Il lavoro nell'era digitale

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IL LAVORO NELL’ERA DIGITALE La IV rivoluzione industriale è un insieme di processi che preannunciano una radicale trasformazione del sistema produttivo. Se le prime due rivoluzioni industriali sono state caratterizzate dall’introduzione delle macchine e dalla migliore produzione, distribuzione e consumo dell’energia, la terza ha invece introdotto i sistemi informatici nel ciclo produttivo. La caratteristica comune alle rivoluzioni industriali del passato è l’aumento della produttività del lavoro umano, la riduzione dei costi di circolazione delle merci e lo sviluppo di nuovi settori produttivi per aprire nuovi mercati. ​La IV rivoluzione si sviluppa a partire dall’integrazione, connessione e interoperabilità tra mezzi di produzione, oltre che tra produzione e consumo​. Grazie allo sviluppo tecnologico - in particolare nei settori informatico, meccatronico ed energetico - che diviene sempre più veloce con il passare degli anni, oggi è possibile controllare e dirigere il processo produttivo (quasi) completamente tramite sistemi informatici: questa innovazione fornisce maggiore efficienza alla produzione con riduzione degli sprechi e dei “tempi morti”, garantendo anche maggiore flessibilità per soddisfare le variazioni della domanda sul breve termine. Tale controllo è fortemente potenziato tramite nuovi sistemi hardware, ​ come i ​sensori in rete. Questi abilitano un’altra fondamentale novità, ovvero la connessione tra produzione e consumo, poiché i sensori presenti nei nuovi prodotti permettono la raccolta di dati da parte del produttore: in tal modo è possibile una maggiore personalizzazione del prodotto ed una conseguente riduzione del costo (tempo) di vendita. Infine hanno una rilevanza centrale i nuovi sistemi di elaborazione e impiego dei dati raccolti grazie ai nuovi sistemi hardware. I cosiddetti ​big data sono enormi agglomerati di dati, che oggi possono essere ​ immagazzinati in ​cloud a prezzi molto competitivi; queste tecnologie sono indispensabili all’impiego ​ dei sistemi cognitivi, software che permettono l’elaborazione di processi complessi fino a raggiungere le stesse performance di un lavoratore in numerosi impieghi, con l’eccezione di quelli che necessitano della creatività. Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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La IV rivoluzione industriale è un processo che riguarda tutti i settori produttivi, dall’agricoltura fino ai servizi sanitari​. ​Con il termine industria 4.0 si fa riferimento all’applicazione di queste innovazioni nel settore industriale​. Nel settore manifatturiero italiano la IV rivoluzione industriale assume particolare rilevanza sia per la quota di PIL nazionale (14,2%) e di occupati (15,8%) ad esso riconducibile, sia per le dinamiche della produttività che lo hanno interessato. Nell’area euro la crescita media annua del valore aggiunto del manifatturiero tra 1995 e 2015 è stata del 1,4%, frutto di un aumento medio annuo della produttività per ora lavorata del 2,4% ed una riduzione delle ore lavorate del 1%. A seguito della crisi economico-finanziaria, dal 2009 al 2015 nell’area euro il valore aggiunto del manifatturiero è cresciuto in media del 2,5% all’anno. In Italia tra 1995 e 2015 si è avuta una riduzione media annua del valore aggiunto del manifatturiero del 0,2%, a fronte di un aumento medio annuo della produttività dell'1,1% e di una riduzione media annua delle ore lavorate di 1,3%. Tra il 2009 e il 2015 la crescita media annua del valore aggiunto del manifatturiero è stata dell'1,1%, una performance largamente inferiore a quella media dell’unione monetaria. In generale possiamo osservare un calo delle ore lavorate in tutti i settori del manifatturiero. Al contempo la crescita maggiore del valore aggiunto si verifica laddove è in aumento la produttività. In sintesi i licenziamenti e le delocalizzazioni hanno costituito il principale freno alla crescita del settore manifatturiero negli ultimi anni, contribuendo inoltre al calo della domanda interna; si è così configurato un “circolo vizioso” che mina la competitività del settore. Tra il 1995 e il 2015 la crescita della produttività del lavoro in Italia è stata del 0.3%. Questo risultato è spinto al ribasso da una variazione negativa della Produttività Totale dei Fattori (PTF), indice del complesso di innovazioni, miglioramenti dell’organizzazione della produzione, progressi nell’esperienza e nell’istruzione della forza lavoro. Infatti nello stesso periodo la produttività del capitale aumenta complessivamente del 0,4% mentre la PTF diminuisce del 0,1%.

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Nel periodo 2009-2015 in Italia la produttività del lavoro è cresciuta del 0,6% grazie ad una forte crescita della PTF, come conseguenza di un calo degli investimenti totali del 3,5% rispetto al PIL- contrazione di 2 punti superiore alla media dell’area euro. La scarsità di investimenti ha infatti spinto le imprese ad ottimizzare la produzione, ma si deve notare che sono rimasti positivi gli investimenti in capitale ICT (hardware, software e sistemi di comunicazione) e in capitale immateriale non-ICT (soprattutto in ricerca e sviluppo). In questo contesto, le innovazioni introdotte da Industria 4.0 garantiscono un aumento consistente del contributo del capitale fisso e della PTF alla produttività del lavoro. Questa possibilità pone di fronte al tema del governo del processo di trasformazione del sistema produttivo e della funzione sociale della produzione. Infatti le innovazioni della IV rivoluzione abilitano alla stessa sostituzione del lavoro umano in segmenti rilevanti della produzione​: le previsioni sull’entità quantitativa di questo fenomeno non sono del tutto attendibili, ma segnalano il pericolo di una drastica riduzione delle ore lavorate. Fino ad oggi nel nostro Paese il basso livello degli investimenti ha causato una moderata crescita della produttività del lavoro, ma la maggiore produttività è stata comunque sfruttata dall’impresa per ridurre le ore lavorate mantenendo relativamente stabile la produzione e riducendo i costi: così si sono garantiti i profitti di pochi, senza investimenti adeguati alla competizione internazionale fondata sull’innovazione, aumentando la disoccupazione e aggravando la congiuntura economica caratterizzata da una crisi della domanda. Tuttavia l’aumento consistente della produttività del lavoro - sia nell’industria che nei servizi e nell’agricoltura - garantito dalla IV rivoluzione industriale può essere invece orientato alla funzione sociale del lavoro ed alla garanzia dei diritti sociali​. Nel medio periodo queste innovazioni possono garantire la tutela dei posti di lavoro esistenti grazie ad una politica di redistribuzione dei profitti derivanti dalla maggiore produttività, garantendo la stabilità dell’occupazione a fronte del finanziamento pubblico degli investimenti necessari al “salto tecnologico”, di cui le Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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imprese avranno bisogno per restare competitive. In questa fase sarà fondamentale la formazione dell’imprenditoria, della forza lavoro e delle nuove generazioni, su tutti i livelli della filiera della formazione, in modo da soddisfare il fabbisogno di competenze generali di questi processi. Allo stesso modo l’investimento pubblico in Ricerca applicata dovrà garantire lo sviluppo dei settori maggiormente capaci di coniugare le esigenze sociali (tutela ambientale, assistenza sanitaria, infrastrutture, etc) con la necessità di fornire il maggior numero possibile di posti di lavoro di qualità. Inoltre la politica fiscale del Paese dovrà adeguarsi alle nuove modalità di accumulazione del valore, che si sviluppano su reti orizzontali e immateriali come le piattaforme o il cloud; così come dovrà adeguarsi ad un sistema produttivo in cui i big data, le piattaforme ed i sistemi cognitivi sono veri e propri mezzi di produzione, il cui controllo garantisce un potere di indirizzo sul comportamento delle imprese e dei consumatori - vedi Facebook, che ha dovuto dichiarare di non voler intervenire per orientare l’elezione del Presidente degli USA. Sul lungo periodo sarà determinante la programmazione e il finanziamento della ricerca di base, poiché solo il settore pubblico è in grado di assumere i rischi economici derivanti, nonché di garantire l’orientamento della ricerca verso le priorità sociali. I luoghi della formazione dovranno trasformarsi in modo da offrire alle studentesse e agli studenti gli strumenti offerti dal complesso delle tecnologie e innovazioni disponibili, con il fine di praticare già durante gli studi la trasformazione della realtà al fine di soddisfare i bisogni materiali e immateriali della società tutta: questa è la formazione al lavoro che può coniugare la formazione di competenze indispensabili all’inserimento nella produzione con lo sviluppo di un “saper fare” indipendente dalle esigenze di profitto delle imprese. Sarà necessaria una politica di contrasto al monopolio dei saperi che stanno alla base del processo produttivo. In prospettiva, una politica di investimenti, unita ad una revisione delle norme contrattuali, potrà portare ad una progressiva redistribuzione del lavoro grazie alla maggiore produttività, parte della quale potrà essere impiegata per l’aumento complessivo dei salari anziché delle ore lavorate, oltre all’istituzione di un reddito di base universale. Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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La IV rivoluzione industriale viene affrontata da questo governo come un’occasione per elargire ulteriori sgravi fiscali a pioggia, senza alcuna garanzia sulle ripercussioni sociali di queste trasformazioni, né una programmazione adeguata a definire gli obiettivi strategici sul rilancio dell’occupazione e della crescita economica​. Il ruolo delle organizzazioni sociali come la nostra dovrà essere di vigilanza sulla compatibilità sociale delle misure adottate, ma anche di proposta e sfida verso le istituzioni affinché le innovazioni epocali in cui siamo immersi siano un volano di maggiore equità e sostenibilità del sistema economico. LA TRASFORMAZIONE DEL LAVORO E DEL CONFLITTO CAPITALE-LAVORO Le nuove tecnologie introdotte nella manifattura 4.0 non mostrano processi univoci di trasformazione: si tratta di processi in divenire che hanno risultati differenti nei diversi settori e nelle diverse collocazioni della catena del valore. In merito alla sostituzione del lavoro con sistemi meccanici automatizzati, questo fenomeno riguarda prevalentemente le operazioni più ripetitive e di routine, ovvero quelle che necessitano di una bassa qualificazione della forza lavoro e si collocano a valle della catena del valore. Tale fenomeno è limitato però laddove risulta necessaria una certa manualità ed esperienza, come nelle operazioni di rifinitura, poiché queste non sono ad oggi sostituibili con sistemi robotizzati. A monte della catena del valore la sostituzione del lavoro immateriale con sistemi automatizzati non è all’ordine del giorno. La progettazione e direzione del processo produttivo richiede competenze anche tecniche sempre più approfondite oltre a quelle manageriali. Le tecnologie svolgono in questi ambiti una funzione di miglioramento dell’efficienza organizzativa e di riduzione dei tempi. Per quanto riguarda la fase di prima attuazione del processo produttivo, nella elaborazione di progetti e nella produzione di prototipi, le operazioni sono rese molto più veloci e flessibili tramite l’impiego della realtà aumentata e della stampa 3D. Inoltre diviene molto più veloce e tempestiva la personalizzazione della progettazione rispetto alle esigenze della domanda, grazie all’interconnessione tra prodotto e vertice della catena produttiva. Non è sostituibile la creatività e l’innovazione del prodotto, funzioni non riproducibili. La catena produttiva sarà interessata da un Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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aumento del fabbisogno di forza lavoro altamente qualificata con competenze tecniche nelle funzioni di settaggio, manutenzione e supervisione della produzione. Infatti l’introduzione dei nuovi sistemi automatizzati richiede una maggiore necessità di risorse umane per adeguare la produzione alle contingenze dettate dalla domanda. La funzione di manutenzione e supervisione sarà fondamentalmente insostituibile, ma le nuove tecnologie di connessione in cloud dell’intero processo produttivo e dei diversi stabilimenti favorirà una efficienza rilevante nella risposta immediata ad interruzioni della produzione, anche con una rimodulazione dei volumi prodotti con velocità ed in coordinamento tra impianti produttivi dislocati in aree geografiche molto distanti. Le mansioni impiegatizie saranno largamente sostituite, con una internalizzazione di funzioni portate al di fuori della fabbrica alla fine del modello fordista. Inoltre la divisione tra produzione principale e indotta sarà sempre meno netta ed il processo complessivo sempre più integrato, con una riduzione dei tempi di produzione ed un aumento dell'efficienza in modulazione e personalizzazione della produzione. I saperi giocano un ruolo determinante nella ridefinizione delle gerarchie e delle relazioni all’interno della fabbrica nelle trasformazioni in corso. L’operaio scarsamente qualificato è destinato a lasciare il posto ad una figura che pur occupandosi di operazioni manuali, conosce la logica di fondo dell’intero processo produttivo ed è quindi in grado di cooperare con altre figure superiori per affrontare l’adeguamento alle esigenze contingenti della produzione. Tale figura, pur essendo dotata di maggiore autonomia nello svolgimento di operazioni diversificate, è tuttavia soggetta allo stesso rapporto di subordinazione alla gerarchia aziendale, ma viene ricoperta di maggiori responsabilità sul funzionamento complessivo del processo produttivo. Inoltre la riduzione dei tempi di saturazione comporta un aumento delle operazioni complessivamente svolte dall’operaio. Il tecnico altamente qualificato, addetto alla supervisione e all’adeguamento della produzione alle direttive provenienti dai vertici della gerarchia, assume una rilevanza fondamentale, poiché responsabile della riduzione massima dei tempi morti, ovvero il fattore che diviene determinante nella Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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riduzione dei costi. Il lavoro immateriale resta la fonte principale del valore aggiunto. L’inserimento stabile nell’impresa del lavoratore cognitivo sarà necessaria perché la tempestività nella progettazione del prodotto e nella conseguente revisione dell’organizzazione richiede esperienza nell’impresa e nella cooperazione con il resto delle figure professionali interne all’azienda, oltre che una notevole conoscenza del prodotto lavorato dall’impresa. In sintesi la sostituzione del lavoro con mezzi automatizzati è oggi presente per una gamma relativamente ristretta di ruoli e operazioni nella manifattura, prevalentemente quelli a bassa qualificazione. Le nuove tecnologie aumentano la produttività abilitando una personalizzazione massificata del prodotto ed una maggiore possibilità di modulare la produzione sulle variazioni della domanda. La riduzione dei tempi morti è il principale taglio dei costi di produzione introdotto al momento. Gli operai saranno maggiormente qualificati, ma in riferimento a competenze generiche oppure a operazioni semi-artigianali. Le figure professionali dei tecnici necessiteranno di maggiori competenze ed assumeranno un maggiore rilievo nel funzionamento complessivo della produzione. I lavoratori cognitivi al vertice della produzione non saranno sostituibili, ma anzi dovranno essere stabilizzati nell’azienda per la maggiore efficienza garantita dall’esperienza. In generale le nuove tecnologie introducono maggiore autonomia del lavoratore nel processo produttivo, a cui non corrisponde una minore subordinazione alla direzione aziendale, bensì una maggiore produttività ed una maggiore responsabilità sull’intero processo produttivo. L’ordine simbolico costruito nella fabbrica rafforza la struttura gerarchica inducendo il lavoratore ad una partecipazione emotiva e valoriale al successo dell’impresa, limitando la conflittualità del soggetto subalterno. Le sfide del lavoro nella transizione tecnologica Il processo di trasformazione sotteso alla IV Rivoluzione industriale e alle trasformazioni sociali che questa sta determinando, ci pone nuovi interrogativi rispetto a come costruire una pratica sindacale efficace a ottenere un ampliamento dei diritti e un miglioramento delle condizioni materiali e immateriali Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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chi si verrà a trovare all’interno di un nuovo quadro di riferimento senza un adeguato sistema di tutele. Per leggere questo mutamento di paradigma industriale e le sue interazioni con la società italiana bisogna individuare i nessi che intercorrono tra la “trasformazione produttiva” e l’attuale livello di disoccupazione, giovanile e non, di lavoro precario e sottopagato e della loro funzionalità rispetto alla transizione in atto. Questo sia nell’ottica del ruolo e della funzione di un “esercito industriale di riserva” e quindi della competizione al ribasso sul piano del costo del lavoro e dei diritti ad esso collegato, che della relazione che intercorre tra questo stato di fatto e il riutilizzo dei capitali così accumulati all’interno di un processo di innovazione industriale. Il primo elemento da notare è la discrasia tra il nostro Paese ed altri paesi europei, o più generalmente a capitalismo avanzato, con un evidente ritardo accumulato dall’Italia sul piano del rilancio e dell’innovazione della produzione industriale 4.0 a causa di un incancrenimento in politiche creditizie piuttosto che in politiche industriali e di creazione attiva di lavoro​. In assenza di un piano strategico nazionale complessivo e di un intervento forte di uno “Stato innovatore”, il passaggio ad un nuovo modello si sta finanziando attraverso un attacco al costo del lavoro e alla riduzione della quantità di ore lavorate alimentando così il circolo vizioso della deflazione del lavoro che rappresenta il cuore pulsante della fragilità, povertà e insicurezza sociale in cui siamo immersi. Da questo punto di vista risulta imprescindibile un piano di rivendicazione in grado di coniugare la richiesta di un salario minimo orario a quella della riduzione dell’orario di lavoro ​successivo alla creazione di nuovi posti di lavoro attraverso un oculato coinvolgimento delle comunità locali e delle organizzazioni sociali di rappresentanza nell’individuazione del valore sociale aggiunto di interventi statali diretti​. Al centro di un piano rivendicativo esauriente all’altezza dei i tempi a venire non può che essere messo, in un primissimo tempo e soprattutto in quelle fasi di transizione e accompagnamento a nuovi modelli produttivi, il ruolo della qualificazione della forza lavoro nell’interpretare le nuove figure lavorative in via di sviluppo e quindi il tema dell’accesso universale all’ occupabilità. A cominciare dal Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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sistema scolastico ed universitario su cui è necessario imporre una vera svolta copernicana: le scuole e università devono passare da ancelle del mondo del lavoro (fornitori di saperi, Know-how e lavoro gratuito) che sviluppano il modello antropologico dell’uomo-impresa ipercompetitivo a centro nevralgico della produzione di saperi liberi in grado di sviluppare e accompagnare socialmente e culturalmente la IV rivoluzione industriale. La componente immateriale del lavoro, le capacità linguistico-cognitive, la comprensione inter-mediale della realtà sono al centro dei nuovi criteri di occupabilità arrivando a ridefinire completamente le funzioni del lavoratore: per questo motivo non possono diventare competenze esclusive, a maggior ragione in un contesto di disoccupazione strutturale molto alta e potenzialmente in crescita a causa del combinato disposto con la fisiologica riduzione delle ore di lavoro necessarie che è implicita all’interno di una trasformazione industriale. Laddove sussiste, poi, un enorme tasso di disoccupazione giovanile - e quindi turn over sostanzialmente bloccato oltre alla piena staticità nel mondo del lavoro a fronte delle repentine trasformazioni - di cui una delle cause principali è lo iato tra competenze acquisite/competenze richieste è possibile immaginare una deflagrazione sociale a causa del naturale intensificarsi del suo rapporto con il tasso di disoccupazione generale. Le fratture generazionali, all’interno del mondo del lavoro e non solo assomigliano, infatti, sempre più a vere e proprie differenze sostanziali nello stesso modo di vivere il rapporto tra sè stessi e le trasformazioni del mondo esterno oltre che causa di vere e proprie situazioni di isolamento e alienazione di migliaia di persone che si percepiscono sempre più come inattuali. E’ chiaramente centrale l’elemento di un ripensamento del sistema pensionistico del paese, sempre più necessario a causa del perdurare delle forme di lavoro precario e della dissoluzione dei modelli welferistici, ma non è solo pensando a forme di abbassamento dell’età pensionabile o di facilitazione al pre-pensionamento che si potrà disinnescare questo tipo di conseguenza economico-sociale. ​E’ dunque necessario ripensare i criteri di aggiornamento professionale, da affermare sempre più come diritto universale, riprendendo la storica battaglia delle “150 ore” da spendere in formazione e incentivando l’avanzamento delle carriere Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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universitarie e scolastiche dei lavoratori e non solo​. L’innovazione tecnologica con la sua prospettiva di sostituzione di interi settori ad alta occupabilità - in particolar modo nei servizi - con sistemi automatizzati o informatici avrà però probabilmente un effetto durevole nella riduzione delle ore di lavoro necessario che potrà contribuire ad aumentare in maniera importante il tasso di disoccupazione. Mettere in cantiere una proposta di redistribuzione del lavoro, con la riduzione del numero di ore di lavoro settimanali, rappresenta una necessità fondamentale di una gestione di una fase di transizione di questo tipo, ma non basta. ​Risulta ineludibile ormai rivendicare apertamente l’inattualità della concezione del lavoro come fondamento del diritto ad una vita dignitosa, questa deve diventare un diritto universale e garantita attraverso forme di reddito universale e di servizi indiretti gratuiti da finanziare direttamente attraverso l’aggressione dei grandi patrimoni e della grandi rendite finanziarie​. Nel 1998 Andrè Gorz profetizzava la necessità di “osare l’esodo dalla società del lavoro”. Oggi più che mai è profonda la necessità di una risemantizzazione completa della concezione del lavoro. ​La nostra società non può più fondarsi su rapporti sociali ormai non più sincronici con lo sviluppo complessivo delle capacità scientifiche, tecniche e produttive: da valore prevalentemente di scambio ( a quanto benessere posso vendere la mia forza lavoro) a valore d’uso, quindi intensificando il valore sociale e trasformativo nell’ottica di uno sviluppo collettivo​. E’ l’unico modo per concepire una nuova produzione ri-territorializzata e compatibile con le sfide ambientali e sociali che ci pone il nostro tempo. Il ruolo dei saperi nella IV rivoluzione industriale La geografia mondiale dell’innovazione vede ancora una ​egemonia dei Paesi occidentali​. Il volume complessivo degli investimenti in Ricerca e Sviluppo degli Stati Uniti (456 miliardi, 2013) e della UE28 (354 miliardi) non ha infatti eguali nel resto del mondo, ma sono seguiti dalla Cina (333 miliardi) secondo i dati OCSE. Con riferimento alla percentuale di ​investimenti in Ricerca e Sviluppo sul PIL tra le economie sopra menzionate, i Paesi più virtuosi sono la Germania (2,82%, 2013), Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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gli USA (2,74%) e la Francia (2,24%), con la Cina al 2,01%. Questo contesto è in evoluzione a causa della forte crescita degli investimenti nell’innovazione in Cina e negli altri Paesi emergenti, anche grazie all’investimento verso l’estero di capitali occidentali. ​Questi Paesi, in particolare la Cina, hanno espressamente dichiarato di voler contendere all’Occidente la leadership nella produzione ad alto valore aggiunto - ovvero ad alta intensità di R&S - per superare la divisione internazionale del lavoro che vede storicamente i Paesi di successiva industrializzazione come i produttori di grandi volumi e di scarsa qualità​. Infatti i proventi derivanti dalle produzioni a basso valore aggiunto non sono sufficienti a sostenere la crescita dei salari della forza lavoro di questi Paesi, necessaria per stimolare la domanda interna e ridurre la dipendenza dalle importazioni Occidentali. Infine la concentrazione degli investimenti in R&S verso l’Occidente ha storicamente fornito a questo il ​monopolio sulla gran parte delle tecnologie fondamentali alla concorrenza internazionale, causando un gap competitivo importante tra questi Paesi. L’Italia si colloca al di sotto della media OCSE (2,37%) e della media UE 28 (1,93%) nella quota di PIL investita in R&S con un risultato del 1,30%​. L’investimento complessivo in Ricerca e Sviluppo nel nostro Paese nel 2013 è stato di 28 miliardi, nettamente inferiore ai 102 miliardi in Germania e ai 57 miliardi in Francia. Il nostro Paese non investe in innovazione, con l’eccezione di una minoranza di imprese medio-grandi orientate prevalentemente all’esportazione. Il tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una larga maggioranza di piccole e medie imprese, non riesce a determinare un investimento privato significativo anche a causa del ​volume ridotto di capitali a disposizione delle PMI​. Se si valuta il ​ruolo dello Stato e l’investimento pubblico in R&S rispetto al PIL, notiamo che si collocano sopra la media OCSE di 0,67% (2013) la Germania con 0,82%, la Francia con 0,79% e gli USA con 0,76%, mentre l’Italia si colloca al di sotto con il 0,54%. Complessivamente l’Italia riscontra un deficit di finanziamento rispetto al PIL sia da parte del settore pubblico che da parte di quello privato. ​In sintesi nel nostro Paese non esiste una programmazione industriale di alcun tipo che disponga adeguati finanziamenti alla sostenibilità della produzione sul Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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mercato internazionale, né di una strategia per introdurre nella nostra economia le tecnologie di ultima generazione. E’ utile analizzare le finalità e le conseguenze degli investimenti in innovazione. I programmi industriali lanciati dalle principali potenze industriali per promuovere l'Industria 4.0 presentano un forte ruolo di finanziamento e coordinamento degli investimenti pubblici e privati da parte dello Stato nel caso della Germania, della Francia e della Cina. Gli USA invece hanno predisposto un piano di coordinamento minimo in carico allo Stato federale, con un ruolo principalmente normativo generale e di garanzia della concorrenza; le imprese mettono invece in comune i finanziamenti privati per la ricerca, con l’obiettivo di condividere risorse e know-how utili ad affrontare la transizione tecnologica. ​Lo Stato italiano non ha ancora varato un piano industriale in merito alle innovazioni tecnologiche 4.0. Al momento sono stati fatti annunci che delineano un progetto dissimile da tutti gli altri sopra descritti. Il Governo dichiara di voler sviluppare un ​piano di sgravi fiscali generalizzati sugli investimenti in capitale fisso e R&S, senza assumere un ruolo di coordinamento ma solamente istituendo una cabina di regia governativa avente il compito di valutare i risultati del progetto e il rispetto della normativa. L’annunciata volontà di non finanziare tramite bando ma in maniera lineare gli sconti fiscali dimostra una totale ​deresponsabilizzazione dello Stato nella promozione dello sviluppo industriale​. Inoltre è previsto il rifinanziamento dei fondi di sostegno alle imprese, grandi medie e piccole, oltre allo stanziamento di nuovi fondi per sostenere gli incubatori di impresa e le start-up, sempre in un approccio di totale autonomia delle imprese nell’investimento. L’innovazione produttiva viene promossa oggi nelle potenze industriali con l’obiettivo di competere sul mercato ad alto valore aggiunto, con un inasprimento della conflittualità per strappare quote di commercio internazionale e di plusvalenze ai propri competitori​. Questa strategia necessita di forti finanziamenti e deve essere riequilibrata da una politica salariale di sostegno alla ​domanda interna​, soprattutto a fronte di una generalizzata corsa alle esportazioni, per evitare l’esposizione eccessiva a crisi del commercio internazionale. Tuttavia i governi tendono a mantenere la maggior parte della Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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crescita di produttività a disposizione dei profitti privati piuttosto che a destinare il surplus alla redistribuzione delle ricchezze: in tal modo l’eccesso di offerta si accentua sempre di più. Il caso italiano, pur all’interno di una politica dell’offerta, mostra invece un sostegno alla competizione internazionale dovuto all’iniziativa privata di una minoranza di imprese, perlopiù di grandi dimensioni. ​Lo Stato italiano infatti investe nella riduzione dei costi di produzione e nello schiacciamento dei salari, con il risultato di garantire nel breve termine i profitti dell’impresa ma accentuando sul lungo periodo la crisi della domanda​. In questo quadro l’annunciata politica di sgravi fiscali del Governo pare orientarsi verso un aumento della produttività dipendente dall’iniziativa privata, che storicamente nel Paese si traduce in maggiori profitti e investimenti stabili se non in caduta. Una politica industriale responsabile dovrebbe essere guidata dal settore pubblico​, perché lo Stato è il soggetto economico capace di destinare risorse a fondo perduto alla ricerca di base e al sostegno della ricerca privata. Inoltre il ruolo del settore pubblico è fondamentale nella garanzia della sostenibilità di lungo periodo della produzione industriale, nonché della funzione sociale dell’attività produttiva e delle innovazioni: in quest’ottica ​l’innovazione deve tradursi in maggiore produzione di valore d’uso - obiettivo non assunto dall’impresa privata che persegue la produzione del valore di scambio - ed una ​politica salariale di stimolo alla domanda interna​. Gli investimenti diretti e indiretti dello Stato risultano fondamentali nel nostro Paese per garantire la transizione tecnologica dell'intero tessuto produttivo, incluse le PMI, oltre che per indirizzare le innovazioni verso il soddisfacimento dei bisogni dei territori e la compatibilità dello sviluppo con le vocazioni locali.

Disuguaglianze e società della conoscenza L’innovazione necessita di ingenti investimenti nell’istruzione di ogni ordine e grado. La IV rivoluzione industriale permette alle imprese di grandi dimensioni di aumentare notevolmente la produttività, assicurandosi il monopolio sul prodotto del sapere tecnico e scientifico generale che permette il salto tecnologico. ​Tramite Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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la proprietà intellettuale, il segreto industriale e l’imposizione di ostacoli economici all’accesso all’istruzione, una minoranza di imprese e di grandi azionisti controlla e dirige il processo di trasformazione della produzione: le innovazioni vengono messe al servizio del profitto di pochi, non per soddisfare le necessità della popolazione​. Inoltre le nuove reti informative in cui sono inseriti gli utenti-consumatori consentono alle imprese di orientare la domanda tramite il rating del prodotto e la personalizzazione dell’offerta. Il fenomeno della concentrazione dei saperi determina un inasprirsi del rapporto di forza nei confronti dei soggetti subalterni, evidenziando la necessità di garantire che gli investimenti in innovazione siano anche strumenti di emancipazione dei lavoratori dal bisogno. L​a socializzazione dei saperi è fondamentale per garantire uno sviluppo innovativo che sia volano di maggiore equità e benessere diffuso, garantendo ai soggetti subalterni l’autonomia sociale necessaria ad aumentare il complesso di competenza, conoscenza e creatività che sostengono il progresso produttivo e sociale. Questo processo può essere raggiunto ribaltando il paradigma calato dall’alto, ovvero un sistema di disuguaglianze nell’accesso ai saperi che si sviluppa su base geografica e socio-economica, seguendo la divisione internazionale e transnazionale del lavoro. A ​livello internazionale è evidente la disparità tra paesi di prima industrializzazione e paesi di successiva industrializzazione, poiché i primi dispongono di maggiori capitali e minori costi per investire nell’innovazione, mentre i secondi sono subalterni al diritto di proprietà intellettuale detenuto dall’Occidente. La competizione internazionale per il primato sull’innovazione è evidente anche dall’assenza di confini nazionali come ostacolo alla circolazione delle cd “eccellenze”, poiché i paesi egemoni di destinazione necessitano di una continua importazione di conoscenze e competenze, mentre i paesi subalterni di partenza cercano di ottenere un ruolo determinante nello sviluppo dei saperi. ​La disuguaglianza socio-economica è trasversale al mondo industrializzato​: i massimi livelli di istruzione sono garantiti solo a chi dispone dei capitali richiesti da un mondo della formazione sempre più mercificato; allo stesso tempo l’accesso alla formazione esterna ai luoghi della formazione, come i consumi culturali, è ostacolata dalle disuguaglianze di reddito; la ​formazione continua è garantita solamente ad élites economiche, con Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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l’eccezione degli occupati nei segmenti al vertice della catena del valore per i quali l’impresa fornisce le risorse con il solo obiettivo di estrarre maggiore plusvalore dal lavoro. E’ evidente che tale polarizzazione rende iniquo e insostenibile l’attuale modello di sviluppo nella IV rivoluzione industriale. ​I soggetti subalterni necessitano di autonomia sociale e di libero accesso ai saperi dentro e fuori i luoghi della formazione, obiettivo da perseguire innalzando l’obbligo scolastico e fornendo l’istruzione gratuita e di qualità per ogni ordine e grado​. Inoltre i sistemi di welfare devono adeguarsi al nuovo contesto sociale e produttivo, garantendo da un lato una infrastruttura pubblica di promozione della cultura e dell’innovazione e dall’altro la liberazione dei tempi di vita dai tempi di lavoro imposti dalla precarietà, in modo da permettere a tutte e tutti eguale accesso ai saperi. ​La formazione continua risulta un diritto sociale e parte integrante della cittadinanza nel momento in cui la velocità dello sviluppo tecnico e scientifico rischia di escludere i lavoratori anziché promuovere l’emancipazione dal bisogno​. Nella società della conoscenza, intesa come sistema di relazioni sociali in cui non si presentano asimmetrie dell’accesso ai saperi, il processo di innovazione è quindi partecipato e determinato dalle forme di organizzazione sociale che distribuiscono le ricchezze e la direzione dello sviluppo verso la produzione di valore d’uso per il fabbisogno sociale. IL RUOLO DEI LUOGHI DELLA FORMAZIONE La scuola e l’alternanza scuola-lavoro L’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro potrebbe essere, in questo quadro, uno strumento utile per rendere reale il connubio fra il ‘’sapere’’ e il ‘’saper fare’’, connubio più che necessario in questa fase, se non fosse per l’evidente mancanza di prospettiva reale e di lungimiranza con cui si sta attuando all’interno delle nostre scuole. L’alternanza infatti, introdotta in via sperimentale con il decreto legislativo 22/2005 dall’allora Ministro Moratti e resa obbligatoria attraverso la Buona Scuola dal Governo Renzi con 400 e 200 ore rispettivamente per Istituti Tecnici e Professionali e Licei, viene portata avanti partendo dal presupposto che il mondo della scuola non sia in grado di preparare le studentesse e gli studenti a Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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quelli che sono i bisogni del mercato del lavoro e quindi, come risultato, questa mancanza ha portato e continua a portare alla disoccupazione. ​I dati Ocse invece ci delineano un quadro diverso: nel nostro paese, negli ultimi anni, è emerso un fenomeno chiamato ‘’bolla formativa’’ per cui, partendo dal dato che il mondo del lavoro richiede sempre più manodopera a basso costo e di bassa qualità, le studentesse e gli studenti sono ‘’troppo formati’’ e quindi costretti, essendo altamente qualificati, a lasciare il Paese​. Evidentemente quindi la volontà è quella di rendere subalterno il mondo della scuola a quelli che sono i bisogni contingenziali del mondo del lavoro, un mondo del lavoro spesso privo di investimenti riguardanti l’innovazione e il progresso tecnologico. L’alternanza non solo quindi viene portata avanti con degli obiettivi che possiamo definire errati ma risulta problematica anche nelle sue modalità. Abbiamo visto come le studentesse e gli studenti si siano ritrovati spesso a fare delle esperienze che possiamo definire ​manodopera gratuita senza alcuna valenza formativa​, sia per chi frequentava i licei che sono in evidente difficoltà non avendola mai praticata prima, sia per chi frequentava i tecnici e professionali che pur avendo una maggior consapevolezza dettata dall’esperienza hanno dovuto, per coprire le ore obbligatorie, fare una corsa sfrenata alle aziende senza avere la possibilità di rispettare alcun tipo di criterio. ​Ecco che spesso l’alternanza è stata portata avanti in aziende che non rispettavano le regole ambientali o che avevano un grande numero di lavoratori precari​. E’ evidente quindi di quanto ci sia bisogno che l’alternanza scuola-lavoro diventi un’esperienza davvero formativa, che non abbia come obiettivo quello di modificare il mondo della scuola piegandolo ai bisogni delle aziende ma anzi, faccia da motore per apportare un continuo e avanzato stato di progresso all’interno di quei luoghi, di pari passo con un aumento degli investimenti nella Ricerca che in questo momento nel nostro paese si attestano all'1,25% del PIL, dato molto lontano dall’obiettivo di Europa 2020 che ha come minimo il 3% del PIL. Inoltre sono tanti gli strumenti che si possono usare all’interno delle scuole per perseguire questo obiettivo, ​le commissioni paritetiche sono uno di questi: organi da far approvare all’interno del consiglio d’istituto per rendere partecipi tutti gli studenti Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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nella definizione degli obiettivi formativi e delle aziende identificate. ​Inoltre risulta necessario un ripensamento della didattica a partire da attività laboratoriali, incentivando il miglioramento di questi luoghi all’interno degli istituti​. Fondamentale, infine, è la presenza di un quadro normativo chiaro con uno statuto delle studentesse e degli studenti in alternanza completo e che riesca a rispondere alla costante richiesta di tutela di diritti all’interno delle scuole, affiancato da un ​codice etico per le aziende che vada a stabilire quali sono i criteri di idoneità in cui poter far fare l’esperienza dell’alternanza alle studentesse e agli studenti.

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L’Istruzione e la Formazione Professionale Con la riforma del secondo ciclo di istruzione e formazione entrata in vigore nel 2010/2011 i percorsi di apprendimento secondario si sono divisi in due settori principalmente: i percorsi di istruzione di durata quinquennale e i percorsi svolti presso enti di formazione regionale della durata di 4 anni. Ora, con l’ingresso dell’IeFP nel sistema educativo, sia le Qualifiche, sia i Diplomi professionali diventano titolo valido - al pari di quelli scolastici - per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione e del diritto dovere di istruzione e formazione. Sono poi spendibili e riconoscibili su tutto il territorio nazionale, perché riferiti a standard comuni, concordati tra le Regioni e approvati con Accordi Stato Regioni o in Conferenza Unificata. Nei percorsi di IeFP regionali, comunque, la percentuale delle ore dedicate all’area tecnico professionale da sviluppare attraverso un forte ricorso ai laboratori, non può essere inferiore al 40% nel triennio ed al 45% nel quarto anno. L’impostazione complessiva è decisamente più rivolta agli aspetti operativi. Da considerare inoltre che questi percorsi sono totalmente gestiti a livello regionale anche se sono previsti dei livelli essenziali di prestazioni in forme molto diverse spesso per cui alcune regioni gestiscono direttamente questi istituti mentre altre li appaltano a privati. Anche la presenze sui territori è molto diversificata con esempi come il Piemonte e la Lombardia in cui il sistema Iefp è molto presente sul territorio e territori del sud in cui vi sono pochissime di queste strutture. Le problematiche di questi istituti sono molte​: da una parte la mancanza di una formazione generale in molti settori pur essendo qualificanti per il diploma, l’eccessiva professionalizzazione a discapito della formazione generale e la gestione spesso in appalto a privati e fondazioni che rende la gestione di questi istituti molto poco chiara. Infine la giovane età di questi istituti creano dei problemi rispetto all’erogazione di tutte le formule di ​diritto allo studio perché molto spesso non sono neanche nominati nelle leggi regionali, troppo vecchie e poco aggiornate.

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Gli Istituti tecnici superiori Gli Istituti Tecnici Superiori sono "scuole ad alta specializzazione tecnologica", nato come un settore formativo terziario da cui si accede dopo il raggiungimento del diploma scolastico. Questo settore dell’istruzione ha una durata di 4 anni a seguito del quale viene rilasciata una qualifica. Gli ITS sono già molto attivi ad esempio in Germania e sono in fase di sperimentazione in italia. Essi hanno certamente il lato positivo (almeno dove sono a regime) di coinvolgere moltissimi studenti nei percorsi di formazione terziaria, studenti che attualmente si fermano alla scuola secondaria, inoltre una diffusa cultura tecnica sicuramente favorirà un innalzamento del livello di istruzione. In questo percorso sono anche insiti alcuni rischi che vanno evidenziati. Il primo, che è emerso anche in Germania, è come sia negativa l’​eccessiva specializzazione di questi percorsi: chi consegue questi titoli rischia infatti di avere una formazione parziale, che lo relega ad un campo di lavoro specifico e a volte alla ricerca di lavoro in un ambito territoriale molto limitato. Inoltre essi rischiano di creare una forma di ​competizione non sana con gli atenei tradizionali ​svilendo una forma di sapere più teorico, che ovviamente dal punto di vista lavorativo paga meno rispetto alla possibilità di un'occupazione a breve termine. L’altro rischio è quello di creare una grande frammentazione dell’offerta formativa tra le diverse zone del paese, in base alla produzione locale che però non tenga conto di alcuni elementi generali delle conoscenze che vanno comunque garantite allo studente che si iscrive al percorso di formazione​. Dobbiamo anche sottolineare come l’Its abbia per sua natura una forte interazione con il mondo della produzione e quindi del privato ma che comunque la ​gestione deve essere pubblica​, in quanto altrimenti si incentiverebbe quei meccanismi di sottomissione e frammentazione dell’offerta formativa fornita. Questi percorsi hanno numerose criticità sotto molti aspetti: innanzitutto la mancanza di gratuità di questi percorsi, che hanno costi differenti a seconda degli istituti. La ​gratuità per l’accesso deve essere seguita di pari passo con un sostegno Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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alla ​mobilità studentesca considerato il fatto che in molte regione non sono presenti istituti tecnici superiori. Inoltre è necessario prevedere adeguati strumenti di partecipazione alla vita degli ITS da parte dei componenti della comunità didattica, in particolare con la previsione di ​assemblee plenarie collegiali e di organi collegiali​ eletti dalle diverse componenti della comunità didattica stessa. L’Università La terza missione delle università sta assumendo un ruolo sempre più rilevante, sia nelle politiche di trasformazione dei sistemi produttivi, sia a livello di politiche di valutazione e di spartizione delle risorse. L’insistenza sulla necessità di regolare ed incentivare l’impegno degli atenei nella terza missione passa dalla critica che è stata più volte fatta all’università rispetto alla sua chiusura ed isolamento verso il territorio circostante. I tipi di interazioni tra università e territorio sono diversi ma uno degli aspetti fondamentali riguarda certamente la possibilità dei laureati di trovare un'occupazione finito il periodo di studi. Una recente indagine di Almalaurea rivela come l​’occupazione ad un anno dalla laurea e pure quella in periodi temporali più lunghi sia in lieve aumento, ma che la qualità del lavoro trovato (in termini di stabilità) è in diminuzione​. Inoltre si sottolinea come avere delle esperienze di stage e tirocinio nel percorso degli studi favorisca il neolaureato che cerca lavoro. A questo punto ci si chiede se l’università debba porsi il problema dell’occupabilità dei propri laureati, poiché essendo un luogo di trasmissione e produzione di sapere si vedono dei rischi nel darle compiti di diverso genere che non le competono direttamente in quanto istituzione. E’ pure vero che lo studente stesso si iscrive ad un corso di laurea spesso anche in previsione delle prospettive lavorative, quindi non ha senso evitare la tematica, ma affrontarla nell’​ottica dell’università come fonte di cambiamento del modello lavorativo e produttivo​. Non è infatti per nulla esauriente la quantificazione del lavoro prodotto in termini di occupati ad un anno dalla laurea ma bensì l’università dovrebbe farsi portavoce di un cambiamento nell’assetto del mercato del lavoro, garantendo che ad esempio gli uffici di job placement non si occupino solo di favorire l’incontro tra domanda e offerta di Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma ​info@retedellaconoscenza.it​ Tel. 06/69770332


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lavoro ma si occupino anche di valutare la qualità di questa domanda in termini di stabilità e di tutele garantite al futuro occupato, ​escludendo le aziende e gli enti che non danno garanzie dalla lista dei partner anche di stage e tirocini. L’università quindi non può sottrarsi alla necessità di incidere sul mercato del lavoro che essendo in crisi sta portando anche ad una contrazione dell’offerta formativa poiché richiede una sempre minore professionalità e un livello basso di competenze, essendo basato su un sistema di aziende piccole spesso a conduzione familiare con scarsa propensione all’investimento. L’università deve invertire questa tendenza che porta solo ad un sempre maggiore restringimento dell’offerta formativa che viene svalutata in quanto considerata ‘non utile’ poiché non riesce a trovare espressione in un contesto lavorativo. Rispetto alla terza missione delle università, essa non può essere relegata al solo aspetto di interazione del laureato con il mondo lavorativo. Come non può essere relegata all’individuazione e finanziamento di pochi centri di ricerca o università deputati a diventare centri competenti o specialistici e accanto a piattaforme di economia digitale e innovazioni, che possano poi operare concretamente nel trasferimento tecnologico tra atenei e mondo dell’impresa. L’interazione dell’università è molteplice e non quantificabile, in quanto si riflette in una produzione a cascata di effetti secondari che non sono facilmente individuabili, quello che è certo è che se una grossa componente della terza missione può essere riassunta con il termine di ‘divulgazione del sapere’ e che le prime due missioni vanno vissute anche in quest’ottica, poiché il senso di esistere dell’università passa prima di tutto dall’impatto che ha sul suo territorio in termini di emancipazione collettiva, anche di chi non partecipa in prima persona ai percorsi di formazione terziaria. L’impianto valutativo sviluppato dall’​ANVUR sul tema della terza missione è aberrante in quanto insiste esclusivamente sull’impatto economico della cultura che si crea. Una visione di questo tipo non tiene conto della specificità del contesto in cui l’ateneo è inserito e non si interroga su cosa intendiamo noi per territorio e

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cioè su quale estensione, quali interazioni e quali soggetti vengono considerati nell’analisi. Gli studenti sono parte integrante degli attori che possono mettere in campo iniziative volte alla rottura dell’isolamento/alienazione spesso presente tra atenei e città e alla diffusione della cultura. Appiattire l’Università alla sola dimensione produttivistica, cui si vorrebbe subordinare anche la ricerca scientifica, significa sminuire il ruolo e non comprenderne l’enorme significato che essa ancora ha per una società migliore, più democratica, più consapevole. Inoltre ​i soggetti non si formano con le Università di eccellenza e con le ricerche di punta, ma con la diffusione della cultura e con la crescita complessiva del paese, per una collettivizzazione di competenze diffuse e generali frutto di sedimentazione e crescita costante.

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