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Quando erano i gesuiti a copiare i cinesi Padre D’Entrecolles e il segreto della porcellana di Andrea Molinari
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«A few learned men among their workmen could acquire immense knowledge which would be worth untold wealth»1 Sir Joseph Banks
iunto in Cina, a Canton, nel novembre del 1698 dopo un lungo viaggio iniziato otto mesi prima a La Rochelle, il giovane padre gesuita François Xavier D’Entrecolles (1664–1740) vi trovò un clima di accoglienza e di fervore missionario, creatosi grazie al felice operato del confratello Joachim Bouvet (1656-1730). Bouvet aveva fatto parte del primo gruppo di gesuiti francesi che, su indicazione di Luigi XIV (1638-1715), erano stati inviati in Cina – dove erano giunti nel 1688 – dopo un approfondito periodo di formazione in patria che li aveva resi edotti in matematica, astronomia, geografia. Fedele al principio dell’inculturazione che caratterizza il carisma e il metodo missionario dei gesuiti, Bouvet imparò perfettamente la lingua locale e si presentò alla corte imperiale di Pechino. Qui si guadagnò la stima dell’imperatore Qing, Kangxi (1654-1722), di cui divenne precettore per le discipline matematiche. La considerazione di cui godevano i gesuiti
1 «Pochi uomini istruiti inviati tra i loro lavoratori potrebbero acquisire un’immensa conoscenza che potrebbe valere un’inaudita ricchezza». Questa frase, citata in Robert Finlay, The Pilgrim Art. Cultures of Porcelain in World History, University of California, 2010, p. 49, fu scritta da sir Joseph Banks (1743-1820), presidente della Royal Society, all’imprenditore ceramista Josiah Wedgwood (1730-1795). Banks raccomandava l’invio di propri esperti tra i produttori di porcellana e di the cinesi, per carpire i segreti della loro arte.