Jacopo tambellini, viaggiatore

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JACOPO TAMBELLINI, VIAGGIATORE STORIACCIA IN QUATTRO ATTI di Francesco Toscani ATTO PRIMO SAN PAOLO DELLE CASCATE I banditi erano arrivati quattro giorni prima. Gli uomini stavano rientrando a casa, chi portando i frutti, chi la cacciagione. Dagli usci esalavano spesse fette di fumo, simili a cascate rivolte verso l’alto. Il paese aveva iniziato a riempirsi di vocii, risate e battute, poi qualcuno aveva urlato mentre un uomo caracollava per la strada con una freccia piantata nel collo, altre tre frecce avevano colpito un tettuccio di paglia, una si era piantata nell’occhio largo, stupito di una contadina, e loro erano apparsi. Armati, grossi e sporchi. Il fraticello aveva lanciato loro un’occhiata e subito aveva visto le armature e le spade in ferro – armi da guerrieri, non da pezzenti; quelli venivano da una qualche guerra, erano ex soldati, magari disertori, non banditi di professione. Il suo amico, frate Mattia, era corso loro incontro, gridando in latino, e uno di loro si era fatto avanti e aveva calato lo spadone sulle sue tempie. Poi doveva essere iniziato il massacro; ma il fraticello non l’aveva visto. Accanto a lui c’erano due bambini; li aveva afferrati per i polsi (ricordava ancora la sensazione delle loro braccine ossute che premevano contro il suo pollice) e aveva iniziato a correre, guardando davanti a sé, il cuore che gli martellava il petto, cercando di non badare alle urla. Si era tuffato dietro la casetta di mastro Federico e, così facendo, si era gettato un’occhiata alle spalle. Un contadino giaceva a terra, urlando mentre un bandito continuava a colpirlo al petto con un’ascia. Un brigante trascinava per i capelli una donna in lacrime, avanzando verso una capanna. A pochi metri da loro un bambino era stato sgozzato e buttato per terra. Un paio di cacciatori brandendo le loro lance artigianali si erano gettati contro gli aggressori che, protetti dalle armature, li stavano uccidendo con colpi disordinati di spada. C’erano già una ventina di corpi a terra, mentre uomini, donne e bambini ancora vivi correvano in cerchio, gridando disperati e invocando il Signore. Qualcuno provava ad allontanarsi di corsa, e gli arcieri lo colpivano alla schiena. Tutto questo il frate lo aveva intravisto a colpo d’occhio, in quel breve istante, poi si era gettato dietro la casa di mastro Federico. Lì, nel prato, giacevano le grosse botti marce, sfasciate, da cui il venditore di vino traeva la legna da ardere. “Dentro! Dentro! E state zitti!” I bambini si erano tuffati nelle grosse botte e lui li aveva seguiti incespicando. Teneva ancora stretta la sua bisaccia, con dentro il pane, l’acqua e la carne secca che dovevano servire per il viaggio. “Zitti” mormorò “zitti”. Ed erano stati zitti… Tre giorni, era durato il saccheggio, tre giorni, e nessuno di loro aveva detto una parola. Sentivano le urla delle poche donne superstiti e le grida dei banditi, e le imprecazioni e le vanterie. Per tre giorni erano rimasti fermi, terrorizzati,


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