L'Ora di Giurisprudenza numero 2 anno II

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Numero 2 Anno II - Maggio 2011

Sciopero genera[ziona]le il disagio di una gioventĂš indignata

in vista della manifestazione del 6 maggio a pag. 2

PrecarietĂ

Elogio del nulla a pag. 3

Roma Tre

Il Foro degli interessi a pag. 4


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L’Ora di Giurisprudenza L’editoriale La mia è la generazione “senza posto CAMBIAMENTO A TUTTI I COSTI.

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a mia è la generazione che sogna ogni volta che arriva il mese di Maggio. La mia è la generazione che all’estero, nei musei, dice: “We are from Italy” quasi per giustificarsi di non aver la tessera universitaria magnetica,come in tutti i paesi europei, ma solo il caro vecchio “statino”. La mia è la generazione dei fascisti 15enni che inneggiano al Duce senza nemmeno sapere che fine ha fatto, la mia è la generazione che percepisce il razzismo in metropolitana, lo vede e riesce a dargli il volto di una bella ragazza nera accerchiata e insultata da quattro cretini coi caschi. E’ quella generazione che canta Bella Ciao a squarciagola per far vedere che c’è, per dare un segnale tangibile che questo paese deve cambiare, che non è un paese per giovani e che i giovani lo salveranno.

CONTATTI Direttore: Alessia Ragusa (328.2077719) Impaginazione e grafica: David De Concilio, Marco Salfi Contatti: ora.giornale@gmail.com

fisso” a cui ripetono incessantemente, quasi fosse un mantra, che non andrà mai in pensione, che vivrà in monolocale e che sta studiando per nulla perchè,tanto, in Italia non esiste la meritocrazia. E’ la generazione che ascolta estasiata Camilleri quando parla di impergno politico, che grida nelle piazze per salvare l’ università pubblica, che si tiene stretta i suoi miti difendendoli con le unghie e con i denti. La mia è la generazione dei ventenni italiani, quelli che il 1 maggio erano a Piazza San Giovanni, quelli che il 6 maggio parteciperanno alla sciopero generale. Quelli che erano e saranno a studiare, a lavorare, a seguire le lezioni ma che hanno comunque la voglia di cambiare questo paese, a tutti i costi. Alessia Ragusa


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Elogio del nulla

hi vi scrive non è nessuno. O forse, è qualcuno che non si fa considerare tale. E scrivo perché oggi, nel mio paese, la verità che si mostra è la ovvietà del nulla. Non mi sorprendo quando penso al mio lavoro, a mio padre, benedetto lui e la sua capacità nel saper vedere lontano. E mi piace, mi piace la mia bella poltrona in pelle nera, mi piace il mio Macintosh sul quale gioco a poker fino a tarda sera, mi piace il mio studio, così elegante e dall’aria costosa, mi piace la mia segretaria, che mi porta il cappuccino la mattina, mi piace, la mia segretaria, perché ha l’occhio intelligente, dietro quegli occhialetti di finissima fattura che le ho comprato, mi piace ricordare quando l’ho selezionata, lei tra altre dieci. Un eccellente curriculum, laureata in diritto con 95, un master in criminologia, un corpo da favola che il giorno della selezione prima di dirmi il suo nome, timidamente ma con molta eleganza, mi ha mostrato e fatto toccare. E poi che cappuccino eccezionale che sa fare. Mi piacciono i praticanti del mio studio, perché sanno sempre tutto, si appassionano, rapidi, precisi… infallibili. Sempre pronti a seguire gli aggiornamenti delle norme, a scaricare chili di faldoni e fascicoli in archivio, a portarmi un succo di arancia fresco quando l’aria si fa calda e secca. Mi piacciono le loro facce quando diventano avvocati, quando si convincono che nella vita non contano i millecinque-

cento euro al mese ma che è il lavoro a rendere gli uomini liberi. Mi piacciono quando li mando in udienza, quando tornano soddisfatti per il loro operato, sapendo che quel venticinque per cento del lavoro, accanto al settantacinque della mia firma, è il loro. Fuori dal mio studio, dallo studio di mio padre, fa caldo, dentro si sta freschi. C’è chi si lamenta e chi invoca il merito, c’è chi sogna di diventare un giorno avvocato associato, mentre inforna la sua tredicesima pizza margherita e bofonchia lamentandosi dell’ennesima riforma o legge ad personam. Poi a quarant’anni si rende conto che forse avrebbe dovuto profittare di quell’occasione, forse avrebbe dovuto ripudiare l’orgoglio e la dignità di dire no. E in effetti, come si fa a dire no a una spremuta d’arancia così fresca, così succulenta. Beh, chi vi scrive è una persona che dalla vita ha tutto, anche quelle lievi stonature che possono trasformare una giornata assolata in un temporale: la squadra del cuore che perde, la segretaria che deve prendere il figlioletto alla scuola di musica e non può fermarsi dopo la chiusura dello studio, le cicliche discussioni con mio padre su quando morirà. A volte mi annoio, mi annoio talmente tanto che provo a farmi spiegare dai miei assistenti qualche questione di lavoro, ma l’istinto laborioso non dura più di due giorni. Segue a pag. 4


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L’Ora di Giurisprudenza Continua da pag. 3 All’inizio mi dispiaceva sentire la segretaria piangere quando alle dieci di sera lasciava il mio ufficio, limitavo l’accanimento contro chi mi era subordinato e nel frattempo mi insegnava qualcosa. Oggi, non sento più nulla, né crudeltà né pietà. Leggo i miei estratti conto e

so che il mio futuro è assicurato. Mio padre, prima o poi, morirà e io rimarrò da solo. Ma con la soddisfazione di avere sempre chi mi preparerà, d’estate, una spremuta d’arancia gelata. Se non è vita questa… Avv. M.T. Cicerone Riccardo Bucci

Il Foro degli interessi

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’università e la scuola, sono termometri affidabili del grado di civiltà di un paese, qualsiasi ragionamento sullo sviluppo e il miglioramento di questi non può essere slegato dagli interessi dell’utenza primaria, gli studenti. L’impianto del sistema universitario italiano è basato su un difficile gioco d’equilibri, di pesi, contrappesi, posizioni, prestigio, cattedre e assegnazioni, quasi come se fossero le nomine politiche del consiglio d’amministrazione di una municipalizzata. Tutto o quasi si basa su questo tipo di equilibri e quasi mai vengono tenuti in considerazione all’interno di questo sistema, coloro i quali sono l’unica ragion d’essere dell’università, gli studenti. Siamo noi che facciamo girare questa enorme macchina, stranamente però quasi mai veniamo presi seriamente in considerazione per le decisioni che ne

riguardano il funzionamento. All’interno delle istituzioni universitarie gli studenti hanno una sparuta rappresentanza che quasi mai vieni coinvolta seriamente all’interno dei processi decisionali, poiché essa ha uno scarso peso specifico rispetto alla controparte accademica e perché gli studenti superficialmente non sono minimamente considerati in grado di dare un contributo serio al funzionamento dell’università. È un film visto e rivisto, si sente parlare sempre di grandi riforme di trasformazione per il bene degli studenti e dell’istruzione, ma quasi mai nessuno si è preoccupato di chiedere agli studenti quale fossero le loro esigenze, le loro idee in merito. Prendiamo per esempio l’ultima tanto discussa riforma universitaria, esiste un organo chiamato C.N.S.U consiglio nazionale degli studenti universitari,


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Maggio 2011 che è il più alto grado di rappresentanza studentesca, si tratta di studenti universitari che vanno direttamente presso il ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, per lavora ed essere consultati per tematiche analoghe a quelle di suddetta riforma; ovviamente si da per scontato che questo organo sia stato contattato e sfruttato a pieno nelle sue potenzialità per scrivere questa riforma. NO niente di più lontano dalla realtà, in parole povere è come se lo stato al momento della rinegoziazione di un contratto nazionale non chiamasse i sindacati e le parti sociali chiamate in causa dal contratto, uno scandalo. Questo quanto è quanto tristemente accade ai piani più alti, ma cosa succede in periferia? I consigli di facoltà che sono gli organi di governo delle singole facoltà di un ateneo, sono composti perlopiù da professori associati e ordinari, da ricercatori, dal personale tecnico amministrativo e per finire da una piccola anzi piccolissima minoranza di studenti eletti tra le varie liste universitarie. Capite già che c’è una grossa sproporzione, effettivamente il margine di manovra è poco, chi vi scrive è un membro del consiglio di facoltà di giurisprudenza. Portare avanti gli interessi degli studenti è molto difficile poiché si incontrano parecchie resistenze e scarsa considerazione da parte dei professori, ma qualche volta con fatica si riesce a far sentire la propria voce. Attualmente è allo studio del consiglio la rimodulazione dell’offerta formativa

della facoltà e il suo regolamento interno in funzione delle varie riforme del ministero e alla conseguente trasformazione dello statuto d’ateneo. L’impressione che si ha è di una specie di assalto alla diligenza misto ad un conservatorismo di stampo gattopardiano. Nulla o quasi sembra essere teso a migliorare la qualità della vita universitaria di noi studenti, ma pare quasi che si debba solo manterenere inalterato l’asseto interno della facoltà delle cattedre e dei dipartimenti, per mantere quei rapporti di forza e di potere interni, che qualche professore chiama erroneamente “armonia del gruppo di lavoro e certezza della competenza del corpo docente”. Proprio a tal proposito nell’ultimo consiglio di facoltà siamo intervenuti per tutelare la qualità degli insegnamenti interrompendo una sterile discussione sulla composizione delle cattedre e sul eventuale blasone del professore che le avesse in carico; si sono sentite cose assurde come corsi di serie A e serie B; di qualità della didattica e valutazione dell’operato dei professori non si è mai parlato, finché non abbiamo fatto presente con un intervento del sottoscritto che la discussione stava scadendo nel ridicolo e che bisogna rimettere al centro gli studenti e non i professori. Il risultato pratico è stato quello di aver ottenuto la disponibilità di alcuni docenti e del preside Benvenuti a discutere della valutazione dell’operato dei professori revisionando l’utilizzo dei questionari di valutazione, scarsamente considerati fino ad oggi. Marco Salfi


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L’Ora di Giurisprudenza

Una legge ad personam che colpisce tutti?

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e episodi come lo show del Premier a Lampedusa, durante il quale ha dichiarato che avrebbe liberato l’isola in quarantotto ore e comprato lì una casa, possono essere interpretati come tentativi di distrarre l’opinione pubblica, ora sappiamo anche da cosa l’attenzione degli italiani doveva essere distolta. Si trattava dell’approvazione alla Camera dell’ennesima legge “ad personam”. Mercoledì 13 aprile, infatti, la maggioranza, seppur ferma a 314 deputati, ha votato sì alla norma sulla prescrizione breve, che consentirà al Presidente del Consiglio di evitare la sentenza del processo Mills. Con questa nuova legge, infatti, viene ridotto da 1/4 a 1/6 l’aumento del tempo necessario a prescrivere i reati commessi da imputati incensurati. Se si considera che il tempo di prescrizione viene attualmente calcolato, forse inopportunamente, a partire dal giorno in cui è stato commesso il reato e non dal momento in cui viene formulata l’accu-

sa, anche una riduzione di pochi mesi del tempo previsto per lo svolgimento dei tre gradi di giudizio rischia di non far giungere a termine numerosi processi, magari iniziati a distanza di anni dall’epoca in cui è stato commesso il reato. È solo l’ultima delle innumerevoli leggi “ad personam” che hanno impegnato il Parlamento negli ultimi anni. Tuttavia questa volta non viene solo calpestato il principio costituzionale secondo il quale la legge è uguale per tutti. Questa volta l’interesse particolare del Presidente del Consiglio a liberarsi dei processi a suo carico non si oppone solo all’interesse generale della collettività, che vorrebbe vedere Silvio Berlusconi processato come lo sarebbe chiunque altro, senza, però, il potere di cambiare la legge a suo vantaggio. Questa volta ciò che torna utile al Presidente del Consiglio va a coinvolgere e vanificare le aspettative di giustizia di migliaia di onesti cittadini. Sono, infatti, circa 15.000 i processi


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Maggio 2011 che, secondo il Consiglio Superiore della Magistratura, rischiano di essere cancellati; tra questi vi sono quello per il crollo della Casa dello studente a L’Aquila e quello per lastrage di Viareggio. La stessa definizione di legge “ad personam”, destinata a un solo cittadino, sembra in questo caso inadeguata e infelice, se si pensa alle migliaia di persone che subiranno in negativo i suoi effetti. Da parte del Governo si tenta di giustificare la nuova legge richiamando le sollecitazioni dell’Unione Europea a una riforma del sistema giudiziario italiano che assicuri la “ragionevole durata del processo”. Tuttavia quello che viene impropriamente chiamato “processo europeo” o processo breve è in realtà, come afferma il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, “un modo per far morire il processo” e, secondo il parere del CSM, la norma sulla prescrizione breve va a confliggere con la stessa normativa internazionale. In particolare questa legge, riprendendo e rafforzando il contenuto delle disposizioni della famigerata legge ex Cirielli, entra in conflitto con la Convenzione ONU contro la corruzione del 2003, la quale prevedeva, invece, un lungo termine di prescrizione, affinché i processi potessero effettivamente essere celebrati. Certo non si può negare che esista un problema riguardo ai tempi biblici della giustizia italiana; stupisce, però, che un Governo che ha sempre puntato sul tema della sicurezza (con tanto di ronde di volontari istituite per dare la

caccia ai criminali) vari adesso una legge che rischia di lasciare in libertà delinquenti di varia natura, imputati, ad esempio, di violenza carnale, rapina, corruzione e persino di stragi come quelle di Viareggio e L’Aquila. Forse, invece di accusare i magistrati di essere brigatisti e di continuare a proporre riforme della giustizia che appaiono punitive e intimidatorie nei confronti dei giudici, sarebbe più utile e opportuno tentare un dialogo con gli organi rappresentativi della magistratura e non ignorare i suggerimenti che da questi provengono, al fine di giungere a una riorganizzazione del sistema giudiziario che sia realmente efficace. Per risolvere il problema della giustizia in Italia c’è bisogno di una riforma vera, finalizzata all’adeguamento degli strumenti a disposizione della magistratura e non, com’è stata definita dal Consiglio Superiore della Magistratura, di “un ‘amnistia sostanziale”. Valeria Pescini Sergio Merlina


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L’Italia siamo Noi: il futuro dell’immigrazione LauraBoldrini a Roma Tre

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Europa nel campo dell’immigrazione. Li bloccavamo alla frontiera e verificavamo di volta in volta chi tra loro era vittima di dittature o chissà cos’altro. Funzionava perfettamente. Ora invece li rimandiamo in mare e li condanniamo a morte. La politica del Respingimento, voluta da Bossi e Fini per motivi propagandistici, ha distrutto un sistema eccellente. Così oggi i rifugiati che attraccano sulle nostre coste diventano un pericolo per Attualmente non è arrivato neanche un noi. Un rifugiato è equiparato ad un libico nel nostro paese; sono somali, clandestino, quindi ad una minaccia. libanesi, tunisini. Tutti credono che Certo non tutti salpano a causa siano libici perché provengono dalla delle difficoltà vissute nella propria Libia, ma non è così. Molti si erano madrepatria. Ma se non li incontriamo trasferiti in Libia in cerca di protezione come potremo saperlo? Chi vuole politica. Gli altri? Beh per anni, abbiamo questo peso sulla coscienza? E dov’è la usato la Libia come il nostro porto politica? Possibile che queste persone personale per reietti. Tutti quelli che siano solo un intralcio? Il sindaco di non volevamo li spedivamo a Tripoli. Riace, uomo illuminato, gestiva un Ora stanno semplicemente tornando. borgo che si stava spopolando. Anni fa l’Italia si vantava del Modello Scommise sugli extra-comunitari Lampedusa; eravamo un esempio in trasformandoli in cittadini italiani, ono a pochi metri da Laura Boldrini, Portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. L’aula è colma di studenti. C’è clima di curiosità e fervore intellettuale. Qual’è la verità sugli stranieri? C’è davvero bisogno di vertici internazionali e modifiche ai trattati? Oppure questi allarmismi sono solo uno specchietto per le allodole? Scopriamolo…


Maggio 2011 rendendoli parte della comunità.

Castelli: Bisogna respingere gli immigrati, ma non possiamo sparargli, Furono più importanti gli immigrati almeno per ora. che i bronzi. Con i fondi europei Speroni: Spariamo come fanno i furono ristrutturate le case, le scuole tunisini ai pescherecci non vennero chiuse e le botteghe furono riaperte. Divenne un vero Se questo è il massimo a del loro Eden, ma queste storie non vengono QI non dobbiamo stupirci che in raccontate. La società che oggi emerge Italia la burocrazia non funzioni e dalla televisione è quella col coltello che le riforme non vengano attuate. tra i denti. Si vedono solo i modelli Crolliamo come un castello di carte negativi e non quelli positivi. Gli per situazione che riescono a gestire spettatori credono che il razzismo sia anche nazioni del Terzo mondo la normalità. Non sanno dei medici che colpite dalla guerra. Anche i migranti curano i malati gratis, degli avvocati sono confusi. Seguono la televisione che preparano i ricorsi pro bono e dei italiana e dicono “Ohi, ma se il loro professori che insegnano ai bambini Presidente del Consiglio sta facendo fuori orario. tutto stò casino per una marocchina… La crisi quindi c’è per Lampedusa ma figuratevi che s’inventa per noi!?” (cit. non per il Paese. La città era al tracollo Crozza). Non ci rimane che scoprire a causa della disorganizzazione l’esito di questi bisticci con l’Europa e governativa. Intanto in Egitto ed in sperare che non chiudano le frontiere Bangladesh hanno deciso di aprire pure a noi italiani. Altrimenti come le frontiere ai libici caricandosi il potremo scappare dai nostri politici e peso di ben 500.000 immigrati; dai vari bunga bunga? Non so voi ma questo nonostante le loro difficoltà io preferisco imbarcarmi per l’Iran… economiche. Noi le abbiamo serrate Jacopo Ierussi dopo solo 3500 individui. Eppure ogni anno arrivano 200.000 migranti con regolare visto e restano oltre la scadenza; nessuno ne parla. Invece arrivano meno di 50.000 disperati e sembra che il paese stia crollando. La verità sta in ciò che cela questa finta emergenza umanitaria, tra referendum scomodi e leggi ad personam che così passano in secondo piano. Ciò di cui realmente dobbiamo preoccuparci sono i nostri governanti:

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L’Ora di Giurisprudenza

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Uno spettro s’aggira per l’Italia

orse mi perdonerà, Carlo Marx, per la ignobile parafrasi (dall’incipit del Manifesto, 1948) da me utilizzata per intitolare queste poche righe. Ma altre parole, credetemi, non sono riuscito a trovarle. Perché ciò che ho provato alla notizia di una possibile candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale è quanto di più prossimo alla paura che percorre la schiena dei bambini quando sentono le storie sugli spettri. Sì, io ho avuto paura. Paura della definitiva involuzione autoritaria di questo Paese. Paura che il potere politico si identificherà sempre di più con una sola persona, a discapito del Parlamento. Paura che non arrivino più sinceri moniti sulla lotta alla mafia (e come sarebbe possibile, dall’allievo di Vittorio Mangano?), sulle morti sul lavoro, sull’Unità d’Italia e sul 25 Aprile (e come sarebbe possibile, dal grande e cronico assente alle cerimonie per la Liberazione, dal leader del Partito che propone in maniera reiterata l’abrogazione dell’apologia di fascismo e l’uguaglianza storica di patrioti e traditori?). Al di là di queste paure (ir)razionali, dettate, credetemi di nuovo, da un sincero amore per questo Paese e non da un mio personale odio politico nei confronti dell’Interessato, odio per giunta mai mascherato, bensì fieramente ostentato, reputo poco adatta la figura dell’On. Berlusconi Silvio alla Carica di Presidente della Repubblica

in base a una semplice analisi della storia recente (e futura) di questo Paese. Costui ha spaccato a metà la politica, i dibattiti, gli elettori, il Paese intero. Ha spinto, per la prima volta dopo sessant’anni, l’area politica che in Lui non si riconosce a discutere di un eventuale CLN. È in aperto contrasto con l’associazione di riferimento di uno dei tre poteri dello Stato (per inciso: all’ANM nel 2011 risultano iscritti 8284 degli 8886 magistrati italiani in servizio; è divisa in correnti interne, ivi comprese centro e centrodestra; la temibile rossa Ilda Boccassini si è dimessa da tale associazione tre anni fa. Non stiamo parlando del Soviet di Pietrogrado). Si potrebbe andare avanti, ma mi fermo. Mi sembra evidente che Silvio Berlusconi non sia la persona adatta a rappresentare l’unità della nazione. Penso alla storia di Sandro Pertini, di Carlo Azeglio Ciampi, di Oscar Luigi Scalfaro, di Giorgio Napolitano. Penso alla loro fiera militanza antifascista, al loro amore per questo Paese, per le sue istituzioni democratiche, per la Carta Costituzionale, agli sforzi da loro profusi in continuazione per gestire difficili situazioni interne e internazionali. Penso a loro. Poi penso a Silvio Berlusconi. E penso che ho paura. Francesco Magni


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Inculcatemi la cultura!

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iao io sono una studentessa di 17 anni, frequento il 4° anno di scuola superiore in un liceo statale e posso dire di essere stufa. Sono stufa di avere un professore di destra e un professore di sinistra. Sono stufa di avere un libro rosso e un libro nero. Sono stufa di ricevere un insegnamento critico e oggettivo, impartito da professori a cui non viene detto cosa dire e cosa omettere nel momento stesso dell’assunzione. Sono stufa di avere professori che praticano il loro lavoro per passione e non per un’ingente cifra di denaro. Sono stufa di avere un professore di religione e un professore laico. Sono stufa di confrontarmi con persone che non sono del mio rango e che non professano la mia religione, mi sento a disagio con loro. Sono stufa di dover fare attenzione a non ferire i sentimenti di chi, le mie scarpe, non può permettersele. Sono stufa di avere professori che mi invogliano a riflettere, che non mi trattano come una privilegiata, ma mi

insegnano a guadagnarmi le cose con parità e onestà. È per questo che concordo con le parole del mio premier, ha ragione quando dice che nella scuola statale i professori inculcano valori diversi da quelli della famiglia e della nostra tradizione, anche se quando il mio professore di religione, che è un prete, l’ha sentito, ha iniziato a pensare che, forse, i valori della famiglia di un separato, inquisito per prostituzione di minori, fossero un po’ diversi da quelli che predicava il Cristo, ma ovviamente il mio professore si rifà a una morale che oramai è bigotta. Per le stesse motivazioni ritengo che la proposta dell’onorevole Carlucci, per la formazione di una commissione d’inchiesta parlamentare per la censura dei libri scolastici, sia una fantastica idea. Finalmente, a mio parere, si inizia a pensare a un controllo all’interno delle scuole statali lasciate all’anarchia di pensiero e in balia di un inferno rosso di professori. Noi alunni ci domandiamo perché, se la nostra famiglia ha ideologie di destra, dovremmo essere costretti a leggere gli elogi di personaggi come Berlinguer e Togliatti? Segue a pag. 12


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L’Ora di Giurisprudenza Continua a pag. 12 Perché, se proveniamo da diverse radici, dovremmo avere la possibilità di aprire i nostri orizzonti, e iniziare a pensare che oltre a quello che ci viene giustamente insegnato in famiglia potrebbe esserci qualcos’altro? A noi non va! È molto più semplice apprendere unilateralmente, affidarsi a una censura sanatoria e non dover più preoccuparsi di cadere nel richiamo millantatore del pensiero. Purtroppo, se mai questa proposta venisse approvata, sicuramente non passerebbe un controllo di costituzionalità. Pertanto ho preso una decisione importante, l’anno prossimo, per frequentare l’ultimo anno di scuola superiore, mi iscriverò ad una scuola privata dove finalmente avrò la possibilità di apprendere ciò che i miei genitori vogliono che io apprenda, senza dover compiere sforzi inutili nell’elaborazione di pensieri personali, e senza, soprattutto, dover sopportare coloro che

si spacciano per professori e cercano di farmi crescere con idee da brigatista e in ossequio alla magistratura. Tratte queste conclusioni non mi resta che essere orgogliosa del programma governativo per la pubblica istruzione, un bel taglio netto che, di certo, non si occupa dei veri problemi della scuola statale e non offre garanzia per la mancanza di meritocrazia all’interno del nostro sistema educativo, ma semplicemente lo priva anche delle poche possibilità di rianimarsi cosicché tutti possano capire l’errore di frequentare una scuola statale e si avvicinino a scuole private più consone ai loro studi. È per questo che sono felice di essere nata in un paese come l’Italia, e, soprattutto, ringrazio per la possibilità di avere un Premier che non ha paura di sacrificare i valori costituzionali e la sua funzione di rappresentante della Nazione per difendere l’interesse di una scuola privata per pochi, piuttosto che l’importanza di una scuola pubblica di tutti. Benedetta Scuderi

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Giornata Internazionale contro l’omofobia

CONTRO L’OMOFOBIA

L'omofobia e' ignoranza vincerla e' conoscenza


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Nessuno si senta escluso

ecliniamo la parola impegno e abbiniamola all’aggettivo che più ci piace. Impegno sociale, impegno civile, impegno umanitario, impegno politico. Ognuno di noi quando si impegna e lo fa con passione e costanza ha il diritto di veder riconosciuto almeno il merito di essersi speso in qualcosa, di esser diventato gramscianamente partigiano. Di non esser rimasto cioè, in quello stato di parassitismo, di abulia proprio dell’indifferenza. Come dice Stéphane Hessel: “in questo nostro mondo esistono cose intollerabili. Per accorgersene occorre affinare lo sguardo, scavare. Ai giovani io dico: cercate e troverete. L’indifferenza è il peggiore di tutti gli atteggiamenti. Comportandoci in questo modo, perdiamo una delle componenti essenziali dell’umano. Una delle sue qualità indispensabili: la capacità di indignarsi e l’impegno che ne consegue”. Quello che spinge una persona ad impegnarsi in qualcosa forse è proprio questo: l’indignazione per quello che vive, per le ingiustizie che vede, per le disparità che percepisce. Anche Palmiro Togliatti diceva, non più tardi del 1964, che il tratto fondamentale nell’animo delle giovani generazioni è una potente spinta verso la libertà. “Libertà” da intendersi nel significato più ampio del termine. Libertà che vuol dire consapevolezza soprattutto. Perché senza consapevolezza

non si è cittadini responsabili . Andrea Camilleri ce lo ha detto durante l’incontro nella nostra Facoltà lo scorso 4 aprile: “Ragazzi, il volontariato è importantissimo. Ma non dimenticate mai l’impegno politico. Perché la politica lasciata fare ad altri sarà sempre fatta contro di voi.” Questa frase, per noi giovani studenti che cercano di cambiare e migliorare l’ambiente in cui vivono, nella fattispecie l’università, rappresenta un grande insegnamento. Capire cioè che si deve diventare, per quanto possibile, protagonisti nella creazione di quella che vorremmo essere la realtà con cui ci misuriamo, che non bisogna lasciare ad altri il privilegio di sapere, conoscere, capire e agire. E l’impegno politico è proprio questo: l’idea di mondo che si fa praxis. Il vibrante entusiasmo che si traduce in organizzazione, in proposta, in alternativa. Sempre Camilleri poi aggiungeva che: ”chi non è mai sconfitto è un eroe greco. Noi conosciamo la sconfitta, siamo stati ripetutamente sconfitti, ma questo non significa RESA. Arrendersi è sbagliato. Continuare ed insistere coerentemente nelle proprie idee è l’importante, e se si cambia idea lo si deve fare con lacrime e sangue.” Perché sì, impegno politico è anche sinonimo di caparbietà. Di caparbietà e coerenza. De gregori ci regala queste parole in una sua canzone: “E poi ti dicono: tutti sono uguali. Tutti rubano alla stessa maniera. Segue a pag. 14


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L’Ora di Giurisprudenza Continua da pag. 13 Ma e’ solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera: perché la storia siamo noi.” Niente di più vero. Ogni momento della storia umana ha i suoi compiti, la sua novità, la sua originalità e non la si scopre se si guarda all’indietro. Ogni generazione deve essere inevitabilmente responsabile nel far sua l’eredità del passato e coniugarla con linguaggi nuovi. E se la partigiana Giovanna Marturano, a 99 anni, trova la forza di urlare a Porta San Paolo che questo non è il paese per cui lei e gli altri partigiani hanno lottato durante la Resistenza, i giovani, i meno giovani, la società civile, noi tutti insomma, non possiamo non fare qualcosa. Qualsiasi cosa, per cambiare. Sara Quaranta

Ladri di ideali

Dei loro sacrifici il mondo è testimone da sempre, con compostezza e coerenza, rifuggendo le strumentalizzazioni.” Curioso, se non grottesco, che a parlare di strumentalizzazione siano proprio loro. Il riferimento va ad un gruppo di studenti aderenti alla lista “Azione Universitaria” che nei giorni scorsi invitava a sottoscrivere una petizione per intitolare l’aula 1 di Giurisprudenza a Falcone e Borsellino. Iniziativa indubbiamente ammirevole, se non fosse stata proposta da chi, della mafia e di chi lotta per sconfiggerla non sembra essersi mai interessato troppo: nessun “dovere morale” da adempiere ma solo un goffo tentativo di fare propri dei martiri il cui sacrificio non può, di per sé, essere riconducibile a nessuno schema partitico. Per questo e non solo, la capillare quanto drammatica diffusione della criminalità mafiosa in tutto il territorio italiano, con l’oppressione culturale che ne consegue, non può e non deve lasciare insensibili davanti ad una tale “appropriazione indebita”. Il suggerimento è quello di lasciare questa lotta a coloro che si dedicano totalmente a questi ideali fino a mettere in gioco la propria vita, e non a chi sostiene un capo di governo che confonde la figura dell’ “eroe” con quella del boss Vittorio Mangano. Pierdanilo Melandro


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Indignatevi! (tratto dal pamphlet di Stéphane Hessel)

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tephane Hessel ha 93 anni, è stato internato nei campi di concentramento, è stato partigiano, è stato diplomatico ed ha contribuito a redigere la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Poco tempo fa ha pubblicato un pedagogico e sorprendente pamphlet dal titolo molto accattivante, “Indignatevi”.Questo testo ha avuto un successo clamoroso ed è diventato un best seller in Francia; ad oggi è stato tradotto in una ventina di lingue. È un testo leggero che però suscita un insieme di emozioni incontrollabili che si interscambiano e che risvegliano nell’intimo di una persona molte riflessioni. Il titolo contiene nella parola indignarsi il termine dignità, che è un chiaro riferimento all’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani in cui si dichiara

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che: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti…”,è proprio in riferimento a queste parole che scaturisce la riflessione di Hessel per cui nel momento in cui la dignità di un individuo viene calpestata allora è doveroso indignarsi;da questa riflessione il titolo del pamphlet. È un testo rivolto a tutti, ma soprattutto ai giovani che vengono esortati in ogni pagina a svegliarsi,a creare reti estese per far nascere una società fraterna, a riflettere su ciò che accade intorno a loro. L’esortazione è prima sommessa, si insinua nelle parole di Hessel usate per narrare le vicende storiche che lo hanno coinvolto, poi diventa vivida, ferma ed esplicita nelle parole “troverete situazioni concrete che vi indurranno a intraprendere un’azione civile risoluta Segue a pag. 16

Via Giulio Rocco, 37/39 Roma Tel. 06.64420211 Orari: Lunedì - Venerdì 7.30-20.00 Sabato 09.00-20.00 Domenica chiuso


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L’Ora di Giurisprudenza Continua da pag. 15 Cercate e troverete!”. Con queste parole Hessel si rivolge ai giovani indifferenti ed al loro mondo affetto da esuberante cinismo, scetticismo ed egoismo, li sprona a cercare per trovare qualcosa per cui indignarsi. È un climax di emozioni ed esortazioni che ti lasciano arricchito di un quid in più per reagire. Questo testo è scritto per esortare la gente ad impegnarsi ed a leggere per progredire nella ricerca dell’indigna-

zione. Il pamphlet si conclude con la più magica delle esortazioni: “CREARE È RESISTERE. RESISTERE È CREARE”.La resistenza ha come obiettivo il creare qualcosa di migliore ed allo stesso tempo per resistere ad una realtà severa ed ostile è necessario creare qualcosa per cambiare. Allora cominciamo a creare e resistiamo ma per fare tutto questo, Indignamoci.

Habemus Papam:

la sua ironia pungente sul tema della psicanalisi, più che sulla Chiesa. Non è infatti quest’ultima, paradossalmente, il punto focale del film, ma il senso di inadeguatezza dell’essere umano di fronte alla responsabilità del ruolo che è chiamato a coprire all’interno della società: da questo punto di vista l’istituzione religiosa con la sua schiacciante maestosità e con il suo ordine (iper) costituito, non rappresenta altro che il contraltare dell’insicurezza dell’uomo, che ne avverte il peso, e che si domanda coraggiosamente e con onestà intellettuale, se sarà in grado di sopportarlo. Allo stesso modo, i cardinali con la loro foga di far sì che il pontefice superi il suo momento di impasse, con la loro impazienza, sono gli Altri della vita di chiunque. Gli Altri che pretendono di sapere cosa è meglio, gli Altri che suppongono di avere le risposte pronte per chi ancora si sta ponendo le domande. Gli Altri egoisti. Gli Altri che pensano di poter scegliere per noi. Gli Altri che,

Virginia Mantoan

Al Cinema ti consigliamo:

la storia di un neoeletto Papa (Michel Piccoli) che, di fronte all’enormità del ruolo per cui è stato scelto (da Dio?), si sente estremamente confuso e si interroga sul suo essere all’altezza o meno dell’incarico; al fine di risolvere il dissidio interiore del pontefice, i cardinali del conclave fanno perfino ricorso ad uno psicanalista (Nanni Moretti), che viene convocato a S. Pietro. Ma la vera terapia per il protagonista, sembra essere il suo vagare per le strade di Roma, mentre in solitudine ascolta il proprio animo e ripercorre i nodi e i punti di svolta della sua vita. L’interpretazione di Piccoli è probabilmente la punta di diamante del film: la sua recitazione sobria e commovente conferisce credibilità al personaggio e gli dona una verità, che si indovina negli occhi teneramente spaesati dell’uomo, più che del Papa. Affrontare un tema così toccante in una commedia, è la sfida del regista, Nanni Moretti, che colora la storia con


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Maggio 2011 a volte, siamo noi. Una lezione di umiltà e di comprensione, dunque. E, se non bastasse, un esempio positivo del percorso di un uomo per ricercare il proprio “sé” più profondo, e per rispettarlo, finalmente.

Il discorso del re:

In Inghilterra negli anni in cui la Nazione si prepara ad affrontare lo scoppio della II Guerra Mondiale,il futuro re Giorgio VI (il premio oscar Colin Firth), si prepara invece ad affrontare il trono, preoccupato di non poter rappresentare una guida credibile e carismatica per il su popolo, a causa di una grave balbuzie che gli impedisce di comunicare efficacemente in pubblico. Ad affiancare il monarca, e ad aiutarlo con i suoi metodi per niente ortodossi e con le sue maniere poco reverenziali, il (non)logopedista Logue (un eccezionale Geoffrey Rush), che pretende di avere un rapporto paritario con lui, e che lo stimola in maniera irriverente a sfidarsi e a vincere la sua paura. Il film di Tom Hooper racconta dunque il percorso di un uomo ( e non del Re, in questo il film presenta interessanti sfumature assimilabili a quelle di “Habemus Papam”) alla conquista della fiducia in se stesso, nella sua voce, nella forza delle sue parole. Il regista racconta il dramma del senso di inadeguatezza in maniera acuta e leggera, poco convenzionale e mai banale, giocando sul filo del pretesto narrativo per mostrarci come l’intimità e

l’emotività riportino tutti, compreso il re, sullo stesso piano (se non sociale, quantomeno umano). Per far questo si serve in maniera magistrale della luce e della scenografia: non c’è più luce nel Palazzo Reale, di quanta ce ne sia nella umile, ma graziosa dimora del logopedista; la tappezzeria dello studio di Logue, che fa da sfondo -come una quinta teatrale- a gran parte delle scene, rendendole essenziali ed estremamente dirette, sembra rappresentare un simbolo positivo durante tutto il film, accompagnando il protagonista nel miglioramento e infine nella svolta. Toccante e geniale, la scena che vede il Re assistere alla proiezione di un discorso di Hitler, tanto comunicativo nella forma quanto detestabile e nocivo nei contenuti: anche per un occhio poco attento, l’esatto opposto del personaggio.

“C’è chi dice no”:

Perché andare a vedere c’è chi dice no. Perché offre una visione dell’Italia totalmente e terribilmente vera. Un paese in cui chi scrive un libro sull’elogio del merito raccomanda la figlia alla redazione di un giornale, in cui chi è tacciato di essere mafioso per aver gonfiato la parcella afferma “in Italia si fa così”.La storia è di quelle che conosciamo e che temiamo di dover vivere sulla nostra pelle non appena fuori dal nido dell’università. Segue a pag. 18


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L’Ora di Giurisprudenza Continua da pag. 17 Si mostra la vita dei trentenni di oggi da vari punti di vista, si usano le vite dei tre protagonisti per fornire modelli diversi, anche di raccomandati. C’è la ragazza inconsapevole raccomandata da padre che scoprendo di aver rubato il lavoro ad un altro afferma:” ho che Guevara in camera e rubo il lavoro al figlio di un ferroviere”, il “mantenuto di turno che ottiene la cattedra in diritto penale solo per aver sposato la figlia del rettore e l’austra-

liana, moglie del figlio raccomandato del primario, che rimane sconvolta alla scoperta del vero volto italiano. Le raccomandazioni si combattono con lo STALKING, facendo impazzire le proprie vittime, arrivando a far seguire tutti i raccomandati da uomini vestiti di nero. È un film che lascia con una serie di interrogativi e con un forte senso di ingiustizia. Con la voglia di cambiare tutto. Francesca Semeraro Alessia Ragusa

Caparezza: un eretico moderno

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opo il successo del 2008 con il concept album “Le dimensioni del mio caos”,Caparezza dal 1° marzo è tornato sulle scene con quello che probabilmente è il miglior lavoro da lui svolto fin ora: “Il sogno eretico”. In questo album il cantautore di Molfetta ci propone 16 tracce di pura eresia, di cui le prime due sono dei semplici incipit i quali, secondo la traduzione

“caparezziana”, ben si prestano a mettere in evidenza alcune delle nozioni alla base di questo disco: non soltanto l’eresia, vista dall’ autore come la cura per un paese in cui è tornato ad imperare il dogma, ma anche la schizofrenia del Caparezza-artista, concetto che si protrarrà fino alla fine dell’album in una sorta di crescendo che si conclude con il folle brano “ Ti sorrido mentre


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Maggio 2011 affogo”;questa traccia si rifà a delle sonorità proprie dei “System of a Down”, con un testo paradossale, divertente, pieno di giochi di parole che mostra tutta la vivacità e l’intelligenza di questo cantautore. Caparezza ci propone un’ ampia gamma di tematiche che spaziano dalla politica alla cultura generale fino alla stessa vita dell’artista, sviluppando delle vere e proprie cavalcate RAP in grado di appassionare e sconvolgere l’ascoltatore. La politica italiana è il tema principale della canzone che, ad opinione di chi scrive, è da considerarsi la migliore dell’album dal punto di vista stilistico, musicale e letterario;si parla della scottante requisitoria intitolata “Non siete stato voi”. Il testo è uno dei rari casi in cui Michele Salvemini non distorce la propria voce ma mantiene la vocalità naturale, poiché come dice lo stesso artista “ Questa è una canzone di Michele Salvemini più che di Caparezza”. Il testo possiede una profondità e una tematica così forti e significative che l’unico modo per capirlo fino in fondo è leggerlo e ascoltarlo. E’ un brano figlio del teatro canzone di Gaber, provate ad ascoltare “io se fossi Dio” per esempio. Il messaggio intrinseco che vuole inviare questa canzone è un risveglio della coscienza popolare di fronte alla grave situazione di degrado raggiunta da questo paese; e di conseguenza vuole incitare il cittadino a ribellarsi. Proprio la ribellione, o per usare le parole dell’artista la “revolution”, è il tema della penultima canzone dell’album:

“La ghigliottina”, brano molto vicino ai Muse di “ Uprising” per gli argomenti trattati. Caparezza si appella a Georges Jacques Danton, politico e rivoluzionario francese del ‘700, per chiedergli “come si fa la rivoluzione” data la grave situazione in cui versa il paese; oltre al testo è interessante anche l’arrangiamento che ne raccoglie l’atmosfera. Un particolare arrangiamento musicale rende degna di nota la canzone da cui prende il nome lo stesso album “Sono il tuo sogno eretico”,brano che sulle note di un ritmo medievale mette in fila illustri eretici quali:Giovanna d’Arco, Savonarola, Giordano Bruno e Galileo, tutti considerati degli “eroi morali” da Michele Salvemini. Concludendo direi che questo album sembra essere una delle poche luci nel panorama musicale italiano. Mentre, per quanto riguarda la carriera di Caparezza, quest’ album rappresenta un lavoro ancora più lungimirante e maturo che attraverso i suoi testi e le sue contaminazioni musicali, con le quali è capace di creare una corrosiva miscela di rap, rock ed elettronica, riesce a far riflettere e allo stesso tempo riesce a far manifestare in chi lo ascolta moltissime emozioni, rischiando tuttavia di non essere capito e di essere considerato dalla critica come “Il solito alternativo finto-comunista”. Teodoro Mondelli


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