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Napoli

italiane che si erano trovate alla mercè di qualsiasi autorità alleata che le aveva impiegate in maniera non coordinata senza tener conto né delle effettive necessità, né delle esigenze italiane. De Courten informò che avrebbe impiegato le poche unità direttamente controllate per evacuare i militari italiani dalle sponde orientali dell’Adriatico e per appoggiare la resistenza armata ai tedeschi.

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L’occupazione tedesca della città di Napoli, immediata retrovia del fronte di Salerno, durò solo pochi giorni. Lo sgombero forzoso della fascia costiera per una profondità di trecento metri,(73) il minamento e la distruzione sistematica dell’area portuale, i rastrellamenti indiscriminati di uomini da inviare al lavoro coatto in Germania finirono per scatenare la reazione della popolazione, cui dettero subito appoggio i militari rimasti nascosti in città. La Resistenza armata si sviluppò a partire dal giorno 27 settembre, quando la vicinanza delle armate alleate faceva ritenere imminente il loro arrivo e occorreva con ogni mezzo scongiurare ulteriori gravi danni al patrimonio industriale della città, già gravemente compromesso dagli oltre tre anni di guerra e dai numerosissimi bombardamenti da essa subiti. La lotta fu condotta, in modo particolare, nella zona del Museo, che costituisce cerniera fra i quartieri orientali e occidentali della città e che controlla gli accessi alla ferrovia, al centro, al Vomero e, indirettamente, al porto. Il reparto che qui operava era comandato dal maggiore del genio Salvatore Amato, dal capitano pilota Mario Sassella e dal tenente medico della Marina Giulio Barberio. Esso comprendeva altri 3 ufficiali, 7 sottufficiali, 22 militari e 11 borghesi, ed era appoggiato dal tenente colonnello Minniti, comandante la divisione interna dei carabinieri.(74) La lotta nella zona iniziò alle 18 del 28 con la cattura, da parte di Sassella e Barberio, di un autocarro tedesco con un bottino di 4 moschetti e relative munizioni e di un motociclista porta ordini. I tedeschi cercavano di interrompere le comunicazioni stradali fra la parte alta e quella bassa della città; alcuni genieri tentarono di minare il Ponte

(73) Tra il 23 e il 24 settembre; circa 200 000 persone rimasero senza casa. (74) Fra essi vi erano i seguenti appartenenti alla R. Marina: capo infermiere di 3a classe Antonio Maroldo, 2° capo silurista Tullio De Tullio, 9 marinai (sottocapo Ettore Falanga, Vincenzo Baldini, Mario Fermino, Francesco Mastropierro, Giuseppe Quagliozzi, Mario Tammaro, Nicola Marino, Antonio Vicari, premarinaro navale Antonio Russo).

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della Sanità, ma un gruppo di marinai, in via Nuova di Capodimonte, li intercettò e li costrinse a ritirarsi. Il mattino del 29 furono apprestati sbarramenti anti carro e postazioni per le armi pesanti; inoltre furono stabiliti collegamenti con gli altri gruppi di armati e il numero degli insorti andò infoltendosi con l’arrivo di civili che si unirono all’iniziale gruppo di militari. Contemporaneamente fu iniziato il rastrellamento delle armi, anche da zone vicine, ma la maggior parte delle armi impiegate fu tolta ai tedeschi. Un gruppo automontato portò soccorso, con successo, a un altro che stava combattendo contro forze preponderanti nella zona di Capodimonte. Nel pomeriggio si delineò una minaccia di attacco tedesco con impiego di carri armati e le armi pesanti furono messe in postazione e furono costituiti gruppi di volontari che dovevano attaccare i carri con bottiglie Molotov. Alle 15 fu segnalato l’attacco portato da quattro carri armati Tigre che scendevano velocemente da Capodimonte, sparando con tutte le armi di bordo. I carri si arrestarono contro uno sbarramento formato da vetture del tram, ma il reparto d’assalto che li attaccò fu respinto, con perdite, dai reparti tedeschi e fascisti che ne appoggiavano l’azione. I carri si allontanarono verso il centro della città, e gli insorti iniziarono operazioni di rastrellamento, si procurarono l’esplosivo (operando lo sminamento dell’acquedotto di Capodimonte) con cui furono creati campi minati fra lo sbarramento dei tram e quello di piazza del Museo. Nell’azione contro i carri armati e nel successivo rastrellamento si distinse particolarmente, per audacia, sprezzo del pericolo e coraggio il marò s.v. Vincenzo Baldini. Il giorno 30 i combattimenti proseguirono e si procedette al fermo di personale civile, anche tedesco, che si sospettava di fare lo spionaggio; a seguito di accordi il comandante della Piazza, colonnello Walter Scholl, poté allontanarsi con il suo seguito. Il 1° ottobre le posizioni della zona Museo furono bombardate violentemente con mortai dalla zona di Capodimonte. Vi furono numerose vittime, anche fra il personale civile della zona.(75) Alle 10 giunsero le prime notizie dell’ingresso in città delle truppe alleate, che furono guidate dagli insorti attraverso gli sbarramenti e furono informate della situazione. Comunque ancora il giorno 2 si ebbero scontri in città, specie con personale fascista.(76)

(75) Fra il 9 settembre e il 1° ottobre, a Napoli, persero la vita 337 uomini e 111 donne. Secondo le diverse fonti partigiane, fra il 28 settembre e il 1° ottobre vi furono da 283 a 307 morti e da 158 a 192 feriti, mutilati e invalidi. Giorgio Bocca, nella sua opera Storia dell’Italia partigiana, Bari, Laterza, 1966, riporta il numero più basso: 66 morti, di cui 11 donne; 70 feriti gravi e 200 feriti leggeri. (76) In altre zone della città altri marinai presero parte ai combattimenti. In particolare: il capitano di porto Francesco Graziano, il sottotenente di vascello

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