AFRICA: LIMITI DELLA DECOLONIZZAZIONE E DELLA GLOBALIZZAZIONE IL CASO NIGERIA

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2.4 Il caso Uganda La storia contemporanea dell’Uganda è un chiaro esempio di come il processo di decolonizzazione abbia influenzato la vita degli stati neocoloniali, di come abbia rinforzato le divisioni etniche e di come sia compartecipe dei problemi e dei processi descritti nei paragrafi precedenti. L’area in cui sorge oggi l’Uganda comprende una cinquantina di gruppi etnici appartenenti a diverse famiglie linguistiche. Prima dell’arrivo degli europei, questi gruppi costituivano comunità sociopolitiche a sé stanti. Le regioni meridionali erano dominate da quattro regni: quello del Bunyoro, dell’Ankole, del Toro e del Buganda. Quest’ultimo regno era il più sviluppato politicamente e il più popoloso. I colonizzatori britannici, una volta piegata la resistenza dei nativi, riconobbero il regno del Buganda e il suo sovrano, il kabaka, come alleato privilegiato. Lo stesso nome Uganda deriva dal nome del Buganda in lingua swahili. Al momento della creazione dell’Uganda, il neostato adottò una politica di governo indiretto dividendo il territorio in distretti che corrispondevano all’incirca ai raggruppamenti etnolinguistici del paese. Ma questo non servì, infatti la capitale era una, Kamapala, mentre invece la divisione distrettuale ha impedito la formazione di un’identità “ugandese”. Infatti, la forza e il privilegio dei baganda spinse gli altri gruppi etnici a sviluppare risentimento nei confronti del regno centrale. Già nel periodo precedente al ritiro dei britannici, l’amministrazione del paese veniva gradualmente aperta alla partecipazione dei nativi, specialmente ai baganda. Le divergenze fra i vari gruppi ugandesi si aggravarono in quanto lo scontro per il controllo si intrecciò alla contrapposizione tra i due maggiori gruppi religiosi del paese, cattolici e protestanti. Verso la fine degli anni ’50, in vista dell’indipendenza, nacquero diversi partiti politici che esprimevano queste divisioni interne del paese. Da un lato, l’Uganda people’s congress (Upc) riuniva i protestanti di tutte le aree periferiche escluse dal potere del regno del Buganda, dall’altro il Democratic Party (Dp) formato da cattolici di ogni ceppo etnico e infine il Kabaka yekka (Ky), partito con cui l’establishment bugandese tentò di dar continuità al proprio potere. Nel 1962, con l’ottenimento dell’indipendenza, l’Upc e il Ky si accordarono pur di escludere i cattolici dal potere e portarono al potere Milton Obote. Tuttavia Obote, come accadde spesso nel continente africano, assunse rapidamente uno stile di governo autoritario. Nel 1966, disordini etnici interni portarono alla fine dell’alleanza e Obote, un membro dell’etnia lango del nord, prese d’assalto il palazzo presidenziale, esiliò il kabaka e pose fine ai quattro regni tradizionali, suddividendo il Buganda in più distretti. Inoltre, Obote con una nuova costituzione mise al bando i partiti di opposizione, diede

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