendre à la fois les argumentaires

2 Surlaquestiondelasymboliqueetdesenjeuxdel’uniformedesagentsdel’ordre,lireàpartir du cas français : Arnaud Houte, « Prestiges de l’uniforme. Policiers et gendarmes dans la France du XIXème siècle », in Clio. Histoire, femmes et sociétés, n°36, 2012, pp. 153-165 et Laurent loPez, « De l’étoffe dont on fait les forces de l’ordre. Les uniformes des gendarmes et policiers français à la fin du XIXème siècle », in Modes pratiques. Revue d’histoire du vêtement et de la mode, n°1, 2015, pp. 195-217.

3 Pour une synthèse de l’histoire des polices en Belgique, Jonas camPIon, Margo De koster, Luc keunIngs, Benoît maJerus, Xavier rousseaux, FrançoisWelter, « L’appareil policier en Belgique(1830-2010)»,M.De koster,D.HeIrBaut,X.rousseaux (dir.), Tweehonderd Jaar Justitie. Historische Encyclopedie van de Belgische Justitie. Deux siècles de justice. Encyclopédie historique de la justice belge, Bruges, La Charte, 2015, pp. 385-419. Voir aussi Jonas camPIon, « Stabilité et crises du système policier belge (1830-2018) », in Lien social & Poli-

Gendarmerie, à pied et à cheval 1833 (Rouen, colored later.), Vinkhuijzen Collection, 1910. Draper Fund, NYPL, Image ID 85998. Public Domain.

et les pratiques autour du travail policier en civil, au regard des logiques institutionnelles de la gendarmerie et des enjeux de philosophie politique sur la définition de la police dans un État libéral, reflet d’une société à la fois clivée et polarisée entre mondes catholique, libéral et ouvrier. Il faut surtout éclairer les conditions de la normalisation progressive du travail gendarmique en civil. Entre la première moitié du 19e et la seconde moitié du 20e siècle, quels sont le moments, arguments et acteurs qui en font évoluer les contours ?

De l’Indépendance à la question sociale : une vision bourgeoise & « loyale » de la sécurité

Lors des débats du Congrès national, assemblée constituante établie quelques jours après la révolution de septembre 1830, l’ordre public et les formes futures de la police en Belgique sont des thèmes abordés à plusieurs reprises. Les valeurs qui fondent l’organisation, l’action ou le contrôle des policiers sont une des clés du processus de construction de l’État belge, qui s’affirme en utilisant comme

tiques, n°84, 2020, pp. 35-59.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 86

repoussoirs les modèles centralisés français et néerlandais. C’est une vision partagée de la police qui est alors promue par les élites catholiques et libérales, unies pour la réussite du projet national. Elle promeut une sécurité bourgeoise, locale et plurielle, défendant leurs intérêts et la propriété privée. Les liens qui sont envisagés entre fonctions de police et les citoyens sont forts, que ce soit par le rôle donné aux bourgmestres ou par l’organisation de gardes civiques.

L’imaged’unesécuritépubliquequisoitloyale,éloignéedetoutecontingence politique se dessine. La méfiance est de mise envers la Haute police ou les moyens de surveiller de trop près les citoyens – du moins, ceux légitimes à intervenir dans l’espace public4. On dénonce le principe de la surveillance idéologique, le recours aux mouchards ou à la police de l’ombre. Le 15 janvier 1831, le ministre provisoire de la Justice souligne qu’« en temps ordinaires, un ministère de la Sûreté est inutile, dangereux même »5. Concession à ces idéaux au regard du principe de réalité face à la situation précaire du pays, une Sûreté publique est instaurée dans une logique de « mal nécessaire ». Le libéral franc-maçon Isidore de Plaisant6, son premier administrateur, tient un discours empreint de ces idées lorsqu’il définit les priorités à mettre en œuvre dans le pays en matière de sécurité :

« la surveillance que tant d’événements extraordinaires exigeaient ne pouvait plus être celle d’une inquisition ténébreuse, mais une police qui, toute bienveillante et protectrice, ne s’occupât que des intérêts généraux, et qui toujours en harmonie avec l’opinion publique, loin d’être repoussée par elle, y trouvât au contraire sa force et son appui »7

On promeut de cette façon une police revêtue d’un uniforme ou d’attributs distinctifs. Elle doit être visible et identifiable par tous. Lors des journées révo-

4 Voir les travaux de Luc Keunings pour un aperçu général de la question, et ses conséquences au sein de la Sûreté publique ou de la police communale de Bruxelles. Luc keunIngs, « Les grandes étapes de l’évolution de la police secrète en Belgique au XIXème siècle », in Bulletin trimestriel du Crédit communal de Belgique, n°69, 1989, pp. 3-30 et Polices secrètes et secrets de la police à Bruxelles au XIXème siècle, Bruxelles,Archives de la ville de Bruxelles, 2007.

5 Émile Huyttens (éd.), Discussions du Congrès national de Belgique 1830-1831, Bruxelles, Warlen & Cie, 1844, séance du 15 janvier 1831, p. 175.

6 Julien cHarlIer, « Isidore Plaisant », Digithemis, (en ligne sur http://www.digithemis.be/index.php /contributions/articles/873-plaisant, consulté le 7 avril 2020).

7 Extrait du rapport sur la situation du département de la Sûreté publique, présenté devant le Congrès national, par Isidore Plaisant, administrateur général de la Sûreté publique, 13 décembre 1830, cité dans Luc keunIngs, Des polices si tranquilles. Une histoire de l’appareil policier belge au 19e siècle. Louvain-la-Neuve, PUL, 2009, p. 108.

lutionnaires, la commission de sûreté – ébauche de l’administration en charge de l’ordre public – énonce ce principe comme fondement même de l’exercice de la police. Elle décrète « qu’aucun chef ou membre de la police ne pourra exercer son office ou se montrer en public, sans être revêtu d’un signe distinctif et apparent »8 .

Corps militaire notamment en charge de missions de police avec compétences nationales, la gendarmerie est alors essentiellement pensée pour assurer la sécurité des voies de communications et la lutte contre la criminalité itinérante ou rurale. Elle peut également intervenir pour rétablir l’ordre public. Pour cette institution à la généalogie déjà ancienne, l’exercice de ces missions en uniforme est alors une évidence. D’une part, les principes libéraux de 1830 confirment le cadre réglementaire déjà en vigueur. Celui-ci est directement repris des régimes antérieurs (loi française du 28 Germinal an VI et règlement néerlandais du 30 janvier 1815 sur la police, la discipline et le service de la Maréchaussée). Le règlement de 1815 stipule ainsi, à propos du service des membres de

8 Décision de la commission de Sûreté communiquée à la régence de la ville de Bruxelles, peu avant les journées de Septembre, 14 septembre 1830, cité dans keunIngs, Des polices si tranquilles…, op. cit., p. 109.

Gendarmes (gendarmerie) en poste à l’avenue de la Couronne à Ixelles en 1910 –Belgique. Groupe Facebook “Rijkswacht-Gendarmerie”. Domaine public.

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l’arme que, « les uns et les autres, de service commandé ou non, ne sortiront jamais de leur caserne qu’en uniforme, bien peignés, chaussés et armés de leur sabre »9. D’autre part, l’identité militaire du corps et le type de missions exercées représentent deux facteurs qui renforcent la perception d’un service des gendarmes nécessairement et utilement effectué en uniforme. La jurisprudence confirme cette manière de procéder. Édition après édition, la conclusion de la « théorie Berth » publiée pour la première fois en 1853, principal support à la formation des gendarmes, insiste sur la question. Écrit sous forme de questions/ réponses facilement assimilables par le personnel, le texte revient sur ce que « doivent faire les gendarmes pour opérer avec régularité et être à l’abri de tout reproche ». Le premier élément repris dans la réponse est l’exercice de « leurs fonctions en étant revêtus de leur uniforme »10.

Les choses ne sont pourtant pas si évidentes que les textes le laissent penser. En novembre 1839, le commandant de la gendarmerie diffuse un ordre de corps consacré à la lutte contre le braconnage dans lequel il rappelle aux officiers, sous-officiers et gendarmes, « qu’ils ne doivent jamais, dans l’exercice de leurs fonctions, faire aucun acte sans être revêtus de leur uniforme et sans être à même de faire paraître les marques distinctives de leur qualité »11. Selon lui, il s’agit d’une garantie permettant la poursuite effective d’éventuelles violences à l’égard des gendarmes en tant que rébellions armées. Celle-ci sont plus durement réprimées par la Justice que les simples violences12. La note est intéressante pour ce qu’elle laisse deviner. Si d’un côté, elle rappelle un cadre réglementaire, elle révèle de l’autre, de manière implicite, que ce dernier n’est pas toujours appliqué par les gendarmes. Comme le laisse entendre en s’y opposant le commandant du corps, pour un domaine au moins, celui de la répression du braconnage, des gendarmes estiment qu’il est plus efficace (pratique ?) d’agir autrement qu’en uniforme.

9 Article 2 du règlement du 30 janvier 1815 portant sur la police, la discipline et le service de la gendarmerie.

10 Capitaine Camille BertH, Théorie spéciale sur le service de la police judiciaire et administrative, par demandes et par réponses, à l’usage de la gendarmerie nationale belge, 4e éd., Bruxelles, Bruylant, 1875, p. 298.

11 « Circulaire du commandant de la gendarmerie aux majors, rappelant les marques distinctives dont les gendarmes doivent être revêtus dans leur service, 7 novembre 1839 », Gendarmerie nationale, Recueil des règlements, instructions, ordres, circulaires, etc. se rapportant au service de l’arme, Gand, 1911, p. 136.

12 Sur cette stratégie, lire Melpomeni skorDou, « La judiciarisation des rébellions par les forces de l’ordre à Bruxelles de 1945 à 1975 », in Criminologie, vol. 45, n. 2, 2012, pp. 277–299.

Le modèle policier qui s’établit en 1830 est, par les principes qu’il promeut, révélateur d’une vision bourgeoise de la sécurité. Elle est pensée par et pour des élites sociales, intellectuelles ou économiques qui partagent un entre-soi, malgré les oppositions philosophiques entre catholiques et libéraux. Ces élites encadrent les limites du travail policier au regard de leurs expériences et de leurs craintes. Au premier rang de celles-ci, ils placent le recours à une police politique, faite notamment d’espionnage, qui puisse les cibler et les surveiller. Au-delà de ces considérations politiques, la sécurité est pensée dans une logique de régulation informelle, traditionnelle dans ses risques et ses cibles. Dans une industrialisation balbutiante, la question ouvrière n’est pas encore perçue comme problématique par ses revendications ou par les troubles qui lui sont associés. Par conséquent, une police visible de tous suffit bien souvent, par sa seule présence à pourvoir à la demande de sécurité, comme l’illustre la situation de la gendarmerie.

Adaptations de terrain, scandales et débats (1840-1940)

Comme l’ordre de corps de 1839 le laissait entrevoir, cette vision est appelée à évoluer face à un contexte social, politique et économique mouvant. À partir de 1841, il est dorénavant officiellement permis aux gendarmes de se « travestir » dans certaines circonstances bien précises. Cela peut se faire dans le cadre de l’exécution de mandats d’arrestation, sur demande et sous contrôle de l’autorité judiciaire. L’usage du déguisement doit rester proportionné et limité. Surtout, les gendarmes doivent toujours pouvoir s’identifier à l’aide d’une médaille professionnelle portée sous leurs vêtements. Lorsque cela s’avère nécessaire, ils ne peuvent recourir à la force qu’en usant d’armes réglementaires13 .

La première idée derrière cette révision du cadre réglementaire est d’éviter certaines difficultés rencontrées sur le terrain : la « bonne police » doit permettre l’effectivité de la répression judiciaire et cela nécessite parfois plus de discrétion que l’uniforme. Il s’agit ici de la continuité et de l’officialisation des pratiques qui transparaissaient dans l’ordre de 1839 à propos du braconnage. Le moment est néanmoins important car pour la première fois, on reconnaît le droit à des militaires à agir sans uniforme. La seconde idée présente dans ce nouveau règlement tient à la mise en place d’un contrôle strict du recours aux tenues bourgeoises. Les gendarmes ne peuvent y recourir que dans un cadre de police

13 « Circulaire du 2 mars 1841, reprise dans la note du ministre de la Guerre du 24 octobre 1884 », Recueil des circulaires, instructions et autres actes émanés du ministère de la justice ou relatifs à ce département, Bruxelles, Imprimerie De Weissenbruch, 1884, p. 658.

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judiciaire répressive, sous l’autorité d’un magistrat. Enfin, la précision sur les armes réglementaires est un rappel que même en civils, les gendarmes sont des militaires, titulaires de l’exercice d’un usage codifié et encadré de la violence étatique.

Progressivement, il faut observer l’extension dans la pratique policière du cadre entourant l’usage de tenues bourgeoises. Tant pour la justice belge que pour les gendarmes, il s’agit maintenant de disposer de méthodes renouvelées pour surveiller et punir les anarchistes, actifs à l’échelle continentale, mais aussi les associations ouvrières belges14. Le développement du militantisme ouvrier, revendiquant une amélioration des conditions de travail et d’existence ainsi qu’un élargissement de la citoyenneté devient un objet sécuritaire prioritaire.

Le recours à des gendarmes en tenue bourgeoise est du point de vue des institutions, indispensable pour exercer leur contrôle avec efficacité. Celui-ci s’effectue dans une autre logique que ce qui prévalait depuis 1841. La mission de gendarmes n’est plus seulement répressive faisant suite à un crime déjà commis, elle s’intègre dans une logique de surveillance préventive et de collecte d’informations jugées utiles à une éventuelle action policière répressive ultérieure. Surtout, le recours à ces méthodes se caractérise par une large autonomie administrative des gendarmes, soutenue par des impulsions venant du pouvoir exécutif : il n’existe plus à leur propos ni contrôle législatif ou judiciaire préalable.

Ainsi, la gendarmerie met sur pied au début des années 1880 une brigade de militaires opérant habituellement en civil, officiellement destinée à escorter et protéger les déplacements royaux entre sa résidence et le Palais ou devant intervenir lors de ses apparitions publiques. Son organisation est justifiée par le risque d’attentat anarchiste, dans la lignée de la série d’assassinats ou de tentatives d’assassinat ayant visé des têtes couronnées en Europe depuis 187815 .

14 Luc keunIngs, « Ordre public et peur du rouge au XIXème siècle. La police, les socialistes et les anarchistes à Bruxelles (1886-1914) », in Revue belge d’histoire contemporaine, vol. 25, 1994-1995, pp. 329-396 ; Laurent loPez, « Terrorisme, banditisme, récidive… Genèse de la question d’une coopération policière européenne. France, Belgique, Luxembourg et Suisse, fin 19e – début 20e siècle », J. camPIon (dir.), Organiser, innover, agir. Réformer et adapter les polices en Belgique (18e -21e siècles), Louvain-la-Neuve, Presses universitaires de Louvain, 2017, pp. 49-65.

15 En 1878, deux tentatives d’assassinat de Guillaume Ier, une d’Alphonse XII d’Espagne et une dernièrevisantd’HumbertIerd’Italie;en1881,assassinatduTsarAlexandreII;en1883,nouvelle tentative à l’encontre de Guillaume Ier. Lire Gilles ferragu, Histoire du terrorisme, Paris, Perrin, 2014, pp. 96-126.

Ce croquis représente un officier de la gendarmerie belge. L’article est l’un des 123 dessins et aquarelles à la plume et à l’encre de deux volumes intitulés : « Sketches of the War : France/Belgium ». Les croquis varient de dessins animés satiriques à des interprétations plus détaillées et naturalistes. Ils sont souvent accompagnés d’un titre ironique et sont fréquemment signés des initiales de l’artiste, « J.M. » Les cibles satiriques de l’artiste incluent les officiers et le haut commandement des deux parties. University of Victoria Library, foto 2015 Flickr. .

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Le recours à l’habit bourgeois, qui était jusqu’alors un moyen ponctuel, devient maintenant une pratique permanente et ordinaire. Surtout, le champ d’intervention de ces gendarmes semble très large. Ils exécutent des contrôles des personnes et des missions de surveillance dans des gares, dans des lieux de passage dans une fourchette chronologique extensive par rapport aux stricts déplacements royaux16 .

En 1884, ces pratiques deviennent objet de controverses. Celles-ci s’inscrivent dans un climat politique exacerbé par les tensions entre catholiques et libéraux sur la question scolaire, par la récente victoire catholique aux élections législatives et par la montée en puissance du mouvement ouvrier qui se structure en un véritable parti ouvrier belge. Une circulaire d’octobre 1884 avait confirmé une nouvelle fois la légalité du recours par les gendarmes à des vêtements civils « pour remplir plus facilement leurs missions dans certains cas déterminés ». Elle précisait à cet égard que « l’uniforme n’est que le symbole extérieur de leur qualité d’agent de la force publique »17. Selon ce texte, seule compte la possibilité de justifier l’appartenance au corps grâce à une médaille professionnelle. Cette circulaire ne convainc pas les détracteurs de l’action en civil de la gendarmerie. Ceux-ci soulignent, en vertu du principe de hiérarchie des normes qu’elle ne règle rien, puisqu’étant inférieure et s’opposant au règlement de 1815 qui demeure selon eux le seul fondement légal pour la gendarmerie.

En décembre, la question est abordée au Parlement. On s’y demande si, lorsqu’il est en civil, un gendarme doit être considéré comme étant en service. Répondant par la négative, les libéraux dénoncent la formation d’une garde prétorienne au sein du corps, transformant les gendarmes en « espion », en dehors de tout cadre légal. On s’interroge sur les donneurs d’ordre de ces pratiques, qu’on interprète comme le symbole et le « syndrome » de l’existence d’une police politique en Belgique18. Minimisant ces critiques, le gouvernement catholique oppose à ce registre argumentaire déjà ancien, celui de l’efficacité policière, y ajoutant en outre un argument neuf : celui de la limitation des troubles. Selon lui, le recours à des gendarmes en tenue civil permet souvent d’éviter des dérapages en matière d’ordre, grâce à la discrétion qui en découle. Lors des débats, on regrette surtout unanimement l’absence d’une loi organique sur la

16 keunIngs, Des polices si tranquille…, op. cit., p. 55.

17 « Note du ministre de la Guerre du 24 octobre 1884 », Recueil des circulaires, instructions et autres actes émanés du ministère de la justice ou relatifs à ce département, Bruxelles, Imprimerie De Weissenbruch, 1884, p. 658.

18 Annales parlementaires. Chambre, séances des 4 et 5 décembre 1884.

gendarmerie, prévue par la Constitution mais pas encore votée, pour en baliser efficacement le fonctionnement19 .

Une intervention de Charles Buls20, bourgmestre libéral de Bruxelles, contribue à mettre de l’huile sur le feu. Dans un ordre transmis à la police communale de la capitale, il réaffirme qu’un gendarme ne peut agir en civil et que celui-ci se rend coupable d’arrestation arbitraire s’il procède à des interpellations sans son uniforme. Consigne est donc donnée aux agents de la police communale d’arrêter ces gendarmes21, sans que l’on sache ce qu’il en est réellement sur le terrain. Le bourgmestre introduit ainsi un volet de concurrence policière dans le débat.

Survenant en 1886, l’affaire Louis Frank constitue, même si elle reste de faible importance politique, une synthèse éclairante des débats et arguments échangés durant cette période de contestation du recours à la tenue civile par les soldats de la loi22. Juriste, publiciste, féministe libre-penseur, se définissant lui-même comme « juif, libéral, frondeur », Louis Frank est en 1886 étudiant en droit23.Ayant déjà fait l’objet de poursuites judiciaires, notamment en 1884 pour avoir tenu des propos républicains, il fait partie, de par ses positions politiques des publics « ciblés » par la police belge, notamment les gendarmes en civil. Lors d’une de ces surveillances, il aurait traité un gendarme qui le suivait de « mouchard » 24. Poursuivi par ce dernier pour injure et calomnie, Frank entend faire de son procès, celui de la gendarmerie et de ses pratiques.

Son argumentaire tient en deux idées principales : d’une part, il s’interroge

19 Il faudra attendre 1957 pour que cette loi soit finalement adoptée, à la suite de la conjonction de deux crises : celle de la guerre et celle de la Question Royale, marquée notamment par la mort de 4 manifestants communistes suite à une intervention de gendarmes en aout 1950 dans la ville de Grâce-Berleur.

20 Mina mertens, « Charles Buls », Biographie Nationale, t. 30, Bruxelles, Bruylant, 1958, pp. 231-236.

21 Annales parlementaires. Chambre, séances des 4 et 5 décembre 1884.

22 Louis frank, Les gendarmes en bourgeois. Poursuite arbitraire du parquet du tribunal de 1ère instance de Bruxelles, Bruxelles, Bourlard, 1886. L’affaire a aussi un intérêt documentaire, puisque Frank dresse un état des lieux des débats politiques et règlements en vigueur concernant cette question.

23 Sur sa personnalité, lire Françoise De Bueger-Van lIerDe, « Louis Frank, Pionnier du Mouvement Féministe Belge », in Revue Belge d’Histoire Contemporaine, vol. 4, 1973, pp. 377392. Lire aussi, sur les rapports entre Frank et la justice belge, keunIngs, « Ordre public et peur du rouge au XIXème siècle… », art. cité.

24 Le point de vue que nous reprenons ici est celui de Frank, présenté dans le pamphlet publié suite à l’affaire. Nous ne sommes pas partis à la recherche du dossier de procédure judiciaire, peu pertinent pour nos interrogations.

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sur le droit qu’a un gendarme d’effectuer une mission en civil sans réquisition d’une autorité judiciaire. Il cherche par-là à démontrer qu’il n’a ni injurié, ni calomnié un policier en exercice, mais qu’il s’est adressé à un « simple » citoyen, qui le suivait sans raison. D’autre part, il s’interroge sur l’existence d’une Haute police en Belgique, en charge de missions de surveillance éloignées des idéaux libéraux.

Adjudant de la gendarmerie belge portant les 8 chevrons de front de la Première

Guerre mondiale photographié vers 1920. Travail personnel Jean-Pol Grandmont, GNU Free Documentation License.

Cet argumentaire, représentatif du débat contemporain est développé dans un pamphlet publié à l’issue de sa condamnation par défaut25. Insistant sur la nécessité de publiciser l’affaire au vu de ses conséquences sur la liberté publique de tous les citoyens, Frank s’évertue à démontrer – par un portrait parfois féroce des gendarmes – qu’il ne peut jamais avoir de militaire en tenue bourgeoise. Mobilisant le droit, la jurisprudence et les récents débats parlementaires, il affirme que « les gendarmes sans tenue, sans uniforme sans sabre, en un mot, sans armes, ne se conçoivent pas plus que l’amiral suisse».Ilestparconséquentfauxd’affirmer que ceux-ci effectuent une tâche policière lorsqu’ils agissent habillés de cettefaçon,notammentsousprétextede la protection de la personne du Roi. Au contraire, ils ne font que « moucher, espionner les citoyens sans défiance ». Son discours ne laisse que peu de place à la nuance : « Quand ils remplissent cette

25 Frank explique avoir été obligé de présenter son point de vue par écrit car, le jour de l’audience, invité à attendre l’appel de sa cause par un huissier, il est parti se rafraichir dans un café. Revenant à l’heure dite, son affaire avait été instruite…

besogne odieuse sont-ils gendarmes en fonctions ? Mais qui donc aurait l’audace de le prétendre ! » 26

La fièvre de 1884-1886 retombe progressivement. À son issue, c’est à nouveau le statut quo qui s’impose. Des tensions surviennent de manière cyclique, tandis que le corps cherche toujours à étendre les possibilités d’exercer la police en tenue civile, entre renseignement politique et police judiciaire. En 1895, le Parti Ouvrier belge refuse le vote du budget de la gendarmerie, pour protester contre les « provocations » de gendarmes en tenues bourgeoises lors de meetings ou réunions politiques, parfois privées. En 1902, dans la ville de Louvain, des gendarmes en civils sont molestés par une foule en colère lors d’une séquence électorale et livrés à la police communale27. En 1904, des brigades de recherches de la gendarmerie, se spécialisant dans la police judiciaire en civil, apparaissentdanscertainesvillesdupays. Restant anecdotiques avant la Première guerre, elles prennent ensuite de l’importance, se targuant d’un bilan de près de 250 arrestations effectuées durant l’année 192228 .

Au final, cette seconde période se résume par la superposition de critiques

26 Frank, Les gendarmes en bourgeois…, op. cit., p. 46 et 64.

27 Lode Van outrIVe, Yves cartuyVels, Paul Ponsaers, Les polices en Belgique : histoire socio-politique du système policier de 1794 à nos jours, Bruxelles, EVO, 1991, p. 57.

28 Benoît DuPuIs, Jocelyn Balcaen, Guido DenIs, La gendarmerie belge : souvenirs d’un corps d’élite, Tournai, La Renaissance du Livre, 2001, p. 152.

Gendarme en 1947, photo scannée collection personnelle Paul Hermans 26-02-2008_17-49-00 GNU Free Documentation License.

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face à la gendarmerie lorsqu’elle opère en civil et par l’extension de cette pratique malgré (ou grâce ?) aux débats qu’elle suscite. Les argumentaires mobilisés se rapportent tant aux risques et dangers d’une police supposément politique et aux ordres d’un pouvoir central, qu’à des questions professionnelles, de capacités d’agir. Les débats révèlent deux choses : d’une part, les clivages toujours plus importants de la société belge où l’idéal unioniste bourgeois du début de l’Indépendance est dépassé par les conflits entre catholiques, libéraux et mouvement ouvrier. Ces derniers déteignent sur la vision de l’institution policière. D’autre part, l’extension pas à pas du recours à des gendarmes en tenue civile illustre en partie la situation générale du corps dans le pays. Il monte progressivement en puissance et en autonomie, s’urbanisant et prenant une part plus importante dans la répression de la criminalité29 et dans le contrôle des groupes considérés comme à risque.

Du point de vue des gendarmes, il est logique que ce nouveau cadre d’action débouche sur des techniques renouvelées, les plus adaptées au contexte rencontré et aux populations à surveiller. Le contexte policier belge du début du vingtième siècle contribue également à normaliser, du point de vue gendarmique, le travail en civil. À l’issue de la Première Guerre mondiale, une police judiciaire près les Parquets est instaurée en vue de réprimer le crime. Fruit de vieux débats, cette police civile est par nature discrète dans ses modes d’intervention30. Des contacts entre la police judiciaire et la gendarmerie surviennent, notamment au sein de la nouvelle école de criminologie et de police scientifique, débouchant sur des emprunts réciproques entre institutions policières31 .

29 Axel tIxHon, «L’essor de la gendarmerie belge et la mesure de la criminalité au XIXème siècle», J-N. luc (dir.). Gendarmerie, État et société au XIXème siècle, Paris, Publications de la Sorbonne, 2002, pp. 459-472.

30 François Welter, La police judiciaire près les parquets en Belgique (1919-1952). Une police décentralisée, moderne et politique, thèse de doctorat en histoire, UCLouvain, 2022 ; Pol Drossens, Inventaris van het archief van de gerechtelijke politie bij het parket van de procureur des Konings van Antwerpen (PK Antwerpen 2001 C) (1919-1999), Bruxelles,AGR/AE, 2019 ; Pol Drossens, Karel Velle, Inventaris van het archief van de gerechtelijke politie bij het parket van de procureur des Konings van Gent (1919-2001), Bruxelles,AGR/AE, 2019.

31 David somer, « The Criminology and Forensic Police School: The Twofold Project to humanise Judicial Practice and to Implement Technical Police in Belgium », J. camPIon, X. rousseaux (dir.), Policing New Risks in Modern European History, Basingstoke, Palgrave Mac Millan, 2015, pp. 36-56.

Un intermède ? Police politique, police collaborationniste, police légitime (1940-1945)

La Seconde Guerre mondiale est un autre moment où la clandestinité du travail des gendarmes fait largement débat. Comme au sein du reste de l’appareil policier belge, l’occupation allemande représente une période de réformes au sein du corps32. Volontés politiques, critères d’efficience professionnelle ou de « modernisation » se conjuguent dans un mouvement dont les acteurs principaux sont les autorités allemandes et certains milieux collaborationnistes belges. Non sans heurts, la gendarmerie est renforcée, restructurée et politisée, essentiellement entre 1941 et 1943. De nouvelles unités sont organisées en son sein. Parmi celles-ci, il faut s’arrêter sur la compagnie état-major, dont les modes d’action susciteront de fortes critiques lors des épurations de la Libération. La surveillance et la répression exercées par les gendarmes de l’unité posent à nouveau la question des liens entre action policière et projet politique, appliquée ici à la matrice résistance/collaboration.

Forte de près d’une centaine de gendarmes, la compagnie état-major voit le jour en 1943, lorsque la situation en Belgique occupée est déjà profondément polarisée. Elle incarne le symbole de cette nouvelle gendarmerie, largement transformée depuis le début du conflit. Placée sous les ordres directs du colonel Van Coppenolle, un officier nationaliste néerlandophone issu de l’armée de terre qui est nommé à la tête de l’institution en 194333, elle s’occupe notamment de la protection de personnalités ou de bâtiments publics. L’existence d’une telle unité est révélatrice de la tension croissante dans le domaine du maintien de l’ordre en Belgique occupée. Dans l’optique de ses fondateurs, il s’agit d’un élément de centralisation de la gendarmerie, en charge de missions spécifiques et délimitées, permettant de ne pas immobiliser inutilement des effectifs utiles autre part. Certains de ses détracteurs y voient au contraire un instrument idéologique, l’unité formant « la véritable garde prétorienne »34 des milieux collabo-

32 Jonas camPIon, Les gendarmes belges, français et néerlandais à la Sortie de la Seconde Guerre mondiale, Bruxelles,André Versaille, 2011.

33 Jonas camPIon, «Adrien ÉmileVan Coppenolle », Belgium WWII, (en ligne sur https://www. belgiumwwii.be/ belgique-en-guerre /personnalites/adrien-emile-van-coppenolle.html, consulté le 6 juin 2022). Lire aussi Caroline fransen, Politiewerk in Bezettingstijd: Emiel Van Coppenolle, Korpscommandant van de Rijkswacht Tijdens de Tweede Wereldoorlog, mémoire de licence en histoire, UGent, 2001.

34 Bruxelles, Archives générales du Royaume, Fonds de l’activité du HCSE [cité AGR, HCSE], AA 1311, n°627, notes reçues par le HCSE à propos de la compagnie d’état-Major, 07/02/1945.

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rateurs. Ses membres prennent directement leurs ordres auprès de l’état-major collaborationniste du corps. Ils se caractériseraient en outre par leur proximité avec diverses personnalités politiques d’Ordre nouveau35 .

La compagnie comprend en son sein un « service de recherches », dont les membres se spécialisent dans des missions judiciaires. Défini par certains comme une « unité de chasse », ses gendarmes opèrent en civil, sur l’ensemble du territoire belge. Des témoignages, il ressort qu’ils procèdent à des enquêtes, mènent des « perquisitions pas tout à fait illégales mais bien intempestives »36 , effectuent des arrestations en matière de marché noir et de ravitaillement, mais aussi dans des affaires de résistance37. De manière ponctuelle, certains de ses membres auraient participé aux persécutions contre les populations juives38 . Enfin, il existait des fonds à l’état-major de l’arme pour en rémunérer les gendarmes les plus actifs39 .

Tant du côté des gendarmes de « tradition » que de la population, les témoignages récoltés à la Libération dénoncent l’action des membres de cette unité, notamment parce qu’ils opèrent de manière discrète, en tenue civile40. Plus que les tâches effectivement remplies par ces gendarmes, c’est la perception qui en découle à la fin de l’Occupation qui importe ici.Alors que le recours à des tenues civiles avait pu progressivement devenir la norme avant la guerre, faisant passer les critères d’efficacité policière au-dessus des argumentaires libéraux, la situation s’inverse complètement lors de cette séquence temporelle. À la sortie du conflit, on redénonce un comportement qui s’était inscrit dans la pratique, sans

35 « Il existait un clan d’hommes de toute confiance acquis à la politique de Van Coppenolle, au courant de ses projets ». Archives générales du Royaume, Archives de l’Auditorat militaire [cité AGR, AM], dossier colonel Van Coppenolle, carton n°3, lettre du général Bourguignon à l’auditeur militaire, 04/11/1944.

36 Bruxelles, Police fédérale, direction des personnels [cité Police fédérale, DP], dossier lieutenant VdC., rapport de l’inspecteur du service des enquêtes au ministre de la Défense, 15/07/1948.

37 AGR, AM, dossier colonel Van Coppenolle, carton n°3, procès-verbal d’audition du gendarme Prieur, 06/02/1946 ; dossier 1er maréchal-des-logisV.O., pro justitia d’audition du gendarme V.O., 16/06/1946 ; dossier maréchal-des-logis W., uiteenzetting der zaak, 03/09/1946. Voir aussi Police fédérale, DP, dossier individuel maréchal-des-logis M., service des enquêtes à auditeur militaire, 08/09/1945.

38 AGR,AM, dossier lieutenant Vd., uiteenzetting der zaak, 10/07/1947.

39 AGR, AM, dossier maréchal-des-logis W., note n°1054 du 1er régiment mobile, audition du commandant du service de recherches, 06/02/1945.

40 AGR, AM, dossier 1er maréchal des logis V. O., pro justitia d’audition du gendarme V.O., 16/06/1946.

en discuter les bases légales. Cette police « clandestine » est à nouveau ressentie comme dangereuse, illégitime. Elle est le symbole même de la trahison, renforcé parlesgratificationsfinancièresqueles gendarmes de l’unité pouvaient recevoir. Celles-ci sont perçues comme delapurevénalitédeleurpart. Incarnation de la collaboration, ces gendarmes en civil s’apparentent, pour les contemporains, par le nonport de l’uniforme, à la Gestapo et aux groupements para-policiers collaborationnistes avec lesquels ils en-

Monument à la gendarmerie, Boulevard Général Jacques, Bruxelles. Travail personnel, par Eugène de Bremaecker, 2008. CC BY-SA4.0.

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tretiennent d’ailleurs des liens. Dans l’état d’esprit de la Libération, la police ne peut être que publique, visible, régulière et légale.

Il est d’ailleurs significatif de noter les efforts entrepris, dans le même temps, pour affirmer le monopole policier face aux mouvements de résistance. Ces derniers constituent eux-aussi un écart à cette vision de l’exercice de l’ordre. D’importants efforts sont également entrepris pour forcer le retour à la normalité des gendarmes qui avaient pu passer à la clandestinité, dans la résistance. Hier mise en avant dans l’imaginaire patriotique, cette attitude est maintenant largement dénoncée41. Dans cette lente réimposition de la gendarmerie au sein de l’espace public, la question de l’équipement des gendarmes est de première importance. Il faut les réarmer, mais aussi veiller à ce qu’ils disposent tous d’uniformes de bonne qualité. Il ne s’agit pas seulement de raisons pratiques ou de confort pour les personnels, mais bien d’un outil d’affirmation et de légitimation du corps dans la société libérée. Réclamant de nouvelles fournitures, la hiérarchie de l’arme ne cesse de souligner l’importance de la prestance, de la bonne tenue des gendarmes comme moyen d’en fortifier l’autorité42. La charge symbolique de l’uniforme est une nouvelle fois soulignée43 .

Normalisation et pacification (1945-…) ?

Cette remise en cause n’est que très provisoire et reste circonscrite. En dehors du champ épuratoire, la réorganisation structurelle de la gendarmerie qui s’amorce en 1945 reconnait l’importance du travail policier en civil. Les argumentaires qui justifient les mesures adoptées sont dénuées de toute charge idéologique, au profit d’une vision technicienne et d’efficacité professionnelle. Or, sur le terrain, les enjeux de surveillance politique demeurent une part importante

41 Francis Balace, « Les hoquets de la liberté », Jours de Guerre. t. 20 : jours libérés. 2, Bruxelles, Crédit Communal, 1995, pp. 75-133 ; Jonas camPIon, Les gendarmes français, belges et néerlandais…, op. cit. ; id., « Gendarmeries et transitions politiques (Nord de la France, Belgique, 1944-1948) », R.VanDenBusscHe (dir.), L’épuration en Belgique et dans la zone interdite (1944-1949), Lille, Irhis, 2016, pp. 49-67.

42 AGR, Centre de documentation de la police fédérale, note de corps, note n°733/3, 14/03/1945 et note n°5787/F, 03/08/1946 ; Evere, SGRS-archives, Cabinet du ministre de la Défense [cité SGRS, Cabinet], M5 1945, PV de la commission du maintien de l’ordre, 23/01/1945 et G2 1945, plaintes des forces supplétives de Soignies au ministre VanAcker, [mars 1945].

43 À signaler à ce propos, le projet d’un nouvel uniforme qui a vu le jour pendant la guerre, pour affirmer le projet de cette « nouvelle » gendarmerie. Bruxelles,Archives du Palais Royal, Secrétariat Léopold III (Comte Capelle), dossier XV GS : gendarmerie, note d’un entretien Robert Capelle-Gérard Romsée, 05/03/1942.

de l’activité de la gendarmerie.

L’arrêté royal en date du 3 août 1945 qui définit la nouvelle structure du corps instaure des brigades spéciales de recherche (BSR) dans chaque district de la gendarmerie44. Environ 500 gendarmes y sont affectés45. Ces unités ont pour rôle la police judiciaire, la répression du crime et la surveillance politique. Elles doivent « recueillir des renseignements complémentaires, nécessaires au cours normal des enquêtes judiciaires, et surveiller plus activement les étrangers, les suspects et les milieux subversifs »46. Comme il est précisé dans le texte de l’arrêté, ces missions sont exercées en civil. Les BSR s’intègrent sans conteste dans la continuité de ce qui se faisait avant-guerre d’une part, au sein de la compagnie état-major durant le conflit de l’autre. Elles constituent en fait la reconnaissance et l’aboutissement d’un processus qui a vu lentement se normaliser l’exercice de fonctions policières en civil au sein de la gendarmerie belge. Connaissant un développement constant, les BSR ne disparaitront qu’avec la réforme de 19982001, qui voit les différents corps policiers du pays être intégré dans une police unique à deux niveaux47 .

Après la guerre, la pratique du recours à des vêtements civils est dorénavant bien ancrée dans les faits. Son application donne pourtant parfois lieu à des moments de friction, notamment dans le cadre de la surveillance et de la récolte d’informations au sein des réunions publiques, essentiellement tenues par les mouvements de gauche ou d’extrême-gauche. Dans un contexte de Guerre froide balbutiante et de mobilisations politiques, sociales ou associatives multiples, les critiques à l’encontre des BSR portent d’abord et toujours sur les principes même de la surveillance politique exercée et de la récolte de renseignements préalable à toute infraction effectuée par les gendarmes48 : l’argumentation n’est pas inédite.

44 «ArrêtéduRégentdu3août1945réorganisantlagendarmerie», Moniteur Belge,22/08/1945, p. 5258-5259.

45 Ceschiffres,représentant4%deseffectifsducorps,sontcitésdansunrapportduSénatdeBelgique. Ils sont à comparer à ceux des unités mobiles, cinq fois plus importants à l’époque. Sénat de Belgique, Évaluation des services de polices. Rapport fait au nom de la commission de l’Intérieur et des affaires administratives par MM. Caluwé et Happart, 03/07/1997, (en ligne sur https: //www.senate.be /www/?MIval=/publications/ viewPubDoc&TID =16779319 &LANG = fr, consulté le 6 juin 2022).

46 Cabinet du ministre de la Défense nationale, Réorganisation de la gendarmerie, Bruxelles, Imprimerie militaire, 1945.

47 Sur la réforme des polices et ses causes, notamment l’affaire Dutroux (où l’action des BSR a d’ailleurs été questionnée), voir Lode Van outrIVe, La nouvelle police belge. Désorganisation et improvisation, Bruxelles, Bruylant, 2017.

48 Comme suite à cette filature déjouée d’un député communiste par les membres d’une BSR.

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Mais en réalité, les tensions portent de plus en plus souvent sur les modalités et les conséquences du travail en civil, plutôt que sur une remise en question de ce principe. C’est particulièrement visible à partir de la fin des années 1960. D’un côté, l’état-major insiste auprès des unités pour que les gendarmes surveillent systématiquement, discrètement et en civil si nécessaire, toutes les réunions publiques. Comme une note de 1973 le précise, il est inutile de se faire connaître auprès des organisateurs puisque les gendarmes ont le droit, « comme tous citoyens », de participer à de telles rencontres. « La complète anonymité du personnel » est dans cette optique la meilleure garantie de la récolte effective d’informations et du maintien d’une situation calme lors de la réunion49 . Les gendarmes doivent pourtant reconnaître que celle-ci est « irréalisable dans les faits » et que souvent, il convient d’imposer la présence des gendarmes en uniforme, dans une logique de rapport de force avec les mouvements et organisateurs des événements surveillés50

D’un autre côté, les organisateurs de réunion ont évidemment conscience de la surveillance dont ils font l’objet. Ils connaissent les limites du cadre réglementaire en place. Dans une sorte de jeu du chat et de la souris, ils développent donc progressivement une expertise leur permettant d’en réduire les conséquences ou de la rendre impossible à réaliser. Les organisateurs peuvent, par exemple, changer le caractère public de la réunion en une rencontre privée, obligeant les personnes sans invitation (et donc les gendarmes) à la quitter. Le rôle des propriétaires des salles devient alors de première importance, ceux-ci pouvant sous la pression policière, refuser de laisser le local à disposition en cas de maintien du caractère privé de la rencontre. Lors des débats, les organisateurs peuvent dénoncer la présence de gendarmes qui sont souvent connus ou reconnus d’eux51. Cette situation débouche parfois sur des violences à leur

SGRS, Cabinet, 060 1949, n°1, lettre du général Leroy à l’inspecteur général de la gendarmerie, 01/10/1947.

49 AGR, Centre de documentation de la police fédérale, Notes aux unités, n°2451, Présence de la gendarmerie aux meetings, 1er mars 1973. Nous remercions Élie Teicher (Université de Liège) pour la communication des informations reprises dans cette section.

50 AGR, Centre de documentation de la police fédérale, Bulletin d’information de la gendarmerie, janvier 1974, p. 3-4.

51 Un bulletin d’information de la gendarmerie dénonce ainsi l’action de militants marxistes-léninistesenmarged’unemanifestationdanslavilledeGandenmai1973:ceux-ciontsuiviles voitures de la BSR dans le but « de mieux pouvoir les reconnaître par la suite ».AGR, Centre de documentation de la police fédérale, Bulletin d’information de la gendarmerie mai 1973, p. 1.

encontre52 ou sur des propos prudents, les orateurs ne citant aucun nom de personnes ou de lieux de futures actions53. Dans ce « jeu », la situation frise parfois la comédie. En juin 1968, l’état-major de la gendarmerie s’inquiète de l’agitation étudiante, notamment à l’Université libre de Bruxelles. Le problème est que les gendarmes ne peuvent infiltrer les meetings tenus car ils sont reconnus, du fait de leur âge et de l’absence de carte d’étudiant, souvent demandée à l’entrée des réunions. En réaction, l’état-major propose que les officiers fréquentant par ailleurs l’université dans le cadre de leur formation soient mis à contribution pour tenter de surmonter les difficultés54… Le champ politique n’est alors pas le seul à voir des gendarmes travailler en civil : la répression du crime en est un autre. Cette pratique se renforce à partir des années 1970 face à la nécessité de pouvoir répondre à de nouvelles « menaces » en termes de sécurité publique : grand banditisme, trafic de stupéfiants, sans omettre, au carrefour du droit commun et du crime politique, le risque terroriste international.

Au tournant des années 1980, les débats relatifs à la légalité et au caractère loyal de l’usage de moyens clandestins par les gendarmes, ainsi que les difficultés du contrôle de ceux-ci reviennent à l’avant-plan face à une situation que certains considèrent hors de tout contrôle. À l’époque, l’autonomisation des BSR mais aussi d’autres services spécialisés au sein de corps (bureau national des drogues), tout comme celle de l’ensemble de la gendarmerie est dénoncée comme problématique au sein de milieux politiques ou judiciaires. La gendarmerie n’hésite pas à mener une politique répressive ou de renseignement hors de toute tutelle externe. Elle place le recours à la clandestinité ou à la provocation au cœur de ses pratiques qui sont de ce fait aux limites de la légalité. Plusieurs scandales éclatent, notamment en matière de lutte contre le trafic de stupéfiants55. Ceux-ci participent progressivement à rendre inévitable la réforme de la police belge d’une part, à clarifier dans le droit les méthodes particulières

52 En avril 1969, un gendarme en civil est blessé à la tête lors d’une rencontre culturelle organisée par l’Ambassade de Grèce chahutée par des opposants politiques l’ayant identifié. AGR, Centrededocumentationdelapolicefédérale,Bulletind’informationdelagendarmerie,avril 1969, p. 10. Voir le Bulletin d’information de la gendarmerie, mai 1973, p. 2. Des gendarmes sont parfois bousculés lors de réunions, les forçant à abréger leur présence.

53 AGR, Centre de documentation de la police fédérale, Bulletin d’information de la gendarmerie, janvier 1972, p. 9.

54 AGR, État-Major de la gendarmerie, DSO, n°2599, Dossier concernant l’agitation à l’ULB, brouillon manuscrit de note secrète, s.d.

55 Cyrille fIJnaut, De Zaak François. Beschouwingen naar aanleiding van het vonnis, Anvers, Kluwer, 1983. Sans oublier les liens jamais prouvés entre les Tueurs du Brabant et certains milieux de la gendarmerie.

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d’enquête d’autre part56, notamment au regard des limites de l’infiltration, symbole même de la clandestinité policière contemporaine.

Conclusions

De l’Indépendance du pays en 1830 jusqu’à la seconde moitié du 20e siècle, l’exercice de fonctions de police par les gendarmes dépourvus de leur uniforme demeure un objet de controverses. Partisans et détracteurs en questionnent le bien-fondé en mobilisant des registres argumentaires touchant outre la question de la légalité de l’usage de l’habit civil, celle de sa légitimité et de son efficience. Dans une société se définissant comme libérale, on s’interroge sur le caractère loyal de cette pratique, sur les modalités de son nécessaire contrôle, sur l’autonomie dont jouissent à ce propos les forces de l’ordre. L’argument dominant dans le débat varie selon les périodes.

La perception de cette pratique évolue en parallèle du processus de construction du risque par et autour des gendarmes. Celui-ci reflète les transformations sociales et politiques de la société belge, entre crainte d’une police politique visant les idéaux libéraux de la bourgeoisie révolutionnaire et nécessité de pouvoir surveiller les milieux ouvriers ou anarchistes dès la seconde moitié du 19e siècle. Les nouveaux visages de la criminalité de droit commun influencent également la vision que l’on se fait de l’opportunité du recours à la tenue civile par les gendarmes, pour permettre une répression efficace du crime. À l’inverse, les arguments de ceux s’opposant à cette pratique reposent à la fois sur des principes idéologiques (19e et 20e siècles) ou sur des stratégies militantes pour rendre caduc l’usage de vêtements civils (seconde moitié du 20e siècle).

Si l’histoire de la police en civil au sein de la gendarmerie est celle d’une progressive normalisation, il ressort de la longue durée la mise en évidence d’un processus loin d’être linéaire et parfois marqué de retours en arrière par rapport à des positions qui semblaient acquises. Il existe dans ce processus des moments de tensions particuliers (contexte électoral, risque ouvrier et terroriste, guerre et occupation du pays) qui ont un impact sur les limites de l’exercice de la police. Ceux-ci font évoluer, parfois de manière temporaire, les points de vue et l’acceptation sociale des pratiques des gendarmes.

Loin d’être anecdotique, la question du recours à des tenues civiles par des

56 Avec des lois à ce sujet en 1998, 2003 et 2005. Christian De Valkeneer, Les méthodes particulières de recherche et quelques autres méthodes d’enquête. Analyse des lois du 6 janvier 2003 et du 27 décembre 2005 et de leurs arrêtés d’application, Bruxelles, Larcier, 2008.

gendarmes constitue un révélateur de la transformation plus globale de l’institution et des logiques policières dans le pays : elle s’intègre autant qu’elle illustre l’évolution d’un corps militaire exerçant des missions de police à une institution de police d’identité militaire ; d’un corps secondaire à un corps central dans l’exercice des fonctions policières ; d’une institution initialement rurale à une institution présente sur l’ensemble du territoire national ; d’un corps tourné vers lui-même à un corps hybridé, par sa socialisation et ses emprunts à des polices civiles.

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L’Arma dei Carabinieri e l’intelligence:

una tradizione secolare, un iter storico dal 1814 al 1950

di marIa gaBrIella PasqualInI

aBstract Since the Royal Patent of 1814, instituting the Royal Carabinieri Corps, onwards, their main task, in the monarchical and republican period, was... specially to ensure the preservation of public and private security. The control of the territory implies having the correct information of what happens on the territory itself, not in a perspective of censorship, as happened in some not very democratic moments in the history of Italy, but for the security of the state and its citizens, a characteristic of the commitment of the Arma concerning also a social dimension of its widespread presence in every corner of Italy and in its foreign projection. Espionage and counterintelligence, intelligence and counterintelligence. Offensive and defensive activities, depending on who conducts them, seemingly opposed in theory and practice, but which actually represent two sides of the same medal, two different terms depending on where these activities take place, since counter-espionage is a defensive security activity aimed at preventing, putting walls against the spying activities of other hostile information agencies, but also those of friends...The Carabinieri Corps has a two centuries-old positive tradition in this field since its establishment, with different timing and participation depending on the different historical moments.

keyWorDs:arma DeI caraBInIerI, IntellIgence, centurIes’ traDItIon

Nei secoli la ‘conoscenza’ ha dato il potere e il potere si è sempre retto sulla ‘conoscenza’, cioè sull’informazione corretta, sicura e sull’analisi predittiva...anche se nel passato ovviamente non venivano usati questi moderni termini, ma il concetto alla base è lo stesso. Il segreto accompagna la politica, specialmente nella guerra, come indicava Luigi XIV.1

Sotto Napoleone, come ha ben dimostrato in un suo libro Michel Roucaud2

1 Cfr. Lo studio di Lucien BELY, « Secret et espionnage militaire au temps de Louis XIV», Revue historique des armées, 2011, n. 263, « Dossier Secret et espionnage militaire au temps de Louis XIV », p. 28.

2 Michel roucauD, Guerres et armées napoléoniennes. Nouveaux regards, Nouveau Monde

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si è forse avuto proprio il momento più alto della costruzione del ‘segreto dello stato’, con quattro attività importanti: …la ricerca dell’informazione, l’opposizione alla raccolta informativa sul territorio francese fatta da una potenza straniera, l’azione ‘clandestina e le ‘operazioni speciali’…il termine ‘segreto’nella corrispondenza di Napoleone è impiegato con diverse accezioni: raccolta informativa, lotta contro lo spionaggio nemico neutralizzando alcune volte i sospetti e agire nel più grande segreto…numerosi sono i documenti che mostrano come ‘il segreto dello Stato’fosse molto ricercato e praticato nel periodo napoleonico.

L’esigenza del segreto e del controllo del territorio è stata sempre ampiamente sentita. Anche nell’Italia preunitaria lo ‘spionaggio’ era molto attuato presso tutte le corti, come necessità di controllo del territorio, per assicurare l’ordine pubblico e quindi monitorare possibili eversioni, nonché per contrastare velleità invasive del nemico.

Con la sconfitta di Napoleone, l’Europa tornò agli assetti politici precedenti, cioè all’Ancien Régime, ovvero quel fenomeno storico che è noto con il termine di Restaurazione (cioè ripristino della sovranità assoluta), ma era ormai difficile ignorare alcune esperienze che si erano dimostrate ampiamente positive nel controllo del territorio e assolutamente ‘rivoluzionarie’.

Il Settecento, in Piemonte, con i suoi privilegi e il suo modo di esercitare il potere, iniziò in parte a scomparire con lo StatutoAlbertino, per essere definitivamente archiviato con l’Unità d’Italia, rimanendo ancora sulla penisola oasi di potere assoluto, come lo Stato Pontificio.3

Vittorio Emanuele I riprese solo nel 1814 la piena sovranità sul Piemonte. La sua azione di Restaurazione fu molto decisa: abolì i codici napoleonici e ripristinò antichi privilegi nobiliari e ecclesiastici. Il Savoia doveva del resto riaffermare pragmaticamente la sua ‘reale’ autorità sul territorio, ripristinando l’antico sistema amministrativo del suo Regno di Sardegna, che si era ampliato con l’annessione del territorio della Repubblica di Genova, comportando così altri problemi di controllo e integrazione nell’amministrazione sardo-piemontese.4

Eds, Parigi, 2013, p.562.

3 LastoriadelRegnodiPiemonteeSardegnadelperiodo1814-1861èpiuttostocomplessa.Nel presente studio verrà dato rilievo solo a quel che riguarda in particolare l’Arma dei Carabinieri e a quanto attiene al loro secolare impegno nella sicurezza e nel controspionaggio.

4 Per la sintesi della storia di questo periodo v. in particolare Flavio carBone, Repertorio degli Ufficiali dei Carabinieri Reali. 1814-1871, Ufficio Storico dello Stato Maggiore Difesa, Roma, 2013, p. XVIII e ss.

I problemi più importanti che il Sovrano doveva affrontare erano quelli relativi all’ordine pubblico e la sicurezza interna e esterna del suo rinnovato Regno. La partenza della gendarmeria francese, nel 1814 aveva lasciato un vuoto di controllo sul territorio che aveva comportato un rigurgito di banditismo e malversazioni.

La situazione si era fatta dunque difficile sotto molti aspetti perché non era facile tornare a uno status quo ante repressivo, considerato che anche i Liberi Muratori svolgevano una azione politico-civile contro i Savoia, tanto che il Re dovette emanare un Regio Editto, il 18 giugno 1814 con il quale vietava ogni tipo di associazione ‘politica’.

Dopo un attento studio preliminare da parte della Segreteria di Stato per gli Affari Interni, di un Progetto d’Istruzione provvisoria per il Corpo de’ Carabinieri Reali, furono emanate il 13 luglio 1814 le Regie Patenti5 di ben sedici articoli di cui sei dedicati alla costituzione del Corpo Militare dei Carabinieri Reali, con quei compiti svolti precedentemente dalla Gendarmeria napoleonica, principalmente controllo del territorio. In questo Progetto vi è tra gli altri, un punto interessante per il presente studio per i compiti indicati:

…Gli arresti di spie, il sequestro delle loro corrispondenze e di ogni altra carta, e documento che potesse dar indizi, e somministrar prove sovra delitti, e complotti attentatori alla sicurezza interna, o esterna dello Stato.6

Dunque: per arrestare spie, sequestrare la corrispondenza e monitorare eventuali complotti eversivi occorre fare…raccolta informativa, cioè attività di informazione aperta e occulta.

Con le stesse Regie Patenti veniva istituita la Direzione Generale di Buon Governo,« incaricata di vegliare alla conservazione della pubblica e privata sicurezza […] e andare all’incontro di quei disordini che potrebbero intorbidarla».

La Direzione di Buon Governo fu soppressa con le Regie Patenti del 15 ottobre 1816, con le quali Sua Maestà stabiliva «il modo di istituzione del Corpo dei

5 La copia manoscritta delle Regie Patenti n.40 del 13 luglio 1814 si trova nell’Archivio di Stato di Torino ma copie a stampa sono conservate presso l’Ufficio Storico del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri a Roma.

6 Cfr. Ruggero DenIcottI (“per cura di”), Delle vicende dell’Arma dei Carabinieri Reali in un secolo dalla fondazione del Corpo (13 luglio 1814), Tipografia dell’Unione Editrice, Roma, 1914,SezioneDocumenti,Doc.IV,p.5ess.V.ancheFlaviocarBone,«Lineamentidell’organizzazione della polizia nel Regno di Sardegna: il Corpo dei Carabinieri Reali (1814-1853)» in Livio antonIellI (cur.), Polizia, ordine pubblico e crimine tra città e campagna: un confronto comparativo, Atti del Seminario tenutosi a Messina 29-30 novembre 2004, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2010, pp. 97-155, con ampia bibliografia sul tema.

Sopra e nella pagina precedente: programma delle conferenze per il corso ufficiale degli ufficiali informatori,1933,AUSSME, Fondo SIM.

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Carabinieri Reali», e ne determinava «le attribuzioni e le incombenze».

Gli articoli di queste Patenti del 1816, quasi un primo Regolamento, sono 64, suddivisi in Capi. Essi tendevano a mantenere comunque, per quel Corpo militare…« l’assidua applicazione dello speziale suo importantissimo oggetto, del mantenimento della pubblica e privata sicurezza…»

È da notare in particolare l’articolo 1 nel quale tra l’altro si scrive che il Corpo dé Carabinieri Reali è una forza istituita per invigilare alla pubblicasicurezza,perassicurarenellointernodelloStatoedincampopresso le Regie armate, la conservazione dell’ordine, o l’esecuzione delle leggi. Una vigilanza attiva, non interrotta, e repressiva, costituisce l’essenza del suo servizio: all’interno dello Stato e sul campo di battaglia, quindi, per dirla con termini contemporanei, attenta raccolta informativa per adempiere il mandato. Notare bene anche l’aggettivo per «vigilanza…repressiva»!

È indubbio che il primo completo Regolamento Generale dell’Arma dei Carabinieri fu quello emanato da Carlo Felice nel 1822, sulla base proprio delle esperienze complesse fatte con le Regie Patenti del 15 ottobre 1816; un Regolamento corposo di 631 articoli, suddivisi in quattro parti che ebbe valore fino al 1° maggio 1892, quando fu sostituito da un nuovo Regolamento Organico.7

È nella prima parte del regolamento del 1822, approvato con Regie Patenti del 16 ottobre dello stesso anno, che si reitera come compito del Corpo quello di invigilare alla pubblica sicurezza e assicurare all’interno dello Stato la conservazione dell’ordine e l’esecuzione delle Leggi… con una vigilanza attiva, non interrotta, e repressiva.

Nel Capitolo V, all’art. 233 si legge che I Carabinieri Reali, comandati o non comandati, devono stimarsi in servizio perpetuo in qualunque circostanza, ed a tutte ore, e non mai riputarsi dispensati da quella non interrotta vigilanza, che forma lo scopo principale di un Corpo, che sempre deve ricercare la conoscenza dei fatti, dei disegni, che puonno interessare la sicurezza delTrono, turbare la tranquillità pubblica o privata…la ‘conoscenza’ dei fatti e dei disegni eventuali contro il Sovrano e la Monarchia assoluta. Mai abbassare ‘la guardia’.

7 Per ulteriori dettagli, cfr. Flavio carBone, Tra carte e caserme. Gli archivi dei Carabinieri Reali (1861-1946), Ministero della Difesa, Stato Maggiore Difesa, Ufficio Storico, Roma, 2017, p. 25 e ss. Per questo periodo storico v. anche Piero PIerI, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Torino, Einaudi,1962, nuova edizione a cura CISM, Ministero della Difesa, 2010, p. 87 e ss.

Per quanto riguarda il tempo di guerra all’art. 436 si legge che i Carabinieri Reali chiamati in tempo di guerra presso le Armate, possono essere destinati al servizio di polizia militare, come quello puramente di linea; nell’uno e nell’altro caso, devono essi distinguersi sopra le altre truppe per disciplina, attività, intelligenza e coraggio, talmenteché, mentre per una parte sono destinati più particolarmente al mantenimento dell’ordine nei campi dal Generale in capo, da cui dipendono, offrano per l’altra un’efficace cooperazione nei fatti importanti e decisivi, mai perdendo di vista l’obbligo stretto, che incumbe ai militari scelti ed anziani, del primo Corpo del Regio Esercito:

ecco dunque anche delineato il servizio di polizia militare in pace e in guerra, che da sempre svolgono ma che non è stato compreso, specialmente durante il secondo conflitto mondiale, da alleati e nemici, i quali spesso hanno ritenuto, in modo generico, che l’Arma fosse un organismo ‘paramilitare’ o un sorta di ‘polizia segreta’. Un insieme di competenze anche informative, ancor più che operative, appunto anche di polizia militare, perché in quei tempi negli stessi accampamenti non occorreva solo monitorare il comportamento dei singoli militari ma degli individui civili che frequentavano, a vario titolo, anche le caserme.8

Questo Regolamento fu sostituito solamente nel 1892, con un ‘regolamento d’istruzione e di servizio’, molto dopo la consacrazione dell’Unità d’Italia, nel 1861, quando l’Armata Sarda divenne ufficialmente Esercito Italiano.9

Per meglio comprendere la situazione militare organica di quel periodo storico, occorre ricordare che il 12 novembre 1814, era stato istituito il Reale Corpo dello Stato Maggiore Generale nell’Armata Sarda. Il 26 giugno del 1816 fu varato il regolamento che ne fissava composizione e competenze. Delineato in quelle norme, vi era un compito interessante: fornire lavori di topografia e compilazione e preparazione di memorie statistico-militari; e in questi servizi saranno convogliate, anche dopo l’Unità, le informazioni raccolte e compendiate proprio per rendere possibile la elaborazione di studi su stati stranieri, fossero essi alleati o possibili nemici.Tra i compiti specifici del Corpo di Stato Maggiore vi era sempre quello di raccogliere notizie militari e cercare documentazione che

8 V. Vincenzo Pezzolet, «Le gendarmerie preunitarie. Il Corpo dei Carabinieri Reali durante i plebisciti»,Atti del Convegno Nazionale CISM: Il Risorgimento e l’Europa. Attori e protagonisti dell’Unità d’Italia nel 150° anniversario, Roma, 2010, pp. 79-91.

9 Per una approfondita informazione sul Corpo di Stato Maggiore dall’Armata Sarda in poi v. Carlo mazzacara, «L’evoluzione del Corpo di Stato Maggiore nei Regni di Sardegna e d’Italia», parte prima. Memorie storico-militari. 1981, Stato Maggiore Esercito, Roma, 1982, p. 349-378.

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potesse essere di valenza professionale. Ecco dunque uno dei principali obiettivi del reperimento e collazione delle ‘informazioni’: poter consentire una programmazione delle difese contro eventuali attacchi e di conseguenza anche operazioni per azioni di contrattacco. Questo sottindeva ovviamente anche la conoscenza acquisita della consistenza dell’esercito nemico e della sua organizzazione.

Achi erano devoluti in particolare, anche se non esclusivamente, questi compiti? Ai sensi delle Regie Patenti del 1814, del 1816 e del Regolamento del 1822, al Corpo de’Carabinieri Reali, primo Corpo dell’Armata Sarda.

Sarà solo nel 1855 che quel Corpo di Stato Maggiore piemontese diramava una Breve istruzione sul Servizio degli Uffiziali del Corpo Reale di Stato Maggiore in tempo di guerra, dedicando il Capo Quinto al servizio di missioni speciali e il Capo Sesto: al servizio segreto. 10

Il Capo Sesto sul Servizio Segreto della Istruzione ‘La Marmora’prevedeva tra l’altro, al

§ 71: le missioni segrete; il servizio delle spie per esplorare i mezzi e la forza del nemico e la condizione politica di provincie estere; l’esame dei prigionieri e disertori nemici e il cambio dei prigionieri.Ancora al §77 si stabiliva che nella scelta delle spie vuolsi attentamente utilizzare gran discernimento somma prudenza e scrupolosa preveggenza per non lasciarsi ingannare.

§78: Vuolsi usare pur molta cura nel prescrivere un costante e severissimo rigore verso quelle spie che destano sospetti o sono traditrici, e per lo contrario ricompensare largamente quelle altre che con pericolo, zelo attendono al disimpegno di sì pericoloso incarico, e recano importanti e sicure notizie. I rapporti delle spie volgonsi credere con molta circospezione accadendo talvolta che tali persone prive d’ogni mezzo di sussistenza, allettate da lusinga di una doppia mercede, servano le due parti nell’istesso tempo

§79 Vuolsi interdire alle spie di soggiornare presso il Quartier generale dopo eseguita la loro missione, e specialmente vigilare a che esse non incontrano relazioni di sorta colla truppa.

§80: le spie devono essere interrogate in disparte.11

10 V. Circolare n. 21 dell’aprile 1855, in Giornale Militare, ossia Raccolta Uffiziale delle Leggi, Regolamenti e Disposizioni di terra e di mare, pubblicato per cura del Ministero della Guerra, anno 1855,Volume Primo,Torino, OfficinaTipografica e Litografica di Giuseppe Fodratti, p.775-793.

11 Per dettagli su questo periodo v. Maria Gabriella PasqualInI,, Carte segrete dell’intelligence italiana,1861-1918, Ministero della Difesa – RUD- Roma, 2006, p.14-22.

Leggendo attentamente, in tutte le sue parti, il Regolamento del 1822 e le Determinazioni seguenti, ben si comprende come la gran parte di questo lavoro informativo, nelle sue varie declinazioni, fosse sicuramente svolto da elementi incardinati nel Corpo dei Carabinieri Reali.

È durante la Seconda Guerra d’indipendenza che si percepisce meglio l’ampiezza del ruolo informativo dei Carabinieri Reali sul piano militare. Interessante un rapporto del generale Govone sull’apporto dei Carabinieri nel settore, con i nomi di coloro che avevano date informazioni utili all’andamento bellico, per riferire e proporre dei Reali Riconoscimenti a ogni singolo informatore.12

L’Unità d’Italia comportò, tra l’altro, la delicata unificazione nel settore informativo delle varie strutture presenti perché erano numerosi i Servizi Segreti negli Stati preunitari.13

La Campagna del 1866 è una valida testimonianza dell’esistenza di un Servizio Informazioni attivo, e il Regno entrò in guerra nel 1866 con una conoscenza molto esatta delle forze e dei mezzi del nemico, anche se quella campagna fu assai sfavorevole alle truppe italiane, che furono sconfitte a Custoza.14

I Carabinieri erano un perno solido della rete informativa e, come spesso succede, è da documenti d’archivio relativi a spese sostenute che si ricevono conferme. In un documento del 26 giugno 1866, si legge che il colonnello Driquet, organizzatore del Servizio Informazioni, consegnava la somma di ‘novecento franchi’da dare ai Carabinieri spediti in missione di confidenza…somme a valere sul fondo destinato dal Ministero della Guerra alle spese segrete…15

Erano missioni segrete di confidenza, a esempio, di esploratori inviati al di là della frontiera dello Stato per raccogliere informazioni. Dunque, con linguaggio contemporaneo, tutte queste attività sono esattamente attività di controspionag-

12 Rapporto interamente riportato in Carabinieri 1814-1980, Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri, Roma 1980, pp. 97-98; Arnaldo. ferrara, Storia documentale dell’Arma dei Carabinieri. vol. I, Le origini, dalla Costituzione alla carica di Pastrengo, Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Roma, 2004, p. 30 ss.

13 Cfr. Maria Gabriella PasqualInI,, Una storia dell’intelligence italiana, 18 giugno 2013, https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/storia-dintelligence/una-storiadellintelligence-italiana.html. Per la parte relativa ai servizi preunitari cfr. tra gli altri Ambrogio VIVIanI, Servizi Segreti Italiani 1815/1985,Adnkronos Libri, Roma 1986, Vol. 1.

14 Per i dettagli v. il pur sempre valido studio del generaleAlberto PollIo, Custoza (1866), Stato Maggiore del Regio Esercito, Ufficio Storico, IV ed., Roma, 1935. La prima edizione del volume era comparsa nel 1903; la seconda nel 1915; la terza nel 1923.

15 Per i Documenti relativi alla Campagna del 1866, v.Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Esercito (AUSSME), G8, Campagna del 1866, R.10, Informazioni.

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gio, ovvero attività difensiva volta a prevenire, rilevare, contenere e contrastare le azioni di spionaggio condotte da agenzie di intelligence straniere nonché da individui o organizzazioni operanti in modo autonomo ovvero in collegamento con servizi di informazione stranieri.16

Anche negli anni seguenti risultano numerose le missioni dei Carabinieri Reali di ricognizione militare su eserciti nemici; la vigilanza attenta dei confini, con accurate sintesi dei movimenti degli austriaci; esplorazioni anche in territorio nemico. Tutte le informazioni prese venivano regolarmente veicolate, per via gerarchica, all’Ufficio I del Comando del Corpo di Stato Maggiore. La corrispondenza di quel periodo presenta numerose relazioni di tali missioni a riprova della secolare tradizione dell’Arma nel settore.17

Notevole fu anche il controllo del territorio, cioè attività di controspionaggio, nel periodo precedente la Prima guerra mondiale. Essa era molto intensa e riguardava persone sospette, stranieri comunque in transito, controllo dei confini: attività particolarmente importanti per le Legioni di Torino e Genova. Sono molti i fascicoli riguardanti persone sospette di spionaggio militare. Si intrecciava ovviamente con lo stesso tipo di attività che veniva svolta nelle missioni all’estero che iniziavano a essere molte e importanti già agli inizi del secolo XX.

I confini del nuovo Regno dovevano a mano a mano allargarsi anche fuori dalla madrepatria per motivi di prestigio ma anche e soprattutto economici. Consolidata l’unità dello stato con la conquista di Roma Capitale, vi furono, da parte del Ministero della Guerra molti interventi per ‘modernizzare’lo strumento militare’del Regno, che ormai si espandeva anche oltre confine, partecipando a missioni belliche e non. Infatti, per i Carabinieri Reali iniziò anche il periodo delle missioni all’estero, con ovvia annessa importante attività informativa oltre che di controspionaggio avverso alle Istituzioni italiane. 18 Ed è forse proprio nel quadro delle prime missioni all’estero e degli adempimenti affidati, che si consolida la professionalità nel controspionaggio, anche nella riorganizzazione di varie polizie locali, tra le quali la macedone, per esempio, o la greca.

16 V. Glossario di intelligence. Il linguaggio degli organismi informativi, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Quaderni di Intelligence, Gnosis - Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), Roma, De Luca editori, marzo 2013, alla voce controspionaggio.

17 V. Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Direzione dei Beni Storici e Documentali, Archivio Storico (ACCDBSD), Carte del Museo Storico, vari faldoni.

18 V. carBone, Tra Carte e Caserme, cit., p.44 e ss. Per le missioni all’estero di questo periodo v. Maria Gabriella PasqualInI, Le missioni all’estero dei Carabinieri 1855-1935, Ente EditorialeArma dei Carabinieri, Roma, 2001.

Agli inizi del XX secolo l’Impero ottomano era quasi al collasso: la guerra mondiale lo avrebbe definitivamente cancellato. In un accordo fra i tre Imperi ancora non estinti, l’Ottomano, l’Austro ungarico e il Russo, firmato a Murzsteg, il 2-3 ottobre 1903, erano previste delle riforme che il Sultano avrebbe dovuto attuare: in primis il riordinamento della gendarmeria macedone. S’imponeva anche per pacificare quel territorio dopo l’insurrezione contro Costantinopoli del 1902. L’Impero Ottomano dovette quindi accettare di avvalersi della professionalità di ventinove ufficiali stranieri, con notevole esborso finanziario, aggravando ulteriormente le ‘vuote casse’di Costantinopoli.

L’Italia aveva un interesse, dunque, a entrare in questo nuovo delicato compito anche per trovare una sua posizione nei Balcani e in Nord Africa e ottenne che a capo della missione di riorganizzazione della Gendarmeria Macedone fosse nominato un generale italiano, il 1° gennaio 1904, nella persona del Tenente Generale Emilio De Giorgis, con il titolo ufficiale Lieutenant Général Réorganisateur. Egli aveva alle sue dirette dipendenze, tra gli altri, il conte capitano Balduino Caprini, in quel momento in servizio a Candia, che avrebbe ancora molto frequentato quei territori, dopo la fine del conflitto mondiale, diventando un esperto di quel settore strategico. (v. sotto).

Nell’aprile 1904 gli ufficiali prescelti per il servizio nell’Impero Ottomano raggiunsero Salonicco e furono dislocati in vari settori. Il tenente colonnello Enrico Albera assunse l’incarico di Addetto militare aggiunto a Monastir. Raggiunse poi la Macedonia l’allora tenente Cosma Manera; nomi che, insieme a Carossini, Celoria, Craveri e altri, ritorneranno più volte nei difficili compiti fuori confine in vari teatri operativi.

È evidente che gli ufficiali e gli altri componenti della missione operavano con piena fedeltà nei confronti dell’Impero Ottomano, che li stipendiava ma, rilevando numerose difficoltà politiche nella loro operatività, inviavano anche interessanti informazioni sulle situazioni locali e non solo sugli avanzamenti professionali, piuttosto difficili da conseguire, della gendarmeria macedone che dovevano istruire. Avevano compiti di vigilanza e controllo su quella gendarmeria ma in realtà, nell’inviare aggiornati rapporti sulla loro missione, inevitabilmente descrivevano una società, anche militare, ormai in piena decadenza e corruzione. Vero è che questi ufficiali operavano soprattutto in Macedonia, ma erano di stanza a Salonicco e Monastir e molto vicini a fonti informative notevoli, riportate all’Ufficio I del Comando del Corpo di Stato Maggiore e all’Istituto Geografico Militare, che, sulla base di notizie aperte e informazioni riservate, realizzava un materiale cartografico riservato di grande interesse militare.

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Quando iniziò l’impresa in Libia e anche quando l’Italia decise di occupare le isole dell’Egeo per costringere la Turchia a accettare l’occupazione italiana sulle coste libiche, a Roma erano dunque ben note le debolezze dell’esercito e della marina ottomana, anche grazie alle informazioni pervenute da parte delle rappresentanze dell’Arma nel territorio.

Intanto in Italia il settore informativo si andava ‘modernizzando’.Tra il 1861 e lo scoppio del conflitto mondiale nel 1914, si ebbero varie riorganizzazioni del servizio per le informazioni militari, sempre legate ai numerosi mutamenti della struttura di vertice del Comando del Corpo di Stato Maggiore, con una diversa filosofia di raccolta delle notizie. Cambiato completamente il panorama europeo di equilibri e poteri, soprattutto dopo il Congresso del 1878 (equilibri internazionali) e la Conferenza del 1884 (zone d’influenza o d’interesse inAfrica, leggasi spartizione dell’Africa), ambedue tenuti a Berlino, anche le strutture militari si adeguavano via via alla ‘modernità’e con esse la raccolta delle notizie e la dipendenza organica degli organi informativi sempre circondati da un alone di ‘mistero’. Per le nuove fonti informative, che si rendevano necessarie, molte missioni scientifiche andarono ad esplorare zone dell’Africa del Nord e a sud del Sahara. Ogni missione aveva con sé, dichiaratamente o non, un ufficiale topografo e osservatore: molte sono le relazioni di viaggio e mappe di gran valore, anche artistico, che quegli ufficiali disegnarono e redassero con rara maestria, come le Carte itineranti del Marocco, ad esempio : altra fonte importante per raccogliere notizie non solo militari, sulla presenza delle potenze europee in aree non metropolitane; siamo nel periodo dello scramble for Africa, con forti appetiti di espansione coloniale.19

Occorre ricordare che il sistema di intelligence militare, fin dalla sua prima organizzazione postunitaria, è stato sempre incardinato negli Stati Maggiori delle ForzeArmate e ne ha seguito di volta in volta le differenti strutturazioni20:

19 Ricordiamo fra i tanti, Luchino Dal Verme (Una rapida escursione nel Levante, notevole travel-log di un viaggio ‘informativo’), Camillo crema. Giulio De BoccarD (V.AUSSME G33, b.52). Su queste e altre relazioni di quel periodo cfr. Maria Gabriella PasqualInI, Il Levante, il Vicino e il Medio Oriente.1890-1939. Le fonti archivistiche dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Roma, SME-Ufficio Storico, 1999, con dettagliate indicazioni delle fonti.

20 Per i dettagli dei vari ordinamenti v. Giornale Militare [GM] 1882, Parte I, Regio Decreto 29 giugno1882,p.425esseRegioDecreto29luglio1882,p.581-582.Ladataesattadellacostituzione di questo organo di vertice è l’11 novembre 1882. Cfr. anche Ministero della Guerra, Norme di servizio per il Comando del Corpo di Stato Maggiore, 25 ottobre 1882, Carlo Voghera Tipografo, Editore del Giornale Militare, Roma, 1882. Per la parte documentale,AUSSME, L3, b.300, Registro degli ordini del giorno del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, vol. I.

solo nel 1977 è stato profondamente cambiato l’approccio, togliendo una parte della dimensione militare informativa alla competenza degli organi militari.

Nel periodo 1861-1925 non si era ancora arrivati alla costituzione di un organo di direzione delle informazioni militari21, in quanto quel servizio veniva sempre considerato o una sezione o un ufficio, parte di una struttura superiore, il Comando del Corpo di Stato Maggiore. Fino al 1906, l’esistenza di un Ufficio o Sezione Informazioni fu tenuta ‘coperta’, per ragioni di opportunità e riservatezza, anche se ovviamente eserciti, amici e nemici, ne conoscevano molto bene l’esistenza.

In realtà l’attività informativa ferveva. Un dispaccio riservatissimo dell’8 maggio 1902 consente di comprendere quali fossero le attività di controspionaggio espletate a livello Stato Maggiore Esercito, a parte le funzioni particolari affidate ai Comandi d’Armata, e ai Carabinieri Reali:

UFFICIO INFORMAZIONI. Elenco delle pratiche trattate dall’Ufficio dal 1897 a tutt’oggi, relative a proposte fatte su questioni di notevole importanza, con la indicazione della soluzione che ebbero dal Ministero.

Il Colonnello Capo-Ufficio Garioni

e dal ben fornito elenco comprendiamo le attività svolte e riferite.22

Gran parte di queste informazioni erano date proprio da Carabinieri in patria o all’estero. La sorveglianza dell’Arma su individui sospetti era accurata: gli stranieri non sfuggivano all’attenzione, in special modo se erano ufficiali di eserciti stranieri: un colonnello inglese, uno prussiano agli albori dell’Unità furono controllati con discrezione ma con molta accuratezza, per fare degli esempi.

Negli anni immediatamente precedenti la Prima guerra mondiale l’attività interna sullo ‘spionaggio militare’, cioè controspionaggio, fu molto intensa. Lo testimoniano i numerosi rapporti inviati ai vari comandi territoriali: controllo dei confini accurato soprattutto della Legione di Torino e di Genova. Le notizie erano regolarmente trasmesse ai Comandi di Corpo d’Armata competenti e ai loro Uffici Informazioni Divisionali, oltre che, come sempre, al Comando del Corpo di Stato Maggiore.23 Attenta era la vigilanza anche sui circoli anarchici e

21 Cfr.OdoardomarcHettI, Il servizio Informazioni dell’Esercito Italiano nella Grande Guerra, Tipografia Regionale, Roma, 1937, Il Regolamento del 1822 ebbe due edizioni, una nel 1867 e un’altra nel 1881, con alcune note e aggiunte. Per i dettagli v. carBone, Tra carte e caserme…cit…p-38 e ss.

22 AUSSME, v. L3 b.308.e G24 b.54.

23 V. supra nota n. 18. Per i dettagli sull’organizzazione informativa in Libia durante la guerra

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su coloro che li frequentavano anche all’estero: questi individui erano monitorati ad horas nei loro spostamenti, per intercettarli e eventualmente arrestarli se ritenuti compromessi in un presunto o vero complotto per assassinare il Re. Erano sottoposti a controlli anche i depositi nelle banche in cassette di sicurezza, per evitare che fossero ivi depositati degli ordigni esplosivi. Con la dovuta discrezione erano monitorati coloro, che già sotto accurata osservazione, si recavano per depositi negli Istituti di Credito.

L’Italia nel 1911 e 1912 aveva acquisito dei ‘possedimenti’ oltre mare in Libia e nell’Egeo. In Libia, nel 1911 era sbarcato, il 16 ottobre, insieme alle prime truppe italiane, un primo nucleo di Carabinieri, comandato dal capitano Craveri, (altro nome che spesso si ritrova nelle missioni all’estero), per quelli che erano gli usuali ‘servizi di polizia’, che includevano una raccolta informativa dettagliata, le cui sintesi giungevano sempre all’Ufficio ‘I’del Comando del Corpo di Stato Maggiore. Pochi giorni dopo arrivò una missione di ufficiali con il colonnello Enrico Lorenzo Albera, già distintosi in Macedonia anni prima; missione, poi trasformata in Comando Superiore dei Carabinieri reali, in seguito Divisione.24 Il 27 marzo 1913Vittorio Emanuele III istituì aTripoli un Comando Legione dei Carabinieri Reali e l’attività informativa si intensificò.25

Il 5 maggio 1912, Rodi e successivamente le altre isole del Dodecaneso furono occupate da un Corpo di Spedizione italiano, al cui comando era il maggior generale Ameglio, con l’intenzione di restituirle a Costantinopoli al momento delle trattative di pace.26 Anche i Carabinieri, nel 1912, sbarcarono a Rodi al seguito della spedizione Ameglio e vi sarebbero rimasti fino a tutto il 1943, quando i tedeschi si impadronirono delle posizioni italiane. Pochi giorni dopo l’insediamento nell’isola, Alberto Pollio, allora Capo di Stato Maggiore Esercito, chiedeva al Ministro della Guerra, Paolo Spingardi, di istituire in tutte le isole presidi di Carabinieri. Dopo studi in proposito, nel maggio 1912, al comando del capitano Vittorio Gorini, 11 ufficiali e 200 Carabinieri sbarcarono

del 1911 e il periodo precedente, cfr. M. G. PasqualInI, Carte Segrete, cit., vol. I, 1861-1918, Roma, 2006, p. 133-144; 199-218; v. anche Andrea Vento, In silenzio gioite e soffrite. Storia dei Servizi Segreti italiani dal Risorgimento alla Guerra Fredda, Il Saggiatore, Milano, 2010.cit., p. 107 e ss.

24 V. PasqualInI, Missioni all’estero, cit., p-75-86. Alle p. 78 e 79 notizie dettagliate su Enrico LorenzoAlbera.

25 V. DenIcottI, cit., doc. n. XXXVII.

26 Per l’occupazione dell’Egeo, v. Maria Gabriella PasqualInI, L’Esercito Italiano nel Dodecaneso 1912-1943. Speranze e realtà, Roma, Stato Maggiore Esercito, Roma, 2005, con ampia bibliografia relativa.

Organizzazione del battaglione 808 controspionaggio (SIM), nel gennaio 1945, NationalArchives and RecordsAdministration, Washington.

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a Rodi. Vennero distribuiti sul territorio, ove costituirono dei Comandi territoriali. Come sempre era avvenuto, per facilitare lo svolgimento dei compiti ad essi attribuiti fu istituita una Scuola di Carabinieri indigeni, sotto la direzione dello stesso Gorini. Quei presidi, oltre a riorganizzare come di tradizione, una gendarmeria locale, furono utilizzati normalmente per la raccolta informativa che fu di grande utilità, specialmente durante i due conflitti mondiali, per monitorare le vicende degli eserciti nemici, in prossimità e all’interno stesso delle isole per: prevenire, reprimere e contrastare lo spionaggio militare a favore degli austro- tedeschi durante il conflitto; fermare il contrabbando di armi, soprattutto a favore dei turchi, nelle varie isole più prossime alla costa anatolica. Da notare che queste attività, nella Prima guerra mondiale, soprattutto nel 1917/8, furono attuate spesso in pieno accordo e collaborazione con l’ufficiale britannico di collegamento, il capitano J.B. Wodehouse, residente a Rodi, con puntuale segnalazione di nomi di elementi sospetti e spie acclarate; di informazioni relative alle basi di rifornimento dei sottomarini tedeschi. Era previsto anche un serrato controllo sugli stessi informatori per scoprire eventuali doppiogiochisti.27 Intense furono le relazioni con i vari intelligence officers del Servizio informativo inglese presenti in tutte le isole del Dodecaneso, soprattutto dopo lo scoppio del conflitto.28

Alla vigilia del primo conflitto mondiale il Servizio Informazioni dell’Esercito era abbastanza ben strutturato, almeno per il tempo di pace. Dall’Unità d’Italia, specialmente al volgere del secolo, in poi la filosofia della raccolta informativa e il coordinamento delle informazioni militari avevano fatto notevoli progressi, grazie alla preveggenza e professionalità dei generali Enrico Cosenz, Tancredi Saletta e Alberto Pollio. Si era però ancora agli albori di uno spionaggio organico e di un controspionaggio di vaglia. La situazione migliorò notevolmente quando fu messo a dirigere l’Ufficio Informazioni il colonnello Rosolino Poggi (Esercito), che lo resse fino al settembre 1916. Egli volle dare, anche se con mille difficoltà soprattutto finanziarie, un maggior sviluppo ai Centri di

27 ACCDBSD, Carte Museo Storico, vari faldoni. Interessante notare che in un rapporto della Divisione Carabinieri Reali dell’Egeo, datato 5 dicembre 1917 all’oggetto era scritto: servizio d’informazioni militari quando ancora questa dizione non era stata usata ufficialmente, se non per il Servizio del Comando Supremo. Lo sarà solo nel 1925, quando fu istituito il SIM, con la dizione esatta Servizio informazioni Militare! In altri rapporti degli stessi anni l’oggetto indica solamente: notizie di carattere militare.

28 Ibid. Gli inglesi si servivano molto di agenti informatori greci, che erano comunque accettati ufficialmente ma anche controllati dai Carabinieri Reali dei vari presidi. Erano impiegati per avere soprattutto notizie del fronte continente anatolico come riflesso nelle isole dell’Egeo e di quel mare dove spesso navigavano sottomarini tedeschi.

controspionaggio in periferia e all’estero e agli Uffici ‘I’delle Grandi Unità. Nei Centri la maggior parte degli addetti erano elementi dell’Arma.

Nell’aprile 1915 fu cercata una più razionale suddivisione del lavoro nell’ambito del Comando Supremo mobilitato e quindi Poggi attuò, proprio su ordini di Cadorna, una integrale riorganizzazione dell’Ufficio ’I’, che diventerà il 24 maggio 1915, Ufficio Informazioni del Comando Supremo, alle dirette dipendenze del Sottocapo di Stato Maggiore Generale Carlo Porro. All’entrata in guerra dell’Italia, come tutte le ForzeArmate, il 22 maggio fu infatti mobilitato anche l’Ufficio Informazioni, in quel momento incardinato nel Comando del Corpo di Stato Maggiore, alternativamente dipendente dalla Segreteria del Comando, o posto nell’organigramma del Reparto Operazioni.Alla mobilitazione, l’Ufficio Informazioni si divise in due tronconi: uno rimase a Roma, conosciuto come ‘Ufficio I territoriale, Sezione R’, con funzioni di collegamento con Udine e un altro, con a capo il capitano Odoardo Marchetti che si era trasferito in prima battuta a Treviso per poi insediarsi a Udine il 30 maggio. Occorre ricordare che al momento della mobilitazione l’Ufficio I di Udine. aveva anche due Uffici staccati a Milano e a Chiasso che ebbero poi diversa importanza e influenza nel proseguimento del conflitto. Dal giorno della mobilitazione l’Ufficio I fu strutturato in un Ufficio segreteria, una 1a Sezione Informazioni, una 2a Sezione informazioni e una interessante 3a Sezione controspionaggio e polizia militare al quale erano addetti due maggiori dei Carabinieri Reali, Giulio Blais (veterano dell’Ufficio ‘I’) e Giuseppe Schiavetti; sezione quasi tutta composta da militari dell’Arma: logica situazione, considerata l’attività degli anni precedenti dell’Arma, anche all’interno, e la sua riconosciuta specializzazione nel settore.29

L’esigenza di una sorveglianza rafforzata sulle persone sospette e indiziate di spionaggio militare era stata profondamente sentita e molto attuata ancor prima della mobilitazione del 1914. Per ribadire precedenti disposizioni, il 1° agosto 1914, il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali, Giuseppe Del Rosso, aveva inviato una circolare ai comandanti di Legione territoriale, ponendo l’accento sulle disposizioni ricevute dal Comando del Corpo di Stato Maggiore: le condizioni politiche internazionali consigliavano di vigilare affinché nulla si potesse sapere all’estero sulla preparazione dell’Italia in vista di un possibile conflitto armato. Doveva essere inoltre intensificata la vigilanza in

29 Per i dettagli dell’organizzazione del settore informativo in questo periodo v. PasqualInI, Carte segrete…vol. I, cit., pp. 191-343; Antonio fIorI, «Spionaggio controspionaggio in Italia durante la Grande Guerra», Rassegna Storica del Risorgimento, XCVI, aprile-giugno 2000, p.237-286.

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forma riservata e prudente anche sugli addetti militari esteri e su tutte le persone sospettate di spionaggio militare. I comandanti di Legione dovevano quindi impartire delle direttive ad hoc, soprattutto per le stazioni di frontiera e per quelle lungo le coste, ritenute a maggior rischio.30

L’8 agosto 1914 Cadorna, a sua volta, con una nota dell’Ufficio I, inviò una circolare ai Comandi di Corpo d’Armata e per conoscenza al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali e della Regia Guardia di Finanza (la n. 1730 dell’Ufficio I), rilevando la necessità di intensificare alla frontiera di nord-est una raccolta informativa, la più precisa possibile, sulla dislocazione delle truppe nemiche, stato delle opere di fortificazione e eventuali costruzioni di difese accessorie: in sintesi un lungo elenco di richieste precise e puntuali, in vista della possibile entrata in guerra contro l’ImperoAustro-Ungarico.31

Non fu certo molto facile l’attività di controspionaggio durante la prima guerra mondiale ma la tradizione dell’Arma sul campo rese importanti servizi al settore informativo. È interessante ricordare, tra gli altri, due esempi relativi alla sede diVenezia e diAncona per meglio rappresentare i contorni dell’attività svolta. Durante il conflitto, a Venezia la locale Divisione dei Carabinieri si occupava istituzionalmente della polizia militare e di controspionaggio: con cura monitorava chi per origine o comportamento avrebbe potuto avere commercio (come si diceva allora), d’intelligence con i nemici. A complemento degli Uffici informativi di Esercito e Marina, fu istituito a Venezia nel 1916 un Ufficio speciale di controspionaggio perché città marittima importante vicina [ai confini con il nemico] e largamente provvista di poderose difese costiere, rappresentando necessariamente per l’Austria, anche in tempi normali, argomento di particolare studio nella eventualità di una guerra e in effetti l’Austria aveva in zona già in tempo di pace non poche ‘antenne’ informative, rimaste anche dopo lo scoppio della guerra (stay behind d’epoca).Acapo di questo Ufficio fu posto un colonnello dei Carabinieri, il conte Vittorio Omati, distaccato al Ministero della Marina, in Arsenale. Lì restò almeno fino al marzo 1917, rendendo il servizio di controspionaggio molto efficiente in un periodo critico per la Piazza militare di Venezia. Gli incarichi informativi conferiti da Omati si dividevano principalmente in tre grandi aree: conoscenza innanzi tutto dello spirito della popolazione locale rispetto alla straordinaria situazione di un conflitto ai confini; incarichi

30 ACCDBSD, Carte Museo Storico, f. 376.

31 Le principali disposizioni vigenti erano: la Circolare del Comando Supremo del 28 giugno 1915,perilServizioinguerra,parte1^,n.373,374;sarebbeseguitapoiunacircolaredell’Ufficio Informazioni della 1^Armata del 4 gennaio 1917.

per informazioni di carattere militare, riguardanti movimenti di navi da guerra, opere di fortificazione, morale delle truppe austriache, in particolare di quelle di recente formazione e informazioni simili sui Comandanti delle Grandi Unità dell’Impero; infine occorreva prestare grande attenzione a eventuali attentati a fortificazioni militari e ai tentativi di corruzione sia di militari sia di civili.32

Le informazioni di carattere militare non provenivano solo dall’Ufficio I e dagli ufficiali dell’Arma che ne facevano parte stabile ma dalle Legioni territoriali dell’Arma, nel normale svolgimento dei compiti istituzionali. Un esempio per tutti: il capitano dei Carabinieri Nicola Sacco, comandante la compagnia di Ancona Interna (Legione territoriale di Ancona) nella notte fra il 5 e il 6 aprile 1918, coadiuvato dal maresciallo maggiore a piedi Roberto Maddaloni, aveva catturato 53 marinai della Marina militare dell’impero austroungarico, procedendo all’interrogatorio dei prigionieri, altra incombenza delegata normalmente a elementi dell’Arma. Da quello del macchinista che era di stanza a Pola si accertò che nel marzo precedente, a bordo di un idroplano austriaco, partito da Pola, erano stati fatti dei rilevamenti fotografici del porto di Ancona. A seguito di queste informazioni, gli austriaci avevano deciso una spedizione di elementi ‘arditi’ per impossessarsi del naviglio rilevato nel porto e per distruggere i sottomarini presenti con gli esplosivi. La spedizione non ebbe successo perché i 53 austriaci furono scoperti e arrestati dall’Arma che passò poi le dettagliate e interessanti informazioni ricevute al Servizio Informazioni del Comando Supremo. Altro esempio di concreta collaborazione al controspionaggio da parte dell’Arma territoriale.

Il controspionaggio, però, doveva funzionare anche nel settore economico, maxime durante un conflitto: l’intelligence economica non è scoperta attuale degli esperti nel settore o sedicenti tali. Uno dei casi di tale ricerca informativa, come esempio, ma se ne potrebbero citare molti altri: nel marzo 1917 la Prefettura di Modena manifestò al Comandante della Divisione dei Carabinieri Reali di Modena l’interesse del Ministero dell’Industria, Commercio e Lavoro per sapere subito quale fosse l’ampiezza della partecipazione di capitale straniero nemico in Aziende industriali e commerciali. Il prefetto, che aveva inviato un allegato con nomi di aziende di interesse nazionale, insisteva poi per avere notizie dettagliate e raccolte in modo preciso, in attesa di un riservato cenno di ricevuta e assicurazione33 Durante il conflitto i Carabinieri furono quindi anche

32 ACCDBSD, Carte Museo Storico, Ufficio Speciale, Rapporto del colonnello Omati, 1918.

33 Ibidem, Carte del Museo Storico, b.286. Nell’allegato erano dettagliati nove punti sui quali soffermarsi e dar notizia.

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interessati al censimento speciale dei beni di proprietà di sudditi nemici o enti morali germanici, austro-ungarici, turchi e bulgari, sempre nell’attività di controspionaggio militare. Tutto quanto riguardava la raccolta informativa a 360° era divenuta di competenza dell’Arma.

Terminato l’evento bellico, l’Italia ebbe incarichi prestigiosi in campo internazionale. L’Impero Ottomano aveva perso il conflitto. In seguito all’armistizio di Moudros (30 ottobre 1918), tra l’Impero Ottomano e gliAlleati, il 30 ottobre 1918 ebbe inizio l’occupazione della Turchia da parte delle potenze vincitrici e la spartizione dei territori. Il 13 novembre la stessa Costantinopoli veniva occupata da truppe interalleate. Agli inizi del 1919 anche gli italiani fecero parte del gruppo insediato nella capitale ottomana e Roma organizzò un battaglione da inviare in loco, accanto a francesi e inglesi. Nel 1923 nasceva, a opera di Mustafà Kemal Pasha, la laica Repubblica diTurchia con nuova capitaleAnkara inAnatolia.

Il 17 gennaio 1919 era stato istituito il Comitato Interalleato di Controllo della Polizia Ottomana dal generale Henry Wilson, Comandante in Capo delle Truppe alleate in Oriente. Pochi mesi dopo divenne membro di quel Comitato un militare italiano ormai noto nell’area per la sua professionalità: il colonnello dei Carabinieri Reali, conte Balduino Caprini, che fino a quel giorno aveva diretto, con mano ferma, come suo carattere e abitudine, uno dei tre settori interalleati in cui era stata divisa la città. il controllo sulla polizia ottomana fu diretto proprio dal Caprini. Il servizio consisteva nel controllare giornalmente l’operato della polizia, sostituendosi eventualmente ad essa, ogniqualvolta le speciali condizioni del momento lo richiedessero e servendosi dell’operato dei militari del Distaccamento locale, che per l’Italia erano i Carabinieri Reali.

Contemporaneamente al suo impegno nella città di Costantinopoli, Caprini era attivo anche inAnatolia dove il Regio Esercito aveva occupato una zona costiera tra Scala Nova e a Adalia, perché lì, fin da prima dell’inizio del conflitto, l’Italia aveva deciso di creare una propria zona di influenza e di espansione in Asia Minore, di carattere principalmente economico, non disgiunto comunque da interessi politici.

Caprini, però, non aveva solamente questi incarichi: in Ambasciata d’Italia, ricopriva il ruolo di Capo del Servizio informazioni dei Carabinieri Reali a Costantinopoli e Controllo Russi, così come si evince dal timbro apposto su una comunicazione che egli inviò il 1° settembre 1923 all’Alto Commissario Alleato. Allegato a questo foglio vi erano gli estratti dei discorsi più importanti e delle decisioni fondamentali prese dall’Assemblea del Comitato Consuntivo

Tenente Raoul Brunero, membro del SIM fin dalla sua costituzione nel 1925. Archivi Comando GeneraleArma dei Carabinieri

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esecutivo dell’Internazionale Comunista che aveva avuto inizio a Mosca il 12 giugno ed era terminata il 23 giugno.34 Caprini seguì con cura e istinto analitico le vicende del bolscevismo in Turchia. La maggior parte dei suoi dettagliati rapporti informativi per gli anni 1919, 1920/1923 riguarda però in particolare le ultimeconvulsioniinterneeilconflittoferocetrailSultano,ancoraformalmenteil capo dell’Impero, residente a Costantinopoli, e Mustafà Kemal, il vero negoziatore della pace con i vincitori, che nell’Anatolia aveva dichiarato la sua ostilità, anche armata al Sovrano, facendo sì che una pericolosa situazione di anarchia iniziasse a instaurarsi nella capitale. Caprini, in ottimi rapporti con il Direttore Generale della Gendarmeria Ottomana e con i colleghi dell’intelligence inglesi, riuscì a inviare quotidianamente informazioni estremamente interessanti sullo svolgersi della lotta politica, diplomatica e anche armata fra il Sultano e colui che, riuscendo a che l’Assemblea Nazionale il 2 novembre 1922 destituisse il governo di Costantinopoli, cioè di Istanbul come ormai era chiamata,35 sarebbe diventato il fondatore della Repubblica di Turchia; ogni giorno anche i giornali locali e la relativa censura, erano attentamente monitorati da Caprini e dai suoi collaboratori perché, per esperienza professionale, sapevano che stampa e censura rappresentano sempre una interessante fonte informativa aperta.

In questi numerosi rapporti Caprini dimostra di avere tessuto una vasta rete di informatori e ottimi rapporti professionali con i colleghi che hanno i suoi stessi interessi nazionali, per comprendere quali equilibri si sarebbero messi in gioco con la fine di un Impero che aveva regnato per secoli e soprattutto quale sarebbe stata la futura organizzazione statuale del NordAfrica, sul cui territorio tutte le Potenze vincitrici avevano forti aspettative, Italia compresa.

Il primo conflitto mondiale aveva messo in luce anche alcune carenze organizzative e di analisi del sistema informativo militare e emersero chiare linee organizzative, per un nuovo orientamento della filosofia dell’informazione, sviluppato più ampiamente proprio nel periodo tra le due guerre mondiali. Fu dunque deciso nel 1925 di costituire un Servizio Informazioni Militare (SIM),36 che solo in teoria, perché ciò non si realizzò, avrebbe dovuto coordinare i servizi

34 ACCDBSD, Carte Museo Storico relative alla Missione Caprini 1919-1922, vari faldoni.

35 Per questo periodo v. fra gli altri Neil R. DaVIson, «Turkish diplomacy from Mudros to Lausanne», in GordonAlexander craIg and Scott F. gIlBert (Eds.), The diplomats 1919-1939”, University Press, Princeton, 1953, pp. 172-209. V. le interessanti biografie di Mustafa Kemal Atatürk di José Blanco VIllalta, Atatürk, Türk Tarik Kurumu Basimevi, Ankara, 1982 e di Fabio L. grassI, Atatürk, Salerno Editrice, Roma 2008, 2nd. Ed. 2009.

36 R.D. n. 1909 del 15 ottobre 1925.

informativi militari delle altre Forze Armate.37 Con la costituzione del SIM fu più chiaramente delineato e, conseguentemente istituzionalizzato, il ruolo importante da sempre avuto dall’Arma nel settore dell’intelligence e del controspionaggio.

Il Regolamento organico dell’Arma del 1822 era restato in vigore fino al 1892 quando un nuovo Ordinamento Organico e uno di Istruzione e di Servizio erano stati varati il 1° maggio di quell’anno. Altri riordinamenti e regolamenti si erano succeduti nel tempo,38 fino al 1934 quando un R.D. varò un nuovo Regolamento Organico per l’arma dei carabinieri Reali 39. Anche in questo Regolamento si legge, all’art.10:

I carabinieri reali provvedono ai servizi di informazione e di polizia militare. Prestano anche servizio di vigilanza negli arsenali marittimi e possono essere destinati a speciali servizi alle dipendenze dei vari ministeri. ad essi sono affidati servizi diretti alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica nelle colonie, con l’osservanza delle norme sancite nello speciale regolamento per il servizio dell’arma nelle colonie stesse.

L’articolo riaffermava uno dei compiti che sempre erano stati svolti sul territorio metropolitano e all’estero dai Carabinieri: raccolta informativa e controspionaggio.

Al R.D. aveva fatto seguito, nel novembre dello stesso anno, un’attenta e dettagliata istruzione per il servizio delle informazioni in genere e di quelle inerenti a particolari situazioni politico economiche. Al paragrafo 2 sull’importanza del servizio si legge che il servizio delle informazioni costituisce uno dei compiti più importanti per gli ufficiali e sottufficiali ed essi dovranno attendervi con la maggiore diligenza per confermare quella fiducia che le autorità ripongono le attività informativa dell’arma. Essi daranno così prova della loro capacità professionale e dall’alto senso di rettitudine di responsabilità, di imparzialità e di obiettività da cui sono ispirati.

Erano evidenziati gli elementi considerati necessari per quest’attività: una

37 Per i dettagli v. PasqualInI, Carte segrete dell’intelligence, vol. II, 1919-1949, Ministero della Difesa – RUD- Roma, 2007, p.89-110; ID, Carte segrete…cit., vol. III, Il SIM negli archivi stranieri, Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa, Ministero della Difesa e Commissione Italiana di Storia Militare. Roma 2014, p.203-364.

38 V. carBone, Tra Carte e caserme, cit., p.203-362.

39 V. G.U. del Regno d’Italia, Parte Prima, n. 175, 27 luglio1934, R.D. 14 giugno 1934.Annessa al Decreto la Tabella delleAutorità autorizzate a chiedere informazioni all’Arma dei Carabinieri Reali.

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profonda e sicura conoscenza del territorio che indubbiamente l’Arma aveva fin dalla sua istituzione; un esame attento altresì contenuto delle richieste rivolte all’Arma da altri organi dello Stato per comprendere il valore e il grado di riservatezza e la finalità delle richieste fatte. Occorreva altresì uno studio accurato di una determinata situazione che doveva costituire l’oggetto dell’indagine. Dovevano servire tatto, spirito di osservazione, serenità e obiettività nei giudizi: il manuale di comportamento dell’informatore professionale, tutto questo era stato già tradizionalmente seguito.

Nel progetto di riordino del SIM del 1937, nel promemoria che lo accompagnava, tutto questo era sempre sottolineato: a proposito del controspionaggio, veniva notato, infatti, che in Italia vi era una istituzione di primissimo ordine, che non esisteva in altri Stati, allo stesso tempo arma combattente e organo di polizia a status militare, l’Arma dei Carabinieri Reali, che già svolgeva l’attività di controspionaggio. Tanto questo Ente era adatto allo scopo che se non esistesse, sembrerebbe opportuno crearlo apposta per affidargli tale servizio. Nelle proposte avanzate, quali tra l’altro la costituzione di una Divisione di CS a livello Centrale si proponeva di lasciare tutta l’attività di controspionaggio ad organi specializzati già esistenti, quali appunto l’Arma dei Carabinieri Reali, dipendenti direttamente da una Divisione C.S.40

Si legge, peraltro, in una interessante relazione del Generale Messe41, redatta ancora durante la guerra, che gli organi preposti o che concorrevano al servizio di difesa del segreto militare erano molti ma in articolare « l’Arma dei Carabinieri Reali, che, soprattutto in materia di servizio di difesa del segreto militare, aveva il compito di esplicare una vigilanza continua e minuziosa in tutto lo Stato, vigilanza che poteva svolgere efficacemente più di ogni altra organizzazione, proprio per la sua caratteristica capillarità sul territorio.» Ulteriore riconoscimento ufficiale di una attività che fin dalle Regie Patenti del 1814 l’Arma aveva svolto.

Dal 1935 in poi il SIM organizzò vari centri di controspionaggio a Milano, Verona, Trieste, Torino, Zara, Firenze, Roma42, Napoli, Bari, Palermo, Cagliari,

40 I documenti relativi a questo progetto probabilmente appartenevano all’insieme dell’archivio del generale Donato Tripiccione, Capo del SIM, dal luglio 1937 all’agosto 1939, sequestrato a Roma, dopo il suo suicidio, nella cassaforte privata casalinga, alla vedova da un agente italiano o angloamericano, con nome sotto copertura: Rose. V. National Archives and Records Administration (NARA), Washington RG.226, NND-009004, 8 novembre 1944.

41 AUSSME, “Carteggio Messe” L 13, R 6, Relazione SIM. 1940-1943, p.2-3.

42 Il Centro CS di Roma fu diretto dall’allora maggiore Manfredi Talamo (MOVM) dal 1933 fino all’8 settembre 1943. Per la vita e la figura di Talamo, v. PasqualInI, Carte segrete…vol.

Scheda tedesca della cattura di Manfredi Talamo, capo del controspionaggio del Sim a Roma dal 1933, NationalArchives and RecordsAdministration, Washington, in Pasqualini, Carte segrete dell’intelligence militare italiana Vol.III, IL SIM negli archivi stranieri.

composti integralmente da elementi dell’Arma dei Carabinieri Reali.43 Anche all’estero vi furono Centri di questo tipo, la maggior parte dei quali al comando di ufficiali dell’Arma. Molti anche i ‘nuclei occulti’con personale dell’Arma. Nel SIM vi era una Direzione Centrale, suddivisa in tre grandi rami: un Servizio Informazioni, diretto dal Vice Capo Servizio; un Servizio C.S. affidato alla 3a Sezione interna, retta da un colonnello dei Carabinieri Reali, con un Vice

III, cit., p. 214 e ss e eaD, L’Arma e l’Intelligence, volume allegato al n. 2/2014 della rivista Gnosis (AISI), p. 23-63.

43 Furono aperti anche centri di ‘raccolta notizie’, con ufficiali e sottufficiali delle varie armi (esclusi i Carabinieri Reali), dislocati isolatamente, con abiti civili che agivano sotto copertura lungo le frontiere metropolitane.

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sempre dell’Arma44 e un servizio amministrativo. In servizio CS tutti gli elementi dell’Arma ufficiali, sottufficiali e militari dovevano lavorare in borghese e alloggiare fuori caserma. Di interesse particolare, la Sezione che presiedeva al controspionaggio, la ‘Bonsignore’45 (V. sotto). Da notare che la corrispondenza dei vari Centri era appoggiata ai Comandi di Gruppo dei Carabinieri Reali. Quindi l’Arma stava mantenendo un ruolo sempre più attivo nel settore strategico dell’intelligence, in Italia, nelle Colonie e all’estero.

L’8 settembre 1943 è una data simbolo anche nella storia dell’intelligence dell’Arma. Il SIM si era riorganizzato a Brindisi, a metà settembre 1943, principalmente per volere degli angloamericani, oltre che per l’incrollabile fedeltà alla Monarchia di molti militari italiani di ogni ordine e grado. È da rilevare che l’intelligence militare italiana fu soggetta al controllo e alle direttive degli ufficiali Alleati fino a quando l’Italia non aderì al Patto Atlantico, ufficialmente accettata nelle democrazie occidentali e nella difesa atlantica.46

Il 1° gennaio 1945 il SIM cambiò denominazione in Ufficio Informazioni (Ufficio I), dello Stato Maggiore Generale e le Sezioni ‘Calderini’, ‘Bonsignore’, ‘Zuretti’ e Organizzazione divennero Prima, Seconda, Terza e una Quarta sezione, per la censura.47

I Carabinieri erano già ben conosciuti professionalmente dai loro colleghi della Special Operation Executive (SOE) e dell’Office for Strategic Services (OSS), già durante il Fascismo, quando il controspionaggio italiano era operativo contro di loro, in quel periodo nemici.48 Il settore che interessava maggior-

44 La direzione fu affidata al colonnello Pièche, che rimarrà noto anche in seguito nel settore informativo, mentre la vicedirezione fu data al pari grado Santo Emanuele, che non ebbe poi lo stesso spessore professionale e umano del collega.

45 Era stata intitolata al capitano dell’ArmaAntonio Bonsignore, caduto in Etiopia e decorato di M.O.V.M.

46 NARA, RG 226, NND – 974345, 29 ottobre 1943.

47 La struttura fu costretta a cambiare nome per gli attacchi portati al SIM e al suo personale riguardo al delitto dei Fratelli Rosselli, in cui era coinvolto, tra gli altri, il generale Mario Roatta che del SIM era stato a capo per lungo tempo. Sostanzialmente cambiò solo nome e passò alla dipendenza dello Stato Maggiore dell’Esercito, anche perché il 30 settembre 1944 il Comando Supremo, come organo di vertice con quel nome, era stato soppresso, nel quadro delle dureimposizionidellecondizioniarmistizialiesostituitodaunoStatoMaggioreGenerale.La struttura organizzativa dell’Ufficio ‘I’rimase la stessa del ‘disciolto’SIM Per i dettagli della riorganizzazione, v. PasqualInI, Carte Segrete..., cit., vol. II, p. 258 ss.

48 Cfr. Max corVo, The OSS in Italy. 1942- 1945. A personal Memoir of the Fight for Freedom, (Washington 1990 e 2005) tradotto in italiano con il titolo La campagna d’Italia dei servizi segreti americani. 1942-1945, Libreria Editrice Goriziana ,Gorizia, 2006. Nel 1945 con il

mente gli Alleati era quello del controspionaggio, spionaggio e comunicazioni, attività svolta per il 90% da elementi dell’Arma.49 La ‘Bonsignore’(meglio nota dopo il gennaio 1945 come Seconda Sezione nei documenti italiani ma nei documenti anglo-americani come 808 CS Bn,), del ricostituito SIM fu affidata il 18 ottobre 1943 al maggiore Giuseppe Dotti, ufficiale d’artiglieria, coadiuvato quasi esclusivamente da ufficiali dei Carabinieri che, ai soli fini amministrativi, dipendevano dal Comando Generale dell’Arma. Ai primi di dicembre 1943 la ‘Bonsignore’, oltre a una Centrale, aveva Sottosezioni: i Gruppi C.S. con il maggiore Maffei e due strutture operative, cioè la Sezione della 5a Armata americana, comandata dal maggiore dei Carabinieri Cesare Faccio (Centro CS di Cagliari) e quella della 8a Armata inglese del maggiore Mariano Scolaro. Il Gruppo di Polizia militare era comandato dal maggiore Adolfo Vasco, dell’Arma, membro del SIM pre-armistiziale, come molti altri suoi colleghi.50 Furono organizzati poi molti Centri di controspionaggio, a mano a mano che l’Italia veniva liberata

Dunque, per meglio comprendere i documenti italiani e anglo-americani, il Battaglione 808 controspionaggio (808 CS Bn), così come indicato dagliAlleati, altro non era se non la ‘Bonsignore’ del SIM o Seconda Sezione dell’Ufficio I (ex SIM), del Regio Esercito italiano, organizzata però per agire sotto la diretta autorità degli Allied Forces Head Quarters (AFHQ).51 La Sezione era così divenuta un reparto ‘agente’ del controspionaggio italiano in stretta collaborazione con le sezioni del controspionaggio alleato, nel difficile momento della progressiva liberazione della penisola.52 Parte integrante del Regio Esercito, era dipendente da quello Stato Maggiore (Comando Generale dell’Arma in particolare), per la parte amministrativa, disciplinare e finanziaria, ma per l’impiego, rispondeva solo ai comandi dell’Ufficio del Vice Capo di Stato Maggiore del Quartier

grado di maggiore, Corvo era Chief Operations Officer della Italian Division SI, Italian Division, MEDTO.

49 NARA, RG 226, NND – 974345, giugno 1944.

50 Ibid.,RG226,NND-917171,I°aprile1944eNationalArchivesofUnitedKingdom(NAUK), WO/124/ ITALY,44. V. ancheAUSSME, Fondo SIM, 1a Divisione.

51 PeridettaglidelleinteressantivicendedelBattaglione808CS,v.PasqualInI, Carte segrete… cit. vol.II, p.270 e ss e vol.III, cit., p.132-137 e ss.

52 Dizione ufficiale: 808 CS (Contro Spionaggio) Battalion (Bn). La Sezione fu riconsegnata al pieno controllo degli italiani il 15 agosto 1946: V. NARA, RG 226, Rome-X-3-Int-2 NN3226-91-1. Quando il reparto fu released to Italian control (da notare la parola released-riconsegnato che indica chiaramente come pur nella grande stima, fosse stato considerato il Battaglione e il Servizio informativo italiano), la sua consistenza era di 800 tra ufficiali, sottufficiali e carabinieri semplici.

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Generale Alleato per tutte le operazioni di controspionaggio e di polizia. Fu dato solo con grande ritardo e qualche perplessità, il permesso al Battaglione di avere delle proprie comunicazioni radio telegrafiche fra il centro e le sezioni periferiche, nonostante fosse incardinato nel quadro di battaglia degli inglesi. La diffidenza degli ufficiali alleati perdurò a lungo, perché, pur apprezzando professionalmente l’Arma, non ne comprendevano pienamente la doppia identità di arma combattente e garante della sicurezza pubblica e privata dello Stato. E non lo comprenderanno per lungo tempo.53

Le competenze del Battaglione riguardavano controspionaggio e contro sabotaggio, obiettivi principali ai quali tutti gli altri dovevano essere subordinati; doveva anche comunicare alle autorità competenti i casi di malcontento di disciplina che si fossero verificate fra le truppe e le cause che li avevano eventualmente provocate; dovevano anche nell’ambito della sicurezza civile agire contro la formazione di movimenti fascisti e di qualsiasi altra attività politica di carattere sovversivo tendente a ostacolare lo sforzo di guerra alleato, sia che tale attività fosse svolta dietro direttive nemiche, sia che fosse organizzata da elementi locali. Per quanto riguardava l’attività di controspionaggio, era svolta su precise richieste delle autorità militari alleate entro la zona di operazione. Esattamente quel che, dalla sua Istituzione, l’Arma aveva svolto sul territorio metropolitano e all’estero.

Col progredire della liberazione dell’Italia il controspionaggio avrebbe costituito un sempre crescente contributo all’efficienza dell’organizzazione alleata nel settore perché gli elementi del Battaglione dovevano operare in ogni caso nella più stretta collaborazione con le sezioni centrali e periferiche del servizio di controspionaggio alleato. Gli elementi del Battaglione furono quasi sempre al 90% Carabinieri.

Sarebbe in questo saggio molto lungo dare i nomi di coloro che appartennero a questo settore dell’intelligence per un lungo periodo (prima e dopo la caduta del Fascismo), e che continuarono a occuparsene nel secondo dopo guerra, anche con diversi importanti incarichi: Raoul Brunero (Somalia), Stefano Giovannone (che divenne capo Centro controspionaggio a Beirut per un lungo periodo), Eugenio Piccardo…e molti altri a dimostrazione di una secolare tradizione nell’interesse nazionale.

53 Ancora ai nostri giorni succede a chi scrive che, parlando dell’Arma dei Carabinieri, debba spiegare a alcuni studiosi stranieri che non trattasi di Gendarmeria, quel che normalmente s’intende per questa parola, aggiungendo poi che l’Istituzione, primo ‘corpo’ dell’Esercito Italiano, ha dal 2000 il rango di ForzaArmata.

Maggiore Cesare Faccio, a capo della sezione controspionaggio Sim presso la quinta armata americana, a Cagliari 1944. Archivi Comando GeneraleArma dei Carabinieri

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Police reform and the military in Rio de Janeiro (1831 - 1858)

byanDré luIs zullI & gonçalo rocHa gonçalVes1

aBstract: Created under the name of Corpo de Guardas Municipais Permanentes, the current Military Police of the State of Rio de Janeiro emerged in 1831 in a context of great political instability. Although the Permanentes did not formally constitute anArmy unit, some important elements established a significant relationship between this police force and the Army. Although intended to be a forced composed of civilians, the formation of “auxiliary companies” staffed by army personnel showed a continuous process of bringing together the police and the army. In 1858, with a new reform of the police, the auxiliary companies ceased to exist, but the Corpo Policial, as the Permanentes started to be known, configurated the police in more complete military lines. The purpose of this article is to study the linkages between the Permanentes and the Army at a time when the police service was undergoing a movement of reform and maturation. The post-independence period, which had been obtained in 1822, was marked by the redrawing of the state institutions and the police dealt with a mixture of military elements while trying to define itself as an institution and area of action with autonomous characteristics. To achieve this objective, we will carry out a discourse analysis according to Foucault’s archaeological perspective of primary sources such as official documents produced by civil and military authorities linked to the police service of the Court of Rio de Janeiro, laws enacted in the period and annual reports of the minister of Justice to the Brazil’s General Assembly.

Introduction

In 1831, the still recently independent Empire of Brazil was going through a politically turbulent period. The reign of Dom Pedro I was important for introducingelementssuchasfreedomofpress,thewritingofaconstitutionandthe establishment of an elected legislative power formed by a two-chamber legisla-

key WorDs: PolIce reform, BrazIl emPIre, rIo De JaneIro. mIlItary PolIce;

cIVIlIan PolIce, transnatIonal cIrculatIon of IDeas

1 André Luis zullI, PhD Student, Federal University of the State of Rio de Janeiro – UNIRIO; Gonçalo rocHa gonçalVes, Adjunct Professor, Federal University of the State of Rio de Janeiro – UNIRIO.

ture. The opening of the country´s political life provided instruments and spaces for opponents of Dom Pedro I’s conservative liberalism to criticize the emperor and his policies. These critics formed two different groups, the moderate and the more radical, known as Exaltados. On April 7, 1831 the “Portuguese” king resigned in favour of his still infant son thus creating a power vacuum fulfilled with a regency that would last for almost ten years. In the events that forced the emperor to abdicate the throne in favour of his son, Dom Pedro II, the Exaltados had a more direct participation and influence in the street demonstrations, while the moderates, soon to be named conservatives, took longer to integrate the movement and their actions were more linked to institutional political action, something that contributed to their rise as a dominant political group during the regency and afterwards (souza, 2008: 183-184).

It was in this scenario of tension and political disputes that some major reforms were introduced in the police institutions of the Empire, especially in its capital city, Rio de Janeiro. The most significant reform that took place in this period was the extinction of the Guarda Real de Polícia do Rio Janeiro and the formation of a new police body, the Corpo de Guardas Municipais Permanentes da Corte. This work intends to examine the constitution in 1831 of this new police force, which, unlike the Guarda Real, was intended to be institutionally distant from theArmy, but notwithstanding continued in the years that followed to rely on the armed forces in terms of organization, personnel and training. We intend to observe how political changes within Brazilian Empire impacted the police, especially the dynamic relationship between the army and this new area of government: the police. On the other hand, the year of 1858 marked the last comprehensive police reform undertaken by the conservatives; in the 1860s police reforms would be framed in completely different fashion from the first years after independence, with the state apparatus benefiting from a different political and economic context. The main objective of this work is thus centred on examining the connections between the Permanentes and the Army in a moment when the police, as a distinct area of the state apparatus, was being formed. It aims to contribute to the already extensive historiography dealing with the formation of modern police forces in the first half of the nineteenth century (Emsley, 2007), adding an analysis to a normally neglected area: the newly independent states of southAmerica.

The methodology used will be the analysis of discourse (Foucault, 2008) of legal documents and bureaucratic correspondence. Among the legal documents the work will examine in detail the three general statutes of the Permanentes enacted in 1831, 1842 and 1858, and government decisions passed through the

ministries of Justice andWar. In terms of bureaucratic papers, the work will concentrate the analysis in the annual ministerial reports presented to the General Assembly by the government and manuscript correspondence between the Minister of Justice and the General Commandant of the Permanentes.The exchange of decisions, opinions about the form of the police and the policing services and the back-and-forth debates between different authorities on this topic will contribute to an analysis that intends to go beyond the formality and the law an see more of one of the most important areas of state being formed in practice.2

The Guarda Real de Polícia riot the establishment of the Permanentes.

As a distinct state institution, the police emerged in Brazil in 1808 with the creation of the Intendência Geral da Polícia (IGP), shortly after the transfer of the Portuguese Royal Family and its Court to Rio de Janeiro, fleeing the Napoleonic troops that invaded Portugal. In the following year, the Guarda Real de Polícia (GRP) was (re)created in Rio copying the similar institution that existed in Lisbon. Both institutions, the IGP and GRP, were transferred from their Portuguese counterparts in Lisbon to the city of Rio de Janeiro with many of its employees relocating from Europe.

The Guarda Real was an Army unit created to assist the Intendência in the Court’s police service. The GRP was a militarized, uniformed, armed and permanent police force, acting twenty-four hours a day. It was subordinate in terms of organization and discipline to the military, i. e. Governor of Arms of the Court, who managed the everyday organization of policing, for example, the change of shifts between companies, and to the Minister of War; in terms of daily orders, however, it was the Intendant of the Police that commanded GRP service. The GRP commandant had to send a daily report of all police occurrences to all these authorities and to the Ministry of the Kingdom (until 1815 named Ministry of Brazil).

From 1809 until its extinction in 1831 the Guarda Real was the only state institution policing the streets of Rio de Janeiro. The process that culminated in

2 The laws, decrees and ministerial decisions have been researched at https:// www2 .camara. leg.br /atividade- legislativa/ legislacao /colecao-anual-de-leis. The ministerial reports have been researched at ddsnext.crl.edu/titles?f% 5B0%5D= collection3ABrazilian%20Government%20Documents&f%5B1%5D=grouping%3AMinisterial%20Reports. The correspondence between the minister of Justice and the commander of the Permanentes have been researched at the Brazilian Nacional Archive and the General Archive of the Military Police of the Rio de Janeiro, the folders researched will be indicated along the text following quotations.

alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

the end of the GRP was a central process in the political life of the newly created independent country. It all began on July 12, 1831, when the men from the 26th Infantry Battalion of theArmy mutinied in the São Bento Monastery, in the city centre, against the frequent ill-treatment and physical punishments imposed by their superiors. The government’s quick reaction to surround the mutineers, the promise of no reprisals and the promise to transfer the battalion to the city of Bahia, its place of origin, in the northeast of the country, accomplished the government’s objective, the soldiers drop their weapons.The departure however could only happen on the 14th; in meantime, the Regency separated the battalion into small units, in order to prevent further seditions. Strangely enough, these previously mutinied men were employed by the government in patrolling the city along with the men from Guarda Real, who were also members of the Army. In the following days, men from these two units shared the service but also their frustrations about the conditions of the military service (HolloWay, 1997: 78-79).

On the 14th, the transfer of the 26th Battalion to Bahia took place without incidents. However, a few hours later, the barracks of the first and second companies of the GRP mutinied, breaking into stores, looting and firing shots in the streets of Rio. The government mobilized army units to march on the uprising barracks, where members of the Guarda had gathered after the initial chaos. Upon learning of the mobilization of the army to confront the mutinied men of the Guarda, radical political groups headed to Constituição square where the troops were gathered. There, with speeches against the moderate Regency and its willingness to use force to quell the revolt of the police, the Exaltados managed to convince these military units to join the movement of the mutinied men of the Guarda, resulting in more disorder in the city. The mutinied military headed to Honra field, main place of the movement that just months earlier had led to the abdication of Dom Pedro I. By some accounts, in the morning of July 15 around four thousand people were gathered in this square of the city (souza, 2008: 195).

The fact that the Exaltados lured the military gave a stronger political meaning to a movement that initially had only demands related with the military organization and discipline in its aims. The mutineers’ list of demands is a testimony of this: resignation of the government; convening a new a constituent assembly; the banishment of 89 people listed by name, many Portuguese and aristocrats linked to Dom Pedro I, who left the country and returned to Portugal; the dismissal of senior state officials who were Portuguese by birth; and the ban on Portuguese immigration for 10 years (HolloWay, 1997: 79). The situation

demanded a quick response from the government. Among the measures taken by the government was the establishment, on July 6, 1831, of a Guarda Municipal, a paramilitary institution, composed of voluntary citizens and subordinated to the justices of the peace; although with a similar name, it should not be confused with the Permanentes, the main subject of this work. This institution was intended to help police the city while a more comprehensive project of a

Cavalry of the Guarda Real de Polícia both in Lisbon and Rio de Janeiro (1812).

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

National Guard was being debated in the parliament.3 Few days later, a new decree, on July 17, 1831, reorganized this force establishing a more centralized command for the Guarda Municipal, appointed by the central government, no longer the multiple commands distributed by the districts of the justices of the peace. In a government where more progressive factions of the liberal spectrum had gained prominence, the establishment of a police service based on the work provided in theory by voluntary citizens eager to demonstrate their civic virtue was something that emulated the European revolutionary movements of that period (Pata, 2004: 19-23).

The mutinies in army battalions and in the Guarda Real had a strong impact within the Army. The breaking of the hierarchy in the regular army led to the establishment of parallel armed forces. For example, a part of theArmy officers created, on their own initiative, a Battalion of Volunteer Officers of the Homeland (Batalhão de Oficiais Voluntários da Pátria). In face of the uprising of soldiers of entire or almost entire military units, this battalion was composed of officers who temporarily gave up their hierarchical position as officers to perform the service of soldiers (souza, 2008: 198).

The measures taken by the government and the military officers led to the weakening in the movement´s engagement and, on the 20th of July, the government forces controlled the remaining insurgents. In the meantime, on July 17, the parliament approved the law that extinguished the Guarda Real de Polícia The question now was: who would police the capital city of the country? The writing of the project to a new police force was left to the Minister of Justice, Father Diogo Antônio Feijó, a moderate liberal. On October 10, 1831, the parliament approved the law that created the Corpo de Guardas Municipais Permanentes da Corte and in addition to that allowed provincial presidents to create similar police forces across the continental territory of the Brazilian Empire.4 The absence of the term police in the name of the institution was, according to Souza (2008: 216-217), intentionally taken in order to distance the new institution from the perceived authoritarian and arbitrary past of the GRP.

Like the GRP, the Permanentes was a militarized, uniformed, armed and permanent service police force designed to maintain public tranquillity and as-

3 Article 10º, decree of June, 14, 1831. Coleção de Leis do Império do Brasil de 1831, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1875, p. 16.

4 On July 22nd the parliament approved the general statute of this new police force. Decree of october, 22, 1831. Coleção de leis do Império do Brasil de 1831, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1875, p. 48.

sist the criminal justice system. Unlike the Guarda Real, which was part of the Army and linked to the Ministry ofWar, the Permanentes was subordinate to the Ministry of Justice, receiving its daily orders directly from the minister.5 The institution was composed of four companies of infantry and two of cavalry, having a total authorized contingent of 640 men, including officers.6 The force would be composed exclusively of Brazilian citizens – something that in a recently independent country was a significant element to state – between the ages of 18 and 40, recruited voluntarily and serving for as long as they wished. Only in the following year, 1832, a new law made mandatory to the police recruits sign contracts forcing them to stay in the force for a period of one year.

The voluntary aspect of the recruitment can be interpreted in two different perspectives. First, it was a translation of the political alignment of the architect of the new police force, Feijó. As a moderate liberal, the filling of police posts by citizens who would voluntarily engage in the police to provide this important service to the country, and not by conscripted individuals, was consistent with Feijó´s political views. In addition to this political interpretation, the events that took place in July 1831 with the Guarda Real highlighted a fact that could not be ignored by the minister, that is, the form of the recruitment and the consequent quality of the men that comprised the Army units. This element was well expressed by the Minister of War in his report to the GeneralAssembly in 1831: «Fatefully, the erroneous system of recruiting adopted and followed during the past administration, only intended to purge the provinces of the most abominable men, their vices, turbulent nature, and horrible crimes, people always dangerous to public tranquillity: by fatality this erroneous system of recruiting, passing on to theArmy Corps almost all the worst of the population, had turned them into a storehouse for obsessed thieves. It was these same men who, landing on the shores of their Provinces, gradually reproduced there, and with greater atrocity, the same terrible scenes that they had started in this capital [...].»7

To encourage voluntary enlistment to the new police force, the government

5 The subordination to the minister of Justice does not appear in the Permanentes statements, although, the institutional documents always show the minister of Justice as the superior to whom the commander responded to.

6 According to the report of the minister of the empire of 1838, the city of Rio de Janeiro had a population of 235.040 inhabitants. Brasil, Ministério do Império, relatório de 1832 apresentado à Assembleia Geral na sessão ordinária de 1833. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, anexo.

7 Brasil. Ministério da Guerra, relatório de 1831 apresentado àAssembleia Geral na sessão ordinária de 1832. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1832, p. 8.

raised the salaries. If in the GRP the monthly salary of a soldier was 3$600 reis in the Permanentes was raised to 18$000. The increase of the salaries had however a twofold explanation, on the one hand it was aimed to attract more idoneous men to the force, but had also a political objective, since voting rights were given only to those who had an annual income of at least 200$000 reis could be voters. The men of the Permanentes, as all public servants, could represent an important political force.

The measures taken by the government in 1831 hinted a clearer separation between the police and the military. However, even though the senior and junior officers were all directly appointed by government, the study ofAdriana Barreto de Souza has showed that between 1834 and 1839 all the appointments of senior officers to the Permanentes were of Army officers and 73.3% of junior officers came from the army, while only the remaining 26.6% were civilians. All other officers were civilians.As happened with the Guarda Real, filling all the posts in the Permanentes was a problem for the government. In the ministerial report of 1831 presented to the parliament, the Minister of Justice noted that, in the case of the Permanentes:

«[…] despite the advantages with which it was created, [Permanentes] has not yet reached the number of 400 soldiers. Such is the repugnance that Brazilians have for the military profession, always so badly and so unequally rewarded. It is necessary to solve this question. Without the help of the 1st line [army], in charge of the city´s garrison, it is not possible to continue with the current method of public safety»8

Inthe1832reporttheministerdealtagainwiththedifficultiesofrecruitment, noting that despite the soldiers’pay which seemed larger at the time that the new force was established, it was not enough to provide for voluntary applications of men in the quantity and quality deemed satisfactory. According to the 1833 report, the salary paid to enlisted soldiers and inferior officers was not enough for the men “[...] to buy the uniform, dress, eat, and wear shoes at his own expenses [...]”.9 After the general commandant of the Permanentes presented the problem to the minister, the government approved an increase of $40 a day in the pay of soldiers and lower officers.10

8 Brasil. Ministério da Justiça, relatório de 1831 apresentado àAssembleia Geral na sessão ordinária de 1832. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1832, p. 3.

9 Brasil. Ministério da Justiça, relatório de 1833 apresentado àAssembleia Geral na sessão ordinária de 1834. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1834, P.13.

10 Brasil. Ministério da Justiça, relatório de 1833 apresentado àAssembleia Geral na sessão ordinária de 1834. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1834, P.13.

First and second uniforms of delegado and subdelegado de Polícia (Public domain, Biblioteca Nacional Digital)

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The difficulties to complete the ranks of the force remained in the following years and to solve it the government resorted to the deployment of soldiers from the Army to serve as attachés (adidos) in the Permanentes. In other words, soldiers from the Army were put to work in the police until the latter had its ranks completed.A few years later, the persistent recruitment problem led to increase the number of adidos enlisted in the Permanentes and demanded the creation of an autonomous infantry company composed of all the enlisted personnel from theArmy.The Permanentes organization started thus to divide the military from the civilians who had voluntarily applied to the job.11 The company with all the adidos was subject to the same regulations as the other men in the Permanentes, being prosecutable for the same crimes and subject to the same sentences. However, in view the carelessness and wrongdoing reported by Permanentes´ commander, General Luiz Alves de Lima e Silva, the Minister of Justice, through a letter of August 3, 1836, authorized to discipline the adidos company with the regulations of the 1st Line of theArmy in order to solve the problem.12

The Army’s role in the policing services of Rio de Janeiro were constant over the years. The influence of the Permanentes was seen in the general organization and personnel composition, in higher rank officers as well as in a more direct action in patrolling the streets through the adidos company, but there were also other experiments revealing the influence of the military within the police. In a note from the Minister of Justice to the Commander General of September 23, 1841, it was stated that Minister of War informed Justice that the emperor, aware of the need for the policing services to rely on theArmy, ordered the creation of a temporary company composed of marines’soldiers. However, the experiment was short-lived; less than a month later, on October 9, two new notices informed that due to the inconveniences of having a company within the Permanentes whose subordination was to another commander it was prudent to cease the use of marine soldiers to police the city. To compensate the loss of these men, officers and some soldiers from theArmy were be assigned to act on

11 From what is known, there is no formal document creating the adidos company. Here we establish the date of creation from a letter fount at NationalArchives, folder IJ6-179, that deals with the conviction of the soldier Felix Miranda, of the adidos company, for insulting a superior, in 04/10/1835. This was the closest date to the creation of the Permanentes that we have found. Another adidos company was created through the decree of February 26, 1845, the decree can be found in the NationalArchives in folder IJ6-8.Anotice from the Minister of War sent to the commander of the Permanentes through the notice of the Minister of Justice of 11/03/1840 informs that while soldiers and officers of theArmy served in the Corps these soldiers were not considered part of theArmy. NationalArchive IJ6-28 folder.

12 GeneralArchive of the Military Police of the State of Rio de Janeiro, Folder D-5.

an interim basis on the Permanentes, with the salary of these soldiers being paid by the War Ministry.13

Observing the case of the brief experience of the marine’s Company, the adidos Company, the first and only that existed in 1842, it is possible to see the contrast between the expectation of the government 1831 and the reality that was presented itself. Even though the government acted upon the idea that there would be in the population a desire for civilians to engage in the police services that the country demanded, not only in the police but also in other institutions, such as the National Guard, central to the model of maintenance of the public order and public safety envisaged by the liberal political elite that came to power after the independence, and especially after the abdication of D. Pedro I, the reality, however, showed that the possibility of a civilian police force was more complex than simply theoretical political willingness.

In the case of the Permanentes, this situation can be observed in two examples.The first is the time of employment in the police force. In the third article of the 1831 general statute, it was established that citizens who applied and entered in this police service would serve for as much time as they desired, but in the ministerial report of 1832 it was noted that the civilians that entered in the force were staying for a short amount of time and that many would leave shortly after beginning to work in the police.14 This led to the decree of October 13, 1832, which established a minimum period of one year to the civilian recruits of the Permanentes, thus trying to prevent the high rotation and instability in the personnel of the police service.

The second example is the change in the article thirteenth of the 1831 statute, which determined that “whoever deserts, or leaves the service for more than three days, in addition to the penalties, in which he incurs for the omission, will be imprisoned for one to three months and fired”. Through a resolution of October 13, 1833, the resignation of the enlisted after serving the sentence was withdrawn.15 Although not explicitly stated, this change is a strong indication that the desertion or abandonment of the post was something that happened at

13 NationalArchive, folder IJ6-28

14 This is a similar pattern to that registered in police forces in Europe and NorthAmerica. Historiography on the Metropolitan Police of London and north American police forces have shown a high turnout rate of men until at least the 1850s. See (sHPayer-makoV, 2004) and (monkkonenn. 2004 [1981])

15 Notice from the Minister of Justice to the General Commander of July 10, 1837, NationalArchive folder IJ6-28. Brasil. Ministério da Justiça, relatório de 1832 apresentado àAssembleia Geral na sessão ordinária de 1833. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1833, p. 9.

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least significantly to disrupt the policing service. Second, if the respective determination of the regulation were complied with as originally established, the problem of completing the ranks of the police would be something even more complicated to solve.

The unfulfillment of the expectations about the voluntary recruitment of civilians to perform the police service – something that happen also in the national guard, where the men acted only on a voluntary basis without receiving salary – led to the establishment of something already common in theArmy: the forced recruitment of men. In nineteenth-century language “recruitment” meant forced recruitment. Indeed, the formal language of military recruitment highlighted its coercive nature: the authorities spoke of the “seizure” and “imprisonment” of those who were recruited (kraay, 1999, p. 144). In the case of the police, it is possible to notice this – and how it constituted a persistent problem – in a letter from the Minister of Justice to the commandant of the Permanentes in 1839 it is stated that:

“In agreement with the request that the Minister of War has just made, the Regent, in the name of the Emperor, orders you to make the recruitment for the Army, recruiting within this municipality, for which purpose you will employ the people you deem necessary, or even pedestrians, agreeing in this case with the Chief of Police[;] [I] recommend you to proceed without trampling the citizens and break the laws and orders that regulate this subject[.] and giving them, at the charge of the above-mentioned department, the bonus that is set to each individual who is recruited[;] and as you recruit men, you should send them to the military barracks to settle the enlistment. God keep you. May, 28, 1839.”16

On his research about the recruitment process in the Permanentes, historian Marcos Luiz Bretas (1998) has demonstrated, using as source the requests for forgiveness sent to the Emperor by the men of the police force detained after being punished or their families in their behalf, that a significant number of these petitions were about men who entered in the police after a forced recruitment and alleging that the removal caused serious problems for the family, either economically or to take care of family members who, due to medical conditions, old age or young age, need help.

16 GeneralArchive of the Military Police of Rio de Janeiro, folder D – 8. Official letter from the minister of Justice to the Commander of the Permanentes, may, 28, 1839.

The Police in the Saquarema Era

The nine years of the Regency, between 1831 and 1840, was a period of intense political disputes between radicals and conservatives to take over the government and several rebellions in the provinces that threatened the integrity of the national territory. The twenty-one years that followed the coronation of Dom Pedro II and the brief period of eight months of a liberal cabinet in 1841, witnessed the conservatives at the forefront of imperial government, making what came to be called the Saquarema Era.17

Soonaftertheriseoftheconservativestopower,importantlegislativechanges were carried out. For example, the reform of the Code of Criminal Procedure in 1841, which strengthened administrative centralization, as well as the number of authorities and magistrates directly appointed by the government. With this reform, the justices of the peace lost their position as the main magistrate responsible for the judiciary police to the chief of police, the judges of law, their delegates and sub-delegates. According to the new code, the chief of police of the court would be appointed by the Emperor chosen among the Desembargadores and judges of law, while the delegates and sub-delegates were chosen among any judge or citizen. With these reforms the police were centralized and at least theoretically professionalized.As Joice Soares has put it:

«The great undertaking of the reform of the Criminal Procedure Code was to remove from the hands of the elective magistrates the attributions that had been granted to them, gradually, since the end of the First Reign. The new police authorities intervened in matters of administrative police and carried out, privately, activities related to the judicial police. » (soares, 2021, p. 315)

In the following year, the second general statute of the Permanentes was approved, one that brought closer the police service and the military.18 The police and theArmy formed a relationship in which the possibility for both institutions to exchange recruits was strengthened. The question of forced recruitment remained one of the main questions within police organization. It is possible to

17 The term saquarema started to be used in decade of 1840 to designate the conservative supporters.According to mattos (1994: 100-101), this term emerged around 1845 in the village of Saquarema designating the ones protected by the local conservative chiefs from the authoritarianism of the liberal subdelegate. Soon the term was extended to all conservative supports, being created a newspaper with the same name at the province of Pernambuco and later at the province of São Paulo.

18 Regulation Nº 191 july, 1, 1842. Coleção de leis do Império de 1842, tomo V, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1843, p. 353.

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see the full extent of this in the case of Ricardo José. Ricardo was from the province of Maranhão, in the north of the country, recruited by force he was sent to Praia Vermelha in Rio de Janeiro. However, in Rio he proved to be unfit for the army´s service and sent to serve in the Permanentes. The case of someone being brought to Rio from so far away was an exception, a result of his forced recruitment into theArmy, but serves to demonstrate how theArmy had the door open in the Permanentes to get rid of individuals who were not fit for 1st line service (Bretas, 1998).

This was however a two-way practice. The Permanentes´ statute of 1842 established that the commandant of the Permanentes could order to serve temporarily in the adidos company the soldiers punished in the service, where they would suffer a strict, military, discipline.19 At the end of this time, the commandant would request the transfer of these individuals to theArmy’s 1st Line to the Minister of Justice. From the correspondence between the Permanentes and the Ministry of Justice it is possible to see that the practice of transferring soldiers with improper behaviour was not restricted to the Army but was also a practice of the police force.20 If fact, the disciplinary system of the army and the police was deemed to be the same. Besides sending soldiers with irregular behaviour to units of the army as a form of punishment, the new statute of the Permanentes determined that if the men punished within the force were known for continuous bad behaviour, they should not serve their sentences at the Permanente’s barracks but should be sent to military prisons and subjected to military justice.21

The articles that have connection with the Army in the 1842 Permanente’s statute are those of punishment but also those that granted prestige and motivation to the men in the force. It is evident that the strategies to maintain order and discipline of men were different in the case of soldiers and officers. In the case of the former, the strategies followed a coercive and disciplinary character, using most of the time the fear of punishment and reprimands, with transfer and service in the Army being one of the strongest. The little desire shown in the population to serve in the Army, due to the strenuous work and the rigid discipline of the 1st Line regulations, was perceived and used by the government as a

19 Regulation Nº 191 july, 1, 1842.Article 64. Coleção de leis do Império de 1842, tomoV, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1843, p. 353.

20 Nacional Archive folder IJ6-3, letter from the Ministry of Justice to the Permanentes of 06/01/1857.

21 Regulation Nº 191 july, 1, 1842.Article 55. Coleção de leis do Império de 1842, tomoV, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1843, p. 353.

possible penalty to keep men of the Permanentes in line. The statute established that every volunteer who completed four years of service would be exempt from service in the Army, a strategy to guarantee good discipline in the police. It should be remembered that soldiers in the 1st Line of the Army were subjected to harsher disciplinary norms and heavier penalties than the Permanentes and had a lower pay. Thus, being exempted to serve in the Army by staying a long period in the police was perceived as an award, a bait for a good behaviour within the police.

The sections of the regulation that established the instruments to maintain discipline among officers worked more with the prestige and benefits of being a military officer than with coercive elements. The statute established that the badges of officers and lower officers would be the same used in the 1st Line of theArmy. The service of military officers in the Permanentes had a commission character,determiningalsothatwhiletheyoccupiedthesepostsinthepolicethey

Senior Officers of the Guarda Nacional do Império 1831 (Public domain, Biblioteca Nacional Digital).

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 156

would continue to enjoy all the honours and distinctions of those in the Army.22 Finally, the statute also established that every officer, whether a civilian who had reach the rank of officer or an officer from theArmy assigned to serve in the Permanentes, who served for ten years would be entitled to an honorary patent, something that conferred social status in Brazilian society. These elements show, on the one hand, a certain prestige that the military career had in society, offering possibilities of social ascension, used to attract better recruits. But, on the other hand, also show how the benefits, honours and exemptions granted to first-line military officers could be used by the government as instruments to encourage the officers in the police to maintain the discipline (and on the job).

The 1842 police reform put a significant emphasis on the internal disciplinary system of the police, emulating in many aspects the military. For example, about the judgments of crimes committed by policemen, the Permanente’s statute of 1831 established an internal process run by an internal council in which the entire process of the indictment until the possible appeal occurred within the institution. On the contrary, the 1842 reform introduced a significant change in this aspect. Three internal disciplinary councils were created: the Peremptory Council, responsible for judging absences of more than three days to work; the Investigation Council, in charge of investigating crimes whose authors were not known; finally, there was a Criminal Council, the most significant to this work because of its links with theArmy. This council was regulated by a law of 1765 which determined how the councils of war in the Army would function. Therefore, the disciplinary system within the Permanentes emulated almost completely theArmy, basically constituting a war council within the police.The only relevant difference being the typification of crimes and penalties, which followed what was established by the police statutes and not the military laws. The auditor in charge of the council would be the same as theArmy’s, and while the president and members should be Permanentes´ officers, they could also be also Army officers. When the Criminal Council found an individual guilty, the Permanentes commandant should then refer the case to the Supreme Military and Justice Council for the ultimate judgment. The disciplinary process of the police, an institution formed in theory by civilians and under the authority of the Ministry of Justice, had its final decision arbitrated by the highest judicial instance of theArmed Forces.

The emphasis made to bring the disciplinary strategies within the Perma-

nentes to look like the military disciplinary system reveals one important characteristic of police reform in Brazil in this period. If the 1840s and 1850s in Europe it is possible to see the search for police organizational stability, that led to increase payment and better working conditions and professionalization through a process that emphasised the civilian nature of urban police, in Rio de Janeiro the government strengthened the military nature of everyday street policing paralleling its disciplinary system with the military. Urban police in Brazil resembled more the changes that were transforming rural policing in Europe in this period (Emsley, 1999).23

In 1858 the Conservatives approved of a new statute for the Permanentes, introducing some changes that begun in the name of the institution, altered to Corpo Policial da Corte, capital city police force. Contrary to the occurred in 1842 there was not in this statute the introduction of significant elements that made the relationship between the police and the Army closer. However, some of the elements introduced in 1842 were reinforced in this new document, which can be explained as a consequence of the perpetuation of the Conservatives in power.

Among the changes introduced in the statute of the Rio de Janeiro police force there was a one regarding the exemption of service in the Army, which was given to those who had four years of service. The exemption served for recruitment and service in the National Guard but had now more restrictive conditions, establishing that the benefit would only be granted to the soldiers who had at least five years of service in the police.24 A possible explanation for this change can be found in the climate of tension that existed both internally, due to some revolt movements, and externally, in face of Brazil’s more interventionist international policy in the Rio de la Plata region.25 As theArmy was in a moment of greater demand for recruits, even more from individuals who had already had military training within the police institution, the exemption of military service was significantly reduced.

In the disciplinary field, two interesting elements appear in this reform. The first determined the internal police of the Permanentes - a set of disciplinary

23 For the transformation of urban policing in the 1840s and 1850s in London and Paris see (Shpayer-Makov, 2004: 101-12; Deluermoz, 2009: 439). In the case of north America, the high turnout of policemen were more linked to political patronage reasons, see (monkonnen, 2004 [1981]).

24 Decree 2081, january, 16, 1858. Article 96. Coleção de leis do Império de 1858, tomo XIX, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1858, p. 26.

25 kause,Thiago; soares, Rodrigo Goyena. Império em Disputa: Coroa, Oligarquias e Povo na Formação do Estado Brasileiro (1823-1870), In press.

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rules and procedures to be complied with and carried out by officers in order to maintain the good service of the soldiers - was the same as those adopted in the Army Corps.26 The second established that every year in the end of December Permanentes would undergo an inspection to be carried out by a superior officer of the Army.27 These elements implied a strengthening of the military character of the institution and an increasingly closer relationship with theArmy, moving away, at least during this period of the Conservatives in power, from the moderate liberal project of the early 1830s.

Another main change between the 1842 and 1858 statute was the extinction of the adidos companies.Although the adidos companies were extinguished the statute did not remove the possibility of filling vacant posts with men from the ranks of the Army, with the difference that these would now not be allocated in a company of their own but would be distributed among the eight companies of the Corpo Policial. One possibility to understand the extinction of these companies is the greater rigidity of the internal discipline to which the members of the police were subjected and thus theArmy would not have to give up a greater number of soldiers for the police and the police would have less concerns about cases of indiscipline of these soldiers, since the disciplinary mechanisms of the police were similar to those of theArmy.

The disciplinary system of the Corpo de Polícia progressed in emulating the army´s system. Several articles of the new statute established that policemen would respond under military law in case of prosecution.28 It was also established that crimes committed while on duty would be classified as military crimes and would be judged under military law.29 It is important to note that since the creation of the new police institution in 1831, this was the first time that it was established that certain crimes committed by policemen were judged under military law, even though the police were a body linked to the Ministry of Justice and formed ideally by voluntary civilians.

The cases in which the commandant of the police could request to the Minister of Justice the transfer of individuals with irregular behaviour theArmy were

26 Decree 2081, january, 16, 1858.Article 133. Coleção de leis do Império de 1858, tomo XIX, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1858, p. 26.

27 Decree 2081, january, 16, 1858.Article 140. Coleção de leis do Império de 1858, tomo XIX, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1858, p. 26.

28 Decree 2081, january, 16, 1858.Articles 39 and 41. Coleção de leis do Império de 1858, tomo XIX, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1858, p. 26.

29 Decree 2081, january, 16, 1858.Article 131. Coleção de leis do Império de 1858, tomo XIX, parte II. Rio de Janeiro: Tipografia Nacional, 1858, p. 26.

expanded. The Peremptory Council was extinguished, with the Investigation Council, responsible for collecting evidence and witnesses, the defendants continued to be judged by the Criminal Council, which maintained its character of War Council.As a result of the greater administrative centralization in the country, there was an increase in the bureaucracy for these disciplinary processes by introducing the Minister of Justice as an intermediary between the police´s commandant and the Supreme Military Council.

Polícia do Rio de Janeiro, watercolor by Thomas Ender (1793-1875). (Public domain, Biblioteca Nacional Digital).

Concluding Remarks

Since the inception in 1831 of the Permanentes, the police were involved in the intense political struggles between the moderate liberals and the conservatives that marked the life of the new country. The Permanentes emerged after the mutiny of the Guarda Real de Polícia at the moment of the rise of the moderate liberals to power, a confluence of factors that made the new police force an institution with significant differences in relation to its predecessor. An institution seeking to move it away from the trauma generated by the days of chaos in July 1831, attempting to create a police force with specific characteristics, not an army unit that did the police service. However, the difficulties imposed by the daily life of the police service in Rio de Janeiro and the political changes that the country experienced over the twenty-seven years that were addressed in this work resulted in changes from this initial project, mainly a progressively closer relationship with theArmy.

This period was thus marked by both a greater centralization and the fact that the Permanentes and the Army got progressively closer, especially in the discipline of the men that were, even though the Permanentes were initially intended to be a force composed of civilians. The Permanentes or, after 1858, the Corpo Policial may not have been an official army unit answerable to the Minister of War, but what we observe is that over the year the institution was increasingly administered and commanded in its highest ranks by Army officers or volunteers who managed to achieve the higher ranks of the hierarchy, but who still had their training shaped by officers of theArmy´s 1st line and a statute that the reforms throughout the years got closer and closer to the military laws. There was thus a police force that resembled many of the gendarmeries that appeared in Europe in this period (Emsley, 1999), with the only difference that it was deployed in a city and not in rural areas.

The course of Permanentes´s reforms between the 1830s and 1850s led us to two main conclusions. First, until 1858, the police in Rio de Janeiro were still not an autonomous institution within the state apparatus.The military characteristics that were embedded in the project that created the Permanentes in 1831, reinforced and expanded in the following years, maintained a hybrid character in the police. This leads to the second conclusion, as these military characteristics, together with an absence of training manuals or systematization of procedures and knowledge of professional police institutions indicate that Rio de Janeiro until the 1860s only soldiers exercised the daily police services and not civilian professional police officers that begun to emerge in other parts of world.

And by professional police institution, it is understood a police force conscious of its specialized service, dealing with citizens and not adversaries, as is more typical in military training and activity. In this sense, it is argued in this work that the development of the police in Brazil is similar to the argument that Emsley (2007: 61-62) presents for the case of the German police, in which the procedures and knowledge of this institution were developed over time by the very practice of the police service on a daily basis. Unlike the German case, in which there was the construction of academic knowledge around “police sciences”, in which cameralism would be integratedinto the curriculumof universitiesfor the formation of a technical police knowledge, nothing similar emerged in Brazil either before or after the independence. The Brazilian state was built more in a bottom-up process. It should be noted however that compared to its predecessor, the Guarda Rial de Polícia, the Permanentes presented a degree of institutional specialization process, changing the police from an entirely military institution with a wide range of attributions to one more focused on the maintenance of public order and safety and provider of assistance to judicial authorities.

Battalion of Fusiliers of the Rio National Guard (1840–1845). Oficina litográfica Brito & Braga. Wikimedia Commons.

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Polizia e politica.

Legge e ordine nel nord-ovest indiano fra Otto e Novecento

di gIanluca PastorI

aBstract:After the Great Mutiny in 1857-58, the constant fear of British India’s authorities was that external destabilizing influences – mostly from Russian penetration in Central Asia – could fuel domestic instability that the Raj could not withstand. In their vision, domestic and external security was, thus, intimately linked, pushing police activity to assume distinct military traits, in sharp contrast with the British metropolitan model. Militarization of public order was especially evident in the north-western territories, where irregular forces played a pivotal role. For some time, the Sandeman system emerged as the favourite way to engage the local chiefs in the British security establishment. However, the system proved only partly effective in the long run, especially in the Pashtun-inhabited areas bordering Afghanistan. In 1901, the establishment of a new North-West Frontier Province, and a tribal belt behind it, where different rules applied compared to the adjoining settled districts, marked the beginning of a new and final phase and the devolution to tribal leaders of the task of preserving law and order attested the government’s inability to both integrate them in the Empire’s formal administrative system and place them under full military control.

keyWorDs: great game, BrItIsH InDIa, nortH-West frontIer, nortH-West frontIer ProVInce, BrItIsH InDIan army, trIBal PolIcy, trIBal leVIes, Irregular forces, sanDeman system.

Introduzione

Per la rilevanza interna e le ricadute internazionali, il mantenimento della legge e dell’ordine lungo le frontiere nord-occidentali dei possedimenti indiani è un compito che impegna fortemente le strutture del Raj britannico fra la seconda metà dell’Ottocento e la prima parte del Novecento.Agli occhi delle autorità, garantire questo obiettivo non solo tutela la stabilità dell’Impero ma ne promuove anche la sicurezza esterna. Negli anni, questo compito assume, quindi, un rilevo crescente e sfaccettature diverse. Intorno a esso, si intrecciano le competenze di più soggetti: forze di polizia, unità regolari dell’esercito britan-

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nico e anglo-indiano, volontari civili e forze tribali di vario tipo, queste ultime reclutate e organizzate con criteri diversi e spesso per diversi obiettivi, secondo una logica fortemente territoriale, che determina spesso tensione e conflitti di competenza fra le autorità responsabili. Questo senza contare il complesso eterogeneo di sistemi e competenze che caratteristica i territori fuori dal controllo diretto delle autorità britanniche, sia all’interno del Subcontinente, sia lungo le sue frontiere. Il risultato è un affastellarsi di competenze e di responsabilità mai del tutto definite, reso più complesso dalla differenza di status giuridico dei vari territori e dai diversi poteri attribuiti alle loro autorità di governo. Il carattere “leggero” della macchina imperiale britannica, con la sua predilezione per il governo indiretto (indirect rule) rafforzano queste tendenze. Sul piano dei risultati, la bontà di questo approccio è spesso criticata, sia per i costi e la farraginosità, sia per la poca efficacia di un’azione strutturata in modo quasi solo repressivo. Al contrario, per i suoi fautori, la politica delle rappresaglie (il c.d. butcher and bolt) è la sola applicabile in un ambito in cui né le forze regolari, né le milizie tribali riescono a garantire un efficace controllo del territorio e delle popolazioni.

L’impiego delle forze tribali è un punto di contrasto ricorrente sia fra “tecnici” e “politici” (una categoria che, specialmente nelle aree di frontiera, comprende anche un buon numero di amministratori) sia fra i funzionari dei vari dipartimenti. Questo stato di cose prosegue anche dopo l’adozione, nel 1877, del c.d. Sandeman system, in virtù del quale un reticolo di capi “fedeli” è coinvolto nell’attività di law and order in cambio di sussidi economici e altri benefici materiali. Il timore principale – e il principale oggetto del contendere – è che questa politica porti al progressivo espandersi della responsabilità britannica oltre il confine amministrativo, con tutte le possibili conseguenze in termini di costi e rischi. Secondo i suoi fautori, al contrario, il Sandemam system sarebbe lo strumento più adatto a coniugare in modo efficace la sicurezza dei territori in cui è applicato con il minimo coinvolgimento da parte delle autorità. Al di là della querelle, l’introduzione di questo meccanismo rappresenta, comunque, del punto più avanzato dell’impegno britannico lungo i confini del Raj. L’istituzione della North-West Frontier Province e la parallela introduzione delle Frontier Crimes Regulations (1901), con la rimozione di ogni presenza militare permanente nei territori oltre la frontiera amministrativa e la delega alle autorità tradizionali della responsabilità per il mantenimento della legge e dell’ordine, segna il successo di una politica “di riflusso” destinata a dominare la scena sino all’indipendenza. Rimane l’interrogativo sull’efficacia di queste misure. Se esse permettono di isolare i territori del Raj dell’instabilità proveniente da

oltre frontiera, il prezzo da pagare è, infatti, il permanere di una situazione di diffuso disordine nell’ambito della sicurezza privata, disordine che, dalle aree transfrontaliere, tracima sistematicamente nei settled districts al di qua della frontiera amministrativa.

Difesa e sicurezza: un problema bifronte

La stabilità del controllo britannico sull’India (British Raj) è legata al costante intreccio della dimensione esterna e di quella interna della sicurezza. Anche se la prima attrae maggiore visibilità (soprattutto nelle frequenti fasi di tensione che punteggiano la lotta di influenza con la Russia zarista sui territori dell’Asia centrale e dell’Afghanistan1), è soprattutto il timore di una perdita del controllo

1 La rivalità anglo-russa in Asia centrale e in Afghanistan (il “Grande gioco”) ha prodotto una massa difficilmente sintetizzabile di letteratura. In un’ottica divulgativa cfr. Gerald morgan, Anglo-Russian Rivalry in Central Asia: 1810-1895, London, Routledge, 1981; Peter HoPkIrk, The Great Game: On Secret Service in High Asia, Oxford, Oxford University Press, 1990 (trad it., Il grande gioco. I servizi segreti in Asia centrale, Milano,Adelphi, 2004); Karl E. meyer e Shareen Brysac, Tournament of Shadows. The Great Game and the Race for Empire in Asia,Washington, DC, Counterpoint, 1999, e Robert JoHnson, Spying for Empire: The Great Game in Central and South Asia, 1757-1947, London, Greenhill, 2006. Con un taglio più scientifico cfr. Martin eWans, Securing the Indian Frontier in Central Asia: Confrontation and Negotiation, 1865-1895, London, Routledge, 2010; Evgeniĭ sergeeV, The Great Game, 1856-1907. Russo-British Relations in Central and East Asia, Washington, DC e Baltimore, MD, Woodrow Wilson Center Press e The Johns Hopkins University Press, 2013, e

Anandswarup Gupta, commissario di polizia e primo storico della Polizia nell’India britannica.

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interno a preoccupare e autorità anglo-indiane. Lo squilibrio quantitativo fra dominanti e dominati è un memento costante della fragilità del rapporto imperiale e rende necessaria una costante opera di bilanciamento delle diverse componenti che formano il mosaico etnopolitico del Subcontinente. Il carattere composito di una società che avrebbe trovato il suo punto di convergenza solo nell’ostilità alla presenza britannica rafforza questa convinzione, che dopo la fine della Prima guerra mondiale sembra trovare la sua ratifica definitiva, in un’epoca in cui l’avvio dei lavori per la costruzione della nuova capitale imperiale – New Delhi – metteva in luce tutte le contraddizioni che attraversavano l’impero. Da questo punto di vista, l’esperienza del “grande ammutinamento” (Great Mutiny) dell’esercito del Bengala, nel 1857-58, rappresenta un elemento centrale nello sviluppo della macchina imperiale2 e lascia un segno indelebile che si riflette sia nei criteri che, da allora, avrebbero presieduto all’organizzazione della sua struttura militare, sia nelle più ampie logiche di governo del paese. Il carattere trasversale della rivolta (che nell’ambiente militare trova solo una delle sue componenti e che si alimenta di un consenso diffuso fra le caste e gli strati sociali) impone alle autorità britanniche di adottare una politica più articolata, favorita anche dal passaggio alla Corona della responsabilità già dell’East India Company (EIC) e dall’istituzione di un dicastero ad hoc nel Gabinetto.

In questo senso, il Government of IndiaAct del 1858 modifica radicalmente le “regole di gioco” e avvia un processo di graduale riforma che sarebbe proseguito, di fatto, fino agli anni dell’indipendenza. Nel 1861, l’Indian Councils

Riaz Dean, Mapping The Great Game. Explorers, Spies & Maps in Nineteenth-century Asia, Oxford, Casemate, 2019 In realtà, negli anni, il concetto stesso di “Grande gioco” (una volta pacificamente accettato dalla letteratura) è stato messo via via in discussione, ridefinendone il significato in termini di artificio retorico. In questa prospettiva cfr., fra gli altri, Gerald morgan, «Myth and Reality in the Great Game», Asian Affairs, 4, 1 (1973), pp. 55-65; MalcolmyaPP, «The Legend of the Great Game», in Proceedings of the British Academy, vol. 111, 2000 Lectures and Memoirs, Oxford, Oxford University Press, 2001, pp. 179-198, e Seymour Becker, «The ‘Great Game’: The History of an Evocative Phrase», Asian Affairs, 43, 1 (2013), pp. 161-180.

2 Sul Great Muntiny comeelementocentralenellacostruzionedel Raj cfr.ThomasR.metcalf, The New Cambridge History of India, vol. III, 4, Ideologies of the Raj, Cambridge, Cambridge University Press, 1995. Sulla sua trasformazione in mito centrale del nazionalismo indiano cfr.ledinamicheesposteinBenjaminzacHarIaH, After the Last Post. The Lives of Indian Historiography, Berlin e Boston, De Gruyter Oldenburg, 2019, spec. pp. 59 ss. Questa trasformazione trova ampio riflesso nel modo in cui, nel corso degli anni, cambia la narrazione degli eventi del Mutiny stesso. Su questo aspetto cfr., per tutti, Harold E. raugH Jr, «The Battle of the Books:An Indian Mutiny Historiography», Journal of the Society for Army Historical Research, 94, 380 (2016), pp. 294-313, e Ivi, 95, 381 (2017), pp. 34-51.

Act trasforma il precedente Consiglio esecutivo in un gabinetto in miniatura, assegnando a ognuno dei suoi cinque membri ordinari un dicastero (Interni, Imposte, Affari militari, Finanze e Giustizia). Esso fissa il numero dei membri del Consiglio fra sei e dodici, di cui non meno della metà “non ufficiali”. Nel 1892, il numero è portato a un massimo di sedici, di cui dieci non ufficiali. Molti di questi membri non ufficiali sono nobili o grandi proprietari terrieri locali, cosa che rende le sessioni del Consiglio una sorta di barometro degli umori dell’opinione pubblica e una valvola di sicurezza consultiva evitando, al contempo i rischi connessi all’adozione di un sistema parlamentare concretamente formato. Il Comandante in capo dell’esercito (C-in-C India) sedeva in Consiglio come membro straordinario mentre la responsabilità degli Esteri è inizialmente nelle mani del Viceré, che sostituisce il precedente Governatore generale. A Londra, il Segretario di Stato per l’India, affiancato da un consiglio di quindici membri, riceve i poteri e i doveri prima spettanti direttore della EIC. Parallelamente, è costituito l’Indian Civil Service (ICS), sempre sotto il controllo del Segretario di Stato per l’India. Il tentativo dell’amministrazione coloniale è di integrare i poteri locali e le caste superiori nell’apparto di governo, sopprimendo i tentativi di occidentalizzazione e l’appropriazione dei domini principeschi (che, negli anni precedenti, era sta a favorita dall’adozione della c.d. “dottrina della decadenza”3), decretando la tolleranza religiosa e ammettendo personale indiano nei vari servizi amministrativi, anche se, normalmente, in posizioni subalterne.

In ambito militare, la rivolta del 1857-58 ha come conseguenza quella di avviare una trasformazione radicale del vecchio strumento militare dell’EIC pur salvaguardando il sistema del tre “eserciti presidenziali” (Presidential Armies), che, nonostante ripetute proposte di scioglimento, avrebbero continuato a dipendere, rispettivamente, dalle autorità del Bengala (Calcutta), di Bombay e di Madras fino alla fusione del 1895. Alla vigilia del Great Mutiny, la consistenza complessiva dell’apparato militare britannico in India era nell’ordine dei

3 Secondo la “dottrina della decadenza” (doctrine of lapse), ogni Stato principesco o territorio sottoladirettainfluenza(paramountcy)dell’EastIndiaCompanyeraautomaticamenteannesso ai suoi possedimenti qualora il governante tale Stato o territorio si fosse mostrato “manifestamente incompetente” o fosse morto senza un erede diretto. La misura soppiantava, quindi, il diritto tradizionalmente esercitato dai sovrani indiani di scegliere il proprio successore in caso di mancanza di eredi diretti; essa, inoltre, riservava al giudizio insindacabile delle autorità britanniche decidere se un governante fosse o meno “competente” e quanto lo fosse. In base a questa dottrina, dal 1848, la EIC avrebbe assunto il controllo degli Stati principeschi di Satara (1848), Jaitpur e Sambalpur (1849), Bhagat (1850), Udaipur (1852), Jhansi (1853), Nagpur (1854), Tore e Arcot (1855) e probabilmente Awadh (Oudh) (1856), contribuendo così, in maniera rilevante, ad alimentare il malcontento poi sfociato nella rivolta del 1857-58.

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278.000 uomini, di cui 253.000 dipendenti dalla Compagnia (Company Troops), i restanti inquadrate nelle c.d. Royal Troops, unità dell’esercito britannico assegnate “a lungo termine” al servizio nelle colonie. Il personale delle Company Troops era essenzialmente indiano, mentre il corpo ufficiali era fornito da personale britannico, di norma formato nell’Accademia militare della Compagnia (East India Company Military Seminary, dal 1856 East India Company Military College) diAddiscombe. Fuori dal sistema degli eserciti presidenziali si poneva la Punjab Irregular Force (PIF), costituita nel 1851 aggregando i reparti preesistenti della Frontier Brigade (1846) e dellaTrans-Frontier Brigade (1849), costituiti al termine rispettivamente della prima (dicembre 1845-marzo 1846) e della seconda (aprile 1848-marzo 1849) guerra contro i Sikh. Posta alle dipendenze dirette delle autorità del Punjab, la PIF aveva il compito specifico di proteggere la frontiera nord-occidentale del Raj. Nel 1857, il complesso dei reparti “indiani” comprendeva, così, sei squadroni di artiglieria a cavallo, trentasei compagnie di artiglieria, ventuno reggimenti di cavalleria di linea, trentatré reggimenti di cavalleria irregolare, centoquindici battaglioni di fanteria di linea e quarantacinque battaglioni di fanteria irregolare, per un totale di circa 230.000 uomini4 .

La repressione del Mutiny, lo scioglimento dell’esercito dell’EIC e il trasferimento alla Corona della responsabilità per la sicurezza dei possedimenti britannici in India portano a un radicale cambiamento in questo stato di cose e, in particolare, a un notevole ridimensionamento del ruolo e della funzione dei reparti indiani. Fra il 1861 e il 1865, con una complessa serie di scioglimenti, creazioni e riaggregazioni di reparti, e di provvedimenti tecnici e organizzativi, il numero, la struttura, l’organico e l’armamento delle unità indiane trattenute in servizio si riducono in modo rilevante. Tutti i reparti di artiglieria indigena sono sciolti, tranne nove batterie da montagna, cinque delle quali inquadrate all’interno della Punjab Frontier Force(nome che la “vecchia” PIF assume nel 1865 e mantiene fino al 1903 quando assume semplicemente quello di Frontier Force) e quattro nel contingente dello Stato principesco di Hyderabad. Il numero dei reggimenti di cavalleria indigena scende a 42 e quello dei battaglioni di

4 Thomas A. HeatHcote, The Army of British India, in David cHanDler e Ian Beckett (Eds.), The Oxford History of the British Army, Oxford e New York, Oxford University Press, 1996, pp. 362-84 (366); per un dettaglio degli organici cfr. The Army in India and its Evolution. Including An Account of the Establishment of the Royal Air Force in India, Calcutta, Superintendent Government Printing, 1924, spec. app. I; nello stesso periodo le truppe europee al servizio dell’East India Company erano inquadrate in sei reggimenti di cavalleria leggera, nove battaglioni di fanteria, diciassette squadroni di artiglieria a cavallo e tredici compagnie di artiglieria, ognuna su una batteria di sei cannoni.

fanteria indigena a 142. Questo processo impatta in modo ineguale sui tre eserciti presidenziali. Per esempio, se in quello del Bengala settantadue reggimenti di fanteria e cavalleria su ottantaquattro si ammutinano e sono sciolti dopo la repressione della rivolta, tutti i cinquantadue reggimenti di fanteria nativa di Madras transitano nel nuovo organico quando l’autorità della Corona sostituisce quella dell’EIC5. La consistenza dei reparti è comunque fissata a un livello inferiore a quello dei corrispondenti reparti britannici e fino al 1914, quando il fucile SMLE diventa l’arma d’ordinanza per tutti i reparti, il loro equipaggiamento è sistematicamente mantenuto ad un livello qualitativo inferiore, così da garantire alla componente europea (la cui consistenza è fissata, nel 1860, in un massimo di 80.000 unità, ridotte a 73.000 nel 1865) una superiorità di fuoco ritenuta adeguata.

5 Philip mason, A Matter of Honour. An Account of the Indian Army Its Officers and Men, Harmondsworth, Penguin, 1976, p. 349. L’imporsi, negli anni successivi, della dottrina delle “razze marziali” avrebbe, tuttavia, penalizzato fortemente proprio l’esercito di Madras, tanto che, fra il 1860 e il 1907, dei cinquantadue reggimenti citati ne sarebbero stati sciolti ventisei (venti dei quali nel solo periodo 1860-82) a favore di un più massiccio reclutamento nel Punjab e nelle regioni del nord-ovest.

MadrasArmy.Autore ignoto. Pubblico dominio. Wikimedia Commons.

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L’insieme di questi provvedimenti finisce per configurare le forze indigene più come ausiliarie di quelle britanniche che come alternative. Non a caso, uno degli obiettivi della riforma Kitchener (1903) sarebbe stato «rendere nuovamente l’Indian Army – trasformato in gendarmeria imperiale dalle riorganizzazioni successive al Mutiny – un esercito regolare di tipo tradizionale», attraverso la costituzione di tre corpi d’armata con competenze territoriali distinte, la ridistribuzione delle unità e la loro omogeneizzazione in termini di effettivi e di composizione organica. Presupposto esplicito di questi interventi era il riconoscimento del fatto che il compito principale dell’esercito era difendere la frontiera nord-occidentale del Raj dall’aggressione di un eventuale nemico esterno e che, in questa prospettiva, le esigenze della sicurezza interna svolgevano una mera funzione subalterna6. La politica di omogeneizzazione fra reparti indiani ed europei avviata prima del Mutiny cede il passo a un’embrionale politica di indianizzazione, destinata ad accelerare al volgere del secolo. Il rapporto fra truppe britanniche e indiane si riduce drasticamente, passando da 1/10 circa alla metà degli anni Cinquanta a 1/3 dieci anni dopo, mentre la presenza degli ufficiali britannici si riduce ai soli gradi superiori. Se, prima del Mutiny, i reggimenti di fanteria del Bengala avevano ventisei ufficiali britannici nelle diverse posizioni di comando fino al livello di vicecomandante di compagnia, dopo la riforma il loro numero passa, così, a sei o sette e responsabilità crescenti sono affidate agli ufficiali indiani, anche se questo ultimi continuano a non avere autorità sui reparti britannici e la loro posizione rimane subordinata a quella dei colleghi britannici anche se di grado inferiore. Le stesse uniformi evolvono in un senso “più tradizionale”, per richiamare anche nell’aspetto esteriore la differenza con reparti europei.

In termini di composizione, aumenta in modo significativo il numero dei reggimenti gurkha (saranno dieci alla viglia della Prima guerra mondiale), che avevano dato un contributo importante in vari momenti della rivolta. Inizia, inoltre, l’attenzione per le c.d. “razze marziali” (Martial races), soprattutto quelle dell’India nord-occidentale (in particolare Sikh e musulmani del Punjab, Rajput, Jat, Dogra, Baluchi e Pashtun), anch’esse coinvolte nella repressione del Mutiny7. In quest’ottica, diversi reparti irregolari reclutati prima o durante

6 HeatHcote, cit., pp. 372-73, 379. La riforma Kitchener è analizzata nel dettaglio in Gianluca

PastorI, «Dall’Indian Army all’Army of India. La riforma Kitchener (1903) e la modernizzazione del dispositivo militare dell’India britannica», Quaderni Asiatici, 23, 75 (2006), pp. 83-99.

7 Come nel caso del “Grande gioco”, la letteratura sulle “razze marziali” è più che ampia. L’esposizione più nota di questa teoria (che avrebbe portato anche alla produzione di una ric-

la sollevazione sono regolarizzati e inquadrati nel nuovo dispositivo militare, contribuendo ad avviare un profondo processo di ridefinizione dei suoi equilibri etnici, sociali e territoriali. Negli anni seguenti, la crescente attenzione per le vicende afgane (già emersa alla fine degli anniTrenta e sfociata nella Prima guerra anglo-afgana del 1839-42) e i maggiori rapporti con gli abitanti della Frontiera avrebbero rafforzato questo processo, portando allo sviluppo di un ampio (anche se non sempre rispettato) corpus dottrinario sia in materia di reclutamento, sia di gestione della truppa. Nonostante il permanere di visioni “eterodosse”, che intaccano con forza la visione monolitica della dottrina delle “razze marziali”, “buona prassi” sarebbe rimasta quella di mantenere, nei reparti, una certa eterogeneità etnica; un accorgimento reso necessario anche dalla difficoltà che emerge in diversi casi di reclutare un numero adeguato di uomini dell’etnia “titolare” delle diverse unità. L’assorbimento selettivo delle popolazioni locali nella macchina militare imperiale sarebbe stato, infine, uno strumento non solo per consolidare la posizione britannica nel suo complesso ma anche per dare stabilità ad alcuni territori specifici. Nonostante questo, le autorità coloniali avrebbero, comunque, mantenuto un senso profondo – e spesso eccessivo – della loro vulnerabilità.

Questo senso di vulnerabilità si accentua nelle fasi di più acuta tensione internazionale. Complice il crescente nazionalismo (“jingoismo”) dell’opinione pubblica, la seconda metà del secolo è punteggiata da crisi ricorrenti, che trovano una sponda nell’atteggiamento della stampa popolare e che contribuiscono

ca manualistica a uso degli ufficiali britannici assegnati ai diversi reparti) è forse quella di George macmunn, The Martial Races of India, London, Sampson Low, Marston & Co., s.d. [1933]. Negli scorsi anni, gli sforzi di decostruire il concetto collocandolo nel quadro più ampio del sistema di potere imperiale sono stati numerosi, specie dopo l’emergere del filone dei c.d. “Postcolonal studies”. In questo ambito, oltre alle varie storie dell’Indian Army pubblicate a partire dagli anni Novanta del Novecento, si possono citare, fra gli altri, i lavori di David omIssI, «‘Martial Races’: Ethnicity and Security in Colonial India 1858-1939», War & Society, 9, 1 (1991), pp. 1-27; Pradeep Barua, «Inventing Race: The British and India’s Martial Races», The Historian, 58, 1 (1995), pp. 107-116; Heather streets, Martial Races. The Military, Race and Masculinity in British Imperial Culture, 1857-1914, Manchester e New York, Manchester University Press, 2004; Gavin ranD, «‘Martial Races’and ‘Imperial Subjects’.Violence and Governance in Colonial India, 1857-1914», European Review of History/ Revue Europeenne d’Histoire, 13, 1 (2006), pp. 1-20; Gavin ranD e Kim A. Wagner, «Recruiting the ‘Martial Races’: Identities and Military Service in Colonial India», Patterns of Prejudice, 46, 3-4 (2012), pp. 232-254; Kaushik roy, «Race and Recruitment in the Indian Army, 1880-1918», Modern Asian Studies, 47, 4 (2013), pp. 1310-1347, e Kate Imy, Faithful Fighters. Identity and Power in the British Indian Army, Stanford, CA, Stanford University Press, 2019.

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ad alimentare l’idea della centralità della sicurezza indiana per la difesa del ruolo globale di Londra. Ancora una volta, è una sicurezza che riguarda anzitutto il rischio di una sovversione interna, sebbene le dinamiche internazionali la possano favorire. Come scrive lo storico liberale John R. Seeley poco dopo la fine della Seconda guerra afgana, alla vigilia dell’annessione russa di Merv (1884) e dell’incidente di Panjdeh (1885):

[noi inglesi] fummo in grado di sopprimere la rivolta del 1857 – per quanto formidabile essa sia stata – perché questa si diffuse solo in una parte dell’esercito; perché il popolo non la sostenne in maniera attiva, e perché ci fu possibile trovare razze indigene pronte a combattere dalla nostra parte. Ma nel momento in cui si profilerà una rivolta che non sia semplice sollevazione, bensì espressione di un sentimento unanime di nazionalità, allora tutte le speranze saranno finite e tutto ciò che potremmo desiderare sarà di porre fine presto agli sforzi compiuti sino allora per preservare il nostro Impero8

Allo stesso modo, il timore espresso nei circoli politici e in quelli militari è che la pressione russa alla frontiera nord-occidentale possa agire da innesco al malcontento presente nel paese, mettendo in luce le fragili basi dell’egemonia britannica, soprattutto agli occhi della popolazione musulmana del Subcontinente. La – presunta – sensibilità delle popolazioni locali alle ostentazioni di forza da parte di San Pietroburgo sono una delle ragioni di questo timore. L’altra è rappresentata dalla possibilità che le autorità zariste potessero sfruttare a loro vantaggio l’instabilità esistente lungo i confini meridionali dei loro possedimenti, proseguendo un’azione di espansione graduale giustificata dalle necessità di una politica di stabilizzazione, secondo una linea d’azione che la “Circolare Gorchakov” aveva tratteggiato già nel 18649 .

8 John R. seeley, The Expansion of England. Two Courses of Lectures, London, Macmillan, 1883, p. 234.

9 “Narrazione ufficiale” dell’imperialismo zarista nel Medio asiatico, la Circolare Gorchakov tratteggia una sorta di “espansionismo di necessità”, osservando come «[l]a posizione della Russia in Asia centrale è quella di tutti gli Stati che giungano in contatto con popolazioni nomadi, semi-selvagge e prive di organizzazione sociale stabile. In questi casi, lo Stato più civilizzato è costretto, in nome della sicurezza delle sue frontiere e delle sue relazioni commerciali, ad esercitare un certo ascendente sui suoi turbolenti e indesiderabili vicini. Raid e razzie devono essere fermati. Per ottenere ciò, bisogna che le tribù siano sottomesse. Una volta ottenuto questo risultato, le tribù assumeranno atteggiamenti più pacifici, ma diverranno, a loro volta, soggette alle aggressioni da parte di tribù più lontane, dalle quali lo Stato è vincolato a proteggerle. Di qui, la necessità di lunghe, costose e periodiche spedizioni contro un nemico la cui struttura sociale rende inafferrabile. Se, dopo avere punito i razziatori, le spedizioni sono ritirate, la lezione inferta è presto dimenticata e il ritiro scambiato per debolezza […] Per porre termine a questo stato di disordine permanente sono costituiti avamposti fortificati nel mezzo

Il Raj e la questione dell’ordine pubblico

Nel pensiero dei responsabili politici e militari del Raj, sicurezza esterna e stabilità interna sono, quindi, intimamente legate. All’interno di questa logica, dopo il 1858, la costituzione di una forza di polizia moderna ed efficace si propone, agli occhi della autorità anglo-indiane, come la risposta a due problemi sostanziali. In primo luogo, nonostante il peso politico e amministrativo a suo tempo acquisito quale collettore delle imposte del Bengala, del Bihar e dell’Orissa (trattato di Allahabad, 16 agosto 1765), l’EIC non era mai riuscita a sviluppare un sistema efficace per il mantenimento della legge e dell’ordine nei territori posti sotto la sua responsabilità, con il risultato che tale compito aveva sostanzialmente continuato ad essere affidato alle guardie di villaggio già presenti in epoca precoloniale e ai resti dei precedenti apparati amministrativi, a partire da quello moghul. In secondo luogo, dopo l’esperienza del Mutiny, un obiettivo prioritario delle autorità era diventato quello di concentrare le truppe in un numero (relativamente) limitato di città di guarnigione (cantonment), così da tenerle sotto una più stretta disciplina e un più attento controllo “politico”. Nella logica di contenimento dei costi su cui l’Impero continuava a reggersi, le truppe regolari cominciavano, inoltre, a essere considerate troppo costose per essere utilizzate in compiti di polizia se non come extrema ratio, quando strumenti più ordinari avessero fallito. Un ultimo aspetto – non secondario nell’emergente autorappresentazione del colonialismo vittoriano quale portatore del “fardello dell’uomo bianco” – era che le strutture esistenti costituivano, per le stesse autorità, una costante fonte di imbarazzo, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica nazionale: con la loro farraginosità, arbitrarietà e incapacità di mantenere il paese sicuro, esse riflettevano un’immagine inefficiente, corrotta e brutale dal dominio britannico.

Già nel 1792, l’EIC aveva ritenuto di non poter più trascurare il problema della criminalità, del brigantaggio e dei disordini che affliggevano nelle tre Presidencies del Bengala, di Bombay e di Madras. La Compagnia aveva inoltre compreso che affidare ai capi villaggio la responsabilità dell’azione di polizia era inadeguato e che il dispositivo coloniale doveva assumere un ruolo più attivo nel mantenimento dell’ordine pubblico. Per questo, Lord Cornwallis, nel

delle aree tribali ed è esercitata un’influenza volta a ridurre gradualmente le tribù in stato di soggezione. Ma altre tribù, più lontane, al di là di questa linea, iniziano a loro volta a rappresentare una minaccia, rendendo necessarie le stesse misure repressive. Lo Stato si trova così costretto a scegliere fra due alternative: o rinunciare a questo sforzo senza fine e abbandonare la frontiera a uno stato di instabilità permanente o penetrare sempre più nei territori barbari, in cui difficoltà e spese aumentano ad ogni passo» [Antoinette Burton (Ed.), The First Anglo-Afghan Wars. A Reader, Durham e London, Duke University Press, 2014, pp. 129-130 (129)].

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quadro dell’ampio sistema di riforme da lui introdotto, aveva sottratto la responsabilità dell’attività di polizia dalle mani dei grandi proprietari terrieri (zamindar), cui era stata sino allora affidata, e aveva istituito una forza responsabile nei confronti della Compagnia. I distretti amministrativi erano stati suddivisi circondari e, all’interno di questi, erano stati nominati funzionari (darogha), con il compito di costituire e dirigere una forza di polizia (barkandaz). I darogha rispondevano direttamente al giudice del distretto di riferimento ed erano incaricati di supervisionare l’attività dei capi villaggio, che rimanevano responsabili per la situazione a livello locale. Nelle città, rimaneva invece in vigore il vecchio sistema mughal del kotwal10. Tuttavia, il sistema dei darogha non si sarebbe dimostrato all’altezza delle aspettative e nel 1814 la Compagnia ne ordinò l’abolizione, restituendo le relative competenze ai capi villaggio sotto la supervisione dell’esattore distrettuale delle imposte (District collector), principale funzionario esecutivo di ogni distretto, che la esercitava attraverso le strutture del suo dipartimento. Dove queste non esistevano o esistevano solo in forma embrionale (come in Bengala, dove il Permanent Settlement del 1789 affidava agli zamindar la raccolta delle imposte), la supervisione dei capi villaggio restava affidata, di fatto, alla rete dei disciolti darogha, per quanto riorganizzata su basi in parte diverse.

Il solo tentativo di rilevo di costituire a una forza di polizia armata di stampo europeo era stato quello portato avanti da sir Charles Napier in Sind, nel 184311

10 Inepocamoghul,il kotwal erailfunzionarioincaricato–neimaggioricentriurbanieneiprincipalisnodicommercialieditraffico–dicostituireemantenereunaforzadipoliziaresponsabile di assicurare un regolare pattugliamento nelle ore notturne, sorvegliare gli stranieri, i non residenti e le eventuali spie, arrestare i criminali, gestire la prigione e reprimere la prostituzione e il consumo di bevande alcoliche. Più strettamente legato alle autorità centrali rispetto alla rete dei capi villaggio, il kotwal rappresentava, comunque, anche un importante centro di potere autonomo e spesso arbitrario, tanto da essere presentato in molte fonti come il vero “re senza corona” del territorio affidatogli.

11 William naPIer, History of General Sir Charles Napier’s Administration of Scinde and Campaign in the Cutchee Hills, London, Chapman and Hall, 1851, pp. 21 ss. Sul rapporto fra le misure adottate da Napier, il modello del Royal Irish Constabulary (principale esempio, all’epoca, di polizia armata britannica) e l’evoluzione dei sistemi di polizia imperiali, cfr. Clive emsley, «Policing the empire/Policing the metropole: Some thoughts on models and types», Crime, histoire et sociétés/Crime, history and societies, 18, 2 (2014), pp. 5-25; sul complesso legame fra polizia metropolitana e coloniale nell’esperienza britannica cfr. Georgina sInclaIr e Chris A. WIllIams, «“Home and Away”: The Cross-Fertilisation between “Colonial” and “British” Policing», Journal of Imperial and Commonwealth History, 35, 2 (2007),pp.221-238,eGeorginasInclaIr,«The‘Irish’policemanandtheEmpire:influencing the policing of the British Empire-Commonwealth», Irish Historical Studies, 36, 142 (2008), pp. 173-187.

Reggimenti della Frontier Force: da sinistra a destra 59th Scinde Rifles (1FF), Piper del 51st Sikhs (3FF) e 56th Punjabi Rifles (8FF).Acquerello del MaggioreA. C. Lovett, Frontier Force Regimental Centre, Abbottabad, 1910. Pubblicato in MacMunn & Lovett, Armies of India, 1911.

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Responsabile dell’amministrazione della regione in seguito alla sua conquista e annessione, Napier aveva istituito una forza nativa, composta da personale locale integrato da elementi pashtun e rajput che ne formavano il nerbo e posta agli ordini di ufficiali britannici. La forza (che, al momento della massima espansione, ha una consistenza di circa 2.500 uomini) era suddivisa in tre componenti: una polizia cittadina, di stanza nei maggiori centri urbani, una rurale e una montata, responsabili per il presidio del territorio e la repressione delle razzie, in particolare quelle provenienti da oltre frontiera. Anche se dipendente dell’autorità civile, la funzione di questa polizia era sostanzialmente fungibile con quella dell’esercito, con il quale si interfacciava quando la portata dei raid richiedeva un intervento congiunto. Fra le sue incombenze rientravano, inoltre, il presidio di piccole guarnigioni e stazioni di posta, la scorta agli arrestati, ai detenuti in trasferimento e alle tasse raccolte, l’esecuzione degli ordini dell’autorità civile e – in caso di guerra – la funzione di guida per i reparti militari: compiti non diversi da quelli che il Sandeman system avrebbe affidato alle forze della leva tribale (levies). Ciò che aveva reso possibile un intervento tanto incisivo era stato comunque il fatto che, dal punto di vista dell’ordine pubblico, il Sind fosse tabula rasa, sia per l’assenza di forme di polizia di villaggio, sia per il collasso dei resti dei precedenti sistemi amministrativi. Parti dell’esperimento del Sind sarebbero stati replicati, negli anni seguenti, in altre parti dell’India. In Punjab, dopo l’annessione nel 1849, è istituita una forza polizia separata da quella di villaggio e divisa in due articolazioni, una militare e una civile con compiti investigativi. Bombay e Madras si muovono, invece, più lentamente e adottano il principio della separazione tra polizia e amministrazione delle entrate, affidando al funzionario di polizia più anziano del distretto (anziché al District collector) la responsabilità per le questioni di sicurezza.

Negli anni successivi, l’utilità e l’efficacia di questo apprestamento sarebbero state criticate nel quadro del più ampio dibattito sulla frontier policy che l’espansione a nord-ovest alimenta. In particolare, sia l’efficacia operativa sia la natura concretamente locale della forza voluta da Napier sarebbero state messe in discussione da diverse parti. Un altro punto controverso sarebbe stata la capacità degli strumenti di polizia di conseguire un’effettiva stabilizzazione della regione senza il coinvolgimento diretto delle unità militari. Tuttavia, l’idea che le forze di polizia dovessero evolvere in un soggetto chiaramente separato dalle forze armate, avere un organico proprio ed essere comandate da propri ufficiali è largamente recepita nel Police Act del 1861, che getta le basi del sistema di polizia indiano secondo un modello che si sarebbe poi diffuso anche in altri possedimenti britannici. Significativamente, questa riorganizzazione si inserisce

in una fase in cui – complice il trasferimento del controllo territoriale dall’EIC alla Corona – anche il sistema giuridico indiano sta sperimentando una profonda trasformazione.Accanto al PoliceAct, fra il 1859 e il 1861 sono, infatti, approvati il Codice di procedura civile (Civil Procedure Code, 1859), il Codice penale per l’India (Indian Penal Code, 1860) e il Codice di procedura penale (Criminal Procedure Code, 1861), questi ultimi fortemente orientati ai temi dell’ordine pubblico. Nel Codice penale, i reati contro lo Stato e i suoi funzionari hanno un’importanza preponderante, mentre quelli contro la persona e la proprietà sono menzionati solo dal capitolo XVI, dopo quelli – per esempio – riguardanti i pesi e le misure, le monete, i bolli, la salute pubblica, la morale, la decenza e l’esercizio della religione. Egualmente, nel Codice di procedura penale, i capitoli sulla sicurezza e il mantenimento dell’ordine pubblico e sull’uso della forza da parte di polizia ed esercito hanno la precedenza sulle disposizioni relative alle indagini e ai processi.

Il rapporto finale della Police Commission (sul quale si basano le disposizioni poi confluite nel Police Act) definiva quattro principi di fondo su cui la riorganizzazione del sistema di polizia anglo-indiano si sarebbe basata. (1) L’attività di polizia doveva essere sottratta alle autorità militari e affidata a una struttura civile. (2) Questa struttura doveva avere una identità amministrativa propria e separata; a livello provinciale, al vertice dell’organizzazione era posto un Ispettore generale (Inspector-general); a livello di circondario e di distretto, i suoi compiti erano delegati, rispettivamente, a Viceispettori generali (Deputy Inspector-general) e alla rete dei sovraintendenti di polizia. (3) L’Ispettore generale era responsabile nei confronti del governo provinciale; i sovrintendenti lo erano nei confronti sia dell’Ispettore generale (in termini gerarchici), sia dell’Esattore distrettuale (District collector) come vertice locale dell’apparato amministrativo. (4) La polizia di villaggio (il costo del cui mantenimento rimaneva a carico degli abitanti dei villaggi stessi) era soggetta alla supervisione dei sovraintendenti, in linea con il modello che – seppure fra alti e bassi – si era affermato dopo il 1814. In questo come in altri aspetti, i principi del Police Act del 1860 non erano né rivoluzionari né particolarmente innovativi.Al contrario, essi si configuravano, essenzialmente, come l’estensione uniforme a tutti territori soggetti all’autorità della Corona di strumenti e disposizioni già risultati utili in diversi contesti. La loro importanza risiede, piuttosto, nel fatto di fornire una risposta autorevole alle due domande implicite nelle sperimentazioni condotte nei cento anni precedenti, ovvero quali dovessero essere i rapporti fra la polizia rurale e l’“alta polizia” esercitata dalle autorità centrali e come si dovessero coordinare la tutela dell’ordine pubblico e le altre funzioni svolte delle autorità

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britanniche12

Istituita come forza civile, con il compito di prevenire e reprimere il crimine e mantenere l’ordine pubblico, la nuova polizia indiana aderiva, infatti, formalmente a un principio di «separazione netta» fra «forze militari utilizzate per compiti di polizia e riserva armata di polizia». Tuttavia, le condizioni esogene e la logica interna al sistema spingono da subito al rafforzamento di quest’ultima componente. «Tenuto conto che uno dei ‘compiti sostanziali e principali’ del governo era il mantenimento della legge e dell’ordine e che i disordini intercomunitari, gli scontri fra fazioni all’interno dei villaggi e le razzie delle bande di briganti erano eventi comuni, non ci si può meravigliare del continuo sviluppo della polizia armata»13. Accanto a questo fattore, operano, inoltre, logiche più politiche. Come osservano Killingray eAnderson, «[i]l mantenimento della legge e dell’ordine [è] un elemento vitale nell’economia politica di tutti i territori coloniali e la natura, il livello e l’intensità dell’azione di polizia dicono molto riguardo a come sicurezza e della stabilità sono percepite a livello ufficiale. Quando la legittimità del potere coloniale non è messa davvero in discussione, l’azione di polizia è modesta; quanto più questa legittimità è messa in discussione e l’instabilità politica cresce, allora il ruolo operativo e l’intensità dell’azione di polizia si ampliano»14. Nel caso del Raj, questa tendenza trova un altro elemento di rafforzamento nel proliferare, nel corso degli anni, di formazioni più o meno regolari (come la Punjab Military Police, il Frontier Constabulary e lo Special Armed Constabulary), impegnate, soprattutto nelle aree di frontiera, in attività che stanno costantemente a cavallo fra quelle di polizia e quelle paramilitari; una dinamica, quest’ultima, che, sul piano del reclutamento, concorre a spiegare il successo che la teoria delle “razze marziali” riscuote anche all’interno della polizia, contribuendo a orientarla secondo linee coerenti con quelle prevalenti nell’esercito.

Ai margini del sistema rimangono, invece, le guardie di villaggio (che continuano praticamente fino all’indipendenza a essere costituite da personale locale, selezionato secondo logiche che riflettono equilibri locali di potere) e le forze degli Stati principeschi, la cui sostanziale integrazione con il resto dell’apparato

12 David H. Bayley, The Police and Political Development in India, Princeton, NJ, Princeton University Press,1969, p. 45.

13 Bayley, cit., p. 46.

14 David kIllIngray e David M.anDerson, «An orderly retreat? Policing the end of empire», in David M. anDerson e David kIllIngray (Eds.), Policing and Decolonisation. Nationalism, Politics and the Police, 1917-1965, Manchester, Manchester University Press, 1992, pp. 1-21 (2).

di polizia è comunque garantita dal fatto che, in molti casi, la loro organizzazione e il loro comando sono affidati a ex funzionari britannici o a funzionari in servizio appositamente distaccati dalle autorità centrali. Nella pratica, quindi, le chiare distinzioni tratteggiate dalla legislazione del 1860 (che sopravvive sostanzialmente inalterata alla fine del Raj e che si perpetua negli anni dell’India indipendente, alimentando un lungo e spesso acrimonioso dibattito introno alla necessità di una sua riforma) finiscono spesso per sfumare in uno spazio grigio, che assume sfaccettature diverse a seconda dei casi. Lo stesso vale per il sistema giuridico, specialmente dopo l’introduzione, nel 1867, in Punjab, del Murderous OutragesAct. Questa noma, applicata alla frontiera nordoccidentale dell’India, dava ai funzionari coloniali ampio margine di manovra per perseguire per reati di omicidio o tentato omicidio di un europeo o di chiunque fosse alle dipendenze di un europeo individui identificati come “fanatici”. La definizione generica ed elusiva di chi fossero i “fanatici” contro cui la misura era indirizzata offriva, infatti, alle autorità locali (anche in questo caso rappresentate, di norma, da personale militare distaccato al servizio politico) un ampio margine dei discrezionalità, concorrendo a delineare una visione della sicurezza e dell’ordine pubblico che – nonostante lo sforzo fatto per inquadrarla in termini “civili” – risultava largamente militarizzata ed rifletteva quella che è stata definita la logica «belligerante» («warlike») dell’esercizio del potere coloniale15 .

15 Mark conDos, «Licence to Kill: The Murderous Outrages Act and the Rule of Law in Colonial India, 1867-1925», Modern Asian Studies, 50, 2 (2016), pp. 479-51. Sul Murderous OutragesActeilsuorapportoconilsistemagiuridicodel Raj cfr.ancheID , The Insecurity State. Punjab and the Making of Colonial Power in British India, Cambridge, Cambridge Universi-

Caposaldo del 6th Regiment of Infantry, Punjab Frontier Force (Waziristan, 1937). The Families In British India Society (FIBIS), CC-NC-SA3.0.

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Il problema della Frontiera

In questo scenario, il problema del controllo della Frontiera continua a occupare un posto centrale. La macchina militare e poliziesca britannica esercita, infatti, le sue funzioni (e la sua autorità) solo nelle aree soggette al controllo diretto della Corona,areecherappresentanocirca il60% del territorio del Subcontinente. Inframezzati a esse, sul restante 40%, si collocano gli Stati principeschi (Princely states), formalmente indipendenti e dotati di propri sistemi amministrativi più o meno influenzati dall’esperienza della potenza coloniale. Il valore di questi Stati e la loro gerarchia all’interno del sistema di potere anglo-indiano variano in funzione del loro peso politico, economico e demografico, della loro collocazione territoriale e della loro fedeltà al Raj16. Lo stesso vale per l’insieme dei territori formalmente indipendenti che, a ovest e a nord-ovest, separano il Raj dall’Afghanistan e della Persia, teatri principali di uno scontro di influenza con la Russia zarista che solo il trattato di San Pietroburgo del 1907 sarebbe riuscito (in parte) a chiudere. In questa regione, aree a controllo diretto e Stati principeschi si affiancano, definendo una variegata scacchiera di problemi e di competenze. Le caratteristiche geomorfologiche del territorio (che rendono costosa e problematica la realizzazione di un presidio permanente) e la difficolta di costruire un rapporto di subordinazione stabile delle popolazioni che lo abitano (spesso restie a riconoscere il l’autorità degli stessi capi locali) rappresentano ostacoli importanti alla loro stabilizzazione. Il loro carattere essenzialmente rurale, la loro struttura di potere e l’importanza data alla loro stabilità nelle logiche della sicurezza imperiale si traducono, quindi, in un peso particolare della “polizia armata” e in un dialogo costante fra la sua azione e quella dei reparti dell’esercito, su cui ricade il grosso dell’impegno per il presidio del territorio.

Altro tratto caratteristico della Frontiera è la delega dei compiti di law and order alle forze della leva tribale. Le forme in cui questa leva si esprime sono diverse e possono coinvolgere in modo più o meno pesante le autorità britanni-

ty Press, 2017, spec. pp. 140-180. Le previsioni della norma del 1867 sarebbero state integrate dieci anni dopo dal Murderous Outrages Act del 1877 (“Ghazi Act”) e, successivamente, nel quadro del più ampio riordino del sistema giuridico locale seguito alla costituzione della North-West Frontier Province (dal 2010 Khyber Pakhtunkhwa) e all’adozione delle Frontier Crimes Regulations, dalla Frontier Murderous Outrages Regulation del 1901.

16 Sul complesso rapporto fra Stati principeschi e colonialismo britannico cfr., fra gli altri, Robin Jeffrey, People, Princes and Paramount Power: Society and Politics in the Indian Princely States, Delhi e Oxford, Oxford University Press, 1978, e Waltraud ernst e Biswamoy

PatI (Eds.), India’s Princely States. People, Princes and Colonialism,Abingdon e NewYork, Routledge, 2007.

che. Nella forma “più pura”, in cui il coinvolgimento del personale britannico è più ridotto, l’applicazione su larga scala del c.d. Levy system risale agli accordi conclusi da Robert Sandeman con i capi delle tribù Marri e Bugti dopo la sua nomina a Deputy Commissioner di Dera Ghazi Khan, al confine occidentale del Punjab, nel 186617. Grazie a tali accordi, i capi (saradr) integrati nel sistema garantivano del buon comportamento dei membri delle rispettive tribù in cambio del versamento di una somma annuale di denaro (allowance) commisurata al loro status e importanza all’interno del sistema locale di potere. In cambio di questa allowance (che le autorità potevano sospendere in caso di cattiva condotta) i sardar si impegnavano, inoltre, a fornire personale per il mantenimento della legge e dell’ordine nei territori di loro competenza e l’espletamento una serie di servizi discortaevigilanza,inparticolaredelle carovane in transito attraverso gli stessi territori. Anche in questo caso, la logica dell’operazione è, allo stesso tempo, politica e militare. Il meccanismo del finanziamento dei capi tribali non mira solo a garantire al Raj la disponibilità di personale da delegare alle funzioni latu senso “operative”. Esso punta soprattutto a creare un reticolo di figure fedeli, integrate in modo flessibile nel sistema di sicurezza indiano, che garantiscano il presidio e la stabilità interna di una regione considerata strategicamente critica, sollevando da questi compiti i reparti militari schierati lungo la frontiera e rendendo non più necessarie le spedizioni punitive che periodicamente seguivano le razzie effettuate dalla tribù nei territori sotto sovranità britannica.

Fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, soprattutto grazie all’influenza di Sandeman, il saradari system si sarebbe affermato come la forma di relazione privilegiata con le popolazioni baluch e brahoi insediate lungo la frontieraoccidentaledel Raj,riuscendo,peruncertoperiodo,agarantireunarelativa stabilità politico-militare e una parallela riduzione dell’impegno diretto britannico nel campo dell’ordine pubblico In prezzo da pagare sarebbe stato, tuttavia, quello di un crescente coinvolgimento delle autorità nelle vicende interne del (formalmente indipendente) khanato di Kalat; un’esperienza che avrebbe ridato

17 Su tuttiquestiaspetticisipermettedirinviareaGianlucaPastorI, Il pomo della discordia. La politica imperiale della Gran Bretagna, il Baluchistan e il Great Game, Milano, ISU - Università Cattolica, 2004. Sullo scontro istituzionale che accompagna la nascita del Sandeman system cfr. i documenti in Biluchistan No. 1. Papers relating to the Affairs of Khelat. Presented to both Houses of Parliament by Command of Her Majesty, London, Eyre and Spottiswoode for H.M. Stationery Office, 1877. Il successo “politico” delle misure di Sandeman

è ampiamente attestato dalle fonti coeve (cfr., per es., la biografia di Thomas Henry tHornton, Colonel Sir Robert Sandeman: His Life and Work on Our Indian Frontier, London, John Murray, 1895). Negli anni, il giudizio si è fatto, tuttavia, più sfumato per quanto riguarda sia l’effettiva turbolenza della situazione iniziale, sia l’efficacia delle misure introdotte.

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forza – in India e in Gran Bretagna – al dibattito fra fautori e oppositori della close border policy, la politica di non ingerenza negli affari interni degli Stati transfrontalieri che, fino a quel momento, aveva ispirato i rapporti del potere coloniale con i propri vicini. L’occupazione di Quetta (già invocata alla metà degli anni Cinquanta da un influente esponente della “scuola espansionista” quale John Jacob) e l’istituzione della Baluchistan Agency, nel l876, avrebbero accentuato questa tendenza e approfondito le divergenze fra il khan e i sardar che gli erano formalmente soggetti, con effetti politici anche piuttosto importanti sia nella dialettica dei poteri locali, sia (soprattutto dopo la morte di Sandeman, nel 1892) nei rapporti fra il governo centrale e i suoi rappresentanti sul campo. Parallelamente, l’annessione alle aree di controllo diretto dei territori del Baluchistan britannico e la trasformazione di Quetta nella principale guarnigione della regione avrebbero portato a un aumento costante della presenza militare regolare, che, a sua volta, avrebbe favorito gli interventi su larga scala avviati per contrastare le disturbancies di Sarawan, Jhalawan e del Makran negli anni compresi fra la fine dell’Ottocento allo scoppio della Prima guerra mondiale18 .

Sull’onda del successo iniziale, il sistema si sarebbe comunque esteso ad altre parti della frontiera, sia fra le popolazioni baluch e brahoi del Baluchistan, sia fra quelle pashtun del Punjab nord-occidentale. Gli esiti sarebbero stati abbastanza difformi. Secondo i contemporanei, la struttura più “democratica” delle tribù pashtun e il ruolo meno incisivo svolto dai capi al loro interno avrebbero indebolito un meccanismo elaborato da Sandeman, che si fondava essenzialmente sulla capacità di questi ultimi di controllare l’azione dei loro sottoposti19 . Nelle aree pashtun, lo scarso successo del sardari system avrebbe portato, così,

18 Su questi aspetti cfr. Gianluca PastorI, «Ai raggi del sole di York. Mito, statualità e politica imperiale nel nordovest indiano. Il caso del Baluchistan (1870-1914)», Futuribili, 2-3, 2008, pp. 228-247, e ID., The Impact of British Policy on the Institutional System of the Khanate of Kalat (North-West India, 1870-1914) in A. Biagini e G. Motta (Eds.), Empires and Nations from the Eighteenth to the Twentieth Century, Newcastle upon Tyne, Cambridge Scholars Publisher, 2014, vol. II, pp. 3-11.

19 Cfr., per es., Richard I. Bruce, The Forward Policy and its Results. Or Thirty-Five Years’Work amongst the Tribes on our North-Western Frontier of India, New York e Bombay, Longmans, Green, & Co., 1900. Una recente analisi dei diversi esiti del sardari system nelle aree baluch e pashtun è in Christian trIPoDI, «“Good for one but not the other”: The “Sandeman System” of Pacification asApplied to Baluchistan and the North-West Frontier, 1877-1947», The Journal of Military History,73,3(2009),pp.767-802.Ineffetti,lacontrapposizionefraunasocietàbaluch/brahoi più “oligarchica” e una pasthun più “democratica” appare alquanto forzata, anche alla luce degli sforzi compiuti dalle autorità coloniali per adattare il sardari system all’ambito pasthtun attraverso la valorizzazione dei capi ereditari (malik), il cui ruolo si sarebbe ulteriormente rafforzato con l’introduzione delle Frontier Crimes Regulations del 1901.

Ordine autografo di Sir Charles James Napier (1782–1853) di attaccareAmarkot (Sind), 1° gennaio 1843. British Library, in James Douglas, Bombay and Western India. A series of stray papers, Sampson Low and Co., 1893. Dagherrotipo di Napier (1849), attribuito a William Edward Kilburn (1818–91), Royal Collection.

a un più diffuso reclutamento di milizie irregolari al comando di ufficiali britannici, mentre più che altrove sarebbe rimasto in vigore il sistema delle spedizioni punitive contro le tribù più riottose. Nel tempo, entrambi le soluzioni si sarebbero dimostrate ampiamente subottimali. La fedeltà delle forze irregolari era – nella migliore delle ipotesi – dubbia. In occasione della “Grande rivolta pathan” del 1897-98, per esempio, la loro diserzione in massa avrebbe costretto a evacuare temporaneamente anche lo strategico passo Khyber, punto nevralgico nel sistema delle comunicazioni fra l’India britannica, l’Afghanistan e i territori russi a nord dell’Amu Darya. Le diserzioni – frequenti anche in condizioni “normali” – si traducevano, inoltre, in un costante emorragia di armi, che andava ad aggravare una situazione già in ampiamente fuori controllo a causa del fiorente contrabbando. Anche la politica del butcher and bolt non avrebbe mai portato a risultati duraturi, traducendosi, nella maggior parte di casi, in una serie di spedizioni costose e inconcludenti, che avrebbero vincolato una quantità crescente di truppe al mantenimento dell’ordine della regione e all’espletamento di compiti che, nella logica del sistema, avrebbero dovuto essere affidate a dei reparti di polizia armata.

Fra l’altro, intorno ai compiti delle milizie e della leva tribale esiste una diffusa incertezza. Ancora alla vigilia della Prima guerra mondiale, fra i funzionari della BaluchistanAgency, di dibatte se i compiti dei levies si riferiscano

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all’ambito dell’ordine pubblico (law and order) o a quelli del presidio statico (ward and watch). La domanda non sembra trovare soluzione. D’altra parte, quali compiti concretamente svolgessero queste forze era relativamente poco importante. Essi rappresentavano, anzitutto, il do ut des (spesso solo simbolico) di uno scambio il cui primo obiettivo era quello di assicurarsi – direttamente o attraverso la mediazione dei sardar – la fedeltà di una tribù, di un clan o di un segmento clanico (spesso, ma non sempre, quello dominante in una determinata area) attraverso ciò che, di fatto, si configura come l’erogazione di un sussidio. I critici di questa prassi l’avrebbero spesso messa in discussione, identificandola come una forma di corruzione e sottolineando come essa cozzasse contro quella che avrebbe dovuto esser la “dignità imperiale” del Raj. Fra i vertici politici e militari, l’uso di fornire armi alle tribù “fedeli”, sia per aumentarne la capacità operativa in caso di bisogno, sia per rafforzarne la benevolenza con un dono sempre gradito, rappresenta un ulteriore fonte di preoccupazione20. Soprattutto, gli attacchi dei critici si appuntano, però, sulla sostanziale inefficacia di un meccanismo ritenuto inutilmente costoso e incapace di offrire delle vere garanzie sia rispetto ai problemi della sicurezza locale, sia rispetto a quelli più ampi della sicurezza del Raj. Significativamente, nonostante il giudizio positivo espresso dai suoi fautori, nemmeno l’istituzione della North-West Frontier Province e il trasferimento della sua amministrazione dalle competenze del governo del Punjab a quelle delle autorità centrali avrebbe posto fine a questo stato di cose.

Ottenuta sottraendo i distretti di Hazara, Peshawar, Kohat, Bannu e Dera Ismail Khan (settled districts) all’amministrazione del Punjab e unendoli alle aree tribali adiacenti (le future tribal agencies di Malakand, Khyber, Kurram, North e South Waziristan e i territori tribali indipendenti di Tirah e Mohmand) e agli Stati principeschi di Swat, Dir e Chitral, la North-West Frontier Province (NWFP) si configurava come una realtà politica ed amministrativa con uno status giuridico particolare e di una posizione altrettanto particolare all’interno del Raj21. Sul piano strategico, essa rappresentava un tentativo di recuperare

20 Soprattutto negli anni precedenti la Prima guerra mondiale, il tema ricorre con frequenza nella documentazione amministrativa. D’altra parte, il problema della proliferazione delle armi in Baluchistan e nelle aree della frontiera (armi di contrabbando o importate legalmente dai territori soggetti all’autorità britannica) attira l’attenzione delle autorità britanniche almeno dagli ultimi vent’anni dell’Ottocento.Aquesto proposito cfr., recentemente, Elisa gIuncHI, Il pashtun armato. La diffusione di armi da fuoco in Afghanistan e il declino dell’Impero britannico (1880-1914), Milano, Mondadori, 2021.

21 Sulla struttura amministrativa della NWFPcfr. Imperial Gazetteer of India, Provincial Series, North-West Frontier Province, Calcutta, Superintendent of Government Printing, 1908; sulla storia della provincia fra la costituzione e la Terza guerra anglo-afgana, quando la sua strut-

Risaldar (capitano di cavalleria) Mohubut, Khan Bahadur, 2nd Scinde Irregular Horse. Dipinto (1852) di SandorAlexander Svoboda. NationalArmy Museum, Sandhurst, IndianArmy Memorial Room. Out of copyright.

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profondità arretrando la linea amministrativa lungo il confine dei settled district e interponendo fra questi e il sensibile confine con l’Afghanistan una fascia tribale solo in parte soggetta all’autorità britannica. La «forma modificata di close border policy» che essa configurava riconosceva, infatti, le tribù insediate in questa fascia come indipendenti e non soggette alle leggi e alle regole valide per i territori con essa confinanti; i funzionari distaccati presso di esse non avevano compiti amministrativi ma «servivano come rappresentanti del governo presso di loro e gestivano le relazioni delle tribù indipendenti con il Governo dell’India britannica»22. Sul piano militare, ciò consentiva di interporre diverse miglia di terreno malagevole e potenzialmente ostile a un eventuale nemico che avanzasse da nord. Su quello politico, permetteva di rimuovere il problema del mantenimento della legge e dell’ordine in una regione da sempre considerata particolarmente turbolenta, delegando tale responsabilità ai capi locali e alle loro bande armate (lashkar), anche al di fuori del sistema di garanzie legali applicabili nel resto del paese. Infine, a livello di relazioni internazionali, consentiva di ridurre le cause d’attrito con le autorità di Kabul intorno alla sempre problematica “linea Durand”23 .

Di fatto, è l’ammissione, da parte delle autorità, dell’incapacità sia di integrare le aree tribali nel sistema amministrativo “formale” dell’Impero, sia di porle sotto un effettivo controllo militare. Introducendo il principio della responsabilità collettiva e territoriale delle popolazioni locali e attribuendo all’autorità britannica (rappresentata dal District commissioner) la possibilità di de-

tura amministrativa sarebbe stata profondamente riformata, cfr. Lal BaHa, N.-W.F.P. Administration Under British Rule, 1901-1919, Islamabad, National Commission on Historical and Cultural Research, 1978; un’ampia storia del territorio (anche se non priva di qualche concessione al folkloristico) è in Jules steWart, The Savage Border. The Story of the North-West Frontier, Stroud, Sutton, 2007; sebbene datato, cfr. anche J.G. ellIott, The Frontier 18391947: Story of the North West of India, London, Cassell, 1968.

22 Brandon marsH, Ramparts of Empire. British Imperialism and India’s Afghan Frontier, 19181948, Houndmills, Basingstoke e New York, Palgrave Macmillan, 2015, p. 22.

23 Negoziata nel 1893 da sir Mortimer Durand, segretario agli Esteri del Governo dell’India, e dall’amir Abdur Rahman (r.: 1880-1901), la linea Durand aveva risolto con un disagevole compromesso l’annosa questione della delimitazione delle sfere di influenza fra l’Afghanistan e i territori del Raj. Le operazioni di demarcazione sarebbero durate oltre due anni e avrebbero comportato la conclusione di vari accordi aggiuntivi per definire lo status dell’area di Kurram (21 novembre 1894) e del Kafiristan (9 aprile 1895). I lavori della Baluch-Afghan BoundaryCommission,incaricatadidemarcarelapartemeridionaledellalinea,fraDomandi, sul fiume Gomal, e il Koh-i-Malik-Siah, sul confine persiano, si sarebbero concluse solo nel maggio 1896, lasciando indefinita la situazione nella zona del passo Khyber, risolta solo dopo la fine della Terza guerra anglo-afgana, nel 1919.

Sardar (Generale) MirAbdulAli (1840-1906), Khan Bahadur (titolo onorifico per nonhindi), membro e poi Capo della polizia investigativa di Bombay city (1865-1903).

Da L. H.aDam, Oriental Crime, T. Werner Laurie, 1908, p. 370−371.

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ferire alle assemblee tribali (sarkari jirga) l’amministrazione della giustizia, le Frontier Crime Regulations del 1901 confermano questa incapacità, ampliando una delega accordata inizialmente con la Punjab Frontier Crime Regulation del 1870 e confermata nel 1887 con la seconda Punjab Frontier Crime Regulation. Considerazioni simili valgono per le forze di polizia. Nel 1904, con il North-West Border Military Police Act, queste sono, infatti, riorganizzate al fine di assicurare «una migliore protezione e amministrazione della frontiera esterna dell’India britannica» anche se sempre «dentro i confini o nelle vicinanze della North-West Frontier Province o di qualsiasi sua parte»24. In seguito, le stesse previsioni sono estese ad altri territori con problemi simili, come quello di Dera Ghazi Khan, che, dopo la costituzione della NWFP, si era trovato a essere una sorta di “area di raccordo” fra questa e i territori del Punjab e del Baluchistan. Sulla stessa falsariga, nel 1915, la formazione del Frontier Constabulary25 attraversol’aggregazionedellaBorderMilitaryPoliceconleunitàtribalideiSamana Rifles ne accentua il carattere paramilitare. Anche in questo caso, le competenze rimangono, comunque, limitate ai territori interni alla frontiera amministrativa e alla loro protezione dalle turbolenze che vengono dalla tribal belt. Di fatto, la funzione rimane, quindi, quella di protezione da una minaccia esterna, anche se la peculiare struttura della NWFP colloca questa minaccia dentro i confini politici del Raj

Considerazioni conclusive

Gli assetti definiti negli anni precedenti la Prima guerra mondiale sarebbero filtrati pressoché immutati in quelli del post-indipendenza, anche se l’esperienza della Terza guerra anglo-afgana (maggio-agosto 1919) ne avrebbe messo in luce la fragilità. Gli anni precedenti il conflitto, erano stati punteggiati da una costante instabilità, nonostante l’impegno dell’amir Nasrullah Khan (r.: 19011919) di tenere sotto controllo sia le popolazioni transfrontaliere, sia gli agenti degli imperi centrali presenti in Afghanistan. In Baluchistan la situazione non era stata molto diversa, con una serie di rivolte che, come già accennato, durante il conflitto, punteggiano Sarawan, Jhalawan e la regione costiera del Makran,

24 The North-West Border Military Police Act, 1904 (IV of 1904), in A Collection of the Acts Passed by the Governor General of India in Council in the Year 1904, Calcutta, Office of the Superintendent of Government Printing, India, 1905, pp. 22-35.

25 The North-West Frontier Constabulary Act, 1915 (Act No. XIII of 1915), in A Collection of the Acts Passed by the Governor General of India in Council in the Year 1915, Calcutta, Superintendent of Government Printing, India, 1916, pp. 72-86.

Sui contingenti di polizia indiana (Sikh) a Hong Kong (Constabulary), e a Shanghai cfr. Yin cao, From Policemen to Revolutionaries: A Sikh Diaspora in Global Shanghai, 1885-1945, Brill, 2017.

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richiedendo l’invio ripetuto di truppe per la loro repressione ed evidenziando la fragilità strutturale del sistema locale di sicurezza. Nel maggio 1919, l’avvio delle ostilità con l’Afghanistan di Amanullah Khan (r.: 1919-1929) si accompagna a una nuova sollevazione su larga scala. Anche in questa occasione, la diserzione delle milizie tribali si dimostra un problema. Quando, nei primi giorni di guerra, queste cominciano a essere evacuate da Gomal, dall’alta valle del Tochi e dal Waziristan settentrionale, gli Afridi che le compongono si ammutinano in massa, così come si ammutinano in massa gli Afridi e gli Orakzai che formano il grosso dei Khyber Rifles. Secondo lo Stato maggiore, a causa di queste diserzioni, 2.600 fucili moderni e quasi un milione di proiettili passano nelle mani delle tribù. Mentre la guerra termina abbastanza rapidamente (anche a causa della schiacciante superiorità delle forze britanniche), la campagna per la soppressione della rivolta si chiude solo verso la fine del 1920. Fra il 1921 e il 1924, sono, infine, completati i lavori per la realizzazione di una strada militare fra Jandola e Idak, nel cuore della tribal belt, in vista di possibili nuovi interventi dei reparti regolari.

Tuttavia, né questo, né la riorganizzazione del sistema delle milizie (una prassi ampiamente utilizzata anche negli anni precedenti, in occasione dei ripetuti momenti di instabilità che punteggiano la storia della regione) si dimostra risolutivo. Nonostante il tentativo di ripristinare le forze sulla base di un reclutamento più attento e di un carattere più solidamente militare, di potenziare il Frontier Constabulary e di rafforzare la fedeltà dei capi tribali, l’instabilità si ripresenta già fra il 1924 e il 1925. È questo lo sfondo cui si colloca la riforma dell’IndianArmy avviata nel 1920, riforma che – in qualche modo ribaltando gli assunti alla base della riforma Kitchener – ridefinisce la struttura dell’esercito suddividendolo in una forza di copertura (per fare fronte, fra l’altro, alle esigenze di sicurezza della Frontiera), un esercito di campagna e una forza di sicurezza interna, chiamata a disimpegnare le altre due componenti dalle necessità dell’ordine pubblico. In un certo senso, è la chiusura del cerchio, con il riconoscimento anche formale della centralità dell’elemento militare nel mantenimento della stabilità interna e la parallela sanzione del rapporto esistente fra questa e la sicurezza esterna del Raj. Il consolidarsi delle istanze nazionaliste e il diffondersi delle violenze intercomunitarie portano ulteriore alimento a questo processo, mentre le divisioni della politica britannica condizionano negativamente (soprattutto nella prima metà degli anni Trenta) la possibilità di depotenziare le tensioni in atto attraverso misure politiche adeguate. Significativo è, in questo senso, il confronto che dalla fine della guerra contrappone le autorità britanniche e quelle anglo-indiane riguardo al ruolo dell’IndianArmy all’interno del sistema

di sicurezza imperiale e che, dopo lunghe discussioni, si chiude solo nel 1939, con l’insoddisfacente compromesso prodotto dall’Expert Committee on the Defence of India26 .

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On

byanDré rosemBerg1

aBstract: This article intends to describe the role played by the police and the policemen to face the diseases and epidemics – mainly yellow fever, cholera and smallpox – that raged in São Paulo state in the last three decades of the 19th century, following the exponential growth of the São Paulo population. In a period where medical, sanitary and hygienist paradigms were in turmoil, due to new experiences within the realm of microbiology, the police and the policemen acted as the spearheads to the public health policies promoted by the government.

«It was a duty of welfare to oppose all resistance of hygiene to the invasion of human filth (…). Unfortunately, it is no longer up to our generation, the simple fulfillment of this task. It is too late to prevent. The pest has penetrated through the opened doors that carelessness gave it. We have come to see it winning in the conquest of our territory for desolation and for death» 2

In Brazil, after a relatively fortunate quarter, a kind of macabre era of epidemics began in 18703 that go on to assail, without mercy, Brazilian cities, after taking a break — especially in the case of yellow fever — of fifteen years. The last decades of the 19th century was a period in which medicaldiscourse was

1 AndréRosemberghasaMasterandaPhdinSocialHistoryattheUniversidadedeSãoPaulo. His research field encompasses Brazilian Police History from the end of the 19th onward.

2 Report of the Secretário dos Negócios do Interior,Vicente de Carvalho, to theVice-presidente do Estado de São Paulo, on January 7, 1892, apud Rodolpho telarollI JúnIor, Poder e saúde – as epidemias e a formação dos serviços de saúde pública em São Paulo, São Paulo, Editora da Unesp, 1996, pp. 87, 88.

3 Sidney cHalHouB, Cidade Febril – cortiços e epidemias na Corte Imperial, São Paulo, Companhia das Letras, 1996, p. 86.

the front line: the police, police officers and public health in São Paulo state at the end of the 19th century

keyWorDs: HIstory of tHe PolIce, PuBlIc HealtH, ePIDemIcs, 19tH century

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at the intersection of complementary theoretical paradigms, if not competing paradigms, namely, the a) still prevalent hygienist paradigm and b) revolutionary discoveries in Pasteurian microbiology.4

The goal of this text is to show how diseases and epidemics were tackled by the public administration, especially by the police branches — the judiciary police (delegados, subdelegados, inspetores de quarteirão) and the administrative/ military police (Corpo Policial Permanente e Companhia de Urbanos)5 — , at the end of the Empire and in the first decade of the Republic in Sao Paulo (1870-1900), during a period in which the specialized institutions that would deal with public health were still in gestation. The police institutions were not just a health enforcement body, which sought to impose the rules, regulations and medical-hygienist theories.As health service spearheads, exposed to diseases, police officers, distributed among the most varied hierarchies, from police leadership to the privates of the Corpo Policial Permanente — also exposed to a context of insecurity, unpreparedness, and poverty6 — , helped to shape and, at the same time, implement the public policies in force: from the isolation of patients to the pricking of arms for vaccination; from the disinfection of objects and environments to medical proselytism.7

4 cHalHouB, op. cit.; telarollI, op. cit; José Luis BencHImol, «Ainstituição da microbiologia e a história da saúde pública no Brasil », Ciência & Saúde Coletiva, v. 5, n. 2 (2000), pp. 265292; Mario C. maIo, «Raça, doença e saúde pública no Brasil: um debate sobre o pensamento higienista do século XIX», in: Simone monteIro and Lívio sansone (orgs), Etnicidade na América Latina: um debate sobre raça, saúde e direitos reprodutivos, Rio de Janeiro, Editora Fiocruz, 2004, pp. 15-44; Flavio C. eDler «AEscola Tropicalista Baiana: um mito de origem da medicina tropical no Brasil», História, Ciências, Saúde – Manguinhos, v. 9, n. 2 (2002), pp. 357-385; Claire salomon-Bayet (org), Pasteur et la révolution pastorienne, Paris, Payot, 1986.

5 The administrative/military police was the ostensive branch, responsible for the ordinary policing, to which it was organized in a sort o “gendarmique style”. SeeAndré rosemBerg, «La culture militaire de la force publique de São Paulo au tournant des XIXe et XXe siècle»,Arnaud-Dominique Houte and Jean-Noel luc (dir.), Les gendarmes dans le monde de la Révolution française à nos jours, Paris, PUPS, 2016, pp. 201-212 and from the same author «Militarism in the São Paulo police force (1868-1924)», Conor o’reIly, Colonial policing and the transnational legacy – the global dynamics of policing across the lusophone community, London/NY, Routledge, 2018, pp. 55-66.

6 On the functioning of the police in the state of São Paulo at the end of the 19th century, see André rosemBerg, De chumbo e festim – uma história da polícia em São Paulo no final do Império, São Paulo, EDUSP, 2010.

7 On the action of a “sanitary police” policy and the interrelationship between doctors and police in BuenosAires, see Diego galeano, « Médicos y policías durante la epidemia de fiebre amarilla (BuenosAires, 1871)», Salud Colectiva, v. 5, n. 1 (2009), pp. 107-120.

The police and public health bureaucracy in the 19th century

The history of discourse on disease, medicine and hygienism in Brazil goes hand in hand with the process of the problematization of health conditions in Europe. Contemporary ideas linked to the new forms of organization of political life in the late 19th century had the epidemic potential to cross the Atlantic and to seduce the doctors and administrators of this quadrant of the world, who were informed about theories and procedures, when they did not go out to get to know in loco, on European soil, the advances that were being made in the medical-sanitary field.8

At the beginning of the 19th century, precisely from the 1830’s, an inflection is observed regarding the perception of Brazilian health, which was no longer revered in the reports of foreign travelers — the Edenic myth of the temperate lands is broken — , to make ground in the specific field of medicine, whose professional affirmation was imposed by the creation of the Sociedade Médica in Rio de Janeiro in 1829.9 The technical authority of doctors therefore tended to try to control the state of the art and to diagnose and prescribe the rules of the

8 Flavio C. eDler, «A medicina acadêmica imperial e as ciências naturais », in: Alda Heizer andAntonioA. P. VIDeIra (orgs.), Ciência, civilização e Império nos Trópicos. Rio de Janeiro,Access Editora, 2001, pp. 97-122.

9 maIo, op. cit.

Euclides De anDraDe e Hely F. Da cámara, A Força Publica de Sao Paulo. Esboço Histórico, 1861-1931. FrancisAlbert cotta, Matrizes do Sistema Policial Brasileiro, 2012. ID., Breve História da Polícia Militar de Minas Gerais, 2014. Flávio Tadeu ege, Uma Breve História da Polícia no Brasil, Militarizaçâo, Mitos e contradições, 2022.

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country’s health organization.10 The “Brazilian socio-environmental conditions as the source of old and new pathologies” was evaluated, based on scientific criteria, as well as the inauguration of an “ideological dilemma of physicians regarding the feasibility and implementation of a civilized society in the tropics”.11 There was a dispute over strands that faced those most optimistic, affiliated to the neo-hypocratic school, following the example of the French physician José Francisco Xavier Singaud, who moved to Rio de Janeiro in 1825, and who believed that, despite tropical climate hostility – a perverse combination of moisture and heat – there was enough condition for acclimatization, even the acclimatization of Europeans unaccustomed with the intemperance of the tropics; and those, pessimistic, who disdained the country’s civilizing potential, due to a nefarious combination of the inhospitable climate and the indelible presence of the so called “inferior races” (Indians and blacks). The latter, whose epitome is the English physician Robert Dundas, who worked for several years in Bahia, reinforced the thesis of climatic and racial determinism, which ultimately denied the promising future of an enslaving and racially mixed country.12

In any case, even when it entered the second half of the 19th century, public health, hygienism, in short, the bureaucracy dedicated to sanitation and hygiene, did not receive significant funds from the treasury.13 Doctors remained on the margins of the political-administrative spectrum, reserved for specialized debates in technical journals or theoretical-academic disputes. They were not called to compose the bureaucratic body of the Imperial State, not even in the face of the ever more serious recurrence of epidemics. The administrative specialization and “professionalization” of public health took its first steps in the last decade of the 19th, already in the republican period14, mainly in the state of São Paulo, with the creation of the Serviço Sanitário do Estado de São Paulo in 1892, considered a “milestone for the implantation of the republican government”15 and the promulgation of the Código Sanitário, in 1894, which will be

10 eDler, 2001, op. cit.

11 Luiz Otávio ferreIra, «Uma interpretação higienista do Brasil Imperial», in: Alda HeIzer e AntonioA. P. VIDeIra (orgs.). op. cit, pp. 207-224. The quote is at the page 208.

12 cHalHouB, op. cit.

13 maIo, op. cit.

14 The regime was overturned, through a military coup, in 1889.

15 According to Maria Regina B. sIlVa “after the establishment of the Service, the way to manage (or not) health conditions and combat problems resulting from the emergence of diseases has changed, to questioning what health is and under what conditions it is discussed in the administrative bodies of the State and what disease is and how it is handled by government in-

in force until 1917.16

The decentralization initiated by the Republic proclaimed in 1889 gave autonomy to the government of São Paulo, which started to develop health bureaucracies in the state sphere. In São Paulo, public health policy was promoted as a response to the immigration demands and the exponential increase of the population, starting in the mid-1870’s and, above all, from the end of the 1880’s. Until then, it was current in the discourse of the authorities that the state of São Paulo did not suffer from the medical-sanitary hardships that ravaged more robust cities and provinces, such as Rio de Janeiro and Salvador.The praiseworthy health of São Paulo impelled the local government to act only punctually – within the limits of the pre-pasteurine scientific framework – by investing in the control of the myasthmatic foci and in the isolation of sick patients from the “evil of Lazarus”, smallpox and yellow fever, mainly. It was only from the perception of preventive public health as a safeguard of the economy, that is, as a measure of the public wellbeing, that the perception of insalubrity began to concern the political authorities, as the flow of immigration and demand for labor increased.17

Until then, much of the implementation of the incipient public health policies was entrusted to the police and to police officers, with the burden of assisting the few employees tied to health agencies, when they were not, due to a lack of specific personnel, forced to — police and police officers — carry out health functions, putting into practice the available strategies. Even diagnosis and reporting of medical-sanitary events, such as epidemics, vaccine control, the transfer of patients to ad hoc lazarettos or philanthropic hospitals, and eventual care of injured and wounded people were left to the police and their personnel.

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16 Maria Alice R. rIBeIro, História sem fim... inventário da saúde pública, São Paulo, Editora da Unesp, 1993; telarollI Jr., op. cit.; sIlVa, op. cit shows that at the end of 1880, a debate was held in the Assembleia Legislativa da Província regarding the establishment of a Serviço de Higiene similar to those that were incorporated in 1892.

17 See sIlVa, op. cit andAna F. rIBeIro. et al. «Avaríola em São Paulo (SP, Brasil): histórico das internações no Instituto de Infectologia Emílio Ribas entre 1898 e 1970», Ciência & Saúde Coletiva, v. 16, n. 2 (2011), pp. 423-432.

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Yellow fever, the reigning fever

In 1873, after almost two decades of tranquility, yellow fever made its deadly return to Brazilian ports. Just like Rio de Janeiro18, the seaside town of Santos was smashed without clemency in that deadly year. Santos was the port through which São Paulo’s coffee production was exported. Santos also received immigrants arriving in the São Paulo province. Despite its small size, Santos was considered highly unhealthy. It laid stuck at the foot of the Serra do Mar mountains, filled with sea arms, swamps and mangroves.19 It was with this mess of people, ideas, and epidemics that the police and police officers had to deal with in the fateful year of 1873.

That year, as happened in Rio de Janeiro, after some time of clemency, Santos was taken by a yellow fever epidemic — voracious — that claimed the lives of 140 people, in an estimated population of about nine thousand souls, according to data from the 1872 census. Without an organized health service, it was up to the police and to police officers to confront the scourge.Thus, helpless in the face of the harassment of yellow fever, the delegado of Santos informed the chefe de polícia of his concern about the lack of control over the disease. In his letter, he warned his superior that the public jail house had been requested to install a “private ward for yellow-fever victims (…)”. The delegado pondered that “leaving prisoners in the midst of patients is inhumane (...)”. Continuing, he asked the chefe de polícia to remove the thirteen prisoners to São Paulo (the state capital); he was denied, since the São Paulo jail houses were also crowded. The response of the provincial government leads to the belief that a principle of charity permeated the prophylactic measures taken by the police in order to isolate prisoners from those infected who had been admitted to jail during the improvised situation.At least in discourse, the provincial administration reiterated that «The government could not face the scourge that affects the city’s population stifling the philanthropic spontaneity with which an association of capitalists was organized for public aid; and to this end, it acquiesced its urgent requests, granting them the jail rooms for the treatment of the sick.»20

18 cHalHouB, op. cit, p. 96.

19 On Santos in the 19th century, see Maria Isilda matos and Bruno B. carmo «Do porto febril à cidade saneada: ações, representações e narrativas – Santos (1860-1930)», in: Luis Henrique P. farIa and Maria Apparecida F. P. Portela (orgs.), Santos na modernidade capitalista (1870-1930): novas abordagens e releituras de velhas fontes, São Paulo, e-Manuscrito (edição Kindle), 2019, posição 1092 a 1619.

20 Letter of the chefe de polícia to the presidente da província on 13/03/1873. Arquivo Público

In June of the same year, with the cooling off of the fever, the delegado reported that he had ordered to disinfect and whitewash the public jail, already free from serving as a ward. With the refreshment of the disease, the delegado pleaded that the police officers serving in the city, which was withdrawn due to the epidemic, would return to Santos, “since the service is being badly done and, moreover, there are no guards to patrol the city.” The chefe de polícia also reported that the prisoners who were displaced to the capital could already return to jail in the city.21

In fact, it is only from Santos that — in police documentation — there are reported cases of yellow fever in São Paulo at least until the end of the 1880’s, when the first cases of the disease worsened, raging in São Paulo’s hinterland in

do Estado de São Paulo (henceforthAESP), ‘Polícia’- CO2551.

21 Letter of the chefe de polícia to the presidente da província on 06/06/1873.AESP, ‘Polícia’CO2550.

André rosemBerg, De chumbo e festim. Uma história da polícia paulista no final do Império, 2010.

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the heel of the expansion of the railway network.22 At that time, the police operated as a sort of herald that announced the arrival and extension of the epidemic. In 1878, another unlucky year, when 184 people died of yellow fever in Santos, the local delegado announced in early February that «unfortunately yellow fever is raging in this city. The victims are the unlucky crewmen of foreign ships who are in the port and many of those unfortunate have died in the hospital (…). Great is the fear of the population, because the heat is burning, which seems to contribute to the development of the epidemic».23

During the decade of 1890, with immigration full steam ahead and the railways carrying the disease along with the populations that settled on the agricultural border, expanded by the coffee plantations, yellow fever made its raids in the highland towns, that were spared hitherto: Campinas, Limeira, Araraquara, São Simão, Ribeirão Preto and Jaboticabal, in the West; to the North, the towns until then quite prosperous that accompanied the Paraíba River: Taubaté, Guaratinguetá, Lorena, Areias, Bananal, São José do Barreiro.24 All of them — one by one — were struck by the “reigning fevers,” a less gloomy, almost poetic, euphemism to indicate the prevalence of yellow fever. The harassment of the epidemic, in addition to terrorizing the population, scaring foreign governments and threatening the plantations, disrupted the day to day of the police that needed to leave aside its key mission – the issues related to public security – to dedicate to sanitary actions, that prioritized, in the decade of 1890, the attempt to eradicate the epidemics, especially yellow fever, a destabilizing element of political, administrative and economic life, a real obstacle to the civilizing project fashionable in republican circles.25

That is what happened in São João da Lagoa in 1896, from where the police subdelegado wrote to Secretário de Justiça, informing the difficulty of completing the local police crew, stipulated in six guards according to the law. The police authority said that “it is very difficult at the present time to enlist indi-

22 Marta De almeIDa, «As experiências sobre a febre amarela em São Paulo», in: Sidney cHalHouB et et al, Artes e ofícios de curar no Brasil, Campinas, Editora da Unicamp, 2003, pp. 123 a 162.

23 Letter from the Santos delegado to the chefe de polícia on 08/02/1878. AESP, ‘Polícia’CO2578.

24 These cities are part of a very important São Paulo region called Vale do Paraíba, a pioneer zone of coffee plantation in the 18th century.

25 Rodolpho telarollI JúnIor, « Imigração e epidemias no estado de São Paulo», História, Ciências, Saúde – Manguinhos, v. 3, n. 2 (1996A), pp. 265-283;almeIDa, op. cit.

viduals in view of the reigning fevers (…)”.26 In times of reorganization of the police force, with the creation of a Guarda Cívica, formed of volunteers who would serve in their own localities, the epidemic was a hindrance to convincing the men who were fit. Making administrators’lives more difficult, the arrival of yellow fever fueled rumors from someone “malicious”, according to the subdelegado, that the new guardas cívicos, “after making a commitment[,] will be sent out of the state.” In Cunha, a city of Vale do Paraíba, the juiz de direito warned that “the appearance of yellow fever in Guaratinguetá [a neighborhood town] has further increased the difficulties I have encountered in organizing the Guarda Cívica of this district, because the enlisted men’s fear of exposing themselves to the terrible morbus, when they make the necessary commitment”.27

Assailing merciless all the “civilized” corners of the state of São Paulo, yellow fever became the object of the daily mandates of the police work. Frequent communication between authorities and the urgency of the matter could not do without emerging communication technologies in an attempt to shorten the distances between the periphery of the state and the decision-making center. It was a telegram the resource that the Casa Branca delegado made use of to alert the chefe de polícia about the advance of the disease in the region:

«The justice hall of this city to will be transferred to Tambaú. Epidemic in Itobi and Santa Cruz threatens Tambaú. This city fever almost extinct, there are only two cases in jail. All the people have returned as well as judge in law and family transferring Tambaú forum is risky. Epidemic there near directory has already engaged itself forum returns here. I would ask for official intervention of the Secretário de Justiça». 28

In addition to monitoring the progress of the epidemic, police officers were charged with taking executive measures in an attempt to curb the dispersion of morbus between the infected cities and the neighboring towns that were still unaffected. The usual sanitary measures, which combined hygienist practices with the new discoveries of microbiology, prescribed to disinfect, and disinfect with bravery, the environments, in addition to isolating the patients, who believed to be carriers of the contagion vectors.

26 Letterfromthe subdelegado ofSãoJoaodaLagoatothe Secretário de Justiça on29/04/1897. AESP, ‘Polícia’– CO6602.

27 Letter of the juiz de direito of Cunha to the Secretário de Justiça on 24/04/1897.AESP, ‘Polícia’– CO6602.

28 Letter of the chefe de polícia to the Secretário de Justiça on 18/04/1900. AESP, ‘Polícia’ –CO6317.

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Telarolli Jr reports some epidemic episodes that led the public administration tostoprailwaytransportinthestateinordertocontainthespreadofthedisease.29 Intheyellowfeverepidemicof1895,whichhitthewestofthestateofSãoPaulo, the health service interrupted the traffic of passengers and cargo betweenAraraquaraandJaboticabal,thelastbranchoftheline.Inadditiontothedisinfectionof the cargo, the director of the Serviço de Saúde of the state, Dr. Silva Pinto, asked the Companhia Paulista to reserve an exclusive wagon for passengers to board inAraraquara, determining that the wagon remained sealed throughout the route. In 1894, according to Telarolli Jr, during the cholera epidemic that was raging in some portions of the Vale do Paraíba, the central government decided to close railway traffic on the border with the state of Rio de Janeiro, with the objective of preventing morbidity from reaching the federal capital. The interruption remained in force until the beginning of the following year, which led many traders from the state of São Paulo to demand isolation measures 30

Stopping the movement of merchandise and persons seems to have been part of public policy of containing epidemics. Police officers were charged with imposing health controls to prevent transit from one city to another. In 1900, the delegado from São José do Barreiro, in the Vale do Paraíba, requested the chefe de polícia more guards to handle the ordinary policing service, since part of the deployment was mobilized in “two sanitary cords (…) at opposite points, which aims to prevent that the terrible evil of yellow fever that is flooring the poor population of Areias did not invade this municipality, which is only two léguas from that one”. In the same letter, the delegado warned that the “no less terrible evil of the smallpox” reached “with some intensity” the Maximo district.31

Thus, as we can see, the police and the police officers were active in — with the forgiveness of the anachronism — “the front line” of the fight against epidemics. In addition to serving as a barrier to block the circulation of yellow fever in the Vale do Paraíba, they also performed other functions related to public health, such as the disinfection of environments. As mentioned above, disinfection became the privileged technique by the Diretoria do Serviço Sanitário, created in 1892, to deal with epidemics. Under its institutional umbrella, the Diretoria even had a Departamento de Desinfecção. Ribeiro reports the obsession with setting up an efficient disinfection service, with the hiring of

30 Ibidem, pp. 277, 278.

31 Letter from the police delegado of São José do Barreiro to the Secretário de Justiça on 12/05/1900.AESP, ‘Polícia’– CO6542.

José Francisco Xavier Sigaud (1799-1856), founder of theAcademia Nacional de Medicinas, Facebook)

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inspector-disinfectants, greenhouses spread over several points of the city of São Paulo and inland, incineration furnaces, sprayers and all the paraphernalia needed to account for the service.32

During the decade of 1880, in the absence of specific personnel available for the service, it was up to police officers to disinfect environments. The police officers — praças [privates] of the Corpo Policial Permanente or guardas of the Companhia de Urbanos — were transferred from the police corps at the request of the Inspetoria de Higiene. The inspetor de higiene, concerned about a possible smallpox epidemic, subtly admonished the chefe de polícia who supposedly took long to warn him about the presence of the infected in the vicinity of Bom Retiro, an important neighborhood in the city of São Paulo. He wrote that one infected person “went out into the cemetery and another to the lazaretto”. In that act, he requested the assignment of “two guardas that had already made bexigas [blisters] for tomorrow, at 11 a.m., if they lead to the infected-contagion place and, under my presence, make the precise disinfections and other measures”.33

In January 1888, inspetor Marcos de Oliveira Arruda thanked the helpfulness with which the chefe de polícia conceded the guarda urbano José Marçal for “the prophylaxis service” “and requested that the highest possible inspection be determined in the slums, hotels and in all places inhabited by poverty, because with the latest arrivals of immigrants, many cases of diphtheria, croup, scarlet fever, smallpox” are already being reported.34 The same guarda Marçal was requested in February for the “role of disinfecter (in which he is very expert), a role that is currently being dangerously executed by a drunken man (…).”35 And the saga of guarda José Marçal in the facing of epidemic diseases had another chapter at the end of that same year of 1888, when he was taken in as nurse in the hospital of the smallpox victims.36

In parallel to the mechanical act of disinfection, the historical sources show the concern of the officials and police authorities to the surveillance and supervi-

32 rIBeIro, 1993, op. cit., pp. 29, 30.

33 Letter from the Inspetoria de Higiene to the chefe de polícia on 25/07/1887. AESP, ‘Polícia’ – CO2677.

34 Letter from the Inspetoria de Higiene to the chefe de polícia on 31/01/1888. AESP, ‘Polícia’ – CO2691.

35 Letter from the Inspetoria de Higiene to the chefe de polícia on 01/02/1888. AESP, ‘Polícia’ – CO2691.

36 Letter of the chefe de polícia to the Presidente da Província on 12/03/1888.AESP, ‘Polícia’–CO2694.

sion “of all places inhabited by poverty”37, according to the words of MarcosArruda, São Paulo’s first inspetor de higiene, in an attempt to contain the spread of epidemic diseases. Telarolli Jr identifies in this position a “technical-assistance model campaignist/police organization of health services” in the first years of the Republic.38 Public intervention in the treatment of patients served as a measure to control epidemics, without specifically caring for patients’individual care.

In São Paulo state, this medical-police intervention was part of the routine of the population, especially in the capital. At the end of the decade 1880, due to the presence of a “smallpox infected woman on rua do Príncipe, n.13” and in view of the patient “having subjected to all prescriptions and disinfections that were ordered for her and because the house in which she lives offers good hygienic conditions”, the inspetor de saúde has asked the chefe de polícia to urge “the guardas that oversee this area so that they do not consent with gatherings and to demand the greatest cleanliness and organization, and to monitor

38 telarollI Jr, 1996A, op. cit, p. 272.

37 Letter from the Inspetoria de Higiene to the chefe de polícia on 25/07/1887. AESP, ‘Polícia’ – CO2677.

François-René Moreaux (1807-1860) Emperor Pedro II of Brazil visiting victims of cholera and with ministers of State, 1855. Source: Wikimedia Commons.

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as much as possible that there are no repeated communications with the infected house.”39 Police control over compliance with sanitary rules was a matter of concern even during the Empire, when the specific bureaucracy of hygiene services had not yet been outlined. In the absence of specific prescriptions, it was municipal regulations that aligned the rules of “sanitary police,” as contemporary official terminology points out. In this sense, a letter from the Câmara Municipal of São Paulo requested that the subdelegados perform “thoroughly the rules of the municipal regulation regarding health policy”. It also suggested that police correction be made in the town’s homes to improve hygiene.40 In 1875, another Câmara Municipal letter called for control over the practice of throwing garbage, filthy water, dead animals and even fecal matter in the streets and alleways after curfew, since “patrols seem indifferent to such abuses.”41

Much has been written about the discriminatory and disciplinarian character of the public policies of the hygienists since the last quarter of the 19th century, as an effort to enforce, despite scientific justifications, social control through medicalization and legal and extralegal coercion over the poor strata of the population. From this perspective, hygienic-sanitary measures would be part of a political strategy that included punitive laws to loitering and urban intervention measures aimed at popular dwellings regarded as unhealthy — slums, hotels, and even immigrant lodgings. Ribeiro utilizes the term “medical police”, a concept printed in health legislation, which “concerned the ideas of supervising and overseeing the general population, but especially the poor, the classes considered dangerous”.42 Chalhoub, in describing the ‘boot-down’ of Rio de Janeiro slums at the end of the 19th century, under the justification of a sanitary project, considers agency and violence against residents as an extension of more general disciplinary and excluding measures.43 These measures would have been part of an arsenal of which administrators were able to control the population of recalcitrants to accept the social loci established by the excluding project of post-abolition and the nascent Republic — immigrants, former enslaved and the poor population in general, all of them duly unaware of the institutional channels

39 Letter from the Inspetoria de Higiene to the chefe de polícia on 08/01/1887. AESP, ‘Polícia’ – CO2677.

40 Letter from the Câmara Municipal to the chefe de polícia on 11/21/1873. AESP, ‘Polícia’ –CO2548.

41 Letter from the Câmara Municipal to the chefe de polícia on 09/02/1875. AESP, ‘Polícia’ –CO2562.

42 rIBeIro, 1993, op. cit.

43 cHalHouB, op. cit.

of vocalization of political demands. These theories are based upon Foucault’s research on the emergence of social medicine in Europe, in the context of the illustrated modernity inaugurated between the 18th and 19th centuries. State-colonized medical practices aimed to control — mainly in cities — the circulation of products, the health of public spaces (and, later, the private ones) and created, from the medicalization of the poor population, a “sanitary cord” that prevented morbidities from reaching the wealthy strata of urban dwellers. The medical police, in the conceptual sense in force in the transition from the Old Regime to “modernity,” according to Foucault, meant “all the mechanisms by which order, the channeled growth of wealth, and the conditions for maintaining health ‘in general’are ensured.”44

It may be necessary to characterize this utilitarian and political interpretation of the process of implementing medical-sanitary theories and policies in Brazil. There is not always an abstract, necessarily authoritarian and malicious intent that is disguised in medical theories and practices. We need to consider, as Maio does, if medical knowledge is “merely an epiphenomenon of class interests” or, as questioned by Edler, if doctors “simply conspired in favor of the interests of the landlord elites, against the subaltern”.45 Would there not be the possibility for motivations outside (or partly outside) false consciousness? Or, if not, what is the effective result of the implementation of the planned measures, which linger in the locus of discourse and intentionality, after crossing the merciless filter of material, financial and human resource possibilities, worldly conflicts, power disputes and theoretical disputes that condition the outcome at the end of the process?46 In São Paulo, in the period studied, the use of improvised police officers in the performance of health medical functions gives an account of the difficulties of implementing a medical-sanitarist project that would respond to the high plans of the government. As described below, there are many reports from police authorities that display the precariousness of the service, crying out for actions and for investments.

In 1872, for example, the chefe de polícia wrote to the president da província, informing him of the difficulties of enforcing the Regulation of September

44 Michel foucault, Microfísica do poder, São Paulo, Graal, 2002.

45 maIo, op. cit, p. 20; eDler, 2001, op. cit., p. 99.

46 This same critical pondering is suggested by Michael IgnatIeff, «State, civil society and total institutions: a critique of recent social histories of punishments», Stanley coHen andAndrew scull, Social control and the State, Oxford, Basil Blackwell, 1983, as regards the history of the punishments.

29, 1851, which took care of the licenses and qualifications of the pharmacists who worked in the capital. In the letter, the chefe asked that “the position of Provedor de Saúde that has long been vacant should be filled because the doctor who had been in the position is removed to the Court [Rio de Janeiro]”.47

In 1879, however, São Paulo province still did not have a Provedor de Saúde. In a letter to the presidente província, the chefe de polícia asserted that “this abandonment is deplorable and very sad are its consequences.” Then he began to report, in a tone of dismay, the general condition of the capital’s “health”, since the police authority could not account for the supervision of pharmacies and medical professionals:

«(…) how many causes of insalubrity, how many abuses occur in this city that escape the sight, the perception of those who are victims? Here, the hardware stores, without license and without supervision, are drugstores, are pharmacies (...) The exercise of medicine is an abuse with very serious consequences. The medical staff recognized by the country’s medical schools suffers the competence of individuals who claim to be trained, but who have not taken sufficient care to open offices, announce medical services through the press, making this a way of life with obvious harm to society. The execution of the municipal regulations and the measures that are of the responsibility of the police, become almost null and void in the sanitary part, because it lacks the aid of science and the authority to which the law has given special tasks (…)» 48

In the absence of a government-funded medical professional, it was up to the police, albeit poorly, to “lend” the government the physician attached to its own payroll, and paid through its short budget, to provide assistance to the general population.

From Cananéia, a city in São Paulo littoral, the delegado wrote to the chefe de polícia explaining that the mental disabled José de Ramos was “collected to jail for causing disturbances”. Continuing, he requested that the “said mental patient” be sent to the capital. The “dementia certificate”, in the absence of a doctor, was signed by the delegado, the subdelegado, their suplentes, the juiz de paz and the vigário [priest].49 In Iguape (littoral), the delegado requested that

47 Letter of the chefe de polícia to the Presidente da Província on 05/06/1872.AESP, ‘Polícia’–CO2543.

48 Letter of the chefe de polícia to the Presidente da Província on 12/31/1879.AESP, ‘Polícia’–CO2587.

49 Letter of the delegado of Cananéia to the chefe de polícia on 21/10/1871. AESP, ‘Polícia’ –CO2540.

Cartoon from Revista Ilustrada showing yellow fever attacking revelers in Rio de Janeiro during the 1876 Carnival (image: Biblioteca Nacional Digital). Source: Agência Senado

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two citizens (whose professions are not declared) evaluate a “sanity report,” with which he aimed to establish the mental state of Generoso JoséAntonio. To this account, the police authority elaborated four questions — “1. If the aforementioned Generoso JoséAntonio suffers from mental alienation; 2. If it is continuous or has lucid intervals; 3. If it is general or partial; 4. What is its species or type” — to which the experts answered in the affirmative, after they attested that “they found Generoso not having that common demeanor that covers a man with common sense.”50

The lack of doctors also brought a sense of health insecurity. A letter from the delegado of Cananéia that reported “the existing panic” due to smallpox that “was already raging among the settlers, whose settlement is located a half-légua from the town”. The delegado informed that settlers were served by the settlement’s volunteer, once the district had no medical facilities. In Itanhaém, the delegado madesimilarreports.Intheviewoftheproximityofthesmallpoxepidemic, he warned the chefe de polícia that on another occasion, when the disease was raging in the neighborhood of Peruíbe, 75 thousand réis were spent, and public subscription had to be used, “since the patients could not pay from being poor.”51

Facing the bexigas52

Smallpox was the disease that most frightened the population and the authorities of the state of São Paulo until the great explosions of yellow fever of the early decade of 1890. In fact, bexigas have plagued the authorities since the colonial era. Harassment was so great that the first official public-health tentative bureaucracy in the Portuguese America was established in an attempt to combat smallpox, even before Dom João VI arrived from Portugal in 1808.53 In the police letters from the decades of 1870 and 1880, the morbidity caused by smallpox was treated with a note of panic disturbing the sober accent of the bureaucratic papers. The concern caused by the possibility that the cases reported — year by year — both in the capital and in countryside could get out of control

50 Generoso JoséAntonio’s sanity examination, Iguape, 29/01/1872.AESP, ‘Polícia’– CO2546.

51 Letter of the chefe de polícia to the presidente da província on 07/30/1872.AESP, ‘Polícia’–CO2544.

52 Bexiga is the name that smallpox was popular known due to the blisters (bexigas) that popped on the sick person’s skin during the infection.

53 On the epidemics of smallpox, see cHalHouB, op. cit.; Luis S. camargo «As “bexigas” e a introdução da vacina antivariólica em São Paulo», Histórica. Revista Eletrônica do Arquivo do Estado, v. 28, n. 3 (dez. 2007); Tânia Maria fernanDes, Vacina antivariólica – ciência, técnica e o poder dos homens, 1808-1920, São Paulo, Editora Fiocruz, 2010.

was in line with public health policies that recommended police intervention to keep apart sick people from the healthy.

Unfortunately, there are no systematized data on the number of cases and causalities due to infectious-contagious diseases in São Paulo until the beginning of the statistical compilation by the Serviço Sanitário in 189454, when, in fact, the smallpox was the most incisive and the most lethal of the diseases. It is, therefore, an impressionist perception that allows us to assess that the virulence of smallpox overtook that of other diseases that affected the population of the state of São Paulo. And this trend can be learned by reading police letters, especially that of the chefe de polícia, responsible for collating sanitary data collected by the police stations and substations throughout the state of São Paulo.

In February 1880, the chefe de polícia, responding to a request from the presidente da província, who, in turn, had been urged by the Governo Imperial, gathered data about the São Paulo public health in the previous year. The police authority reported that the report was “brief,” because “fortunately the occurrences of the year do not give much substance to great development”. Nevertheless, he warned that “the epidemic most often raging in this Province is smallpox”:

«its history in previous years has been a struggle, but in the years 1873 and 1874 it was that this epidemic presented a more constant and deadly character. The epidemic proportions of the disease in the period to which I refer gave subject for study among professionals and advised precautionary measures that, at a later time would greatly alleviate the effects of such a terrible scourge.»55

In the official report, the chefe de polícia asserts that, although insufficient, prophylactic measures succeeded in mitigating the lethality of smallpox in 1879. In this report, he listed the occurrences of some (few) cities, transmitting them to the presidente da província. He made it known that in Pindamonhangaba (Vale do Paraíba) “smallpox appeared with an epidemic character, but due to the promptactiontheyhavetaken,theevildisappeared,havingmadeaninsignificant number of victims”. In Caçapava (Vale do Paraíba), “there were sporadic cases of smallpox, which were promptly controlled”. In Bananal (Vale do Paraíba), “although there was no epidemic disease, public health was not satisfactory due to the appearance of a bad fever”. The doctors, the chefe de polícia said, blamed the great drought that happened there. In Tatuí (west), “intermittent fevers and

54 rIBeIro et al, op. cit.; são Paulo, «Annuário Estatístico de São Paulo (Brasil). Repartição de Estatística e doArchivo de São Paulo» (1903).

55 Letter of the chefe de polícia to the presidente of the província on 02/14/1880.AESP, ‘Polícia’ – CO2597.

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measles were raging, making a large number of victims among the population”, adding up 154 deaths, combining both diseases. The city of Ubatuba (littoral) was affected by “intermittent fevers, but fortunately, the number of victims was small”. In Tietê (west), smallpox had “epidemic character, killing 24 people”. In Casa Branca (west), with a benign character, “raged the measles, victimizing just four or five children”. In Santos (littoral), where, “besides smallpox is visited almost every year by yellow fever, in 1879, was free from the two scourges”. Ending this “brief review,” the chefe de polícia stressed the importance of hiring a Provedor de Saúde Pública for São Paulo, because its “absence brings serious injury to the service and contributes to non-compliance with sanitary laws”. He also wrote, in a sorry tone, that the function, which has been vacant for “eight or nine years”, has been carried out by the “Repartição

de Polícia”.

56

As demonstrated, it was up to the police authorities, in the absence of a specific service, to provide for the isolation and treatment of smallpox patients, especially among the poor, who were unable to treat themselves. The exchange of correspondence between the police and other judicial authorities and the government of São Paulo is recurrent, and reports the measures enforced to contain the spread of the “evil”. In 1871, for example, the diretor of the penitentiary requested the “return of the black man Gregório to the county jail” for he was “affected by bexigas,” and because the penitentiary had not yet been affected by the disease.57 In the same act, he reported the death by smallpox of the prisoner Joaquim Alves da Cunha, married, aged 28, who was hospitalized in the jail’s ward. In March of the same year, the inspetor of the 15th quarteirão [block] in Santa Ifigênia (a city of São Paulo’s neighborhood), “attest and I make sure that Mrs. Benedicta Maria is summarily poor and without resources to treat the disease suffering from bexigas(,) thus requests through this to the Government for a transfer to the hospital”.58 There was concern about the spreading of the disease, since in the “room in which the bexiga patient Ana de Tal [Ana Doe] (…) is found, in addition to children of the sick, there are other people who have not yet been vaccinated, which is why there is a likelihood of the epidemic raging”.59 As indicated by the subdelegado of Santa Ifigênia, the solution, in

56 Ibidem.

57 Letter from the diretor of the penitentiary to the chefe de polícia on 12/01/1871.AESP, ‘Polícia’– CO2539.

58 Letter from the inspetor de quarteirão to the chefe de polícia on 27/03/1871.AESP, ‘Polícia’ – CO2539.

59 Letter of the subdelegado of Santa Ifigenia to the chefe de polícia on 26/09/1871.AESP, ‘Polícia’– CO2537

the absence of a vaccine, would be to create a lazaretto in order to isolate the poor affected by the disease. The measure was agreed on by the government secretariat, which authorized the chefe de polícia “to set up a lazaretto (…) by employing in it what is strictly necessary (…)”.

But it was in 1873 that smallpox attacked more severely, as had reminded the chefe de polícia in a 1880 report. The epidemic spread severely in many cities in the state of São Paulo, starting in October. On Areias (Vale do Paraíba), the first confirmed case was on the 9th; on the 10th in Ubatuba (littoral); on the 12th in Taubaté (Vale do Paraíba).60 The imminence of smallpox haunted the population. The metaphor is the arrival of a deadly mist, invisible, but palpable. In the face of the inevitable evil, the chefe de polícia, in a letter to the presidente da província, warned that

«I have just received from Ubatuba the following telegram: ‘From Gabriel Olinto de Carvalho e Silva to Senhor Doutor chefe de polícia – 2 o’clock in the afternoon of 10 — the juiz municipal of Ubatuba — smallpox is invading the city. There are already many cases and the population is scared and leaves the city. I ask you to do something and wonder what must I do’» 61

In response, the chefe de polícia “lament(s) that the smallpox invaded this city,” called on the subdelegado to take the necessary steps, “so that the evil does not spread,” and asked to “establish a ward, where the indigent people are treated with humanity”.62

In the city of São Paulo, the lazaretto organized by the government to the treatment of “indigents” received 122 people during the 1873 epidemic. Of these 101 were free (37 men and 64 women) and 21 were enslaved (8 men and 13 women). 42 deaths were accounted for. On December 10, 1873, when the report was sent to the presidente da província, while the epidemic had already cooled down, there were still 22 patients in treatment in the lazaretto.63

The social hierarchy and the crude dynamics of a slave society also weighed

60 On the epidemic in Taubaté, see Cristina soto, «Efeitos de uma epidemia de varíola em Taubaté (1873-1874)», Revista de História, São Paulo, v. 12, n. 128 (1993), pp. 09-35. According to the author, 423 people died in the city during the epidemic outbreak.

61 Letter of the chefe de polícia to the presidente da província on 10/10/1873.AESP, ‘Polícia’–CO2549.

62 Ibidem.

63 Letter of the chefe de polícia to the presidente da província on 12/12/1873.AESP, ‘Polícia’–CO2549.

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in the choice of who was fit to receive assistance. Between “indigent” and “slaves”, the dispossessed who belonged to the first group were on a higher place among those who were able to receive charity from the State. When the epidemic toughened in 1875, with the lazaretto set up in the neighborhood of Santana almost crowded, the chefe de polícia wrote to the presidente da província, pondering that “we have the determination not to admit slaves, in order for them not to occupy the posts destined to the indigent. I hope that you will approve my procedure”.64 In response to the letter, the presidente made clear the current mindset: a brief “that is fair” put a final point to the matter.

The tragedies caused by smallpox, that, in addition to taking lives, went through the ordinary course of life in São Paulo state, were witnessed by the police authorities, who in turn reported events to the provincial government. They often proved powerless to intervene, taking the role of a privileged and incidental chronicler of the scourges of their time. The ubiquitous and magnificent death during the epidemics, despite ostensible, did not outlaw its susceptibilities. On the contrary. They demanded stiff resilience. It was necessary, as far as possible, to honor the dead and the sacredness of mourning, even in limited circumstances.65

Smallpox did not spare the immigrants who arrived in São Paulo in search of work. The death of workers who built the expanding São Paulo railway network was a recurrent occurrence that caused sanitary disorders, because there was concern about the spread of the disease through corpses.66 This was the case in Santa Barbara (west), where the local subdelegado and parish priest tried an agreement with the railway contractor — an Englishman named Alle — so that “no longer such bodies of smallpox infected people could be brought to the village, in order to avoid the spread of this terrible disease”.67 Acommittee was appointed by the delegado to look for a place where the burials could be carried out properly. Finally, they found: “At a distance of a quarter of a légua more or less and on the side of the line we found a suitable place for the burial of the dead smallpox infected, clearing away the hoes and placing a cross”. The plan never worked, because, of course, “the Portuguese workers formally opposed

64 Letter of the chefe de polícia to the presidente da província on 08/07/1875.AESP, ‘Polícia’–CO2567.

65 Nara A. BrIto «La dansarina: a gripe espanhola e o cotidiano na cidade do Rio de Janeiro», História, Ciências, Saúde – Manguinhos, v. 4, n. 1 (1997), pp. 11-30.

66 telarollI Jr, 1996, cit.

67 Letter of the subdelegado of Santa Barbara to the chefe de polícia on 08/07/1875.AESP, ‘Polícia’– CO2564.

G. H. de Paula souza, O Estado de São Paulo e alguns de seus serviços de saude publica, Memoria no 1° Congresso de Hygiene en Rio de Janeiro, 1923.

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declaring that they would be buried in the Cemetery of the village (…)!”. Thus, the subdelegado reported in a remark plein with exclamation points:

«Around 5 o’clock in the morning today, a wagon accompanied by a greater number of 40 Portuguese ran through the streets of this village carrying the corpse of a smallpox infected patient and went [to] the Cemetery door inside the same village!Armed with staves and other concealed weapons they brought with them they entered and buried the corpse, making a grave two or three palms deep and covering it with the little earth taken!They withdrew in a single group, screaming through the streets and in a racket!»68

In that same year of 1875, the smallpox epidemic would again rage in the state of São Paulo. In the city of São Paulo, the Câmara Municipal, which in the previous year had given to the chefe de polícia “the most sincere tribute of gratitude and recognition for the way” with which he “distinguished himself in this vicious period,” when he was “awarded” for an “imperial distinction,” once again put the police manager in charge of the anti-smallpox operations.69 The president of the Câmara Municipal “asks” that “health visits should be made by the police in the houses in order to obtain the support and the cleaning that ought to be taken into account in similar cases”.70 He has also made inspetores and medical doctors “available to the police authority.”The chefe de polícia was responsible for creating, “with great difficulty” an isolation lazaretto, which was set up in the neighborhood of Santana, near the Cemetery of that district, located in the northern part of the city. In December 1875, he informed the presidente da província that the epidemic had been cooling down, proving the inference with epidemiological data from the city.71

Final remarks

This text intended to unveil, among other considerations, the intricacies of public health policies in the São Paulo state, in the last quarter of the 19th century. It was seen that until the turn of the following century, it was up to the police

68 Ibidem.

69 Letter from the Câmara Municipal de São Paulo to the chefe de polícia on 30/03/1874. AESP, ‘Polícia’– CO2555. About the heroic narrative of doctors and police in the fight against epidemics, see galeano, op. cit.

70 Letterfromthe Câmara Municipal de São Paulo tothe chefe de polícia on12/08/1875.AESP, ‘Polícia’– CO2563.

71 Letter from the chefe de polícia to the presidente da província, n/d (probably November 1875).AESP, ‘Polícia’– CO2561.

Cartoon byAngeloAgostini (1843-1910), published in O Malho, shows General Silvestre Travassos, one of the conspirators of the Military School of Praia Vermelha, mortally wounded while the rebel soldiers flee, and General Piragibe, commander of the Police Brigade, during the so called “Revolta da Vacina” (riots against the mandatory smallpox vaccination) 11-16 November 1904. Cf Celso castro and Juliana gaglIarDI, «Arevolta da Escola Militar de Praia Vermelha», Militares e Política n° 5 ( jul.-dez. 2009), pp. 47-64.

and to police officers to identify the assault of the diseases, especially during the epidemic outbursts, besides implementing, even in improvisation and precariousness, within the limits of available medical knowledge, prophylactic and combat measures. At the same time, the text has shed light on ideological and power disputes in the medical and political field, which have sent the “scientific” technical measures to obscure locations.

This text is convenient, given that it was written against the backdrop of the COVID-19 pandemic that struck Brazil in a particularly crude manner, due to

the government’s negationism and criminal actions, in the figure of the President, Jair Bolsonaro, and his health ministers.72 What transpires from these two experiences imbricated by a line of cruel contact – the epidemic, impotence, fear of death, impossible mourning, revolt – is the inability, omission, and the willful malpractice of the Brazilian State in providing the basic minimum. We are witnessing the reproduction of an exclusionary and segregating logic that yields, not as an essential wedge of a Brazilian apanage. The permanence is given by the constant, conscious and nefarious updating of a public policy that thrives in inequality: the enslaved who were not recognized in their humanity and denied by the charitable care of the lazarettos will find their offspring, unfolded in so many generations later, suffering from the same interdiction of their ancestors, the cruel and potent denial of their citizenship.

Finally, this facet of the history of the police, as an instrument for the execution of medical-sanitary measures at the end of the 19th century in São Paulo, serves only as a subterfuge to undress the desolated trajectory of this sad country.

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Le rôle de gendarmes dans l’avènement du renseignement au Grand-Duché de Luxembourg (1913-1961)

par Dr. HDR géralD arBoIt1

aBstract Luxembourg seems a poor relation in the advent of Intelligence Studies. The gendarmerie thus became the spur that enabled the implementation of a Service de renseignement de l’État (SRE) in the summer of 1960. It was led to invent an intelligence that could correspond to the requirements of maintaining order, sought after by policy makers, but also finding similarities with surrounding intelligence services. It was therefore initially a criminal brigade (Kriminal-Brigade) which initially housed counterintelligence activities. Then, from this original embryo, was installed a public security (Öffentlicher Sicherheitsdienst).After theWW2, its political section was used to create first theArmy 2nd Bureau, then the SRE. It’s often forgotten that until the early 1960s, the Grand Duchy of Luxembourg remained a largely rural country and whose State had few resources. By internationalizing the danger, the ColdWar led some Luxembourgers to join a camp opposed to the choice of the Luxembourg government.Added to this was a national political polarization that was exploited by the American services to achieve their goals. The intelligence structure adopted between 1951 and 1960, on older bases, intended to respond to this.The enemy within responded with its propaganda tool which periodically brought the issue of intelligence to an ignorant public square.

keyWorDs. – genDarmerIe, IntellIgence, luxemBourg, france, germany, BrItaIn, unIteD states

Introduction

Le Luxembourg fait figure de parent pauvre de l’avènement des Intelligence Studies. Il n’est aucune tradition nationale de recherche sur cette thématique et les rares publications sont le fruit de chercheurs étrangers2. Une ex-

1 Enseignant et chercheur, responsable de l’équipe « Études du Renseignement », au sein de l’équipe SDR3C, du CNAM à Paris, chercheur-associé à l’UMR SIRICE Paris I Panthéon-Sorbonne, Sorbonne Université et CNRS.

2 Cf. Gérald arBoIt, « The Gendarmerie in Luxembourg », Colloque international de Melun,

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trême polarisation de la recherche, associée à état d’esprit public redoutant une révélation de « secrets de famille » que tout esprit curieux comprend aisément, freine des chercheurs nationaux à se lancer sur ce sujet, préférant les rives plus sécurisantes à leurs yeux de la Seconde Guerre mondiale3. Pourtant, les Archives nationales du Luxembourg recèlent des pièces originales qui permettent de suivre assez aisément les linéaments des structures de renseignement de ce pays essentiel pour les études de renseignement au niveau européen. Évidemment, comme partout en Europe, ce renseignement a une chronologie qui lui est propre. Il a aussi une double particularité, dans la mesure où il ne se construit

p. 141-155, in J. CamPIon, L. LóPez, G. Payen, European Police Forces and Law Enforcement in the First World War, Londres, Palgrave Macmillan, 2019 ; « Une mission commerciale luxembourgeoise aux États-Unis, 1958-1961 ? Le prince Charles de Luxembourg, Joseph E. Gurley et la CIA», colloque international, Lausanne, 20-21 juin 2019 ; Relations internationales, 2019/4, n° 180, p. 59-73 ; « Autour des activités de deux Dudelangeois. Les révélations des moyens de transmission du renseignement entre Luxembourg et Paris », Mutations. Mémoires et perspectives du Bassin minier, Luxembourg, 2018, p. 87-97 : « The Zentralpolizeistelle Luxemburg: An unknown intelligence issue in Luxembourg during World War 1 », avril 2018, https://ww1.lu/media/pdf/gerald-arboit-intelligence.pdf ; « Luxembourg: A Country Which Did Not Need an Intelligence Service? », in B. de Graaff, J. M. Nyce (dirs), Handbook of European Intelligence Cultures, Lanham (USA), Rowman & Littlefield, 2016, p. 223-233 ; « Les législations sur l’espionnage en Grande-Région (1886-1914) », colloque de Nancy, p. 75-103, in G. ArBoIt, Renseignement et avant-guerre de 1914 en Grande Région, Paris, CNRS éditions, 2016 ; « Espionner le Grand-duché de Luxembourg. Une guerre secrète méconnue pendant la Première Guerre mondiale », Hémecht, 2015, n° 1-2, p. 59-78, 133-153 ; « Le procès Heinrich Wetz. Une affaire d’espionnage luxembourgeoise méconnue de la Première Guerre mondiale », Annales de l’Est, 2014, n° 2, p. 167-188 ; « Un comptoir de vente particulier : Columeta », p. 199-222, in Ch. BartHel, I. KHaraBa, P. MIocHe (dir.), Les mutations de la sidérurgie mondiale du XXe siècle à nos jours, Bruxelles, Peter Lang, 2014 ; « Petits arrangements entre ennemis ou comment ARBED utilisa la Première guerre mondiale pour devenir le premier groupe sidérurgique européen », p. 66-78, Entreprise & Histoire, n° 63, 2013 ; « Dans les soubresauts de la Grande Guerre: Bombardements, renseignement et affairisme au Luxembourg », Ch. BartHel/J. KIrPs, Terres rouges. Histoire de la sidérurgie luxembourgeoise, 1, Luxembourg, Centre d’études et de recherches européennes Robert Schuman/Archives nationales de Luxembourg, 2009, p. 96-123 ; « Retour sur les réseaux Stay Behind en Europe : le cas de l’organisation luxembourgeoise », Guerres mondiales et conflits contemporains,n°235,2009/3,p.145-158;«Itinéraired’unagentluxembourgeois pendant la première guerre mondiale », Hémecht, 2009, n° 2, p. 219-228 ; « “Rien que pour vos yeux”. Un rapport de renseignement opérationnel luxembourgeois de 1911 », Hémecht, 2007, n° 3, p. 545-550.

3 GéraldArBoIt, « Faux semblants. À propos du récent rapport de la commission d’études des archives du SRE », forum für politik gesellschaft und kultur in luxemburg, octobre 2020, p. 23-26.

pas contre un hostis4, comme dans le cas de ses voisins, et donc ne se construit pas autour d’une structure de l’Armée. Au contraire, il fait œuvre d’introspection autour de la construction d’un « ennemi intérieur »5, prenant forme autour des préoccupations du Parquet judiciaire. Implicitement, le reste de l’histoire se trouve conduit par cette orientation initiale. L’interlocuteur naturel de l’autorité judiciaire luxembourgeoise est la gendarmerie.

La gendarmerie devint ainsi l’aiguillon qui permit la mise en œuvre d’un Service de renseignement de l’État (SRE) à l’été 1960. Elle fut amenée à inventer un renseignement qui pût correspondre aux exigences de maintien de l’ordre, recherché par les décideurs politiques, mais également trouver des ressemblances avec les services de renseignement environnants. Ce fut donc dans un premier temps une brigade criminelle (Kriminal-Brigade) qui abrita d’abord des activités de contre-espionnage. Puis fut installée, à partir de cet embryon originel, une sûreté publique (Oeffentlicher Sicherheitsdienst), dont les effectifs de sa section politique servirent à créer d’abord un 2e Bureau, puis le SRE. On oublie trop souvent que jusqu’au début des années 1960, le Grand-Duché de Luxembourg reste un pays largement rural et dont l’État dispose de peu de moyens. Ce contexte est important pour comprendre comment se développa le renseignement d’un avant-guerre que tout le monde pensait permanent jusqu’à l’introduction de menaces extérieures (espionnage étranger, sédition intérieure) et l’inscription dans une conflagration où la neutralité ne semblait plus possible pour un pays placé sur toutes les routes d’invasion depuis 1914.

Die Kriminal-Brigade

À l’aube du XXe siècle, le Grand-Duché connait une mutation sociale, à l’image de la Moselle, occupée par l’Allemagne, de la Meurthe-et-Moselle française et du sud de la Belgique. Sous l’effet de l’industrialisation, une circulation transfrontalière s’établit et, avec elle, une recrudescence de la criminalité. Le 29 septembre 1903, constatant une augmentation des délits de 128,70 % en dix ans (1892-1903), l’avocat général Charles Larue proposa la création d’« agents spéciaux ». Dans son idée, il devait s’agir d’ « agents extraordinaires, spécialement dressés à cette besogne par un enseignement approprié donné à Luxembourg et suivi d’un apprentissage

4 Carl ScHmItt, La Notion de politique, Paris, Flammarion, 2009, p. 67-68.

5 Ayse CeyHan, Gabriel PérIès, « L’ennemi intérieur : une construction discursive et politique », Cultures & Conflits, 43, automne 2001, p. 5-11.

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pratique dans une ville importante de l’étranger. Ces agents (…) pourraient être au nombre de trois ou quatre, ils seraient recrutés parmi les meilleurs éléments de la gendarmerie, réunis en une section spéciale sous la direction du commandant de la gendarmerie6. »

Le choix de la gendarmerie s’imposait parce qu’il s’agissait de la seule force de sécurité nationalisée et couvrant l’entièreté du pays par ses trente-trois brigades, établies le long des grandes voies de chemin de fer (Prince-Henri et Guillaume-Luxembourg) et aux carrefours frontaliers, notamment tous les ponts sur la Moselle ; puis s’ajoutèrent jusqu’en 1914 les villes-champignons induites par l’industrie du fer, au fur et à mesure de leur développement. Seules les quelques grandes villes du centre et du sud du pays (Luxembourg, Mersch, Ettelbruck, Diekirch, Esch-sur-Alzette, Differdange) lui échappaient, dans le sens où elles disposaient d’une police communale, aux seuls ordres des municipalités7 .

À l’époque, la situation criminelle et le souci d’intégrer dans la procédure judiciaire les modernisations techniques de l’époque justifiaient la création d’un tel embryon de service de renseignement. Du point de vue des enquêtes, il s’agissait d’améliorer la qualité des investigations par l’introduction de moyens d’identification plus scientifiques et de pratiques plus centralisées.Aux yeux des décideurs luxembourgeois, recourir aux gendarmes pour établir une « brigade de police criminelle » semblait le plus adapté8. Le major Émile Van Dyck, commandant la force armée du Grand-Duché depuis le 11 janvier 1900, était acquis à ce besoin d’évolution et son choix était déjà fait : dans une réponse au ministre d’État, il évoqua une « brigade mobile », selon l’appellation française des unités créées en France en 19079. En fait, en octobre 1903, une section criminelle, de quatre hommes, fut instituée à la brigade de Luxembourg10. Puis, entre février 1911 et juillet 1914, la montée en puissance de cette Kriminal-Brigade fut per-

6 Archives nationales du Luxembourg, Luxembourg (ANLux), J-22-44, Larue àThorn, 25 septembre 1903.

7 Marc ScHoentgen, Die Gendarmerie des Grossherzogtums Luxemburg (1840-1914): die Sicherung der inneren Ordnung, Mémoire de fin de stage pédagogique, Luxembourg, 1996, et « Diener des Staates. Funktions- und Strukturwandel der luxemburgischen Gendarmerie im 19. Jahrhundert, 1840-1914 », in G. TrauscH, La gendarmerie au Luxembourg/Die Gendarmerie in Luxemburg : 1797-1997,Luxembourg,Gendarmeriegrand-ducale/Impr.St.Paul, 1997, p. 79-220.

8 ANLux, op. cit., Metzler à Eyschen, 6 décembre 1912. Cf. L’Indépendance luxembourgeoise du 26 juin 1911, qui publie les propos relatifs à « une école de police » de Célestin Hennion, directeur de la Sûreté générale française, au Temps du 24 juin 1911.

9 Ibid., Van Dyck à Eyschen, 27 décembre 1913.

10 Ibid., op. cit., 9 mars 1911 ; Luxemburger Wort, 13 janvier 1904.

Gendarme luxembourgeois arrachant un criminel (Louis Kuschmann, Lëtzbuerg gensdarmerie,1899). Hendrik Jacobus Vinkhuijzen Collection, Draper Fund, 1910, NYPL, image ID 93002. Free use.

mise grâce à trois « gendarmes intelligents », Martin Delleré, Jacques Koenig et Henri Goedert, ainsi qu’à leur officier, le lieutenant en 1er Eugène Ferron, qui n’était usuellement « pas occupé » dans son arrondissement agricole du nord11. Ils se formèrent auprès de la brigade de sûreté de la Préfecture de Police de Paris, ainsi que des brigades mobiles de Lille et d’Orléans12. Comme ils accomplissaient leur service en civil, la rumeur publique les considéra rapidement comme des membres de la « police secrète ».

Cette apparente langueur typiquement luxembourgeoise, tout comme la focalisation de ces projets sur l’aspect purement judiciaire, s’expliquait par la situation interne du Grand-Duché, en ce XIXe siècle finissant. Ce pays neutre était tranquille, même si la population italienne commençait à être traversée par des

11 Ibid., op. cit., 9 mars 1911 et 27 décembre 1913.

12 Ibid., J-22-48, Fréron et Delleré/Koenig à Van Duck, 29 décembre 1911 et 8 janvier 1912.

Forza

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courants socialistes, s’épouvantant des grèves alentours, comme celle de 1905, dont les premiers soubresauts ne se firent sentir qu’en 1911, sinon en 192113 , plutôt que n’en subissant les effets. De plus, avant la Première Guerre mondiale, les mouvements ouvriers restaient localisés dans le sud du pays, de courte durée et aux participants limités ; parfois violents, ils étaient sous la surveillance des polices locales de Dudelange, Esch-sur-Alzette et Differdange, et des gendarmeries environnantes. Leurs échos ne remontaient à la Kriminal-Brigade qu’épisodiquement, autrement dit si une investigation criminelle était nécessaire.D’ailleurs,etcelarestavraijusqu’en1960,lessept Kriminalisten n’étaient pas suffisamment nombreux pour empiéter sur les missions de leurs collègues gendarmes ou policiers municipaux. De plus, ces « policiers secrets » ne furent réellement opérationnels qu’au retour de stage en France de Delleré et Koenig, soit à l’été 1914. Auprès des brigades mobiles françaises, ils apprirent à traiter les « affaires politiques », aussi bien les séditions ouvrières que les « enquêtes urgentes » pour les autorités judiciaires, comme souligné dans la présentation du « service central » de la Préfecture de Police de Paris14. On comprend mieux les « inconvénients sérieux » qu’opposa le Contrôleur général des services de recherches judiciaires, Jules Sébille, à la venue de Goedert à Nancy15. Dans la perspective d’une guerre contre l’Allemagne, sûre depuis la « grande peur » de l’été 1911 et la longue crise balkanique (1912-1913), il n’était pas prudent d’exposer la collaboration franco-luxembourgeoise dans un centre de renseignement bien connu de la partie adverse16. De fait, les Allemands auraient facilement noté l’intérêt qu’ils pouvaient tirer de la présence d’un gendarme luxembourgeois à proximité des officiers de renseignement du 20e Corps ou de la police spéciale des chemins de fer.

Le renseignement étant une activité discrète, pour ne pas dire clandestine, il convenait d’éviter de donner des idées à la partie adverse. D’autant que Delleré et Koenig furent assurément entrepris par le commissaire divisionnaire Alfred Walter, chef de la 2e brigade mobile de Lille, où les deux Luxembourgeois firent leur stage. Ce policier français appartenait depuis 1889 à la police spéciale des chemins de fer, qui assurait notamment une « surveillance active et sérieuse au

13 Cf. Denis Scuto, Sous le signe de la grande grève de mars 1921. Les années sans pareilles du mouvement ouvrier luxembourgeois 1918-1923, Esch-sur-Alzette, Editpress, 1990.

14 ANLux, J-22-44, « Préfecture de Police. Service de la Sûreté », f. 4.

15 Archives nationales (AN), Paris, 19940500/11, note, 7 avril 1914 ; ANLux, Cambon à Vannerus, 12 juin 1914.

16 Cf. Gérald SaWIckI, Les services de renseignements à la frontière franco-allemande (18711914), Doctorat, Histoire, Nancy II, 2006, vol. I, p. 30-37.

point de vue de la défense nationale »17.Autrement dit, Delleré et Koenig furent autant instruits à la manipulation d’agents, ce qui était à la base de leur métier, qu’à la préservation des agents français et à la reconnaissance des affaires d’espionnage.

Le 5 décembre 1913, tout juste promu maréchal des logis, Delleré put le démontrer. Il agit sur réquisition judiciaire du 30 novembre, suite à la révélation du quotidien conservateur Luxemburger Wort neuf jours plus tôt de l’implication d’un Rosselet dans une affaire d’espionnage suisse. En somme, une enquête de routine, pour laquelle il rencontra Bernard Rosselet. Certes, il ne s’agissait que d’un homonyme, mais le gendarme révéla un homme « qui se sentait plus le désir d’aventure que d’un emploi gratifiant, [qui s’était engagé] dans la police secrète (service d’espionnage) » au profit de « la police française » depuis 1907 ; en fait, il avait été contraint de travailler avec les commissaires spéciaux de Longwy (trois depuis son recrutement) pour échapper à une amende douanière. Qui plus est, il n’en faisait « pas mystère », au point que Delleré nota que dans le pays il était « dépeint un peu comme la mouche du coche ». Il resta qu’il était « fréquemment absent » de Reckange, au centre du pays, où il résidait habituellement, pour rayonner dans tout le pays, au hasard d’emplois qu’il ne gardait pas longtemps. En outre, comme lors de son séjour à Esch-sur-Alzette, il recevait des amis d’Amsterdam et de Bruxelles, maniant « quelques centaines de marks pour l’occasion »18. On ne sait si Delleré comprit avoir à faire avec un agent français, mais il ne donna aucune suite à sa réquisition. Le dossier fut donc clos. Face à l’espionnage, la mission des Kriminalisten fut d’abord de ne pas impliquer la neutralité du gouvernement luxembourgeois. Ainsi le 27 janvier 1914, lorsque Delleré et le brigadier Koenig établirent un rapport sur un dénommé « Nelsen Max-Hubert-Martin », ingénieur de son état, marié et arrivant de Davos. Agissant à la demande du procureur général de l’État, Victor Thorn, les raisons de cet intérêt de la Kriminal-Brigade n’étaient pas clairement énoncées. Peut-être devaient-ils contrôler la déclaration d’arrivée à Luxembourg de « Nelsen » cinq jours plus tôt. Son vrai nom n’apparut qu’au moment de la réponse du Landrat d’Emden, le 19 février suivant19. Il s’appelait Max Hubert Nellissen et avait été condamné pour vol (Metz, 25 novembre 1898), faux en écriture (Duisbourg, 14 mai 1903), tromperie et détournement (Duisbourg, 11 août 1903). Effectua-t-il ses deux ans et neuf mois cumulés de prison ? Fut-il

17 AN, 19940493/58/886, Joucla à Sébille 23 janvier 1899.

18 ANLux,AE-568, Rosselet à Eyschen, 11 novembre 1914.

19 Ibid.,AE-436.

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condamné par contumace comme le laissait entendre son mariage (12 septembre 1903) avec la mère de ses deux filles, qui résidait dans la région liégeoise ? Fuitil en Grande-Bretagne, où il contracta un mariage (24 mars 1908) avec une nièce de l’espion allemand Karl Gustav Ernst20 ? Comment put-il résider à Borkum (octobre 1909-avril 1911), île de Frise orientale, puis chez ses beaux-parents à Müllheim-am-Rhein (avril 1911-décembre 1912) s’il était un fugitif, d’autant que les Landraten d’Emden et de Pirmasens le surveillaient ? Fut-ce à cause de cette surveillance qu’il se réfugiât à Davos (décembre 1912-octobre 1913) ? D’autant qu’à chacune de ces étapes allemandes et suisse, il laissa à chaque fois des dettes qui ne pouvaient que le signaler, comme le fit le secrétaire de l’Association suisse pour l’aménagement des eaux à Zurich, l’ingénieur A. Härry21 . Les gendarmes luxembourgeois se doutaient qu’une action criminelle était en cours en Suisse.

Nellissen ne serait qu’un aventurier comme le XIXe siècle finissant en engendrât s’il n’avait été trouvé sur lui trois documents recueillis par les gendarmes. Chacun portait la mention « streng Geheime » et émanait du ministère prussien de la Guerre, provenant des dossiers de l’inspection des forteresses de Metz. Leurs dates extrêmes allaient du 15 avril 1913 au 13 janvier 1914. C’est-à-dire dix jours avant l’arrivée de Nellissen à Luxembourg. Delleré et Koenig établirent toutefois que ce ressortissant allemand avait séjourné en ville en décembre 1913. À cette occasion, il avait tenu des « réunions nocturnes et tardives » avec un entrepreneur itinérant de spectacles, le messin Charles-Émile Ozouf, qui se produisait à Luxembourg en juillet et en octobre de chaque année depuis 1908, et un autre homme qui ne fut pas identifié. Comme Ozouf et Nellissen furent vus se partageant « plusieurs milliers de francs » dans le « restaurant des 2e classes de la gare de Luxembourg », les gendarmes en déduisirent qu’Ozouf devait être impliqué dans la traite des blanches, mais « la preuve réelle n’[avait] pas pu être fournie jusque-là »22. Cela était néanmoins suffisant pour rendre Nellissen indésirable au Grand-Duché. Dans l’attente de son jugement par le tribunal de district, le 16 mars 1914, il fut incarcéré. Le jour du jugement, son épouse fut interrogée par le commissaire de police de Luxembourg, Alphonse Rupprecht. Elle révéla que son époux avait reçu un appareil de photo en mars 1913, que la police de Luxembourg ne retrouva pas lorsqu’elle fouilla

20 Christopher anDreW, The Defence of the Realm. The Authorized history of MI5, Londres, Penguin Books, 2010, p. 38.

21 Schweirische Bauzeitung, vol. 61-62, 1911, p. 226.

22 ANLux,AE-436, Delleré et Koenig, 27 janvier 1914.

le logement des Nellissen. Ces éléments achevèrent de convaincre les autorités luxembourgeoises qu’elles étaient en présence d’un « espion ».

Mais, sans jamais le chercher, elles ne purent dire en faveur de qui Nellissen travaillait. Comme il se réfugia d’abord à Anvers, puis gagna la Hollande, il y a tout lieu de penser qu’il travaillait pour les Britanniques. Cinq indices le laissaient penser. Le premier était évidemment les documents allemands qu’il transportait ; ils étaient trop généraux pour intéresser Français ou Belges, mais offraient de bonnes informations, comme la liste des entreprises stratégiques pour les fortifications allemandes, à un nouveau venu comme le Secret Service Bureau. Le second tenait dans le fait qu’Ozouf disparut de la scène luxembourgeoise suite à cette expulsion. Le troisième voulait que Nellissen se trouva à Borkum au moment où les capitaines Bernard Frederic Trench et lieutenant de vaisseauVivian Brandon, mandatés par l’Amirauté britannique, entamèrent leur mission sur l’île qu’il quitta quatre mois après leur condamnation pour espionnage par la Cour impériale de Leipzig23 ; il semble que Nellissen fut un agent logistique de réseau, assurant la liaison avec les « espions » sans s’impliquer lui-même. Le quatrième souligne bien cette mission de soutien opérationnel incombant à Nellisen : sa profession, « ingénieur » comme il se présentait ou « technicien » et « architecte » comme le nomma Härry, changeant l’orthographe de son nom et l’ordre de ses prénoms à chaque fois qu’il se déplaçait ; s’il n’était que son emploi correspondait à celui qu’occupaient les chefs des réseaux britanniques en Belgique, ces changements d’identité et de profession servant à brouiller les pistes de la police allemande. Enfin, dernier indice, et non des moindres, Anvers et la Hollande étaient des zones d’opération du Secret Service Bureau depuis les premiers mois de 1914. Nellissen fut ensuite exfiltré vers la British East Africa, sous la protection d’un ordre religieux soutenant la colonisation britannique24

La Première Guerre mondiale correspondit au Grand-Duché à une occupation dès les premiers jours du conflit et qui dura quatre ans. Assez rapidement, la Kriminal-Brigade se trouva en première ligne pour défendre la neutralité du pays. Cela passa par le démantèlement des structures allemandes de renseignement. Le 30 juillet 1914, Koenig découvrit ainsi deux suspects d’espionnage alors qu’il devait enquêter pour le procureur général sur l’influence française, suite à une dénonciation de la Légation allemande. L’un de ses suspects fut

23 Matthew S. selIgmann, Spies in Uniform. British Military and Naval Intelligence on the Eve of the First World War, Oxford, Oxford University Press, 2006, p. 8-9.

24 The Tablet, 14 septembre 1930, p. 23.

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interpellé à la gare, alors qu’il espérait se rendre en Hollande. Inscrit sous un faux-nom dans un hôtel près de la gare, Ferdinand Kellner (Friedrich Kostner) était Oberleutnant der Reserve au Bayerisches Landwehr-Infanterie-Regiment 10. Il sembla au brigadier luxembourgeois qu’il était accompagné par un second voyageur, au nom « vraisemblablement faux », qui disparut le 31 juillet, embarquant subrepticement dans le train pour Namur, voyant Kellner entre les mains des gendarmes. Ces deux hommes faisaient partie de ces Spannungsreisenden (voyageurs-observateurs) que l’Abteilung IIIb du Grand-État-major allemand souhaitait installer sur les avants de la future offensive. Accompagnaient-ils le major Erik von Baerensprung, de l’Infanterie-Regiments von Horn (3. Rheinischen) Nr. 29, qui resta indétecté à Luxembourg ? Si Koenig n’interpella pas Kellner, ce fut en raison de son statut militaire. Mais l’Allemand disparut dès le lendemain. Pour sa part, Delleré identifia un Vertrauensmann (homme de confiance), Henrich Kayser, prêt à être infiltré en France par la Geheime Feldpolizei d’Esch-sur-Sûre25 .

Après l’arrestation de plusieurs agents français, réels ou imaginaires26, dont BernardRosselet,le12août1914,àEttelbruck27,lesdeuxagentsd’uncontre-espionnage luxembourgeois qui n’existait pas furent aussi obligés de redoubler d’astuce pour empêcher les Allemands de renouveler ces atteintes contre la population civile. Pour cela, ils purent aussi compter sur l’appui de leurs chefs, notamment le parquet général. L’affaire Heinrich Wetz, commis au bureau central du télégraphe de Luxembourg, en fut la parfaite démonstration. Le 8 juin 1915, ils ne purent empêcher la Geheime Feldpolizei d’appréhender cet agent, depuis la fin de l’année précédente, du réseau qu’animait l’avocat francophile Marcel Noppeney, pour le compte du service de renseignement français qui l’avait recruté lors de l’un de ses voyages en Suisse28. En arrière-plan de cette affaire, jugée à Luxembourg, et non àTrèves, se trouva une habile médiatisationdu procès et une activité intense du gouvernement luxembourgeois pour trouver un moyen légal et universel de protéger ses ressortissants de l’espionnite allemande. Les démarches desAffaires étrangères luxembourgeoises à destination des autorités judiciaires militaires allemandes s’avéraient difficiles, chacun s’opposant sur

25 ANLux,AE-436, Delleré, 12 décembre 1914.

26 Neutralité du Grand-Duché pendant la guerre de 1914-1918. Attitude des pouvoirs publics, Luxembourg, Victor Buck, 1919, p. 43-44, Tullf de Tschepe à Eyschen,10 août 1914 ; ANLux, 00568, les autorités luxembourgeoises ouvrirent au moins quatre-vingt-un dossiers, concernant une ou plusieurs personnes, mais il n’en reste plus que quarante-six aux archives.

27 Ibid.,AE-438, Eyschen à Weidenhach, 31 octobre 1914.

28 GéraldarBoIt, « Le procès de Heinrich Wetz. op. cit.

Marcel Noppeney (1908), Dessin de Pierre Blanc dans le magazine Floréal, No 12 du 21Avril 1908. (Bibliothèque nationale de Luxembourg Luxemburgensia online. CC)

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des subtilités juridiques.

La spécialisation du maréchal des logis Delleré et du brigadier Koenig dans les affaires diplomatico-politiques, dont participait le contre-espionnage, était confirmée par l’enquête dont ils se chargèrent le 9 mars 1917. Ils furent invités par le parquet à enquêter sur un vol constaté à la mission française deux jours plus tôt. Les deux gendarmes ne découvrirent pas leurs auteurs, très certainement appartenant à la Zentralpolizeistelle de Luxembourg. Ils relevèrent néanmoins que deux affaires similaires avaient précédemment été étouffées par le major-commandant Émile Van Dyck, tant dans celle-ci, dès octobre 1914, que dans la mission belge29. L’affaire en resta là.

La Kriminal-Brigade fut encore active pendant la période de tensions révolutionnaires.KoenigetDellerésetrouvaient,avecquatreautresdeleurscollègues, sur la place Guillaume de Luxembourg, à écouter les harangues du républicain René Stoll30. Faute de documentation, il n’est pas possible d’évoquer leur attitude lors des journées proprement gendarmiques qui précédèrent l’assemblée générale de la force armée du 20 décembre 1918 en la caserne du Saint-Esprit.

Die Oeffentlicher Sicherheitsdienst

L’entre-deux-guerres se présentait pour le Grand-Duché de Luxembourg comme un moment de réflexion sur son situation internationale. La violation de sa neutralité par l’Allemagne en août 1914 s’était accompagnée par le développement français et anglais de réseaux de renseignement, tandis que l’occupant tentait d’exercer un contre-espionnage inefficace au détriment des Luxembourgeois. Vingt de ses ressortissants avaient été arrêtés par les Allemands et huit furent condamnés à mort, tous sauvés par l’action de la Grande-Duchesse Marie-Adélaïde31. Et il y avait les collaborateurs de l’occupant, notamment les deux commissaires Jacques Félix Ettinger, à Hollerich, et Jean-Pierre Mosinger, à Differdange.

En mars 1920, suite à l’exploitation des données des archives de la Kaiserlicher Polizeidirektion de Strasbourg par la Sûreté générale française32, une enquête du Bureau régional d’études de Metz fit apparaître qu’Ettinger collaborait depuis 1910 avec la police allemande et que Mosinger avait été recruté

29 Ibid.,AE-459, Delleré, Koenig, 9 et 11 mars 1917.

30 Ibid.,AE-681, op. cit., 11 novembre 1918.

31 GéraldarBoIt, « Espionner le Grand-duché de Luxembourg. op. cit.

32 Ibid., n° 1, p. 61-62, n°2, p. 151.

trois ans plus tard. L’enquête au Grand-Duché de la Sûreté de l’Armée du Rhin révéla que ces deux anciens gendarmes étaient des protégés de Victor Thorn, longtemps procureur général (1883-1888, 1899-1915), avant de connaitre une brève carrière politique (ministre, chef du gouvernement 1915-1917, président du Conseil d’État)33. Thorn était l’homme qui, fort de ses compétences judiciaires autant que juridiques, avait établi une jurisprudence sur une position toute politique qui refusait à la justice luxembourgeoise de se prononcer sur une quelconque affaire d’espionnage, opposant toujours l’innocence des citoyens luxembourgeois pour les faits qui leur étaient reprochés. Bien que cette position fût élaborée pendant l’occupation allemande34, elle prévalait encore dans l’immédiat après-guerre.

Autrement dit, même s’ils en avaient eu instruction, Koenig et Delleré n’auraient pu inverser cette position. Ainsi en avait-il été pour le gouvernement ; l’hypothèse d’un dossier disciplinaire, étudiée en novembre et décembre 1919, fut tout simplement écartée, malgré les accusations du cordonnier anarchiste Georges Droessaert35, remis à la Geheime Feldpolizei par Mosinger. Suite aux révélations françaises, toujours à propos de Droessaert, le 28 octobre 1920, l’avocat général avait demandé des informations par l’entremise de la légation luxembourgeoise à Berlin. Les Auswärtiges Amt avaient répondu par une note verbale que

« le commissaire de policeMosinger doit êtretenu pour responsable parce qu’il a remis un citoyen luxembourgeois à une puissance étrangère pour qu’il soit poursuivi pour un délit politique. L’action reprochée à Mosinger doit donc être considérée comme un délit politique. »

Mais les autorités luxembourgeoises se refusèrent à sanctionner ledit commissaire. À cette occasion, le conseiller du gouvernement, Paul Lamort, qui avait instruit le dossier à la fin 1919, rappela que son rapport de l’époque devait se trouver dans les archives du département de l’Intérieur36 ; bien sûr, il restait introuvable. Il en alla de même pour Ettinger, l’absence de dossier incriminant37 lui permettant d’échapper ainsi à toutes les pressions diplomatiques françaises.

33 Service historique de la Défense (SHD), Guerre, 7 N2 2429/3, Labussière à Bouvard, 1er mars 1920, Civet à commissaire spécial, 10 mai 1920.

34 GéraldarBoIt, op. cit., n° 1, p. 73.

35 DiffMag, mai 2016, „Die Sorgen eines Differdinger Polizeikommissars. Mosinger versus Droessaert“, p. 28-30

36 ANLux, J-107-22A.

37 SHD, 7 N2 2607, chef de la sûreté au contre-espionnage, 31 janvier 1922.

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L’affaire Mosinger se régla par le décès du concerné, le 18 octobre 1925, mais Ettinger obtint l’honorariat de sa fonction, le 15 avril 1931, tout en continuant à informer ses anciens mandants allemands38 .

Cette façon d’étouffer les affaires dérangeantes, moyennant la disparition des dossiers compromettants limitait grandement l’action de Delleré et Koenig, comme de leurs successeurs dans la deuxième moitié des années 1930, les brigadiers Martin Schiltz et Jean-Joseph Majerus. Cette attitude gouvernementale ne fut pas sans créer des malentendus avec le service de renseignement français. Le 5 octobre 1939, alors qu’ils travaillaient pourtant avec lui depuis deux ans, leur agent à Luxembourg, le capitaine Fernand Archen, émit l’hypothèse que « Schiltz sympathiserait avec les services allemands »39. Or, chef de la section politique, nom luxembourgeois pour le contre-espionnage, ses contacts avec des Allemands se bornaient à détecter des agents adverses. Rien qu’en 1939, il rédigea neuf rapports sur la progression de l’idéologie nationale socialiste au Grand-Duché, pour un seul sur les Amis luxembourgeois de l’Union soviétique40. L’activité en civil de ces gendarmes, conjuguée avec les accommodements de l’exécutif pour les sujets dérangeants, amena la presse de l’entredeux-guerres à les considérer comme des Geheimbeamten ou des Geheimagents (agents secrets).

La Kriminal-Brigade finit par être appelée Geheimdienst ou simplement « police secrète », comme le fit le directeur général de la Justice et des Travaux publics, Auguste Lesch, à l’automne 1919, alors que l’avocat général, Joseph Carmes, évoqua en retour « la brigade criminelle »41. Il s’agissait en fait d’une boutade locale, les civils entrant et sortant de la caserne du Saint-Esprit étant si peu nombreux qu’ils furent identifiés comme appartenant à la section spéciale de la gendarmerie. Si l’opinion publique luxembourgeoise lui prêtait énormément de pouvoir, cela tenait aussi aux arrestations arbitraires et aux écoutes téléphoniques de la Zentralpolizeistelle de Luxembourg, pendant la guerre, qui marquèrent lourdement (et longtemps) l’esprit des Luxembourgeois. Pourtant, la Kriminal-Brigade ne disposa pas du pouvoir qu’on lui prêtait. Ainsi, faillit-elle passer à côté de la seule affaire réellement avérée d’espionnage économique, mise en œuvre par un employé d’un de ces bureaux luxembourgeois à

38 Luxemburger Wort, 16 avril 1931 ; SHD, 7 N2 2429/3, BREM, Renseignement, 3 août 1933 ; Archives diplomatiques (AD), La Courneuve, Z 411-4rd (1922-1929).

39 SHD, 7 N2 2429/2.

40 ANLux, ET-266 et 268, passim

41 Ibid.,AE-436, 10 septembre 1919.

capitaux allemands au détriment de la plus puissante entreprise sidérurgique luxembourgeoise de l’entre-deux-guerres.

Si elle ne passa pas inaperçue aux observateurs français, diplomates, policiers et militaires, aucun ne révéla les « arrestations sensationnelles42 » du 1er juin 1926, ni ne nota l’implication de Koenig. Cette affaire d’espionnage économique, et non politique comme le crût le service français, impliqua Henri Dismer, un cadre d’origine allemande de la Columeta, service commercial, mais surtout « un bureau central de renseignement commercial et industriel43 » des Aciéries réunies de Burbach-Eich-Dudelange (Arbed). Fin 1923, il avait été abordé par un autre Allemand, Eric Struhl ; administrateur de deux firmes spécialisées dans le commerce de produits sidérurgiques, d’abord Carl Spaeter Luxembourg GMBH, de Cologne, puis de la S.A. Montana44, apparemment créée pour l’opération, Stuhl était aussi le contact pour le Grand-Duché de la foire de Leipzig45. Les conditions de la liaison étaient liées aux conditions de logement du chef de la statistique de la Columeta : Stuhl lui procura dans un premier temps un logement dès décembre 1923, moyennant une sérieuse remise. Dismer était ainsi devenu redevable envers son bienfaiteur : naturellement dans ce genre d’opération, Stuhl lui demanda de l’informer sur les mouvements du marché des scories Thomas. Du 31 mars 1924 au 27 mai 1926, trois sortes de documents confidentiels furent prélevés et copiés des archives de la Columeta : des bulletins quotidiens, le produit-phare de ce service privé de renseignement, des lettres exposant la politique générale de vente et des tableaux de changes. Les informations étaient ensuite adressées aux clients de Stuhl, directement ou par l’intermédiairede la sociétéluxembourgeoise PrometalS.A., à Sarrebruck, à Londres et à Prague. Dès juin 1924, puis à la fin de l’année, Columeta s’aperçut des fuites ; une première enquête interne ne déboucha sur rien. Il fallut que « le chasseur Breyer », un employé de la Columeta, surprît les deux hommes dans l’appartement de Dismer, le 27 mai 1926 pour qu’une seconde enquête, confiée à la Kriminal-Brigade cette fois, débouchât sur un volet judiciaire. Le chasseur apportait au chef de service de la statistique de la Columeta, malade, le bulletin du jour, mettant involontairement à jour l’origine des fuites. Une perquisition

42 Luxemburger Wort, 4 juin 1926.

43 ANLux,AE 466/8, procès-verbal de la réunion de la Commission d’étude des problèmes économiques posés par la guerre et ses conséquences éventuelles du 12 octobre 1918, f. 130.

44 Mémorial du Grand-Duché de Luxembourg, n° 84 du 8 novembre 1920, p. 1300, et n° 61 du 12 décembre 1924, p. 845 ; SHD, 7 N2 2856/7-8, Sureté de l’Armée du Rhin,Tirard à Herriot, Henriet à Herriot, 16 août, 28 août, 6 octobre 1924.

45 Luxemburger illustrierte, n° 34 du 19 août 1925, p. 256.

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de l’appartement de Dismer par le brigadier-chef Koenig, le 1er juin, permit d’identifier Stuhl et d’arrêter les deux complices, avant d’en ajouter, le 4 juin, un troisième, Nicolas de Bourcy, ancien fondé de pouvoir de la Columeta et collègue de Dismer46 .

Face à cette affaire, la justice luxembourgeoise sembla dépourvue. La faiblesse des condamnations (trois mois pour Dismer, un pour Struhl) et leur motivation (vol domestique pour le premier, complicité pour le second) en étaient la preuve47. De la même façon qu’en France dix ans plus tard, au moment des débats préparatoires de la loi du 20 janvier 1934, la notion d’espionnage économique n’apparut pas dans la législation et la réponse juridique fut forcément inadaptée. L’affaire Dismer/Struhl montrait que l’espionnage économique touchait tous les secteurs de l’industrie. L’information devenait une arme dans le contexte des rivalités économiques. Au lendemain de l’affaire Dismer/Struhl, la chambre de Commerce de Luxembourg, présidée par le directeur général de l’Arbed, Aloyse Meyer, tenta vainement de faire bouger la législation luxembourgeoise. Il demanda que des mesures fussent prises contre la « divulgation du secret des affaires » et la corruption des agents de commerce et de l’industrie. Il proposa au directeur général du Commerce et de l’Industrie,Albert Clemang, une alternative innovante, soit la création du délit d’espionnage commercial, soit l’extension du secret professionnel aux professions commerciales et industrielles48. Il n’est pas certain que la proposition de la chambre de Commerce de Luxembourg fut adressée à son destinataire. Mais, l’article 4 de la loi du 5 juillet 1929 introduisit bien en droit luxembourgeois les notions de « secrets d’affaires ou de fabrication ». Cette mesure s’appliquait également à tout « employé, ouvrier ou apprenti d’une entreprise commerciale, ou industrielle » et son délai de gestation pouvait laisser croire à une relation évidente49. Il est plus probable d’y voir une impulsion gouvernementale en vue de faire de Luxembourg une place financière sûre. La loi du 30 décembre 1927 avait créé une bourse de commerce dans la capitale50 et il fallait assurer à son développement une sécurité informa-

46 ANL,AC-J-4, Note de Fernand Turk pour Robert Brasseur dans l’affaire Dismer du 13 avril 1926. Le dossier de la Kriminal-Brigade n’a pas été retrouvé, ni dans les archives de l’Arbed, ni dans les dossiers de la Justice luxembourgeoise.

47 Ibid., lettre de Robert Brasseur à Léon Metzler du 11 février 1928 ; SHD, op. cit., Gassiot, 2 mars, 16 juillet 1928.

48 ANL,ARBED-03-0025, brouillon de lettre, s.d..

49 Mémorial du Grand-Duché de Luxembourg, n° 36 du 13 juillet 1929, p. 844.

50 Ibid., n° 1 du 7 janvier 1928, p. 5. Cf. aussi l’arrêté grand-ducal du 22 mars 1928 portant règlement d’exécution de la loi du 30 décembre 1927, concernant la création d’une bourse de

tionnelle évidente51

Cette hypothèse est confirmée par l’absence de souci des autorités locales de lutter contre toutes les formes d’espionnage, qu’elles fussent économiques, comme dans ce cas, ou politico-militaires, comme le Grand-Duché en avait connu pendant la Première Guerre mondiale et s’apprêtait, sans le pressentir réellement, à le connaître à nouveau. Pourtant, il manquait une définition juridique de l’espionnage permettant à la Kriminal-Brigade d’agir pro-activement, c’est-à-dire en officialisant les fonctions de contre-espionnage qu’avaient occupé Delleré et Koenig et où ne tardaient pas à leur succéder Schiltz et Majerus. L’affaire Nellissen, en février 1914, avait pourtant amené le gouvernement de l’époque à chercher une parade légale. Le 14 mars et le 30 juin, le ministre d’État Paul Eyschen avait pris l’initiative de consulter d’abord le président de la Confédération helvétique,Arthur Hoffmann, puis le ministre desAffaires étrangères belge, Julien Davignon52. Un conseiller à la Cour supérieure de Justice, Mathias Glaesener, avait même été dépêché à Berne, le 16 mars, pour évoquer l’idée d’une loi réprimant d’espionnage, mais les discussions achoppèrent sur le fait que « dans [son] exécution (…) aucune autre nation étrangère ne pût être froissée »53. Alphonse Nickels, tout nouveau chef de bureau à la 1re division des Affaires étrangères et de la Justice, en était encore à assembler une documentation provenant de France, d’Allemagne et de Belgique que les troupes allemandes arrivèrent, faisant basculer le Grand-Duché dans une guerre pour laquelle il n’était en rien concerné. De fait, dès le 5 août, Eyschen en fut réduit à rappeler à ses concitoyens la teneur de l’article 123 du Code pénal luxembourgeois, qui datait de 1879, pour bien leur faire comprendre qu’était prohibée

« la publication de renseignements sur les concentrations et les mouvements des troupes ainsi que sur les mesures prises par l’autorité militaire de Puissances étrangères qui se apportent à des opérations de guerre. »

commerce [Mémorial du Grand-Duché de Luxembourg, n° 15 du 31 mars 1928, p. 350-354].

Le28février1929,unnouvelarrêtéautorisantlaCaissed’épargneàsechargerdesopérations de liquidation de la Chambre de compensation et du règlement des soldes de la Chambre de liquidationdelaBoursedeLuxembourgcomplétaitleprocessusfinancierdecréation[Mémorial du Grand-Duché de Luxembourg, n° 10 du 9 mars 1929, p. 150-151].

51 Gérald arBoIt, Les réseaux du fer. Information, renseignement économique et sidérurgie luxembourgeoise entre France, Belgique et Allemagne 1911-1940, Francfort, Peter Lang, 2016, p. 101-105.

52 ANLux, AE-00436, et Archives du Service public fédéral des Affaires étrangères, Bruxelles (ASPFAE), B1, Steen de Jehay à Davignon.

53 Ibid., rapport manuscrit s.d. attribué à Glaesener.

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En d’autres termes, l’espionnage revenait à « expos[er] l’État à des hostilités de la part d’une puissance étrangère » et était passible de cinq à dix de prison en temps de paix et de dix à quinze ans en temps de guerre54. La position jurisprudentielle de Victor Thorn, procureur général à l’époque, découlait de cet entre-deux.

L’affaire Dismer/Struhl n’apporta pas plus de précision sur le traitement de l’espionnage au Grand-Duché. Il fallut l’évolution de la Kriminal-Brigade en Oeffentlicher Sicherheitsdienst, c’est-à-dire en service de la sûreté publique pour qu’une évolution se fit jour. D’abord, par une simple lettre, le 6 novembre 1929, au major-commandant la gendarmerie, Michel Franck, le directeur général de la Justice et de l’Intérieur, Norbert Dumont, changea le nom de la brigade criminelle, lui adjoignant une nouvelle section, appelée improprement police des étrangers et confiée au brigadier Martin Schiltz55. Cette mutation était en lien direct avec une évolution de la menace à la sécurité intérieure vers la violence politique, liée à l’importation au Grand-Duché du combat entre fascistes et antifascistes. Il toucha d’abord la petite communauté italienne, forte de quelques mille individus, mais comptait déjà un assassinat et une vingtaine de tentatives. Cette situation ne pouvait plus durer et le gouvernement en confiait la mission à ses forces de l’ordre56. Il faut également placer cette création d’une police des étrangers dans son environnement institutionnel, entre le vote de la loi du 26 avril 1929, autorisant le recrutement dans la gendarmerie57, celle du 6 septembre 1930, étatisant la police locale58, ainsi que l’arrêté grand-ducal du 30 novembre 1929, fixant les conditions à remplir pour les salariés de nationalité étrangère pour l’admission et l’embauche dans le Grand-Duché59. S’ajoutait une troisième réalité, bien perçue par l’observateur français, le commissaire spécial adjoint à la direction de la sureté de l’Armée du Rhin, Raymond Gassiot : la mise en œuvre par les forces de police et de gendarmerie de la législation sur les expulsions, « la population luxembourgeoise (…) n’approuv[ait] pas toujours la propagande des organisations fascistes »60. Le travail de Schiltz, comme celui

54 Mémorial du Grand-Duché de Luxembourg, 6 et 7 août 1914, n° 54 et 56, p. 913, 921-922 ; Luxemburger Wort, 6 et 7 août, Escher Tageblatt, 7 août 1914.

55 ANLux, J-073-46 (sous dérogation), Stein à Schaack, 23 octobre 1937.

56 SHD, 7 N2 2429, Gassiot, 30 décembre 1929.

57 ANLux, M-2388 ; Mémorial du Grand-Duché de Luxembourg, 25 mai 1929, n° 26, p. 419420.

58 Mémorial du Grand-Duché de Luxembourg, 6 septembre 1930, n° 44, p. 933-938.

59 Ibid., 7 décembre 1929, n° 61, p. 1045-1056.

60 SHD, op. cit., Gassiot, 8 décembre 1929.

de ses prédécesseurs Goedert, Koenig, qui l’avait formé, et Folscheid61, était du pur renseignement62 ; les expulsions appartenaient aux seuls ministres, pour la décision, et aux brigades de gendarmerie, à la police et à la douane pour l’exécution. Comme ses collègues des autres sections, Schiltz analysait les rapports de la gendarmerie, les approfondissant au besoin par une enquête sur place, n’hésitant pas à se fâcher avec les employés de l’état-civil de la Ville de Luxembourg63 pour remplir ses fiches et nourrir ses rapports de données généalogiques. Concernant la menace italienne, au début de l’année 1937, il pouvait estimer qu’elle se décomposait en trois groupes : le premier, sur lequel devait se focaliser la Sûreté, se composait de révolutionnaires organisés en groupes d’action ; le second, à faire garder à l’œil par la gendarmerie et la police, regroupait des révolutionnaires en devenir, sans organisation, mais prêts à passer à l’action à la moindre incitation ; dans le dernier se retrouvaient les leaders communistes déjà connus de la police comme de la gendarmerie64. En fait de police administrative, c’est de renseignements généraux que traitaient Schiltze et ses sept hommes.

La Sûreté dut encore connaître une évolution, plus de forme que de fond d’ailleurs. Le 10 avril 1936, Dumont créa la nouvelle « section politique », appelée à prendre également en charge la mission de contre-espionnage65. Elle fut confiée à Schiltz, qui se morfondait aux affaires judiciaires depuis cinq ans, après que lui fut retiré la police des étrangers66. Le contre-espionnage fut affecté à un adjoint de Schiltz, Majerus. Dépendait de lui le contrôle des passeports aux mains de Jean-Joseph Backes, qui venait aussi de rejoindre la Sûreté publique ; il se chargeait de confectionner les listes des entrées au pont de Wasserbillig67 . Le risque pour le Luxembourg n’était plus le même que sept ans plus tôt. À présent, le combat était entre antinazis, juifs et opposants politiques allemands qui cherchaient un havre, parfois temporaire au Grand-Duché voisin, aux nazis luxembourgeois et allemands, qui étaient déjà dans une logique d’annexion. Les compétences en renseignement de Schiltz et de ses subordonnés, comme Majerus, Backes et Henri Kneip, se multiplièrent.Venant de la police des étrangers,

61 ANLux, J-076-003, Goedert, 17 septembre 1920 ; Koenig, 5 février 1922 ; J-076-003, Folscheid, 16 juillet 1929 ; J-076-045, Koenig, 14 janvier et 17 février 1925.

62 SHD, 28 P8 435, Wictor à Gestapo, 15 mai 1940.

63 Henri WeHenkel, « L’homme de la police secrète », d’Lëtzebuerger Land, 6 novembre 2015, https://www.land.lu/ page/article/681/8681/DEU/index.html [accédé le 14 juillet 2022].

64 ANLux, J-073-54, Stein à Dumont, 21 janvier 1937.

65 Ibid., J-073-46, op. cit..

66 SHD, 28 P8 382, Schiltz à Gestapo, 22 mai 1940.

67 Ibid., 28 P8 435.

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ce dernier se spécialisa dans les affaires de tracts antisémites qui fleurirent dans Luxembourg-ville et à Esch-sur-Alzette68. Le 12 octobre suivant, le Ministre d’État, Joseph Bech, rappela à Schiltz de ne pas négliger pour autant la propagande communiste et anarchiste69 .

Il s’agissait moins d’une lubie d’un conservateur chrétien-social que d’une réflexion d’un avocat imaginant la sécurité de son pays, corseté dans une neutralité de moins en moins moderne. Le calme de la communauté italienne ne signifiait pas la disparition de la menace communiste, qui restait active au Grand-Duché. En un an, la Sûreté publique fit remonter à Bech « plusieurs cas (…) dont les principaux acteurs sont des Luxembourgeois »70. Le Ministre d’État songeait depuis un an à une loi permettant de prohiber l’activité des services de renseignement sur le sol luxembourgeois71 ; l’arrêté suisse tendant à garantir la sûreté de la Confédération du 21 juin 1935 lui était parvenu72. De même, neuf jours après le rapport de la Sûreté,Auguste Collart, son ministre à La Haye, lui fit part de sa conversation avec le commissaire de police de Rotterdam, Louis Einthoven ; présent seulement depuis trois ans à ce poste, après avoir quitté ses Indes orientales néerlandaises qui l’avait vu naître, le Hollandais pouvait dire avec l’assurance d’un futur chef du renseignement de son pays (1945-1961) que « le Luxembourg lui semblait devenir un centre d’espionnage »73 .

Comme la Sûreté publique lui demandait « de créer une législation spéciale sur la matière », Bech chargea son ministre de la Justice, Étienne Schmitt, de demander l’avis du Conseil d’État sur une révision de l’article 123 du Code pénal. Vingt quatre jours plus tard, le 13 janvier 1938, un rapport de la l’Oeffentlicher Sicherheitsdienst, rédigé la veille et signé de Majerus et Kneip, sur un jeune Luxembourgeois tombé dans les rets des services allemands, fut adressé au Conseil d’État74. Le 12 mai suivant, le projet fut soumis à la Chambre des Députés, qui le vota le 29 septembre suivant75 .

En sept ans, la brigade criminelle était devenue un moderne Service de sûreté publique, disposant d’un service de contre-espionnage. L’empreinte de la

68 ANLux, J-077-002, Kneip, 23 mars, 5, 22 avril 1938.

69 Ibid., J-073-46, op. cit..

70 Ibid.,AE-3612.

71 SHD, op. cit., Gassiot à commissaire divisionnaire à Strasbourg, 7 août 1938.

72 ANLux, CdD-2912 ; SHD, op. cit., Renseignement, 7 septembre 1936.

73 Ibid.,AE-3612.

74 Ibid., M-2388.

75 Mémorial du Grand-Duché de Luxembourg, 8 octobre 1938, n° 38, p. 1169.

préfecture de police de Paris marquait cette organisation gendarmique qui, depuis la conclusion de l’Union économique belgo-luxembourgeoise (1921), envoyait ses membres se former à l’école de criminologie du ministère belge de la Justice76. Toutefois, pour des raisons budgétaires, au cours de l’année 1926, la Chambre des Députés s’interrogea sur la possibilité de détacher la brigade criminelle de la gendarmerie77. Faute de crédit, elle ne disposait que de trois des cinq gendarmes prévus fin 1933, compte tenu des départs en retraite (Delleré en octobre 1932), des retraits pour maladie et diverses mutations pour combler les effectifs des brigades depuis 1915 sans remplacements78. Les effets de la loi de 1929 ne s’étaient pas vraiment fait sentir à la nouvelle Oeffentlicher Sicherheitsdienst. Sous l’impulsion du nouveau commandant de la gendarmerie (30 décembre 1932), le capitaine Maurice Stein79, la montée en puissance de Schiltz et le changement de nom, nourri par la volonté politique du gouvernement Bech, portèrent les effectifs de trois à onze en seulement quatre ans80

À cette occasion, le colonel Charles Kühnmünsch, chef du Bureau de renseignements et d’études militaires (BREM) de Metz, apprit l’existence de cette organisation de la gendarmerie luxembourgeoise, qui lui était passée inaperçue malgré « la fréquence de [ses] déplacements dans le Grand-Duché »81. Une liaison entre le BREM, par l’intermédiaire de la Surveillance du territoire française, fut entreprise avec Stein. Le 29 septembre 1938, Schiltz fut autorisé à entrer en contact avec les commissaires spéciaux français, comme Philippe Pflgfelder ou Auguste Clément. Ce qui troubla les Français fut que leur liaison avec les services de renseignements belges, notamment le militaire Émile Kariger, àArlon, ne leur avaient pas révélé l’existence de cette Oeffentlicher Sicherheitsdienst. Le BREM ne fut pas le seul à découvrir l’existence de cette structure officielle luxembourgeoise de contre-espionnage. En raison des enquêtes de Schiltz et de ses hommes sur les ressortissants allemands, la Nebenstelle de Trèves, agence locale de l’Abwehrstelle de Wiesbaden, dirigée par Oskar Reile, ne tarda pas à identifier ses premiers gendarmes luxembourgeois dès les premiers mois de

76 ANLux, J-022-39.

77 Ibid., Commission centrale de la Chambre des Députés, 6 mars 1926 ; Nocké à Dumont, 10 avril 1926.

78 Ibid., Franck à Dumont, 19 décembre 1933.

79 Jules merscH, Biographie nationale du Pays de Luxembourg depuis ses origines jusqu’à nos jours, 6, Luxembourg, Victor Buck, 1962, p. 22.

80 SHD, BREM, Renseignement, 2 décembre 1937.

81 Ibid., à Rivet, 12 mars 1937.

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1936, un an avant le BREM82. Neuf des onze membres de la Sûreté, dont Schiltz et Majerus, figurèrent sur la liste des Luxembourgeois à arrêter dès l’entrée des troupes allemandes83 .

Le chef de la section politique et son adjoint, ainsi que sept (sur vingt) de leurs collègues, furent logiquement appréhendés le 10 mai 1940, à leur arrivée à leur bureau à la caserne du Saint-Esprit. Après un interrogatoire à la prison du Grund, ces neuf « gendarmes ordinaires »84 que la Geheime Feldpolizei de Luxembourg prenaient pour des policiers spéciaux « à la française », furent remis à la Gestapo pour établir leurs participations dans le démantèlement des structures allemandes d’espionnage au Grand-Duché, d’abord à Trèves, le 12 juin, puis à Wittlich trois jours plus tard. Seulement, tous n’y restèrent pas pour la même durée. Deux, non-impliqués dans la section politique de Schiltz, furent libérés dès le 18 juin. Quatre attendirent encore une semaine que les policiers secrets allemands établissent leur innocence. Schiltz ne fut relâché que le 9 juillet, affichant d’un trouble de stress post-traumatique (il a songé à se suicider et gardera toujours la crainte d’une nouvelle arrestation) et le huitième, le 27 juillet seulement. Ces deux derniers partagèrent le même sort, interdits de retravailler dans la police par les autorités allemandes85. Mais la proximité de Schiltz avec les autorités luxembourgeoises, qui avaient laissé une commission administrative dirigée par le conseiller du gouvernement Albert Wehrer, lui permit de recouvrer une position à son grade au sein de la Kriminalpolizei de Luxembourg, dès le 4 septembre, où ses collègues finirent par le rejoindre, trois semaines plus tard, à leur grand dam86. Et l’autre se fit Vertrauensmann (homme de confiance) pour la durée de la guerre.

Alors que la Sûreté publique historique finissait de se dissoudre dans les nouvelles institutions policières allemandes et dans la rancœur envers Schiltz de la part de collègues estimant avoir été injustement traités, se mit en place dans le Sud de la France une nouvelle et éphémère Sûreté luxembourgeoise. L’invasion allemande du Grand-Duché avait conduit les populations du Sud du pays, quelque 40 000 personnes, précédées par le gouvernement du pays, à trouver

82 Ibid., 28 P8 435, Reile à Lyruku, 15 février 1926.

83 Centre d’Études Guerre et Société, Bruxelles, AA 1835 ; je remercie vivement Étienne Verhoeyen de m’avoir obligeamment communiqué la liste de la Sonderfahndungsliste luxembourgeoise.

84 ANLux,AE-3998, Wehrer à Schumacher, 17 juillet 1940.

85 Ibid., FD-94/24, Schiltz, mémoire s.d. [29 novembre 1944] ; SHD, 28 P8 249 et 382, Abwehrstelle Luxemburg, 23 et 27 juillet 1940.

86 Henri WeHenkel, op. cit.

refuge en France. Assez rapidement, les autorités cherchèrent logiquement à assurer la sécurité matérielle et physique de leurs concitoyens dans le désespoir. Leur trouver du travail fut une priorité immédiate pour le gouvernement. Apparut bientôt auprès des autorités luxembourgeoises qui géraient les réfugiés un « commissaire spécial de la Sûreté », que même le ministre du Travail Pierre Krier ne connaissait pas87. Alors qu’un officier, comme Aloyse Steffen et Joseph Gilson, aurait pu en imposer à l’ancien syndicaliste, la personnalité d’un homme du rang discret comme les brigadiers Willibrord Gœrgen ou brigadier Corneille Baulesch purent passer inaperçus. Un journaliste eschois réfugié évoqua dans ses carnets un Sonderkommissar der Sicherheitspolizei sans autre précision88. Le 26 mai, à Mâcon, Krier le rencontra, en conversation avec Nicolas Reis, commissaire de police d’Esch-sur-Alzette et ses agents. Le « commissaire spécial de la Sûreté » y organisait son nouveau service, recrutant en priorité, parmi les gendarmes réfugiés, puis des policiers, comme il le fit à Montpellier, le 13 juin, pour le département de l’Hérault89. Krier le rencontra à nouveau, à Bayonne, le 21 juin suivant, où Gœrgen, qui avait été le chauffeur des enfants des souverains, avait été saluer la Grande-Duchesse en route vers l’exil90. En ces deux occasions, le « commissaire spécial de la Sûreté » dut donner des consignes précises au ministre, afin que ce dernier les incorporât dans ses instructions aux responsables luxembourgeois. Krier y fit effectivement figurer une section « surveillance des réfugiés », prescrivant leur « surveillance continue, spécialement en ce qui concerne leurs conditions de logement, de salaires, d’hygiène, etc. » et de « relever [leur] état moral et psychologique »91. Cette mission de renseignements généraux visait à maintenir les communautés luxembourgeoises à l’abri des défaitismes de toute sorte, le contre-espionnage étant pris en charge par les Français jusqu’en novembre 1942. Le retour de la grande masse des Luxembourgeois réfugiés dans leur pays, de juillet à novembre 1940, mit fin à l’expérience. Le 20 octobre 1940, deux mois après son retour à Luxembourg, Baulesch fut condamné à un an et neuf mois de prison pour avoir adressé une lettre à un horloger septuagénaire bordelais évacué dans les environs de Mont-

87 Émile Haag, Émile krIer, La Grande-Duchesse et son gouvernement pendant la Deuxième Guerre Mondiale. 1940, l’année du dilemme, Luxembourg, RTL-Éditions, 1988, p. 172.

88 Paul muller, « Die zweihundertTage oder die Geschichte einer Evakuierung », Escher Tageblatt, 8 janvier 1945. C’est sa seule mention.

89 Jacques Dollar, L’exode des Luxembourgeois sur les routes de France en mai 40, Bascharage, chez l’aut., 1990, p. 380.

90 Émile Haag, Émile krIer, op. cit., p. 187 et 154.

91 Ibid., p. 190.

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pellier qui l’avait hébergé : il y vantait l’action du général de Gaulle et écrivait attendre la défaite de l’Allemagne92. Le 31 mars 1941, Gœrgen fut rayé des cadres de la gendarmerie luxembourgeoise93 .

Le Service de renseignement de l’État

Au lendemain de la Libération, en septembre 1944, deux tendances se firent jour. D’une part, les gendarmes de l’Oeffentlichen Sicherheitsdienst réintégrèrent leurs bureaux, mais firent savoir à Schiltz qu’ils ne souhaitaient plus travailler avec lui94. La raison officielle était l’attitude de ce dernier pendant l’occupation, nourrie d’une crainte d’être à nouveau arrêté95. Dénoncé aux libérateurs américains, comme son collègue Vertrauensmann, il fut incarcéré au Grund, avant que le capitaine Stein, qui avait lui-aussi retrouvé sa position, lui signifiasse qu’il « ne recommencerai[t] pas jusqu’à nouvel ordre » à travailler96. Pour la deuxième fois, Schiltz perdait son emploi. Mais cette fois, toutes les perspectives de le recouvrer s’en allèrent avec elle. Quatre ans auparavant, il bénéficiait de la confiance du ministre de la Justice, René Blum, au moins jusqu’à son remplacement du 6 avril 1940. Or, avec la Libération, son protecteur fut envoyé représenter son pays à Moscou, et son successeur, Victor Bodson, semblait avoir ses propres protégés, l’ancien chef de la Sûreté, Jean Wictor, et le brigadier Corneille Baulesch, seul véritable héros de guerre avéré de la Sûreté ; le ministre de la Justice était bien décidé à faire du premier le chef de la nouvelle Sûreté et le responsable du « contre-espionnage », tandis que le second prendrait la direction des « affaires politiques »97. Ces deux hommes se virent ni plus, ni moins offrir le poste qu’occupait Schiltz au 10 mai 1940. Cette confiance était décisive dans la relation entre le décideur politique et ses officiers de renseignement. Mais cette grande proximité pouvait conduire à une politisation du renseignement, c’est-à-dire que les seconds pouvaient être amenés, pour diverses raisons, à ne donner au premier que les informations qu’il désirait obtenir. Wictor commença d’ailleurs dès le 14 septembre 1944, neuf jours avant le retour du gouvernement au Grand-Duché. Profitant de ses nouveaux rapports avec le Counter Intelligence Corps (CIC) de l’US Army, encouragé toutefois

92 SHD, 28 P8 106.

93 Gilbert trauscH, op. cit., p. 442.

94 ANLux, FD-94/24, Schiltz, 29 novembre 1944.

95 Ibid., FD-94/13, Baulesch/Wictor, 6 octobre 1944.

96 Ibid., FD-94/24, Schlitz à Bodson, 29 novembre 1944.

97 ANLux, FD-94/28, Bodson, 5 janvier 1945.

par le capitaine Stein, il avait fait part aux agents Holden W. Olsen et Leonard

L. Bacon de la suspicion de la Sûreté envers deux de ses membres, dont Schiltz, conduisant à leur incarcération98. À l’arrivée de Bodson, Wictor s’était pareillement rendu indispensable.

Au contact avec les conditions militaires de la victoire contre les nazis et dans la perspective d’une poursuite du conflit contre l’Union soviétique, le ministre de la Justice était revenu d’exil avec des idées précises sur ce que devait être un service de renseignement. Évidemment, de son point de vue, comme de celui du procureur-général qui lui était subordonné, il incombait à son ministère de le bâtir. Le modèle belge de la Sûreté de l’État, avec laquelle il avait été amené à collaborer à Londres, s’imposait. Avec cette différence que les gendarmes en seraient la cheville ouvrière. Dans cette perspective, la manipulation pour éliminer Schiltz s’affirma bientôt comme le modèle d’opérations clandestines montées par la nouvelle section des affaires politiques. La plus connue est assurément celle connue au Luxembourg sous le nom de « Putsch ». Pour comprendre cette affaire dont les premiers ressorts remontaient au référendum perdu du 6 juin 193799, qui entendait interdire le Parti communiste, et à la présence d’agents allemands infiltrés dans la résistance, il faut replacer cette opération de la Sûreté dans son contexte de l’immédiat après-guerre. Une camarilla de jeunes résistants plus ou moins vrais, autour d’un agent luxembourgeois de la Gestapo portugaise et d’un autre de l’américaine Office of Strategic Services (OSS), cherchèrent à déstabiliser ce gouvernement luxembourgeois investi en novembre 1937. La Sûreté chercha vainement « le nom des bailleurs de fonds »100 de l’opération. Comme il ressortait de ses auditions qu’un Belge de Paris était impliqué, elle sollicita vainement l’aide de son homologue belge, qui se concentra naturellement sur ses caractères locaux. Le 27 septembre 1946, le Service de documentation extérieure et de contre-espionnage (SDECE) français mirent assurément le vrai nom sur le financier utilisé par l’agent luxembourgeois de la Gestapo portugaise pour payer l’opération destinée à faire tomber le gouvernement rentré d’exil101 .

Celle-ci commença avec la dénonciation au CIC de l’officier nommé à la tête

98 Ibid., EPU 396 (sous dérogation).

99 Sonja kmec, Pit PéPorté (eds), Lieux de mémoire au Luxembourg, II, Jeux d’échelles. Erinnerungsorte in Luxemburg II. Perspektivenwechsel, Luxembourg, Imprimerie Saint-Paul, 2012, p. 31-36.

100 Archives de la Sûreté de l’État (AVSSE), Bruxelles, Lowage à Bihin, 19 octobre 1945.

101 SHD, 28 P9 9345, Renseignements, 27 septembre 1946.

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de la Sûreté, le lieutenant Nicolas Klepper, le lendemain du retour de Bodson à Luxembourg102, sa mise en accusation en Belgique devant l’inertie supposée du gouvernement (septembre 1944-juillet 1947), enfin un procès à rebondissements initié par le parquet (114 témoins pour la défense) (juillet 1945-mars 1947). Dans un cas, Wictor chercha à ménager son ancien éphémère chef, peutêtre pour mieux cacher le fait qu’il avait condamné Schiltz103. Dans l’autre, il établit un rapport en apparence de routine évoquant des propos entendus dans un café par quatre officiers luxembourgeois, un Saint-Cyrien, deux membres de la Luxembourg Battery (belgo-britannique) et un du Special Organisation Executive ; comme par hasard, deux d’entre eux avaient témoigné au procès… Le 2 août, ces messieurs, rejoints par un instituteur communiste, furent arrêtés et traduits en justice, laquelle rendit pourtant un non-lieu le 30 octobre suivant, le dossier disparaissant des archives selon un procédé usité le 10 mai 1940, une fiche fantôme indiquant seulement qu’il avait été transmis au ministre de la Justice, le 11 novembre104 .

Cette opération n’échappa pas aux services de renseignement environnant. Alors que l’Office luxembourgeois du contrôle des communications pointait de « jeunes ambitions impatientes, ressentiments séniles, rancune sociale, sourde inimitié sans cause qui dresse l’homme contre l’homme »105, la Sûreté de l’État fut plus précise en y voyant l’action d’

« officiers de l’armée luxembourgeoise qui ont pris le maquis sous l’occupation (…) et reprochent notamment aux agents de la Sûreté (…) de ne pasavoirprislemaquisetd’avoir,aucontraire,portélatenuede Feldgrau sous l’occupation106. »

Le SDECE souleva pour sa part, le 24 août 1946, une part du voile de l’opération américaine, estimant que

« le Gouvernement Grand-Ducal se sentant attaqué et voyant décliner son autorité, a tenté de rétablir son prestige par une mesure destinée à intimider ses adversaires dont quelques-uns ont été arrêtés ou écartés de leurs fonctions107. »

102 Archives Paul Dostert, Luxembourg, Klepper, Bodson à Garvey et Wilson, 25 septembre et 20 octobre 1944.

103 Ibid., 19 mars 1945.

104 Henri kocH-kent, Putsch à Luxemburg ?, Luxembourg, chez l’aut., 1979, p. 40-41.

105 ANLux, ET-044, Rapport sur l’opinion publique pour la période du 16 au 28 juillet 1946.

106 AVSSE, Wirtz à Bihin, 30 juillet 1946.

107 Archives diplomatiques, La Courneuve, 194 QO-26.

En imputant l’arrestation des officiers à la main des Britanniques, le service français se trompa sur l’affectation du commanditaire de l’opération de déstabilisation. Bien qu’ayant noté que ces officiers avaient tous été formés en France, avant-guerre, ou en Grande-Bretagne, pendant le conflit, Roger Lafont (Verneuil) ne pensa pas qu’en sous-main se préparait une relève majeure dans le monde du renseignement, le Luxembourg passant d’une zone franco-britannique à une autre purement américaine, comme en attestait la présence de l’agent de l’OSS, qui finança l’opération et ne manqua pas d’affirmer une ambition pour le pouvoir à Luxembourg108. De ce point de vue, le départ de Bodson du gouvernement, le 1er mars 1947, était significatif des dessous internationaux de cette crise politique nationale. Il est tout aussi intéressant de rapprocher de cette déstabilisation du gouvernement luxembourgeois l’opération américaine pour prendre le contrôle de Radio-Luxembourg109, utilisant le concours de l’ancien attaché militaire français, le lieutenant-colonel Archen. Il n’est pas prouvé que l’action de la Sûreté française à Trèves, dont l’opportune perquisition mit fin à l’opération américaine le 19 avril 1946110, ne fut pas téléguidée de Luxembourg, l’Oeffentlichen Sicherheitsdienst ne manquant pas de contacts dans cette cité prisée des Luxembourgeois de tout temps…

D’un point de vue purement luxembourgeois, le coup de la Sûreté eut trois conséquences. La première fut de donner aux « affaires politiques » de la Sûreté une habitude de monter des dossiers, comme celui contre Schiltz, pour se débarrasser des personnes gênantes. Une autre affaire fut celle qui concerna le capitaine Gaston Wormeringer, un brillant officier de l’Armée, récemment rentré de France où il avait représenté son pays à l’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord (OTAN) pendant trois ans. L’officier ne fut que l’instrument par lequel le gouvernement entendait mettre fin au programme de transformation de l’Armée en un Groupement tactique régimentaire (5 119 hommes), jugé trop cher, trop gourmand en hommes, donc doublement dangereux électoralement. Pour cela, il fallait atteindre le chef d’état-major, le colonel Guillaume Albrecht. Les gendarmes de la Sûreté furent à nouveau à la manœuvre. Une conférence devant le corps des officiers de la caserne de Diekirch, le 3 juin 1957, présidée par le colonel Guillaume Albrecht, fut marquée par les propos jugeant durement la

108 SHD, 28 P9 9345, op. cit. ; Yorkshire Post, 5 mars 1945.

109 Lawrence C. soley, Radio Warfare. OSS and CIA Subversive Propaganda, New York, Praeger, 1989, p. 135, 138-146 ; Joseph Martin HoPkIns, The Armstrong Empire. A Look at the Worldwide Church of God, Grand Rapids, Eerdmans Publishing Co., 1974, p. 48 ; Brian Lister, Pirate Gold, Sedgefield, Sound Concept, 2017, p. 86.

110 AD, 194 QO 1, Gugnon à Pohl, 6 mai 1946.

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politique militaire du gouvernement de divers officiers, autorisés expressément à s’exprimer librement. Le capitaine Gaston Wormeringer émit le plus d’objections, tant sur le plan technique (opérations bâclées) que moral (népotisme, indiscipline, gaspillage des deniers publics). Il fit l’erreur de s’en ouvrir au journaliste Camille Linden, du libéral Lëtzeburger Journal. La Sûreté fut saisie et une surveillance de l’appartement de fonction de ce cadre lui fournit rapidement la matière (insulte envers un supérieur) permettant au 2e Bureau de prononcer à l’encontre de l’officier des arrêts disciplinaires. Wormeringer ne s’y conformant pas, un conseil de guerre fut réuni, l’affaire étant ensuite portée en appel devant la Haute-cour militaire (juin 1958-mai 1959)111 .

La seconde conséquence découlait de ces affaires avec l’Armée. Si en 1946, l’action de Wictor ne fut pas déterminante dans l’issue de la crise politique, il n’en fit pas de même onze ans plus tard. Entre les deux, le gouvernement avait été amené à revoir son architecture de renseignement. Cette évolution résultait des observations faites par Pierre Dupong, Président du Gouvernement depuis 1937, et Bodson en Grande-Bretagne, au contact de la Sûreté de l’État et du Secret Intelligence Service (SIS) britannique « durant les hostilités et durant la première année d’après-guerre »112. La crise politique (septembre 1944-juillet 1947) ne devait pas seulement servir à placer l’Armée sous le contrôle du Parquet général mais aussi d’y attacher aussi « – à l’instar des dispositions légales belges – (…) la Sûreté113. » Le départ de Bodson du gouvernement, le 1er mars 1947, puis la retraite de l’adjudant Jean Wictor ôtèrent les raisons internes de réformer la Sûreté ; seules intervinrent en janvier 1948 une réformette civilisiationnant les grades de ses membres et en février 1951 fut mis en place un Service spécial de la Gendarmerie ; composé d’un correspondant par brigade de la Sûreté et chargé de surveiller les organisations et les éléments communistes ou manipulés par les services soviétiques (fugitifs venant d’Europe de l’Est, résidents luxembourgeois originaires de cette zone), il ne disposait « pas d’attribution spéciale », mais ajoutait seulement un réseau d’informateurs à la section politique de la Sûreté.

Le renoncement au statut de neutralité, tant par la participation à l’occupa-

111 Ibid., 194 QO 23, Guyon à Couve de Murville, 8 et 28 juillet 1958, 2 juin 1959 ;ANLux, FD94/128, « Le malaise de l’armée », sd [23 août 1958] ; Luxemburger Wort, 1er, 2 juillet 1958, 23 mai 1959; d‘Lëtzebuerger Land, 27juin, 4, 11,18 juillet 1958, 17avril,15 et 29mai 1959.

112 ANLux, FD-94/282-5, Bodson à Bech, 10 avril 1953.

113 Ibid., FD-94/24, Bodson à Dupong, 8 août 1946.

tion de l’Allemagne (Bitburg, Saarburg)114 que par l’adhésion du Grand-Duché au Traité de l’Atlantique nord (4 avril 1949) et son entrée dans l’organisation éponyme115, imposa cependant de transformer la petite compagnie des volontaires (300 hommes) d’avant 1940 en une force de deux bataillons et une Garde grand-ducale (2 159 hommes) et de la doter d’un état-major complet (les 1er , 3e et 4e bureaux existaient depuis 1945). Cette nécessité intervint après le vote d’une loi sur l’organisation militaire, le 12 juin 1952, après huit ans de gestation à tous les niveaux de décisions116. La question de la structure devant accueillir le renseignement (2e bureau) dut encore attendre deux ans la publication de l’arrêté grand-ducal du 24 avril 1954117. Pendant ce temps, le bureau du Procureur général d’État, Félix Welter, continuait à travailler, à son rythme, sur la création d’une Sûreté militaire. Sinon comment expliquer qu’un commis-rédacteur put-il se procurer les adresses des « départements de la Justice et de la Police en Belgique et aux Pays-Bas », ainsi qu’en Suisse, les modèles classiques des innovations administratives au Grand-Duché ?118

La gendarmerie se préparait aussi à cette éventualité, encore que participant à la commission planchant sur la future loi militaire de 1952, elle avait recruté l’ancien chef de la compagnie de volontaires, le capitaine Jean Brasseur, dès son retour de déportation. Rapidement, il fut nommé commandant de l’arrondissement de gendarmerie de Luxembourg (27 juin 1949), et implicitement de la Sûreté, à présent commandée par l’adjudant Baulesch. Quelle que soit la solution retenue par les autorités politiques, Brasseur semblait prévu pour diriger aussi bien la Sûreté militaire que le 2e Bureau. Et, le 11 mai 1954, il prit logiquement la direction de ce dernier, détaché à l’état-major le 27 juillet suivant119.

114 Paul moDert, « Le Luxembourg participe à l’occupation militaire de l’Allemagne après 1945 », « Les amis de l’histoire », XIII, Luxembourg, Linden, 1983, p. 52-129 ; Félix streIcHer, „Anschluss der Eifel“, d‘Lëtzebuerger Land, 18 février 2022.

115 Jean-Claude Wolter, Le Luxembourg et l’Otan. Signification politique, économique et militaire de la contribution du Luxembourg à l’Organisation du Traité de l’Atlantique Nord, Luxembourg, chez l’aut., 1963 ;Aurélia lafontaIne, Le Luxembourg aux origines de l’Otan (1948-1953), Master hist. eur. contemp., Univ. Luxembourg, 2017.

116 Paul cerf, Le Luxembourg et son armée. Le service militaire obligatoire au Grand-Duché de Luxembourg de 1945 à 1967, Luxembourg, RTL Édition, 1984 ; Jacques leIDer, L’armée luxembourgeoise d’après-guerre. Structures, fonctions, fonctionnement, Mémoire de fin de stage pédagogique, 1990.

117 Mémorial… op. cit., n° 25 du 11 mai 1954, p. 717-720.

118 Archives fédérales Suisses, Berne, E4320B#1990/266#7271*, Sturm à Balsinger, 10 mars 1953.

119 ANLux,Administration du personnel, 539.

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poste, qu’il créait, il importa le savoir-faire de la section politique de la Sûreté et le soutien du Service spécial de la Gendarmerie, en emmenant avec lui, pendant les six ans que dura l’expérience, sept membres, soit l’effectif de ladite section. Leurs nouvelles missions (surveillance des « éléments subversifs » — communistes, pacifistes, espions — autour des installations militaires, sécurité militaire à l’intérieur)120 ne les changèrent pas beaucoup de leurs anciennes à la section politique. Ce fut au titre de la seconde mission que Brasseur s’impliqua dans l’affaire Wormeringer.

D’unefaçonplusgénérale,le2e Bureauauditionnaitlescandidats-officiers121 , réalisait des inspections de sécurité dans les locaux de l’état-major comme des unités, mesurait l’état d’esprit au sein des contingents et suivait les manœuvres (surveillance de la population sédentaire, observation d’éventuels « éléments subversifs », opérant au besoin de la contre-information) ; il récupéra la mission de la section politique de contrôle des rôles aériens. Il supportait aussi, missions plus en rapport avec ce que l’on attend d’un 2e Bureau, les militaires envoyés en stage à l’étranger, les attachés militaires et la liaison avec les services homologues des pays voisins, et notamment avec l’OTAN, qui organisait un comité de renseignement et faisait des visites de sécurité. Ainsi la surveillance des éléments subversifs, réalisée automatiquement par le Service spécial de la gendarmerie, qui conduisit à une brève passe d’arme entreAlbrecht et Brasseur au début du 2e Bureau ; il est difficile de dire si l’argument du « triple emploi » amené par le gendarme répondait à une réalité ou s’il cachait une incapacité à mener une telle analyse pour élaborer un plan d’action comme attendu par le militaire, formé à l’École royale militaire de Bruxelles122 .

Il est également difficile de dire combien le fait que Brasseur fut « désavoué publiquement » lors de l’affaire Wormeringer123 joua dans la décision de remplacer le 2e Bureau, aux accents de Sûreté militaire sans lien avec le Parquet, par un Service de renseignement de l’État (SRE), dépendant du Ministre d’État. Plus sûrement, la nouvelle réforme de l’armée (réduction de la durée du service militaire et abandon du projet de Groupement tactique régimentaire) et l’arrestation en flagrant délit, en juillet 1954, d’un agent du Ministerium für

120 Archives privées, Brasseur àAlbrecht, 3 novembre 1954.

121 Témoignage Michel Ley à l’auteur, 20 mai 2014.

122 Archives privées,Albrecht à Brasseur, 20 mai 1954 et réponse du 3 novembre suivant. SHD, 15 S 136,Albrecht aux états-majors général (Bruxelles) et des forces armées (Paris), 24 avril 1954. Jacques Leider, op. cit., p. 86.

123 AD, 194 QO 23, Guyon à Couve de Murville, 2 juin 1959.

Staatssicherheitsdient (MfS) est-allemand — un jeune luxembourgeois faisant son service militaire à Bitburg, recruté en février, pour fournir le nouveau Fusil Automatique Léger (FAL) belge qui équipait le Groupement tactique régimentaire ; en vertu de la jurisprudenceThorn, il fut jugé par les Français — en furent la cause principale.

Cela dit, et la troisième conséquence de la crise politique (septembre 1944-juillet 1947) le montrait bien, il convient de ne pas négliger le rôle que jouèrent les États-Unis dans cet avènement. Certes, le vote de la loi s’inscrivait dans un caractère local de toilettage périodique de l’article 123 du Code pénal, il constituait surtout « un alignement tardif sur la législation des autres pays membres de l’OTAN »124. Il est possible d’évoquer également une vraie impatience américaine qui sourdait de cette loi. Depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale, les services américains n’avaient pas économisé leurs efforts pour mettre la main sur ce petit État. Aux contacts de CIC avec des membres de la Sûreté et de la Gendarmerie, comme Wictor, Steffen et Gilson125, s’ajouta bientôt une prise déterminante, Guillaume Konsbruck.

Ancien officier luxembourgeois formé à l’école militaire de Saint-Cyr et aide-de-camp de la Grande-Duchesse Charlotte, il était Major américain, formé aux « Civil Affairs » à la School of Military Government de Charlottesville. Ancien ministre du ravitaillement et des affaires économiques, il avait rejoint la firme sidérurgique luxembourgeoise, devenant rapidement directeur général. En janvier 1947, l’ambassadeur britannique à Bruxelles nota alors qu’il « sera[it] probablement seulement utile » d’en faire un agent d’influence126. Mais Konsbruckrejoignit,enjuin1950,la World Brotherhood qu’AllenWelshDulles, responsable des actions clandestines de la Central Intelligence Agency (CIA), venait de créer. Le directeur-adjoint de la CIA, le Brigadier General Edwin K. ‘Pinky’Wright, fut plus convaincant que le résident du SIS, John Clarence Moodie, lors de son rapide séjour à l’Hôtel Brasseur de Luxembourg-Ville en juin 1948. Il n’y séjourna qu’entre le 27 à 17 heures, venant de Bruxelles, et le 28 à 9 heures trente, se rendant à une destination inconnue (28 et 29 juin), sans pouvoir dire quand il rejoignit Heidelberg127… L’attachement de la personne de

124 Ibid., 8 juillet 1960.

125 ANLux, EPU 396 (sous dérogation).

126 TheNationalArchives,FO466/1,Knatchbull-HugessenàBevin,30janvier1947;FélixChomé, Arbed. Un demi-siècle d’histoire industrielle 1911-1964, Luxembourg, s.l.n.d. [1964], p. 233, 235, 237.

127 FOIACIA, RDP-80R01731R002700030031-0.

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Konsbruck par la CIAassura à cette dernière une liberté d’action au Grand-Duché. En décembre 1950, il mit à disposition de l’Agence le champ d’aviation de la capitale pour son opération JB/LDICT et consistant à fournir un soutien aérien depuis Athènes à deux opérations clandestines menées contre l’Albanie (BG/Fiend) et la Bulgarie (QK/Stair)128 .

En mai 1953, la 10th Tactical ReconnaissanceWing prit possession de la base aérienne de Spangdahlem, près de Trèves et Bitburg. En prenant sa charge au 2e Bureau, Brasseur rencontra un agent de l’Office of Special Investigation, dont le pseudonymeétaitRoissin.Enenquêtantsurlatrahisondujeuneluxembourgeois recruté par le MfS, Brasseur se mit en contact avec la Sûreté belge à Arlon. Il apprit ainsi l’existence d’une affaire similaire, impliquant un trafiquant luxembourgeois, José MarieAndré Mankel, chargé d’obtenir également un FAL.Ainsi, avant la fin de l’année 1954, le Luxembourgeois put identifier l’agent du MfS à l’origine de ces deux infractions d’espionnage, Robert Windisch, un interprète des Auswärtiges Amt, à Bonn. Après en avoir parlé avec Konsbruck et Roissin, Brasseur transmit son dossier au Bundesnachrichtendienst129. Fin janvier 1955, il remit le dossier de Mankel à Roissin130 et apprit bientôt que le jeune délinquant était parti en mission au Congo pour le compte de la CIA. Sut-il qu’il fût à l’origine de QJWIN ?

Au printemps 1958, Brasseur fut invité à se rendre en Virginie, à Langley, au quartier-général de la CIA. Allen Welsh Dulles le reçut très amicalement et le courant passa entre les deux hommes. Le 23 décembre suivant, se considérant comme « l’un de [ses] plus fidèles amis du Vieux Continent » et son « dévoué ami à Luxembourg », il lui offrit « une pipe moderne », ayant lu dans une revue suisse que Dulles en fumait une vieille. Le cadeau déconcerta quelque peu les agents de Luxembourg qui durent adresser au quartier-général la pipe et le courrier du chef du 2e Bureau luxembourgeois131. Brasseur fut aussi en relation avec August Kayne, attaché judiciaire près l’ambassade parisienne des ÉtatsUnis. Il assura une liaison avec cet agent spécial du FBI pour l’informer de l’état d’avancement du processus de création du SRE132, dont le contre-espionnage

128 Cf. GéraldarBoIt, « Une mission commerciale luxembourgeoise aux États-Unis. op. cit..

129 FOIACIA, Technical Interrogation Report, QJWIN, 5 avril 1961.

130 Ibid., [Rabney ?] à [Harvey], 4 février 1955.

131 Princeton University Library, Department of Rare Books and Special Collections, Allen W. Dulles Papers, Public Policy Papers, MC019.09/Correspondence_General_English_1942-1974_and_undated/ 1950s/19590106_0000484091.pdf

132 FBI, FOI/PA1299673-1, Kayne à Hoover, 25 novembre 1959, 22 mars et 27 septembre 1960 et Brasseur à Kayne, 28 janvier et 22 juillet 1960.

Propagande allemande en Luxembourg. A-Z Luxemburger illustrierte Wochenschrift 1940, Fascicule 17, page 1 (Bibliothèque nationale de Luxembourg Luxemburgensia online. CC)

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était la véritable raison d’être133. Comme aux Pays-Bas134, la CIA décida d’apporter au nouveau venu dans le monde du renseignement occidental un soutien technique et financier, qui pût atteindre également au Luxembourg 10 % du budget de fonctionnement du SRE. Les deux services avaient l’intention de poursuivre ces opérations conjointes et d’autres opérations allouables, c’est-à-dire où chacun des services fournit sa part contractuelle à la réalisation du projet. Il en alla ainsi au Grand-Duché pour l’enregistrement des communications de l’ambassade soviétique de Beggen, un quartier de la capitale, via une dérivation au central téléphonique des casemates du plateau du Saint-Esprit, sous les quartiers du SRE. Ce dernier transmettait les enregistrements à la CIA, laquelle lui retournait ensuite les transcriptions utiles au contre-espionnage luxembourgeois. Brasseur ne put voir l’achèvement de la transformation du renseignement luxembourgeois en un outil de Guerre froide au service de la CIA. Il décéda le 11 décembre 1961, emporté par une artérite qui lui avait déjà pris une jambe neuf ans plus tôt135 .

Ce décès, après celui de Koenig le 22 mai 1934, également en service, et ceux de Wictor, le 28 août 1951, ou de Schiltz, le 6 juin 1970, marqua la fin du rôle précurseur de la gendarmerie dans l’établissement d’un renseignement luxembourgeois. Certes, les gendarmes qui de la Sûreté avaient armé le 2e Bureau et avaient suivi Brasseur au Service de renseignement de l’État, à l’exception de deux, qui préférèrent mettre fin à leur détachement dans l’armée. À partir du successeur du fondateur du service, le capitaine Roger Hoffman, tous les chefs du SRE furent des militaires, jusqu’à la fin de la Guerre froide. Pareillement, la particularité de la loi de 1960 ne créant pas de poste mais se fondant sur le principe du détachement, la gendarmerie continua à mettre à disposition des hommes, mais l’armée prit le dessus. Les gendarmes étaient intéressants dans des fonctions de recherche, tant en liaison avec le Service spécial de la gendarmerie que pour détecter les auxiliaires qui permettaient au SRE de mener des filatures sans vider tout le service.

Il ne faut pas voir la différence de grade entre Brasseur et son successeur comme une rétrogradation du SRE, mais comme un retour à la normale. Le lieutenant-colonel était l’exception, le grade réel de Brasseur expliquait toute

133 AD, 194 QO 23, Guyon à Couve de Murville, 8 juillet 1960.

134 Bob de graaff, « Dutch-American Intelligence Relations », H. kraBBenDam, C.A. van mInnen, G. scott-smItH, Four Centuries of Dutch-American Relations: 1609-2009, Albany, State University of New York Press, 2009, p 675.

135 Jules merscH, op. cit., 19, Luxembourg, Victor Buck, 1971, p. 56-59.

l’incongruité administrative des 2e Bureau et SRE ; le 19 septembre 1960, un arrêté grand-ducal précisait que « le capitaine de la gendarmerie, lieutenant-colonel titulaire Jean Brasseur est nommé major-commandant hors-cadre »136 ! Son grade d’officier supérieur, pourtant bien réel, ne valait que pour les fonctions qu’il occupa dans le renseignement.Ainsi pour ses activités au sein du 2e Bureau et du SRE, il pouvait interagir à égalité avec le chef d’état-major de l’Armée et celui de la gendarmerie, mais disposa également d’une autorité naturelle au niveau international, puisque le Grand-Duché appartenait dorénavant à deux alliances intergouvernementales (OTAN et Union occidentale), celle du monde libre contre le totalitarisme soviétique.

L’héritage gendarmique du contre-espionnage trouvait là tout son intérêt. C’en était fini de la lutte seul contre les menées subversives de l’ennemi de l’époque, l’Allemand dans l’épisode de guerre civile européenne (1913-1947), puis le Soviétique (1919-1990), et non une mythique classe ouvrière. La mise en place d’une « section politique » en 1936 au sein de la Sûreté répondit à la première menace. Sa transformation en un 2e Bureau, accolé à un Service spécial de la gendarmerie, entendait répondre aux enjeux de la nouvelle menace. Sa mutation tint essentiellement dans l’augmentation des vecteurs subversifs, et surtout de nationalité luxembourgeoise, plutôt qu’à un changement de mission. Au cours de la première époque, le danger vint de communautés marginales allogènes, Italiens et Allemands, qui apportèrent au Grand-Duché des combats auxquels il était étranger. En internationalisant le danger, la Guerre froide amena des Luxembourgeois à s’engager pour un camp opposé au choix du gouvernement luxembourgeois. À cela s’ajouta une polarisation politique nationale qui fut exploitée par les services américains pour parvenir à leurs objectifs de Guerre froide. La structure de renseignement adoptée entre 1951 et 1960, sur des bases plus anciennes, entendait y répondre. L’ennemi intérieur y répondit avec son outil de propagande qui apporta périodiquement la question du renseignement sur une place publique ignorante.

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Gendarmes français et auxiliaires

Acteurs et témoins de la sortie de la Grande Guerre

en Macédoine, Cilicie et Syrie-Liban (1918-1925)

par romaIn Pécout1

ABSTRACT : Being both actors and witnesses, servicemen and close to civilians, deployed as much on the front line as in occupied territories, French gendarmes and their auxiliaries offer a fresh look upon the decaying Balkans and Ottoman Empire during the aftermath of the First World War. Yet those officers are doubly forgotten: the aftermath of the First World War is an unfamiliar, poorly bounded period, and both contemporaries and historians viewed Macedonia, Cilicia, Syria and Lebanon as secondary fronts. From this point of view, this paper is at the crossroads of military, diplomatic and institutional histories.Taken from both Gendarmerie and diplomatic archives, sources are cross-referenced in this paper to offer an overview of Gendarmerie officers in an original setting.

key WorDs: armée D’orIent, armIstIce of mouDros, cIlIcIa, fIrst WorlD War, france, genDarmerIe, laW enforcement, leBanon, maceDonIa, mIlItary occuPatIon, ottoman emPIre, Post-War PerIoD, syrIa, turkIsH War of InDePenDence.

« Salut à tous ! Je viens à Sis envoyé par le général commandant en chef au nom des puissances ententistes, France, Angleterre, Amérique, Italie. […] Je veux que le calme et la sécurité règnent dans tout le Sandjak. […] Je ferai pendre les assassins, et donner 50 coups de bâton aux voleurs. Je mettrai en prison ceux qui ne seront pas sages. […] Les brigands seront sévèrement punis. J’emploierai la force de la gendarmerie du Sandjak à maintenir l’ordre.2 »

1 Professeur certifié d’Histoire, Géographie et Enseignement Moral et Civique (EMC) du Ministère de l’Éducation nationale (France).

2 Proclamation du capitaine Taillardat à la population, 10 mars 1919, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V126.

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Nouveau gouverneur de la circonscription de Khozan en 1919, le capitaine Taillardat annonce par cette proclamation des projets clairs. Grâce à l’appui des gendarmes, l’ordre doit être rétabli dans cette circonscription de Cilicie en proie au chaos. Le contexte est en effet troublé pour les territoires des Balkans et de l’Empire ottoman, où stationnent encore les armées dans la sortie de la Première Guerre mondiale. Les armistices proclamés à Salonique, à Moudros et à Rethondes, de septembre à novembre 1918, ne doivent pas laisser croire que la guerre est finie. Pour la gendarmerie, la sortie de guerre est même annonciatrice de nouvelles épreuves. Car, loin de limiter son action au front occidental, la gendarmerie française intervient à l’échelle internationale, à travers ses prévôtés et d’autres unités spéciales, dans un contexte où la France victorieuse renforce ses relations militaires avec d’autres États et participe à l’occupation des pays vaincus et de leurs colonies.

Après la signature de l’armistice de Salonique le 29 septembre 1918, la France maintient la majorité de ses troupes en Orient afin de poursuivre l’offensive dans les Balkans, mais également de préserver l’équilibre politique en Macédoine. L’une des missions des gendarmes présents en Orient est d’encadrer ces troupes, dans le cadre de la fonction prévôtale. Héritée de la maréchaussée et précisée par plusieurs textes du XIXe siècle, notamment par la longue instruction du 31 juillet 1911 sur le « service de la gendarmerie en campagne », elle confie à ce corps « la police et le maintien de l’ordre dans la zone des armées ». La force publique de Salonique doit alors assurer l’encadrement des soldats en cours de démobilisation dans un contexte tendu, car les alliés grecs cherchent de plus en plus à marquer leur indépendance3. À l’automne 1918, les nouveaux responsables de l’Armée d’Orient réorganisent la prévôté et augmentent ses effectifs. L’armistice signé à Moudros le 30 octobre 1918 suspend quant à lui les hostilités avec l’Empire ottoman. Entre 1918 et 1922, la Turquie fait l’objet d’occupations en plusieurs points de son territoire, dont une occupation française en Cilicie. En janvier 1919, 200 gendarmes français sont incorporés dans le corps de police interallié de Constantinople, tandis que la France renoue avec son ancienne politique de coopération avec la Sublime Porte en fournissant des gendarmes instructeurs à la Jandarma dans d’autres parties de l’empire. Le mandat français sur la Syrie et le Liban, officiellement institué par la Société des Nations le 25 avril 1920, doit quant à lui permettre aux États arabes concernés d’accéder à la souveraineté et à l’indépendance. Or, des cendres de

3 Isabelle roy, La Gendarmerie française en Macédoine (1915-1920), Service Historique de la Gendarmerie Nationale, 2004, 243 p.

l’Empire ottoman naissent deux mouvements : les nationalismes arabe et turc4 Pour faire face aux Turcs en Cilicie et aux nationalistes arabes en Syrie et au Liban, la France ne peut pas compter sur ses seules prévôtés : elle doit trouver sur place les éléments indigènes nécessaires à la création de forces locales de gendarmerie.

L’étude du Front occidental bénéficie de quantité de documents administratifs, de registres et de procès-verbaux issus des Archives Nationales, des Archives Diplomatiques de Paris, du Service Historique de la Défense ou encore des diverses Archives départementales. En comparaison, l’analyse des gendarmes français et de leurs recrues locales sur le Front d’Orient a mobilisé un nombre plus réduit de cartons de la série 1SL/1 auxArchives Diplomatiques de Nantes (ADN). Complétés par des témoignages de la presse corporative de la gendarmerie, ces documents offrent le point de vue des diplomates sur une institution qui a bien du mal à assurer ses missions, dans un espace où les combats ne sont pas encore terminés. Il ne s’agit plus seulement d’étudier les gendarmes « vus d’en bas », mais d’atteindre une nouvelle échelle en soulignant la place occupée par l’institution dans les enjeux diplomatiques du Front d’Orient. Dans cette perspective, cet article veut proposer une synthèse sur les multiples contributions des gendarmes à la transition entre le temps de guerre et le temps de paix, sur les théâtres d’opération de Macédoine, de Cilicie et de Syrie-Liban. Il convient ainsi d’établir si la gendarmerie est parvenue à s’adapter au contexte hostile du front d’Orient, dans lequel elle doit assumer les missions que les autorités militaires lui assignent.

S’inStaller en macédoine, en cilicie, en Syrie et au liban L’armée oubliée : les gendarmes français en Macédoine

La gendarmerie est présente sur le front oriental depuis les combats menés par le corps expéditionnaire allié dans les Dardanelles en 19155. Les gendarmes déployés en Macédoine durant le conflit ne sont pas préparés à un environnement aussi difficile. Marqué par un climat rude, le territoire est parsemé de petites plaines, de massifs montagneux et de lacs aux abords marécageux. En dehors des voies de passage importantes, les déplacements sont difficiles, et

4 Vahé tacHJIan, La France en Cilicie et en Haute-Mésopotamie. Aux confins de la Turquie, de la Syrie et de l’Irak (1919-1933), Karthala, 2004, p. 13-14.

5 Isabelle roy, La Gendarmerie française en Macédoine (1915-1920), Service Historique de la Gendarmerie Nationale, 2004, p. 243.

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les villages, perdus sur les flancs des montagnes. Dysenterie, paludisme, douleurs articulaires, asthénie et même maladies vénériennes sont le lot d’un grand nombre de militaires de l’arme. Il faut y ajouter la méfiance dont fait preuve la prévôté envers une population indigène qu’elle juge très hostile. Le service effectué auprès des indigènes et des armées étrangères est rendu plus difficile encore par la barrière de la langue. La demande d’interprètes est très régulière dans les rapports des prévôtés de Macédoine, et ce durant toute la guerre et la sortie de guerre, car les gendarmes n’ont quasiment jamais les compétences linguistiques nécessaires. Dans la même période, un problème similaire justifie la création en France d’une « légion de gendarmerie d’Alsace et Lorraine ». Constitué à partir de l’été 1918, ce nouveau corps se distingue par sa capacité à parler les patois locaux ou l’allemand et à connaître les règlements, les coutumes et les mentalités de l’Alsace-Moselle, où il est déployé6

L’entrée des Français en Cilicie

Conformément à l’accord Sykes-Picot, les troupes françaises débarquent en Cilicie entre le 21 novembre et le 29 décembre 1918. Les Turcs jugent cette opération contraire à l’armistice de Moudros, mais les occupants prennent pour prétexte des enjeux militaires, ainsi que l’article 16 du texte, stipulant que seules les forces turques nécessaires au maintien de l’ordre peuvent rester dans cette région. La prévôté des troupes françaises du Levant en Cilicie est officiellement créée le 8 avril 1919, puis renforcée lorsque de nouveaux effectifs sont déployés à la fin de l’année7. Elle comprend 41 hommes, dont certains servent d’instructeurs à des unités de gendarmes libanais, syriens ou arméniens, chargées des affaires locales. Une clause de l’armistice de Moudros prévoit que la gendarmerie ottomane reste sur place pour assurer le maintien de l’ordre, sous le commandement des autorités militaires des troupes d’occupation. Mais la gendarmerie locale que les Français découvrent en Cilicie est constituée « par les reliquats de l’armée turque en retraite ; elle était un instrument destiné à éluder les conséquences de l’armistice, et non une gendarmerie véritable, destinée au maintien de l’ordre ». L’autorité militaire française s’efforce de remédier à cette situation en constituant une nouvelle force, mêlant des Français et des éléments autochtones. Le règlement provisoire, en 1919, de cette gendarmerie de Cilicie,

6 Georges PHIlIPPot, Gendarmerie et identité nationale en Alsace et Lorraine (1914-1939), thèse d’histoire sous la direction d’Alfred WaHl, université de Metz, 2008, p. 387.

7 Yves le lannou, « Gendarmes français en Cilicie (1918-1922) », Cahiers d’étude sur la Méditerranée orientale et le monde turco-iranien, n°28, 1999, pp. 187-206.

GendarmeS françaiS et auxiliaireS

montre que son organisation respecte le modèle en vigueur en France. L’administration ottomane adresse alors une plainte contre ce qu’elle perçoit comme un abus, mais le colonel Brémond, administrateur en chef de la Cilicie, répond à son interlocuteur qu’« il n’est pas contestable qu’au 1er février, la gendarmerie [turque] était un instrument de guerre contre les Alliés, et, aujourd’hui, elle est devenue leur auxiliaire dans la tâche de sécurité qu’ils poursuivent »8

La position de la France dans la région est pourtant vite compromise. Dès le 21 janvier 1920, une insurrection turque éclate dans la ville de Marach, soutenue par les unités nationalistes déployées dans les villages environnants. Le siège de la garnison française est terrible, et les opérations militaires se poursuivent jusqu’au 11 février, date à laquelle le colonel Marchand ordonne à la troupe de battre en retraite.Après d’autres graves incidents et la proclamation de l’état de siège, la Franceaccepte,parlesaccordsdeLondresdemars 1921, d’abandonner à la Turquie toute la région située au Nord de la ligne Payas-Meydan Ekbez. De nouvelles forces de police doivent être constituées par les Turcs en utilisant notamment la gendarmerie préexistante, placée sous un commandement turc, assisté d’officiers français. Les représentants turcs prennent l’engagement de protéger les minorités ethniques, de garantir leur liberté et de prendre en compte leur proportion dans la population de la région pour constituer une nouvelle gendarmerie. Le général Gouraud considère que la désignation du nouveau commandant de gendarmerie turc dans les territoires libérés doit absolument obtenir l’agrément de l’ambassade de France à Istanbul. En outre, il demande que des officiers de gendarmerie français soient présents, sur le terrain, pour faciliter la transition. Ces officiers doivent pouvoir se trouver auprès des chefs locaux des nouvelles forces de sécurité afin de veiller à ce qu’elles n’attentent pas aux personnes et aux biens des minorités. L’installation des fonctionnaires nationalistes, accompagnés de leurs propres forces de police et de gendarmerie, se fait dans le calme. À la date du 9 décembre 1921, l’administration cilicienne de tous les territoires rétrocédés, excepté le caza de Deurt-Yol, est entre les mains des nouvelles autorités turques. Si quelques incidents sont rapportés, provoqués par la maladresse des nouveaux fonctionnaires, la transition, pourtant délicate, ne pose pas de problèmes graves. Tous les dispositifs prévus par la commission d’évacuation ne sont pas pour autant respectés, puisque l’une des premières décisions des autorités kémalistes est de licencier tous les policiers et une grande partie des gendarmes en activité à l’époque de l’occupation française. En outre,

8 Le colonel Brémond au vali du vilayet d’Adana,Adana, 31 juillet 1919,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V2553.

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l’habillement, l’équipement et l’armement des gendarmes et policiers ciliciens licenciés sont abandonnés au nouveau pouvoir9. À la date du 1er janvier 1922, la Cilicie ne compte plus de régiments français : seules deux brigades de gendarmerie française sont encore présentes10 .

Prévôts et gendarmes territoriaux dans la sécurisation de la Syrie et du Liban

Le mandat français sur la Syrie et le Liban, institué par la Société des Nations le 25 avril 1920, doit permettre aux États arabes concernés d’accéder à la souveraineté et à l’indépendance, à condition d’atteindre un niveau suffisant de maturité politique et de développement économique. Cette maturité suppose notamment l’existence de forces de sécurité capables d’assurer le maintien de l’ordre. Or, des critiques sont portées par les Français contre la gendarmerie syrienne, dont le général Hamelin perçoit les officiers comme « des fonctionnaires sans instruction ni moralité, dépourvus de toute aptitude à commandement » et comptant parmi eux « plusieurs condamnés [aux] travaux forcés pour abus de pouvoir » 11. En ce qui concerne la milice libanaise, la situation est encore plus préoccupante, puisque ses officiers n’ont ni formation militaire ou policière, ni même l’envie d’exercer leurs fonctions, la plupart ayant obtenu leur emploi à titre de bénéfice. Arrivée en Orient aux côtés de l’armée française, en 1918, la prévôté française de l’armée du Levant doit assurer, dès 1920, la réorganisation de la gendarmerie libanaise et, plus globalement, la constitution de gendarmeries dites locales dans chacun des États de la Syrie-Liban12. L’idée étant, pour la France, de disposer sur place de forces de gendarmerie autochtones qui restent à la charge des États et ont l’avantage de posséder une bonne connaissance de l’environnement. Dans l’immédiat, l’absence, en 1919, d’une véritable administration policière en Syrie-Liban oblige les gendarmes français à intervenir dans un trop grand nombre d’affaires courantes.

9 Le chef de bataillon Coulet au lieutenant-colonel commandant d’armes délégué à Mersine, Mersine, 1er décembre 1921,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V310.

10 Yves le lannou, « Gendarmes français en Cilicie (1918-1922) », Cahiers d’étude sur la Méditerranée orientale et le monde turco-iranien, n°28, 1999, p. 206.

11 LegénéralHamelinauministredelaGuerre,Beyrouth,6décembre1919,ArchivesDiplomatiques de Nantes, 1SL/1/V2338.

12 Hélène de cHamPcHesnel, « Les gendarmeries syrienne et libanaise, relais de la puissance mandataire ou instruments de l’indépendance des nouveaux États ? », in Jean-Noël luc (dir.). Soldats de la loi. La gendarmerie au XXe siècle,Pressesdel’UniversitéParis-Sorbonne, 2010, p. 203.

endarmeS françaiS et auxiliaireS

Protéger et surVeIller les PoPulatIons

Encadrer les démobilisés et les prisonniers en Macédoine

L’année 1918 rompt avec l’enlisement dans lequel s’est peu à peu enfoncée l’Armée d’Orient depuis 1915. Les réorganisations et la dynamique nouvelle, initiées par les généraux Guillaumat et Franchet d’Espèrey, mènent à la victoire surl’arméebulgareetàlasignaturedel’armistice,le29septembre1918.Durant l’offensive finale de septembre, les prévôtés fournissent un gros effort d’encadrement des troupes, dans les lignes et sur les routes, ainsi que des prisonniers. Le travail de la gendarmerie est, ensuite, loin d’être terminé. Les missions de la prévôté de Macédoine dans la période qui suit l’offensive de septembre 1918 sont effectuées dans un contexte de difficultés croissantes. Manifestations de joie bruyante, rixes et dégradations diverses prouvent l’impossibilité, pour les gendarmes, d’assurer un maintien de l’ordre comparable à celui de l’époque où les combats étaient encore menés. D’autant plus qu’il ne reste, en Macédoine, qu’une fraction de l’appareil prévôtal d’Orient. Cette formation doit organiser à Florina un service d’ordre spécialement pensé pour la gestion des soldats russes, dont le statut, depuis la défection de leur pays et le traité de Brest-Litovsk, reste incertain. L’agitation de cette troupe oblige régulièrement à enfermer certains de ses hommes en prison. Parallèlement, les incidents se multiplient entre les troupes alliées et les civils, provoquant un climat d’insécurité. D’une part, l’approche de la fin des combats conduit les soldats à consommer plus d’alcool que de raison. D’autre part, les autorités grecques venizélistes cherchent à accroître leur indépendance par rapport aux Alliés, ce qui pèse sur les relations entre la gendarmerie française et les forces de l’ordre grecques. La désorganisation de l’évacuation des troupes et du matériel favorise, en plus, un phénomène de pillage, souvent organisé par des réseaux de malfaiteurs, que la prévôté n’a pas les moyens de combattre13. Enfin, son rôle de zone de transit fait également de Salonique le point de passage des nombreux prisonniers de guerre, encadrés par les prévôtaux, et qui peuvent rejoindre leur pays depuis ce port.

Protéger les populations du brigandage en Cilicie

La mission prioritaire des armées et des forces de gendarmerie déployées en Cilicie demeure l’ordre public. Dans l’esprit de l’occupant français, garantir la sécurité des autochtones doit permettre de se faire accepter. Il faut dire que la

13 Isabelle roy, La Gendarmerie française en Macédoine (1915-1920), Service Historique de la Gendarmerie Nationale, 2004, p. 189.

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Cilicie n’est pas un territoire pacifié. Il est si risqué de voyager sur ses routes qu’un prêtre se rendant auprès du gouverneur du Djébel Bereket doit être accompagné durant tout le trajet par un gendarme14. La protection des populations est plus difficile selon les endroits et le moment de l’année. Durant l’été, la dispersion des habitants des villes dans les jardins ou dans les vignes des banlieues oblige les autorités militaires à organiser des patrouilles de jour et de nuit, à itinéraires étendus, et à créer des karakol – des postes de police – dans des tentes, des baraques, des huttes ou des maisons à louer. Les autorités françaises tiennent à ce que le téléphone soit installé dans le plus grand nombre de postes possible ; elles envisagent également d’engager des agents de police auxiliaires l’été, afin que la population se sente protégée pendant la période des travaux des champs. La gendarmerie exerce elle-même, à plusieurs reprises, un service de gardiennage dans les vignes15, et coopère également à la surveillance des routes et des voies ferrées16

Les gendarmes n’ont pas beaucoup de temps pour régler les petites querelles et les problèmes des villages, car ils participent directement à des opérations de traque des « brigands », selon la terminologie officielle, aux côtés de l’armée17 . Ces opérations ne sont pas suffisantes pour mettre un terme à l’insécurité, et le colonel Brémond finit par avoir la conviction « que le banditisme ne va pas cesser malgré toutes les prises »18. Ainsi, au mois de juillet 1920, le village de Karatache est attaqué successivement par trois bandes de tchétés (bandits). Quatorze d’entre eux quittent ensuite ces formations pour revenir piller le village et y massacrer les chrétiens. Or, ces individus « ordonnent à la gendarmerie locale de ramasser tous les chrétiens en leur disant que les Français les demandent à Adana. La gendarmerie, sous la pression de ces bandits, ramassent (sic) les chrétiens et les enferment (sic) dans une maison du maître d’école Hanna ». Seuls huit chrétiens parviennent à s’échapper : 71 autres n’ont pas cette chance et sont emmenés près du village d’Avrat Mezari, où leurs cadavres sont retrouvés par la suite19. La source de ces renseignements n’est malheureu-

14 Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V126.

15 LecapitaineDromardaucommandantdubataillondelagendarmeried’Adana,Adana,29novembre 1920,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V211.

16 Note de service n°36 du lieutenant-colonel Clément, Deurt-Yol, 1er février 1921,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V274.

17 Notedeservicen°168/R,Deurt-Yol,19août1921,ArchivesDiplomatiquesdeNantes,1SL/1/ V274.

18 Télégramme du colonel Brémond à Georges Picot,Adana, 22 octobre 1919,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V 2553.

19 Renseignements,Adana, 15 juin 1921,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V285.

sement pas identifiable. La découverte des ossements indique cependant, non seulement qu’il y a bien eu un massacre de chrétiens, mais également que les patrouilles de gendarmerie n’ont pas repéré un convoi de près d’une centaine de personnes, qui s’est déplacé durant plusieurs jours dans le secteur de Karatache ! Le capitaine André soulignait déjà, dans sa conclusion aux opérations menées en octobre 1919, que les brigands trouvent partout « des intelligences et des guides », peut-être même parmi les gendarmes. L’ampleur du brigandage force ainsi la gendarmerie de Cilicie à élargir ses fonctions pour tenir le rôle d’une unité combattante au cours d’opérations de reconnaissance ou de défense des postes. Pratiquant également le meurtre et l’enlèvement, les bandits, quand ils sont capturés, passent devant le tribunal militaire. Exaspérés par les attaques des brigands et des militants kémalistes, des habitants en viennent parfois à proposer leur soutien.

Lutter contre la contrebande et désarmer la population en Syrie-Liban

Dans le gouvernement d’Alep, la surveillance des voyageurs est assurée, dans les caza, la plus petite division administrative du territoire, par les officiers du service de renseignement, sur les routes à l’entrée d’Alep, par des postes mixtes de police et de gendarmerie, enfin, dans la ville, par la police. Des notes sont transmises aux différents postes pour l’identification d’individus particuliers, recherchés par exemple dans le cadre de la lutte contre la propagande bolchevique. La prévôté et les agents de la force publique peuvent être réquisitionnés pour l’expulsion des éléments douteux. Mais, dans une ville ouverte aussi vaste qu’Alep, traversée chaque jour par de très nombreux étrangers, il n’est pas difficile de passer inaperçu20. En complément du contrôle de la circulation à l’intérieur des territoires mandataires, des postes de gendarmerie sont installés à la frontière entre la Palestine et la Syrie pour lutter notamment contre l’entrée en Syrie d’agents nationalistes, soutenus par les Britanniques, qui veulent favoriser une confédération d’États arabes sous leur égide. Sur cette zone frontalière, les gendarmes peuvent être amenés à prévenir les services de renseignements français de la présence de toute personne séjournant vingt-quatre heures dans un village où elle n’habite pas normalement.

La surveillance des côtes de Syrie-Liban et de celles de Cilicie, aussi longtemps que cette dernière région est contrôlée par les Français, fait également l’objet d’un travail coordonné entre les administrations des deux territoires, qui s’échangent des documents et des renseignements. Au milieu de l’année 1921,

20 Compte-rendu, non-daté,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V849.

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une série de postes de gendarmerie sont établis sur plusieurs parties de la côte. Cette surveillance à terre ne peut être efficace que si elle est en liaison avec celle qui est exercée en mer, grâce à un code de signaux permettant aux postes de communiquer avec les bâtiments de surveillance. Par ailleurs, les gendarmes disposent d’indicateurs rémunérés pour les renseigner sur la contrebande21. Ces opérations ne suffisent pas pour autant à désarmer les habitants de Syrie-Liban, hostiles à la présence française. Le lieutenant-colonel Bucheton, prévôt de l’armée dans ce territoire, constate, en novembre 1922, que la population des villes et des campagnes détient un nombre considérable d’armes de guerre, qui doivent être récupérées. Il prévoit d’abord un affichage pour rappeler à la population l’interdiction de posséder ce type d’armes, en précisant les sanctions encourues. Parallèlement, les services de police urbains établissent, par quartier, une liste des habitants susceptibles de posséder chez eux des armes de guerre. Une fois le délai écoulé, des perquisitions domiciliaires, en vertu des droits que possède l’armée d’occupation, sont assurées par les autorités françaises, la Sûreté générale et les prévôtés. Pour éviter que les armes ne soient systématiquement transférées d’un quartier à l’autre, les perquisitions sont simultanées. Dans les campagnes, la procédure de désarmement se fait par villages entiers. Quelle que soit la zone concernée, l’officier français prévoit une opération longue22

une auxIlIaIre InDIsPensaBle maIs contestée ?

l’exemPle De la genDarmerIe cIlIcIenne

Les limites de la gendarmerie cilicienne dans ses missions

« Des divisions françaises auront pour mission de protéger nos intérêts au Liban, en Syrie et au besoin d’intervenir en Anatolie. Il ne saurait donc être question de procéder à une nouvelle organisation de gendarmerie en Turquie. Les gendarmes ottomans ne sauraient être dressés. Ils ne peuvent comprendre nos règlements et nos lois, et ont été les principaux massacreurs d’Arméniens.23 »

21 Le lieutenant-colonel Bucheton au général haut-commissaire de la République française en Syrie et au Liban, Beyrouth, 19 novembre 1922, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/ V854.

22 Le lieutenant-colonel Bucheton au général haut-commissaire de la République française en Syrie et au Liban, Beyrouth, 15 novembre 1922, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/ V856.

23 « La gendarmerie ottomane », L’Écho de la Gendarmerie, 16 novembre 1919.

Ce violent réquisitoire contre la gendarmerie ottomane est publié, en novembre 1919, dans L’Écho de la Gendarmerie, par Henri Seignobosc, un ancien officier de la mission de réorganisation de ce corps. Les rapports contemporains d’officiers de gendarmerie en Cilicie tendent à confirmer cette mauvaise réputation. Le capitaine Luppé, inspecteur de la gendarmerie cilicienne, dresse un portrait peu flatteur de la gendarmerie ottomane, en insistant sur le manque d’officiers compétents et l’absence d’examen des nouvelles recrues par les autorités locales. La quantité primait clairement sur la qualité. Aussi l’officier ne mâche-t-il pas ses mots quand il compare cette troupe à « un ramassis d’individus sans instruction et avec peu de sens moral. Le métier de brigand devenant dangereux, pas mal de ces derniers se sont faits gendarmes, ce qui, d’ailleurs, ne les empêche pas de voler et de piller à l’occasion » 24. Le militaire français considère néanmoins que le gendarme cilicien est « frugal, dur à la fatigue, d’esprit très souple […], bon serviteur entre les mains d’un bon chef », et que « cette soi-disant gendarmerie a puissamment aidé à ramener la tranquillité dans le pays ». Reste que les officiers sont en majorité turcs, « douteux

24 Le capitaine Luppé au colonel administrateur en chef, Adana, 1er juin 1919, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V210.

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au point de vue politique », et que les Arméniens et les Arabes ne constituent qu’une petite minorité, dans les cadres de réserve. Pour ces derniers : « beaucoup de prétention, peu d’instruction, ignorant tout du métier de gendarme, assez de bonne volonté » ! Enfin, très peu d’officiers connaissent les instructions publiées dans le Bulletin Officiel de la Gendarmerie, dont la plupart ignorent l’existence. Autrement dit, les autorités militaires françaises doivent faire ce qu’elles peuvent avec ce qu’elles ont. Or cette gendarmerie imparfaite n’assure pas seulement, dans le système ottoman, des fonctions de surveillance. Elle constitue l’une des bases indispensables au bon fonctionnement des services administratifs, dont elle est, en quelque sorte, le prolongement jusqu’aux populations civiles. Le capitaine Luppé explique qu’il n’est pas une seule branche de l’administration qui ne soit obligée de demander le concours des gendarmes : les gouverneurs, pour faire appliquer leurs ordres, la justice, pour effectuer les arrestations ou procéder à des enquêtes, les finances, pour la rentrée des impôts, la poste, pour le transport du courrier d’une localitéà une autre, le service forestier, pour la répression de la contrebande et des délits forestiers. On retrouve dans la gendarmerie cilicienne la polyvalence tant vantée – et parfois regrettée – de la gendarmerie française. Les trahisons et la collusion de certains gendarmes avec les tchétés n’en sont que plus graves. Les abus commis par des gendarmes autochtones

Le lieutenant-colonel Clément, qui ne veut sous aucun prétexte voir des agents désœuvrés et baguenaudant en ville, rappelle que « la gendarmerie est un élément militaire, et dont l’utilisation doit s’inspirer de l’ordre et de la discipline des armées »25. Le mois suivant, il demande aux personnels de faire preuve de plus de discipline et d’énergie. Mais face aux tâches qui se multiplient, plusieurs hommes finissent par vouloir démissionner26. Les Turcs ne seraient d’ailleurs pas les seuls à manquer de tonus et de zèle. Le gouverneur de Tarsous rapporte que « les gendarmes arméniens, à Tarsous du moins, ne constituent pas un instrument suffisant. […] Ils sont juste bons à lézarder au soleil, et, avec cela, ils sont indisciplinés »27. Il les a « essayés de toutes les façons ; ils ne peuvent rendre aucun service, ils ne pensent qu’à fuir » ! N’ayant conservé ces hommes

25 Note de service n°2 du lieutenant-colonel Clément, Deurt-Yol, 25 novembre 1921, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V274.

26 Note du général commandant la 1ère division du Levant, 16 novembre 1921,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V161.

27 Le gouverneur de Tarsous au commandant Hasler, Tarsous, 6 avril 1920, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V212.

GendarmeS françaiS et auxiliaireS

que pour satisfaire l’opinion publique, il souhaiterait pouvoir les remplacer par des éléments arabes ou kurdes, jugés plus sûrs.

Des officiers de gendarmerie cilicienne se révèlent par ailleurs corrompus et violents. Ils s’ingèrent, au détriment de certains civils, dans les marchés locaux et les transactions commerciales. Ils détournent des crédits à leur profit, par exemple pour fréquenter les maisons closes28. À l’inverse, la troupe pâtit du manque de matelas, qui l’oblige à dormir par terre ou sur des planches, ou d’un retard de plusieurs mois dans le versement de la solde, autant de dysfonctionnements qui favorisent la désertion. Des tensions religieuses et ethniques existent par ailleurs dans la gendarmerie comme dans la population cilicienne. Les autorités militaires ont conscience de collaborer avec des responsables de la gendarmerie et de la police ayant parfois commis des exactions contre des Arméniens et des chrétiens. Quand ces cadres font preuve d’une activité trop anti-française, ils sont expulsés des territoires occupés. Selon les Arméniens, déportés par les Ottomans en Syrie et en Palestine, puis rapatriés par lesAnglais et les Français, les responsables turcs profitent du moindre prétexte pour les maltraiter. Sous couvert de trouver des malfaiteurs, les autorités de Kara Issalou assiègent le village arménien de Kos-Olouk, et des gendarmes auraient emmenés certains habitants pour « leur faire subir des peines atroces en les battant tous les jours »29. La population doit faire appel aux autorités françaises pour que l’ordre soit rétabli et que les prisonniers soient libérés. Mais des recrues arméniennes sont elles-mêmes coupables d’abus envers des civils, et parfois contre leur propre communauté. Le 26 février 1920, le sous-lieutenant de gendarmerie Agop Vartanian se rend à Kurt Keuy, hors de sa circonscription, pour enlever un individu « qu’il dit être un Arménien devenu musulman et qui ne peut de lui-même revenir à son ancienne religion »30. Il aurait été accompagné dans cette opération par deux civils arméniens armés de fusils de guerre, dont l’un d’eux aurait mis en joue le commandant du karakol de Kurt Keuy. Si ce civil est condamné à la prison, le gendarme Vartanian ne subit pour toute punition que quinze jours d’arrêts.

28 Lettre d’information sur Chérif effendi et Fevzi effendi, 2 juillet 1919, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V135.

29 Le Dr. Vartabedian au colonel Brémond, Adana, 25 mars 1919, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V126.

30 Le commandant Tommy Martin au chef du contrôle administratif, Adana, 1er mars 1920, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V210.

276

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

Les réformes trop tardives de l’année 1921

Malgrélesincertitudesdesautoritésquantàlafiabilitédesgendarmeslocaux, la démobilisation des troupes régulières de l’armée française conduit à augmenter les effectifs du nouveau corps de gendarmerie locale en Cilicie, de 2 500 à 3 000 hommes, afin de garantir le maintien de l’ordre. Ces gendarmes locaux, turcs et arméniens ne restent pas sans surveillance, puisque chaque bataillon est pourvu d’un capitaine, d’un lieutenant et de deux sous-officiers, tous gendarmes français. Selon les autorités d’occupation, deux avantages empêcheraient de se passer de gendarmes autochtones. Ils résisteraient mieux au climat, plus encore que les hindous des troupes britanniques, décimés par le paludisme. Ils seraient en outre confondus avec les nationalistes par les populations locales, qui leur donnent de précieux renseignements31. Ce recrutement d’éléments locaux pour la constitution de gendarmeries n’est pas un cas isolé. Cette solution est adoptée également dans des territoires comme la Sarre, occupée par la France à partir de 191832. Le traité de Versailles stipulant que seule une gendarmerie locale peut être organisée dans ce territoire pour y maintenir l’ordre, les autorités françaises sélectionnent elle-même les effectifs parmi les candidats allemands33. Cependant, comme en Cilicie, les autorités françaises d’occupation développent une méfiance à l’encontre de ces forces de l’ordre. Elles refusent toute augmentation des forces de police et de gendarmerie dans les territoires rhénans occupés, en expulsent les éléments suspects, et limitent le calibre de leurs armes individuelles, jusqu’à envisager leur désarmement partiel en octobre 192334

Serait-il plus simple de se passer d’une gendarmerie locale ? Parmi les gendarmesottomansquidemandentàquitterl’arme,unebonnepartieestconstituée, non d’anciens gendarmes ou de Ciliciens, mais d’anciens soldats anatoliens, dont on craint qu’une fois libérés et rentrés chez eux, ils ne soient réincorporés dans les forces d’Istanbul ou des nationalistes. Les autorités d’occupation sont donc obligées de s’appuyer sur des gendarmes au passé parfois trouble, car plusieurs ont participé à l’agitation kémaliste ou appartenu à des bandes

31 Le gouverneur du sandjak d’Adana au colonel Brémond, Adana, 23 mai 1920, Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V211.

32 Emmanuel PénIcaut, « L’armée française en Sarre, 1918-1930 », Revue Historique des Armées, n° 254, 2009, p. 20-28.

33 Lettre du président de la Commission de Gouvernement de la Sarre au secrétaire général de la Société des Nations Sir Eric Drummond, Sarrebruck, 8 mars 1923, Archives Diplomatiques de La Courneuve, 113CPCOM 100.

34 LegénéralDegoutteauhaut-commissairedelaRépubliquedanslesprovincesduRhin,QGA, 6 octobre 1923,Archives Nationales,AJ9 3816.

endarmeS françaiS et auxiliaireS

de brigands. Des réformes sont toutefois tentées par l’autorité française pour mieux encadrer ce personnel peu fiable et instable. Les gendarmes ayant perdu leur fusil ou enlevé leur écusson sont rayés des listes et punis, tandis que les plus hésitants se voient à nouveau proposer de servir loyalement ou de partir sans être inquiétés35. Des expédients sont, par ailleurs, adoptés pour maintenir le moral des personnels turcs. Pour leur éviter d’être systématiquement confrontés à leurs compatriotes nationalistes, la part des éléments non-turcs est augmentée, afin de permettre « aux gendarmes d’origine turque de servir à l’arrière de ce tampon, sans être traités de traîtres par les kémalistes ». Il faut préciser que ces mesures sont effectuées à titre essentiellement préventif, car il n’y a pas – ou pas encore – de trahisons et de défections massives dans les rangs de la gendarmerie locale. À la date du 14 mars 1920, la situation de la Cilicie paraît si critique aux autorités militaires françaises que le désarmement de tous les gendarmes « douteux » est ordonné aux gouverneurs des sandjak36. Comme ce qualificatif n’est pas défini, on peut penser que l’opération concerne une part conséquente des effectifs. Comme les hommes ont tendance à ramener leurs armes et leurs munitions chez eux, il est décidé, en avril 1920, que l’équipement doit rester désormais dans les casernements37. Les gouverneurs français des sandjak et des vilayet tentent également de remplacer les éléments « douteux » par des hommes plus aptes à l’action, à défaut d’être entièrement dignes de confiance. Au mois de mars 1921, le lieutenant-colonel Clément demande la suppression pure et simple des quatre compagnies de gendarmerie du Djébel Bereket. Son motif principal est l’absence d’anciens militaires dans cette région, donc de candidats potentiels à la formation d’une véritable gendarmerie38. Une réorganisation en bonne et due forme de la gendarmerie est finalement entreprise dans le Djébel Bereket, mais trop tardivement si l’on considère le calendrier du désengagement de la France à partir de la fin de l’année 1921.

* * *

35 Rapport du capitaineAndré au colonel administrateur en chef, Osmanié, 18 janvier 1920,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V175.

36 Note secrète du chef d’état-major aux gouverneurs,Adana, 14 mars 1920,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V210.

37 Le colonel Brémond au gouverneur du sandjak d’Adana,Adana, 12 avril 1920,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V210.

38 Rapport du lieutenant-colonel Clément sur la gendarmerie du Djébel Bereket, Deurt-Yol, 10 juin 1921,Archives Diplomatiques de Nantes, 1SL/1/V274.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 278

« Il y a un an, nous fêtions, avec joie, la signature de l’armistice qui, enfin, clôturait le grand drame qui durait depuis plus de quatre ans ; nous étions heureux, car, non seulement nous n’avions plus à redouter la mitraille de nos ennemis séculaires, mais nous avions l’espoir de pouvoir reprendre sous peu notre place au foyer familial. Quelle déception avonsnous eu depuis, et aussi quel découragement est le nôtre.39 »

Endécembre1919,soitplusd’unanaprèslafindescombats,uncontributeur du Progrès de la Gendarmerie, l’un des journaux corporatifs de l’arme, exprime ainsi la lassitude des gendarmes encore mobilisés en France et à l’étranger. Une inégalité de traitement et une nouvelle espèce de « planqués » sont également dénoncés dans le même numéro de la revue :

« [Il faut que] tout le monde sache que, parmi nous, il y a des gendarmes qui sont aux armées depuis août 1914 et qui n’ont jamais été relevés ; d’autres ont fait un séjour de deux ans à l’armée d’Orient, où bon nombre ont contracté la maladie du pays : paludisme, dysenterie, etc., et qu’ils souffrent naturellement encore, alors que, à l’intérieur, il y a un grand nombre de gendarmes qui ont eu de la chance, pour des raisons que nous ne voulons pas connaître, de ne pas être désignés pour les armées ou n’y ont fait qu’un très court séjour. »

Là où les armées vont, la gendarmerie suit, mais chacun des théâtres d’opérations apporte son lot de problèmes. Manque de clarté des missions, faiblesse des effectifs et des équipements, durée de la mobilisation à l’étranger sont quelquesuns des défis ardus posés aux gendarmes par la situation en Macédoine, en Cilicie et en Syrie-Liban, témoignant par-là même de la polyvalence de l’institution. La guerre n’en finit donc pas de finir pour la gendarmerie française et ses auxiliaires, et le processus de retour à la paix se révèle particulièrement long et complexe au sein des espaces étudiés. Si la gendarmerie a bien évacué la Macédoine et la Cilicie à partir de 1922, elle continue de participer à la pacification de la Syrie-Liban. De nouvelles tensions y relancent les dynamiques de sortie de conflit, qui s’aggravent encore avec l’insurrection des Druzes en 192540. Là encore, la gendarmerie doit participer au maintien de l’ordre41. Ce n’est qu’à cette date que l’on peut estimer que les missions de la gendarmerie n’appar-

39 «Situationdesgendarmesdanslespaysrhénans», Le Progrès de la Gendarmerie,20décembre 1919.

40 Serge BersteIn, Jean-Jacques Becker, Nouvelle histoire de la France contemporaine, tome 12 : Victoire et frustrations (1914-1929), Seuil, 1990, p. 252.

41 Julien DuHamel, Mémoires d’un officier de gendarmerie, s.l.n., Musée de la Gendarmerie nationale, 1953, p. 57-71.

GendarmeS françaiS et auxiliaireS

tiennent plus au processus de sortie de conflit au sens strict du terme. Une sortie de guerre qui se serait révélée sans doute plus ardue encore sans le concours d’autres institutions de la sécurité présentes au Moyen-Orient. La coopération mentionnée entre douaniers et gendarmes en Syrie-Liban invite par exemple à élargir ce champ de recherche. Le recours plus fréquent à la problématique récente des systèmes policiers, qui attire l’attention, à juste titre, sur les interrelations entre les diverses forces de l’ordre, pourrait ainsi enrichir ce panorama élargi des interventions des gendarmes dans les territoires occupés.

ARCHIVES ET BIBLIOGRAPHIE

arcHIVes

Archives Diplomatiques (Nantes, France) :

Syrie-Liban :

· 1SL/1/V849

· 1SL/1/V854

· 1SL/1/V856

· 1SL/1/V893

· 1SL/1/V951

· 1SL/1/V2338

· 1SL/1/V2438

· 1SL/1/V2442

Cilicie (questions générales) :

· Questions générales : 1SL/1/V172, 1SL/1/V275, 1SL/1/V740, 1SL/1/V2353

· Adana : 1SL/1/V126, 1SL/1/V133, 1SL/1/V135, 1SL/1/V161, 1SL/1/V175, 1SL/1/ V210-212, 1SL/1/V237

· Djébel Bereket : 1SL/1/V274, 1SL/1/V282

· Karatache : 1SL/1/V284, 1SL/1/V285

· Osmanié : 1SL/1/V269

· Mersine : 1SL/1/V307, 1SL/1/V310

· Tarsous : 1SL/1/V318

Périodiques et mémoire :

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Le Forze dell’Ordine tra il 1919 e il 1926

la sofferente stabilità dell’Arma dei Carabinieri Reali di fronte alle trasformazioni dei corpi di Pubblica Sicurezza

di flaVIo carBone

aBstract: From 1919 to 1926, the Italian police forces had been under a huge pressure from the political movements and from the governments. From one hand, the mass parties like the Socialists and Fascists tried to fight each other with the police forces on different positions; on the other one the political instructions to the Regia Guardia, the Investigation Agents corps, the Public Security delegats and the Carabinieri corps were not clear and precise. The Regia Guardia, Nitti’s idea didn’t receive appreciation from its job; so once the Fascists took the power after the so called “Marcia su Roma”, they decided to dissolve it and to establish the Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (the former black shirts squadrons) to guarantee the Fascist order. From 1922 to 1926, officially the lonely police force in Italy was the Carabinieri corps supported (and controlled) by the Milizia with its special units like railways, route, ports and posts and telephones’ so called special Milizias. The Regime needed to have its own police, so in 1926 a new corps, the Public Security corps, had been established. It started to compete with the Milizia and with the Carabinieri. The paper pretends to offer an overview of the period.

key WorDs: fascIsm, PolIce forces, caraBInIerI realI, mIlIzIa VolontarIa Per la sIcurezza nazIonale, InterWar PerIoD, PuBlIc orDer, PuBlIc securIty

Premessa

Il contributo nasce da una riflessione avviata oramai più di dieci anni fa allo scopo di chiarire, per quanto possibile, le vicende delle Forze dell’Ordine in uno dei periodi più complessi per la Storia del nostro Paese e, in particolar modo, in una fase caratterizzata da scontri tra diverse fazioni politiche e attacchi ai componenti di quella forza pubblica che avevo lo scopo di garantire non solo un ordine pubblico, ma una sicurezza pubblica anch’essa gravemente perturbata già prima della fine delle ostilità.

Si vuole offrire qualche considerazione in grado di rimettere in sistema gli

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 284

studi apparsi negli ultimi periodi, cercando di fornire qualche indicazione sulle principali Forze dell’Ordine del tempo, con le più importanti trasformazioni che vissero o subirono.

Queste pagine sono legate anche alle riflessioni emerse nel corso degli incontri tenuti grazie al lavoro condotto principalmente da Livio Antonielli e dai suoi collaboratori e studiosi affini attraverso il centro di studi Polizie e controllo del territorio per un tempo ragionevolmente lungo1. Una tale attenzione verso lo studio delle Forze dell’Ordine in uniforme o meno ha trovato eco anche in altri Paesi come la Francia, ad esempio2 .

1. Ordine e Sicurezza Pubblica alla fine della Prima guerra mondiale

L’impiego delle ForzeArmate e delle Forze dell’Ordine nel servizio di ordine pubblico, soprattutto in tempi più recenti, è divenuto da tempo un argomento di particolare attenzione nell’analisi storiografica3

1 In questa sede, il riferimento è riservato ai seminari e ai convegni che hanno dato vita poi agli atti relativi, ora presenti all’interno del centro di studi Polizie e controllo del territorio ed al suo sito www.cepoc.it, al quale si rinvia per la bibliografia costantemente aggiornata sui temi delle Forze dell’Ordine. Tra i primi, si segnala LivioantonIellI e Claudio DonatI (a cura di), Corpi armati e ordine pubblico in Italia (XVI-XIX sec.), Rubettino, Soveria Mannelli, 2003. Questo è stato preceduto da alcuni volumi ma soprattutto a questo ha fatto seguito una produzione scientifica di grande ricchezza.

2 In Francia vi sono numerosi studi dedicati alle Forze dell’Ordine che fanno capo a Jean-Marc Berliére e a Jean-Nöel Luc. Quest’ultimo è stato a lungo parte attiva nel raccordo istituzioni militari – università, nell’ambito della convenzione sottoscritta tra Università Sorbona di Parigi e Servizio Storico della Gendarmeria Nazionale sin dal lontano 2000; Flavio carBone, Il “Service historique de la Gendarmerie nationale” francese, in Stato Maggiore dell’Esercito, “Bollettino dell’Archivio dell’Ufficio Storico”, a. V, n. 9 gennaio/giugno 2005, pp. 7-33 e in particolare p. 19. Sul tema dell’ordine pubblico, si vedano i datati ma sempre importanti Olivier BucHBInDer, Gendarmerie prévôtale et maintien de l’ordre (1914-1918), Service historique de la Gendarmerie nationale, Maisons-Alfort, 2004, Benoît HaBerBuscH, La gendarmerie en Algérie (1939-1945), Maisons-Alfort, Service Historique de la Gendarmerie Nationale, 2004. Senza tema di esaustività, in Francia sono stati pubblicati numerosi volumi sulla Gendarmeria Nazionale e la Guardia Repubblicana che hanno trattato il tema. Più recentemente, a Parigi il 17 e 18 novembre 2021, si è tenuto un colloquio intitolato “Gendarmerie mobile, maintien de l’ordre et société”, organizzato da diverse associazioni con il Servizio Storico della Difesa e il Centro di Storia del XIX secolo dell’Università Sorbona. Nell’ambito di tale manifestazione, il successivo 1° dicembre il convegno è terminato con una seduta dedicata alla proiezione di un documentario sul ruolo delle forse dell’ordine in occasione del 6 febbraio 1934, con gli scontri in piazza della Concordia a Parigi.

3 Oltre a quanto detto precedentemente a proposito del Cepoc, si rinvia ad Antonio sannIno, Le forze di polizia nel dopoguerra, Ugo Mursia editore, 2004 e Donatella Della Porta – Her-

Apartire dall’inizio del XX secolo, fu avvertito il bisogno di avere uno strumento di intervento adeguato in linea con le trasformazioni della società e delle modalità di gestione delle folle in occasione di pubbliche manifestazioni, ove il rapporto tra tutore dell’ordine e cittadini assumeva una differente prospettiva per entrambi.

Uno degli aspetti più sintomatici nel mantenimento dell’ordine pubblico, soprattutto nell’età liberale, risiede nell’impiego dell’esercito per contenere e reprimere le manifestazioni e i tumulti4. Questo fenomeno, come sottolineato molto chiaramente in passato5, fu limitato già durante l’età giolittiana, per poi regredire principalmente dopo l’avvento del fascismo è la politicizzazione del controllo dell’ordine pubblico, attraverso l’immissione negli apparati dello Stato delle squadre fasciste mascherate nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale6 .

Secondo quanto riportato da Donato D’Urso a proposito della gestione dell’ordine pubblico durante la guerra, Vittorio Emanuele Orlando così si esprimeva:

«Durante il periodo del governo Boselli, la polizia, i carabinieri e l’esercito non spararono mai sulla folla, eccetto nel caso eccezionale di Torino nell’agosto 1917, dove ci fu una vera sommossa politica e dove privati cittadini si erano uniti all’esercito e alle forze dell’ordine per disperdere i ribelli»7 .

bert reIter, Polizia e protesta. L’ordine pubblico dalla Liberazione ai «no global», Bologna, il Mulino, 2013. Negli ultimi anni l’Università ha dedicato attenzione alla storia delle Forze dell’Ordine in relazione alle funzioni di ordine pubblico: il 28 e il 29 novembre 2017, ad esempio, si è tenuto a Padova un seminario inserito nell’insegnamento di Storia del Novecento tenuto dal professor Filippo Focardi. Hanno preso la parola Michele Di Giorgio (Università di Pisa / ILC-CNR di Pisa) e Antonio Iannello (Università di Firenze / Università di Siena) che hanno trattato il tema “Problemi, metodi e fonti per la storia della polizia da Crispi al G8 di Genova”.

4 Su tutti Giorgio rocHat, Giulio massoBrIo, Breve storia dell’Esercito Italiano, Einaudi, Torino, 1978, pp. 37-43.

5 Oltre a G. rocHat, g. massoBrIo, Breve storia cit., p. 152 ancheAndrea saccoman, Il Generale Paolo Spingardi Ministro della Guerra 1909 – 1914, Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, Roma, 1995, p. 73.

6 Sulle attività della MiliziaVolontaria per la Sicurezza Nazionale, in particolare, cfr. Gian Luigi gattI, Verso un esercito volontario del Regime: la Milizia, commIssIone ItalIana DI storIa mIlItare, Le Forze Armate e la Nazione italiana (1915-1943), Roma, 2004. Sul punto anche G. rocHat, g. massoBrIo, Breve storia cit., p. 213.

7 Danilo Veneruso, La grande guerra e l’unità nazionale. Il ministero Boselli, Torino, Sei, 1996, p. 399 citato in Donato D’urso, Giacomo Vigliani Capo della Polizia, in “L’Impegno

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A partire dall’armistizio, dopo l’espansione delle Forze Armate, vi fu una necessaria contrazione, incrementando contemporaneamente gli organici della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza e dei Carabinieri Reali che, in tal caso, svilupparono appositi reparti dedicati all’ordine pubblico: i battaglioni mobili carabinieri reali. In questo caso, si può parlare di una sorta di militarizzazione dell’Arma dei Carabinieri Reali nella conduzione dell’ordine pubblico8 .

Inoltre, vi furono criticità anche per l’impiego dell’Esercito nei servizi di ordine pubblico, che sembra potersi leggere in maniera parallela con la necessità di dare vita ad un corpo di polizia con status militare direttamente dipendente dal Ministero dell’Interno:

«Quanto alla decisione di creare la Regia guardia, bisogna dire che le straordinarie tensioni politiche e sociali del dopoguerra rendevano sempre più problematico fare ricorso all’esercito per le esigenze dell’ordine pubblico. La Rivoluzione russa aveva fatto nascere anche in Italia timori di “sovietismo” nelle forze armate. Un documento riservatissimo del 25 aprile 1920, diretto ai prefetti, affermava: «Si ha motivo di ritenere che in qualche reparto di truppa sia stata accolta idea di privare fucili delle pallottole quando vengano chiamati in servizio ordine pubblico. Nelle località dove si trovino tali reparti la sicurezza della innocuità delle armi diffusa nelle masse le renderebbe audaci e distruggerebbe possibilità resistenza. Pregasi pertanto disporre d’accordo con la autorità militare vigilanza e verifiche di sorpresa nel momento più opportuno»”9 .

- rivista di storia contemporanea (aspetti politici, economici, sociali e culturali delVercellese, del Biellese e della Valsesia)”, a. XXIX, nuova serie, n. 2 – dicembre 2009, pp. 5-18. Donato D’Urso ha pubblicato una breve storia della polizia: La Polizia Italiana dall’Unità al 1922, Bolzano, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 2003.

8 Con una carrellata di più ampio respiro dedicata ai reparti carabinieri per l’ordine pubblico, Rosario castello, Breve riflessione di carattere storico sui battaglioni mobili carabinieri, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, A. LII, n. 2 (aprile/giugno) 2004, pp. 89-99. L’autore tratta con alcuni cenni l’evoluzione ordinativa e di impiego dei battaglioni medesimi dal 1920 al 2004. In maniera diversa si è occupato della questione Nicolò mIrenna, I Battaglioni Mobili – Dalle origini alle operazioni di peacekeeping e di training, Roma, Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri, 2019, ma prima ancora a F. carBone, I battaglioni mobili dei Carabinieri nel primo dopoguerra: la militarizzazione dell’Arma dei Carabinieri Reali nella conduzione dell’ordine pubblico in Livio antonIellI (a cura di), “Polizia Militare – Military Policing”, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013, pp. 267-295, e IDem, L’ordine pubblico giolittiano: una proposta dei Carabinieri in Enza PellerItI (a cura di) “Per una ricognizione degli “stati d’eccezione”. Emergenze, ordine pubblico e apparati di polizia in Europa: le esperienze nazionali (secc. XVII-XX)”, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2016, pp. 224-237.

9 Donato D’urso, Giacomo Vigliani Capo della Polizia cit. p. 15.

Carabinieri dei battaglioni mobili. Da Nicolò mIrenna, «La costituzione dei Battaglioni mobili carabinieri», Notiziario storico dell’Arma dei Carabinieri, III, 2018, N. 2, pp. 13-25.

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Si trattava in ogni caso di mostrare avvedutezza e attenzione nello svolgimento del servizio di ordine pubblico che spesso esplodeva in moti con morti e feriti sia tra i manifestanti, sia tra le forze dell’ordine.

Il periodo estremamentetravagliatodel cosiddetto “biennio rosso”10 ebbe, tra le varie conseguenze legate a lotte sociali e politiche, continui e gravi problemi di ordine pubblico, durante i quali soprattutto i Carabinieri, principalmente nei piccoli centri e nelle campagne, furono impegnati. Oltre all’Emilia dove si ebbero scioperi generali e numerosi atti di violenza, e particolarmente nelle città e provincie di Bologna e Modena, vi furono problemi di ordine pubblico anche a La Spezia, a Campoligure, Chieti e in tutto il Paese a seguito degli accordi di pace di Versailles.

Situazioni molto difficili:

«Manifestazioni violente furono organizzate da partiti estremisti, con formazioni di «squadre rosse» e di «comitati di salute pubblica». Nel 1919 si ebbero gravi disordini a Novara, Milano, Brescia, Roma, Piombino, Viareggio, Cosenza, Venezia, ove si verificarono anche incidenti fra militari italiani e francesi. In varie località della Puglia vi furono scioperi ferroviari e gravi agitazioni. In Piemonte aggressioni a militari, comizi e violente dimostrazioni. Nel 1920, a Milano, nel corso di un tentativo di un moto rivoluzionario (con barricate, violenze e saccheggi) fu ucciso il brigadiere Giuseppe Ugolini, che rifiutò di consegnare le armi ai rivoltosi (medaglia d’oro al valore militare “alla memoria” motu proprio del sovrano). Nello stesso anno si verificarono nuovi disordini e tentativi insurrezionali a La Spezia, con assalto al deposito munizioni della Marina, che il carabiniere Leone Carmana difese da solo, tenendo a bada col fuoco del suo moschetto gli assalitori, fino al sopraggiungere dei rinforzi (medaglia d’oro al valor militare)»”11 .

A titolo meramente esemplificativo, si possono ricordare altre situazioni di grave crisi:

«l’occupazione delle fabbriche e delle terre, a Bologna la strage di Palazzo d’Accursio, eccidi a Milano, Terni, Randazzo, Millesimo, Poggibonsi, l’arresto degli anarchici Malatesta e Borghi e la connessa strage delTeatro Diana a Milano, la nascita degli Arditi del Popolo, le agitazioni studen-

10 Per alcuni aspetti dei rapporti tra una parte delle Forze Armate e delle forze dell’ordine nel periodo 1919-1922 e per quanto riguarda gli aspetti di ordine e sicurezza pubblica, si rinvia a Mimmo franzInellI, Squadristi, Mondadori, Milano, 2003 e Jonathan Dunnage, The Italian Police and the Rise of Fascism: a case study of the Province of Bologna, 1897-1925, Praeger Publishers, Westport (CT), 1997 e in particolare pp. 117-146.

11 scuola uffIcIalI caraBInIerI, Storia dell’Arma, Roma, 2001, pp. 125-6.

tesche contro l’esame di Stato, altri eccidi a Firenze, Empoli, Sarzana, Siena, Cerignola, Viareggio»12 .

Dunque un intreccio di azioni che vedevano le presunte risposte dello squadrismo organizzato, che poneva azioni strutturate allo scopo di annullare la parte politica avversa, facendo ricorso continuo ad una violenza che rendeva inefficace l’intervento delle Forze dell’Ordine:

«Non solo gli squadristi erano armati e tra essi vi erano ex combattenti che non si impressionavano troppo per qualche sparo: ma, quel che più importa, agivano di sorpresa, in squadre che si spostavano in camions e che spesso affluivano da località anche lontane da quelle prescelte per l’azione, a volte da altre province, sovente di notte. In questa situazione - anche volendo - la reazione della forza pubblica era necessariamente insufficiente e tardiva»”13

La situazione interna tra il 1919 ed il 1921 aveva assunto la dimensione di uno scontro diretto e immediato tra appartenenti a opposti schieramenti e principalmente tra socialisti e fascisti. Nonostante i buoni propositi delle circolari come quella del ministro dell’Interno Bonomi che, in data 23 dicembre 1921, prescriveva di procedere al disarmo dei cittadini procedendo anche al ritiro di “mazze ferrate, bastoni animati forniti di puntali acuminati e sfolla gente”14, gli obiettivi non furono raggiunti.

In particolare, i Carabinieri svolsero numerosi servizi in tutta Italia: “233 speciali operazioni di servizio, in occasione di sommosse, attentati, conflitti, scioperi, e via dicendo nel corso delle quali caddero in servizio 43 militari e 474 riportarono ferite. Per atti di valore individuale furono concesse 2 medaglie d’oro, 55 d’argento e 62 di bronzo al v.m., nonché centinaia di encomi solenni”15 .

Un dato parziale relativo ai caduti durante manifestazioni di ordine pubblico in quel periodo è estremamente significativo: “dal 1° gennaio al 7 aprile del 1921 i morti furono 102 di cui 20 tra la forza pubblica, dall’8 aprile al 14 maggio – in periodo elettorale - le vittime degli scontri ammontarono a 105”16

pubblico di quegli anni, le Forze dell’Ordine si mostrarono in affanno rispetto le pressanti

12 Donato D’urso, Giacomo Vigliani Capo della Polizia cit. p. 16.

13 Renzo De felIce, Mussolini il fascista, Torino, Einaudi, 1966, p. 34.

14 Cfr. la rubrica “Spigolando tra Decreti e Circolari” in Fiamme d’Argento, a. II, n. 1 – gennaio 1922, pp. 31-2.

15 scuola uffIcIalI caraBInIerI, Storia dell’Arma cit., pp. 125-6.

16 Donato D’urso, Giacomo Vigliani Capo della Polizia cit. p. 17.

È evidente che, soprattutto nella difficile gestione dell’ordine

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esigenze del servizio senza sosta e senza orario.

È necessario ricordare, a questo punto che, nello svolgimento dei servizi di ordinepubblico,poiirepartidell’Armapotevanotrovarsiinposizionid’impiego differenti in base al livello di perturbamento dell’ordine pubblico: in condizioni normali, il servizio di ordine pubblico era assolto sotto la direzione dell’autorità politica (prefetto), con le forze dell’ordine alle dipendenze di un funzionario civile; nel caso di passaggio di poteri all’autorità militare, con la dichiarazione dello stato d’assedio, i Carabinieri sarebbero rimasti in servizio alle dipendenze dei propri superiori e comunque alle dirette dipendenze dell’autorità militare17 . Con la fine della Prima guerra mondiale, la smobilitazione progressiva di un esercito che mai era stato così numeroso, si assistette, di conseguenza, a una serie di cambiamenti nella gestione dell’ordine pubblico: l’aumento enorme del numero dei dimostranti che partecipavano alle manifestazioni di piazza e una lenta ma costante e progressiva riduzione delle unità dell’Esercito che prendevano parte ai servizi di ordine pubblico. Da ciò, ne discese come conseguenza, la necessità di rivedere le formule impiegate sino a quel momento per la gestione dell’ordine pubblico, dando vita così a dei reparti speciali: i battaglioni mobili dell’Arma dei Carabinieri Reali.

Si consideri che costituire reparti sul modello dell’Esercito, strutturati per l’impiego in massa e per sostituire le unità in grigioverde, dava una forma marcatamente militare ai reparti dell’Arma per l’ordine pubblico, cosa mai successa prima.

Più in particolare, al fine di garantire compattezza all’operato dei propri militari, Il Comando Generale guardò al modello più efficace, più vincente se vogliamo, i battaglioni autonomi, in modo tale da avere una catena di comando e di controllo chiara allo scopo di adempiere al meglio le funzioni nel corso dei servizi di ordine pubblico.

È evidente che, per quanto detto sinora, il timore insito alla base dell’idea di costituzione dei battaglioni mobili dei Carabinieri Reali fosse legato ad insurrezioni armate che intendevano sovvertire l’ordine pubblico. Un esponente politico di sinistra che visse quegli anni così si espresse successivamente su quello che definisce “l’antibolscevismo” delle forze dell’ordine, “costrette a correre da ogni parte per far cessare i disordini, insultate dai giornali e nei comizi rivoluzionari, esposte in continuazione al pericolo di essere ferite e uccise, esasperate

17 G. rocHat, g. massoBrIo, Breve storia cit., pp. 138-141. Si veda anche Carlotta latInI, Governare l’emergenza. Pieni poteri e delega legislativa in Italia tra Otto e Novecento, Giuffré, Milano, 2005.

per il frequente uso delle armi, al quale erano realmente costrette contro le folle in tumulto”18 .

In realtà, l’impiego che vide contrastare tentativi d’insurrezione veri e propri fu legato a due tristi fenomeni che investirono l’esercito italiano di quegli anni: i fatti diAncona e quelli, ancora più gravi, di Fiume.

2. Dal Corpo delle Guardie di Città al Corpo della Regia Guardia di Pubblica Sicurezza (1919-1922)

Secondo alcune teorie più recenti, «La tesi avanzata da Vivarelli a sostegno di una “non inevitabilità del fascismo” troverebbe riscontro tanto nelle direttive politiche, quanto nelle operazioni di piazza che da esse discendevano, ad esempio guardando al funzionamento del corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza: un’istituzione per certi versi innovativa nella Storia d’Italia – si pensi che non era mai esistita una forza di polizia armata e militarmente organizzata alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno – la cui gestione, però, fu caratterizzata dai difetti e le problematiche riscontrate nell’azione dei governi liberali del primo dopoguerra. La mancanza di una strategia politica chiara e di lungo corso, determinò l’inefficacia, e talvolta l’inaffidabilità, dell’azione delle forze dell’ordine sulla piazza; la riproposizione del “sistema giolittiano” – affrontare “alla giornata” il problema dell’ordine pubblico, senza collegarlo ad un problema politico»19 .

In sostanza vi fu un fallimento politico nella gestione della società italiana uscita dalla Prima guerra mondiale e dalle sue numerose trasformazioni sociali. La classe politica dirigente dimostrò di non aver capito i “radicali mutamenti incorsi nella società italiana del dopoguerra, e determinò la sconfitta liberale proprio sul terreno della violenza”20 .

18 Gaetano salVemInI, Le origini del fascismo in Italia, Milano, Feltrinelli, 1975, p. 181.

19 L’espressionespecificaètrattadaRobertoVIVarellI, Storia delle origini del fascismo. l’Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, Il Mulino, 1991, vol. I, p. 466, riportata in l. maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit., successivamente, Luca maDrIgnanI, La Guardia Regia, La polizia italiana nell’avvento del fascismo 1919-1922, Milano 2014. Infine, più recentemente, Luca maDrIgnanI, La Regia Guardia: la Polizia liberale nell’avvento del fascismo in Raffaele camPosano, Il Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza (19191922), Roma 2020, pp. 27-51.

20 Vivarelli individua tra le cause del fallimento del liberalismo in Italia anche le problematiche legate alla gestione dell’ordine pubblico, RobertoVIVarellI, Il fallimento del liberalismo. Studi sulle origini del fascimo, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 13, richiamato in l. maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit.

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In questo senso, si condivide pienamente la posizione di Franzinelli in merito alla mancata azione politica come causa dell’inefficienza operativa delle Forze dell’Ordine21 .

Va anche detto che, però, la situazione interna del Ministero dell’Interno non era diversa da quella di altri ministeri ove si assisteva a un forte disagio:

«Nel giugno del 1919, alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, arrivarono numerose copie di un comunicato scritto e divulgato dal “Comitato d’agitazione tra funzionari ed impiegati di P. S.”, contenente rivendicazioni di carattere economico e sociale. Le parole scritte nella circolare propagandistica, come l’appellativo “Compagni”, le esortazioni al “sabotaggio”, i frequenti richiami alla disobbedienza verso l’autorità governativa, lasciano intuire dei contatti tra il suddetto comitato e gli ambienti “sovversivi” ai quali, tra l’altro, si consigliava di far pervenire “le circolari più riservate” di provenienza ministeriale, attraverso un’attività spionistica in senso contrario ed esercitata su estensione nazionale. Le caratteristiche appena enunciate possono essere rintracciate in un parallelo movimento di protesta interno alla Pubblica Sicurezza, che fu promosso lungo tutto il 1919 dal corpo delle Guardie di Città, dagli agenti di P. S. e dalle guardie carcerarie: alla fine del 1918 da Milano furono diffuse in tutta Italia numerose copie di una circolare rivendicativa, e lo scritturale della squadra mobile della Questura milanese ricevette da Roma una lettera su carta intestata della Camera dei Deputati, firmata da «Un gruppo di guardie di città della capitale», dove esse affermavano di essere «in buoni rapporti con una maggioranza di socialisti ufficiali, postelegrafonici e ferrovieri» coi quali erano stati presi accordi in vista di futuri scioperi. Nel febbraio del 1919, gli Agenti di P. S. e di custodia della capitale costituirono una commissione preposta alla propaganda, su scala nazionale, delle rivendicazioni salariali e lavorative delle due categorie»22 .

Era chiaro che nella polizia serpeggiava il malcontento che si delineava con volantinaggi clandestini o con strali lanciati da una rivista che amplificavano il disagio23 .

Il periodo del primo Dopoguerra vide anche una situazione di tensione la-

21 M. franzInellI, Squadristi cit., che riporta numerosi casi di comportamenti di contiguità al fascismo da parte delle Forze dell’Ordine. Si consideri anche che, la fretta di avere un corpo a disposizione delle esigenze di ordine pubblico senza formazione, portò a conseguenze gravi come in Piero crocIanI, La Guardia Regia a Roma, in Raffaele camPosano, Il Corpo della Regia cit., pp. 73-91.

22 Luca maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit. p. 6-7.

23 GiulioquIntaVallI, Da sbirro a investigatore. Polizia e investigazione dall’Italia liberale alla Grande guerra, UdineAviani &Aviani editori, 2017, p. 217.

Cartolina del Battaglione Mobile Torino 1° (Collezione del Col. Massimiliano Sole)

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tente tra l’Arma dei Carabinieri Reali ed il giovane Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza subentrato al Corpo delle Guardie di Città per la trasformazione in senso militarista voluta dal Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti. In particolare, con la smobilitazione si parlava di arruolamenti nei corpi di polizia fatti “ascendere a 30.000 per i carabinieri e 20-25.000 per la R. Guardia”24 .

La legge 2 ottobre 1919, n. 1790, secondo uno studioso straniero, ebbe un grosso peso nello spostare l’attenzione verso un nuovo corpo di polizia direttamente dipendente dal Ministero dell’Interno con i vantaggi economici e di carriera uguali, se non addirittura superiori, a quelli dei parigrado dell’Esercito e, più in particolare, dell’Arma dei Carabinieri Reali. In questo modo, si voleva, sostanzialmente superare il disagio morale che gli appartenenti al vecchio corpo delle Guardie di città vivevano da tempo nei confronti dei militari dell’Arma dei Carabinieri25

In merito al nuovo corpo, così si esprimeva l’Enciclopedia Militare: «Guardia Regia (Regia Guardia per la pubblica sicurezza). Fu istituita nel 1919 con R. decreto che sopprimeva contemporaneamente l’allora esistente corpo delle Guardie di Città. Il corpo della R. Guardia faceva parte delle forze armate dello Stato ed era preposto alla tutela dell’ordine pubblico nei centri di maggior popolazione, dove esercitava funzioni esecutive e di polizia giudiziaria ed amministrativa, esclusa la funzione investigativa, e concorreva al servizio reale. In caso di guerra doveva pure concorrere alla difesa dello Stato. Ai componenti del corpo era esteso l’uso delle stellette a 5 punte da portare sul bavero dell’abito. […] Agli ufficiali del corpo della R.G. spettavano tutti gli assegni previsti per i RR. CC. [...] Il corpo della R.G. era alle dipendenze del Ministero dell’Interno. All’atto della costituzione i posti di ufficiale di ogni grado furono coperti da ufficiali del disciolto corpo delle guardie di città, da ufficiali del R. E. e della R. Marina in attività di servizio e da ufficiali delle categorie in congedo.Agli ufficiali dell’esercito permanente poteva essere conferito un grado immediatamente superiore a quello da essi coperto. L’anzianità fu stabilita per tutti dal Ministero dell’Interno. L’organico dei sottufficiali e truppa fu coperto con personale tratto dal disciolto corpo delle guardie di città, da militari del R.E. e della R. Marina in servizio ed in congedo. Il corpo della R.G. per la pubblica sicurezza ebbe circa quattro anni di vita, perché fu sciolto nei primi mesi del 1923, dopo l’avvento del governo

24 Giorgio rocHat, L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini (1919-1925), Laterza, Bari, 1967, p. 177.

25 J. m. Dunnage, The involvement cit., p. 54.

nazionale. I componenti del corpo furono in parte restituiti ai corpi dell’esercito, da cui provenivano, in parte collocati in congedo con pensione o gratificazioni»26 .

Si segnalano gli assegni fissi al pari dei Carabinieri, senza dipendere dal ministero della Guerra, ma adottando le stellette. Ciò rendeva estremamente appetibile l’ingresso in un corpo dove pochi anni prima, con un nome e funzioni in parte distinte, si faceva fatica a mantenere gli organici pieni come verificò facilmente la commissione Giardino27 .

In realtà, sembra condivisibile una riflessione di fondo che, probabilmente, all’epoca è mancata:

«in una fase in cui lo Stato liberale necessitava di un incremento delle forze armate per le sempre più critiche condizioni dell’ordine pubblico, la scelta tra un potenziamento dell’arma dei carabinieri o la creazione di un nuovo corpo militarizzato addetto alle mansioni di polizia era gravida di conseguenze su equilibri politici e rapporti di potere tra le diverse istituzioni, in particolare tra potere politico e alte sfere militari.Antonio Gramsci, riflettendovi a posteriori dal confino politico, centrava il fulcro della questione ricordando «la occulta lotta svoltasi nel 1922 tra nazionalisti e democratici intorno ai carabinieri e alla guardia regia. I liberali sotto la maschera di Facta volevano ridurre il corpo dei carabinieri o incorporarne gran parte (il 50%) nella guardia regia. I nazionalisti reagiscono e al Senato il generale Giardino parla contro la Guardia Regia, e ne fa sciogliere la Cavalleria»»28

Si palesava il forte scontro politico che avrebbe trascinato il Paese alla deriva fascista, senza individuare gli interventi più efficaci per eliminare il movimento in orbace.

È indubbio, tuttavia, riconoscere che, alla fine del 1920, «il funzionamento della Regia Guardia fu già caratterizzato da forti contraddizioni, in larga misura imputabili alle direttive ministeriali in rapporto alla loro ricezione ed implementazione da parte delle autorità di P. S. periferiche. Attraverso una ricognizione nei fondi della Direzione Generale per la Pubblica Sicurezza, negli archivi periferici, come nella pubblicistica coeva e nella memorialistica, è possibile avere una panoramica su scontri, movimenti di protesta, episodi di vera e propria guerra

26 Enciclopedia Militare, 6 voll., Milano, Il Popolo d’Italia, 1927-1933, vol. IV, ad vocem

27 L. maDrIgnanI, La Regia Guardia: la Polizia liberale nell’avvento del fascismo in R. camPosano, Il Corpo della Regia cit., pp. 41-42.

28 Luca maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit. p. 10 e IDem, La guardia regia cit., pp. 154-159.

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civile del periodo, che basterebbero a sostenere il dato di un’autorità governativa – ma sarebbe meglio dire di un’intera classe politica, dato che si succedettero ben sette governi in soli quattro anni – priva di una strategia di medio o lungo termine per la gestione dell’ordine pubblico, gestione che invece era in larga misura affidata alla discrezionalità degli individui chiamati a farvi fronte»29

In sostanza, la costituzione di un corpo militare di circa 40.000 uomini rappresentò il tentativo nittiano di creare un apparato di polizia moderno secondo i tempi dell’epoca e le necessità. Sicuramente, la Regia Guardia si dimostrò capace di gestire gli scontri di piazza, anche se il potere politico e i rappresentanti di quel potere in periferia non riuscirono o non vollero gestire l’ordine pubblico secondo un modello di efficienza.

Emerge anche in osservatori coevi e in possesso di strumenti d’analisi più fini il carattere del nuovo Corpo; Saracini sottolinea il grande equivoco e Madrignani lo mette bene in evidenza:

«L’istituzione della R. Guardia può essere definito come un rimedio eroico; ma i rimedi eroici, si sa, essendo pericolosi per gli accidenti, vanno adoperati con molta prudenza e soltanto nei casi disperati. Come corpo straordinario di forza armata esso è riuscitissimo; come corpo di polizia ordinaria è deficiente. Ed anzi, primo punto da chiarire è precisamente se la R. Guardia sia corpo di polizia armata ovvero soltanto corpo di forza armata, che è un’altra cosa»30

Altrove, parlando di tale periodo si ritiene che fu seguito un modello leggermentedistinto:“fuanchemilitarizzatoilCorpo delle«Guardie di Città»,il quale assunse la denominazione di «Regia Guardia di Pubblica Sicurezza» (nell’uso comune, «guardia regia»), ed un ordinamento chiaramente modellato su quello adottato, nel 1906, per la Guardia di finanza, comando generale retto da un generale dell’esercito, articolazione in legioni territoriali, oltre a battaglioni mobili e squadroni a cavallo”31

Riguardo tale affermazione, in realtà, si consideri che anche la struttura della Regia Guardia di Finanza era modellata su quella dei Carabinieri Reali.

A conferma, ancora, lo stesso Saracini affermava “non a torto si dice che la R. Guardia sia una non buona copia dell’Arma dei Carabinieri, e per giunta assai

29 Luca maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit. p. 12.

30 Emilio saracInI, I crepuscoli della polizia, Napoli 1922, p. 283, di cui alcuni passi anche in Luca maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit. p. 9-10.

31 Pier Paolo meccarIello, Storia della Guardia di Finanza, Le Monnier, Firenze, 2003, p. 148.

più costosa”32, ma fu Nitti “nel presentare alla Camera il D.d.L. sulla costituzione della R. Guardia, a osservare come «il Ministero dell’interno, al pari di quello delle Finanze, non può prescindere dalla necessità d’avere alla propria diretta dipendenza un Corpo armato, non distratto da altri obblighi di servizio, talora prevalenti, del quale disporre senza alcuna limitazione»”33. In questo caso, si ritiene che l’osservazione di fondo non sia corretta perché il modello era esclusivamente quello dell’Arma34

Inoltre, in altre sedi è stato ampiamente affrontato l’aspetto organizzativo dell’esercito noto sotto il nome del ministro dell’epoca e varato con regio decreto il 21 novembre 191935, cosiddetto ordinamento Albricci. Insieme alla riorganizzazione della forza armata, furono introdotti anche una serie di correttivi per garantire una graduale diminuzione del numero degli ufficiali in servizio attivo permanente (SAP)36. L’ordinamento Albricci offriva la possibilità di accelerare il rientro degli ufficiali nella società civile anche con il transito nella “Regia Guardia o altre attività estranee all’esercito”37

Secondo D’Urso, infine, l’impiego dei due corpi dipendenti dal Ministero dell’Interno doveva essere il seguente: “Gli 8.000 agenti investigativi, operanti in borghese, si occupavano di polizia criminale; la Regia guardia era il braccio forte dell’esecutivo nelle piazze. Per essa furono adottati gradi, organizzazione e armamento tipicamente militari e le gerarchie tesero persino a fare scomparire nella corrispondenza e sulla facciata delle caserme le parole «per la pubblica sicurezza», quasi volendo sottolineare che la Regia guardia era innanzitutto un corpo militare e a ciò contribuiva anche la scelta di reclutare massicciamente le guardie tra i soldati smobilitati alla fine della guerra. L’organico iniziale di

32 E. saracInI, I crepuscoli cit., p. 285.

33 LucamaDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit.p.10.SimiliconsiderazioniancheinIDem, La guardia regia cit., p. 99.

34 Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Direzione dei Beni Storici e Documentali (DBSD),Archivio Storico, Documentoteca, scatola 241, fascicolo 21 (D 241.21).

35 g. rocHat, L’esercito cit., pp. 129 – 154 e anche mInIstero Della DIfesa - stato maggIore esercIto – uffIcIo storIco, L’esercito italiano tra la 1° e la 2° guerra mondiale, Tipografia regionale, Roma, 1954, p. 31.

36 Ad esempio, con il passaggio nella categoria di posizione ausiliaria speciale (PAS) che fu poi abolita nel 1926 grazie ai provvedimenti connessi all’ordinamento Mussolini, cfr. g. rocHat, L’esercito cit., pp. 684- 585. L’ordinamento Mussolini fu emanato con legge 11 marzo 1926, n. 396, recante “Ordinamento del regio esercito”. Di seguito a questo fu emanata anche la nuova legge sullo “stato degli ufficiali del regio esercito, della regia marina e della regia aeronautica” dell’11 marzo 1926, n. 397.

37 Cfr. g. rocHat, L’esercito cit., p. 152.

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24.000 uomini salì in due anni a 40.000, per tre quarti concentrati nel Centro-Nord (7.000 a Roma, 3.000 a Milano, altrettanti a Torino)”38 .

Secondo alcuni la scelta di consentire il passaggio diretto degli ufficiali dall’Esercito alla Regia Guardia non ebbe conseguenze positive sul breve periodo di vita del corpo tanto che: “Gli ufficiali non appena trasferitisi nel nuovo organismo, cercarono di ricreare condizioni e modi di vita nell’esercito, favoriti delle particolari protezioni politiche di cui si sentirono, vollero creare una visione quasi mistica della Regia Guardia quale continuatrice, in tempo di pace, dei gloriosi episodi dell’esercito vittorioso”39. Inoltre, va anche tenuto conto che “i legami degli alti comandi con gli ambienti politici liberali erano tra l’altro evidenziati nell’avvicendamento di tre comandanti generali nei soli tre anni di vita del Corpo, corrispondendo ciascuno alle frequenti crisi governative e alla formazione di nuovi gabinetti”40. Questa considerazione è significativa.

In realtà, va anche detto che sebbene la Regia Guardia “«avversò completamente il bolscevismo e ad essa, insieme all’arma dei carabinieri, è dovuto se da quel periodo così torbido non ebbero a risentirne le istituzioni». Che la Regia Guardia fosse o meno arma di un partito è difficile a dimostrarsi, ma osservando i dati a disposizione è fuor di dubbio che essa conobbe un certo grado di politicizzazione. Ciò che avvenne sia nei comandi del corpo, con le motivazioni politiche che indussero Nitti a costituire una forza armata alle proprie dipendenze, una “vicinanza” politica che ben presto degenerò nei rapporti clientelari sopra descritti, sia con la vera e propria politicizzazione dei singoli soldati, anch’essa ben presto degenerata dalla fedeltà alle istituzioni liberali alle simpatie politiche determinatesi tramite relazioni sociali e propagandistiche”41 .

Gli interventi ordinativi e di crescita delle istituzioni di polizia non si limitavano unicamente alla Regia Guardia.Anche la componente armata del Ministero delle Finanze seguì l’onda lunga connessa alla smobilitazione dell’Esercito Italiano e alle nuove necessità che il conflitto e il primo dopoguerra portarono con loro. Così il Corpo della Guardia di Finanza subì alcune modificazioni. Con R.D. 9 novembre 1919, n. 2073 era inserito “nella linea gerarchica un nuovo organo, il «comando di gruppo di legioni» - esistente nell’Arma dei Carabinieri fin dal 1917 – retto da un maggior generale; ne furono istituiti quattro (a Genova,

38 Donato D’urso, Giacomo Vigliani Capo della Polizia cit. p. 15.

39 Lorenzo DonatI, La Guardia Regia, in “Storia Contemporanea”, n. 8-1977, pp.441-487, ma p. 451.

40 L. maDrIgnanI, La guardia regia cit., pp. 41-42.

41 Luca maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit., pp. 17-18.

Raffaele camPosano (cur.), Il Corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza, Ufficio storico della Polizia di Stato, Quaderno 2020. Contributi di Piero Crociani

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Bologna, Napoli e Palermo) mentre il numero delle legioni fu portato a quattordici. L’organico degli ufficiali, rispetto all’anteguerra, passò da 411 a 694 (di cui sei generali), quello dei sottufficiali da 3.556 a 5.380, quello degli appuntati e dei finanzieri da 14.270 a 20.620”42 .

3. Il Corpo degli Agenti d’investigazione

L’attenzione principale della storiografia che ha tentato di analizzare il complicato periodo storico nel corso del quale si sono succedute le trasformazione oggetto di tale contributo mantengono sempre in secondo piano un aspetto tutt’affatto secondario che già creò tensioni tra le forze dell’ordine del tempo: la costituzione del corpo degliAgenti d’investigazione, istituito con r.d. 14 agosto 1919, n. 1442.

Il 16 settembre 1919 fu emanato il primo bando per il reclutamento del personale. In particolare, il bando stesso per 8000 agenti sottolineava che vi potevano accedere differenti categorie e, in particolare, i “graduati delle guardie di città, le guardie di città, i graduati degli agenti carcerari, dell’Arma dei RR. Carabinieri e della R. Guardia di Finanza in servizio attivo, che abbiano prestato almeno tre anni di lodevole servizio nei rispettivi Corpi; coloro che hanno appartenuto al Corpo delle guardie di città o al Corpo degli agenti carcerari, o all’Arma dei Carabinieri Reali e alla R. Guardia di Finanza e che ne sono stati congedati con la qualifica di “ottimo””. Si aggiunga che il personale in servizio aveva obbligo di presentare unicamente la domanda senza allegare alcun titolo e certificato e ciò, sicuramente, costituiva un ulteriore incentivo che agevolava almeno potenzialmente l’uscita dai corpi e dall’Arma di origine. Le facilitazioni non si fermavano a queste. Per i graduati era prevista l'erogazione di uno stipendio immediatamente superiore a quello ricevuto nell’Arma o corpo di appartenenza e che, inoltre, sarebbero stati nominati agenti d’investigazione anche se non avessero terminata la ferma contratta nel corpo di provenienza. Sotto il profilo economico, ancora, gli agenti d’investigazione avrebbero avuto le stesse indennità riservate ai funzionari di pubblica sicurezza per il trasferimento e per la missione oltre all’indennità di PS nel caso di servizio per il quale competeva. Vi era piena libertà di contrarre matrimonio e si precisava anche che non sarebbero stati accasermati43. In effetti, il nuovo corpo degli agenti investigativi aveva notevoli particolarità che lo distaccava dal passato. Innanzitutto, avrebbe

42 Pier Paolo meccarIello, Storia della Guardia di Finanza cit., p. 151.

43 Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Interno, 1919, pp. 1859-62.

operato con una catena di comando civile che partiva dai funzionari di pubblica sicurezza ai prefetti e solamente per i compiti strettamente previsti dal loro regolamento “per il servizio della prevenzione e della repressione dei reati e per la ricerca dei delinquenti”44. Si determinò, poi, di assegnare loro unicamente dei servizi che si potrebbero definire speciali, ovvero il “servizio telegrafico, telefonico, fotografico e dattiloscopico e automobilistico”.

Risulta abbastanza agevole mettere in evidenza che la possibilità di transito nel nuovo e speciale corpo degli agenti investigativi che operavano in borghese e che si trovavano alle dirette dipendenze dei funzionari di pubblica sicurezza con ulteriori vantaggi economici e sul piano personale, costituisse un grande miglioramento delle condizioni per il personale che da altri corpi vi voleva passarvi.Tali opportunità rappresentarono senza dubbio una grande opportunità per tutti coloro che erano da poco cessati dal servizio attivo ma che avevano ancora i requisiti per potervi partecipare, ma soprattutto per coloro che si trovavano in servizio e che, in tale nuovo corpo, vedevano la libertà di potersi dedicare unicamente all’attività investigativa con un trattamento economico migliore e privi dell’uniforme, con norme disciplinari piuttosto modeste rispetto a ciò che potevano essere quelle dei corpi o dell’Arma di appartenenza.

4 La memoria Cauvin: l’ora della verità

Particolare interesse riveste la memoria Cauvin, il cui estensore materiale si identifica senza tema di smentita nel maggiore CrispinoAgostinucci, in servizio presso il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri nel 191945 .

Il Comandante Generale sentì il dovere di tutelare l’istituzione, interessando direttamente il Presidente del Consiglio dei ministri. Il rischio che i paventati provvedimenti in materia di riorganizzazione delle Forze dell’Ordine creassero forti criticità proprio all’Arma dei Carabinieri Reali era concreto.

Istituire un altro corpo “copia e incolla” sul modello dei Carabinieri, ma con maggiori vantaggi di carriera e dotazioni, rappresentava un evidente vulnus per Cauvin. In più oltre a tale rischio già serio e reale, ve ne era un altro. La possibilità di perdere il meglio dei sottufficiali, i più esperti, i più preparati, i più

44 Il regolamento fu approvato con rd 14 settembre 1919, n. 1639. I compiti sono riportati all’articolo 1.

45 Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Direzione dei Beni Storici e Documentali (DBSD), Archivio Storico, D241.21. Per la puntualità delle osservazioni, si riporta in allegato la memoria nella sua interezza.

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maturi attraverso il loro passaggio, con poche formalità, nell’istituendo corpo degliAgenti di Investigazione.

In questo senso era piuttosto facile: abbandonata definitivamente l’uniforme, vi sarebbe stato solo servizio in abiti borghesi; nessun onere di accasermamento, nessun vincolo matrimoniale a cui si aggiungeva la stabilità di sede anziché fastidiosi e dispendiosi trasferimenti. Si trattava di una grande opportunità per chi era vissuto con la consegna della legge del dovere e del servizio permanente 24 ore al giorno, sette giorni su sette.

Diventare agente d’investigazione significava diventare un impiegato civile.

La delicatezza dell’argomento e la decisione con cui il comandante generale dell’epoca decise di affrontare tali problematiche non lasciano dubbi. Vi era la percezione quasi certa di una prossima fine dell’Arma dei Carabinieri, nel migliore dei modi, ridotta a modesta attrice in un ruolo decisamente secondario. Si rischiava la “ghettizzazione” ma soprattutto, con i rischi potenziali di vedersi lanciati nelle lotte politiche del tempo. Il tenente generale Luigi Cauvin, era un uomo dell’Istituzione, ove aveva percorso quasi tutta la sua carriera, ricoprendo a partire dall’inizio del Novecento l’incarico strategico di segretario del Comando Generale46. Con il ripristino della carica di Comandante in 2° dell’Arma dei Carabinieri Reali, nel corso del primo Conflitto Mondiale, egli fu il primo a ricoprirla per poi essere nominato Comandante Generale47 .

Non c’è dubbio che Cauvin rappresenta sicuramente una figura brillante di Comandante Generale soprattutto alla luce dei difficili momenti che l’Istituzione visse nel periodo in questione e che egli cercò di affrontare senza tentennamenti. Sebbene non vi siano particolari informazioni, resta tuttavia evidente un dato oggettivo: il tenente generale Luigi Cauvin mantenne la carica di Comandante Generale sino al 24 agosto 1919, ovvero, una settimana oltre la data del promemoria sopra descritto. In attesa di più particolari verifiche, sembra ipotizzabile una scelta immediata e senza appelli di essere collocato in congedo per testimoniare, con tale gesto, la sua decisa opposizione ad un progetto che avrebbe ridotto l’Istituzione ad una posizione pari a quella di un modesto strumento nelle mani del potere politico48

46 Si consideri che tale carica fu poi trasformata in quella di capo di stato maggiore del Comando Generale dell’Arma con regio decreto 1° ottobre 1936, n. 2145.

47 Si consideri che fu il secondo generale proveniente dall’Arma a ricoprire tale incarico dall’inizio del XX secolo, questione niente affatto scontata.

48 Arnaldo ferrara, Storia documentale dell’Arma dei Carabinieri. Dal Secondo Conflitto Mondiale alla nascita della Repubblica, Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri, 2014, 5

4. I Carabinieri Reali tra il 1919 al 1922

Nel periodo storico a riferimento la situazione dell’Arma, dunque, fu particolarmente difficile.Atal proposito un autorevole storico dell’Istituzione considera che l’Arma “guardava con attenzione e diffidenza qualunque movimento di tipo “rivoluzionario” (sovversivo) indipendentemente dalla connotazione ideologica”, sebbene fossero questi a cercare di stabilire un rapporto diverso con i carabinieri. Così, mentre “i movimenti dell’estrema sinistra […] identificavano in genere nelle forze dell’ordine un nemico da combattere, l’estrema destra, poiché esaltava i connotati nazionalistici di quel concetto, riteneva che le forze dell’ordine (segnatamente i Carabinieri), in quanto espressione coercitiva dello Stato, dovessero in qualche modo guardarne le imprese, se non con manifesta simpatia, almeno con benevolenza”49 .

Gli interventi che riguardano l’Arma posti in essere durante la tenuta del ministero della Guerra da parte di Albricci comprendevano anche altri aspetti, il più importante dei quali era il riordinamento dell’arma dei carabinieri reali (regio decreto 2 ottobre 1919, n. 1802). Va ricordato che, sulla base di questo e del decreto n. 2143 del 21 novembre 1919 di riordino di tutta la Forza Armata, per l’Arma dei Carabinieri Reali furono confermate tre nuove legioni territoriali (Genova, Catanzaro e Messina) che erano state già istituite con il decreto luogotenenziale n. 1314 del 5 ottobre 191650. Inoltre, “nell’immediato dopoguerra furono poi costituite due legioni territoriali provvisorie (Trento e Trieste) e fissato un nuovo organico”51 .

Anche dall’ordinamento dell’Esercito realizzato da Bonomi nel 1920 si possono ricavare alcuni dati ai fini di questo intervento52. Non vi furono contrazioni per l’Arma. Al contrario, si “autorizzò la costituzione di 18 battaglioni mobili autonomi, ciascuno su 3 compagnie appiedate e 1 di ciclisti, liberando le unità

voll., V volume, pp. 50-58.

49 Vincenzo Pezzolet, I Carabinieri tra Corona e Regime, in commIssIone ItalIana DI storIa mIlItare, Le Forze Armate cit., pp. 103-106.

50 Oreste BoVIo, Storia dell’Esercito Italiano (1861-1990), Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, Roma, 1996, p. 245.

51 mInIstero Della DIfesa – stato maggIore Dell’esercIto – uffIcIo storIco, L’Esercito italiano tra la 1a e la 2a Guerra Mondiale, Tipografia regionale, Roma, 1954, p. 31 Le riforme post-belliche portarono la forza a circa 60.000. L’incremento ulteriore a circa 75.000 uomini giunse con lo scioglimento della Regia Guardia.

52 Regiodecreto20aprile1920,n.451,relativoall’ordinamentoprovvisoriodelR.esercito.Cfr. mInIstero Della DIfesa - stato maggIore esercIto – uffIcIo storIco, L’Esercito Italiano cit., p. 38.

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dell’esercito dal sempre poco gradito impiego in ordine pubblico. E questa «benemerenza» gli deve essere riconosciuta”53 .

Questo fu anche il periodo in cui vi furono “delle reclute assorbite dai corpi di polizia” poiché “l’ampliamento dell’arma dei carabinieri e la costituzione della guardia regia si erano svolti nel 1919-20 sottraendo militari addestrati ai reparti dell’esercito”54 .

5. Ancona, Fiume e Sarzana

In ordine temporale, il moto insurrezionale diAncona55, accaduto tra il 26 ed il 28 giugno 1920, scoppiò con l’ammutinamento di un reparto di bersaglieri di stanza presso la caserma Villarey allo scopo d’impedire la partenza di un battaglione di quel reggimento per l’Albania, in base alla ricostruzione della Regia Questura56 .

Secondo la ricostruzione del funzionario di pubblica sicurezza, già nelle prime ore del 26 l’accesso alla caserma era stato sbarrato e, allo scopo, erano state disposte alcune mitragliatrici a difesa. L’impiego del battaglione mobile Carabinieri Reali di Ancona ebbe lo scopo di bloccare i soldati chiusi dentro, con l’obiettivo di “arrestare i militari che eventualmente avessero tentato di allontanarsi da essa e nel contempo reprimere qualsiasi atto da borghesi che li avessero potuti incoraggiare”.

Negli scontri con i militari, rimasero feriti gravemente il maresciallo Enrico Michele e il carabiniere Giuseppe Matricardi, mentre il parigrado Augusto Bastianoni ebbe ferite leggere. In un secondo tentativo di penetrazione della città da parte dell’autoblindo ribelle rimase ucciso il carabiniere Luigi Macchioni e feriti l’appuntato Giuseppe Vallati e il carabiniere Emilio Venitti in modo leg-

53 O. BoVIo, Storia dell’Esercito Italiano cit., p. 247. Ciascun battaglione aveva una forza organica di circa 750 unità. I reparti furono soppressi nel 1923 con la costituzione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Cfr. scuola uffIcIalI caraBInIerI, Storia dell’Arma cit., p. 126.

54 g. rocHat, L’esercito cit., p. 286.

55 Luca maDrIgnanI, Tra psicosi rivoluzionaria e guerra civile. La Regia guardia nella crisi dello stato liberale, 1919-1923, in Contemporanea, fasc. 2/2012, pp. 214-215. Si veda anche Massimo gay, La Regia Guardia e la ribellione dei Bersaglieri ad Ancona nel 1920, in Raffaele camPosano, Il Corpo della Regia cit., pp. 93-113.

56 DBSD, Archivio Storico, Fondo Museo Storico, Serie Archivio Storico, faldone 2 (collocazione provvisoria), cartella 1920, rapporto giudiziario n. 2390 datato 4 luglio 1920 indirizzato

“all’Ill.moSig.ProcuratoredelRe”.IfattisonobendescrittiinRuggerogIacomInI, La rivolta dei bersaglieri e le Giornate Rosse,Assemblea Legislativa delle Marche,Ancona, 2010.

gero, mentre il carabiniere Antonio Di Silvestro ebbe ferite più serie. In uno scontro nel centro, alcuni operai cercarono di prendere alcune armi custodite in un’armeria. Durante tali fasi fu ucciso l’agente investigativo Luigi Cristallini del Commissariato degliArchi.

Negli scontri armati che seguirono nel pomeriggio del 26 rimasero uccisi un funzionario di pubblica sicurezza e un sottufficiale della Regia Guardia, oltre a due militari feriti. Nella stessa giornata fu ucciso il maresciallo dei carabinieri reali Umberto Antei che stava affrontando i rivoltosi con un nucleo di militari dipendenti mentre, fuoriAncona, furono uccisi un ufficiale e un soldato del 93° Fanteria, nonché fu ferito un altro ufficiale.

Il 27 successivo un reparto di rinforzo della Regia Guardia proveniente da Roma, lungo il tratto ferroviario Falconara-Ancona, “fu fatto segno ad intenso fuoco di fucilerie e da mitragliatrici”, uccidendo un ufficiale e ferendo una guardia, mentre un altro militare fu ferito una volta che il reparto giunse presso la stazione ferroviaria.

Contestualmente, sempre secondo il rapporto del Questore, i rivoltosi tentarono l’assalto alla Stazione dei Reali Carabinieri diAncona – Piano San Lazzaro senza esito tuttavia, inizialmente, riuscirono a mettere in fuga una compagnia di 100 militari della Regia Guardia che stava accorrendo in aiuto ai carabinieri. Un secondo reparto composto da 40 militari riuscì dopo circa due ore di scontri armati a raggiungere il presidio, mettendo in fuga gli insorti.

Scheda biografica del generale Vittorio DeAlbertis, Comandante la Regia Guardia di P. S., nell’Enciclopedia Militare, Roma, Ed. Il Popolo d’Italia, III, 1929, p. 393.

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Uninterventorisolutivofucondottodalbattaglionecarabinierirealicheoperò sulla direttrice principale con altre colonne composte da reparti di fanteria e della regia guardia e con il supporto di fuoco dell’artiglieria e della Regia Marina.

L’intervento del battaglione Carabinieri fu in linea con le indicazioni datate 1920 del sottosegretario al ministero dell’Interno Corradini: “Condizioni generali presenti e ragioni disciplina impongono che concorso truppa in servizio pubblica sicurezza sia richiesto soltanto in via eccezionale e quando necessità assolutamente ne sia evidente per motivi gravi e forze di polizia siano riconosciute insufficienti. In ogni caso dovrà evitarsi sempre richiesta invio piccoli distaccamenti e impiego militari isolati”57 .

La seconda prova che i reparti Carabinieri vissero in quel periodo fu la crisi dell’Esercito Italiano con la marcia di Ronchi e la proclamazione della reggenza del Carnaro58 .

Il “Natale di sangue”, come fu appellato dalla stampa il Natale 1920, portò allo scontro tra italiani che vide anche alcuni Carabinieri cadere nel tentativo di entrare nella città59

Così riporta un autorevole studioso la fine delle operazioni militari: “La più grave crisi che avesse compito l’Esercito italiano è così terminata. I combattimenti necessari per giungere alla sua conclusione, che il generale Caviglia chiamò«dolorosa espiazione», costarono ai reparti regolari 25 morti e 139 feriti. Appena inferiori furono le perdite dei dannunziani. Nei mesi seguenti l’Esercito sarà chiamato dalle autorità dello Stato fiumano a mantenere l’ordine in città. La sua presenza a Fiume continuerà poi fino all’annessione di Fiume all’Italia”60 .

Il Ministro Rodinò, recependo quanto già disposto dal Comandante Generale delle Regie Truppe della Venezia Giulia, disponeva che nelle carte personali degli ufficiali e sottufficiali del Regio Esercito e della Regia Marina fosse inserito un foglio con la nota “(grado – cognome – nome – arma – corpo – classe – carica, ecc.) prese parte con fedeltà ed onore alle operazioni del periodo 2428 dicembre 1920 presso…..(indicazione della località in cui tali operazioni si

57 Donato D’urso, Giacomo Vigliani Capo della Polizia cit. p. 15.

58 Luigi Emilio longo, L’Esercito italiano e la questione fiumana (1918-1921), Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, Roma, 1996, 2 voll.

59 SirimandaaVincenzogallInarI, L’Esercito italiano nel primo dopoguerra 1918-1920,Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio Storico, Roma, 1980, pp. 138-150 e pp. 179-195. In un’opera successiva gli eventi sono descritti nelle stesse linee generali; l. e. longo, L’Esercito italiano cit., vol. primo, pp. 518-559.

60 V. gallInarI, L’Esercito italiano nel primo dopoguerra cit., p. 195.

svolsero)”. Inoltre lo stesso ministro precisava che nessuna annotazione andava riportata per i militari che “non se ne resero meritevoli” e ancora che “per quei militari di ogni grado del R. Esercito, i quali in quelle operazioni particolarmente si distinsero per virtù militari e che in circostanze normali sarebbero stati proposti per una ricompensa od onorificenza, oltre alla nota di cui sopra, verrà redatto uno speciale rapporto sul loro operato nel quale dovranno essere posti in rilievo i particolari atti per cui si distinsero”61

Insomma, si può affermare che l’impiego dei battaglioni mobili carabinieri reali nei casi diAncona e Fiume avvenne in linea con le disposizioni normative in vigore all’epoca62 anche se, dalla lettura dei testi, la previsione di impiegare tali reparti in situazioni di grave crisi era rivolta alla necessità di gestire estese manifestazioni di piazza che avevano intenzione di sollevare la popolazione e rovesciare il governo mentre, in definitiva, nei due casi l’impiego fu rivolto contro altri militari che si erano sollevati in armi contro i propri superiori e l’autorità dello Stato.

Infine, il terzo episodio, completamente differente l’anno successivo.

Il 21 luglio 1921, a Sarzana una colonna di fascisti penetrati nella città chiese la liberazione dello squadrista Renato Ricci, arrestato proprio dai Carabinieri poco tempo prima.

Durante la negoziazione che vedeva dall’altra parte un piccolo contingente di Carabinieri e soldati agli ordini del capitano Guido Jurgens, l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco da parte fascista provocò immediatamente la risposta di soldati e Carabinieri. I fascisti si dispersero rapidamente ma incorsero poi nello scontro con i contadini della campagna circostante inferociti da tempo per i comportamenti vessatori subiti. Vi furono diciotto morti tra le camicie nere e un morto tra le forze dell’ordine (un caporale di fanteria)63 .

In questo caso, la gestione dell’ordine pubblico fu condotta da un ufficiale che aveva a disposizione un piccolo drappello di militari. Si può apprezzare che, nonostante i tentativi di evitare lo scontro armato da parte delle Forze dell’Ordi-

61 DBSD,Archivio Storico, D1589.6, circolare n. 14/142 di prot. RP datata 25 giugno 1921 del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali – Ufficio Segreteria.

62 Disposizioniesecutiveperlacostituzione,ordinamento,dipendenzaedimpiegodeibattaglioni mobili dei carabinieri reali emanate in data 30 marzo 1919.

63 Vincenzo Pezzolet, I Carabinieri tra corona e regime, in commIssIone ItalIana DI storIa mIlItare, Le Forze Armate e la nazione italiana (1915-1943),Atti del Convegno di Studi tenuto a Roma nei giorni 22-24 ottobre 2003, Stabilimento Grafico Militare, Gaeta, 2005, p. 104. Su Sarzana, anche L. maDrIgnanI, La guardia regia cit., pp. 163-167.

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ne, vi fu comunque spargimento di sangue.Adifferenza di quanto era avvenuto nelle altre due località, l’episodio di Sarzana metteva in luce quanto i Carabinieri e le Forze dell’Ordine in generale potevano affrontare e contrastare i tentativi vessatori e criminali fascisti riuscendo nell’esito finale di garantire l’ordine pubblico. Tale vicenda dimostra inoltre le modeste qualità militari decantate ad arte proprio dal fascismo che anni dopo volle celebrare quell’inutile scia di sangue.

6. Dalla marcia su Roma alla fine dell’Italia liberale

Si rende necessario analizzare il fenomeno almeno brevemente per poter inquadrare compiutamente la situazione generale in Italia nel 1922.

L’instabilità politica e sociale nel periodo precedente aveva dato vita, come già ricordato, all’istituzione della Regia guardia per la Pubblica Sicurezza (con regio decreto 2 ottobre 1919, n. 1790). “Con tale decreto il Corpo entrava a far parte delle forze armate, con un proprio comando generale. La natura “politica” della Regia guardia (il reclutamento degli ufficiali era ispirato a modalità di comprovato lealismo nei confronti del Governo in carica) non era tale che potesse esser guardata con simpatia dal nascente fascismo, il quale comunque aveva usato questo corpo di polizia assieme ai carabinieri ed all’esercito per poter conquistare il potere”64 .

In effetti bisogna ricordare che la scelta di sciogliere le squadre d’azione fasciste, su istanza del Gran Consiglio, portò a costituire, con decreto 28 dicembre 1922, la MiliziaVolontaria per la Sicurezza Nazionale, il cui primo comandante, nominalmente era Emilio De Bono, generale e contemporaneamente Direttore Generale di Pubblica Sicurezza65 .

Immediatamente il governo si diede da fare per mostrare il ruolo d’ordine che aveva chiesto:

«La situazione politica poi si stabilizzò ed il generale Diaz fu chiamato al dicastero della Guerra nel primo ministero Mussolini (31 ottobre 1922).

[…] Diaz si recò da Mussolini il 26 dicembre per ricordargli l’impegno ad approvare un ordinamento dell’esercito più ampio di quello Bonomi e per ribadire che alla milizia avrebbero dovuto essere attribuite solo funzioni extra militari. Il 7 gennaio 1923 fu emanato, infatti, il decreto che fissava il nuovo ordinamento dell’esercito, il 14 dello stesso mese un altro regio decreto istituiva la “milizia volontaria per la sicurezza nazionale

64 e. ragIonIerI, La storia politica e sociale cit., p. 2127.

65 Annibale PaloscIa, Maurizio saltIccHIolI (cur.), I Capi della polizia – La storia della sicurezza pubblica attraverso le strategie del Viminale, Roma 2003, ad nomen

(MVSN)”, legalizzando in tal modo una milizia di partito il cui compito principale era la difesa del regime fascista. Organizzazione, reclutamento e comando di tale nuova formazione erano di competenza del capo del governo. L’esercito si ritenne soddisfatto»66 .

Si ebbe come conseguenza che, con l’avvento del fascismo, questo mantenne stretti legami con i vertici delle Forze Armate67 in cambio del loro appoggio. In questo modo, si rese necessario imporre dei correttivi all’esercito nella sua complessità che si rivelarono numerosi e che comportarono modifiche non solamente al suo ordinamento (e anche a quello dei Carabinieri), ma anche l’emanazione di provvedimenti rivolti a riorganizzare la compagine del corpo ufficiali che aveva subìto, nel corso del conflitto, numerose modifiche e integrazioni, sulla base di un immediato stato di necessità senza un’articolata pianificazione di medio-lungo periodo.

66 O. BoVIo, Storia dell’Esercito Italiano cit., p. 249.

67

Giorgio rocHat, L’esercito italiano cit. e g. rocHat – g. massoBrIo, Breve Storia cit., pp. 197-207.

Autoblindomitragliatrice Lancia IZ della Regia Guardia (da Piero crocIanI, «La Regia Guardia a Roma», in camPosano, cit., pp. 73-91.

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7. La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale

Così la Regia Guardia fu sostituita in qualche modo dalla Milizia68. Già a partire dall’ottobre del 1922 dalle colonne del “Popolo d’Italia”, ovvero il giornale di Mussolini, era dichiarata l’intenzione di dare vita alla militarizzazione permanente dello squadrismo69 .

In effetti, «lo scioglimento della Regia Guardia fu l’ultimo atto dello scontro tra i vertici istituzionali attorno ai temi delle Forze armate e del controllo dell’ordine.I problemipiù gravi, però, vennero dallestesse guardie, che si opposero allo scioglimento con moti e agitazioni estesi a livello nazionale, giungendo a scontri armati con l’Esercito e le milizie fasciste, con casi di ammutinamento nelle città di Torino, dove la propaganda socialista e comunista aveva ottenuto risultati, e Napoli. Le guardie regie, dunque, movimentarono tutta la prima settimana del Gennaio 1923, rendendo problematico per il Ministero dell’Interno il processo di “normalizzazione” dello squadrismo fascista avviatosi con l’accorpamento della MVSN. Fu lo stesso Mussolini, la sera del 31 Dicembre appena emesso il decreto di scioglimento e con le prime notizie di agitazioni, a vergare di suo pugno una lettera in cui esortava le autorità di P. S. a vegliare sull’uscita di giornali recanti notizie degli accadimenti mentre Emilio De Bono, visto il degenerare della situazione, esortava i Prefetti del Regno a non farsi scrupoli nel reprimere la protesta con l’uso delle armi e l’arresto dei fomentatori, richiamando le camicie nere a presentarsi nelle caserme militari e mettersi a disposizione delle Forze armate»70 .

Come ricordato sopra, in quei giorni difficili, il quadrumviro Emilio De Bono, già ufficiale generale del Regio Esercito, rivestiva la carica di Direttore Generale di Pubblica Sicurezza e di Comandante Generale della MVSN71 .

Numerosi interventi normativi a firma del ministro della Guerra, generale Armando Diaz, comprendevano principalmente la riorganizzazione dell’esercito. Tuttavia, va messo in luce che in questi anni si riuscì a sfoltire il corpo ufficiali gonfiatosi durante la guerra con l’immissione di personale in altre organiz-

68 Luca maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit. p. 9. R.d. 14 gennaio 1923 n. 31.

69 Gian Luigi gattI, La quarta Forza Armata di Mussolini: la Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale, in commIssIone ItalIana DI storIa mIlItare, Le Forze Armate cit., pp. 111-112.

70 Luca maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit. pp. 15-16. Anche IDem, La Regia Guardia; la Polizia liberale nell’avvento del fascismo, in Raffaele camPosano, Il Corpo della Regia cit., pp. 48-49.

71 fu poi sostituito dal generale Asclepia Gandolfo, gIan luIgI gattI, La quarta Forza cit., p. 116.

zazioni come, ad esempio, nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

La sintesi dell’opera condotta da Diaz può essere esposta così: “I provvedimenti base furono concretati con rapidità inconsueta: i decreti sull’ordinamento dell’esercito e sulla durata della ferma sono del 7 gennaio 1923, quelli sulla costituzione degli alti comandi dell’11 gennaio […] questi primi provvedimenti furono seguiti nel corso del 1923 da numerosi altri, che riordinarono tutti i corpi ed i servizi dell’esercito, in modo da porre termine allo stato di incertezza”72 , così che la riorganizzazione dell’esercito condotta quell’anno fu “opera esclusiva delle sue alte gerarchie”.

In linea generale è ben comprensibile, quindi, che gli interventi di Diaz si riverberarono anche sulla riorganizzazione delle forze di polizia, peraltro anteriore (r.d. 31 dicembre 1922, n. 1680, “riforma ed unificazione dei corpi armati di polizia”) al suo riordinamento dell’Esercito.

“Per le milizie fasciste fu dunque il battesimo di fuoco come forza militare chiamata dallo Stato a difenderlo dall’attacco eversivo portatogli da alcuni reparti di un corpo armato. In quelle notti le camicie nere entravano nelle caserme dell’Esercito e da esso venivano armate per andare a sostenere gli scontri con le regie guardie. Dopo quelle notti, alcuni settori delle Forze armate dovettero rendersi conto di quelli che erano i piani di Mussolini per le sue milizie e ne presero le distanze, forse temendo la sostituzione dell’odiata Regia Guardia con un corpo militare affine per funzioni e strutture”73 .

La costituzione della M.V.S.N., uno strumento esclusivamente politico, fece limitare fortemente l’esigenza di tutela dell’ordine pubblico per le forze armate e di polizia, tanto che si arrivò a disporre, anche per motivi politici, dapprima lo scioglimento del Corpo della Regia Guardia di P.S. (r.d. 31 dicembre 1922, n. 1680, “riforma ed unificazione dei corpi armati di polizia”) e l’incorporazione di una parte del personale nell’Arma dei Carabinieri Reali e poi la costituzione del Corpo degli Agenti di P.S. di lì a qualche anno (r.d. 2 aprile 1925, n. 385), dando luogo anche alla parallela riorganizzazione dei funzionari di P.S. (r.d. 5 aprile 1925, n. 441).

72 Cfr. g. rocHat, L’esercito cit., pp. 461 e 463. Ma anche P. PIerI – g rocHat, Pietro Badoglio Maresciallo d’Italia, Mondadori, Milano, 2002, pp. 343-346. Lo stesso autore mette in risalto che “Diaz aveva impostato un ordinamento […] tale da «sistemare» tutti gli ufficiali in soprappiù”, cfr. G. rocHat, L’Esercito italiano in pace e in guerra – studi di storia militare, RARA, Milano, 1991, p 25.

73 Luca maDrIgnanI, Dalla psicosi rivoluzionaria cit. pp. 16.

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8. Il biennio 1923-1924 e la fusione dei corpi armati di polizia

Nel contempo, proprio a causa delle difficoltà legate al difficile ordine pubblico l’Arma era cresciuta notevolmente e, dopo l’avvento del fascismo con la marcia su Roma, era rimasta in vita, mentre il fascismo aveva scaricato le proprie ire sulla Regia Guardia di Pubblica Sicurezza, a torto o a ragione, ritenuta avversaria di quel movimento politico.

Gaetano Giardino, esponente della destra nazionalista e del mondo militare, fu titolare di una inchiesta parlamentare sulla Regia Guardia conferitagli nel novembre 1922 che terminò in poche settimane con un rapporto di cinquecento pagine, ove erano messe in evidenza pratiche clientelari e procedure opache74

In ogni caso, va anche ricordato che l’inchiesta Giardino non aveva un carattere di assolutezza. “Stante la necessità per il nuovo capo del Governo di dare uno sfogo alla componente squadrista del fascismo, che un ruolo fondamentale aveva avuto nella sua ascesa al potere, il fatto che la Regia Guardia fosse la vittima sacrificale di questo piano, al Dicembre del 1922 non era ancora un fatto scontato: in uno dei numerosi fascicoli redatti dal Giardino nella sua inchiesta, egli concludeva auspicandone il «graduale miglioramento», termine che solo successivamente sarebbe stato cancellato e sostituito a mano con la parola «scioglimento» (senza peraltro eliminare il “graduale”)”75 .

Con la riorganizzazione delle forze di polizia avvenuta con r.d. 31 dicembre 1922, n. 1680, il numero degli ufficiali, a seguito del transito di parte degli appartenenti al corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza nei carabinieri salì a 1400, ma sempre con l’esclusione di quelli inseriti nell’organico del Regio Corpo di Truppe Coloniali e di quelli che ricoprivano posizioni assegnate fuori ruolo. Lo stesso regio decreto scioglieva anche il corpo degli agenti di investigazione che fu assorbito nel nuovo ruolo specializzato dell’Arma.

Per quanto riguardava l’ordinamento, “oltre al comando generale dell’arma comprendeva: 7 comandi di gruppo legioni, 1 comando di gruppo scuole e legioni allievi (in più rispetto all’ordinamento Bonomi), 21 legioni territoriali e 1 legione allievi, 1 scuola allievi ufficiali, 1 scuola allievi sottufficiali, 12 battaglioni mobili e 2 squadroni”76 .

74 L. maDrIgnanI, La guardia regia cit., pp. 154-158 e IDem, Dalla psicosi rivoluzionaria cit. p. 15..

75 Ivi, p. 16.

76 mInIstero Della DIfesa – stato maggIore Dell’esercIto – uffIcIo storIco, L’Esercito italiano tra la 1a e la 2a Guerra Mondiale cit., p. 52.

La riorganizzazione delle Forze dell’Ordine portò dapprima alla riduzione dei battaglioni mobili a dodici dai ventitre iniziali (regio decreto n. 1860 del 31 dicembre 1922) e alla successiva quasi completa soppressione (regio decreto n. 2980 del 30 dicembre 1923). Quest’ultimo, in ogni caso, mantenne in vita tre battaglioni (due per la Capitale e uno per la Sicilia che pure ebbe carattere temporaneo).

Gli interventi sull’ordinamento dell’Arma però furono condotti continuativamente. Infatti, l’assorbimento del disciolto corpo della Regia Guardia portò ad una nuova riorganizzazione. Si segnala tra gli altri la “scuola tecnica di polizia per l’abilitazione ai servizi specializzati in abito civile”.

9. Il Ruolo specializzato dell’Arma dei Carabinieri Reali e gli altri assorbimenti

Con la soppressione del corpo della Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza e del corpo degli Agenti Investigativi, a seguito della marcia su Roma, parte di tale personale transitò nell’apposito ruolo creato nell’Arma dei Carabinieri Reali77. In effetti, sulla base dell’articolo 1 del rd 31 dicembre 1922, n. 1680, fu costituito il ruolo specializzato dell’Arma con un organico che prevedeva 30 capitani, 78 subalterni, 1000 marescialli d’alloggio maggiori, 2000 tra marescialli d’alloggio e marescialli d’alloggio capi, 2300 brigadieri, 1700 vicebrigadieri e 5000 tra appuntati e carabinieri; complessivamente si trattava di 12118 unità. Il successivo regio decreto 1° febbraio 1923 individuava per i sottufficiali le categorie di “inquirenti”, “tecnici” e destinati all’inquadramento dei militari di truppa “vigilanti”78. I primi erano addetti “ai servizi di investigazione ed indagini di polizia giudiziaria, amministrativa e politica” (4800); i secondi ricoprivano gli incarichi di “telegrafisti, i radiotelegrafisti, i telefonisti ai centralini,

77 Il sito internet della Polizia di Stato così inquadra il periodo: “Viene istituto così all’interno deiCarabinieri,ilRuoloSpecializzatocheassorbeilpersonaledeiduedisciolticorpidiP.S.Il Ruolo Specializzato dipende organicamente dal Ministero della Guerra, amministrativamente dai Reali Carabinieri. I Funzionari di P.S. mantengono il diretto controllo operativo del personale. Parte di esso segue i corsi di formazione scientifica e investigativa presso la ScuolaTecnica di Polizia di via Guido Reni, a Roma. […] nel 1925, a regime fascista stabilizzato, Mussolini sopprime il Ruolo Specializzato dei Carabinieri ricostituendo il Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza, militarmente organizzato”, Polizia di Stato, https://www. poliziadistato. it /articolo/dalla-marcia-su-roma-alla-liberazione, consultato il 27 febbraio 2023.

78 Sulla Gazzetta Ufficiale del Regno appare anche un regio decreto 17 maggio 1923, n. 1534, “per l’ordinamento e funzionamento del ruolo specializzato dei Carabinieri Reali” che detta norme generali per tale ruolo.

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gli elettricisti, i meccanici-motoristi, gli operatori cinematografici, i tipografi, i piloti-aviatori, i conducenti di automezzi, i segnalatori-fotografi, gli interpreti, gli steno-dattilografi, gli esperti in lavori burocratici”. Infine gli appuntati e carabinieri del ruolo specializzato erano destinati ai servizi di “piantone, piantone telefonista, pattuglia, pattuglione, inseguimento, scorta, assistenza, accompagnamento ed affini” (art. 3).

Significativo, tra i tanti incarichi indicati per il personale della categoria tecnica anche quello di “piloti-aviatori”. Tuttavia non vi sono evidenze per comprendere se vi furono militari dell’Arma in quella specialità.

Altri aspetti collegati con l’assorbimento di tale corpo e con lo scioglimento della Regia Guardia possono essere considerati: l’acquisizione di nuove infrastrutture logistiche, materiali, equipaggiamenti e mezzi.

Per quanto riguarda le infrastrutture, all’interno della città di Roma, si deve precisare che il comprensorio della Caserma Podgora, che attualmente ospita il Comando Interregionale Carabinieri Podgora, costituiva la sede della disciolta LegioneAllievi Regie Guardie (e a sua volta della soppressa Scuola delle Guardie di Città), del Comando Generale del Corpo e di due battaglioni impiegati per le esigenze di ordine pubblico sulla Capitale79. Inoltre, all’atto della soppressione dei reparti a cavallo della RG, si provvide ad occupare anche la caserma ove i due Squadroni di Roma erano ubicati, ovvero presso la caserma Parioli. In tale caserma furono poi dislocati i due Squadroni Carabinieri Reali costituiti con i materiali e i cavalli ceduti dalla RG. Per ciò che concerne la città di Firenze, la caserma, attualmente sede del Comando Provinciale Carabinieri di Firenze, in data 29 gennaio 1923 risultava vuota di personale della Regia Guardia poiché licenziato, tanto che il comandante del Gruppo di Legioni CCRR di Firenze proponeva di installarvi una compagnia del Battaglione Mobile CCRR VI e circa 250 aspiranti vicebrigadieri che avrebbero dovuto iniziare il corso di lì a poco80 . Contestualmente, tenuto conto che il predetto battaglione mobile era dislocato in altre due caserme, proponeva di cedere la caserma “Belvedere” all’autorità militare e di continuare a mantenere la caserma “Poggio Imperiale”.

Sulla base della poca documentazione relativa alle vicende del dicembre

1922 verificatesi a Torino all’atto dello scioglimento del Corpo della Regia Guardia, è emerso che, almeno una parte della caserma Cernaia fosse all’epoca occupata da un battaglione di Regie Guardie81. Vi sono indicate anche altre due

79 DSBS,Archivio Storico, D881.5, 881.6 e 919.17.

80 DBSD,Archivio Storico, D753.1(12).

81 DBSD,Archivio Storico, D881.8(21).

caserme occupate all’epoca dalla RG, una in via Giuseppe Verdi e l’altra denominata “caserma San Luigi, sita in via Pace” (sede della compagnia territoriale).

Per quanto riguarda Napoli, è stato possibile identificare unicamente due stabili: La caserma San Francesco di Sales, attuale sede del liceo Giovan Battista Vico e quella di San Potito del Vasto82. Quest’ultima si dovrebbe identificare nel complesso conventuale di San Potito poi trasformato in caserma nell’Ottocento. Attualmente in tale sede è dislocato il Comando Legione Carabinieri Campania. Per quanto riguarda la città di Milano, si ha contezza della presenza di un reparto della RG solamente nella caserma Mainoni sita su via Mario Pagano-via Vincenzo Monti.

Per la città di Bologna è noto che vi erano almeno due caserme, una cosid-

Antonio Di Federico, «Un assorbimento di quasi un secolo fa», Notiziario storico dell’Arma dei Carabinieri, V, 2020, N. 1, pp. 24-31.

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detta Saragozza e l’altra ubicata in via Cartoleria.

Spostando invece l’attenzione ad altre funzioni che la Regia Guardia garantiva, si consideri che, a partire dal 1° gennaio 1923, furono i Carabinieri a svolgere i servizi di polizia ferroviaria, prima organizzati tra i diversi corpi di polizia e l’Arma. La poca documentazione pervenuta lascia intendere che il servizio rimase nella competenza dell’Arma dei Carabinieri per poco. Infatti, con la creazione delle specialità della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (stradale, post-telegrafonica, ferroviaria, portuale, etc) i relativi servizi furono progressivamente assorbiti da questa.

Furono attribuiti ai Carabinieri i servizi all’interno dei principali porti italiani, inizialmente assegnati alla Regia Guardia. Si tratta delle cosiddette Brigate di Mare composte da personale della Regia Guardia (specialità / ramo Mare). Tale personale indossava l’uniforme per la Regia Marina con l’apposizione del fregio del Corpo, i distintivi di grado previsti e i nastri da berretto (da marinaio) della Regia Guardia che erano confezionati con panno in uso nella Regia Marina.Atteso che tale servizio consisteva sia nel pattugliamento delle aree dei principali centri marittimi, sia nel controllo di polizia marittima su bastimenti, si ritenne necessario che tale servizio fosse mantenuto e assunto da personale del ruolo specializzato.

A titolo orientativo era comunicato che i militari di Bari svolgevano il seguente servizio: “verifica dei passaporti, le visite e le perquisizioni a bordo dei piroscafi in arrivo e partenza, le perlustrazioni con mezzi nautici allo specchio d’acqua del porto e moli, per la repressione dei furti e per evitare gli imbarchi e sbarchi di persone sospette e clandestine”83. Le attività furono svolte successivamente dal personale del neocostituito Ruolo Specializzato.

Con il passaggio del ruolo alle dipendenze del Ministero dell’Interno, anche questo servizio cessò, tenuto conto che nel frattempo era stata costituita anche la specialità della Milizia dedicata allo scopo, la Portuaria.

Con la nascita del ruolo specializzato fu istituita anche la Scuola Tecnica di Polizia, a Roma in via Guido Reni, il cui primo comandante fu il tenente colonnello Carlo Contestabile. In questo ambito si provò anche l’impiego dei cani in un servizio cinofili84

83 DBSD,Archivio Storico, D482.3(7).

84 F. carBone, Alle origini del servizio cinofili, in Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri, a. II (2017) n.5, pp. 74-81.

10. La costituzione del Corpo degli Agenti di Pubblica Sicurezza e l’Arma dei Carabinieri Reali (1925-1926)

L’idillio terminò dopo poco tempo. La presenza di un’unica forza armata in servizio permanente di pubblica sicurezza, al di fuori del ministero dell’Interno, con una propria catena di comando che esercitava le funzioni creò difficoltà nella gestione del personale, soprattutto quello del ruolo specializzato che lavorava gomito a gomito con i funzionari di pubblica sicurezza. Si arrivò nuovamente ad avere un corpo direttamente dipendente dal ministero dell’Interno con la costituzione del corpo degliAgenti di Pubblica Sicurezza.

Il regio decreto 2 aprile 1925, n. 382 prevedeva la costituzione del corpo degli agenti di pubblica sicurezza con il transito del ruolo specializzato dell’arma dei Carabinieri Reali per i servizi di investigazione e di indagini, tecnici e vigilanti unitamente alla Scuola Tecnica di Polizia a partire dal 1° luglio 1925 alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno per la costituzione del corpo degli agenti di pubblica sicurezza (art.2). Il regio decreto 383 sotto la stessa data disponeva la creazione del corpo prevedendo che (art.1) “le forze armate in servizio della pubblica sicurezza comprendono: 1° l’arma dei carabinieri Reali; 2° il corpo degli agenti di pubblica sicurezza; 3° la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale”. In merito al reclutamento i complessivi 12000 uomini del giovane corpo e particolarmente gli agenti dovevano essere reclutati tra i carabinieri ed appuntati dell’arma in servizio e con alcuni requisiti. Solamente ove il contingente fissato non avesse raggiunto il numero, si sarebbe potuto procedere a reclutare anche tra gli “ex carabinieri e gli altri militari in congedo, che abbiano prestato almeno un anno di servizio in zona di operazioni, oppure almeno due anni di servizio nei soppressi corpi di polizia”. In realtà, il regio decreto dava anche la possibilità di riesaminare le posizioni di ufficiali e militari della regia guardia per consentirne l’accesso ove il nuovo corpo avesse avuto deficienze numeriche in sede di costituzione. Va riconosciuto pertanto che la data d’istituzione del corpo deve essere considerata il 1° luglio 1925, data sotto la quale le caserme del ruolo specializzato dell’Arma e la Scuola Tecnica passarono alle dirette dipendenze del Ministero dell’Interno.

Si ricordi inoltre che nel settembre 1926 fu chiamato alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza Arturo Bocchini, in seguito all’ennesimo attentato perpetrato a Mussolini85 .

85 Si rinvia a Domizia carafòlI, Gustavo BoccHInI PaDIglIone, Il Viceduce, Arturo Bocchini capo della polizia fascista, Mursia, 2003 ed anche la scheda in A. PaloscIa, M saltIccHIolI (a cura di), I Capi della polizia cit., ad nomen

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Conclusioni

Sembra evidente che la trasformazione dei Carabinieri Reali in unica forza armata permanente in servizio di pubblica sicurezza con la soppressione della tanto odiata (da parte fascista) Regia Guardia servì a tenere in secondo piano la nascita di un’altra realtà che si inseriva, anche sul piano normativo, nella legalità formale degli atti di governo, ovvero la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Come si nota anche dai decreti di riordino delle Forze dell’Ordine del 1925, essa è indicata tra i corpi armati che concorrono al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica insieme a Carabinieri e al neonato corpo degliAgenti di Pubblica Sicurezza. Si deve rilevare inoltre che il giovane corpo dipendente dal Ministero dell’Interno, almeno in prima battuta e in attesa di studi di maggiore profondità, sembra ricalcare più da vicino l’antico Corpo delle Guardie di Città che la Regia Guardia. Sembra trasparire anche un bisogno dei funzionari di pubblica sicurezza e più in generale dell’apparato che faceva capo alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, ovvero la necessità di avere una forza in uniforme facilmente controllabile e più vicina al soddisfacimento delle necessità connesse alla costruzione di uno stato fascista. In ciò, almeno appare, che i Carabinieri fossero meno disponibili a subire una pressione politica così marcata come i vertici della direzione generale e gli stessi vertici fascisti pretendevano. Resta il fatto che a partire dal discorso di Mussolini sull’omicidio Matteotti (3 gennaio 1925) si ha una svolta in senso decisamente più autoritario con l’approvazione delle leggi cosiddette “fascistissime”. A partire dalla legge 24 dicembre 1925, n. 2263 che definiva le attribuzione e le prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri che lo trasformava in “Capo del Governo Primo Ministro Segretario di Stato”; inoltre si tenga conto anche della legge sulla stampa, n. 2307/1925 entrata in vigore alla fine di quell’anno, della legge 31 gennaio 1926, n. 100 che dava facoltà al potere esecutivo di emanare norme giuridiche senza efficaci garanzie d’intervento da parte dei due rami del parlamento e, infine, la legge 3 aprile 1926 n. 563 che proibì lo sciopero e che la stipula dei contratti collettivi era possibile solo per i sindacati “legalmente riconosciuti”, ovvero quelli fascisti.

Tale stato di cose terminò quando si ripresentò la necessità di ritornare all’impiego dell’Esercito nel mantenimento dell’ordine pubblico a partire dagli scioperi del 1943. Ciò costituiva, di fatto, un trait d’union tra il crepuscolo del fascismo e l’alba della repubblica in Italia86 .

RDL 2 aprile 1925 n. 382Aumento di 5000 uomini nell’organico dell’Arma dei carabinieri reali e passaggio del ruolo specializzato dell’Arma alla diretta dipendenza del Ministero dell’Interno per la costituzione del corpo degli agenti di Pubblica Sicurezza.

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Allegato. La Memoria Cauvin87

«Sulle gravi possibili ripercussioni che possono derivare dall’attuazione dei due progetti di legge circa la sistemazione dell’Arma dei Carabinieri Reali e la istituzione del Corpo della Regia Guardia, lo scrivente non può non ascrivere a suo stretto dovere di comandante generale dell’Arma quello di richiamare tutta l’attenzione Superiore, particolarmente su quanto, per quel che interessa l’Arma stessa, è qui di seguito sommariamente riassunto:

1° un provvedimento così radicale viene ad avere vigore in un momento quanto meno opportuno per ciò che riguarda l’Arma, inquantochè, dopo le notevoli concessioni economiche ai suoi militari di truppa – ai quali altre se ne farebbero vantaggiosissime – il provvedimento stesso non farebbe che porre in più stridente contrasto il peggior trattamento usato ai suoi ufficiali, i quali, con la creazione del nuovo corpo, perfettamente analogo per ordinamento, scompartimento, norme regolamentari ed attribuzioni, all’Arma dei Carabinieri, verrebbero ad aver preclusa per un certo tempo la loro carriera già in crisi così grave da aver indotto a reiterate pubbliche promesse gli organi governativi, che non poterono fare a meno di riconoscerla.

2° con la creazione del nuovo corpo pel quale si riconosce necessario seguire pedissequamente nella sua parte formale il funzionamento dell’Arma, astraendo dalla sostanza che trova base in una tradizione centenaria sempre affermatasi nel tempo, si viene a colpire in pieno la totalità degli ufficiali dei carabinieri, che costituiscono il vero ambiente morale ed il maggior prestigio dell’istituzione, negando ad essi, all’ultimo momento e dopo averli lusingati ufficialmente, il promesso incremento, per semplici ragioni di economia che contrastano con la creazione ex novo di un nuovo corpo cui si devolvono le funzioni sino ad oggi esplicate dall’Arma e che si lasciava ritenere fossero ad essa conservate pure in un prossimo domani, e, d’altra parte, si migliorano eccezionalmente le condizioni morali, economiche e di carriera anche dei funzionari di pubblica sicurezza con un onere annuo non indifferente per il bilancio dello Stato.

3° Si viene a determinare necessariamente l’uscita dal servizio attivo, per riduzione di corpo, di un considerevole numero di ufficiali superiori dell’Arma,

esclusivamente sulle attività condotte dal Corpo delle Guardie di P.S. e dalla Polizia di Stato. 87 DBSD,Archivio Storico, D241.21. Stralci del promemoria sono presenti inA. ferrara, Storia documentale cit., pp. 50-58.

che oggi veramente ne rappresentano la forza e le tradizioni, essendo note le condizioni e le qualità intrinseche di quasi tutti i suoi quadri degli ufficiali inferiori, per effetto ed in dipendenza della guerra.

Parallelamente si viene a rendere necessario l’esodo di un ingente numero di sottufficiali dei carabinieri di tutti i gradi, pur essi aumentati temporaneamente agli organici per esigenze di guerra e che nel nuovo incremento dell’Arma avrebbero dovuto trovare la loro sistemazione.All’obbiezione che potrebbe farsi che la Regia Guardia potrebbe dar modo di collocare gran parte degli ufficiali esuberanti e forse tutti i sottufficiali dei carabinieri ora in soprannumero, si oppone facilmente che il relativo passaggio – non facile a regolare e risolvere come vedremo – o potrebbe aver esito pressoché negativo per riluttanza degl’interessati, i quali non vi si possono obbligare, ovvero, ove lo si favorisca con speciali facilitazioni economiche e vantaggi morali e di carriera, implicherebbe per l’Arma la perdita dei migliori elementi con grave scapito e sicura paralisi del suo funzionamento in un periodo quanto mai delicato della vita del paese. Purtroppo pei graduati di truppa la possibilità di tale perdita è già sanzionata con grave iattura per l’Arma con l’autorizzato arruolamento, con maggiori assegni, nel nuovo corpo degli agenti investigativi, pei quali non esistono i vincoli della disciplina militare inquantochè sono da considerarsi veri e propri impiegati civili.

4° Non deve nascondersi che l’attuazione dei provvedimenti escogitati dopo la lunga, esasperante attesa, giustificata dalle numerose dichiarazioni ufficiali, pure recenti, possa produrre disastrose conseguenze disciplinari, inquantochè non essendovi la possibilità, per l’urgenza che si vuol dare ai provvedimenti, di preparare lo spirito ed il morale degli ufficiali, tale attuazione non potrebbe non costituire una vera e dolorosa sorpresa, dopo che si è fatto loro sperare una elevazione materiale e morale in una più grandeArma.

5° Nonostante ogni diverso apprezzamento soggettivo e aprioristico, la creazione di un nuovo corpo e l’allontanamento o la menomazione delle attribuzioni d’istituto dell’Arma nei grandi centri, non potrebbe che comprometterne gravemente il prestigio di fronte alle popolazioni, specialmente poi ora in cui dai partiti sovversivi ed extralegale si sta conducendo una campagna indegna di denigrazione.

6° Qualora il nuovo corpo dovesse, per caso, avere soltanto funzioni inerenti al mantenimento dell’ordine pubblico, lasciando immutati gli attuali comandi territoriali dell’Arma, dato l’identico trattamento economico e le migliori condizioni di carriera che sull’inizio avrebbero per forza di cose la truppa e gli ufficiali della Regia Guardia, per la quale forte allettamento deriverebbe dalla sua

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dislocazione nei centri più importanti, si verrebbe a creare un pericoloso stato d’animo tra gli ufficiali ed i militari di truppa dell’Arma che dovrebbero, per converso, affrontare le maggiori responsabilità, i più gravi disagi, il più intenso, estenuante lavoro del quotidiano loro servizio d’istituto.

7° Un grave colpo verrebbe poi a risentire tutta l’Arma ed il corpo dei suoi ufficiali in ispecie, qualora, proprio all’indomani della fine della guerra, se ne dovesserointaccareseriamentelecaratteristichemilitari,consacratesindalgiorno della creazione dell’Arma e gelosamente conservate pur nel vigente regolamento organico, siccome costituenti la vera essenza che la differenzia da tutte le altre gendarmerie esistenti e ne salvaguarda il suo prestigio morale. Senza tema di errare può affermarsi che tutti i componenti l’Arma sono alteramente fieri della loro organizzazione militare con le attuali dipendenze dal Ministero della Guerra, sicchè il passar oggi l’Arma alle dipendenze del Ministero dell’Interno in modo diverso o più diretto di quello tradizionale, stabilito dai regolamenti in vigore e che non diede mai ragioni o motivi ad inconvenienti in più di un secolo, costituirebbe un provvedimento poco opportuno e sicuramente male accolto.

La caratteristica militare e l’odierno funzionamento dell’Arma, assicurando ad essa una certa autonomia, garantita validamente dalla sua organizzazione gerarchica, hanno anzi costituito pel governo il mezzo più efficace per assicurare all’Arma stessa quella preminenza morale, indispensabile all’adempimento dei compiti fiscali e dell’azione di controllo sulle autorità locali, che, per ragioni d’istituto, debbono esserle affidate. Già altre volte si mirò a modificare l’attuale dipendenza e funzionamento dell’Arma in basi ai criteri oggi enunciati, ma s’incontrarono sempre gravi difficoltà di attuazione, non esclusa la minaccia di dimissioni da parte degli ufficiali più provetti e più distinti. Suscitare un nuovo malcontento per tale motivo, proprio mentre si crea un grave disagio per l’Arma colla istituzione del nuovo corpo, che mal dissimula l’ampliamento di quello delle attuali guardie di città, a scapito delle funzioni ad essa inerenti, sarebbe un grave errore di valutazione psicologica, che merita di essere ponderatamente esaminata potendo spezzare in mano del governo uno dei più importanti organi di difesa interna. Ciò proprio quando si ha bisogno di assicurare nel miglior modo l’ordine sociale alla vigilia dei comizi elettorali e mentre il nuovo corpo, per difficoltà di reclutamento, che non si debbono obliare, e per necessità della sua organizzazione, non potrebbe trovarsi nella voluta efficienza, paralizzato dalla stessa eterogeneità dei suoi componenti, tanto nel corpo degli ufficiali che nella truppa. Tale situazione come vedesi è prospettata unicamente per quanto interessa il paese, che potrebbe trovarsi esposto a sorprese in un difficilissimo momento della sua vita politica, né il portare in contradditorio la possibilità di

un graduale passaggio al nuovo sistema può avere valore quando i provvedimenti escogitati abbiano per effetto, all’atto stesso della loro non pur lontanamente sospettata pubblicazione, di scompaginare seriamente tutta l’Arma dei Carabinieri. Forse l’inconveniente potrebbe in gran parte eliminarsi passando il nuovo corpo a far parte integrante dell’Arma, tanto più che ad esso sarà dato il medesimo ordinamento e da parte dell’Arma fu già da anni escogitato, per quanto soltanto ora attuato con ottimi risultati, il funzionamento dei battaglioni mobili, i quali, invece, senza una plausibile e convincente ragione, verrebbero a far parte del nuovo corpo.

La ipotesi non improbabile che i componenti dell’Arma dei Carabinieri, pur relegati a funzionare nelle campagne, debbano dare il loro concorso nei servizi di rinforzo e di ordine pubblico nei grandi centri, dove sarebbero normalmente ridotti alla più semplice espressione, non potrebbero non creare un deprimente stato d’animo nei carabinieri ed una rinomanza poco simpatica nelle popolazioni, che nei carabinieri s’indurrebbero ad identificare facilmente un esclusivo strumento di repressione.

8° Qualora si stabilisse di trarre anche dall’Arma gli ufficiali della Regia Guardia, per sistemare se non altro quelli che risultassero nell’Arma in esuberanza, non vi si potrebbe provvedere che dietro interpellanza e col consenso degli interessati, seguendo lo stretto ordine di anzianità di grado, e con facoltà di lasciare il servizio con speciale trattamento di pensione a quelli non disposti ad accettare. è consigliabile che lo stesso sistema si segua per conservare nell’Arma i suoi ufficiali qualora se ne volesse modificare il funzionamento e la dipendenza, e ciò nell’interesse stesso del paese per non mantenere in servizio ufficiali con morale depresso ed in pericolose condizioni di spirito.

Qualora poi si ritenesse, eventualmente, di formare un ruolo unico per gli ufficiali dei carabinieri e della Regia Guardia, l’intendimento non sarebbe praticamente possibile per le seguenti ragioni:

a) L’uno è corpo militare, l’altro è militarizzato, epperciò un ufficiale non può essere obbligato a lasciare, sia pur temporaneamente l’esercito o a passarvi, contro sua volontà;

b) non essendo possibile regolare in modo identico l’avanzamento nei due corpi ed essendo d’altra parte in pieno sviluppo quello di nuova istituzione con il ruolo unico i sacrificati verrebbero ad essere, senza alcun loro demerito, gli ufficiali dei carabinieri. Si pensi che l’attuazione dei provvedimenti mentre arresterà e paralizzerà la carriera degli ufficiali dei carabinieri, parecchi dei quali dovrebbero, comunque, essere collocati in congedo per

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riduzione di corpo, consentirà notevoli vantaggi di carriera a tutti gli attuali ufficiali delle guardie di città, del cui corpo si decretò, sia pure in modo fittizio, l’abolizione.

c) si verrebbe a stabilire che gli ufficiali di un corpo militarizzato possano, per semplice posizione d’annuario, passare nell’esercito e nell’Arma senza conoscerne affatto il funzionamento, con conseguenze e ripercussioni materialie moralitantopiùgravi per gliufficialidei carabinieri, per quanto più elevato fosse il grado dell’ufficiale della Regia Guardia trasferto nell’Arma. I diversi sistemi d’avanzamento non potrebbero fra l’altro escludere anche la possibilità che ufficiali dell’Arma, da essa usciti con gradi inferiori, possano rientrarvi con gradi più elevati dei loro già superiori d’Arma. d) si perpetuerebbe, acuendolo, il dualismo già ora esistente fra il corpo della guardia di città trasformato in guardia regia e l’Arma dei carabinieri, ed esso diventerebbe tanto più aspro e pericoloso per quanto i componenti l’Arma, dopo gli affidamenti avuti o giustificati, si convincessero che il loro danno fosse da attribuire alla creazione del nuovo corpo identificantesi in quello delle guardie di città, il quale, senza tradizioni o speciali maggiori benemerenze, acquisterebbe ipso facto una preminenza materiale e morale sull’Arma.

9° Non deve escludersi che la emanazione dei provvedimenti possa gravemente paralizzare il già difficile arruolamento di nuove reclute nell’Arma, non dovendosi far eccessivo affidamento sui maggior compensi economici che si vogliono accordare. è ormai comunemente noto che la più grave difficoltà da superare nel reclutare nuovi elementi e trattenere in servizio gli attuali carabinieri è soprattutto d’indole morale, che troverebbe nuova causa di depressione nell’istituzione del nuovo corpo.

Le variate dipendenze e la diversa dislocazione dell’Arma, ridotta a funzionare nei centri rurali, non mancherebbero, d’altra parte, di avere immediate e tangibili ripercussioni tanto sul reclutamento che sui congedamenti, ed il fatto di dar, sia pur apparentemente, all’Arma, colla più stretta dipendenza dal Ministero dell’Interno, epperciò dalle autorità politiche e di pubblica sicurezza locali, la parvenza di un impiego anche in servizi di polizia politica, ne scemerebbe il suo prestigio di fronte all’esercito ed alle popolazioni. Queste soprattutto non concepiscono, infatti, presso di noi, la dipendenza dal Ministero dell’Interno senza collegarla intimamente ad una inframettenza nelle competizioni amministrative e politiche locali e senza pensare ad una ingerenza interessata dei partiti politici al potere anche in ciò che concerne il funzionamento dei comandi territoriali e

la destinazione ed il trasferimento dei titolati.

10° La più stretta dipendenza dal Ministero dell’Interno per quanto riguarda il servizio d’istituto, che tutte comprende senza eccezioni le attività dell’Arma, non potrebbe infine non implicare l’obbligo di referto per essa al Dicastero medesimo, di tutto quanto riguarda i suoi compiti militari, non solo in pace ma anche in guerra, locchè porrebe spesso i suoi componenti in condizioni difficili e delicate, che è facile comprendere.

Concludendo, non si può non riconoscere che mentre dal punto di vista dell’onere finanziario manca ogni ragione che giustifichi una economia a tutto scapito dell’Arma quando si crea un nuovo forte corpo, avente le sue stesse attribuzioni ed analoga organizzazione e funzionamento, dal punto di vista materiale e morale non si può non ammettere che il corpo stesso porterà in breve alla sicura decadenza della centenaria e fedele istituzione, che assolse in ogni tempo i suoi compiti in modo superiore ad ogni elogio, come pur testè fu solennemente riconosciuto.

Roma, 16 agosto 1919

ILTENENTE GENERALE COMANDANTE GENERALE (Luigi Cauvin)»

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 326

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Ritorno alla normalità?

La Legione CC.RR. diAlessandria e la ricostituzione di un apparato di polizia nel contesto post-bellico (maggio – dicembre 1945)

di

ferDInanDo angelettI

aBstract The paper intends to investigate the role of the Royal Carabinieri Corps in the immediate post-war period (May – December 1945) using, as a case study and main primary source, the Historical Diary of the Legion CC.RR. of Alessandria. The purpose is to verify the ways in which the Carabinieri, “returning” to an Italian area affected by WWII and the harshness of the civil war, reorganized the control service and all other tasks entrusted to them by laws and regulations such as judicial police (verifying any lines of action or particular services), the activities of the discrimination commissions, ceremonies, assistance in trials etc.

keyWorDs. – caraBInIerI; PIemonte; controllo Del terrItorIo; resIstenza; PartIgIanI; WWII.

Introduzione

La fine delle operazioni militari in Italia settentrionale, a cavallo tra l’aprile e il maggio 1945, coincise, per il Paese, con il difficile inizio, dopo quasi cinque anni di conflitto, e la complessa ricostruzione in un contesto politico e sociale in corso di profondo mutamento. Specialmente nel Settentrione d’Italia, le istituzioni dovevano ricostituirsi, riprendere a operare al fine di far proseguire (o far ricominciare a seconda dei casi) le normali attività della comunità. E anche i Carabinieri, quale forza dell’ordine, dovettero fare la loro parte1 .

Come è stato scritto con riguardo ai compiti del Contingente R, impiegato nella Capitale all’indomani dell’arrivo delle truppe alleate nel giugno 1944, essi dovevano:

1 A riguardo, v. Flavio carBone «Apolitici per tendenza e per tradizione», Notiziario storico dell’Arma dei Carabinieri n. 1/2016 pp. 39 – 43.

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«Rioccupare le caserme dell’Arma nei territori liberati; ripristinare velocemente il servizio; garantire al contempo il ritorno alla cosiddetta normalità, per quanto le operazioni belliche e le successive operazioni di smobilitazione avrebbero reso possibile»2

Lo scopo di questo articolo è quello di analizzare, utilizzando quale Case study la Legione CC.RR. di Alessandria3 (di cui è stato reperito presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (d’ora in poi AUSSME), il Diario storico (d’ora in poi D.S.) che copre il periodo 5 maggio – 31 dicembre 1945), come, in che modo e con quali problematiche, un’istituzione di polizia come l’Arma dei Carabinieri riuscisse a riprendere il suo normale funzionamento in un contesto come quello del basso Piemonte dell’immediato secondo dopoguerra.

Prima della fine: i CC.RR. e la R.S.I.

Da un punto di vista eminentemente formale, i reparti dei CC.RR. nel settentrione d’Italia, vennero sciolti per incorporazione nella Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) della R.S.I., nel novembre del 1943. Nell’ambito delle successive vicissitudini del corpo, rientranti nella più ampia “anarchia” e sovrapposizione di potere tipica delle forze militari e di polizia della RSI4, con missiva del 25 agosto 1944, del Capo di Stato Maggiore della G.N.R., tenente generale Nicolò Nicchiarelli (1898 – 1969)5, tutto il personale della G.N.R. pro-

2 Goffredo mencaglI, Massimo coltrInarI, «I Carabinieri in servizio d’istituto nella testa di ponte di Anzio», Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, a. XLIV n. 2 – aprile – giugno 1996, pp. 17 – 25 e, in particolare p. 21.

3 Nata nel 1919, la Legione CC.RR. diAlessandria comprendeva, oltre all’omonima provincia, anche quelle diAsti (creata nel 1925) e Cuneo. Originariamente comprendeva anche quella di Pavia. Così nel R.D. 23 ottobre 1919.

4 Così ex plurimis Amedeo ostI guerrazzI, «Un organo della repressione durante la Repubblica Sociale Italiana: gli Uffici politici investigativi della Guardia nazionale repubblicana,», Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken Herausgegeben vom Deutschen Historischen Institut in Rom Bd. 86 2006, pp. 465 – 490.

5 Nativo di Castiglion del Lago (PG), già combattente e prigioniero (redasse un diario della prigionia poi pubblicato assieme ad altri (Giovanni re, cur., Prigionieri dimenticati. Cellelager 1917-1918, Milano, Ugo Mursia, 2008) durante il primo conflitto mondiale, dopo il conflitto combatté a più riprese in Libia entrando poi nel Partito Fascista, partecipando alla Marcia su Roma, e nella MVSN. Combatté, nelle file della Milizia, sia in Africa Settentrionale che, al Comando della 63^ Legione CC.NN. d’assalto “Tagliamento”, in Russia. Rimpatriato, dopo l’8 settembre aderì alla R.S.I. venendo nominato Capo di Stato Maggiore della G.N.R., incarico che mantenne sino alla fine della guerra. Arrestato e inizialmente condannato quale col-

veniente dall’Arma dei Carabinieri Reali venne dispensato dal servizio a meno che non richiedesse esplicitamente di essere nuovamente arruolato, a far data dal 1° settembre successivo6 .

Quest’ultima decisione, come è stato da più parti fatto notare7, derivò essenzialmente dalla sostanziale infedeltà dei CC.RR. al nuovo regime. Se, come è statisticamente naturale, vi furono diversi Carabinieri che operarono attivamente nella G.N.R., molti di più furono coloro i quali si diedero alla macchia unendosi a bande partigiane o che, pur rimanendo al proprio posto e quindi formalmente nell’ambito delle forze della Repubblica Sociale, nei fatti rimasero passivi verso le bande partigiane che man mano, si andavano sviluppando nelle diverse parti d’Italia occupate dalle truppe tedesche e della R.S.I.

Rimanendo nell’ambito delle sole province sottoposte alla giurisdizione della Legione CC.RR. diAlessandria, a giudicare da una superficiale e meramente statistica lettura dei dati forniti dalla Banca Dati del partigianato piemontese8 operarono oltre 500 tra partigiani, patrioti e benemeriti9, già effettivi a reparti di Carabinieri10

laborazionista (fu poi assolto dalla Corte di Cassazione) fu tra i principali dirigenti del Fronte antibolscevico internazionale. Ufficiale dell’Ordine militare d’Italia, Grand’Ufficiale dell’Ordine coloniale della Stella d’Italia, Cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, decorato, escludendo quelle commemorative delle varie campagne di guerra, di due M.A.V.M., una M.B.V.M., tre Croci al merito di Guerra, e della Croce di Ferro tedesca. La sua biografia è di Stefano faBeI, Il generale delle Camicie Nere, Varese, Pietro Macchione Editore, 2013. Altre notizie su di lui anche in Stefano faBeI, La Guardia Nazionale Repubblicana. Le memorie del Generale Niccolò Nicchiarelli, 1943-1945, Milano, Mursia, 2020.

6 Così inArchivio Centrale dello Stato (ACS), RSI Guardia Nazionale Repubblicana,Archivio Generale 1944 – 1945 – b. 50, missiva del 25 agosto 1944.

7 Amedeo ostI guerrazzI, op. cit. ma anche Maria Gabriella PasqualInI «L’opera di controspionaggio dell’Arma dei Carabinieri dopo l’8 settembre 1943», visibile su https://www.academia.edu/37788220/L_opera_di_controspionaggio_dell_Arma_dei_Carabinieri_dopo_l_8_ settembre_docx. (URL consultata il 13.02.2022) e ancora più recentemente Anna Maria casaVola, Carabinieri tra resistenza e deportazioni. 7 ottobre 1943 – 4 agosto 1944, Roma, Edizioni Studium, 2021.

8 Rintracciabile online all’indirizzo http://intranet.istoreto.it/partigianato/. D’ora innanzi semplicemente Banca Dati.

9 Secondo la suddivisione prevista dalle Commissioni per il riconoscimento della qualifica di partigiano per le quali si può vedere il D. Lgs. Lgt. 21 agosto 1945, n. 518, “Disposizioni concernenti il riconoscimento delle qualifiche dei partigiani e l’esame delle proposte di ricompensa” (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.109 del 11.09.1945).

10 Suddivisi tra i 209 della Provincia diAlessandria, 133 in quella diAsti e 234 in quella di Cuneo. Molti, comunque, provenivano da unità di Polizia militare o combattenti dei CC.RR. e non dalle unità territoriali. Per alcune note sui Carabinieri partigiani della Provincia di Ales-

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Ed anche a voler ricercare, o almeno citare, gli episodi di Carabinieri rimasti al proprio posto, anche solo temporaneamente, ci piace rammentare l’operato del maresciallo Arcangelo Sonnati11 dapprima Comandante della Stazione CC.RR. di Ponzone e successivamente partigiano o del Comandante della Tenenza di Acqui, capitano Ernesto Carpanini12 che, nel febbraio 1944, in una missiva inviata al Prefetto di Alessandria da parte del referente del Comitato comunale di Acqui dell’Opera Balilla, Saverio Galeazzo, veniva indicato come disfattista nei confronti della guerra e, in qualche modo, meno “orientato” nella fedeltà al nuovo regime.13

Non a caso, il Comandante Generale dell’Arma (del Sud) Brunetto Brunetti (1887 – 1947)14 all’atto del 25 aprile 1945 diramò un ordine del giorno indirizzato Ai Carabinieri Reali dell’Italia Settentrionale riferendosi sia a coloro i quali avevano scelto la via “delle montagne” e della Resistenza attiva, ma anche a coloro i quali erano rimasti al fianco della popolazione. I ringraziamenti per

sandria si può sfogliare William ValsesIa, I Carabinieri nella Resistenza nella Provincia di Alessandria, Alessandria 1978. Da parte di chi scrive è in corso un’opera di ricerca e di approfondimento sull’argomento specifico.

11 Per il quale si permetta il rimando a Ferdinando angelettI, «Il Maresciallo Arcangelo Sonnati», Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri Anno IV N. 3, Roma 2019.

12 PotrebbeesserelostessoAvvocatoCarpanini,definito“exUfficialedeiCarabinieri”deceduto nel 1966, citato poi da Ferruccio Parri in un articolo su un periodico, e poi di fronte alla Commissioned’inchiestasulcd.“PianoSolo”qualedeputato ad organizzare“nucleid’azione”per conto degli industriali italiani nel caldo periodo dei primi anni ’60. Così nella «Relazione di minoranza degli Onorevoli Terracini, Spagnoli, D’Ippolito, Galante Garrone e Lami» insenato Della rePuBBlIca – V Legislatura, Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 (Istituita con legge 31 marzo 1969, n. 93), vol. II, Roma 1971, p. 164.

13 In risposta a tali accuse il Comandante dell’Ufficio stralcio del Gruppo CC.RR. di Alessandria, maggiore Luigi Mosconi, difese l’operato del proprio collaboratore. Devo a Giovanni Smario che li ha reperiti presso l’Archivio comunale diAcqui Terme la possibilità di aver letto questi importanti documenti di vita locale.

14 Nativo di Pesaro, classe 1887, uscì dalla Regia Accademia di Artiglieria e Genio quale sottotenente di Artiglieria. Partecipò in quell’Arma sia alla guerra italo turca (meritando due M.B.V.M.) che al primo conflitto mondiale (ottenendo una Croce di guerra al V.M.), Dopo il conflitto frequentò la Scuola di Guerra e poi, da ufficiale superiore, alternò incarichi in reggimenti operativi ad altri in Istituti di formazione. Generale di divisione, nel 1942 ottenne il comando della 27^ Divisione di fanteria Brescia che guidò in Africa settentrionale, venendo preso prigioniero il 5 novembre dello stesso anno. Liberato e rimpatriato dopo l’8 settembre, il 7 marzo 1945 fu nominato Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. Morì a Roma il 5 aprile 1947. Note biografiche tratte da Vincenzo Pezzolet, Brunetto Brunetti Primo Comandante Generale dell’Italia repubblicana, in Notiziario storico dell’Arma dei Carabinieri, N. 5/2016 pp. 61 – 65.

quegli uomini non furono casuali. Le parole utilizzate, aldilà della normale retorica, furono veramente sentite. Il generale Brunetti intese ribadire che quegli uomini avevano «tenuta accesa la fiaccola dell’onor militare” e quindi l’intera istituzione “schiude le braccia ed è fiera di riaccogliervi nella sua grande famiglia»15

L’arrivo del Nucleo organizzativo: Avvio delle operazioni

Il 5 maggio 1945, intorno alle ore 17.00, giunsero ad Alessandria, provenienti da Firenze e al comando del tenente colonnello Andrea Boni, i 268 uomini (6 Ufficiali, 25 Sottufficiali e 237 tra Appuntati e Carabinieri) componenti il Nucleo organizzativo della rinnovata Legione CC.RR. di Alessandria. Tali nuclei organizzativi erano stati costituiti sin dal precedente 16 ottobre 1944, uno per ogni Legione CC.RR. delle aree del territorio nazionale ancora in mano tedesca, ed erano stati collocati a Firenze, presso la Scuola Centrale. Di lì, alla fine di aprile, furono fatti partire ognuno per la propria destinazione16 .

Ad Alessandria arrivarono in quella che, già dal

15 Vincenzo Pezzolet, op. cit. p. 63.

16 Flavio carBone, «Il contributo dei Carabinieri alla ricostruzione del paese», L’Italia 19451955. La Ricostruzione del Paese e le Forze Armate, Atti del congresso di studi storici internazionali, Roma, CISM, 2014, pp. 125 – 153.

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1° dicembre 1923, era la sede del Comando Legione, la caserma “Giovanni Battista Scapaccino”, in PiazzaVittorioVeneto e che ancora oggi ospita il Comando Provinciale dei Carabinieri del capoluogo alessandrino.

La Caserma G.B. Scapaccino, detta anche “ex Gambarina (o Gamberina)” (poiché di proprietà originariamente della famiglia Gambarini)17 non era solo la sede dei CC.RR. da alcuni decenni ma era anche un luogo particolarmente simbolico18 .

Durante i moti del 1821, infatti, aveva ospitato il Reggimento “Dragoni del Re” che, già nella notte tra 9 e 10 marzo, sotto la guida del capitano Luigi Baronis, aveva occupato la Cittadella diAlessandria dando il via a quella rivolta nella quale, per la prima volta, era stato esposto un tricolore italiano19 .

Ecco quindi che, nel giungere in città, i Carabinieri arrivarono immediatamente ad occupare quella struttura che, peraltro, permetteva anche di ben controllare la città essendo sita anche vicina a diverse altri punti nodali cittadini come la Caserma “Valfrè”20 (da sempre sede di unità regolari del Regio Esercito), la Questura (sita in un palazzo nella via immediatamente parallela) e la Prefettura sita a poche centinaia di metri.

La riorganizzazione della Legione CC.RR. di Alessandria: modalità e tecniche

La creazione di un sistema complesso di gestione di ordine e sicurezza pubblica, in un contesto quale quello post bellico, non era certamente affare semplice.

Eppure si trattava, per i Carabinieri del ten. col. Boni21, di un know how

17 FrancescogasParolo,Francescoguasco DI BIsIo,CarloParnIsettI,«Raccoltadiiscrizioni alessandrine», in Rivista di storia, arte, archeologia per la Provincia di Alessandria,Annata XLIV (1935), Alessandria Società di Storia, Arte e Archeologia per la Provincia di Alessandria, 1935, p. 284.

18 Così anche Oreste BoVIo Carabinieri in Piemonte, Torino, Umberto Allemandi & C., 2000, p. 184.

19 Nonostante sussistano molti dubbi sul fatto che il tricolore esposto adAlessandria fosse quello “italiano” bianco, rosso e verde, è il simbolo in sé a dover essere ricordato.

20 Caserma intitolata al generale Leopoldo Valfrè di Bonzo (1808 – 1887), M.O.V.M. per il ruolo avuto, in qualità di Comandante dell’artiglieria, nella presa della Piazza di Messina (1861). Per alcune note sulla dedicazione e la storia della caserma si può vedere Francesco gasParolo, Francesco guasco DI BIsIo, Carlo ParnIsettI, op. cit p. 283.

21 Che sarebbe stato sostituito, nel Comando della Legione CC.RR., solo il successivo 20 ot-

presente nel proprio DNA, dato che la storia dell’Arma è pregna di situazioni in cui,inuncontesto postbellicoosimilare,contingentidell’Arma abbiano dovuto costituire una struttura dedita al controllo del territorio22 .

L’esigenza di controllo del territorio non poteva però distogliere da altro compito che, probabilmente ne era complementare e per certi versi prodromico: la ricostituzione dei diversi reparti nella giurisdizione.

Tuttavia, per poter giungere ad un risultato ottimale, che andasse in qualche modo a ricreare la struttura dell’Arma prima del biennio 1943 – 1945 occorreva molto personale e i nemmeno 300 carabinieri inviati ad Alessandria certo non erano bastevoli.

Fu perciò attivato, presso ogni ricostituito Comando Legione, e quindi anche adAlessandria, un Centro di Raccolta CC.RR. ove i militari dell’Arma sbandati, nascosti, o comunque non in servizio per i motivi più disparati, si dovevano presentare per essere, eventualmente, riammessi.

Fu perciò la prima operazione che, la mattina dopo essere giunti adAlessandria, i Carabinieri misero in atto. Nel costituire il centro di raccolta, fu anche costituita la relativa commissione di discriminazione che doveva valutare se il carabiniere presentatosi potesse rientrare in servizio o dovesse essere inviato per l’eventuale epurazione.

La ricostituzione dei reparti sul territorio, invece, avvenne secondo la logica che voleva dapprima la copertura dei capoluoghi, poi delle cittadine di una certa rilevanza demografica o economica (in Piemonte, ancora oggi, definite, “centri zona”) ed infine dei diversi paesi, di diversa grandezza ed importanza secondo uno schema che quindi installava i Gruppi e, a macchia d’olio, le Compagnie e poi Tenenze e Stazioni. Un modo di organizzare “dall’alto” quindi, che però

tobre 1945 dal colonnello Andrea Cozzo, proveniente dalla Legione di Bologna. Il ten. col. Boni verrà inviato a Firenze quale Comandante di uno dei neo – costituiti Raggruppamenti di battaglioni mobili derivanti dal novellato ordinamento dell’Arma (D. Lgs. Lgt. 603 del 31 agosto 1945, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale N. 121 del 06.10.1945).

22 Si possono ricordare, quale mero esempio, l’organizzazione territoriale a seguito delle varie guerre d’indipendenza, nelle colonie, i territori appena conquistati all’Austria – Ungheria durante il primo conflitto mondiale o, per altro verso, in operazioni che, oggi, chiameremmo di “mantenimentodellapace”comenellaMissioneaCretadel1896–1906.Ariguardosipossono vedere Flavio carBone, «Studi sulla presenza militare italiana inAfrica: l’istituzione della stazione carabinieri reali diAssab (1883)», in Rassegna Storica del Risorgimento, a. 95, fase. 2, 2008, pp. 263 – 294, e Ferdinando angelettI, La missione dei Carabinieri Reali a Creta (1896 – 1906) tesi di Dottorato di Ricerca in Storia dell’Europa XXX Ciclo – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 336

permetteva di garantire, già nei primi giorni/settimane, il controllo delle principali città e strutture viarie ed economiche, ottimizzando le forze disponibili. Man mano che queste ultime aumentavano, grazie all’arrivo di nuovo personale “recuperato” dal Centro di Raccolta, il territorio veniva “puntinato” da ulteriori reparti di minore livello ordinativo fino a coprire l’intera giurisdizione.

Ecco quindi che già il pomeriggio/sera del 5 maggio, subito dopo l’arrivo adAlessandria, oltre 100 Carabinieri, al comando del capitano di complemento Agostino Fiori, non si fermarono se non, presumibilmente, per una sosta logistica, ripartendo poi subito dopo in direzione di Cuneo, mentre altri 43 uomini, al comando del cap. Francesco Massarelli, analogamente si recarono ad Asti. Lo stesso giorno, infine, circa 100 carabinieri, al comando del capitano Francesco Ruiz, lasciarono la caserma Scapaccino per occupare anche un’altra caserma nel capoluogo alessandrino. I tre capoluoghi di provincia, già nei primissimi giorni, erano quindi già “presidiati” con i relativi comandi di gruppo23, costituiti nell’immediatezza e quindi potenzialmente già operanti.

Nei giorni e settimane seguenti a venir ricostituite furono le diverse compagnie (con le relative stazioni capoluogo) e tenenze. La provincia diAlessandria, evidentemente più vicina da raggiungersi (e che poteva approfittare del grosso del contingente che era stato trattenuto nel capoluogo) fu la prima a completare l’installazione dei comandi intermedi, nell’arco di pochissimi giorni: Compagnia di Novi Ligure (15 maggio), Tenenza di Tortona (16 maggio), Compagnia di Casale Monferrato (17 maggio), ed infine la Tenenza di Acqui (19 maggio). Ma anche le provincie di Asti e Cuneo, nell’arco di venti giorni, riuscirono nell’intento24 con l’ultima Tenenza, quella di Vinadio (CN), ripristinata il 9 giugno 1945. Successivamente, tra il giugno e l’agosto, vennero pian piano ricostituiti tutti i livelli ordinativi inferiori con le Stazioni e le Sezioni con l’ultima, la Stazione di Frabosa Sottana (CN) ricostituita il 4 settembre.

23 Oggi Comandi provinciali.

24 Per il Gruppo di Asti: Compagnie di Asti interna ed esterna (18 maggio), Tenenza di Canelli (25 maggio) e di Villanova d’Asti (26 maggio); per il Gruppo di Cuneo: Compagnie di Mondovì(22maggio),Alba(25maggio)eSaluzzo(27maggio),TenenzediBra(28maggio),Fossano (6 giugno), Savigliano e Borgo S. Dalmazzo (8 giugno).

REPARTI RICOSTITUITI

MeseGruppiCompagnieTenenze25 Stazioni/Sezioni26

Maggio37513

Giugno378 (+3)12527 (+112)

Luglio378154 (+29)

Agosto378158 (+4)

Settembre378159 (+1)

Da un punto di vista meramente numerico, l’evoluzione della forza effettiva della Legione può ricavarsi dalla lettura dei vari “specchi numerici della forza presente”, a cadenza mensile allegati al D.S. e che, peraltro, testimoniano de relato (almeno nei primi mesi) anche l’attività del Centro di Raccolta nel periodo di riferimento:

SITUAZIONE DELLAFORZA

Come è normale, i primissimi mesi dopo la riattivazione del Comando sono quelli in cui maggiormente aumenta il numero di militari effettivi al reparto, specialmente nei ruoli dei sottufficiali e della truppa. È grazie a questi che è pos-

25 Non in sede di Gruppo o Compagnia.

26 Non in sede di Gruppo, Compagnia o Tenenza.

27 Nel solo 8 giugno furono formalmente ricostituite 28 Stazioni/Sezioni.

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sibile riattivare sul territorio tutte le varie Stazioni. Non a caso il periodo Giugno –Agosto è quello in cui la totalità dei reparti viene ricostituita. Il massimo della forza, da un mero punto di vista quantitativo, viene raggiunto nel settembre, con oltre 1800 uomini alle dipendenze, dato che poi scende nel complessivo (ma il calo è pressochè unicamente tra la truppa) nei mesi successivi (evidentemente per normali avvicendamenti tra reparti e/o congedi).

Le attività dei reparti di CC.RR. (maggio - dicembre 1945)

Introduzione

La ripresa delle attività dei reparti della Legione CC.RR. di Alessandria sul territorio, dobbiamo presumere, previde tutte quelle incombenze che i vari regolamenti e leggi prevedevano per i reparti dell’Arma con funzioni, quindi, sia di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, ma anche di polizia giudiziaria e, vista la situazione contingente, finanche di polizia militare.

Chiaramente il D.S. della Legione, fonte privilegiata in questo senso, non può riuscire ad esprimere tutto il complesso delle attività messe in atto dai reparti descrivendo evidentemente quelle ritenute di maggiore importanza e pertinenza da essere ritenute valevoli di essere ricordate a livello interprovinciale. Pertanto, nella descrizione delle principali attività compiute dai Carabinieri, chiaramente l’aspetto principale sarà quello di polizia giudiziaria, con un occhio però sia all’attività del Centro di Raccolta, sia ad altre tipologie di servizi che comunque sono stati ritenuti all’epoca importanti e da ricordare. Ma è certo che la gran parte delle attività poste in essere quotidianamente dai reparti dell’Arma, ieri come oggi, e che sono il frutto di compiti silenti, magari poco roboanti o senza diretti risultati, non è riportato in atti.

Segue – Il contrasto alla criminalità

La prima attività di polizia giudiziaria che il D.S. riporta è l’arresto di quattro persone, ed il deferimento di una quinta, per il rinvenimento e sequestro di 22 chilogrammi di carta filigranata per banconote avvenuto il 16 maggio 1945. L’operazione è compiuta dai carabinieri di Novi Ligure che, “a seguito di confidenze” riuscirono quindi a recuperare quanto era stato asportato nel dicembre 1944 dallo scalo ferroviario cittadino. L’operazione è già di per sé particolarmente importante calcolando che, con quella carta, si sarebbero potuti stampare circa

20 milioni di lire28 ma è sintomatica sia della fiducia che la popolazione iniziò a nutrire verso l’istituzione sia dell’immediato rientro alle attività dei carabinieri novesi, i cui reparti (Compagnia e Stazione) erano formalmente stati ricostituiti solo il giorno prima.

Le statistiche che si possono desumere dal D.S., meglio raccolte nella sottostante tabella sono comunque sintomatiche di un’attività di contrasto particolarmente forte:

Reato ArrestiDenunce

Reati contro il patrimonio29

Reati in materia di approvvigionamenti alimentari2936

Reati militari30

Omicidi 241

Violazione del coprifuoco140

Reati vari

Fanno specie, prima facie, le 25 persone deferite o arrestate per omicidi. In tutto in poco più di sei mesi furono 17 gli atti omicidiari (anche tentativi), tra cui uno colposo ed uno preterintenzionale. Tra di essi l’uccisione di un marito da parte della propria moglie (1° Luglio, a Costigliole di Saluzzo) e un infanticidio.

L’episodio più truce il 4 novembre. A S. Lucia di Entracque tale Giacomo Audisio, sessantanovenne citato quale “alienato mentale” con un corpo contundente ridusse in fin di vita il fratello Pietro, di 83 anni e poi, imbracciato un fucile da caccia, uccise un altro parente e provò a colpire due passanti.All’arrivo dei Carabinieri della Stazione di Entracque, l’Audisio sparò all’indirizzo dei militari, colpendo in modo non grave il carabiniere Gino Del Grosso. Quest’ultimo, rispondendo al fuoco, lo uccise.

Ci fu lo spazio anche per partecipare alle indagini sul cosiddetto “Eccidio di Villarbasse”.31 Il giorno successivo al ritrovamento dei corpi dei dieci occupanti

28 Circa 760.000 euro a valori e potere d’acquisto attuali.

29 Furti, rapine, estorsioni e truffe principalmente.

30 Principalmente diserzione.

31 Noto per essere uno degli ultimi casi di applicazione della pena di morte in Italia. Si vedano, per la ricostruzione del fatto, Gianfranco Venè, La notte di Villarbasse, Milano, Bompiani Editore, 1987, ID., Vola Colomba, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1990 e, anche se

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della Cascina Simonetto, infatti, i carabinieri di Canelli fermarono due persone, entrambe di origini calabresi. Le successive indagini dimostrarono però la loro estraneità ai fatti.

Nella lettura delle sempre molto sintetiche descrizioni delle attività di polizia giudiziaria che i Carabinieri Reali portarono avanti nell’arco del semestre, emergono alcune linee d’azione costanti.

La prima è legata al contrasto ai reati predatori, specialmente furti, rapine ed estorsioni in un momento storico dove le comunità, in crisi economica e a volte prive del minimo per il sostentamento, probabilmente più facilmente si abbandonavano ad atti criminali legati alla sfera patrimoniale. L’elevatissima disponibilità di armamenti ed un controllo del territorio certamente in fase di ricostruzione, peggiorarono le cose.

Ecco quindi come non deve stupire se la gran parte dei soggetti inviati all’autorità giudiziaria in stato di arresto, fermo o in stato di libertà sia proprio per questi reati. Quello che stupisce, però, è il loro numero assoluto. Più di 400 persone, contando quindi solamente i reati cosiddetti “con autori noti” in un solo semestre è un numero davvero sconvolgente soprattutto se si considera che nel D.S. vennero verosimilmente riportati solo i casi più gravi. Dal sequestro di persona a verosimile scopo di estorsione del 6 luglio, in danno di un certo Fagà Giuseppe di Felizzano, alla rapina in stile “selvaggio west”, dove due autocarri furono fermati da un gruppo di persone a colpi di mitra (3 agosto 1945 a Monbaruzzo) ma anche ad episodi che mostrano come la tenuta sociale fosse probabilmente minore. Ecco quindi che il 26 agosto 1945, sulla strada tra Incisa Scapaccino e Nizza Monferrato, il Comandante della Stazione di quest’ultimo centro, maresciallo maggiore Bartolomeo Sacco, arrestò in flagranza l’autore dell’estorsione ai danni di un agricoltore del posto. Le fonti di prova furono schiaccianti, in tasca al reo vennero trovati degli assegni bancari. L’autore del reato era, però, un commissario di P.S., tale Pietro Fiorenza, e gli assegni erano stati pagati per «mettere a tacere una denuncia d’indole politica pendente a carico del Porta». D’altra parte il periodo storico è anche noto per vendette e ritorsioni politiche, ma mai si sarebbe potuto pensare che un funzionario dello Stato si potesse abbassare a tanto. Anche lo stesso Fiorenza, ormai scoperto, dovette aver compreso l’onta del gesto. Appena fermato provò a suicidarsi con l’arma che portava con sé. Solo l’intervento risolutivo dei Carabinieri che lo disarmarono impedì che si giungesse ad ancora peggiori conseguenze.

in forma romanzata, Roberto ganDus, L’ultima Esecuzione, Genova, Fratelli Frilli Editori, 2013.

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I Carabinieri furono poi coinvolti in un episodio che, forse ancora tutt’oggi, è foriero di dicerie e leggende: quello del famoso “Tesoro della 4a Armata”. I fondi della cassa dell’Armata italiana che si trovava nelle aree della Francia meridionale occupata dopo il 1942, dopo l’armistizio, erano stati nascosti da parte dell’intendente dell’Armata, generale di brigata Raffaello Operti che li aveva portati in Piemonte. Si trattava di una somma particolarmente ingente32 (ancorchè, in parte già utilizzata per sovvenzionare la prima fase della Resistenza piemontese)33 e poi consegnata dallo stesso Operti a personale della filiale della Banca d’Italia di Torino nel maggio 1945. Nel settembre successivo, su alcuni giornali torinesi di orientamento socialista e comunista, vennero pubblicati alcuni articoli che accusavano, nemmeno troppo velatamente, il Generale Operti di essersi appropriato della cassa e, quindi, di aver indebitamente trattenuto alcune somme. Le accuse furono così gravi che lo stesso generale si sentì in obbligo, alcuni mesi più tardi, di pubblicare un libro in difesa delle proprie azioni.34 Ma che qualcosa, nei vari spostamenti di denaro che erano stati effettuati in quei mesi per evitarne il totale recupero da parte delle truppe tedesche e della RSI, fosse probabilmente andato perduto era praticamente certo. Già diversi sacchi contenenti franchi (per un valore di 300 milioni) erano stati “recuperati” da personale della RSI il 22 novembre 1943 dal Santuario della Moretta di Alba ove erano stati nascosti da alcuni militari dell’intendenza.35

In questo contesto, il 3 ottobre 1945, i Carabinieri di Alba, arrestarono numerose persone, probabilmente che avevano partecipato al “recupero” del novembre 1943. Vennero identificati ed arrestati un ex sottotenente dell’Aeronautica, tale Mottola, un parigrado dell’esercito, Consolato Marra, assieme a tre pregiudicati, tali Benvenuto Cellino, 50enne, Modesto Isnardi, 35enne e Carlo Giacchino, 53enne, tutti di Alba. A casa di quest’ultimo, reo confesso sulla provenienza dei soldi, venne trovata una cassetta contenente monete d’argento posta sotto sequestro.

Infine non poteva mancare, in un contesto caotico, chi provò ad approfittare

32 Un nipote dell’Operti, riprendendo fonti dello zio cita “erano sacchi di banconote francesi, 794 milioni di franchi, 19 milioni di lire, 2 milioni di lire in monete d’argento” così in Bruno martInazzI Ehi, patriota! Torino, Trauben, 2011, p. 10.

33 Giorgio Bocca, Le mie montagne: gli anni della neve e del fuoco. Milano, Feltrinelli, 2006, pp. 61 – 68.

34 Raffaello oPertI, Il tesoro della 4ª Armata, Torino, Superga, 1946.

35 Così in https://www.gazzettadalba.it/2017/02/quattro-sacchi-pieni-franchi-della-iv-armata-racconto-giuseppe-maestri/ (URL consultata il 9 gennaio 2022) ove si descrivono le varie fasi attraverso la testimonianza di un religioso presente all’epoca dei fatti.

della presenza di tanti soldati, anche non italiani, sul territorio nazionale. Il giorno 1º ottobre a Quattordio, tre persone, travestite da militari alleati, fermarono sulla statale Alessandria – Asti un’autovettura con a bordo due persone. Le rapinarono dei contanti che portavano con sé (oltre 2 milioni di lire), le uccisero e scapparono con la loro autovettura. Dopo due mesi di indagini portate avanti dai Carabinieri della Tenenza diAlessandria, i tre autori furono identificati e due di essi tratti in arresto a Novara (7 dicembre) e Castelfranco Emilia (10 dicembre). Fu anche recuperato il veicolo rubato alle vittime.

Altra fondamentale linea di azione che si evince con chiarezza è l’azione di contrasto a quelli che si potrebbero definire “reati in materia di approvvigionamenti alimentari” particolarmente rilevanti in una fase come quella di termine di un duro conflitto ove il raggiungimento ed il miglioramento del fabbisogno alimentare erano priorità istituzionale e sociale36 e esemplificativi di quello che Nicola Gallerano ha definito “l’altro dopoguerra”.37

36 aa.VV. 1945, Dall’economia di guerra all’avvio della ricostruzione Novara, Camera di commercio industria artigianato e agricoltura, 1985, pp. 130 – 140.

37 Nicola gallerano (cur.), L’altro dopoguerra. Roma e il Sud. 1943-1945, Franco Angeli 1985, p. 30.

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L’evoluzione della politica governativa in materia aveva visto sostituirsi agli “ammassi” di grano e cereali di era fascista38, i conferimenti (obbligatori) nei cd. “granai del popolo”, creati dal Ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo39 ove collettare la gran parte della produzione cerealicola per la successiva redistribuzione. Tale sistema, sostenuto anche dal governo alleato40 era mal tollerato, invece, dai produttori, specialmente dai piccoli e medi proprietari e comportava numerosissimi tentativi di elusione.41

Eccoquindichel’interventodell’ArmadeiCarabinieri,chiaramentedalpunto di vista repressivo, era di fondamentale importanza per garantire un equilibrato svolgimento della vita economica del paese, comunque sottoposta al razionamento di numerosi generi alimentari e di consumo e contrastare il proliferare del mercato nero. E nella giurisdizione della Legione CC.RR. di Alessandria, nel solo periodo Maggio – Dicembre 1945, l’attività di contrasto fu particolarmente forte.Alle quasi 70 persone deferite all’Autorità giudiziaria (di cui 29 in stato di arresto), si aggiunsero i numerosi sequestri di beni (meglio riassunti nella sottostante tabella) che, regolarmente inventariati, venivano poi consegnati ai granai del popolo (se prodotti cerealicoli) o alle autorità preposte (in caso di altri generi alimentari sottoposti a razionamento).

38 ManuelVaquero PIñeIro «“Rastrellareilgrano”.GliammassiobbligatoriinItaliadalfascismo al dopoguerra», Società e storia, N. 148, 2015, pp. 257 – 293, Francesco ferrara, «Gli ammassi obbligatori di prodotti agricoli», Rivista di diritto commerciale, 1940, I, p. 33; Mariano D’amelIo, Commentario al codice civile - Libro della proprietà, Firenze 1942, p. 149 e soprattutto le opere di Giuseppe VelottI, «In tema di omesso conferimento dei cereali agli ammassi», Archivio penale, 1946, II, p. 513; ID, La legislazione vigente nella disciplina dei consumi, Roma, Tipografia delle mantellate, 1947.

39 Anna rossI-DorIa, Il ministro e i contadini: decreti Gullo e lotte nel Mezzogiorno, 19441949. Roma, Bulzoni, 1983, Emanuele BernarDI, «Il Governo Bonomi e gli angloamericani. I «decreti Gullo» dell’ottobre 1944 come momento della politica nazionale e delle relazioni internazionali», “Studi Storici”, 4, 2002, Oscar greco (cur.), Caro Compagno. L’epistolario di Fausto Gullo, Napoli, Guida Editori, 2014 e il recente Giuseppe PIerIno, Fausto Gullo. Un comunista nella storia d’Italia Rubbettino 2021.

40 Manoela PattI, «Governare Il Mezzogiorno. GliAlleati e l’occupazione/Liberazione Del Sud (1943-45)», Meridiana, no. 82,Viella SRL, 2015, pp. 109 – 133; Salvatore luPo «Mezzogiorno e questione contadina», Italia contemporanea, marzo 1981, fasc. 142.

41 Oltre alle opere citate nelle note precedenti, per quanto riguarda il caso siciliano si può vedere Manoela PattI Gli Alleati nel lungo dopoguerra del Mezzogiorno (1943-1946), tesi di Dottorato di Ricerca in Storia Contemporanea XXIII Ciclo – Università degli Studi di Catania, online http://archivia.unict.it/bitstream /10761/302/1/Gli%20Alleati %20nel%20lungo%20 dopoguerra%20del%20Mezzogiorno.pdf (URL consultata il 15.01.2022).

TipologiaQuantità

Olio1328 litri

Grano ed altri cereali487 quintali

Farina670 chilogrammi

Riso495 chilogrammi

Formaggio1088 chilogrammi

Pasta8 quintali

Patate50 quintali

Zucchero34 chilogrammi

Burro152 chilogrammi

Carburante330 litri

Tabacco36 chilogrammi

Liquori vari600 bottiglie

Capi di bestiame92 tra bovini, ovini, caprini e suini

Non mancò, anche tra chi doveva controllare, chi purtroppo se ne approfittò. Anche se non conosciamo i dettagli, il 12 dicembre 1945 militari dell’Arma di Tortona arrestarono tre persone, tutte appartenenti alla polizia annonaria di quella cittadina, per corruzione ed atto contrario ai doveri d’ufficio.

Terzalinead’azione chesiriescea rinvenireè quellarelativaal disarmo delle bande partigiane e, più in generale, al contrasto alla detenzione di armamenti ed equipaggiamenti militari.

In un contesto quale quello post bellico, l’enorme quantitativo di armi, munizioni ed esplosivi che la presenza di truppe combattenti aveva lasciato dietro di sé non era certamente elemento da poter sottovalutare poiché potenzialmente propedeutico, almeno in parte, ad un aumento generale della criminalità. Si trattava di far ritornare il monopolio della violenza nelle mani dell’autorità e reprimere spinte sociali disgregative. Non a caso, nella gran parte dei reati predatori oggetto di attività di indagine da parte dell’Arma, e citati precedentemente, i rei arrestati o denunciati per furti, rapine o estorsioni avevano utilizzato armi di qualunque genere, evidentemente nella loro disponibilità.

Aquesto contesto si aggiunse anche la necessità, voluta dal governo alleato e supportata dai governi italiani, di smobilitare e disarmare le bande partigiane42 .

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Si trattava di un’attività che gli Alleati avevano posto quale obiettivo primario già nel Dicembre del 1944, nei famosi Protocolli di Roma firmati con il CLNAI, dove, nell’ultimo paragrafo del punto n. 4 se ne parlava esplicitamente:

«Con la ritirata del nemico tutti i componenti del Comando Generale dei Volontari della Libertà nel territorio liberato [….] eseguiranno qualsiasi ordine dato da lui o dal Governo Militare Alleato in suo nome; compresi gli ordini di scioglimento e di consegna delle armi, quando ciò venisse richiesto».43

Già dal 4 maggio 1945 il Comando Regionale Piemontese del C.V.L., con apposita circolare44 aveva disposto il versamento delle armi dei vari combattenti partigiani, da conservarsi sotto la responsabilità dei vari comandanti, in appositi centri di raccolta in attesa delle disposizioni alleate. Tre giorni dopo, a seguito anche di un proclama emanato via radio, fu specificato che le autorità alleate avrebbero fissato dei termini per la riconsegna. Venne anche emanato un modello di ricevuta che il partigiano, all’atto della consegna delle armi, avrebbe dovuto ricevere e conservare.45

Ed effettivamente le autoritàAlleate, mentre nelle grandi città organizzarono cerimonie e parate, volte, almeno in parte, a gratificare i partigiani prima della riconsegna delle armi46, nei piccoli centri con «perentori bandi impongono la consegna delle armi presso le caserme degli odiati carabinieri».47

La consegna delle armi, peraltro in una fase ancora particolare, specialmente in Piemonte (con il noto tentativo, da parte delle truppe francesi, di penetrare in Italia occupando militarmente, in vista di una futura annessione, intere parti

one», Italia Contemporanea n. 188, 1992, pp. 457 – 477, Daniel ellWooD, L’alleato nemico: la politica dell’occupazione anglo-americana in Italia, 1943-1946, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 224 e Giacomo canePa, «Uscire Dalla Guerra: Smobilitazione e Assistenza Post-Bellica: Un Memorandum Del Partito d’Azione» Contemporanea, vol. 18, no. 4, Bologna, Il Mulino., 2015, pp. 597 – 614.

43 Testo dei protocolli rintracciabile online all’indirizzo https://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0068570_1949_1-3_03.pdf (URL consultata il 16.01.2022). Per i rapporti tra CLNAI e governo Alleato sempre attuale Franco catalano. Storia del comitato di liberazione nazionale alta Italia. Milano, ed. Bompiani, 1975.

44 Archivio dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea “GiorgioAgosti”(d’ora in avanti Istoreto),Ao, b.A16, fasc. 3h.

45 Ibidem, lettera del 7 maggio 1945 del C.V.L. con allegati il proclama e il modello di ricevuta.

46 Charles Reginald sHIller HarrIs, Allied Military Administration of Italy 1943-1945, London, H.M. Stationery Office, 1957, p. 278 (ove si parla dei modi solenni con i quali doveva attuarsi il disarmo) citato in Mirco DonDI, op. cit

47 Alessandro traBuccHI, I vinti hanno sempre torto, Torino, Silva, 1947, p. 235.

della Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta) 48 comportò, per le prime settimane, un certo qual “occhio benevolo” da parte della autorità alleate (essenzialmente americane) che infatti consentirono «che la consegna delle armi […] si effettui con ritmo non precipitato per tener conto di alcune particolari situazioni» pur ribadendo comunque che, man mano che le zone fossero state dichiarate sicure: “chiunque deterrà armi o materiale bellico sarà considerato come ribelle al Comando italiano e contro di lui il Comando Alleato eserciterà il suo potere di potenza occupante applicando le sanzioni prescritte” 49

Anche le autorità governative italiane ritennero di dover, in un certo qual modo, intervenire, emanando apposite normative di contrasto.50 Nonostante tutto, comunque l’operazione di riconsegna spontanea si rivelò complessivamente fallimentare, con molte formazioni partigiane che volontariamente tennero nascosti armamenti vari.51

Per quanto riguarda il basso Piemonte, ove le unità della Resistenza erano state numerose, agguerrite e ben armate52, il compito appariva ancora più arduo e, per altro verso, ancora più importante.Ariguardo, il 14 maggio 1945, almeno per la Provincia di Cuneo, fu emanato un proclama, a firma del ten. col. William Turner – Coles, responsabile provinciale dell’AMGOT, con cui si intimava a

48 Per il quale si rimanda al sempre valido Enrica costa Bona, Dalla guerra alla pace: Italia-Francia: 1940-1947, Torino, FrancoAngeli, 1995.

49 Istoreto, Ao, b. A 14, fasc. b, sottofasc. 2c. Lettera del C.V.L. Comando militare regionale piemontese del 14 maggio 1945.

50 L’art.3delDecretoLeggeLuogotenenziale(D.D.L).n.234del10maggio1945stabilivapene severe per chi detenesse armi da guerra e relative munizioni “dopo scaduto il termine di consegna stabilito dalle autorità competenti”.

51 Tra i vari Mirco DonDI, op. cit. p. 472

52 Tra i tanti Mario gIoVana, La Resistenza in Piemonte, Storia del CLN regionale, Milano, Feltrinelli, 1962, IstItuto storIco Della resIstenza In PIemonte, Aspetti della Resistenza in Piemonte, presentazione di G. Agosti, Torino, Books Store, 1977, ID., (cur.), L’insurrezione in Piemonte, Milano, Franco Angeli, 1987. Andrea BarBa, il Capitano Mingo e la resistenza nella valle dell’Orba, Ovada, Accademia urbense – Anpi Molare, 2001, Daniele BorIolI, La banda Lenti. Partigiani e contadini in un paese del Basso Monferrato, Alessandria, Istituto storico della Resistenza, 1984. Piero morettI, Claudia sIrI, Il movimento di liberazione nell’acquese, Cuneo, L’Arciere, 1984. Giampaolo Pansa, Guerra partigiana tra Genova e il Po, Bari, Laterza, 1998 (2ª ed.) Primo maIoglIo, Aldo gamBa, Il movimento partigiano in provincia di Asti,Asti, Tsg, 1985 Claudio BIancanI, «Le SAPa Cuneo nella lotta di liberazione», Notiziario dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo e provincia, n. 27, 1985. Giorgio Bocca, Partigiani della montagna: vita delle divisioni Giustizia e libertà del Cuneese, Milano, Feltrinelli, 2004. Faustino Dalmazzo, «Il partigianato e la pianura cuneese», Nuovi quaderni di Giustizia e Libertà, Milano, gennaio-agosto 1945.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 348

tutte le bande partigiane la riconsegna delle armi.53

L’analisi del D.S. della Legione CC.RR. permette, anche in questo caso, di ricostruire, almeno parzialmente, questo tipo di attività potendola suddividere, temporalmente, in tre grandi fasi, forse coincidenti con il diverso atteggiamento mantenuto dall’Arma locale, probabilmente su input superiori, nella gestione della delicata attività.

Nella prima, approssimativamente coincidente con i mesi di maggio e giugno 1945, si iniziò con dei versamenti spontanei da parte delle unità partigiane o di singoli combattenti secondo quelle che erano le disposizioni alleate. Ecco quindi l’8 giugno il recupero, da parte del Gruppo diAsti, di 220 armi varie tra «pistole mitragliatrici, fucili mitragliatori e mitragliatrici Breda 37 […] già in dotazione a formazioni partigiane». Analoga dicitura due giorni dopo da parte della Compagnia di Alba54, il 12 giugno per la Compagnia di Saluzzo55, il 14 giugno per la Compagnia di Cuneo, il 21 giugno per le Stazioni di Alessandria Principale e Tortona (che operarono però anche nei territori di Strevi e Carpeneto).56

Successivamente, invece, si interruppero le consegne spontanee mentre iniziarono i ritrovamenti di armi, da parte dei vari reparti dell’Arma, quasi tutti, però, ancora a carico di ignoti. Si tratta di rinvenimenti suddivisibili in due tipologie. La prima è il ritrovamento di nascondigli evidentemente delle bande partigiane, vuoi perché “dimenticati”, vuoi perché dolosamente taciuti. Così il 6 luglio, in una cascina abbandonata di Rivalta Bormida venne rinvenuto dai Carabinieri diAcqui un vero e proprio arsenale, con due mortai, 3 mitragliatrici, un centinaio di fucili e migliaia di cartucce, bombe a mano e bombe da mortaio. Il 21 agosto, a Rocchetta Ligure vennero trovati «in un locale chiuso, ove erano state depositate dai partigiani» quasi 20.000 cartucce per fucile e centinaia tra bombe da mortaio ed esplosivi. Altri nascondigli furono scovati il 14 ottobre a Neive ove «murato in un sotterraneo» fu trovato un deposito con decine di fucili e 30 kg di esplosivo al plastico, il 25 ottobre a Castelletto d’Orba (quasi 200 kg di esplosivi tra tritolo, scatole di detonanti e micce varie) e il 30 ottobre nel castello “Madonna della neve” di Ceva. La seconda tipologia è quella dei

53 Copiadelproclamapressol’ArchiviostoricodelComunediCuneo,FondoManifesti,materia 8.7, Unità 2, manifesto del 14 maggio 1945.

54 Un centinaio di armi lunghe (fucili, moschetti e mitragliatrici), munizioni e bombe a mano e 400 “mine anticarro”.

55 Una ventina di armi lunghe e 8 quintali (sic!) di munizioni varie.

56 Addirittura recuperando una “mitragliera contraerea da 20 mm O.M. 41, completa di telemetri e congegni di puntamento”.

ritrovamenti generici di armi e munizioni “abbandonate” in luoghi aperti o facilmente raggiungibili da chicchessia. Così il 6 luglio a Mombaruzzo «in aperta campagna» furono trovate una decina di bombe e qualche centinaio di colpi e caricatori, il giorno successivo a Valfenera e Ferrere migliaia di munizioni, granate da mortaio e nastri di mitragliatrici (e 7 mine anticarro), il 5 settembre, a Saluzzo diverse mitragliatrici e fucili, così come a Moncalvo il 17 settembre e di nuovo a Saluzzo il 20 dello stesso mese.

Dal mese di settembre, però, probabilmente ritenendo ormai concluso il periodo di “transizione” iniziarono anche i sequestri consistenti a carico di persone ben note, con relativi fermi e arresti. A volte si trattò di partigiani come nel caso di Andrea Bruno (nome di battaglia Santa Barbara) 57 e Giuseppe Avalle,

57 Dalla Banca Dati risulta Comandante della 15^ Brigata Garibaldi. Famoso capo partigiano, è citato come tale, tra i tanti, in Marisa DIena, Guerriglia e autogoverno: Brigate Garibaldi nel Piemonte occidentale 1943-1945, Parma, Guanda Editore, 1970 p. 41, Pino IPPolIto armIno Storia della Calabria Partigiana, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 2020, p. 302 e soprattutto Vincenzo moDIca, Dalla Sicilia al Piemonte: storia di un comandante partigia-

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colpevoli di aver occultato armi da guerra (non meglio quantificate) e tratti in arresto l’8 settembre a Saluzzo.Analoga sorte per Giacomo Cartasegna, arrestato dall’Arma di Tortona il 1 ottobre 194558 e per tale Vittorio Giolito, di Vinchio (AT),59 fermato dai Carabinieri di Canelli il 2 novembre con decine di armi lunghe e migliaia di munizioni.

Appare d’interesse anche citare l’operato dei Carabinieri nel rintraccio di collaborazionisti e veri e propri ricercati per crimini legati al conflitto appena terminato. Ecco quindi il 9 luglio l’arresto, per collaborazionismo, di tale Maurizio Giudanega, di Vernante o il fermo e la traduzione, da parte dei Carabinieri di Acqui, del tenente dell’Esercito Repubblicano, Alessandro Parisio, alle carceri alessandrine.

Il 9 agosto i Carabinieri di Spinetta Marengo arrestarono Carlo Fossati, citato quale colonnello dell’Aeronautica, poiché:

«colpito da mandato di cattura per avere collaborato col nemico dopo l’8 settembre 1943 ed organizzato, negli anni 1921 e 22, squadre fasciste che commisero atti di devastazione e di violenza a danno di varie persone di Lobbi».

Carlo Fossati, in realtà, non era solo un ufficiale superiore dell’Aeronautica. Era stato uno dei primi squadristi della Provincia alessandrina e, tra il 1941 ed il 1943, era anche stato Federale diAlessandria e, in quanto tale, Consigliere della Camera dei Fasci e delle Corporazioni e componente del Consiglio nazionale del Partito Nazionale Fascista60.Altro arresto di un collaborazionista il 27 dello stesso mese a Valenza.

Il successivo 14 novembre, a Castellazzo Bormida, fu arrestato, quale “criminale di guerra”, Mario Paolo Buscaglia. Buscaglia fu accusato, in qualità di maresciallo del 1° Btg. Genio Guastatori dell’Esercito Nazionale Repubblicano, di essere l’autore dell’uccisione di tre partigiani o renitenti di leva avvenuto nel dicembre del 1944 a Riccò del Golfo (SP). Per quei fatti il Buscaglia fu poi condannato a morte, nel novembre 1946 dalla Corte d’Assise Straordinaria di

no, Milano, FrancoAngeli, 2002, p. 98 dove, allora solo Comandante di un battaglione della Brigata viene definito come “ottimo comandante di battaglione, gode di prestigio tra i suoi garibaldini”

58 Non risulta censito nella Banca Dati.

59 Non risulta censito nella Banca Dati.

60 Alberto BallerIno, Anni rimossi: intellettuali, cinema e teatro ad Alessandria dal 1925 al 1943, Alessandria, Le Mani, 2006 p. 23 e, per la nomina a Federale, si può vedere il Decreto del Duce del Fascismo, Capo del Governo del 10 giugno 1941-XIX pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147 del 25.06.1941.

La Spezia. La condanna non fu mai eseguita.61

Per altro verso non si può sottacere l’azione dei Carabinieri Reali nel contrasto a quegli elementi della Resistenza che macchiarono l’onorabilità delle forze partigiane poichè, come ritenevano anche le autorità governative italiane, si temeva che per molti soggetti datisi alla macchia «la debole formazione politica e l’abitudine a maneggiare le armi da irregolari potessero dare luogo a illegalità e soprusi».62

Effettivamente di episodi similari il D.S. ne riporta diversi. Il 18 giugno i Carabinieri di Fossano denunciarono tre persone63, già appartenenti alla polizia partigiana della città, trovate in possesso di beni indebitamente detenuti per un valore di oltre un milione di lire.

Il successivo 14 luglio a S. Damiano d’Asti tre soggetti «armati e travisati da partigiani», rapinarono un contadino della somma di 1300 lire. Le immediate indagini portarono all’arresto di tre persone, ree confesse dell’episodio nonché di altre tre rapine (di cui una solo tentata) avvenute quello stesso giorno a S. Damiano non denunciate dalle vittime «per timore di rappresaglie».64

Il 19 luglio l’episodio probabilmente più truce. Nella notte, a Roccavione (CN), tre persone penetrarono attraverso il balcone nell’abitazione della proprietaria di una trattoria posta al piano sottostante. Entrati, obbligarono la proprietaria dell’esercizio pubblico a mescere loro del vino. Poi qualificandosi come appartenenti alla polizia speciale trascinarono la donna e la sua domestica a Borgo San Dalmazzo, all’interno di un ristorante della Stazione ferroviaria e lì violentarono la domestica.Alle 7 del mattino le liberarono. L’Arma di Borgo S. Dalmazzo, lo stesso giorno, trasse in arresto i tre responsabili65

E ancora il 26 Luglio l’Arma di Saluzzo arrestò Giovanni Manna, (n.d.b.

61 Vedasi l’episodio nell’atlante delle stragi nazifasciste rintracciabile sul web all’indirizzo http://www.straginazifasciste.it/wp-content/uploads/schede/FALABIANA%20E%20 VALPIDINO,%20RICCO%20DEL%20GOLFO,%2008.12.1944.pdf (URL consultata il 16.01.2022).

62 canePa op. cit. pp. 604 – 605.

63 De CrescenzoAlfredo (nome di battaglia n.d.b. “Mariotti Mirto”), ErraAntonio (n.d.b. “Ferretti”) e Ferraro Ettore (n.d.b. “Esposito”). Dalla visura della Banca Dati, emerge, oltre ai nomi di battaglia, la comune appartenenza dei tre alla 20^ Brigata “Giustizia e Libertà”.

64 Sulla Banca Dati risultano censite persone con quei tre nominativi, uno dei quali proprio nativo di S. Damiano d’Asti. Sul perché i Carabinieri avessero utilizzato la dicitura “travisati da” invece di acclararne la provenienza partigiana (come avvenuto per altri fatti reato) sarebbero troppe le congetture e le motivazioni e scarse ad ora, le fonti, quindi ce ne si astiene.

65 Dei tre solo uno viene censito nella Banca Dati quale partigiano.

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“Bobi”66) partigiano della 15a Brigata Garibaldi, risultato capo di una banda di altre nove persone «autore di numerose e gravi rapine commesse nella zona del saluzzese».

Il 17 agosto, è la volta dell’Arma di Serravalle Libarna67 che procedette all’arresto di tre «ex partigiani»68 autori del furto di un bue a Grondona. Il 27 agosto a Racconigi, vennero arrestati due membri del C.L.N. di Cavallerleone, con l’accusa di estorsione.Avrebbero preteso la somma di 11.000 lire da persone sorprese a trasportare un carico di grano per “chiudere un occhio”.

Infine, il 12 novembre, a Montegrosso d’Asti tre «ex partigiani garibaldini»69 furono deferiti (due in stato di arresto ed uno in stato di irreperibilità) poiché responsabili del «disarmo del Maresciallo d’alloggio Riccio Emilio, avvenuto il 14 luglio 1945 a Montegrosso d’Asti».

Segue – L’attività del Centro di raccolta e le epurazioni

«Venne svolta un’indagine (discriminazione) per stabilire le responsabilità individuali di ogni militare durante l’occupazione; peraltro, soprattutto al nord, le forze di polizia erano screditate ed invise, per colpa di quella parte che aveva collaborato col regime nazifascista. L’epurazione fu severa ma non drastica, anche per non farle conseguire una paralisi della burocrazia soprattutto in determinate aree geografiche».70

Così, in un convegno dell’ormai lontano 2004 fu definita le attività dei centri di raccolta e delle relative epurazioni. Le epurazioni del periodo 1943 – 1948 sono oggetto ormai di diverse pubblicazioni71 anche se un focus su quelle relati-

66 Sulla Banca Dati è riportato come “Boby”.

67 Oggi Serravalle Scrivia (AL).

68 Dei tre nominativi due effettivamente risultano come partigiani della brigataAnzani della Divisione partigiana “Pinan Cichero” (uno addirittura come Commissario di distaccamento), il terzo invece non è censito.

69 Dalla Banca Dati risultano tutti e tre appartenenti alla 101^ Brigata Garibaldi.

70 Giancarlo BarBonettI, «L’evoluzione dell’Arma nei primi decenni della Repubblica», Romain H. raInero Paolo alBerInI (cur.) Le forze armate e la nazione italiana (1944-1989)

Atti del Convegno di Studi tenuto a Bologna nei giorni 27- 28 ottobre 2004, Roma, Commissione italiana di storia militare, 2005 pp. 213 – 222 p. 216.

71 Lamberto mercurI, L’epurazione in Italia 1943-1948, Cuneo, L’Arciere, 1988, Marcello flores, «L’epurazione», L’Italia dalla Liberazione alla Repubblica (Atti del convegno di Firenze, 26-28 marzo 1976), Milano, Feltrinelli, pp. 413 e ss., Hans Woller, I conti con il fascismo, L’epurazione in Italia 1943- 1948, Bologna, Il Mulino, Guido melIs, «Percorsi di continuità: l’epurazione nei ministeri», Nicola gallerano (cur.), La Resistenza tra storia e memoria. Atti del Convegno, Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resis-

ve ai Carabinieri Reali ancora non c’è.

Fino al luglio 1945, quindi comunque in un periodo che esula quasi completamente da quello oggetto di questa trattazione, le due commissioni di epurazione previste per l’Arma dei Carabinieri ebbero a dover trattare 1182 appartenenti al Corpo, pari a poco più del 3% del totale72 .

Ed effettivamente il D.S. della Legione di Alessandria riporta, con cadenza quotidiana, il numero dei militari che il centro di raccolta ebbe a identificare, citando in modo certosino, quelli riammessi in servizio, quelli inviati in congedo, e quelli invece da sottoporre alla valutazione per l’epurazione. È possibile quindi, almeno a livello numerico, verificare il numero di Carabinieri effettivamente inviati alle commissioni per l’epurazione, non essendo però a conoscenza dell’esito dei successivi procedimenti.

tenza, Milano, Mursia, 1999, pp. 298 e ss., Edoardo grassIa, «L’8 settembre 1943 e la Regia “fascistissima” Aeronautica», Diacronie. Studi di Storia Contemporanea, N. 25, 1/2016 consultabile all’indirizzo http://www.studistorici.com/2016/03/29/grassia_numero_25/ (URL consultata il 29.01.2022), In senso particolarmente critico sull’operato delle commissioni e sulla sostanziale assenza di discontinuità Davide contI, “Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana”, Torino, Einaudi, 2017. 72 Lamberto mercurI, op. cit. pp. 161 e ss. citato pure in Edoardo grassIa, op. cit. p. 13.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 354

Mese UfficialiSottufficiali TruppaTotale

Maggio144/18

Giugno271322

Luglio/224

Agosto/61925

Settembre/224

Ottobre/123

Novembre////

Dicembre1//1

Totale17223877

Un totale quindi di 77 carabinieri, di vario ordine e grado. Un numero davvero minimale di fronte alle diverse centinaia di carabinieri che si presentarono ai centri di raccolta.

La commissione del Centro di Raccolta era formata da tre ufficiali.73 Presidente il maggiore Mario Benedicti74 («recuperato sul posto»), membri il tenente di complemento MarioAvellini e il sottotenente di complemento Ennio Fiorletta, quest’ultimo con mansioni di segretario.

La scelta di un Ufficiale superiore come Benedicti, partigiano ma soprattutto, alla fine del 1943, già Aiutante Maggiore in 1^ della Legione CC.RR. di Alessandria, forniva una maggiore garanzia sulla fedeltà del personale riammesso. In quell’incarico il maggiore Benedicti poteva aver avuto contezza dell’operato di tutti i Carabinieri della Legione, conoscendo evidentemente quelli eventualmente compromessi con il precedente regime e quindi da inviare a valutazione.

73 aussme, D.S.Alessandria, 6 maggio 1945.

74 Classe 1899, effettivo alla Legione CC.RR. di Alessandria nell’ottobre 1943 con l’incarico di Aiutante Maggiore in 1^, poi datosi alla macchia e unitosi alla Resistenza della 5^ Divisione Autonoma, successivamente, dopo la guerra, arrivò a comandare la Legione Carabinieri di Bologna. Dopo il congedo con il grado di generale di brigata, nel 1963, entrò nell’Abbazia di S. Maria di Finalpia in Finale Ligure (SV), prendendo i voti come frate benedettino e, nel 1967, venendo ordinato sacerdote con il nome di Don Marco. Morì nel 1975. Si vedano Enrico Pagano «Afavore dell’Arma. L’attività nel periodo clandestino di RodolfoAvogadro di Vigliano, questore di Vercelli nominato dal Cln», L’impegno. Rivista di storia contemporanea a. XXXV, nuova serie, n. 2, dicembre 2015, Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, p. 74, la Banca Dati del partigianato piemontese nonché, per il periodo dopo il congedo dall’Arma, https://www.finalpia. it/p.-germano.html (URL consultata il 06.01.2022).

Mentre i due membri rimasero sino al 31 dicembre (salvo assenze fisiologiche dovute a licenze o a periodi di riposo per malattia), a sostituire Benedicti (nominatoAiutante Maggiore in 1^ della Legione CC.RR. di Torino) quale presidente, giunse dal Gruppo di Catanzaro il ten. col. Eraldo Pallone (21 agosto 1945). Quest’ultimo poi, congedatosi il successivo 21 novembre, fu sostituito dal maggiore Pierleone Demichelis, giunto il 7 dicembre dalla Legione CC.RR. di Torino.

Segue – altre attività

Il 5 giugno 1945 fu celebrata, «in forma semplice ed austera» per la prima volta dopo la fine della guerra, la Festa dell’Arma. Anche ad Alessandria una piccola cerimonia militare, alla presenza di militari di ogni grado dei reparti della città, vide la deposizione di una corona d’alloro alla lapide che tutt’oggi, nella caserma G.B. Scapaccino, ricorda i caduti della Legione di Alessandria e in seguito la messa officiata dal canonico reggente la Diocesi di Alessandria (il Vescovo, Mons. Nicolao Milone era deceduto improvvisamente nel marzo precedente ed il successore, Mons. Giuseppe Pietro Gagnor, sarebbe stato nominato solo nell’ottobre 1945) unitamente al cappellano dell’ospedale militare di Alessandria. I discorsi del Comandante della Legione e del celebrante la messa non potevano che risentire del momento di passaggio che l’Italia stava vivendo con il richiamo alle difficoltà passate e una visione verso il futuro che si prospettava comunque ricco di problematiche.

Ripresero anche le visite dei superiori gerarchici ai reparti. Questi momenti, previsti dalle normative dell’Arma quale momento non solo di controllo ma anche di vicinanza al personale che quotidianamente opera sul territorio, iniziarono già nella prima settimana di giugno 1945 quando il Vice Comandante Generale dell’Arma, generale di divisione Leonetto Taddei (1888 – 1970)75 visitò

75 Ufficiale di Fanteria nel 1907, transitò nel 1913 nell’Arma dei Carabinieri. Tra il 1928 e il 1934, col grado di tenente colonnello, fu inviato in Tripolitania ottenendo la nomina a Cavaliere dell’Ordine Coloniale della Stella d’Italia, a Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro, Cavaliere Ufficiale dell’Ordine Coloniale della Stella d’Italia e a Cavaliere Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Colonnello nel 1934 e generale di brigata nel gennaio 1941, fu inviato qualeComandantesuperioredeiCC.RR.inAfricaOrientalevenendopresoprigionieroilsuccessivo 6 luglio. Per il comportamento su quello scacchiere ottenne una M.B.V.M., la nomina a Grande Ufficiale dell’Ordine Coloniale della Stella d’Italia e la Croce al Merito di Guerra per la partecipazione alle operazioni militari nel periodo 1940-1943. Liberato e rimpatriato il 23 agosto 1944, fu promosso nel gennaio 1945 generale di divisione e nominato, il 25 febbraio 1945,Vice Comandante Generale, carica che mantenne sino al febbraio 1952 quando fu

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dapprima la Tenenza di Bra (il 5 giugno)76 per poi recarsi il giorno successivo al gruppo di Cuneo e il 9 e 10 giugno in visita al capoluogo ed alla Legione.

Nemmeno un mese dopo, il successivo 11 luglio, fu il Comandante Generale, generale di divisione Brunetto Brunetti, a venire in visita. Dopo essere stato alla Legione, visitò il Gruppo diAlessandria e la Tenenza di Canelli.

Il 7 novembre 1945, dopo poche settimane dal suo insediamento, anche il nuovo Comandante della Legione, col. Cozzo, iniziò le sue visite. Quel giorno, infatti, si recò ad Asti per visitare quel gruppo, e una settimana dopo anche alla Stazione di Rocca d’Arazzo. Il 19 fu a Novi Ligure, il 22 a Casale Monferrato, il 23 a Villanova d’Asti, il 29 a Tortona, il 30 a Borgo San Dalmazzo, il 1° dicembre alle Stazioni di Tenda e S. Dalmazzo di Tenda, a Fossano, il 22 Dicembre passò per Saluzzo e Cuneo («per impartire a quel comandante di gruppo direttive sul servizio di frontiera»), il 23 dicembre a Mondovì.

Non solo momenti felici: il 18 giugno 1945, a causa di un colpo accidentale, morì l’autista del Comandante del Gruppo di Asti, appuntato Luigi Altana. Per un altro colpo accidentale, il 9 ottobre, l’appuntato Giacomo Ghigo si ferì gravemente al collo.

Il 20 settembre 1945, poi, il Diario riporta la notizia di una sindrome febbrile epidemica (verosimilmente tifica) che, evidentemente già da qualche giorno, aveva colpito i militari di Cuneo. Oltre 30 gli ammalati di cui 18 ricoverati in ospedale in gravi condizioni («febbre oscillante tra i 40 e i 41 gradi»). Già tre giorni dopo si indicò un generale miglioramento delle condizioni e il successivo 5 ottobre, grazie alla cura preventiva del “bilivaccino”, l’epidemia venne dichiarata cessata.

L’8 ottobre un altro Carabiniere, l’ausiliario Alessandro Carpignano, morì all’ospedale civile diAsti dopo essere stato investito da un’autovettura.Analoga sorte al parigrado Elio Petri (della Stazione di Montafia) deceduto, durante un periodo di licenza, all'ospedale militare di Udine.

Tra gli altri compiti istituzionali vi era certamente l’assistenza ai dibattimenti delle aule di tribunale. Così il 2 luglio 1945, a Cuneo, ben 34 militari dell’Arma

collocato nella riserva. L’anno successivo fu eletto al Senato della Repubblica all’interno della compagine del Partito Nazionale Monarchico. Morì a Roma nel 1970. Informazioni tratte da Flavio carBone, «Carabinieri Reali In Colonia: Prime Riflessioni PerAlcune Biografie», Il Politico, vol. 79, no. 2 (236), Rubbettino Editore, 2014, pp 51 – 70 e, per il ruolo parlamentare,latipicaschedaattivitàsulsitodelSenatodellaRepubblicahttps://www.senato.it/leg/02/ BGT/Schede/Attsen/00009570.htm (URL consultata il 13.02.2022).

76 Riattivata solo sei giorni prima.

locale assistettero alla lettura della sentenza con cui la Corte d’Assise straordinaria, condannò a morte (l’esecuzione sarebbe stata eseguita il successivo 12 febbraio 1946) il tenente Ettore Salvi. Non si trattava di un processo come tanti altri e il dispiegamento di forze durante la lettura della sentenza lo dimostrava77 .

Il tenente Salvi, infatti, tra il dicembre del 1944 e la fine della guerra, aveva comandato la 5a Sezione di Polizia Militare aggregata alla Divisione Littorio, con sede in Borgo San Dalmazzo, e aveva ordinato stragi e saccheggi e financo omicidi. Fu ritenuto responsabile, oltre che di alto tradimento, anche di 35 omicidi volontari aggravati.78

Anche in materia di pubblico soccorso fu impiegata l’Arma: il 26 luglio 1945, a Cuneo, si sviluppò un incendio in una caserma ove erano conservate ingenti quantità di materiale bellico. Le fiamme e le esplosioni conseguenti provocarono il crollo o danni ingenti a diverse palazzine con un bilancio di un

77 Le Corti d’assise straordinarie furono istituite dal secondo Governo Bonomi, con il D.L.L n. 142 del 22 aprile 1945, successivamente, con il D.L.L. n. 625 del 5 ottobre 1945 furono soppresse e trasformate in sezioni speciali delle Corti di Assise ordinarie. Avevano sede presso ogni capoluogo di provincia ed erano in grado di comminare anche la pena di morte. Questi organismi erano specificamente preposti a giudicare tutti coloro che avessero commesso atti di collaborazionismo coi tedeschi e specificatamente “coloro che, dopo l’8 settembre 1943, avevano commesso delitti contro la fedeltà e la difesa militare dello Stato (...) con qualunque forma di intelligenza o corrispondenza o collaborazione col tedesco invasore, di aiuto o di assistenza ad esso prestata” (art. 5, D.D.L. 27 luglio 1944, n. 159), inclusi quegli atti ai danni della Resistenza che si configurassero di fatto come un utile appoggio alla occupazione tedesca. Per la costituzione e l’operato delle Corti straordinarie d’assise e, più in generale, per l’attività giudiziaria nei confronti dei militanti del regime di Salò si possono vedere Giuseppe saBatInI, Giuliano VassallI, Il collaborazionismo e l’amnistia politica nella giurisprudenza della Corte di Cassazione: diritto materiale, diritto processuale, testi legislativi, La Giustizia penale, Roma 1947; Luigi BernarDI, Guido nePPI moDona, Sara testorI, Giustizia penale e guerra di liberazione, Milano, Franco Angeli, 1984; Roy Palmer DomenIco, Processo ai fascisti, Milano, Rizzoli, 1996 (ed. orig. Italian Fascists on Trial, 1943-1948, London 1991); Hans Woller, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia, Bologna, il Mulino, 1997; Romanocanosa, Storia dell’epurazione in Italia,Milano,BaldinieCastoldi,1999;MircoDonDI, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Roma Editori Riuniti, 2004; Luca BalDIssara e Paolo PezzIno, (cur.), Giudicare e punire. I processi per crimini di guerra tra diritto e politica, Napoli, L’ancora del mediterraneo, 2005; Toni roVattI, «Politiche giudiziarie per la punizione dei delitti fascisti in Italia», Italia Contemporanea, n. 254, 2009, pp. 75-84 Pier Paolo PortInaro, I conti con il passato: vendetta, amnistia, giustizia, Milano, Feltrinelli, 2011 ed infine Cecilia nuBola, Paolo PezzIno e Toni roVattI (cur.), Giustizia straordinaria tra fascismo e democrazia. I processi presso le Corti d’assise e nei tribunali militari, Bologna, Il Mulino, 2019.

78 Mauro fantIno, Borgo nella Resistenza, Borgo San Dalmazzo, Il mensile di Borgo, 1994 descrive tutte le attività compiute dal Tenente Salvi e dai suoi uomini.

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morto e 4 persone ferite. I Carabinieri accorsi «parteciparono attivamente alle operazioni di soccorso».Analogamente il successivo 6Agosto, a Boves, esplose per autocombustione, il capannone sede di una polveriera. Sette le persone coinvolte (2 morti e cinque feriti).

Il 30 ottobre, nelle montagne sopra Demonte, un C47 Dakota dell’USAAF, pilotato da tale George J. Rice, precipitò in zona impervia. I membri dell’equipaggio morirono nello schianto. I Carabinieri dell’Arma locale piantonarono le salme e si occuparono della loro rimozione79

Un accenno appare doveroso, infine, ai compiti di polizia militare che da sempre contraddistinguono l’istituzione e che, nel contesto dell’immediato dopoguerra ancora comportavano impegno e dedizione. Si è già fatto cenno, nelle attività di polizia giudiziaria, agli arresti per quelli che sono stati genericamente definiti “reati militari”, perlopiù diserzione di militari italiani.

Ma il 9 agosto a cadere nelle mani dei Carabinieri di Savigliano, assieme ad un italiano, fu un soldato sudafricano, tale BillyAnderson. I due, che si sarebbe scoperto essere membri di una banda che ricettava carburante e materiale militare («di pertinenza degli eserciti alleato e italiano»), quella sera a bordo di due motocicli non si fermarono all’alt imposto loro dal sottotenente Aldo Croce, Comandante della locale Tenenza, neppure quando quest’ultimo gli sparò contro ferendoli in modo lieve. Furono fermati poco dopo da una pattuglia e tratti in arresto. Il soldato sudafricano fu «consegnato al corpo di appartenenza».

Il 1° ottobre i Carabinieri di Alba arrestarono l’ex tenente Victor Jarseff, di Firenze per «atti di intelligenza col nemico». Purtroppo, non avendo altri dati, non è possibile comprendere di cosa si tratti nel dettaglio nè tantomeno a quale nemico si faccia riferimento.

Il 13 ottobre, poi, i Carabinieri di Pamparato arrestarono un operaio di Susa, fermato perché… abbigliato da Carabiniere. Indossava infatti «uniforme grigio – verde con alamari, bandoliera e pistola, ed in possesso di falsi documenti di identificazione, certificato di viaggio e scontrino color rosa».

Infine, il 13 dicembre, a Neive, I Carabinieri locali fermarono e riportarono al comando di appartenenza un geniere inglese, che da oltre tre mesi era fuggito dal proprio reparto.

79 L’incidenteècitatoanchedaFabrizioDassano «DisastriaeronauticisulleAlpinord-occidentali», L’Escalina n.1/2014edinunsitodicatalogazionedegliincidentiaerei:https://aircrashitaly.jimdofree.com/some-crash/ (URL consultata il 09.01.2022).

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 360

Conclusioni

È importante rievocare l’operato di una forza di polizia in un periodo così delicato, fluido e particolare come il secondo semestre del 1945 partendo dalla fonte primaria, ancorché certamente “istituzionale” e volendo, anche “di parte”, essendo il punto di vista strettamente dei militari dell’Arma sul territorio.

Il Diario Storico della Legione Carabinieri diAlessandria, nella sua capacità di sintesi, ma al tempo stesso di esaustività dei fatti descritti, permette di ricostruire con non poca approssimazione tutte le difficoltà del caso. A chi indossa quell’uniforme tutt’oggi, non sfuggono, ancorchè nell’enorme differenza del contesto storico e sociale, le analogie con il mondo presente nel modo di gestire le vicende, nei compiti istituzionali condotti e financo nelle difficoltà.

Agli altri, invece, permette di realizzare un’importante panoramica sul periodo, fluido come pochi altri nella nostra storia recente.

La ricostruzione del paese, che proseguirà nel decennio successivo non solo da un punto di vista economico, ma anche istituzionale e sociale, non poteva che ripartire da alcuni punti fermi. Evidentemente la presenza di un forte e Fedele (indipendentemente dalla forma di Stato che avrebbe avuto80) apparato di polizia era uno di questi.

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80 A riguardo non può non rammentarsi il contenuto della famosa circolare, ancora una volta del Comandante Generale Brunetti che, in vista del referendum del 2 giugno 1946, in cui si rammentava ai Carabinieri tutti il carattere di apolicità che aveva sempre contraddistinto l’istituzione. Si veda Vincenzo Pezzolet, op. cit. pp. 63 – 64 e Flavio Flavio carBone, «Studi sulla presenza militare italiana inAfrica: l’istituzione della stazione carabinieri reali diAssab (1883)», Rassegna Storica del Risorgimento, a. 95, fase. 2, 2008.

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De l’école à la rue. Conceptions et pratiques de l’ordre public à la gendarmerie belge (1960 – 1991)

par ElIe teIcHer1

aBstract: This article aims to examine how the Belgian gendarmerie developed different conceptions of public order between the 1960s and the 1990s. The period was characterised by profound upheavals in Belgium, which saw new social mobilizations of students and workers. This new political situation forced the gendarmerie, the main police force in charge of maintaining order, to adapt its concepts, tactics and techniques. This process did not go without creating contradictions and divergences within the force. This article analyses these different adaptations and the debate that they initiated. Based on the archives of the General Staff and the Gendarmerie Documentation Centre (Royal School courses, corps notes, information reports, etc.), as well as on interviews with former gendarmes, it aims to consider how a military corps marked by the SecondWorld War adapted to the new conflictuality of the ‘68s.

key WorDs: PolIcIng; genDarmerIe; DemonstratIons; contentIous PolItIcs

Introduction. L’histoire des polices en Belgique : nouvelles approches et nouvelles sources

Pendant longtemps, l’historiographie consacrée à la gendarmerie belge était réduite à la portion la plus congrue. La grande majorité des ouvrages sur le sujet relevait soit d'analyses à chaud et à thèse, soit d’ouvrages émanant de l’institution elle-même et marqués par une forte dimension apologétique ou publicitaire2. Depuis quelques années, la situation a quelque peu

1 ElieTeicherestdocteurenhistoiredesuniversitésdeLiège(Belgique)etdeLorraine(France).

2 Louis sourIe, La gendarmerie belge : un aperçu historique, Ninove, Anneessens, 1948 ; commanDement général De la genDarmerIe, Histoire de la gendarmerie, 2 vol., Bruxelles, Ghesquière, 1979 ; Benoit DuPuIs, Jocelyne Balcaen et Guido DenIs, La gendarmerie belge : souvenirs d’un corps d’élite, Tournai, La Renaissance du Livre, 2001 ; Jean-Claude Paye, Vers un État policier en Belgique, Bruxelles, EPO, 2000 ; Jos VanDer VelPen, Guère civil :

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changé3. Les travaux pionniers de Luc Keunings sont venus poser les jalons de la compréhension du système policier et ont mis en avant le rôle central occupé petit à petit par la gendarmerie à la fin du XIXème siècle et au début du XXème siècle4. Plusieurs travaux de qualité ont permis de mieux connaître l’institution, en l’étudiant sous des angles particuliers et novateurs : c'est le cas de la gestion des conflits sociaux pendant l’occupation en 1914-1918 et plus largement du rôle de régulation sociale joué par les forces de l’ordre analysé par Antoon Vrints5, de la place occupée par l’institution dans l’évaluation et la répression de la criminalité envisagée par Axel Tixhon6 ou la question de l’épuration de la gendarmerie à la sortie de la Seconde Guerre mondiale analysée par Jonas Campion dans une perspective comparative7. Ces chercheurs ont véritablement renouvelé l’étude des institutions policières et, grâce à leurs recherches, il existe désormais des articles de synthèse historique sur l’appareil policier belge8. Désormais, les lignes de force qui le structurent sont connues.

À partir de la fin du XIXème siècle et jusqu’aux années 1970, la gendarmerie devient donc la force centrale de l’appareil policier. Force militaire et composanteparticulièredesforcesarméesbelges,ellenecessedegagnerenautonomie

de la gendarmerie à la police unique, Bruxelles, EPO, 1998.

3 Il faut d’abord souligner l’important travail effectué par Lode Van Outrive. Ce dernier, sociologue et parlementaire, produit un travail entre la sociologie et le commentaire politique. Les notes qu’il a accumulées au cours de sa carrière ont servi de base pour la publication d’une synthèse qui, malgré son caractère incomplet, offre une première analyse sur le temps long du système policier belge. LodeVan outrIVe etYves cartuyVels, Les polices en Belgique : histoire socio-politique du système policier de 1794 à nos jours, Bruxelles, Vie Ouvrière, 1991.

4 LuckeunIngs, Des polices si tranquilles : une histoire de l’appareil policier belge au XIXème siècle, Louvain-La-Neuve, Presses de l’Université de Louvain, 2009.

5 Antoon VrInts, « Sociaal protest in een bezet land : voedseloproer in België tijdens de eerste wereldoorlog », Tijdschrift voor geschiedenis, vol. 124, n°1 (2011), p. 30 – 47; Antoon VrInts, The theatre of the street: public violence in Antwerp during the first half of the twentieth century, Leiden, Brill, 2020.

6 AxeltIxHon, « L’essor de la gendarmerie belge et la mesure de la criminalité (1841 – 1885) » in Jean-Noël luc (dir.), Gendarmerie, État et société au XIXème siècle, Paris, Publications de la Sorbonne, 2002.

7 Jonas camPIon, Les gendarmes belges, français et néerlandais à la sortie de la seconde guerre mondiale, Buxelles, Versaille, 2011.

8 Jonas camPIon, Margo De koster, Luc keunIngs, Benoit maJerus, Xavier rousseaux et François Welter, « L’appareil policier en Belgique (1830 – 2010) », in Margo De koster, Dirk HeIrBaut et Xavier rousseaux, Deux siècles de justice. Encyclopédie historique de la justice, Brugge, Die Keure, 2015, p. 385 – 419 ; Jonas camPIon, « Stabilité et crises du système policier belge (1830 – 2018) », Lien social et Politiques, n°84 (2020), p. 35 – 59.

et en puissance, faisant de l’ombre aux polices communales. Organisée sur l’ensemble du territoire et possédant également des groupes mobiles dans plusieurs provinces du pays, elle est la force essentielle pour le maintien de l’ordre public pour lequel elle est capable de mobiliser un nombre important de gendarmes en un temps rapide. Plus encore, elle est spécialement formée aux exercices du maintien de l’ordre et possède pour cela un matériel spécifique : canons à eau, gaz lacrymogènes, cavalerie, etc. soit autant d’éléments qui la distinguent souvent des autres forces de police, et notamment des polices communales.

Cetteforcespécifiquereposependantlongtempssurundécret-loidel’époque française en Belgique. À l’indépendance du pays en 1830, la Constitution prévoit une loi qui organise le corps mais celle-ci n’est finalement votée qu’en 1957. Pendant plus d’un siècle, la gendarmerie va fonctionner sans cadre légal clair. Ce n’est plus le cas à partir de 1957 mais la loi vient plutôt entériner un état de fait que réguler ou contrôler davantage le corps. Dans les faits, 1957 est davantage la consécration de l’autonomie de la gendarmerie que son encadre-

Un peloton du 5ème Groupe Mobile (Légion mobile du Brabant) au camp à Bourg-Léopold en 1959. Travail personnel Jean-Pol Grandmont, GNU Free Documentation License.

ment par le pouvoir politique9

Cette place prépondérante occupée par le corps invite le chercheur à interroger son rôle dans le maintien de l’ordre public en Belgique dans les années 1960 et au-delà. En effet, la période constitue une séquence particulière de l’histoire de Belgique qui connait, durant l’hiver 1960-1961, une grève générale d’ampleur contre un projet de lois d’austérité. Le pays est alors touché par des rassemblements et des cortèges de masse quotidiens. Certaines régions vont même être gérées et encadrées par les grévistes, la gendarmerie étant trop peu nombreuse pour les reprendre immédiatement.Au-delà de cet évènement qui oblige les forces de l’ordre à repenser leurs conceptions et leurs méthodes, la fin de la décennie est marquée par un renouvellement de conflits sociaux avec un essor de grèves spontanées, souvent menées par des catégories marginales du salariat (femmes, travailleurs immigrés, jeunes, etc.) qui refusent de se plier aux règles des conventions collectives et de la négociation syndicale. Dans le même temps, la contestation étudiante explose à l’université de Louvain dès 1966 avant d’essaimer, à la faveur des évènements de Mai 68 en France, à Bruxelles, Gand ou Liège. De ces évènements émergent une nouvelle génération de militants de gauche et d’extrême gauche qui participent à de nombreux mouvements sociaux10 .

À partir du mi-temps des années 1970, un changement de contexte se produit avec le reflux de l’espoir des « années 68 » à la faveur de la crise économique. Néanmoins, sur le plan de l’ordre public, de nouveaux problèmes se posent avec une intensification des occupations d’usines, le plus souvent initiées pour refuser les plans de licenciements, parfois sur le modèle autogestionnaire de l’usine LIP en France11. Cette situation continue de caractériser le début des années 1980 alors que la gendarmerie, elle, entre dans une période de crises. En effet, accusée de plus en plus de constituer un « État dans l’État », on lui reproche son immixtion dans les conflits sociaux et la surveillance de militants politiques et/ ou syndicaux. Plus encore, les évènements des « tueurs fous du Brabant », une bande de malfrats qui organisent des braquages dans des supermarchés pour

9 Jonas camPIon, « Maintaining Law and Order in a Democratic and a Pilarised Country: the Belgian Gendarmerie between 1918 and 1957 », Journal of European History of Law, vol. 6, n°1 (2015), p. 68 – 76.

10 Els WItte, Alain meynen et Dirk luyten, Histoire politique de la Belgique de 1830 à nos jours, Bruxelles, Samsa, 2017, p. 365 – 376.

11 Éric geerkens et Ludo Bettens, « Des occupations d’usines à la médiation culturelle », in Nancy DelHalle, Jacques DuBoIs et Jean-Marie klInkenBerg (dir.), Le tournant des années 1970 ; Liège en effervescence, Bruxelles, Les Impressions Nouvelles, 2010, p. 63 – 82.

des sommes dérisoires mais avec un bilan humain effroyable (28 morts en deux ans) attisent les soupçons de tentative de déstabilisation de l’État. La dramatique affaire du Heysel en 1985, durant laquelle une tribune du stade s’écroule suite à des heurts entre supporters anglais et italiens (bilan : 39 morts) accentuent les critiques sur la gendarmerie et le manque de coordination avec les autres forces de police. S’entame alors un lent processus de réforme qui conduit à la démilitarisation de la gendarmerie en 1991. Néanmoins, les forces de police continuent, durant la décennie 1990, à subir le feu des critiques, notamment suite à la dramatique affaire Dutroux, affaire de pédophilie qui marque profondément et durablement la société belge et durant laquelle les forces de police communiquent mal et commettent de lourdes bévues. Cette situation conduit le pouvoir politique à mener une réforme de police qui aboutit en 2001 : la gendarmerie disparait au profit d’une police à deux niveaux, fédéral et local12

À partir de ces nombreux rebondissements et leurs conséquences, le chercheur peut interroger la manière dont l’ordre public et son maintien sont conçus à la gendarmerie. Celle-ci, qui gagne en puissance avant d’être réformée, base ses pratiques sur une série de doctrines et d’idées qu’elle développe dans des cours, des manuels, des règlements et des notes. Élément fondamental de son activité, le rapport de l’arme à l’ordre public peut maintenant être envisagé par les historiens grâce à la collecte et à l’inventaire de nombreuses archives13

Ce questionnement est d’autant plus crucial que l’ordre public est une notion mouvante dont le fondement juridique est peu délimité et qui, in fine, est avant tout d’ordre politique. Tenter de comprendre le développement théorique de la notion d’ordre public et son application dans la rue permet donc d’approcher le rôle que s’assigne la gendarmerie dans la société belge. Force centrale du système policier, nous faisons l’hypothèse que le corps développe une politique particulière du maintien de l’ordre qui traduit les pratiques qu’il entend faire

12 Lode Van outrIVe etYves cartuyVels, op. cit. ; Lode Van outrIVe, La réforme des polices, Courrier hebdomadaire du CRISP, vol. 35 – 36, n° 1580 – 1581 (1997), p. 1 – 50.

13 Jonas camPIon (dir.), Les archives de police en Belgique : des méconnues de la recherche ?, Bruxelles,AGR, 2009. Le projet Napol-Intel dirigé par lesArchives Générales du Royaume a permis de procéder à l’inventaire et à la valorisation de nombreuses archives de la gendarmerie. Plusieurs inventaires ont déjà été publié, utiles pour l’histoire du corps au XXème siècle. Par exemple,Arnaud cHaron, Inventaire des archives de la Gendarmerie. État-major général. Direction supérieure des Opérations (1945-1990), Bruxelles, AGR, 2021 ; Madeleine JacquemIn, Inventaire des archives de la Police fédérale : Centre de documentation et de connaissances (DSEK) (1920-2013), Bruxelles, AGR, 2021 ; Michaël amara et Bernard WIlkIn, Inventaire des archives de la Gendarmerie : État-major (Versements 1973-1989) (1952-1979), Bruxelles,AGR, 2019.

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appliquer dans la rue. Ce sont les contours de cette conception que nous souhaitons mettre en avant afin d’envisager comment une police particulière s’adapte à différents faits sociaux mais aussi, a contrario, comment elle entend faire plier les évènements et les protagonistes en fonction de ses propres considérations.

Pour ce faire, cet article se base sur de nombreuses sources. Outre une enquête très vaste dans les archives policières déjà citées menée dans le cadre de notre thèse de doctorat, et qui permet de mettre en avant des rapports d’activités, des notes, des cours ou des règlements, nous avons également réalisé une série d’interviews auprès de plusieurs anciens officiers gendarmes en place à l’époque. Cette documentation est complétée par une série de sources publiées ou inédites, qu’il s’agisse de mémoires de fin d’études produits par les gendarmes ou d’analyse du maintien de l’ordre publiées à l’époque. Enfin, notre analyse s’appuie sur les récents développements en matière d’histoire des polices, dont nous avons exposé plus haut les jalons.Afin d’aborder nos différents questionnements, l’article se structure en plusieurs parties. La première interroge l’évolution générale des conceptions du maintien de l’ordre sur toute la période. La seconde se penche particulièrement sur deux évènements retentissants qui ont modifié les pratiques au sein de la gendarmerie, à savoir, les grèves de Zwartberg (1966) et la manifestation des lycéens à Bruxelles (1973). La troisième interroge l’image qu’entend construire la gendarmerie dans les années 1970 et le rôle qu’elle octroie alors à ses relations à la presse et aux logiques de dialogue. Enfin, la quatrième et dernière partie revient sur la manière dont cette notion complexe « d’ordre public » a pu diviser le corps en deux camps développant des conceptions et des pratiques distinctes.

Les conceptions de l’ordre public des grèves de 1960-61 à 1989.

Déroute-Durcissement-Remise en question

Le premier évènement de la séquence débute à l’hiver 1960 avec une grève générale d’opposition au projet dit de « loi unique », une série de mesures d’austérité touchant le chômage, les allocations,les retraites, etc. Cette grève générale a lieu dix ans à peine après une autre grève d’ampleur inédite, en 1950, contre le retour du Roi Lépolod III sur le trône, après plusieurs années d’exil à l’étranger suite à son comportement jugé problématique pendant la Seconde Guerre mondiale. En l’espace de dix ans donc, la Belgique connait deux grèves générales, toutes deux avec des pans entiers de territoires contrôlés par les grévistes (essentiellement en Wallonie), où plusieurs manifestants sont tués par la gendarmerie (4 morts lors de la fusillade de Grâce-Berleur en 1950 et 4 morts également

lors des grèves de 1960-1961). Enfin, il faut retenir que ces grèves ont toutes les deux été soutenues par le parti socialiste dont plusieurs figures sont bourgmestres et donc chefs des polices communales. Dès lors, dans plusieurs villes, les polices vont se montrer passives face aux grévistes, obligeant la gendarmerie à redoubler d’efforts14 .

Sans nous attarder sur les évènements, on peut considérer que la gendarmerie subit, en l’espace d’une décennie, deux revers importants qui influencent fortement ses conceptions. Alors que la génération issue de la Seconde Guerre mondiale vieillit et laisse petit à petit place à une nouvelle génération qui n’a pas connu le conflit, les gendarmes des années 1960 sont extrêmement marqués par cette grève qui est jugée presqu’insurrectionnelle. Trois éléments doivent être soulignés. Le premier, c'est l'impact de la violence sur le corps de gendarmerie. Certains gendarmes ont subi de graves blessures et la gendarmerie renforce une vision qu’elle nourrissait déjà : la nécessité d’agir en masse, de ne pas se laisser surprendre et de se soutenir collectivement. En effet, les gendarmes restent marqués par l’ampleur du conflit et l’idée qu’ils ont pu être mis en minorité. L’un d’eux, entré à la gendarmerie à la fin des années 1960 et futur commandant de district de Bruxelles, explique :

« [En 69], à la légion mobile, j’avais encore un cavalier, on l’avait émasculé pendant les grèves de 60 et ça, ça marque quand même ! Tout le monde le connaissait, tout le monde savait ce qui lui était arrivé »15 .

Un autre surenchérit, estimant que l’impact n’a pas seulement été présent chez les gendarmes, mais également au sein de la classe politique :

« La situation de 60 dans les yeux du pouvoir politique de l’époque était une situation pré-insurrectionnelle et ça a continué, il a fallu dix-vingt ans avant d’évacuer ça ! »16

En second lieu, la gendarmerie, au vu de l’attitude de certaines polices communales, estime ne pouvoir plus compter que sur elle-même en cas d’importants conflits. Le pouvoir politique lui emboîte le pas. Dans les années qui suivent, les achats de matériel visent à un renforcement de la capacité des gendarmes à maintenir l’ordre : les arroseuses sont renouvelées, les transmissions radio sont modernisées et les premiers hélicoptères sont acquis par l’arme, autant d’élé-

14 Serge Deruette, « Masses rebelles : l’été ’50 et l’hiver ‘60 », inAnnemorellI (dir.), Rebelles et subversifs de nos régions : des Gaulois jusqu’à nos jours, Charleroi, Couleur Livres, 2011, p. 218 – 240.

15 Elie teIcHer, Première interview de Pol Marchoul, Molenbeek, 16 juin 2019.

16 Elie teIcHer, Interview de Gil Bourdoux, Liège, 5 mars 2020.

ments fondamentaux afin d’encadrer des conflits de masse17. Enfin, au-delà de la question matérielle, la gendarmerie va faire reposer son action sur sa capacité à appréhender de pareils évènements. Elle a subi deux revers en dix ans : sa réputation d’arme d’élite ne peut être remise en question et elle doit affirmer sa capacité à faire face à l’adversité. Un ancien officier le rappelle : « Faut bien garder à l’esprit que les grèves de 1960 ça a quand même marqué toute une génération. Alors pendant les grèves de 1960 on obéissait presqu’aveuglément aux ordres qu’on recevait… On était de la chair à canon parfois aussi hein mais on obéissait aveuglément et force devait rester à la loi. […][ A la sortie des grèves de 60] on n’aurait pas permis que les syndicats, pour les citer, ne reprennent le dessus »18 .

Force doit rester à la loi, c’est plus que jamais le credo de la gendarmerie en matière d’ordre public. Alors que la décennie 1960 est marquée, dans les démocraties occidentales, par une multiplication des manifestations et des formes d’action dans la rue19, l’absence de tolérance des forces de l’ordre face à certains petits illégalismes crée parfois des situations d’escalade violente. En Belgique, la gendarmerie n’est pas prête à suivre un modèle de tolérance relative, tant l’impact des grèves influence ses perceptions.

Plus encore, afin de pouvoir contenir de futurs évènements similaires, le pouvoir exécutif (dans lequel se trouve pourtant désormais le parti socialiste) décide de prendre une série de nouvelles lois qui répriment plus durement les conflits sociaux. Ces lois sont connues sous le nom de « lois du maintien de l’ordre ». La première aggrave fortement les infractions aux arrêtés de police pris en vue de maintenir la paix publique, avec des peines de prison allant jusqu’à 3 mois ; la seconde permet au gouvernement de transférer l’autorité des bourgmestres sur la police aux gouverneurs de province dans le cas où ils ne feraient pas usage de leur autorité ; la troisième permet de réquisitionner les personnes nécessaires afin de garantir les prestations d’intérêt public et la quatrième accentue fortement la notion de sabotage et alourdit les peines qui y correspondent. Votées en 1963, ces lois sont toujours d’application aujourd’hui20. À l’époque pourtant,

17 ChristiantoumPsIn etYves Du BoIs, Les véhicules de maintien de l’ordre (1919 – 2019), Brochuredumuséedelapoliceintégrée,2009;JocelyneBalcaen,BenoitDuPuIs etGuidoDenIs, La gendarmerie belge, op. cit., p. 59.

18 Elie teIcHer, Première interview Pol Marchoul, op. cit.

19 Olivier fIllIeule et Donatella Della Porta, « Variation de contexte et contrôle des mouvements collectifs », in Olivier fIllIeule et Donatella Della Porta, Police et manifestants : maintien de l’ordre et gestion des conflits, Paris, Presses de Sciences Po, 2006, p. 21.

20 Julien DoHet, « Au gouvernement, pour faire quoi ? Le rôle des ministres socialistes dans

Staking Vlaamse studenten te Leuven, een Waalse student toont zijn kaart en mag de Universiteit binnen18 janvier 1968, Roon Krof (Anefo), NationaalArchief, FotocollectieAnefo) 2015, N. 921-0008.

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certains futurs officiers de gendarmerie les jugent insuffisantes. Ainsi Pol Marchoul, futur commandant de district de Bruxelles, écrit, dans son mémoire de fin d’étude de 1971, que la situation révèle une « peur presque maladive de la limitation du droit de grève par le pouvoir ». Il conclut : « En somme rien n’a été changé, le rajeunissement des textes aurait pu intervenir d’initiative sans que les grèves [de 60-61] fussent invoquées.Aucune leçon n’en a donc été tirée » 21. Le jugement est sévère mais révèle bien le traumatisme qui traverse la gendarmerie : celle-ci ne réclame pas seulement des moyens matériels, elle souhaite voir se développer une législation autrement plus sévère que ce qui a déjà été voté et qui a, pourtant, créé de vives protestations.

Afin de pallier à cette dimension légale jugée insuffisante, la gendarmerie joue un rôle proactif dans les conflits sociaux de la séquence, notamment par une collecte fine du renseignement dans les milieux syndicaux. Par ailleurs, après les grèves de 60-61, le mouvement ouvrier connait un certain reflux durant plusieurs années et le nombre de grèves baisse fortement. En 1966, quand éclate un important conflit ouvrier dans les mines du Limbourg, la gendarmerie agit en masse et violemment, précisément nourrie de la conception qu’il faut nécessairement empêcher l’adversaire de gagner et d’occuper le terrain, ici, le carreau de la mine. Faisant face à des grévistes violents, les gendarmes choisissent l’escalade. L’opération se solde par une nouvelle fusillade : 2 morts (et un troisième qui, blessé et handicapé au moment des faits, mourra des séquelles de ses blessures quelques années plus tard)22. La gendarmerie est remplacée par l’armée pour la fin du conflit mais continue, dans les années suivantes, à appliquer cette logique de confrontation directe et d’occupation. Le pouvoir politique réagit peu : la séquence est marquée par un renouvellement de l’agitation.

C’est le cas lors du mouvement étudiant dans les universités de Louvain et de Bruxelles. Dans cette dernière, l’entrée de la gendarmerie sur le campus en décembre 1968 et en avril 1970, suite à des des mouvements étudiants de protestation, provoque à chaque fois une flambée inédite de violences, les étudiants estimant que le campus constitue une « zone neutre » où la police ne peut s’introduire. En 1969, les gendarmes entrent armés dans l’usine Citroën de l’établissement des lois sur le maintien de l’ordre en 1963 », Analyse IHOES, n°75, 30 décembre 2010.

21 Pol marcHoul, Influence du maintien de l’ordre sur la législation, mémoire de licence en criminologie, inédit, ULB, 1971, p. 34 – 35.

22 Bruxelles, Archives Générales du Royaume (AGR), Archives de la Gendarmerie, Carnets d’État-Major, janvier/février 1966. Bruxelles,AGR, Gendarmerie : centre de documentation, Bulletins d’informations, janvier-février 1966.

Forest à Bruxelles afin d’y extraire une soixantaine de grévistes non-reconnus par les syndicats. Un large mouvement de protestation voit le jour contre une immixtion des forces de l’ordre dans les conflits sociaux. Des évènements de ce type se répètent pourtant, initiant l’image d’une gendarmerie qui n’hésite pas à s’imposer dans les conflits et à ne pas tolérer les actions protestataires qui ne se plient pas strictement au cadre de la loi23 .

Ces différentes situations découlent de la conception qui domine et est enseignée à la gendarmerie à l’époque :

« L'ordre public est l’état de paix qui résulte de la soumission aux lois.

Par lois, nous entendons non seulement les lois proprement dites, mais aussi les décrets, les règlements et les ordonnances de police.

Lorsque les lois sont généralement observées, on peut dire que l’ordre règne dans l’État.

Toutefois, la paix publique n’est réellement troublée que lorsque des actes d’une certaine nature, ampleur ou gravité sont commis, en violation des lois.

La nature même des actes est déterminante ; en effet, une infraction pénale individuelle, aussi grave soit-elle, ne portera pas nécessairement atteinteà l’ordre public, alors qu’un événementmoins grave, mais de nature collective - manifestation émeutière - troublera toujours plus ou moins la paix publique.

La Gendarmerie est notamment chargée d’assurer l’ordre (Loi, Art 1) et doit remplir cette mission conformément à la loi et au respect des libertés garanties aux citoyens par la Constitution »24 .

Ce que cette définition révèle, c’est le caractère discrétionnaire de la gendarmerie dans la circonscription de ce qui trouble ou non l’ordre public. Les adverbes en témoignent : « généralement », « réellement » ou encore la notion de « troubler plus ou moins la paix publique ». À chaque étape de la définition, c’est bien le discernement des officiers de gendarmerie qui détermine si oui ou non une situation trouble l’ordre public, tant les lois ne peuvent envisager l’ensemble des situations susceptibles de se produire dans l’espace public. Or, la gendarmerie insiste avant tout sur le caractère collectif des troubles à l’ordre public. Dans l’esprit de l’arme, l’ordre public est avant tout un ordre politique, basé sur la limitation de l’étendue de la conflictualité sociale acceptée par les forces de l’ordre. Si les questions individuelles sont moins susceptibles de trou-

23 Elie teIcHer, « Une brèche dans le système belge de relations collectives ? Les grèves à Citroën-Forest (1969 – 1970) », Le Mouvement Social, n°278 (janvier 2022), p. 89 – 113.

24 Bruxelles,AGR, Centre de documentation de la police fédérale, 240, RèglementA91 « Openbare Orde », 1965, p. 3.

bler l’ordre public, c’est bien parce que la gendarmerie envisage avant tout son rôle de maintien de l’ordre comme celui qui vise à endiguer grèves, manifestations et autres modes de protestation sociale et politique mais toujours collective. Cette dimension apparait fréquemment dans les documents de l’arme qui rappelle combien ce sont toujours les foules qui sont les plus susceptibles de troubler l’ordre public. Dans les cours donnés aux recrues, cette dimension est soulignée :

« une infraction pénale, même grave, mais à caractère individuel, - un meurtre par exemple - , peut ne pas influencer l’ordre public. Par contre, un évènement moins grave, mais à caractère collectif – par exemple une manifestation tumultueuse en public – troublera toujours plus ou moins fortement la tranquillité publique »25

C’est ce type de considération qui domine toute la période. Il faut attende la seconde moitié des années 1980 pour que s’entame un processus lent de remise en cause de cette doctrine particulière dans les cours donnés aux recrues et aux officiers de gendarmerie. En, effet, en 1989, les choses ont changé. La gendarmerie se veut plus nuancée et plus pédagogique. Elle l’annonce dès les premières pages de ses cours :

« Il est à peu près impossible de donner une définition concrète et précise du concept « d’ordre public » : trop de situations sociales appartiennent au domaine de l’ordre public, si bien qu’une telle définition serait presque automatiquement incomplète et sujette à caution. De là découle la nécessité pour nous de ne décrire la notion « d’ordre public » qu’en termes généraux »26

Entre le début des années 1960 et la fin des années 1980, une mutation s’est donc opérée au sein de la gendarmerie, mutation qui précède les véritables bouleversements que sont la démilitarisation (1991) et finalement la disparition (2001). Pour comprendre ce glissement progressif, il faut s’arrêter sur plusieurs évènements déjà évoqués, les mettre en perspective avec les réactions du corps et du pouvoir politique afin d’identifier les tensions qui ont animé les logiques de maintien de l’ordre.

25 Ixelles, Gendarmerie, École Royale, Ordre public (section recrues), août 1961, p. 6.

26 Bruxelles,AGR, Centre de documentation, Ecole Royale de Gendarmerie, Ecole des sous-officiers subalternes, Police administrative et maintien de l’ordre, février 1989.

Zwartberg 1966 et Bruxelles 1973 : conséquences multiples de la répression violente

Dans la séquence que nous avons identifiée, les évènements de Zwartberg en 1966 forment un tournant. Depuis 1960-1961, la gendarmerie n’avait plus été confrontée à des conflits sociaux d’ampleur. Sa crainte d’être mise en difficulté ou en minorité n’avait alors connu aucun moment de concrétisation. Or, 1966 vient au contraire rappeler aux gendarmes la capacité de protestation massive des travailleurs. La répression est brutale. Dans les années qui suivent, il est désormais clair pour les gendarmes qu’il faut augmenter les capacités d’intervention. À Zwartberg, les gendarmes ont mobilisé en masse. À partir de cette expérience, ils modifient leurs pratiques. Alors que dans l’après grève de 19601961 le nombre moyen de gendarmes par service d’ordre avait un peu augmenté (on était passé d’environ 10 à environ 20 gendarmes par évènement), l’après grève de 1966 constitue une véritable multiplication du personnel par service d’ordre : en 1967, plus de 50 gendarmes sont mobilisés en moyenne par service d’ordre, nombre qui continue d’augmenter pour atteindre une septantaine d’unités entre 1968 et 1971 avant que les chiffres ne se stabilisent autour d’une trentaine de gendarmes par service d’ordre jusqu’au début de la décennie 198027

À la faveur des mouvements sociaux qui débutent en 1966 et se prolongent au début des années 1970 (mouvements dans les universités, grèves dans le Limbourg en 1970, grève des dockers en 1973, etc.), la gendarmerie réoriente son comportement par une massification du maintien de l’ordre qui vise à imposer sa présence au public par une occupation du terrain la plus forte possible. Cette politique a pour objectif de ne pas laisser d’espace et de temps à l’adversaire. La séquence est marquée, au moins jusque 1973, par cette nécessité d’imposer sa loi aux protestataires. Si des marges de négociation existent, elles sont très restreintes. Manifestants comme grévistes doivent se plier directement aux injonction des gendarmes. Dans le cas contraire, ces derniers n’hésitent pas à employer la force, au nom de la loi.

Cette logique va connaitre un grand moment de remise en cause en 1973. Cette année-là, de nombreux lycéens belges sont dans la rue contre le projet de loi du ministre de la Défense Nationale, Van den Boeynants. Le projet prévoit un renforcement de l’armée et de la gendarmerie mais, surtout, il entend supprimer le sursis dont bénéficiaient les étudiants avant de faire leur service militaire. Un intense mouvement social se développe et une forte agitation gagne les lycées.

27 Bruxelles,AGR, Gendarmerie : Centre de documentation, statistiques de la gendarmerie dans les rapports d’activités, 1960 – 1981.

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Les manifestations sont régulières et massives et les jeunes qui protestent le font de manière tapageuse, parfois sans autorisation. Dans un climat où ce sont précisément les forces de l’ordre et leur rôle « d’embrigadement » qui sont dénoncés par les manifestants, la situation est tendue et plusieurs cortèges donnent lieu à des violences policières, alors que les manifestants dirigent parfois leur colère contre les centres d’information de l’armée dont ils brisent les vitres. Lors d’une manifestation bruxelloise, et alors que les lycéens effectuent un sit-in à même la rue, ils sont chargés par la gendarmerie à cheval28 .

Or, à cette époque, les gendarmes cavaliers sont toujours armés du sabre. En effet, la cavalerie de la gendarmerie belge, décimée pendant la Seconde Guerre mondiale, s’était petit à petit reconstituée et avait été utile pendant les grèves de 1960-1961. Son armement n’avait jamais été remis en cause depuis, d’autant plus qu’elle restait peu utilisée jusqu’au début des années 1970, la nouvelle génération de gendarmes de l’après-guerre lui préférant l’infanterie et le matériel motorisé et technique comme les arroseuses ou les jeeps. Le corps avait donc procédé à une mise en avant de la cavalerie dès le début des années 1970 afin de pousser davantage à son utilisation et à sa rentabilité. C’est dans ce contexte que des étudiants sont chargés sabre au clair en janvier 1973. Plusieurs d’entre eux en sortent blessés, même si les gendarmes frappent avec le plat du sabre. Dans les milieux militants, c’est l’émoi : la gendarmerie se permet, à une époque d’ouverture et de modernité, de charger au sabre des adolescents. Les directives sont alors prises pour éviter l’escalade, le sabre est immédiatement remplacé par la longue matraque pour les cavaliers. Et le corps insiste auprès de ses membres sur une utilisation proportionnée de la force : il ne faut jamais utiliser la violence pour blesser mais pour faire respecter l’ordre29. Mais cette ambiguïté continue de provoquer des évènements parfois violents, tant la décision d’intervention et la menace pour l’ordre public est laissée à la discrétion des officiers de gendarmerie responsables sur le terrain.

28 Bruxelles,AGR, État-Major, DSO, Bulletin modèle V, manifestation des lycéens, rapport, 24 janvier 1973 ; Bruxelles,AGR, Etat-major, DSO, Lettre du lieutenant Général Denève au ministre de l’Intérieur Edouard Close, 16 février 1973 ; Lettre de PaulVanden Boeynants àW.P., 16 février 1973.

29 Bruxelles, AGR, Etat-major, DSO, Note aux unités, Utilisation de la matraque cavalerie, 6 mars 1973.

Manifestations à Bruxelles contre la loi unique, voitures blindées Greyhound de la gendarmerie alignées aux points stratégiques, 3 janvier 1961 (Archives Nationaux des Pays-Bas). Collectie /Archief : FotocollectieAnefo Reportage / Serie : [ onbekend ] Beschrijving : Demonstraties in Brussel tegen de Eenheidswet, pantserwags opgesteld bij strategische punten Datum : 3 januari 1961

Locatie : Brussel

Trefwoorden : DEMONSTRATIES, PANTSERWAGENS Fotograaf : Pot, Harry / Anefo

Auteursrechthebbende : NationaalArchief Materiaalsoort : Negatief (zwart/wit)

Nummer archiefinventaris : bekijk toegang 2.24.01

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L’image de la gendarmerie, un enjeu central des années 1970 : relations avec la presse et logiques de dialogue

1973 initie une certaine réflexion. À partir de cette date, la gendarmerie, qui avait déjà conscience de sa force et qui entendait imposer l’image d’un corps sûr de lui-même et auquel il faut faire confiance, comprend davantage que cette position ne peut être rendue possible si les bavures telles que celle ayant eu lieu à la manifestation des lycéens se répètent. Dans cette perspective, les gendarmes vont insister sur deux dimensions pendant la décennie. La première consiste en l’amélioration de leur image auprès des citoyens. Un des vecteurs privilégiés doit alors être la presse et les mass-médias où la gendarmerie doit être présente afin d’expliquer son action et de présenter une dimension rassurante. En pleine période d’expansion de la télévision, les gendarmes souhaitent profiter de ce vecteur afin de toucher le plus large public possible. Dès la fin des années 1960, la gendarmerie insiste sur la nécessité de se montrer respectueux à l’égard des journalistes, notamment lors des services d’ordre. Elle initie la pratique de la constitution de « détachement presse », une unité de gendarmes sous la direction du commandant du service d’ordre qui doivent être en contact étroit avec les journalistesdepresse30.Malgrécela,lesbavuresenverslesjournalistesperdurent et plusieurs notes rappellent, durant les années 1970, la nécessité de laisser travailler correctement les journalistes et d’exposer aux gendarmes la législation et les procédures à respecter sur le sujet. Pour le corps, il en va du récit qu’il va être capable de produire sur un évènement d’ordre public. En effet, les journalistes qui couvrent ces évènements sont souvent les mêmes au fil des cortèges et entretenir avec eux des relations cordiales, voire amicales, constitue un enjeu de taille. Car les journalistes ne peuvent être témoins que d’une partie des évènements et se tournent alors vers d’autres protagonistes avant de produire leurs articles. Lorsqu’ils sont en bons termes et qu’ils ont une bonne image de la gendarmerie, la version que celle-ci va pouvoir livrer des évènements, et notamment des éventuelles violences, se retrouve reproduite dans la presse. Si les gendarmes se montrent brutaux avec les journalistes, c’est au contraire un récit en leur défaveur qui risque d’émerger, les isolant alors davantage et ternissant leur image. L’enjeu est d’autant plus grand à une époque où les caméras restent réduites et où, bien évidemment, les téléphones portables n’existent pas. Par ailleurs, nouer une relation de proximité avec des journalistes permet aux gendarmes d’obtenir une autre source d’informations. Cet élément est fondamental à une époque où

30 Bruxelles, AGR, Gendarmerie, Centre de documentation, Note aux unités : relations avec la presse, 21 mai 1969.

les réseaux sociaux n'existent pas. Un ancien officier de gendarmerie se rappelle d’ailleurs très bien des journalistes avec lesquels il était en contact :

« La presse hein ! Bon là, fatalement quand j’avais le maintien de l’ordre, on tombe toujours sur les mêmes journalistes. Moi j’avais des contacts avec René Haquin à l’époque, avec la Gazet Van Antwerpen, Hans Deridder, Het Laatste Nieuws, donc y avait toute une série de gens avec qui j’étais en contact. On avait des informations et ils nous donnaient des informations. […]Avec certains journalistes on faisait un débriefing après la manifestation. Et donc avant d’écrire leur article ils téléphonaient. Et si y avait quelque chose qui s’était passé ils demandaient des explications avant d’écrire leur article et ça vous ne pouvez avoir que si vous avez une relation de confiance avec les journalistes. Et comme c’était souvent les mêmes mais après un certain temps… J’ai fait ça souvent avec JeanClaude Defossé. »31 .

Cette décennie est véritablement celle de la prise en conscience du rôle central que jouent les journalistes dans la construction d’une image des forces de l’ordre dans l’opinion publique. Un bon commandant de service d’ordre doit doncavoirentêtecettedimensionincontournable:plusieursnotesoùl’État-major insistent sur la nécessité de respecter les journalistes32 .

En interne aussi, l’objectif de la gendarmerie vise à mieux se faire connaitre afindecasserl’imaged’uncorpsrépressif,gardeprétoriennedupouvoir,qu’elle nourrit auprès d’une partie de la population. C’est en partie le travail du centre de documentation de la gendarmerie. Créé en 1964, il se développe durant les années 1970 et diversifie sa bibliothèque et ses activités. Le but consiste à tisser des liens avec d’autres centres d’archives et bibliothèques afin de diversifier les collections mais aussi d’augmenter les contacts avec le monde extérieur. Dans une perspective davantage publicitaire, un musée de la gendarmerie voit doucement le jour au début des années 1970. En 1974, il est reconnu par le ministre avant de changer de nom en 1976 et devenir Centre d’Histoire et des traditions de la gendarmerie33. C’est dans ce mouvement qu’est publiée en 1979-1980, une monumentale histoire de la gendarmerie. En deux volumes, illustrée par de nombreuses planches, elle célèbre le corps et entend démontrer sa longévité, sa

31 Elie teIcHer, Interview de Pol Marchoul, op. cit.

32 Bruxelles, AGR, Gendarmerie, Centre de documentation, note de Van Wanzeele aux unités, Contacts avec la presse, 29 octobre 1975.

33 Benoit mIHaIl et Anna francIs, « Centre d’histoire et de traditions ou service historique : l’héritage de la gendarmerie entre musée et dépôt d’archives », in Jonas camPIon (dir.), Les archives…, op. cit., p. 51 – 64.

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force et sa respectabilité34

Le second mouvement est en lien avec le premier. Il consiste à initier des procédures de dialogue avec les protestataires. Plusieurs notes du commandement insistent sur cette dimension dans les années 1970. Ce sont essentiellement les syndicats qui sont concernés, eux qui constituent des interlocuteurs centraux dela négociationsocialeenBelgique.Lagendarmeriedesannées 1970 se donne alors un rôle à jouer dans les conflits sociaux, celui de mettre les acteurs autour de la table et de les pousser à la discussion. Un rôle d’arbitrage et de modération qui placerait le corps au-dessus des protagonistes. L’enjeu est de taille : outre la possibilité de régler un conflit sans violence, il permet aussi d’accélérer le processus lors d’une grève alors que celle-ci coûte des moyens à la gendarmerie qui ne peut alors pas les investir ailleurs. Forcer la négociation, c’est aussi libérer les gendarmes qui surveillent en permanence les lieux d’une grève :

« Ce que j’ai fait une ou deux fois c’est mettre les gens sur terrain neutre et moi en civil autour d’une table dans un établissement. On boit une chope, on parle et on dit : que se passe-t-il ? [le conflit] dure depuis 6 semaines et il n’y a pas de progrès.Vous ne parlez plus avec le patron ! Et moi j’ai souvent joué l’intermédiaire social et ça a fonctionné. Quand ça n’avance pas je dois mettre des gendarmes très tôt et très tard qui ne font que surveiller et pendant ce temps-là ils ne peuvent pas faire les autres tâches du coup j’essaye de stopper le conflit car je dois mettre mes gendarmes sur le terrain pour rien. Donc je mets les gens autour d’une table et je dis allez expliquez-vous et on arrive à une solution, on stoppe avec les bagarres et le non-parler et on discute »35 .

Cette situation de mise en avant du dialogue ressort des propos de plusieurs officiers de l’époque. Néanmoins, elle se fait à des degrés divers. En effet, pour que le dialogue ait lieu, il faut que les syndicats acceptent de s’y prêter et ne voient pas dans la gendarmerie une aide ou un soutien du patronat. Les gendarmes doivent donc apprendre à nouer des liens et des relations avec certains délégués syndicaux. Mais lors des conflits particulièrement difficiles, où les ouvriers présentent des actions illégales ou occupent leur lieu de travail, la gendarmerie fait systématiquement primer ses conceptions (force doit rester à la loi) sur les nécessités de la négociation. Elle apparait alors, aux yeux des grévistes, comme étant du côté du patron.

Progressistes versus conservateurs ?

Quand la notion d’ordre public divise la gendarmerie

Devant ce constat, l’analyse des évènements permet au chercheur de déterminer deux lignes de conduites qui structurent les mentalités des officiers de gendarmerie à l’époque, une ligne conservatrice et une ligne progressiste. La première met en avant le dialogue mais le borne au strict respect de la loi et des règles fixées par la gendarmerie. Si celles-ci sont outrepassées, les gendarmes auront alors tendance à intervenir. La seconde ligne estime que les logiques de dialogue peuvent dominer et qu’il faut savoir se montrer compréhensifs face à de petits illégalismes afin d’éviter une escalade de la violence dans les conflits sociaux. Ces deux lignes différentes cohabitent et représentent deux définitions différentes de l’ordre public : la première, basée sur l’axiome « force doit rester à la loi », estime que ce qui est perçu comme le moindre « trouble » ne peut être toléré sous peine de passer pour « laxistes ». La seconde estime que la tolérance à certains faits permet d’augmenter le crédit des gendarmes et de démontrer qu’ils peuvent occuper une position de neutralité dans les conflits sociaux. Leur capacité d’arbitre de la négociation en est alors plus grande. Maintenir l’ordre public est ici davantage perçu comme un processus relationnel avec les protestataires que comme un mouvement d’application mécanique de principes légaux. Cette tension entre deux camps traverse toute la décennie 1980.Ainsi, un représentant du second courant explique :

«

À l’époque il y avait des grosses manifestations au Limbourg, à Hasselt avec la fermeture des mines, je suppose que c’était en 1989 je ne sais plus exactement et il y avait un local syndical qui avait été occupé et saccagé par 300 mineurs armés jusqu’aux dents. Et j’avais comme mission de manu militari faire évacuer le bâtiment et la situation était telle que si je l’avais réalisé manu militari il y aurait eu des morts. Et donc j’ai été en contact, j’ai négocié et j’ai réussi cette négociation heureusement et j’ai raccompagné le groupe j’avais aussi un dispositif d’escorte à l’extérieur, j’ai raccompagné le groupe vers leurs parkings et vers leurs bus. Mais à l’époque l’officier adjoint du commandant de groupe n’était pas du tout satisfait et m’avait rappelé à l’ordre pour me réprimander par rapport à cette approche et le fait que j’avais été en négociation. Et c’est son supérieur, le commandant de groupe qui m’a félicité et qui a compris que c’était la méthode qu’il fallait employer »36

La gendarmerie est alors divisée entre partisans de la manière forte et ceux

Elie teIcHer, Interview de Johan Teirlinck, La Hulpe, 20 février 2019.

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qui se rendent comptent qu’une certaine tolérance et une pratique du dialogue et de la négociation permettent d’éviter les violences.Ainsi, Johan Teirlinck est un des officiers initiateurs de la « gestion négociée de l’espace public », philosophie d’approche du maintien de l’ordre qui se base entre autres sur une grande communication, une négociation permanente entre les divers protagonistes et une tolérance plus grande face aux petits illégalismes. Cette philosophie, initiée dans les années 1990, finit par être adoptée par la police fédérale au début des années 2000 et constitue encore aujourd’hui la base théorique sur laquelle repose la philosophie de l’ordre public en Belgique37. Il n’empêche que cette approche, dans les années 1970 comme aujourd’hui, pose un certain nombre de problèmes lorsque les contestataires refusent catégoriquement la négociation où qu’ils ne sont pas considérés comme des interlocuteurs valables par les forces de l’ordre.Ainsi, si l’accent sur le dialogue fut dirigé, dès les années 1970, vers les organisations syndicales, les actions de celles-ci, lorsqu’elles sortaient du cadre fixé par les gendarmes, entrainaient rapidement un durcissement des pratiques. Quant aux organisations davantage marginalisées politiquement, possédant peu de relais institutionnels, à l’image des organisations d’extrême gauche, le dialogue devenait très tendu et souvent peu appliqué, tant la gendarmerie reste persuadée que ces groupes sont générateurs de violences ou de troubles. Récemment encore, les protestations des gilets jaunes en Belgique ont donné lieu à un raidissement des forces de l’ordre qui sortait clairement du cadre de la philosophie de la gestion négociée de l’espace public, tant il était difficile pour les policiers d’entrer en contact avec ces protestataires.

Ces exemples révèlent combien la distance entre la théorie d’une philosophie policière et sa mise en pratique dans la rue peut parfois être importante. Si la police belge a développé une conception plus souple de la gestion du maintien de l’ordre que son voisin français, et qu’elle a notamment banni une série d’armes et de moyens spéciaux jugés trop violents, les pratiques policières peuvent rester marquées par la brutalité, tant l’attitude des policiers dans la rue dépend bien évidemment de la philosophie et des cours transmis par le corps, mais aussi des perceptions des policiers sur le terrain, de l’historique des relations entre les forces de l’ordre et les groupes protestataires et de l’évolution des interaction lors de l’évènement lui-même38. Soit autant de données qui re-

37 François Welter, « L’occupation et la gestion négociée de l’espace public : ou comment concilier revendications sociales et maintien de l’ordre », in Dynamiques, n°2 (juin 2017).

38 Pour une présentation des différents niveaux d’analyse, voir Olivier fIllIeule et Danielle tartakoWsky, La manifestation, Paris, Presses de Sciences Po, 2008.

Staghound (Rijkswacht) Gunfire. Museum Brasschaat 13-03-2021. (BehermanDemoen Engineering), Belgian military police Rijkswacht Gendarmerie. Photo taken at the Royal Military History Museum, Brussels, Belgium

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lèvent de l’évènement et qui échappent à la seule dimension théorique mais demandent au contraire une habitude aux entrainements collectifs, à la cohésion, la connaissance des protestataires et la résistance à de longs services d’ordre parfois éprouvants.

En conclusion, l’évolution des conceptions de la police des foules et de l’ordre public s’accélère à la fin des années 1970. À cette époque, une série de ministres socialistes vont se succéder au ministère de l’Intérieur et promouvoir des personnalités qui, au sein de la gendarmerie, insistent davantage sur les droits de l’homme et le respect du citoyen plutôt que sur la dimension répressive. Ce processus est lent mais fait émerger davantage de collaboration entre fonctionnaires, gendarmes et policiers. Lors de la longue période de ministres de l’Intérieur catholiques (1981 – 1988), bien qu’une série de personnalités de la période précédente sont écartées, la parenthèse n’est pas pour autant fermée et l’idée d’une meilleure collaboration des forces de police et d’une ouverture de la gendarmerie vers l’extérieur se perpétue sous la houlette de Nothomb qui crée l’Institut Supérieur de Police en 198439. L’instrumentalité de la gendarmerie, pourtant jusque-là perçue comme particulièrement autonome, se pose alors plus nettement. Si le corps reste proche de toute une série de personnalités politiques, les problèmes de maintien de l’ordre d’une part, d’augmentation de la criminalité d’autre part et de l’apparition du terrorisme40 enfin poussent le pouvoir politique à réfléchir un processus à l’organisation et à l’usage qu’il faut faire du corps, notamment en s’inspirant des polices étrangères. Dans cette perspective des voyages sont organisés en Suisse ou aux États-Unis41. Les gendarmes restent très impliqués dans ce processus et parviennent à consolider leur position. Dans un climat terroriste, ils réussissent à obtenir plus de moyens et à conserver la ligne « autoritaire »42 .

Néanmoins, la frange « progressiste » demeure présente et le drame du Heysel rebat quelque peu les cartes. L’autorité politique constate les manquements

39 Alain guIllaume, « La police retourne à l’école : se former pour mieux prévenir », Le Soir, 26 novembre 1984.

40 En effet, en 1984, le terrorisme d’extrême gauche touche la Belgique avec les premiers attentats des Cellules Communistes Combattantes. Les services de police trouvent peu d’indices au départ, malgré une opération d’envergure de perquisitions et d’arrestations dans les milieuxdegaucheetd’extrêmegauche.Intitulée«opérationMammouth»,ellealieuenoctobre 1984. Celle-ci fait pourtant peu avancer l’enquête et donne lieu à de nombreuses critiques.

41 Archives de l’État à Arlon (AEA), Fonds Nothomb, n°813 et 814, Voyages en Suisse et aux États-Unis.

42 Jos VanDer VelPen, Les CCC… op. cit., p. 111 – 127.

de la gendarmerie et se rend compte du problème d’une autonomie trop grande, d’autant plus que l’argumentation de l’État-major se base sur une dénonciation de son supposé manque d’effectifs. En 1985, une réunion interministérielle statue :

«

on peut se poser la question de savoir si une augmentation d’effectifs inconditionnelle ne va pas rendre cette situation intenable […] La gendarmerie doit être restructurée43 ».

Désormais, la gendarmerie se voit fragilisée. Les ministres de l’Intérieur successifs, et notamment la figure imposante de Louis Tobback (1988-1994 et 1998), la conduiront progressivement sur la voie de la réforme et pousseront davantage en avant la tendance « progressiste » : l’objectif vise à « civiliser » la gendarmerie, finalement démilitarisée en 1991.Après le Heysel, l’Affaire Dutroux constitue l’autre grand moment de remise en cause qui conduit à la disparition de l’arme. Celle-ci, ayant grandi très vite, peut-être trop vite, avait peut-être cru que l’autonomie acquise suffisait à assumer son pouvoir et sa pérennité. C’était oublier qu’une police, en régime démocratique, demeure toujours in fine un instrument du pouvoir politique.

fonDs D’arcHIVes

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Alain guIllaume, « La police retourne à l’école : se former pour mieux prévenir », Le Soir, 26 novembre 1984.

43 AEA, Nothomb, Dossier « Police », 298, Réunion interministérielle concernant la gendarmerie, 8 juillet 1985.

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La Storia in movimento. Storia, psicologia e metodi dei giochi di guerra

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Gendarmerie in Poland. Outline of history

byanDrzeJ mIsIuk andaleksanDra zaJac1

aBstract: The paper presents the history of police military formations in Poland from the beginning of the 19th century to the present day. The specificity of the functioning of the police services in Poland in the 19th century was the fact that during this period Polish society was basically deprived of its own statehood, except for a short period of limited independence. At that time, the foundations of police systems based on foreign patterns were built, where gendarmerie units played an important role. Only after the end of World War I, attempts were made to create their own, independent state in the form of the Second Polish Republic. One of its inherent parts was the police system. However, the military police became only an internal police formation in the Polish army. During the communist rule in the second half of the 2th century, the Soviet police model was in force in Poland. After the systemic changes at the beginning of the 90’s the police services in a democratic state were established. One of them is the Military Police –a separate and specialized service of theArmed Forces of the Republic of Poland.

The gendarmerie in the Russian partition

The beginnings of the gendarmerie in the strict sense on Polish territory can only be talked about in the times of the Duchy of Warsaw. For the first time, we encounter the name of the gendarmeries in Polish formations during Napoleon’s expedition to Russia in 1812. After the French troops entered Lithuania, Napoleon gave an order in Vilnius on July 1, 1812 to establish a gendarmeries regiment in each of the Lithuanian governorates. Their tasks and competences were established in the relevant articles of the daily order:

“...By the order of the Emperor Napoleon from Vilnius on July 1, 1812, a gendarmerie is established in Lithuania.

Art. 9. In each of the governorates: of Vilnius, Grodno, Minsk and Białystok, a gendarmerie will be established under the orders of a colonel, who will have two squadrons under his command in the governorates

1 Prof. PhD hab. h.c. PhDAndrzej Misiuk, University of Warsaw; PhDAleksandra Zając, University of Applied Sciences in Racibórz and American University of Applied Sciences Institute in Switzerland.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 392

of Vilnius and Minsk, and one squadron chief in Grodno and Białystok. Each poviat will have one company of gendarmes, and each company will have 107 heads.

Art. 13. The gendarmerie will perform police service, help civil authorities, arrest fugitives, vagrants and marauders of any army belonging to...”2

The Duchy of Warsaw, away from the war zones, was not then included in the aforementioned order. It was only after a few months, in November, when the situation at the front changed and the French army began to retreat, that the gendarmerie in the departments of the Duchy of Warsaw was set up.

The newly organized gendarmeries in the Duchy was not centralized, it was divided into separate organizational units in each of the four departments, and the recruitment rules introduced were quite restrictive.Among the military, only volunteers between 30 and 40 years of age were accepted, where the priority was given to candidates who could read and write. The knowledge of foreign languages was often required from candidating civilians. At the end of 1814, a total of 158 gendarmes served in the Duchy: in the Warsaw department - 56 people, Kalisz - 80, Kraków - 7, Radom - 15.

The gendarmerie in the Duchy of Warsaw was not a purely military formation, but was of a police nature. The service in it consisted in maintaining security, peace and order in the country and defending citizens against fugitives, deserters and marauders. In addition, the gendarme was tasked with escorting transports, enforcing taxes, preventing the abuse of individual military commands, tracking vagrants and people who violated the legal order.Another characteristic determinant of the gendarmerie of the Duchy of Warsaw was its dependence not on the military authorities, but on the civil administration. That is why the gendarmes were on duty in their own department without collecting any pay. They were only given food and forage from state warehouses, i.e. fodder and forage for horses. However, they had the right to awards, which were covered by the so-called executive – e.g. from the prey taken from a captured thief.

After taking Warsaw in 1813, the Russians established the first military secret political police under the authority of Aleksander Świeczyn police officer and general Mikhail Ivanovic Lewicki. Already after the establishment of the Kingdom of Poland, at the beginning of 1817, Grand Duke Konstantin established the Higher Secret Military Police within his office, which had a gendar-

2 Stanisław Derejczyk, Polska żandarmeria wojskowa 1812-2000. Bibliografia, Centralna Biblioteka Wojskowa, Warsaw, 2001.

Center of Gendarmery Training, Memorial Year, Grudziadz Listopad, 1931

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Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

meries corps commanded byAleksander Różniecki. In 1815, KonstantyVan der Noot was entrusted with the leadership of the military police. After his death in 1818, the position was taken by Colonel Jerzy Kempen, who held the office until 1823. After him, Mateusz Schley became the head of this police institution and he held this position until the outbreak of the November Uprising3 . He had thirteen agents who not only monitored Polish public life, but also N. Nowosiltsov, the political representative of the tsar in the Kingdom of Poland. In 1821, the second department of the secret police of Grand Duke Konstantin was established, headed by Henryk Makrott. It gathered a group of the most efficient spies who carried out counterintelligence and inspiration activities against underground circles.According to Małgorzata Karpińska, during the nine years of operation of this department, 15,000 reports were prepared4.The fate of Makrott was similar to that of the head of the first department — Schley — during the November Uprising on August 15, 1831, he was hanged. Finally, in 1822, a third police department was established, headed by Colonel Baron Sass. He dealt with diplomatic espionage. Agents of this department investigated foreign diplomatic posts in Warsaw and conducted intelligence operations outside the Kingdom. This did not preclude surveillance of the government’s work and passing information on this to the tsar. Baron Sass died on the first day of the November Uprising when he tried to flee Warsaw. The characteristics of the above-mentioned departments show that they controlled each other and competed for the favour of the tsarist authorities. Their work was formally coordinated by General Dmitri Kuruta.

The above-mentioned general A. Różniecki played an important role in the functioning of the police services of the Kingdom. It was a character with a rather complicated biography. He took part in the conspiracy and in the Kosciuszko Uprising, then fought in exile in the Legions in Italy, where he distinguished himself with great courage. There he achieved the rank of cavalry general and was awarded by Joseph Bonaparte, king of Naples. After the Napoleonic Wars, decorated with the Legion of Honour and the Virtuti Militari Commander, he returned to Poland in the fame of a hero and patriot. Here he became the organizer and commander of the police services, which pursued and repressed representatives of secret independence organizations with the greatest stubbornness.

3 Initially imprisoned, on August 15, 1831, he was hanged. Władysław Strzelecki, Bezpieczeństwo na ziemiach polskich. Od kmiecia grodowego do granatowej armii, Instytut Propagandy Państwowo-Twórczej, Warsaw, 1934.

4 Małgorzata Karpińska, <<Policje tajne w Królestwie Kongresowym>>, Przegląd Historyczny, vol. 76, n. 4 (1985), p. 681.

Różniecki became a symbol of the national traitor. Despite this opinion, he was an efficient organizer of police institutions. On the basis of a decree of 1816, he created gendarmeries units in Warsaw, in eight other provincial cities and 31 regional corps of this formation. A separate branch of the gendarmeries was responsible for the personal safety of Grand Duke Konstantin. Ultimately, the process of establishing the gendarmerie was completed in 1817. It performed primarily the function of the internal military police, but could also perform tasks for the civil authorities. According to the regulations of the service, the gendarmes were obliged to notify the administrative authorities of any abuses and offenses found during the service. As Władysław Strzelecki stated in his book, the gendarmerie in the Kingdom was a model for the later established gendarmerie in the Russian state5 .

In Russia, an important role in the protection of order and internal security (the so-called political police) was played by an institution of military origin –the gendarmerie. During the constitutional period of the Kingdom, it functioned in Poland on an autonomous basis, in accordance with theAct of 1816.After the fall of the November Uprising, under the influence of CountAleksander Cheistofowicz Benckendorf, Nicholas I decided to unify the gendarmeries organization in the Kingdom with the regime in force in Russia. Therefore, on February 27, 1832, the 3rd District of the Gendarmes Corps (hereinafter: 3rd District) was created in the territory of the Kingdom of Poland. The only exception was to subordinate him to the governor Ivan Paskiewicz, and not to the chief of the corps, the aforementioned Benckendorf6. The first head of the 3rd District was Count Teodor Nesselrode. Under the influence of Paskiewicz, the local military commanders in the Kingdom of Poland were subordinated to local military commanders, contrary to the rules in force in Russia. The new legal regulations of July 18, 1843 did not introduce major changes in competences, but only increased the staffing position of the 3rd District to 1,050 positions limited the employment of Poles. Successive governors more and more frequently raised objections to the effectiveness and efficiency of the gendarmerie units in the Kingdom. However, before the outbreak of the January Uprising, no changes could be made. Only the uprising resulted in a thorough reorganization.

On December 21, 1866, the law on gendarmerie in the Kingdom of Poland was issued. The subordination of the 3rd District (now called the Warsaw Dis-

5 Strzelecki, cit., p. 123.

6 Elżbieta Kaczyńska, Dariusz Drewniak, Ochrona. Carska policja polityczna, Warszawska Oficyna Wydawnicza “Gryf”, Warsaw, 1993, p. 25.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

trict) to the governor was finally abolished. It was established that gendarmes could not be Poles, Catholics in general, and Jews. The Warsaw District was divided into 10 governorates and 43 poviat gendarmerie boards (with the exception of the Warsaw poviat, two poviats each), in which the employment status was increased to 1,238 people7. In addition, the following units existed independently:

1) Warsaw Gendarmerie Squadron,

2) gendarme and police railway management,

3) gendarmerie headquarters in fortresses.

In 1874, Fyodor Berg died, who had been the governor of the Kingdom of Poland since the fall of the January Uprising. After his death, no new governor was appointed. It was one of the ways of blurring the separateness of this tsarist province of Russia. The highest tsarist official was General Paweł Kotzebue, who in 1874–1880 was the commander of the Warsaw Military District, i.e. the governor-general of the Kingdom of Poland.At the same time, the local gendarmerie became independent of local authorities. The head of the Warsaw Gendarmerie District was not subordinate to the governor-general, but to the chief of the gendarmes in Russia. According to the instructions for the officers of the Warsaw Gendarmerie District from 1867, the officers of this police service had the tasks of “protecting the peace of the inhabitants, guarding their righteousness and creating conditions for the administration of justice. They were also to prevent abuses and unlawful acts in the administration”8. The actions of emissaries sent by the post-uprising emigration groups were considered particularly dangerous. It was therefore the duty of the gendarmes to prevent them from entering the Kingdom. In addition, the gendarmes were to supervise “monopolists” (leaseholders of state monopolies) and food sellers. They also had special powers in the field of investigations, among others, they could question suspects and witnesses.

At that time, the political police system in the Kingdom of Poland was also subject to various organizational transformations. In the 1970s, the gendarmerie in the Kingdom, as we remember, became independent of the local tsarist authorities.Successivegeneralsgovernorstriedtochangethissituation.Alreadyat the beginning of his term of office, Governor general Josif Hurko (1883–1894) tried, unsuccessfully, to subdue the gendarmerie of theWarsaw district. His suc-

cessor, Paweł Szuwałow, sent memorials to Tsar Nicholas II on the reform of the police system in the Kingdom. It was not until 1896 that the Board of the Warsaw Gendarmerie District was abolished. In this place a chancellery and the position of assistant to theWarsaw governor general for police affairs, who was also to be the commander of the gendarmerie in the Kingdom, were created. The changes consisted, on the one hand, in adapting the field organization of gen darmerie units to the applicable territorial di vision of the state and the structure of general administration authorities, and on the other – subordinating them to the administrative authorities of the Kingdom.

As a result, the gendarmerie units were again doubly subordinate: to the head of the Gendarmerie Corps and the Warsaw Governor General.

In turn, in each governorate, governate boards of the gendarmes were established, to which the poviat boards were subordinated. Only in economic and military terms, the gendarmes in the Kingdom were directly subordinated to the chief of the gendarmes in St. Petersburg.

The national uprisings of 1830–1831 and 1863–1864 did not stop the development of the tsarist political police services in the former Kingdom of Poland. In addition to the Gendarmerie Corps, a new police institution was established in 1881 – the Department for the Protection of Order and State Security, commonly known as “Okhrana”, which received almost unlimited prerogatives in the control of social and intellectual life of citizens. The organs of the new police institution were initially established at the governorate level in Russia and in capital cities – first in St. Petersburg, then in Moscow, and then gradually also in some other larger cities. Its organizational affiliation was unclear; where there was no Okhrana, its role was performed by the gendarmerie boards of governors, while the gendarmerie officers and non-commissioned officers served in St. Petersburg and Moscow security guards, seconded to work in Okhrana. Okhrana was directly subordinated to the Police Department of the Ministry of Internal Affairs. The new police institution was a civilian body of the Ministry of the Interior.

Badge of the Gendarmery (Odznaka żandarmerii 1931) during the 2nd Polish Republic

alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

The gendarmerie in the Prussian partition

In another district of the former Polish state, which was under Prussian rule throughout the nineteenth century, there were no signs of liberalism towards Polish society.The district of Prussian partition was an integral part of the Kingdom of Prussia (and later the German Empire). The chief president, as the head of general administration in the province, was obliged to carry out the orders of the ministers. A large part of the tasks was commissioned by the minister of internal affairs. They concerned the widely understood issues of ensuring internal security in the province. The chief president was responsible for overseeing the political activity of Poles and constantly informing the ministry about any signs of such activity. Here have often been disputes between the minister and the president over the application of appropriate police measures in this area. Chief president Flottwell, who had influence at the royal court in Berlin, did not agree with the policy of the Minister of the Interior, Gustaw Brenn, who demanded the use of drastic police methods against Poles in Poznań9. On the other hand, he was an advocate of flexible, adapted to the situation, use of political and legal methods, which were to bring better results. The conflict reached its peak in 1833, when Minister Brenn complained to the king about Flottwell’s activity in the Poznań province.Ayear later, a secret adviser to the Ministry of the Interior Brown was sent to that province on a mission to conduct political intelligence, independent of the services subordinate to the chief president. This incident caused the latter to be handed over full police power in the Grand Duchy of Poznań. The basis for changes in the functioning of the Prussian administration in this province was the memorial of general Karl Grolman entitled Uwagi o Wielkim Księstwie Poznańskim (Comments on the Grand Duchy of Poznań) submitted to the Ministry of War in March 1832 r.10 The aim of this study was, above all, to propose instruments by which it was possible to fully integrate the Grand Duchy of Poznań with the Prussian state. The central role in this policy should be played by the government administration, whose actions to date have been strongly criticized by the author of the memorial. First of all, the personnel policy should be Germanized so that positions in local administration can be entrusted only to anti-Polish German officials. He also proposed organizational and staff strengthening of the gendarmerie in the Poznań province. On the basis of these comments, in July 1832, the Prussian Minister of Internal Affairs, Brenn, demanded from the chief president of the province requests to increase

9 Kaczyńska, Drewniak, cit., p. 79.

10 Kaczyńska, Drewniak, cit., p. 94.

the staff of the local gendarmerie. His reaction to the Grolman memorial also included specific actions against the Polish clergy and the Germanization of the educational system in the Grand Duchy of Poznań.

However, the main changes were in the administration and the expansion of the police. The provincial chief president Flottwell established precinct police stations managed by police chiefs in the frontier poviats to:

1) ensure the maintenance of security, peace and order in the precincts,

2) survey moods among the Polish population,

3) cooperation with military authorities,

4) control of passenger traffic in border areas.

Then he liquidated the offices of commune heads in communes, creating in their place district commissariats, which in police matters constituted an intermediate link between the village councils and the poviat boards (Landratsamt) The reorganization of the local administration involved the removal of officials of Polish origin and their replacement with retired Prussian police officials.

The reorganization of the gendarmerie was of particular importance for the implemented policy of the Prussian authorities. Until 1831, the 5th Gendarmerie Brigade in Poznań (led by Brigadier Natzmer), having 3 officers, 9 stewards and 122 gendarmes, was obliged to secure order in the entire province with these slim forces11. Nine gendarmes served in Poznań alone. Therefore, in mid-1832, the employment numbers of gendarmerie units were increased.

The gendarmerie in the Austrian partition

In the Austrian partition, police functions were performed by the police directorates and gendarmerie units established in 1849. The police directorates in Lviv and Kraków deserve special attention.The first was established in 1775. Its main task was to ensure the safety of life and health of the inhabitants of Lviv, theatrical censorship and of the outgoing press, as well as judicial activities in cases of minor offenses. Two years later, i.e. in 1777, the executive body of the directorate was established in the form of a military police guard, composed of an officer, 5 corporals and 62 rank and file officers. The first police director in Lviv was Daniel Halama von Gitschin. The adopted model of protection of order and public safety was based on the division of the city into five districts. In each of them, land judges, known as land-mayors, were appointed. They were

11 Kaczyńska, Drewniak, cit., p. 123.

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responsible for the state of order in the district, they supervised the saloons and taverns, organized the patrol service, and transferred the captured criminals to the Police Directorate. These tasks in the district were performed by fifteen land commissioners and district controllers. They were not professional police officials. In addition, the land-mayor had at his disposal several night and land watchmen.

In the presented police system, a special role was played by the district supervisor, who was not a member of the office of the land-mayor, but was an employee of the Police Directorate. To some extent, it duplicated the activities of the district police office, as it fulfilled control functions over these executive bodies of the directorate.As you can see, the created system of police authorities in Lviv was very extensive and hierarchical, which could hinder the effective fight against crime in the city. It should be mentioned that in the first period of the directorate’s operation, until 1848, it was taken over by officials of German and Czech origin.

The Spring of Nations in 1848 in Galicia was quite turbulent. As in other partitions, in times of independence uprisings, there was an increase in social activity in the field of protecting public order. Usually, half-military and half-police formations were created. The situation in Galicia in 1848 was similar. The National Guard and the city militia were established in Lviv. They played an important role in the defense of the city against Austrian troops. In 1848, the insurgent authorities liquidated the Police Directorate. Its powers were taken over by the local magistrate.After the collapse of the uprising, theAustrian military authorities began to create a new system of police authorities in Lviv. In November 1848, the County Office was established, which existed until 1852. The scope of operation of this new institution was much wider than that of the Police Directorate. Similar administrative and police offices began to be established throughout the Austrian partition. At the same time, a civilian police guard was being prepared to supplement the military security guard that would act as the executive body of the County Office. After the four-year functioning of the County Office, another reorganization took place. The institutions of the police directorates that had been in operation until the end of the Austro-Hungarian Empire were returned to.

The organization of the police services in the western part of the Austrian partition – Western Lesser Poland went through a similar fate. In 1796, the Police Directorate was established in Kraków. After the Congress of Vienna in 1815, a small, semi-independent state organism was created – the Free City of

Kraków.At that time, police functions in Kraków were entrusted to the militia, consisting of 300 foot and 40 mounted policemen. The latter formed a gendarmerie unit. In 1817, the mi litia was divided into mobile and stationary. The former performed police service on the streets of Kraków, while the latter was on guard at the buildings of state offices. Military police units were established in rural communes of the Republic of Kraków. After the fall of the Free City of Kraków in 1846, the militia was dissolved and the gendarmerie was retained, the organization of which was adapted to the needs of the Austrian authorities. Finally, in July, an Austrian gen darmerie was established, which performed order service in the rural communes of Galicia.

After the introduction of political autonomy in Galicia (Austrian partition), the police authorities were Polonized. Despite the high bureaucratization of work in the Austrian police at the end of the 19th century, it was widely regarded as the best organized and functioning public security apparatus in Europe.

The gendarmerie during the national uprisings and the World War I

During the periods of national uprisings that took place in the territory of the Russian partition, military police formations were created to take care of security and order in the areas liberated by insurgent troops. During the November Uprising in December 1830, the insurgent National Government ordered a concentration of gendarmes near Warsaw, and after its reorganization in 1831, theHorse CarabinieriSquadronwas created,ledby Lt.Col. Franciszek Sznajde. The Squadron consisted of two squadrons, including 16 officers and 333 privates. During the November Uprising, the Squadron became one of the best and most responsible cavalry units. His attack on the Russian army in March 1831 at Dębe Wielkie is compared to the charge of the light cavalry at Somosierra.

Insignia of the Military Internal Service (Wojskowa Służba Wewnętrzna, WSW, 1957-1990) Wikipedia Commons

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The Squadron also participated in the battles of Krynka, Rogoźnic and Brodnica. Many carabinieri were then decorated with the Virtuti Militari crosses. The situation of the troops during the November Uprising – organizational mess, desertion, arbitrariness of some commanders – made it necessary to re-establish permanent organs in the form from before the uprising in order to maintain military discipline and order. Because the public would not trust the unpopular name “gendarmerie”, Gen. Tomasz Andrzej Łubieński, by order of June 13, 1831, establish the Field Guard. However, it was the end of the uprising, and therefore the Guard did not play a major role.

The military gendarmerie reappeared during the January Uprising in 18631864. Information on it is sparse and vague, but the date of its creation can be assumed in April-May 1863. The main reason for the establishment of the gendarmerie was political – defending the uprising against the attempts of conservative forces. Its leader was Paweł Landowski, and his deputy was Paweł Ekkert. On services were numerous agents and messengers, i.e. in Polish referred to as galopeni. The head of the gendarmerie was directly subordinate to the central military authorities in Warsaw. The gendarmerie of the January Uprising consisted of 150, and according to other sources – 250 gendarmes. The gendarmes performed ordinary police service, but they did not replace the police, which had a different scope of duties. They were obliged to help members of insurgent organizations by fighting the traitors of the uprising. Later, pursuant to the regulation of the National Government of August 13, 1863, the gendarmerie was renamed the National Guard in the manner of the November Uprising. The regulation reads: “The National Government informs the authorities of the citizens of the country that the Gendarmerie Squadron existing in the city of Warsaw has been organized into the National Guard. The chief of the Guard uses a seal with the coat of arms of the state and the inscription: National Government, Chief of the National Guard of the city of Warsaw. The national guard watches over public safety and order in the city according to the law and instructions confirmed by the National Government. Every citizen is obliged to submit to all its ordinances issued for this purpose without the slightest resistance”12 With the creation of the national gendarmerie in 1863, the so-called hanging gendarmes and sicarius. They constituted the 5th Division of the Gendarmerie and were a secret executive body of the National Government and the RevolutionaryTribunal. This formation used individual and collective terror against the opponents

12 Grzegorz Ratajczyk, Żandarmeria Wojska Polskiego II Rzeczypospolitej, DUET Publishing House, Toruń, 2004.

of the uprising. It punished civilians for helping Russian troops and for armed protests against the insurgents. It also liquidated prominent figures of hostile parties and important officials of the Russian administration. After the fall of the January Uprising, the gendarmerie ceased to exist for almost 50 years, just as the national armed forces ceased to exist. It reappeared in 1914 in the Polish Legions.

The history of the military police in the Polish Legions during World War I can be divided into two periods. The first one began in 1914 and lasted until mid-1917, the second – from mid-1917 until Poland regained independence in the fall of 1918. In the first period, there were two independent, and even unwilling, organizations – the Field Gendarmerie Headquarters at c. and c. Polish Legion Headquarters and the gendarmerie of the 1st Legions Brigade. This state lasted until the end of March 1917, when the independent gendarmerie of the 1st Brigade was liquidated, and only the Branch subordinate to the Field Gendarmerie Command at the c. and c. Polish Legions Headquarters remained.

The banner of the WSW Training Center on the occasion of the National Day of Poland’s Rebirth in Warsaw, July 22, 1969. (Wikimedia Commons)

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 404

The gendarmerie in the Second Polish Republic

After regaining independence in 1918, the foundations of public institutions of the young Polish state, including police formations, began to be established. Theeffortsofthecentralauthoritiestocreateauniform,state-widepoliceservice to a large extent depended on the system of political forces in the country at that time and on the organizational condition of law enforcement institutions previously operating on Polish soil. The functioning of a large number of paramilitary organizations of various political origins certainly had an impact on the effects of unification activities. In the political and systemic realities of the time, two dominanttypesofserviceswerecreated.Intheperiod1917–1918,orderorganizations of party and local government origin played a decisive role. They constituted the basis for the formation of state police bodies in the reborn Poland.

Under completely different political conditions in Eastern Galicia, police functions were taken over by gendarmerie units. At the beginning of October 1918, Wiktor Hoszowski created the first gendarmerie unit under the name of “Gendarmerie for the Defense of Lviv” at the Lviv Defense Command. At that time there were many civil law-order organizations in Eastern Galicia, such as the Lesser Poland Civic Guard. In 1919, the inspectorate of this guard, in difficult war conditions, created local posts in many towns in Galicia for approx. 20,000 people. At the beginning of December 1918, also the Gendarmerie of Eastern Galicia created a uniform field organization headed by the Main Command in Lviv. W. Hoszowski took over the leadership of this formation. Due to the fact that in Galicia there were still military actions against the Ukrainians, the gendarmerie corps was divided into national and field corps, performing police and military activities in the front line. At the beginning of 1919, the commands of the Lviv and Kraków gendarmes merged to form a joint governing body.At the end of 1919, the actual process of unifying the police authorities in Galicia began. The conference at the Ministry of the Interior, which took place on November 7, 1919, was devoted to this issue. A few days later, the arrangements of this inter-ministerial conference began to be put into practice. On November 12, an executive regulation was published on the incorporation of the national gendarmerie and the executive police in Galicia into the State Police Corps. Pursuant to this legal act, the head of the police in Galicia, appointed by the Ministry of the Interior at the request of the general government delegate, was the commander of the State Police for Lesser Poland. In the field of security services and executive activities, he was responsible to the general delegate of the government, while in the field of organization, supplementation and training of the police, he was directly subordinate to the commander-in-chief of the State

Police in Warsaw. This position was taken by W. Hoszowski. The final act of this stage of unification of the police authorities in Lesser Poland was the decree of the minister of interior of November 14, 1919 establishing a field organization in the form of three district headquarters with seats: in Lviv, Kraków and Przemyśl. The created district headquarters, and then in the cities and poviats, poviat and city headquarters were of a temporary nature, because the political administration of the second instance in the form of voivodeship authorities was still not established in Lesser Poland.

The process of shaping the internal security system in Upper Silesia was specific, as the fate of its belonging to Poland was not decided until 1921. From 1918 on its territory there were conflicts of interests between Poland and Germany. The economic importance of this region for the emerging Second Polish Republic was enormous. Therefore, in order to strengthen the national ties of the Upper Silesians with Poland, the central authorities took a surprising decision already in 1920, granting extensive political autonomy to the lands of Upper Silesia and Cieszyn Silesia. The implementation of the organic statute of the Silesian Voivodeship of July 15, 1920 depended on the results of the plebiscite and the decisions of the governments of the winning coalition. It was only as a result of three uprisings and a plebiscite that Upper Silesia was divided. The following poviats returned to Poland: Pszczyna, Rybnik, Katowice, Lubliniec,Tarnowskie Góry, Świętochłowice. In addition to the aforementioned counties, the newly created provincial administrative unit includes two counties of Cieszyn Silesia: Bielsko and Cieszyn. The question arises whether, before 1922, in the area in question, there existed and operated Polish law enforcement agencies carrying out tasks related to the protection of public order and security. Traditionally, civil guards were established, which reflected the social activity of the local population. From 1919, the Subcommittee of the Supreme People’s Council in Bytom tried to defend Polish interests in the fight against the Germans in Upper Silesia. It prepared, among others, military personnel in the event of an armed uprising against Germany. In addition to military units, also gendarmerie units were created, whose command was located in Szopienice (lieutenant

The official symbol of the Polish Military Gendarmerie (ZW)

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commanderAugustyn Bańczyk). Their task was to protect the Polish population against the terror of German paramilitary organizations. After the first Silesian Uprising, in accordance with the provisions of the Versailles Treaty, the allied countries established the Inter-Allied Ruling and Plebiscite Commission in Upper Silesia in order to conduct a plebiscite among the Upper Silesian population. Due to the constant Polish-German disputes, the chairman of the commission, General Henryk Le Rond, ordered in September 1920 the creation of a special plebiscite police, composed of equally Polish and German policemen. The police, however, were unable to fulfil the hopes placed in them.

Ultimately, in the interwar period in Poland, the State Police became the national service responsible for the protection of public safety and order. The gendarmerie units, on the other hand, performed the function of the internal police service in the army. In the early 20’s, the gendarmerie was subject to a continuous reorganization process.Another ordinance concerning the gendarmerie, which in the new conditions determined its competences, was introduced on April 10, 1926. It specified that the gendarmerie was the main executive service of the command. It should be the staff of the field gendarmerie at the peacekeeping level and its task is to train professional gendarmes and gendarmerie reservists theoretically in a training division and practically in an executive unit, by:

● performance of military and police service in peacetime and protection of the staffs of higher commands,

● carrying out official orders of prosecutors and military courts,

● participation in military assistances by military authorities – to civil-administrative authorities.

This ordinance extended the hitherto scope of the gendarmerie’s tasks, which not only performed police functions within the armed forces, but also protected staffs and higher commands, escorted defendants, and protected detained and arrested soldiers.

In 1926, after the coup d’état and Józef Pilsudski taking the position of the Inspector General of the Armed Forces and the Minister of Military Affairs, work began on a new organization of the armed forces. The changes did not spare the Gendarmerie. Its quantity increased. The Castle Gendarmerie Platoon responsible for the protection of the President of the Republic of Poland was created, and it was announced that troops would be created to guard armaments industry plants.

On June 1, 1927, the Minister of Military Affairs, Marshal of Poland, Józef Pilsudski established the Gendarmerie Command in place of the former Gen-

darmerie Department in the Department of Infantry. With the establishment of the Gendarmerie Command, which was subordinate to the 2nd Deputy Minister of MilitaryAffairs (from 1931 – the 1st Deputy Minister), its independence was restored. Establishment in the legal system (among others, the decree of the President of the Republic of Poland “On the Gendarmerie”) finally completed the reorganization processes of the formation.

In the new organizational formula, the Gendarmerie Command consisted of an office and three departments:

- organizational and mobilization

- personal

- investigation.

The scope of activities of the commander of the Military Police included, among others:

- administration of the Military Police throughout the country

- managing and supervising the activities of the Military Police

- issuing orders and commands to squadron commanders

In the subsequent years of the interwar period, further organizational and personnel changes took place. In 1929 Major Felicjan Plato-Bałabon, a distinguished independence activist and supporter of Józef Pilsudski, became the new commander of the Military Police. In connection with the increase in tasks, e.g. protection of state visits, new organizational units were created: the Military Police Squadron of the Border Protection Corps, the Military Police Protection Unit and the Military Police Marine Platoon. In the following years, i.e. in 1934 and 1937, efforts were made to improve the organization of the Military Police headquarters (Command). The last changes before the outbreak of war concerned ensuring the safety and security of aviation facilities.

The gendarmerie in nowadays Poland

After World War II, in completely different socio-political realities, there was no room for a traditional formation in the nature of military police.As part of the Polish People’s Army, the Military Internal Service was created, which performed the function of a military special service, being an institution of military counterintelligence and a service securing the security of theArmed Forces of the People’s Republicof Poland and maintainingmilitary discipline.Pursuant to theAct on the Institute of National Remembrance of December 18, 1998 – the Commission for the Prosecution of Crimes against the Polish Nation, the MIS is

considered a security organ of the communist state.

After the political and systemic changes in 1989, the Internal Military Service was partially transformed into a military police in a rather unclear manner. In accordance with the order of the Minister of National Defense no. Pf-42/ Org. ofApril 18, 1990 and the Order of the Chief of General Staff of the Polish Armed Forces no. 062/Org. of June 15 of that year, the organizational structure and quantitative composition of the Military Police units were determined. Officially, military police units were established on September 1, 1990.

The Military Police, like the entireArmed Forces, had to make the necessary dislocation, organizational and structural changes. The consequence of these changes was the outflow and replacement of a large number of staff. Over time, the gendarmerie became not only a new organizational structure, but also a qualitatively new team of people in which integration processes took place quickly. Its ranks were joined by people with new skills. In accordance with the order of the Chief of General Staff of the Polish Armed Forces no. 062/Org. of June 15, 1990, the following was created:

The National Military Police Headquarters in Warsaw

Military Police Headquarters:

● Warsaw Military District

● Pomeranian Military District

● Silesian Military District

Flag of ZW General Commander Badge of Honor of the Military Gendarmerie (Odznaka Honorowa Żandarmerii Wojskowej)

In addition, Military Gendarmerie Branches were established: Warsaw, Kraków, Bydgoszcz, Szczecin, Wrocław, Poznań; eighteen departments of the Gendarmerie; forty-seven posts of the Gendarmerie, as well as the Military Gendarmerie Training Centre in Minsk Mazowiecki. On October 25, 1991, the law on the universal duty of defense of the Republic of Poland was amended. Its article 16 defined the functions and tasks of the Military Gendarmerie in the following way: “a Military Gendarmerie is established, which performs in theArmed Forces of the Republic of Poland and in relation to soldiers, tasks related in particular to:

● ensuring compliance with military discipline;

● protection of life, health and property against unlawful attacks violating these goods;

● protection of public safety and order as well as protection of state and official secrets;

● preventing crimes and petty offenses and other criminogenic phenomena, as well as detecting crimes and petty offenses and prosecuting their perpetrators;

● ensuring compliance with order and administrative regulations.”13

Currently, it operates on the basis of theAct ofAugust 24, 2001 on the Gendarmerie and military law enforcement bodies.

ThisformationperformsthefunctionsofthemilitarypolicewithintheArmed Forces and towards civilians operating on the premises of military units. It is a specialized military formation responsible for public order and security on the premises of military units on the territory of the Republic of Poland and abroad in relations to Polish soldiers and Polish workers employed abroad in Polish military units and in Polish military representations and military missions.

13 Andrzej Misiuk, Instytucjonalny system bezpieczeństwa wewnętrznego w Polsce, Difin, Warsaw, 2013.

Abadge of a Polish Military Police Officer with the 4 digit serial number replaced with zeros

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 410

In this respect, gendarmerie units perform repressive and preventive actions typical of police formations, in particular:

1. controlling compliance with military discipline and public order,

2. intervention in cases of violation of military discipline or public order,

3. performing operational and reconnaissance activities,

4. securing traces and evidence of committing crimes and offenses as well as preparing expert reports and forensic opinions,

5. participation in ensuring order during mass events carried out on the grounds and in the facilities of military units, to the extent and on the terms provided for in the provisions on the safety of mass events,

6. performing the tasks of the judicial police in military courts and military organizational units of the prosecutor’s office,

7. performing protective activities in relation to authorized persons, as well as securing the stay in military units of persons occupying state managerial positions and foreign delegations.

The gendarmerie is a hierarchical and centralized formation. It is headed by the Chief Commander, who is the superior of all soldiers of the Gendarmerie. He reports directly to the Minister of National Defense, who appoints and dismisses the Commander-in-Chief of the Gendarmerie and his deputy.

The organization of the Gendarmerie is as follows:

Gendarmerie Headquarters,

● field organizational units of the Gendarmerie,

● specialized organizational units of the Gendarmerie.

● The field organizational units of the Gendarmerie are:

1) units of the Gendarmerie,

2) departments of the Gendarmerie, Functionally, similarly to the Police, the Gendarmerie consists of the following divisions:

1) investigative;

2) preventive;

3) administrative, logistic and technical.

In this way, the Gendarmerie performs all functions typical of the police forces. So far, it has focused its activity on preventive and investigative functions. In the first case, they were about order, preventive and protective tasks. In

terms of investigative activities, it performs service functions in relation to the Military Counterintelligence Service. Equally significant was its participation in the performance of police functions in connection with the participation of Polish Military Contingents in stabilization missions. When analysing the position of the Gendarmerie in relation to the Police, we can see that the performance of its tasks is subsidiary to the police competences.

At present, the Gendarmerie consists of:

● 2 special units

● 6 units

● 11 divisions

The competent organ in the field of organization is the Minister of National Defense, who, by order, creates, transforms and eliminates local and specialized organizational units of the Gendarmerie, as well as specifies their organization and the detailed scopes and areas of operation of the organizational units of the Gendarmerie, taking into account the structure and deployment of the Armed Forces and the tasks of the Gendarmerie.

Due to the nature of the activities and tasks performed, the corps of officers is divided into three functional divisions:

- investigative,

- preventive,

- administrative, logistic and technical.

Graph 1. Organization of the Gendarmerie. Source: The PolishArmed Forces Website

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 412

Summing up, it should be stated that in Polish conditions only in the 19th century the military police was used for purposes related to security and public order, as in other European countries. Attempts to create a nationwide police service based on military police units at the beginning of the Second Polish Republic met with a reluctant reception from the then state decision-makers.

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The Establishment of the Mexican Guardia Nacional

(2012-2019):

AGendarmerie Force for Crime Wars and the Fourth Transformation of Mexico

by JoHn P. sullIVan and natHan P. Jones1

aBstract Mexico has embarked upon a fundamental reform of its security apparatus at the federal level under the leadership of PresidentAndrés Manuel López Obrador as part of his “Fourth Transformation” of Mexico. The Mexican Federal Police and Gendarmerie forces have been absorbed along with significant numbers of former soldiers into the Mexican Guardia Nacional (GN – National Guard). The Mexican GN is a large gendarmerie force intended to have the capacity to confront criminal armed groups (CAGs). The Guardia Nacional is in its nascent stages, but has already taken on myriad mission areas and has close ties to the Mexican military raising questions of civil-military relations and the impact on law enforcement. This paper focuses on the 2012-2019 period and the shift to the new GN force. It will provide policy recommendations for Mexico in the context of this new gendarmerie force and the profit motivated CAGs that threaten Mexico’s internal security.

keyWorDs: crImInal armeD grouPs (cags), staBIlIty PolIce unIts, Guardia

nacional, natIonal guarD, mexIco, cIVIl-mIlItary relatIons.

Introduction

Mexico’s Guardia Nacional (National Guard) is the latest iteration of Mexican police reform in the face of endemic insecurity and violence. Mexico has been challenged by extreme violence for decades, with the current

1 Dr. John P. Sullivan was a career police officer retiring as a Lieutenant in the Los Angeles County Sheriff’s Department. He is currently a Senior Fellow at Small Wars Journal–El Centro and an Instructor in the Safe Communities Institute (SCI) at the Sol Price School of Public Policy, University of Southern California. Nathan P. Jones is anAssociate Professor of Security Studies at Sam Houston State University. He is the author of Mexico’s Illicit Drug Networks and the State Reaction (2016) published with Georgetown University Press.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 414

“drug war” in play since at least 2006 when then President Felipe Calderón launched a military offensive against the nation’s drug cartels, mobilizing 25,000 military and federal police across the nation.2 Since that initial surge in Michoacán, the militarization of policing in Mexico has been controversial. The balance between state and federal law enforcement, preventive and investigative (or judicial) policing, and military and civil policing, has been in constant flux with several efforts at reform, including the stalled implementation of an independent Gendarmería Nacional, a diminished Gendarmería Nacional as a component of the Policía Federal (Federal Police), and ultimately the creation of a new Guardia Nacional (GN) under military leadership.

Throughout this series of transitions, internal security and efforts to counter cartels and cartel violence has relied upon a mix of military—Fuerzas Armadas de México (FF. AA.) both Ejército Mexicano (army) under the Secretaría de la Defensa Nacional (SEDENA) and naval forces Armada de México (Marina), including naval infantry (Infantería de Marina) under the Secretaría de Marina (SEMAR).The balance between police and militaryinterventionpunctuates this situation.3 The high intensity of much of the conflict between organized crime groups—known as cartels—and gangs has reached critical proportions as these enterprises act as criminal armed groups (CAGs) that challenge each other and the state alike. This paper looks at this evolution and the balance between civil and military policing at the federal level with an emphasis of gendarmerie or constabulary forces.

Mexico’s Guardia Nacional (GN) is the current primary federal preventive policing arm in Mexico. The judicial or investigative policing is currently embedded within the Fiscalía General de la República (FGR or Attorney General of the Republic). This organization—the GN—follows a trend toward legitimizing military responses to threats to internal security stemming from the drug war.4 Formalizing military intervention in cartel conflicts and civil law enforcement has been controversial. This controversy revolves around human rights concerns, including past incidents of extrajudicial executions, torture, and

2 John P. sullIVan and Adam elkus, «State of Siege: Mexico’s Criminal Insurgency», Small Wars Journal, online, 19 August 2008; “Factbox—Mexican President Calderon’s War on Drug Gangs,” Reuters, online, 16 June 2008.

3 John P. sullIVan, «Police-Military Interaction in Mexico’s Drug War», Air & Space Power Journal–Spanish Edition, online, Third Trimester (October) 2009.

4 John P. sullIVan, «The Military, Policing, and Insecurity in Mexico», Stratfor, online at Academia.edu, 12 January 2018.

forced disappearances amplified by a history of impunity.5 This military impunity erodes public trust, reduces transparency, and potentially erodes military discipline.

Achieving the proper balance between military (and law enforcement) capacity and civil control is essential to ensuring good governance and countering criminal treats to state solvency.6 The current GN configuration follows the reforms that established the Policía Federal (PF or Federal Police) and Gendarmería (within the PF). These reforms in part sought to enhance the capacity of police in Mexico to address high intensity cartel threats, including high levels of violence, militarized cartel tactics employed by criminal armed groups (CAGs), escalation of conflict, and the use of increasingly sophisticated weapons leading to high casualty rates.7

The GN conceptually fills the gap between civil and military operations by providing a force structure capable of performing stability and support operations (SASOs) within a national context. Ideally, the GN complements state and municipal preventive and judicial (ministerial policing), and complements the federal ministerial/investigative policing efforts conducted by the Procuraduría General de la República (PGR). Together, these efforts can be viewed as “full spectrum policing” where community policing, counter-gang, counter-violence, counter-narcotics,internalsecurity,riotcontrol,counter-terrorism,andultimately counter-insurgency (counter-criminal insurgency) tactics and operations can be synchronized.8 These types of capabilities, variously known as gendarmerie, constabulary, or stability policing forces (on the model of the Italian Carabinieri or French Gendarmerie nationale) have demonstrated capabilities to bridge the civil-military divide and provide police services in both civil and conflict situations both internally and in expeditionary settings.9

5 Ibid.

6 John P. sullIVan, «How Illicit Networks Impact Sovereignty», Chapter 10 in Michael mIklaucIc and Jacqueline BreWer (Eds), Convergence: Illicit Networks and National Security in the Age of Globalization,Washington, DC, National Defense University Press, 2013, pp. 171-187.

7 JohnP.sullIVan andAdamelkus,«TacticsandOperationsintheMexicanDrugWar», Infantry Magazine, September-October 2011, pp. 20-23.

8 John. P. sullIVan, «Forging Improved Government Agency Cooperation to Combat Violence», National Strategy Review, at Academia.edu, online, Fall 2008, Vol. 17, No. 4, pp. 2429.

9 See John P. sullIVan, «The Missing Mission: Expeditionary Police for Peacekeeping and Transnational Stability», Small Wars Journal, online, 9 May 2007; John P. sullIVan, «Expeditionary Law Enforcement», Small Wars Journal, online, 2 July 2008.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 416

Gendarmerie-type forces have several attractive attributes. First, they can operate effectively in a range of situations including community policing, as seen daily in France and Italy where the Gendarmerie and Carabinieri routinely provide daily police patrols and participate in investigations (under judicial oversight).Next,theyhavethecapacitytooperateeffectivelyundermilitarydiscipline as a formed force, that is within a force structure larger than 1-2 officer patrols. These skills enable effective saturation patrols, operational-level coordination above the tactical level, and enable integration into larger operational or theatre-level operations. Finally, they are able to integrate into intra-conflict, counterinsurgency, and transitional policing (stability policing efforts) efforts for conflict situations—such as non-international armed conflicts as demonstrated in Bosnia, Kosovo, and elsewhere.10

These capabilities are essential now in places like Mexico where CAGs are directly challenging the state, and in future scenarios where urban conflict in megacities,11 climate security,12 including climate-driven conflict and migration (refugees and internally displaced persons, IDPs),13 and crime wars converge.14 As this paper asserts, these capabilities also became important in Mexico as the drug war, cum crime war/criminal insurgencies matured.15 The PF and its Gendarmería division were antecedents to the force structure embraced in the

10 See, for example, «The Future Roles for Stability Police Units Workshop», Center for Excellence in Stability Police Units (COESPU) Training, 4-5April 2005, United States Institute of Peace, online; Robert PerIto, «Where is the Lone Ranger? Second Edition: America’s Search for a Stability Force, Washington, DC, United States Institute of Peace, 2013; Michael L. Burgoyne, «The Effectiveness of Counterinsurgency Principles Against Criminal Insurgency», Small Wars Journal, online, 11 February 2012.

11 Dave DIlegge, Robert J. Bunker, John P. sullIVan, and Alma kesHaVarz (Eds.), Blood and Concrete: 21st Century Conflict in Urban Centers and Megacities. Bloomington, Xlibris, 2019.

12 Nathan Jones and John P. sullIVan, «Climate Change and Global Security», Journal of Strategic Security, online, Vol. 13, No. 4, 2020.

13 John P. sullIVan and Keeley toWnsenD, «Humanitarian Intelligence and Early Warning for Protecting Climate Migrants», Homeland Security Today, online, 4April 2022; John P. sullIVan and Keeley toWnsenD, «Climate Migration: Adding Fuel to the Ethnocentric Fire», Terrorism and Political Violence, 31 May 2022.

14 Robert muggaH and John P. sullIVan, «The Coming CrimeWars», Foreign Policy, online, 21 September 2018.

15 John P. sullIVan, «From Drug Wars to Criminal Insurgency: Mexican Cartels, Criminal Enclaves and Criminal Insurgency in Mexico and CentralAmerica. Implications for Global Security», Paris, Fondation Maison des sciences de l’homme, online at Academia.edu, June 2011.

Guardia Nacional. Andrés Manuel López Obrador (AMLO), Mexico’s president sought to stem instability and its cor rosive effect on state solvency by leveraging the prestige and credibility of the military to stabilize an internal security situation fraught with corruption, ineffective responses, and bureaucratic competition. All of these factors complicate Mexico’s security situation and are amplified by intense partisan competition along with competition between all levels of gov ernment (for power and at times access to illicit economic connections). These factors complicated Mexico’s response to criminal armed conflict.

Criminal Armed Conflict in Mexico

Criminal armed conflict in Mexico exists at several, levels. The conflict includes high intensity gang violence, it includes organized criminal violence conducted by criminal cartels (known as drug cartels), and it includes state response or repression to these criminal conflicts. The situation can be viewed as a set of interlocking “criminal insurgencies” where the criminal armed groups (a combination of allied gangs and cartels, along with corrupt state actors) directly confront the state (at national and sub-national levels) to pursue their aims. These aims are not necessarily overtly political and are often characterized as economic in nature, yet they directly confront the state’s monopoly on violence and create para-political pockets of dual or parallel sovereignty. At times these criminal enclaves (areas controlled by cartels and gangs) supplant formal governance and erode state solvency. The overall process of criminal insurgency, crime wars, or state transition as the CAGs seek autonomy to operate without interference and exert narcocultura (narco-culture), narcopolitica (narco-politics), power, and influence, while operating with impunity.16

16 On criminal insurgencies, see cit. sullIVan From Drug Wars to Criminal Insurgency; On crime wars, see Robert muggaH and John P. sullIVan, «The Coming CrimeWars»; On crimi-

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 418

Thesituationwheregangsandcriminalcartels(collectivelyCAGswhenthey use overt violence to pursue their goals) is endemic, but not unique to Mexico. Similar situations occur in Brazil’s favelas, where territorial gangs challenge the state), in the Northern Triangle of Central America, where maras, such as MS13 (Mara Salvatrucha and its arch-rival Barrio 18) compete with the state in El Salvador, Guatemala, and Honduras.17

The challenges to policing “militarized criminal networks” include chronic insecurity, intense violence, and barbarization. The tactics, techniques, and procedures (TTPs) used by the CAGs in these conflicts include both conventional andunconventionalmilitarytactics.18 TheseTTPsinclude:targetedassassinations (often of police, military patrols, journalists, and politicians), ambushes, raids, blockades (known as narcobloqueos), combined arms assaults,19 and crude car bombs, as well as grenades, mortars, and anti-personnel and anti-vehicle mines.20 These TTPs are used in concert with information operations: “These actions are amplified with brutal messaging techniques including hangings from bridges, beheadings and dismemberment. Messaging is often affixed to corpses left in public

nal enclaves see John P. sullIVan, «Criminal Enclaves:When Gangs, Cartels or KingpinsTry to Take Control», Stratfor, online at Academia.edu, 10 July 2019; On narcocultura, narcopolitica, and influence, see «Criminal Insurgency: Narcocultura, Social Banditry, and Information Operations», Small Wars Journal, online at Academia.edu, 3 December 2012.

17 See John P. sullIVan, «Urban Conflict and Transnational Crime in Latin American Cities», ChapterNineinPabloBaIsottI (Ed.), New Global Cities in Latin America and Asia: Welcome to the Twenty-First Century, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2022, pp. 253-282; John P. sullIVan and Nathan P. Jones, «Bandits Urban Guerillas, and Criminal Insurgents», Chapter 6 in Pablo A. BaIsottI (Ed.), Problems and Alternatives in the Modern Americas, New York and Oxon, 2022, pp.168-195; John P. sullIVan, «Humanitarian Diplomacy for Protecting Vulnerable Persons and Humanitarian Aid Workers in Civil Strife and Non-International Armed Conflict in Mexico and Central America’s Northern Triangle», Working Paper No. 52, Bogotá, Vortex Foundation, online, 2020; John P. sullIVan, «The Challenges of TerritorialGangs:CivilStrife,CriminalInsurgenciesandCrimeWars», Revista do Ministério Público Militar (Brasil), online, Edição: 31, 2019.

18 Chris DalBy, «How Mexico’s Cartels Have Learned MilitaryTactics», InSight Crime, online, 2 September 2021.

19 Alexander elfes, «Militarised Criminal Networks in Mexico and the Challenges They Present to the Military and Police», Small Wars Journal, online, 10 July 2020; Cit. John P. sullIVan andAdam elkus, Tactics and Operations in the Mexican Drug War.

20 On car bombs, see Robert J. Bunker and John P. sullIVan, Cartel Car Bombings in Mexico, Carlisle Barracks, US Army War College, Strategic Studies Institute, 2013; on other tactics, see Robert J. Bunker and John P. sullIVan (Eds.), Illicit Tactical Progress: Mexican Cartel Tactical Notes 2013-2020, Bloomington: Xlibris, 2021.

places as a way of shaping the population towards their political goal.”21

In addition to these TTPs, Mexican cartels (and their rival autodefensas or community vigilante groups) have been using improvised armored fighting vehicles (IAFVs)22 and weaponized drones to engage their adversaries, including police and military forces.23 They often do so in marked armored vehicles while wearing uniforms. These factors complicate response for both police and military forces. For the police, the high intensity conflict with military TTPs and military-type small arms used by cartel sicarios (hitmen or armed commandos), such as AK-47s (known as cuernos de chivo), AR-15s, and Barrett .50 caliber anti-materiel rifles, as well as IAFVs and artisanal mines, go far beyond typical community policing and patrol.

With these types of weapons, often employed in areas where cartels exercise territorial control, employ their own intelligence, surveillance, and reconnaissance capabilities including lookouts (halcones), CCTV surveillance using their own CCTV and communications networks and microwave relays, cartel commandos can impose tactical superiority at any given point in time. Of course, the police and military ultimately have access to greater firepower in toto, but the CAGs can enjoy superiority in firepower at given points in time and locations. Of course, both the military and police have restraints upon their use of force in order to protect the populace and ensure human rights protections. Both police and military must ensure their acts are lawful, proportionate, and protectpersons not involved in violent acts.

The crime wars or criminal insurgencies waged by CAGs—cartels and gangs—against each other and the state at times go beyond high intensity crime and can become de facto non-international armed conflicts (NIACs). These can include NIACs between non-state CAGs (gangs, cartels, mafias, and militias) themselves or between these CAGs and state forces. Traditionally, and under most circumstances, criminal activity is a matter for civil law enforcement or community policing. Even in those nations where policing is conducted by forc-

21 Cit, Alexander elfes, «Militarised Criminal Networks in Mexico and the Challenges They Present to the Military and Police»;

22 John P. sullIVan and Robert J. Bunker, «Mexican Cartel Tactical Note #43: Improvised Armored Fighting Vehicles (IAFVs) – ‘Narcotanques’ and ‘Monstruos Blindados’ in Jalisco», Small Wars Journal, online, 10 January 2020.

23 Robert J. Bunker and John P. sullIVan (Eds.), Criminal Drone Evolution: Cartel Weaponization of Aerial IEDs, Bloomington, Xlibris, 2021; Robert J. Bunker and John P. sullIVan, «Mexican Cartels are Embracing Aerial Drones and They’re Spreading», War on the Rocks, online, 11 November 2021.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 420

es with military status, when these agencies provide community patrols and law enforcement they do so under civilian and judicial oversight and under the penal law within a human rights framework.

However, when the conflict waged by CAGs reaches a sustained level of intensity and the groups possess a level of organization where they can exercise command and control over their members and are able to meet the obligations placed on armed groups under International Humanitarian Law (IHL), the situation may become that of a NIAC. State forces (that is the military and police) have presumptive organizational capacity. The motivation of the parties to the armed conflict does not preclude designation of a criminal conflict as a NIAC as seen in the findings of the International Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) in Prosecutor v. Limaj et al. 24 In Mexico, there are arguably, at least three current NIACs underway.According to the assessment of the Rule of Law in Armed Conflicts (RULAC) initiative, the Government of Mexico (GoM) is involved in two parallel NIACs, one with the Cártel de Jalisco Nueva Generación (CJNG) and another with the Cártel de Sinaloa, (CDS or Sinaloa Cartel). In addition to these two conflicts, the battles between the CJNG and CDS also rise to the level of a NIAC.25

Within this context,AMLO embraced the formation of the Guardia Nacional (GN) to replace the Policía Federal and its embedded Gendarmería division. The formation of the Guardia Nacional is a hallmark of AMLO’s sexenio (sixyear term). AMLO initially viewed the GN as a de jure civilian entity yet the institution is de facto led by the military.This military status has led some critics to question the establishment of a militarized police.26

24 In Prosecutor v. Limaj et al., Judgment (Trial Chamber) (IT-03-66-T), 30 November 2005, §170 the ICTY held that: “[t]he determination of the existence of an armed conflict is based solely on two criteria: the intensity of the conflict and organization of the parties, the purpose of the armed forces to engage in acts of violence or also achieve some further objective is, therefore, irrelevant.”

25 See John P. sullIVan, «Non-International Armed Conflict: Mexico and Colombia», Revista do Ministério Público Militar (Brasil), online, Edição: 35, 2021; «Non-International Armed Conflicts in Mexico», Geneva: RULAC, Geneva Academy of International Humanitarian Law and Human Rights, online 30 May 2021; John P. sullIVan, « Crime wars: Operational perspectives on criminal armed groups in Mexico and Brazil. International Review of the Red Cross», online 07 September 2022, 1-27.

26 See Pedro IzquIerDo, «SWJ El Centro Book Review – Fuerzas Armadas, Guardia Nacional, y Violencia en México», Small Wars Journal, online, 23August 2021; Raúl Benítez manaut and Elisa gómez sáncHez, (Eds.), Fuerzas Armadas, Guardia Nacional y Violencia en México, Mexico City, Friedrich-Ebert-Stiftung and Colectivo deAnálisis de la Seguridad con De-

The Guardia Nacional (Mexican National Guard): Historical Antecedents

Mexico has long faced myriad law enforcement and security problems. Most of these, stem from weak state capacity and a lack of genuine rule of law.This is a result of Mexico’s history with authoritarianism, weak democratic transition, and high levels of corruption endemic to its governance system. The corruption was so endemic that a modest transition to democracy, poorly consolidated, could not overcome the fundamental corruption holding the state back from fulfilling its most fundamental responsibilities, providing for the security of the Mexican citizenry.

Mexico has undergone myriad reforms to attempt to rectify this situation, with every presidential administration changing the security apparatus every sexenio or every six-year term.27 Some of these reorganizations are little more than rearranging the organization charts or renaming existing institutions. However, the Andrés Manuel López Obrador (AMLO) administration has created a fundamental shift in the security apparatus as part of his proposed “Fourth Transformation” in Mexico. The first transformation was independence from Spain in 1821, the second was the reforms of the liberals in the (1850s), the third was the Mexican Revolution from 1910-1917 or into the 1930s (depending on one’s view of history), and the fourth is the current AMLO administration.28 Indeed, the National Guard (GN) is a fundamentally larger change than other bureaucratic shifts in the Mexican security apparatus over the previous four decades. Yet it is also in line with the existing trends of militarization of Mexican security policy and previous law enforcement reform efforts.29 This section will discuss its historical antecedents, justifications, intentions, and its contribution to the continued militarization of Mexico internal security apparatus.

mocracia,A.C., 2021.

27 See Nathan P. Jones and Samuel gonzález ruIz, «Forecasting the NextTwenty-FiveYears of the US-Mexico Public Safety and Security Relationship», in ed. Tony Payan, Alfonso lóPez De la osa escrIBano, and JesúsVelasco The Future of US-Mexico Relations: Strategic Foresight, Houston,Arte Publico, 2020.

28 Daniel WeIsz argomeDo, «The Propaganda War of the CJNG andAMLO», Small Wars Journal, online, 22April 2021.

29 Daniel WeIsz argomeDo, «War on Women» (Forthcoming Doctoral Dissertation, Irvine, CA, University of California, Irvine, 2022).

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Security Policy Under the PRI (1930-2000)

Scholars have long characterized security policy under the authoritarian Institutional Revolutionary Party (Partido Revolucionario Institucional – PRI) of Mexico as “hegemonic.”30 This allowed crime and violence to be controlled and gave government officials the ability to make long term “credible” commitments to traffickers.31 In the 1970s the US government assisted the Mexican military in cracking down on Sinaloa traffickers in the state of Sinaloa (Operation Condor 1977).32 The traffickers then moved to Guadalajara, Jalisco. While they were a diverse and decentralized group of Sinaloa traffickers, the US Drug Enforcement Administration (DEA) dubbed them the Guadalajara Cartel ostensibly led by Miguel Ángel Félix Gallardo, better known as El Padrino.33 El Padrino was a former police officer and bodyguard to the Governor of Sinaloa whose connections to political figures allowed him and his organization to garner political support. In 1984 DEA Agent Enrique Camarena helped the Mexican military find a large Marijuana plantation affiliated with Guadalajara Cartel traffickers. He was in turn, kidnapped in front of the US consulate in Guadalajara.After an aggressive US response, his body was found showing signs of torture. Eventually torture audio tapes emerged and El Padrino was arrested; his organization fragmented.34 The Mexican government disbanded the Dirección Federal de Seguridad (DFS) in this period, leading to a constant state of reform in the security sector and para-militarized organized crime that could no longer buy the state security apparatus.35

30 Angelica Duran-martInez, The Politics of Drug Violence: Criminals, Cops and Politicians in Colombia and Mexico, New York: Oxford University Press, 2018.

31 Richard snyDer andAngélica Durán-martínez, «Does Illegality BreedViolence? DrugTrafficking and State-Sponsored Protection Rackets», Crime, Law and Social Change, 2009, pp. 253–73; Cit. Duran-martInez, The Politics of Drug Violence; Luis astorga and David A. sHIrk, «Drug Trafficking Organizations and Counter-Drug Strategies in the US-Mexican Context», Working Paper, Mexico and the United States: Confronting the Twenty-First Century, San Diego, California, 2010.

32 James H. creecHan, Drug Wars and Covert Netherworlds: The Transformations of Mexico’s Narco Cartels Tucson, University ofArizona Press, 2021, pp. 45–47.

33 Nathan P. Jones, Mexico’s Illicit Drug Networks and the State Reaction, Washington, DC, Georgetown University Press, 2016.

34 Elaine sHannon, Desperados: Latin Drug Lords, U.S. Lawmen, and the War America Can’t Win, New York: Viking, 1988; National Law Enforcement Officers Museum, Witness to History: Operation Shadow Game, 2016, Youtube.com, online; Kim murPHy, «Tape of Drug Agent’s Torture Is Made Public», Los Angeles Times, 7 June 1988.

35 Cit. snyDer and Durán-martínez, Does Illegality Breed Violence?; Cit. Duran-martInez,

As Iñigo Guevara Moyano describes, during the 70 years of PRI rule, the states provided the majority of law enforcement capacity. This system while decentralized was controlled by a single party. Guevara points out that “in 1983 a constitutional amendment allowed local (municipal) governments to stand up their own police forces.”36 The PGR (Attorney General’s Office) controlled the Federal Judicial Police. Another noteworthy federal agency established in the PRI era, was the Policia Federal de Caminos (PFC) or the highway police. The PRI reorganized theArmy in 1942 under what we refer to today as SEDENA.37 These agencies would become the fundamental building blocks of reform efforts that immediately included the hope of an effective gendarmerie force. Security Policy Under Fox (2000-2006)

President Vicente Fox Quesada of the conservative National Action Party (Partido Acción Nacional –PAN) was the first non-PRI party candidate to hold office in 70 years.The former Coca Cola executive was charismatic and focused on economic issues. Yet, like Mexican Presidents before him, Fox partnered

The Politics of Drug Violence; Cit. Jones, Mexico’s Illicit; Cit.Astorga and sHIrk, Drug Trafficking Organizations.

36 Iñigo gueVara moyano, «Mexico’s National Guard:When PoliceAre Not Enough»,Washington, DC, Woodrow Wilson Center, Mexico Institute, online, 2020, pp. 5-6.

37 Cit. gueVara, Mexico’s National Guard. p. 5.

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with US law enforcement agencies (LEAs) on counternarcotic issues. Some of the most important arrests of kingpins occurred during the Fox administration in the years between 2000 and 2006. For example, Mexican officials arrested Osiel Cárdenas Guillén head of the Gulf Cartel and its armed wing Los Zetas in 2003. The Cárdenas arrest would set in motion his 2007 extradition and cooperation with US law enforcement, which ultimately led to the violent Gulf-Zetas split in 2008-2010 that surged violence in Mexico.38

The Fox Administration wanted a civilian led agency to confront organized crime.As Guevara notes, it is important to remember that Fox was an opposition candidate, and the continued use of law enforcement agencies affiliated with or perceived to be affiliated with the PRI, was problematic. Thus, the Fox Administration created the Secretaria de Segudidad Publica (SSP). The SSP housed the new Policia Federal Preventiva (PFP), which was comprised of the PFC (highway police) and 7,500 troops from the “Army’s 3rd Military police Brigade and the navy’s Marine Infantry Force.”39 Based on its hybrid LE/paramilitary composition, the PFP was a precursor to the modern GN in its capacities. The Fox Administration also created the Agencia Federal de Investigaciones (AFI) which was intended to be a high-end investigative agency to “complement” the PFP.40 Thus, in this period federal law enforcement in Mexico had two federal police agencies,AFI, an investigative agency and the Federal Preventive Police (PFP) which had gendarme characteristics, in addition to the PGR or Attorney General’s office.41

Security Policy Calderón (2006-2012)

President Felipe Calderón Hinojosa entered office following a disputed 2006 election against AMLO with rising organized crime violence. He responded by using the military to target rising organized crime. He deployed 25,000 troops and police to his home state of Michoacán which was wracked by drug violence. Many criticized this militarization of the policy as a strategy to distract from the AMLO disputed election of 2006. Calderón also proposed the Mérida Initiative in 2007 which was to be a partnership with the United States to combat organized crime. The United States provided about $1.4 billion in initially military

38 Alfredo corcHaDo and Kevin krause, «Drug Kingpin’s Deal with the U.S. Triggered Years of Bloodshed, Including a Southlake Murder», Dallas Morning News, online, 14April 2016.

39 Cit. gueVara, Mexico’s National Guard. p. 6.

40 Cit. gueVara, Mexico’s National Guard. p. 6.

41 Cit. John P. sullIVan, Police-Military Interaction

equipment, which later shifted to training and capacity-building.42

Calderón attempted to stand up a new militarized force to support the PFP, but it was stopped by Congress after only a few months.43 Simultaneously, SEMAR quietly established “32 marine infantry battalions” which allowed it to play a larger role in combatting cartels and earned it a reputation for high value targetingofmajor capos.ThenewheadoftheSSP,GenaroGarciaLunachanged the name of the PFPto the Federal Police (PF) and placed theAFI under the new PF.44 Violence only surged during the Calderón Administration despite signs of a 2011 plateau in violence. This doomed the PAN’s hopes of reelection.

Security Policy: Peña Nieto (2012-2018)

President Enrique Peña Nieto entered office with high popularity ratings. Even as the violence of the Calderón administration appeared to be plateauing as depicted in Figure 1, Peña Nieto could blame that violence on the Calderón Administration’s use of the military in internal security as retired DEA agent Gary Hale described.45 The economy was booming and there was talk of the “AztecTiger,” an allusion to the EastAsian tiger economies nicknamed for their aggressive growth.46 The Peña Nieto administration represented the return of the PRI sometimes called the “Dinosaurs” for their old political style. No one in the Mexican elite wanted to talk about security issues. It was treated as an unfair maligning of Mexico.And yet the symptoms of a major problem were all there: high homicide and crime rates were the new normal, despite their slightly downward trends. There was no return to pre-2006 pacific levels of violence.

42 Colleen cook, Rebecca G. rusH, and Clare rIBanDo seelke, «Merida Initiative: Proposed U.S. Anticrime and Counterdrug Assistance for Mexico and Central America», Washington, DC, Congressional Research Service, 3 June 2008, Online; DavidA. sHIrk, «Police Forces», in Viridiana Rios Contreras and W. Duncan Wood (Eds.), The Missing Reform: Strengthening the Rule of Law in Mexico, Washington, DC, Woodrow Wilson Center for International Scholars Mexico Institute, 2018; George W. grayson, The Cartels: The Story of Mexico’s Most Dangerous Criminal Organizations and Their Impact on U.S. Security, Santa Barbara, Praeger, 2014.

43 Cit. gueVara, Mexico’s National Guard. p. 8.

44 Cit. gueVara, Mexico’s National Guard. pp. 8-9.

45 Gary Hale, «A Strategy Shift in Mexico’s Drug War? », Chron Baker Institute Blog, online, 25 July 2012.

46 Nicolas Berggruen and Nathan garDels, «The Rise of the ‘Aztec Tiger’», Wall Street Journal, online, 26April 2013.

Figure 1. Intentional Homicide Investigation Rate Over Time

By late 2014 the Iguala incident dispelled any fantasies. 43 students from a teaching college in Ayotzinapa were taken from buses by what appeared to be law enforcement and handed over to cartels. The students disappeared, their bodies never found, save the DNA remnants of one or two.47 The international investigators quit, finding themselves hampered, and many versions of exactly what happened that night, have emerged.48 All versions of the Iguala incident told a story of government and organized crime collusion. The crime has never been solved and is a persistent wound in the Mexican psyche.

Early on, the Peña Nieto Administration renamed the SSP, Comision Nacional de Seguridad (CNS) and placed it under the Secretaria de Gobernacion (SEGOB) along with the PF.49 Peña Nieto also attempted to create a National Gendarmerie force. The idea of the national gendarmerie force was to split the difference between police/law enforcement capacities and the military capabilities needed to combat powerful, profitable, and violent organized crime groups.

47 Cit. sHIrk, Police Forces, p. 253.

48 Deborah Bonello, «Mexico Says Remains of the Second of 43 Missing Students Have Been Identified», Los Angeles Times, online, 17 September 2015; Kirk Semple, “Missing Mexican Students Suffered a Night of ‘Terror,’ Investigators Say», New York Times, online, 24 April 2016.

49 Cit. gueVara, Mexico’s National Guard. p. 10.

Writing during the 2013 debate, John P. Sullivan described, “Peña Nieto’s strategy involves emphasizing counter-violence, unifying police commands into five regional centers of effort, and creating a National Gendarmerie. Clearly, a counter-violence approach has the potential to decrease instability.”50 Sullivan pointed out that scholars such as Alejandro Hope and Peter Chalk argue that the creation of the national gendarmerie would rotate military personnel into police functions “effectively continuing the militarization of Mexico’s internal security.”51 Sullivan also pointed out that a unified command and a continued reliance on the military for police functions could exacerbate corruption and human rights abuses.As we will see, much of this has come to pass.

Ultimately, the National Gendarmeríe force became a component of the existing Federal Police rather than a standalone entity. Due to political battles, the force was only ever about 5,000 strong, a paltry number in the context of a nation of over 120 million, the wide geographic dispersion of organized crime, and early discussions of a force of 40,000.52 Broadly speaking, Peña Nieto also attempted to recentralize the security apparatus.53 However, as Professor David Shirk pointed out, he was stymied by state governors. He had to settle for Mando Unico or a unified command that was based on conditioning federal grants with cooperation in the new system.54

SEMARcontinueditstrendoftakingonmorerolesinrelationtolawenforcement such as taking over port law enforcement (LE) functions, a trend which had begun in the Calderón administration.55 The Mexican military continued to be the primary manpower intensive force in the counter narcotics fight. This led to a problem for an ostensible democracy. How does a democracy continue to use the military on its own people in lieu of the police and law enforcement for a prolonged period? It cuts at the heart of democracy, rule of law, a professionalized military, and the legitimacy of the state itself. The process begged to be legalized and regulated. The answer in the Peña Nieto administration became the Internal Security Law which would have effectively legalized the use of

50 John P. sullIVan, «Mexico’s Military Plays a Necessary Role in Internal Security», Chron Baker Institute Blog, online, 4 June 2013.

51 Ibid.

52 Cit. Hale, A Strategy Shift

53 Chris Bronk, «NotYour Father’s National Guard», Chron Baker Institute Blog, online, 26 July 2012; Viridiana rIos contreras, «How Government Structure Encourages Criminal Violence: The Causes of Mexico’s Drug War», Harvard University, 2012.

54 Cit. sHIrk, Police Forces, p. 252.

55 Cit. gueVara, Mexico’s National Guard. pp. 8, 12-13.

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the military in the counter narcotics fight. It was immediately controversial but passed in congress. The law however was so controversial that President Peña Nieto refused to implement it until the Mexican Supreme Court could rule on its legality. Eventually, the Supreme Court of Mexico ruled against the law. The internal security law was dead, but the problem of having a force legally capable of combatting large scale organized crime in Mexico remained.56

By 2015 violence levels had ticked back up and this time they did not stop. The new normal was now more violent than ever as depicted in Figure 1. By the end of the Peña Nieto Administration, the reputation of the PRI was in tatters due to violence and corruption scandals, and the Mexican public sought something new. The PAN had ruled 12 years leading to high violence, the PRI was given a second chance and clearly failed. That left the Mexican left andAMLO who had run many times before unsuccessfully.

Security Policy: AMLO (2018-2024)

President Andrés Manuel López Obrador (AMLO) and his National Regeneration Movement (Movimiento Regeneración Nacional – MORENA) party swept into power with a decisive victory in crowded field in 2018. His security policy was unclear to many of his critics.AMLO was popular in part due to his folksy expressions. He described his security policy as abrazos no balazos or “hugs not bullets.” One clear component of his otherwise vague security policy was his policy of establishing the Guardia Nacional (GN) or National Guard.57 This force aimed to include more than 150,000 personnel and function as a Gendarmerie force much like the one Peña Nieto intended to create in 2012-2013. As Vanda Felbab-Brown described in 2019, this new policy, while interesting in its attempts to address root causes of violence and explore issues such as drug legalization, and amnesty for criminals, was more of the same for Mexican politics, in that it would “create new institutions, rename old ones, and hire Mexico’s military personnel into civil law enforcement roles.”58

The GN can be viewed as an attempt to reconsolidate federal power, as Mexico had devolved power to the states in the 1990s with often disastrous results.

56 «Mexico’s President Signs Internal-Security Law before Court Review,», Reuters, online, 22 December 2017.

57 VandafelBaB-BroWn,«AMLO’sSecurityPolicy:CreativeIdeas,ToughReality», Brookings, online, March 2019.

58 Cit. felBaB-BroWn, AMLO’s Security Policy, p. 3.

More than a dozen governors were either charged with large scale corruption or were fugitives from justice.59

The AMLO administration has faced significant security challenges including its first years in office 2019 and 2020 which had some of the highest levels of homicide in Mexico’s history and organized crime that directly challenged the state security apparatus by killing police officers. According to the NGO Causa en Común, Mexico averaged at least 1 police officer murdered every day. In 2019, (446) police officers were assassinated, in 2020 (524), in 2021 (401) and from January to April of 2022, 122 police officers were assassinated, demonstrating this trend continues.60

The AMLO administration viewed the PF as corrupt. Certainly, there was evidence to support that view. Genaro Garcia Luna the former head of AFI which became the Federal Police, and who later became the Secretary of Public Security during the Calderón Administration was indicted in the United States on charges of corruption and supporting the Sinaloa Cartel during his tenure in power.61 There had been scandals related to the federal police and even the Special Investigations Units (SIU) that were specifically vetted by the US Drug Enforcement Administration (DEA). Ginger Thompson of Pro Publica broke an investigative report showing that the Special Investigative Unit (SIU) investigating the Zetas leaked information to the Zetas leading to a massacre in the town ofAllende, Mexico.62

59 Luis Fernando alonso, «5 Former Mexico Governors Accused of Corruption in 2016», Insight Crime, online, 14 November 2016; Roberto zePeDa and Jonathan D. rosen, «Violence in Mexico:An Examination of Major Trends and Challenges», in Hanna S. kassaB and Jonathan D. rosen (Eds.), Violence in the Americas, Lanham, Lexington Books, 2018, pp. 109124; David rocHa, Roberto zePeDa, and Jonathan D. rosen (Eds.), «Combating Organized Crime, Violence and Public Insecurity in Mexico: The Case of Tijuana», in Jonathan D. rosen, Bruce Bagley, and Jorge cHaBat (Eds.), The Criminalization of States: The Relationship Between States and Organized Crime, Lanham, Lexington Books, 2019, pp. 81-106; Nathan P. Jones, «Organized Crime in Mexico: State Fragility, ‘Criminal Enclaves’and Violent Disequilibrium», in Jonathan D. rosen, Bruce Bagley, and Jorge cHaBat (Eds.), The Criminalization of States: The Relationship Between States and Organized Crime, Lanham, Lexington Books, 2019, pp. 31-54.

60 «La Situación de Las Policías En México 2018-2022», Causa en Común, 9 May 2022, online, p. 12.

61 Francisco sollano Jr, «A Social Network Analysis of Genaro García Luna and His Alleged Ties to the Sinaloa Cartel», Small Wars Journal, online, 11 January 2022.

62 Ginger tHomPson, «How the U.S. Triggered a Massacre in Mexico», ProPublica, online, 13 June 2017.

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Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate

Nonetheless, scholars such as Oxford University Professor Monica Serrano have argued that the disbanding of the Federal Police was a mistake because there were effective portions of the organization.63 Security experts such as Guillermo Garduño of Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) have criticized the GN for its deployments to many different “arbitrary” mission areas such as confronting protesting farmers at a dam in the state Chihuahua and its potentially lethal military style tactics; a farmer was killed in that incident.64

Not all have been critical of the establishment of the GN. Michael Burgoyne provided a comparative case study analysis assessing the Spanish Guardia Civil, French Gendarmerie Nationale, and the Italian Carabinieri.65 He pointed to the advantages these forces have including the capacity to take on “bandits and insurgents” (highly relevant for the CAG situation in Mexico), historical legitimacy, community policing, “organic investigators” and “symbiotic relationships with prosecutors.” Burgoyne argues that the US can provide Mexico with legal development assistance, while European states with gendarmerie forces can provide the GN with relevant expertise in a truly multinational effort.66

Patricia Escamilla-Hamm writing in the Small Wars Journal, argued that the GN was “a strategic necessity” given Mexico lacked a large national force capable of addressing large scale organized crime. Thus, a law enforcement gendarmerie style agency with military tactical capabilities was an ideal model for addressing Mexico’s security issues given the corruption in previous LEAs such as theAFI and PF.67 The GN was given myriad responsibilities often associated with Gendarme forces including: “traditional proximity/preventive policing,” civilian protection in disaster response, social service assistance, local law enforcment and military support, disappeared and kidnapped person response, intelligence, critical infrastructure protection, industrial cycle protection, combatting huachicoleo (oil theft), border/immigration security, and “disrupting illicit supply chains.”68 To administer the geographically widespread nation, the GN

63 Constanza lamBertuccI and Beatriz guIllen, «¿Por qué no soy guardia nacional? », El País México, 25 September 2020.

64 Cit. lamBertuccI and guIllen, ¿Por qué no soy guardia nacional?

65 Michael Burgoyne, «Wilson Center Publication: Building Better Gendarmeries in Mexico and the Northern Triangle», Small Wars Journal, 10 July 2019.

66 Michael L. Burgoyne, «Building Better Gendarmeries in Mexico and the NorthernTriangle», Washington, DC, Woodrow Wilson Center, Mexico Institute, online, May 2019, pp 17-18.

67 Patricia escamIlla-Hamm, «The Guardia Nacional (National Guard): Why a New Militarized Police in Mexico», Small Wars Journal, online, 8 December 2020.

68 Cit. Patricia escamIlla-Hamm, The Guardia Nacional

divided Mexico into 266 zones, which it would patrol.

In response to the criticisms of militarization, Escamilla-Hamm astutely points out, the military forces added to the GN were military police forces and received various law enforcement trainings. At the time she wrote in 2020, the Secretary of Security and Civilian Protection (SSPC) Alfonso Durazo, the ostensible civilian head of the GN, pointed out that there would be increased law enforcement recruitment over time mitigating the military character of the GN. As we will see, recent reporting suggests that trend has not played out. Durazo stepped down from the SSPC in 2020 to run for the Governorship in Sonora. Today the Secretary of Security and Civilian Protection is Rosa Icela Rodriguez who has worked to build the financial investigative capacity of the GN.69

69 Miguel Ángel Velázquez, «SeAlista Una Guardia Financiera: Titular de La SSPC», La Jornada, online, 8 March 2021.

National Guard of Mexico Fecha de publicación 16 de septiembre de 2019

The Current Status of the Guardia Nacional (Mexican National Guard)

The Guardia Nacional is in place, yet it is still evolving. The relationship between the military and the GN remains unresolved, and it shares responsibility at the federal level with the Policía Federal Ministerial, PFM or Federal Ministerial Police within the Fiscalía General de la República (FGR orAttorney General’s Office).70 The GN was formed integrating officers from the Policía Federal, as well as military and naval police units.

As of mid-2022 the GN was under the oversight of the civilian Secretaría de Seguridad y Protección Ciudadana (Secretariat of Security and Civilian Protection or SSPC).71 It should be noted that both the Policia Federal and its Gendarmería component were both essentially gendarme type forces in configuration. The bulk of community policing efforts was and remains the province of the various states and municipalities that maintain police forces. Investigative functions are largely conducted by the PGR and its component investigative entities—i.e., the PFM and their state counterparts.

By July 2019 there were significant protests in Mexico City from PF officers related to the absorption process. The protesters primary demands were to maintain their rank, positions, salaries, bonuses, seniority, have a union, and be evaluated by those with law enforcement rather than military experience.72 The culture clash within the new GN was established and for now it appears the military is winning.

As of 2020, approximately 25,000 PF officers joined the new National Guard comprising roughly one third of its roughly 91,000 members, the majority of which were pulled from SEDENA (Army) and SEMAR (Navy).73 7,000 PF officers chose not to join the new force and retire.74 The pay in the GN was lower than the pay and benefits in the PF.The GN was established in 2019 and by 2020

70 In 2014, Mexico initiated constitutional reforms of the Procuraduría General de la República (PGR). This process culminated with the replacement of the PGR by the Fiscalía General de la República (FGR) on 18 January 2019.

71 The transition of the GN to military control was attempted in September 2022, though the move faces significant litigation which continues in November 2022. Diego oré, «Mexico

GivesArmy Control of National Guard, Sparks Clash with U.N.», Reuters, online, 9 September 2022; Alejandra zárate, «Organizaciones Apoyan a jueza que supendió transferencia de la Guardia Nacional a Sedena», Milenio, online, 11 November 2022.

72 «Mexican Police Protest against Joining New National Guard», Reuters, Online, 4 July 2019.

73 Cit. lamBertuccI and guIllen, ¿Por qué no soy guardia nacional?

74 Ibid.

many former PF officers who had joined the GN were slowly quitting.75 As of December 2021, according, Animal Politico, the GN has 23,000 of its “own” employees (the former PF) who are paid through the GN system, while the other 80% of its forces are on loan and paid directly from the budgets of SEDENAand SEMAR (total GN Forces 102,312). Reporting from Animal Politico also points out that there has been no effort to recruit civilians into the GN.76

Professor Serrano also pointed out to El Pais that the disgruntled Federal Police could be hired by organized crime groups.As Jones describes, this is particularly dangerous because the state security apparatus has served as a source of tactical diffusion amongst organized crime groups in what he characterizes as a bacterial ecosystem model, wherein CAGs evolve more rapidly due the exchanging of members or bacterial conjugation.77

The GN can be characterized today as largely dominated by the military and committed to myriad mission areas which are far beyond the scope of combatting organized crime. The GN has been used heavily in border security roles at both Mexico’s southern and northern border with the United States. This role has included immigration enforcement.78

The GN has had very few intentional homicides even reported to it as security analystAlejandro Hope points out. This is important because homicides are one of the key metrics the Mexican government uses to measure success against organized crime, yet it is a matter of common law, typically handled by the states.As Hope describes, the GN budget keeps growing but its impact on homicides is limited suggesting the government should consider resource allocation and how the GN can support the relevant agencies.79

As Roderic Camp, an expert in Mexican civil-military relations discussed in a recent interview, the new GN “has not been effective.” He pointed to the October 2019 operation to capture Ovidio Guzmán, the son of “El Chapo Joaquín”

75 Ibid.

76 Arturoangel, «La Guardia Nacional Tiene Solo 23 Mil Elementos Propios, No 100 Mil, Reconoce La Corporación», Animal Político, online, 24 February 2022.

77 NathanP.Jones,«BacterialConjugationasaFrameworkfortheHomogenizationofTacticsin Mexican Organized Crime», Studies in Conflict & Terrorism, Vol. 44, No. 10, 2021, pp. 85584.

78 Richard J. Jr. kIlroy, «Forging New Security Institutions: Mexico’s National Guard and the Challenges of Identity and New Nationalisms», Rice University’s Baker Institute, online, 13 July 2021, p. 5.

79 AlejandroHoPe,«LoshomicidiosylaGuardiaNacional», El Universal,online,24November 2021.

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 434

Guzmán Loera in Culiacán. The GN and other elements captured Sinaloa Cartel leader Ovidio Guzmán, yet the violent Sinaloa Cartel reaction forced the government to release him.80 As Camp points out, the Mexican military lacks a strong core of noncommissioned officers and corruption tends to come from the command level. The GN is “more of the same,” a “military culture” in “civilian police” force.81 The training has tended to be military not law enforcement oriented, and while a “good concept, it has not been implemented well.” Camp further questions what this militarization means for the future of Mexican democratization.

The dangers of the militarization of Mexican law enforcement in the form of the Mexican GN include the increased use of torture. Recent studies have shown that torture by the military is widespread and there are gendered forms of violence in the torture reported, including women being more likely to be subject to rape and sexual violence.82 DanielWeiszArgomedo argues in his forthcoming doctoral dissertation that while the new GN was meant to be a civilian body, it is de facto a continuation of militarization of Mexico’s security.83 The GN suffered from accusations of human rights abuses, many of them gendered in nature, from its inception by constitutional amendment in March 2019. Human rights organizations such asAmnesty International produced reports as early as a year and a half from the GN inception on these issues.84

As Coste argues, Mexico has not fundamentally changed its civil-military relations during its democratic process. For example, while the military defers to civilian leadership, military leaders are derived from the military leadership class, not from a cadre of competent civilian elites.85 As Tony Payan points out, the Mexican population approves of the military, but would “rather the troops remain in their barracks.”86

80 Azam aHmeD, «The Stunning Escape of El Chapo’s Son: It’s Like ‘a Bad Netflix Show’», New York Times, online, 18 October 2019.

81 RodericcamP,«RodericCamponNationalGuard»,interviewbyNathanP.Jones,Telephone, 18 May 2022.

82 Abraham sáncHez ruIz, Carlos meJía reyes, and Marco Antonio camacHo ruIz, «Patrones de género en las prácticas de tortura cometidas por las Fuerzas Armadas de México (20112019) », América Latina Hoy, Vol. 88, 31August 2021, pp. 81-99.

83 Cit. WeIsz argomeDo, War on Women.

84 Duncantucker, «La Guardia Nacional está rompiendo su juramento de respetar los derechos humanos », Amnistía Internacional, online, 8 November 2020.

85 Jacques coste, «Columna Invitada: El Ejército y La Democracia En México», ADNPolítico, online, 25 May 2022.

86 Tony Payan, «Why Mexico’s Military Is Fighting the Country’s Drug War», Chron Baker In-

Prospects for the Guardia Nacional and the Impact on Law Enforcement

The Guardia Nacional is still maturing. It has effectively replaced the Policía Federal and component Gendarmería and is working toward developing a comprehensive preventive federal police capacity. In doing so, it must develop solid linkages with the PGR and PFM, especially enhancing investigative liaison and interface. The same is true of the need to co-ordinate activities with state preventive and investigative (ministerial or judicial police). The GN must also develop solid interoperability with both SEDENAand SEMAR forces. This interoperability is essential. First, it is needed as the GN builds its own internal command and control capacities and organizational ethos. Second, it is essential because Mexico remains a fragile state, challenged by corruption, impunity, and criminal enclaves where CAGs exercise territorial control.

In addition, mechanisms for combatting corruption, ensuring transparency, and developing the doctrine at tactical, operational, and strategic levels necessary to combat endemic insecurity, that challenges state solvency are essential. This will require support from the armed forces (FF. AA.) for the foreseeable future, as the situation still entails profound challenges to the state and mechanisms of internal security. Much like the debates over the formation of the Gendarmería under Enrique Peña Nieto, the current and future administration needs to sustain public debate in order to achieve constitutional balance.And as always, security is a prerequisite to effective public debate--the military has a continuing role until the civil police infrastructure is mature enough to operate alone.87

As the GN matures, it is essential to recall that gendarmerie or constabulary forces can fill the gap between community police and the military. Just as the military fills the security void when CAGs directly confront the state, gendarmeries (formed police forces) can help stabilize the situation and enable the development of community police. Stability police forces are better suited to the policing mission than their counterparts in the mainstream military.As seen in France, Italy, and elsewhere gendarmeries and the carabinieri have a long tradition of operating within a civil context while bringing the ability to integrate with the military during times of crisis or war.As Sullivan noted in 2013, “Modern formed police units (FPUs), also known as Stability Police Units (SPUs) like the French Gendarmerie or Italian Carabinieri fill the interstitial void in

stitute Blog, online, 6 June 2013.

87 JohnP.sullIVan,«Mexico’smilitaryplaysanecessaryroleininternalsecurity», Chron Baker Institute Blog, online, 4 June 2013.

alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 436

capabilities found in complex situations at the intersection between crime and war.”88

Unfortunately, as interviews and opensource reporting indicates, the current trajectory of the GN, (March 2019-May 2022) is one of militarization, e.g., the military pays 80% of all salaries and is the only source of recruitment for new officers. Attrition amongst the LE trained FP (absorbed into the GN) is high, suggesting a limited influence. If there are not significant changes to incorporate the policies recommended in the next section, the GN will not be able to fulfill its goals as a genuine gendarmerie force.

Policy Recommendations

Criminal enclaves, such as narco-cities or criminal-states, challenge police and law enforcement agencies.They do so at several levels. First, they do so tactically on the ground when the CAGs dominate the local eco-system and challenge local and municipal governments and the police. Next, they challenge the solvency of the state by using violence and corruption to penetrate state organs and erode confidence in the police (and the state) leading to rampant insecurity and impunity. Violence is often the primary tool, but corruption and impunity are the actual deep threat, especially at the operational level where their corrosive effects diminish perception of legitimacy as the criminal bands and state organs engage in a battle for competitive control.

Law enforcement and police are essential to restoring and maintaining order and stability. To do so, they require the capacity to act and a force structure optimized to address the criminal armed threat posed by CAGs. This means having an agile, adaptive organization that is responsive to the community while having the means to effectively combat high intensity criminal attacks. Since the various CAGs use military TTPs and weapons, often in infantry formations (and increasingly using drones/unmanned aerial systems) to achieve combined arms capabilities, the police require enhanced skills and equipment.

From a strategic perspective, the GN, by embracing a gendarmerie or constabulary framework have the potential to meet the ‘hybrid’ needs posed by criminal conflicts. This will require both intra-conflict policing, and transitional justice capabilities when restoring order to criminal enclaves that were dominated by CAGs. This will also require developing and sustaining effective rule

88 John P. sullIVan, «The benefits of a paramilitary force in Mexico», Chron Baker Institute Blog, online, 4 January 2013.

of law oversight mechanisms, reinforcing civilian and judicial oversight, and developing effective intelligence to inform operations strong interoperability and co-operation with state and municipal police and the PGR and its PFM, as well as liaison with international police and investigative entities involved in counter-cartel and counter-gang operations.89

Conclusions

The Guardia Nacional has the potential to provide Mexico with the foundation for police reform while also providing a viable capacity to address the threat posed by CAGs, especially criminal cartels and territorial gangs. To do so, the GN needs to enhance its interaction and interoperability with Mexico’s other law enforcement and police agencies. In doing so, it needs to enhance its capacity for community policing and interaction with communities ranging from dense urban barrios to rural colonias. This will require institutionalizing transparency and enhancing civilian control while retaining the specialized military skills and capacity needed to address high intensity, militarized violence by CAGs. The GN will also need to deepen its investigative and forensic capabilities, build liaison and interoperability with the PGR and state prosecutors and their investigative arms—the PFM and state ministerial police.

The GN will also need to enhance its internal corruption control mechanisms and build a solid internal career path for commanders and technical specialists. This will entail a high level of training that can be aided by building training and mentorship relationships with other police forces with military status including the aforementioned Gendarmerie Nationale and Carabinieri, as well as the Dutch Koninklijke Marechaussée, Spanish Guardia Civil, and other forces within the European Gendarmerie Force (EUROGENDFOR).90

Training GN members in peacekeeping operations and rule of law precepts, as well as in depth legal training on human rights law and IHLare also necessary

89 See John P. sullIVan and Keith Weston, «Afterward: Law Enforcement Response Strategies for Criminal-states and Criminal-soldiers», Global Crime, Vol. 7, No. 3-4, August-November 2006, pp. 615-628; John P. sullIVan, «Establishing the Rule of Law/CivPol», in Manolis PrInIotakIs (Ed.), Countering Insurgency and Promoting Democracy, Washington, DC, Council for Emerging National SecurityAffairs (CENSA), 2007. pp. 108-121.

90 These EUROGENFOR police forces with military status are the Gendarmerie Nationale (France), Guardia Nacional Republican (Portugal), Koninklijke Marechaussee (Netherlands), Arma dei Carabinieri (Italy), Jandarmeria Română (Romania), Guardia Civil (Spain), and Żandarmeria Wojskowa (Poland).

Forza alla legge. Studi storici su Carabinieri, Gendarmerie e Polizie Armate 438

to enhance the functioning of the force.This could include training at the Center of Excellence for Stability Police Units (COESPU), Interpol, and co-operative training with UN Civil Police (Civpol) and other stability police forces. Finally, the GN needs to establish a professional development and education component and share that training with its partner agencies in Mexico and other nations facing similar gangs and organized crime threats involving CAGs.

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l volume raccoglie i contributi provenienti da diversi Paesi dedicati alla storia dei Carabinieri, delle Gendarmerie e delle Forze di Polizia ad ordinamento militare. Dunque, un tema ampio, limitato unicamente dal periodo temporale identificabile con la fine dell’Età Moderna e sino a tutta l’Età Contemporanea, ma disponibile e aperto a studi internazionali.

IIl volume raccoglie i contributi provenienti da dedicati alla storia Carabinieri, e delle Forze di Polizia ad ordinamento militare. Dunque, un tema ampio, limitato unicamente dal periodo temporale identificabile con la fine dell’Età Moderna e sino a tutta l’Età Contemporanea, ma disponibile e aperto a studi internazionali.

In questo senso, si può ritenere che il volume abbia raggiunto lo scopo se si sfogliano le pagine che consentono di approfondire questioni legate a continenti diversi, a funzioni distinte, a concettualizzazioni di ampio spettro, a periodi storici limitati o più ampi.

In questo senso, si può ritenere che il volume abbia raggiunto lo scopo se si sfogliano le pagine che consentono di approfondire questioni legate a continenti diversi, a funzioni distinte, a concettualizzazioni di ampio spettro, a periodi storici limitati o più ampi.

Ciò ha l’obiettivo di raccogliere riflessioni di storici qualificati e poter riavviare una riflessione di lungo periodo che era stata portata avanti da tempo, almeno in Italia, in ambito universitario.

Ciò ha di raccogliere riflessioni di storici qualificati e riavviare riflessione di lungo periodo che era stata portata avanti da almeno in Italia, in ambito universitario.

Questo libro, in definitiva, vuole avere un approccio aperto e inclusivo nella speranza di poter lanciare una nuova stagione di studi sul tema.

Questo libro, in definitiva, vuole avere un approccio aperto e inclusivo nella speranza di poter lanciare una nuova stagione di studi sul tema.

ISBN: 9788894698459

flaVIo carBone (cur.), ferDInanDo angelettI, géralD arBoIt, Jonas camPIon, aryama gHosH, gonçalo rocHa gonçalVes, VIrgIlIo IlarI, natHan P. Jones, anDrzeJ mIsIuk, Jean-noël luc, marIa gaBrIella PasqualInI, gIanluca PastorI, romaIn Pécout, anDré rosemBerg, JoHn P. sullIVan, elIe teIcHer,aleksanDra zaJac,anDré luIs zullI.

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