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3.2.1 Un Re deve tutelare i suoi sudditi
mantenuta nonostante gli autori siano ben quattro, e la loro formazione talvolta radicalmente riversa. Seppur possa apparire superfluo, non bisogna dimenticare che questo è (e rimane) un parere di parte, che per essere compreso presuppone l'interpretazione dell'atto di cessione della Sicilia così per come in grandi linee è stato esposto nel paragrafo precedente. Ultimo punto da notare è che le principali controversie ruotano intorno alla Contea di Modica, sede del Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica, senza che si dia particolare attenzione agli altri beni confiscati, sicuramente di minore entità e con minori privilegi, e per questo difficilmente strumentalizzabili al fine di rivendicar pretese ed erodere la sovranità di Vittorio Amedeo II.
3.2.1 Un Re deve tutelare i suoi sudditi
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Il primo punto che viene analizzato funge da introduzione e chiave di lettura dell'intera relazione, potendosi nella sua ampiezza ricomprendere tutti i successivi; questo lo si può ben dire non solo per quanto concerne la materia stessa oggetto di trattazione, ma anche per i toni e le argomentazioni che vengono utilizzate per introdurre l'argomento, che permettono di comprendere ed esplicare il generale fondamento ed i compiti irrinunciabili del Sovrano.
Tra le funzioni di un buon Principe vi è quella di tutelare ogni suddito da qualsiasi oppressione o sopruso, accordando a questi la possibilità di poter proporre un ricorso diretto alla corona per esporre le loro suppliche. Questo è, dicono i nostri Autori, il principale se non il più antico compito di ciascun sovrano. Il concetto è posto in maniera tale da far apparire questa prerogativa regia non tanto un semplice potere del Principe, quanto un dovere impostogli dall'alto; è dunque solo seguendo questa prospettiva che non si potrà mai negare la competenza del sovrano, posto che egli è investito del compito divino d'invigilare nella custodia de sudditi, di sovvenirli nelle necessità, e sollevarli dalle loro oppressioni.
Infatti
trovasi imposto ai Re dal sommo Dio, perché non lascino perire nelle oppressioni gl'uomini nati sotto la loro custodia
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Egli è dunque titolare di un “obbligo naturale” connaturato alla sua stessa carica, portatrice di doveri prima che di poteri, con conseguente impossibilità di abdicare da quella special giurisdizione, al cui esercizio corrisponde un opportuno rimedio al suddito ricorrente, che si vede spesso vessato in primis dai corpi intermedi - la nobiltà -, a cui il sovrano ha concesso terre in vassallag gio. La trasgressione di tal obbligo da parte del Principe porta con se la violazione delle stesse sacre scritture; infatti se sarà omesso e trasgredito, renderebbe deforme la sacra condizione del principato, secondo quanto scrisse S. Paolo: qui suorum curat et defensionem non prestat infideli deterior est.
Gli eruditi Autori, dunque, tratteg giano l'origine divina del Principe per poterne fondare l'autorità e le sue prerogative; in questo modo rendono indisponibili ed immanenti le sue funzioni, ponendole come postulato della sua esistenza.
Dalle sacre scritture, leggi fondamentali di ogni buon cristiano, si passa gradualmente al diritto “positivo”, utilizzando quale tramite l'Imperatore, rappresentante in terra dell'autorità divina69. Con molta astuzia si trova il perfetto raccordo per scendere dalle massime teologiche alla concretezza del diritto, citando il testo normativo tradizionalmente posto a fondamento del sistema del diritto comune, il Cor pus Juris Civilis di Giustiniano; più nello specifico oggetto del richiamo sono le Novellae Constitutionaes, al cui titolo secondo è sancita la seguente massima
Nam et nos propterea eam poscimus ut et Iustitiam que in lege est valeamus domino Deo venere, et nos metipsos et nostrum commendare imperium, et non videmur despicere homine oppressos quos nobis tradidit Deus. Ideoque quantum ad nos consecratur hec lex Deo, quod nihil in mentem nostram veniens boni pro tuitione subiectorum relinquibus.
Trovata dunque la divina volontà recezione nelle disposizioni normative, gli Autori proseguendo la trattazione, delineando le modalità con cui la giustizia trovi esplicazione nel mondo concreto. Si afferma infatti che tale prerogativa sia (e rimanga) nelle mani del Principe, senza che la concessione di feudi ai Baroni
69 Nella cultura giuridica europea medievale questo è il ruolo che tradizionalmente ha assunto la figura dell'Imperatore. Chiaramente nel '700 queste erano concezioni obsolete e lontane , sebbene resistano ancora (come lo si nota dal tenore di questo parere) gli ultimi strascichi di antiche concezioni. Cfr. P. GROSSI, L'ordine giuridico Medievale, Roma – Bari, 2006 (III edizione).
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sarebbe di per se bastevole per privarsene. In tal senso si muove la communis opinio70 dei giuristi italiani, che gli Autori non mancano di citare nella loro estrema erudizione e che trova espressione nelle parole del napoletano Gian Francesco Capoblanco il quale esprime tale principio in una delle sue sentenze. Ac conseguenterliet terram infeudando concesserit in naturam francam, ac cum reggia et omnimoda potestate non per hoc abdicata erit abeo potestat direchti domini quod dirctum dominium principaliter respicire audientiam querelarum
Anzi, incalzano gli Autori, con l'infeudazione si acquisterebbe addirittura l'ulteriore dovere, e potere, di tutelare il suddito dalle quelle vessazioni che i Baroni potrebbero lor far patire.
Chiaramente il sovrano, essendo uno in tutto il Regno, non ha possibilità di andar incontro alle esigenze d'ogni suo suddito ricorrente; per questo - ricordano gli Autori - si creò la Regia Gran Corte, Magistrato […] collaterale [al Principe] cui fu dalle costituzioni dell'Imperador Federico communicata questa regaglia di sentir le querele dell'oppressi e di giudicarle.
Definita una regalia, individuato l'organo per mezzo della quale essa si deve esercitare, si cerca di confutare tesi volte a spogliare il Principe di questa regalia. Si afferma, infatti, che il sovrano dovrà apprestare tutti i rimedi necessari per tutelare i suoi sudditi dagli abusi dei Baroni, cui mai potrà essere delegata questa funzione, qualunque sia il tenore del suo privilegio ed anche se con esso gli sia delegata l'esercizio della giurisdizione nei loro feudi (e qualsiasi sia il tenore del loro mero e misto imperio). Per quanto ampia possa essere tal delega di giurisdizione ad essi fatta, la relativa clausola attributiva mai potrà ricevere una sì ingiusta ed inigua interpretazione d'essersi egli spogliato [il Principe] della sua suprema autorità di provvedere sopra le querele de sudditi, e di dargli remedio e sollievo nelle loro oppressioni
perché ciò equivarrebbe ad una deformazione del modello divino della monarchia. Si dubita, dunque, della possibilità stessa di potere il sovrano delegare questa
70Vengono citati i seguenti autori: A. CAPYCIUS, Investitura feudalis, Napoli 1570, Versic. ad instantiam ecclesiast., Versic. feudorum.; M. AFFLITTO (DI), Commentaria ad Constitutiones utriusque Siciliae, Neapoli 1620, Tit.43; P. BELLUGI, Speculum principum ac iustitiae , Parigi 1530.
Rubr. 38; B. UBALDI (DEGLI), Lectura Feudorum, Tit. De Pace Tenenda 71G.F. CAPOBLANCO, Tractatus de iure et autctoriate baronum erga vassallos burgenses, Napoli 1622,
Pragm. 3-8.
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particolare forma di giurisdizione, posto che sarebbe illogico delegare ad un Barone la risoluzione di un abuso che potrebbe anche da lui stesso essere perpretato; invero in Sicilia non mancano casi 72 del genenere che hanno fatto discuterei più abili giuristi, e ben presenti agli erudidi Autori, ma si pongono per lo più come eccezioni controverse, inquadrabili alla stregua di abusi perpretati nel tempo e rivendicatei dai loro “titolari” in virtù di antica consuetudine.
Chiarita la teoria, in forza del quale tale prerogativa è, e rimane, sempre e comunque incorporata alla figura del Principe, con toni ironici si introducono le pretese del Procuratore Generale di Sua Maestà Cattolica, che ostinatamente vuol ancora oggi riproporre le antiche pretese del contato di Modica tante volte rigettate e sempre fatte sopire.
Per quanto dunque possa essere stata generosa di poteri e privilegi l''infeudazione del Contado di Modica fatta da Martino il Giovane a Bernardo Caprera nel 1392, nel suo testo non si riesce a scorgere alcuna clausola che neghi svelta della Sovrana Autorità del concedente la ricognizione delle querele de' vassalli oppressi.
Per poter sostenere una tale tesi si passa dunque ad una accurata “anatomia di parte in parte” del privilegio martiniano, analizzandolo nelle sue singole locuzioni. Non si nega la particolare ampiezza dei poteri giurisdizionali goduti storicamente dal Contado, ma si cerca di definirne i confini; infatti si afferma che la locuzione cum mero et mixto imperio, maximo medio et minimo, sta ad indicare semplicemente la natura “composta” della giustizia delegata ed i livelli in cui essa si articola. Quella del contado ha lo speciale privilegio di una massima giurisdizione, che si estrinseca in un terzo grado di giurisdizione ordinaria ma Non potranno senzo produrre le connotate parole, che una pienissima, ed in altro modo spiegata, ominimoda potestà, e pur simile senzo non potrà venir estorto ad un distruggimento totale dell'altissima autorità del Prencipe.
Tal punto, per'altro, non è di certo controverso tra i giuristi dell'epoca, non mancando una letteratura73 che vi si soffermi; tra i diversi giuristi citati, particolarmente pregnante è un passo di Garzia Mastrillo in cui in chiare lettere si afferma
72 In particolare i casi citati riguardano le città demaniali di Messina e Palermo. 73 A sostegno di quanto detto dal Mastrillo è citato G.F. CAPOBLANCO (Cfr. nota 71).
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Viderimus quintus casus est quod per quantumuis verba generalia nel pregnantia concedat rex alicui jurisditionem ac merum et mitum imperium nunquam tamen censetur ademptum vassallis, ius recurrendi pro gravaminibus illatis ed principem.74 ,
La delega di giustizia, per quanto ampio possa essere un privilegio, si limita a conferire al feudatario la semplice giurisdizione “ordinaria”; tutto ciò che non è espressamente ricompreso nel privilegio rimane nella disponibilità del sovrano; mai potrà dirsi il contrario. E' dunque chiaro, ed incontestabile, il significato del primo passo del privilegio del 1392, essendo legittimata questa sua interpretazione restrittiva dalla communis opinio. Non di diverso avviso pare essere la seguente parte di tal privilegio in cui si legge la locuzione et cum appellationibs quibuscumque, che appare una semplice specificazione di quanto sopra afferamato; essa esplica un “massimo” imperio che si estrinseca in un secondo grado di appello.
Gli abili Giuristi conclusa l'analisi anatomica del privilegio martiniano, non mancano di precisare che Non potrà distendersi però il senso della parola appellazione al remedio di gravame ed alla querela, essendo comunqmene conosciuti da giuristi come due ricorsi e due remedj di diversa natura e di diversissimo effetto e benefizio
Il Conte, tramite i suoi giudici, può dunque conoscere le cause in primo e secondo grado d'appello ma questo istituto non potrà mai essere confuso con la querela (ovvero il ricorso diretto al sovrano) che ogni suddito potrà proporre al Re.
Ad ulteriore conferma di questa interpretazione, si cita il giurista Antonio de' Ballis (o Ballì), che nella sua fondamentale opera75 riporta un caso avvenuto nella Contea di Alcamo, dipendenza del contado di Modica, in cui i preposti Uffiziali “osarono affermare” che tali querele dovessero essere conosciute al Governatore di Modica (che faceva le veci del Conte) ma [si] conchiude non esser pertinente tal conoscimento fra il giudice medemo inferiore e superiore quel era il Conte o il di lui governatore ma che tocchi solo Prencipe lasciando coloro l'uso della appellazione.
74 G. MASTRILLO, De magistratibus, eorum imperio, et jurisdictione, Lione 1621, Lib. 4. Cap. 16, N. 260. 75 A.BALLI', Variorum tractatuum libri sex omnem fere materiam criminalem iudiciorum et torturae complectentes. Cum argumentis, summariis et duplici indice quaestionum et omnium sententiarum, Palermo, 1606, lib. II, quest. 27, n. 21 e 22.
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Conclusa questa analisi del docunto che legittima e delega il Conte di Modica a far giustizia nei suoi domini entro precisi limiti, i nostri Autori, seppur consci di poter qui terminare la trattazione, portano avanti la loro opera cercando di prevenire eventuali risposte dal loro furbo contraddittore, arrivando ad affermare che seppur potrebbero intravedersi dei privilegi tali da attribuire ad un barone tal prerogativa, come è stato per il Principe di Salerno nel Regno di Napoli, questo di per se non negherebbe alcuna competenza del Principe posto che mai la larghezza di quella clausola può distendersi a privare il Prencipe che condette il privilegio della superiorità sopra del concessionario e ciò fusse compreso nel privilegio potrebbe revocarsi
Dunque il Principe essendo il concedente di ogni privilegio, vede compresa nella sua autorità la facoltà non solo di delegare, ma anche di revocare ogni privilegio goduto da qualsiasi Barone del suo Regno. Se così non fosse, e dunque il Conte di Modica godesse di un massimo imperio, pari o superiore a quello del Principe, ciò equivarrebbe a renderlo Signore senza alcun superiore, titolare di un potere e di una giurisdizione assoluta. Questo sarebbe assurdo
perché in qualsiasia cincircostritta concessione si devono sentir riservate ed escluse le raggioni di suprema Maestà[...], diversamente verrebbe prodotto un mostruoso inconveniente di vedersi due supreme giurisdizioni, o due sovranità, sotto uno impero d'un Re.
Infatti il Conte di Modica altro non è che vassallo del Re di Sicilia, il cui feudo è sog getto alla regia autorità; anche volendo non potrebbe essere diversamente, posto che non rientra nella competenza di un Re l' erezzione in Ducato, Principato o Contado assoluto di quei che l'Imperatori sogliono fare
Ad ulteriore conferma della storica e continuata subordinazione del Conte di Modica al Re di Sicilia, gli Autori ricordano che mai è stato messo in dubbio l'esercizio di una serie di regalie76 entro i limiti del Contado, tra cui le più evidenti sono il concorso al pagamento del donativo deliberato dalle Assemblee degli Stati
76 Nel parere si ricordano: “La concesione di potestà di procedere ex abrupto nelle cause criminali come comprese nella generale concessione del mero misto; il continuato pagamento dei tributi ordinari et extraordinari; le collette patrimoniali o siano tasse risultanti dalla numerazione delle anime che noi dicamo pesi per deputazione del Regno; la concessione delli Regi indulti come dell'ultimo che si è fatto a quei vassalli criminosi; il mantenimento di un Capitano d'armi a guerra per la custodia di quelle marine.”
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