Grandangolo - Settembre 2015

Page 1

grandangolo UNO SGUARDO SULL’UOMO DI OGGI

notiziario d’approfondimento a cura dell’ufficio diocesano per le comunicazioni sociali

UN PANORAMA NUOVO SULLA FAMIGLIA Il Sinodo sulla vocazione e sulla missione della famiglia N.9 settembre 2015 - Diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola Iscritto nel registro dei periodici presso il Tribunale di Pesaro al numero 4 del 2015



LA LENTE

LA FAMIGLIA, RISORSA INSOSTITUIBILE PER LO SVILUPPO ARMONICO DI OGNI SOCIETÀ Focus sull’Instrumentum Laboris del Sinodo dei Vescovi

D

al 4 al 25 ottobre è in programma la XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi che avrà per tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Tante saranno le Diocesi che, su invito della Conferenza Episcopale Italiana, alla vigilia di questo importante appuntamento, si riuniranno in preghiera accogliendo l’invito del Santo Padre. «La questione vera di questo Sinodo – scrive Alessandra Stoppini nell’intervista Don Paolo Gentili, Direttore Nazionale dell’Ufficio Cei per la Pastorale delle Famiglia - è aprire un panorama nuovo sulla Famiglia, far sentire il profumo del giardino del principio, spalancare la vera bellezza della Famiglia che è in Italia e nel mondo. Direi anche, curare quella solitudine che spesso rende l’“inciampo” di un momento una frattura irreversibile e che quindi frena il cuore. Se mettiamo come cura una Famiglia accanto a un’altra, molte delle crisi si possono trasformare in una relazione ancora più ricca di comunione. Abbiamo dinanzi agli occhi molte esperienze di questo tipo: dove c’è un aiuto adeguato, non solo dall’Alto, ma dalla “carne viva” di chi ci passa accanto, quella crisi si trasforma in un nuovo “sì” all’amore». Tanti sono i temi toccati nell’Instrumentum Laboris “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo” in preparazione all’Assemblea Generale Ordinaria a cominciare dall’ascolto delle sfide della famiglia, alle sue fragilità e ai suoi punti di forza, alla famiglia come insostituibile risorsa della società. “La famiglia – si legge nell’Instrumentum Laboris - resta ancor oggi, e rimarrà sempre, il pilastro fondamentale e irrinunciabile del vivere sociale. In essa infatti convivono differenze molteplici, attraverso le quali si stringono relazioni, si cresce nel confronto e nella mutua accoglienza delle generazioni. Proprio così la famiglia rappresenta un valore fondante e una risorsa insostituibile per lo sviluppo armonico di ogni società umana. Nelle relazioni familiari, coniugali, filiali e fraterne tutti i membri della famiglia stabiliscono legami saldi e gratuiti, nella concordia e nel rispetto reciproco, che permettono di superare i rischi dell’isolamento e della solitudine”. Nel documento trovano spazio anche temi molto delicati fra i quali la sfida della vedovanza, l’ultima stagione della vita e il lutto in famiglia, la sfida della disabilità e delle migrazioni. Particolare accento viene posto sulla dimensione missionaria della famiglia. “La famiglia – si legge nell’Instrumentum Laboris - è per sua natura missionaria ed accresce la propria fede nell’atto di donarla agli altri. Per intraprendere percorsi di valorizzazione del ruolo missionario loro affidato, è urgente che le famiglie cristiane riscoprano la chiamata a testimoniare il Vangelo con la vita senza nascondere ciò in cui credono. Il fatto stesso di vivere la comunione familiare è una forma di annuncio missionario. Da questo punto di vista, occorre promuovere la famiglia come soggetto dell’azione pastorale mediante alcune forme di testimonianza, tra le quali: la solidarietà verso i poveri, l’apertura alla diversità delle persone, la custodia del creato, l’impegno per la promozione del bene comune a partire dal territorio nel quale essa vive”. grandangolo

3


SOMMARIO 03

LA LENTE

La famiglia, risorsa insostituibile di ogni società

IN COPERTINA

14

FOOD POVERTY, FOOD BANK I dati commentati con Michele Altomeni

DALL’ITALIA 17

OLTRE TRE MILIONI DI DONNE HANNO SUBITO STALKING NELLA LORO VITA Ne parliamo con l’Associazione Nazionale Volontarie Telefono Rosa

05

27

29

Il punto con Antonio Tinelli, Coordinatore del Comitato sociale della Comunità San Patrignano

08

GLI ITALIANI VITTIME DI MAGHI

10

APPROVATA LA PRIMA LEGGE SULL’AUTISMO

GLI ITALIANI E LA LINGUA MADRE: QUALE RAPPORTO?

Intervista al professor Riccardi presidente della Società Dante Alighieri

OBIETTIVO SPORT 31

ATTUALITA’ QUATTRO MILIONI DI ITALIANI, NELL’ULTIMO ANNO, HANNO FATTO USO DI DROGHE

I NEOLOGISMI NEL LESSICO COMUNE

Intervista a Giovanni Adamo coordinatore Osservatorio Neologico della Lingua Italiana

LE DIFFICOLTÀ SI SUPERANO CON L’AMORE

Le parole di Papa Francesco all’VIII incontro mondiale delle famiglie

06

OBIETTIVO CULTURA

LE BOCCE NON SONO UN SPORT PER “VECCHI” Intervista al giovane campione Davide Bregamotti

18

EDUCARE A UN “BERE MODERATO” Intervista a Tomaso Zanoletti presidente dell’Osservatorio Vino e Salute

DALLA DIOCESI

32

TAEKWONDO: RESISTENZA, FORZA ED ELASTICITÀ Ne parliamo con il maestro Giacomo Giovanelli

Ne parliamo con Lorita Tinelli, presidente Centro studi Abusi psicologici Onlus

Ne parliamo con la dottoressa Vera Stoppioni

DAL MONDO

12 QUINDICI MILIONI DI ITALIANI FANNO ACQUISTI ON LINE

22

IL RUOLO DELLE RELAZIONI NELL’EVANGELIZZAZIONE Le indicazioni pastorali del Vescovo Armando all’Assemblea Diocesana 24

LA PASTORALE DEL LAVORO SUI MIGRANTI E IL CREATO Due giornate per riflettere su temi attuali e delicati

Ne parliamo con Riccardo Mangiaracina Resp. Osservatorio e-Commerce

grandangolo UNO SGUARDO SULL’UOMO DI OGGI

NUMERO 09

SETTEMBRE 2015 Direttore responsabile

26

GENERAZIONI IN ECSTASY. LA COMUNICAZIONE DISTORTA DEL PERICOLO Una serata per parlare dei giovani e le nuove droghe

4

grandangolo

ENRICA PAPETTI Realizzazione grafica LUCA MISURIELLO Recapiti TELEFONO 0721/802742 EMAIL UCSFANO@GMAIL.COM


IN COPERTINA

IN FAMIGLIA LE DIFFICOLTÀ SI SUPERANO CON L’AMORE

Le parole di Papa Francesco all’VIII incontro mondiale delle famiglie

N

el suo viaggio apostolico a Cuba e negli Stati Uniti d’America, Papa Francesco ha incontrato a Philadelphia tutte le famiglie proprio in occasione dell’VIII incontro mondiale delle famiglie. “Come stiamo lavorando per vivere questa logica nelle nostre famiglie e nelle nostre società?, che tipo di mondo vogliamo lasciare ai nostri figli (cfr Laudato si’, 160)?”. Sono questi gli interrogativi su cui il Papa ha invitato tutti a riflettere. “Non possiamo rispondere noi da soli a queste domande. E’ lo Spirito che ci chiama e ci sfida a rispondere ad esse con la grande famiglia umana. La nostra casa comune non può più tollerare divisioni sterili. «La sfida urgente di proteggere la nostra casa […] comprende lo sforzo di unire l’intera famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare» (ibid., 13). Che i nostri figli trovino in noi dei punti di riferimento per la comunione, non per la divisione. Che i nostri figli trovino in noi persone capaci di associarsi ad altri per far fiorire tutto il bene che il Padre ha seminato”. Forti e intense le parole di Papa Francesco che esorta ogni persona che desideri formare in questo mondo una famiglia a insegnare ai propri figli “a gioire per ogni azione che si proponga di

vincere il male – una famiglia che mostri che lo Spirito è vivo e operante –, troverà la gratitudine e la stima, a qualunque popolo, religione o regione appartenga”. Papa Francesco conosce anche le fatiche e le sfide a cui la famiglia è chiamata e durante il discorso a Philadelphia in occasione della Festa della Famiglia ha invitato a superare le difficoltà con l’amore. “In famiglia ci sono le difficoltà. Ma queste difficoltà si superano con l’amore. L’odio non supera nessuna difficoltà. La divisione dei cuori non supera nessuna difficoltà. Solo l’amore è capace di superare la difficoltà. L’amore è festa, l’amore è gioia, l’amore è andare avanti”. Una cura speciale, poi, per i bambini e i nonni. “I bambini e i giovani sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza. I nonni sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno dato la fede, ci hanno trasmesso la fede. Avere cura dei nonni e avere cura dei bambini è la prova di amore, non so se più grande, ma direi più promettente della famiglia, perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e un popolo che non sa prendersi cura dei nonni è un popolo senza futuro, perché non ha la forza e non ha la memoria per andare avanti”. grandangolo

5


ATTUALITA’

QUATTRO MILIONI DI ITALIANI, NELL’ULTIMO ANNO, HANNO FATTO USO DI DROGHE

Il punto con Antonio Tinelli, Coordinatore del Comitato sociale della Comunità San Patrignano

C

irca quattro milioni di italiani, nell’ultimo anno, ha fatto uso di sostanze. E’ il dato allarmante che emerge dalla Relazione Annuale al Parlamento su droga e dipendenze 2015. Nel 2014 sono stati registrati, rispetto all’anno precedente, incrementi nei sequestri di hashish (+211,29%), di marijuana (+15,93%), di eroina (+5,30%) e di droghe sintetiche in dosi (+23,99%). Sono risultati, invece, in diminuzione i sequestri di cocaina (-21,90%), di droghe sintetiche in polvere (-56,32%), di L.S.D. (-25,21%) e di piante di cannabis (-86,41%). Se ci concentriamo sugli allucinogeni, dalla Relazione emerge che il consumo nella vita di allucinogeni (LSD, funghi allucinogeni, ketamina, ecc.) ha coinvolto quasi un milione e mezzo di italiani (3,7%), quasi un terzo dei quali di età compresa tra i 15 e i 34 anni (4,3%). Il consumo recente di allucinogeni è pari allo 0,3% e ha riguardato quasi 120mila soggetti, consumo che tra i 15-34enni ha interessato poco più di 90mila individui (0,7%). È soprattutto tra questi ultimi che i maschi risultano in quota quasi doppia a quella delle coetanee. Il 5% della popolazione generale ritiene che gli allucinogeni siano di facile reperimento, per raggiungere il 61% tra chi li ha assunti nel corso degli ultimi 12 mesi. Discoteca pubbliche (entrambe 50%) sono i luoghi identificati dai consumatori recenti per il reperimento di allucinogeni, a seguire lo spacciatore (45%) e la strada (35%). Un fenomeno, dunque, quello della droga che sta ritornando prepotentemente alla ribalta delle cronache anche dopo il tragico fatto

6

grandangolo

di Riccione dove un 16enne è morto dopo aver assunto ecstasy. Antonio Tinelli, Coordinatore del Comitato sociale della Comunità San Patrignano, sottolinea come spesso i giovani tendano a minimizzare il problema inconsapevoli del pericolo a cui vanno incontro. Leggo da una nota della Comunità di San Patrignano in seguito alla tragica morte di un 16enne al Cocoricò per l’assunzione di una pasticca di ecstasy: “Un passo indietro che in primis lo deve fare però la società stessa, in cui è considerato sempre più normale “farsi una striscia di coca” o “calarsi una pasticca” in discoteca, una società in cui per i giovani la parola divertimento è diventata ormai sinonimo di trasgressione”. Partendo proprio dalla vostra esperienza diretta, perché il mondo delle droghe, pesanti o leggere che siano, continua ancora ad ammaliare in particolare i più giovani? E’ solo voglia di trasgressione? C’è la voglia di trasgressione, c’è la ricerca di risposte e di colmare vuoti con l’evasione e lo sballo, ci sono la paura e il senso di inadeguatezza ad affrontare la realtà. Ma ciò che più è allarmante è proprio che oggi drogarsi è considerato normale. Una normalizzazione che porta giovani e anche giovanissimi a non avere riferimenti chiari e quindi a minimizzare il problema delle droghe, all’inconsapevolezza del pericolo, all’incoscienza di cosa significa andare a cercare risposte ed emozioni in sostanze artificiali che mettono a repentaglio la vita. Sappiamo bene attraverso i racconti


ATTUALITA’

dei ragazzi che arrivano in Comunità che ormai ovunque è possibile devastarsi con superalcolici o procurarsi stupefacenti di ogni tipo. Quello della normalizzazione è un percorso pericoloso avviato ormai da diversi anni, ed è difficile contrastarlo se in Parlamento vi è una proposta di legge con le firme di 218 parlamentari a sostegno della legalizzazione della cannabis. Siamo fortemente contrari alla linea che emerge dal testo: la nostra esperienza quarantennale mostra che dove aumenta disponibilità a causa di politiche tolleranti, cala al contempo la “disapprovazione sociale” e il consumo di droghe sale. Tutti i ragazzi che sono passati da San Patrignano hanno cominciato con la cannabis e poi sono passati alle altre droghe. Un passaggio non scontato, ovviamente, ma un dato incontestabile nei ragazzi che oggi stanno compiendo il percorso di recupero. Torniamo per un attimo alla tragica vicenda del luglio scorso al Cocoricò. Dopo la morte del 16enne il Questore di Rimini ha emesso il provvedimento di chiusura della discoteca per 120 giorni. Allo scadere di questi quattro mesi cambierà veramente qualcosa o non al 121esimo ma magari al 200esimo giorno, quando si saranno calmate un po’ le acque tornerà tutto come prima? La chiusura del locale disposta dalle autorità ha voluto dare un segnale forte, nel segno del rispetto delle regole e della legalità di cui siamo i primi difensori. E’ chiaro, però, che le 450 nuove droghe immesse sul mercato negli ultimi 4 anni ed il 50 per cento degli adolescenti che ha assunto droghe che erroneamente vengono considerate leggere descrivono un problema che non si risolve con la chiusura di una discoteca. Per noi la vera strategia è innanzitutto quella della prevenzione, con progetti seri, strutturati, di lungo periodo e adeguatamente finanziati. Tutte le parti coinvolte devono essere unite per frenare questo processo di normalizzazione. E’ quello che noi nel nostro piccolo facciamo da sempre, arrivando ad incontrare con il nostro progetto di prevenzione peer-to-peer “WeFree” circa 50mila studenti all’anno, portando loro le storie dei nostri ragazzi con spettacoli, incontri e workshop. E’ necessario responsabilizzare i giovani e i loro genitori, che devono essere aiutati a comunicare e a guidare i loro figli verso uno stile di vita consapevole, dove il divertimento è sano senza bisogno di artifici chimici. Quello delle famiglie è un ruolo educativo non semplice, a cui si devono affiancare quanto più possibile l’impegno e il sostegno di tutti i luoghi di aggregazione e di tutte le istituzioni. Occorre investire in alternative alla cultura dello sballo, unendo le forze per dare ai giovani riferimenti coerenti e concreti, offrire loro opportunità culturali, formative e di lavoro. Parliamo, per un attimo, della vostra comunità. Su che cosa si basa

il vostro metodo di recupero per coloro che sono caduti nella rete delle dipendenze? Il percorso terapeutico è essenzialmente educativo e riabilitativo completamente drug free. La persona non viene considerata affetta da una “malattia” e non vengono, quindi, utilizzati trattamenti farmacologici per la dipendenza, mentre sono invece attuati interventi psicoterapeutici, o psichiatrici qualora siano ritenuti necessari, per trattare problematiche individuali specifiche. San Patrignano è una comunità di vita, che accoglie quanti sono afflitti dalle dipendenze e dall’emarginazione perché ritrovino la propria strada attraverso un cammino di recupero che è soprattutto un percorso d’amore. Ecco perché è completamente gratuita per i ragazzi in percorso e per le loro famiglie, così come non riceve sussidi o rette pubbliche. La gratuità consente ad ogni ragazzo di sentirsi artefice e protagonista del proprio percorso, nel quale può imparare al meglio una professione e attraverso il lavoro quotidiano mettersi in gioco affrontando i propri limiti e scoprendo o ritrovando le proprie potenzialità. Sono oltre 50 le opportunità di formazione a San Patrignano, molte delle quali nate grazie all’impegno donato da artigiani e professionisti. Inoltre i prodotti e i servizi realizzati nell’ottica dell’autosostentamento, concorrono per circa il 50 per cento al fabbisogno della comunità. Quando si parla di persona che fa uso di droghe la si addita sempre come un soggetto debole, fragile, facilmente condizionabile dal gruppo. Luogo comune o verità? Il disagio giovanile si allarga e, soprattutto, si manifesta con sempre maggior frequenza all’interno di traiettorie di vita individuali e di gruppo vissute come “normali” e a-problematiche. Rifiuto dello studio e di ogni progettualità di vita, binge drinking e disturbi alimentari – per citare alcuni fenomeni diffusi - sono sintomi di un malessere, di una incapacità di costruire all’interno del proprio percorso educativo e formativo un’identità equilibrata e responsabile. Ciò che inizia con il naturale malessere dell’adolescenza e con il bisogno di essere accettati dagli altri, prosegue con il primo contatto con la marijuana e con la falsa sensazione che grazie a essa si è migliori, va avanti con la ricerca di nuove emozioni, di uno sballo più forte come quello dell’ecstasy e della cocaina, finisce inesorabilmente con gli psicofarmaci per calmarsi e con la “mamma” di ogni drogato: l’eroina. Molti, dopo le prime esperienze, si fermano, ricominciano a crescere, scelgono altre strade puntando sulle proprie capacità e potenzialità. Per altri, i più fragili, i più immaturi, quelli con meno punti di riferimento e opportunità educative, si apre una strada drammatica che in assenza di interventi adeguati rischia di essere senza ritorno. Possiamo affermare che, con costanza, collaborazione, buona volontà e soprattutto con un supporto adeguato, si può definitivamente uscire dal “tunnel droga”? Gli irrecuperabili non esistono. Lo conferma anche una ricerca condotta su un campione significativo di ex residenti di San Patrignano dalle Università di Urbino e Pavia: 72% è la media di persone che a distanza di anni non utilizzano più droghe dopo aver completato il percorso di recupero, con picchi del 78% fra coloro che hanno completato il programma d’accordo con la comunità. San Patrignano è la prova che chiunque può tornare alla vita nonostante le sue cadute. Ciò che però ci sentiamo di dire, è che nessuno riesce a venirne fuori da solo, senza chiedere un aiuto. E’ necessario che il tossicodipendente riconosca in primis la sua condizione e quindi trovi qualcuno in grado di sostenerlo.

grandangolo

7


ATTUALITA’

GLI ITALIANI VITTIME DI MAGHI Ne parliamo con Lorita Tinelli, presidente Centro studi Abusi psicologici Onlus

S

i rivolgono a loro per trovare l’amore, per avere fortuna, per guarire da terribili mali fisici e psicologici. Secondo l’ultimo Report Antiplagio Magia e Occultismo in Italia 2013/2014 gli italiani che almeno una volta all’anno “investono” nella magia, nell’occultismo, nel gioco d’azzardo e nelle riviste del settore sono circa 12 milioni. E a quanto ammonta il giro di affari dei sedicenti “maghi, truffatori senza scrupoli? Proseguendo nella lettura del Report emerge che “negli ultimi tre anni, per via della crisi economica, il volume d’affari di maghi e occultisti è diminuito del 25%, attestandosi su 4,5 miliardi di euro annui. Le singole tariffe, quindi, si sono ridimensionate, ma non i consulti. Tale riduzione è determinata anche dall’aumento della “concorrenza”: sono molti infatti i “senza lavoro” che, soprattutto su internet, si improvvisano cartomanti, sensitivi, guaritori e satanisti d’occasione”. Ognuno di loro ha un listino prezzi a seconda delle prestazioni che offre: il Report riporta che una seduta con uno pseudo guaritore della psiche costa dai 200 ai 500 euro, i maghi che proteggono da malefici e invidie con amuleti si fanno pagare dai 250 ai 1250 euro, gli spiritisti che ti mettono in contatto con i defunti dai quali attingere i numeri del lotto costano dai 1500 in sù. Poi si paga un prezzo tutto speciale per i satanisti che, in particolare nella notte di Halloween, promettono il “passaggio” dei propri poteri agli adepti e alle vittime, generalmente donne, che prima dovranno sottoporsi più volte al rituale sacrificale collettivo di un animale adagiato sul loro corpo, e poi alla “donazione” di sé stesse ai partecipanti; questi ultimi versano una quota tra i 2000 e i 3500 euro, le donne naturalmente non pagano. La lista purtroppo non finisce qui. Abbiamo approfondito tale fenomeno con la psicologa Lorita Tinelli, presidente del Cesap (Centro di Studi sugli abusi psicologici Onlus). Secondo il report annuale 2013-2014 su magia e occultismo pubblicato dall’Osservatorio Antiplagio, gli italiani che almeno una volta all’anno “investono” nella magia, nell’occultismo, nel gioco d’azzardo e nelle riviste del settore sono circa 12 milioni, il 20% della popolazione, con un incremento del 10% rispetto al 2010. Le chiedo: c’è una correlazione tra magia e gioco d’azzardo? Magia e gioco d’azzardo hanno in comune un particolare approccio mentale che contraddistingue un funzionamento cognitivo di tipo infantile, il “pensiero magico”. Il fruitore di questi “servizi” crede di poter avere la meglio sul caso o per lo meno di poterlo controllare . Tale tipo di funzionamento è quotidiano e

8

grandangolo

molti più frequente di quanto si immagini. Spesse volte lo utilizziamo quando non conosciamo tutti gli aspetti di un problema, quando siamo paralizzati dalla paura, quando cioè nel nostro approccio alla conoscenza prevale più l’aspetto emotivo che quello logico¬razionale. Una delle caratteristiche con cui tale pensiero si esprime sono i pregiudizi e le superstizioni. Possiamo fare una stima di quanti italiani sono stati, negli ultimi anni, vittime di maghi? Credo che sia molto difficile stimare un numero preciso, in quanto vi sono fruitori abituali e fruitori occasionali. Sicuramente ogni tre persone ce ne una che ha avuto una esperienza diretta con un mago o un santone di turno. Senza considerare poi che ad alcuni servizi che il mago offre, per esempio la cartomanzia, ci si arriva in maniera piuttosto semplice, come il procurarsi le collane di tarocchi, che vengono vendute in edicola (per imparare il mestiere) oppure tramite i vari siti internet. Una ricerca da me condotta nel 1999 evidenziava l’uso diffuso, da parte di studenti delle scuole superiori, di sedute spiritiche, che pur se condotte in un contesto goliardico diventavano uno strumento di approccio ad un mondo sconosciuto e affascinante, che è quello dell’esoterismo. Quali sono le categorie di persone che si rivolgono maggiormente ai maghi e quali sono le motivazioni principali? Posso fare un identikit delle persone che poi hanno chiesto aiuto al CeSAP, a seguito di frequentazione di maghi. Si tratta prevalentemente di i donne, con grado di istruzione medio­alto e socialmente adattate. Ma è bene evidenziare che esistono anche due tipologie di maghi e santoni. Quelli che hanno unito il mondo magico­esoterico a quello delle filosofie orientaleggianti o della new age, e quello che segue un sincretismo più di tipo religioso. I


ATTUALITA’

primi sono le mete ambite di personaggi dello spettacolo, manager, professionisti, ma anche qualche politico coloro che rendono più ricco e florido questo settore. I secondi di una categoria della popolazione più semplice. Spesso si pensa che le persone con un minor grado di istruzione siano le vittime preferite da questi sedicenti ciarlatani. E’ davvero così o possiamo sfatare questo luogo comune? E’ sicuramente un mito da sfatare. Il pensiero magico appartiene a tutti ed è molto adottato nelle scelte quotidiane. Quindi estremamente pericoloso in quanto, se coniugato alle fragilità della vita del singolo soggetto, favorisce l’ingresso verso esperienze che non si è più in grado di gestire. Come si presentano i “maghi di oggi”? Hanno affinato le loro tecniche per truffare i loro clienti? I maghi oggi si avvalgono sempre di più di internet, fornendo i propri servizi 24h su 24h. In questo modo sono più facilmente contattabili e da ogni parte. I servizi on line danno l’impressione al cliente di aver tutelato la sua privacy ed anche di raggirare il suo senso di vergogna. Ovviamente sono a pagamento e i pagamenti avvengono anche con carte pre­pagate per facilitare chiunque e garantirne l’anonimato. Ma esiste una grossa categoria di maghi che si è evoluta come imprenditore, avviando una infinità di servizi che abbracciano tutti i bisogni dell’essere umano: quello di essere coccolati, di fare percorsi di autoconsapevolezza e di automiglioramento. Diversi guru hanno acquistato casolari di campagna allestendoli quali location caratteristiche in cui offrire più di una possibilità ai propri clienti e con differenti modalità: vengono organizzati, quindi, in tutti gli spazi vitali di tali residenze (boschi, prati, locali, …) seminari di reiki con letture di carte degli angeli, sedute di yoga, momenti di rilassamento vari avvinghiati ad alberi secolari e molto altro ancora, di giorno e di notte, indi-

stintamente. Veniamo ora al Centro studi Abusi psicologici Onlus. Come opera la vostra struttura? Il CeSAP – Centro Studi Abusi Psicologici ONLUS è una realtà che opera su territorio nazionale dal 1999. Abbiamo costituito ormai una rete solida di professionisti di vario orientamento (psicologi, medici, avvocati, docenti universitari…) che offrono informazioni, fanno ricerche sull’argomento e seguono anche professionalmente i casi che giungono. L’informazione viene garantita non solo agli utenti che ci contattano, ma anche alle istituzioni che si trovano ad affrontare le tematiche di cui noi ci occupiamo (Tribunali, Forze dell’Ordine, Ministeri, Senato, etc.). Nel 2012 alcuni referenti della nostra associazione sono stati ascoltati presso la commissione giustizia del Senato per l’allora discussione su un disegno di legge contro la manipolazione mentale.

<<I maghi oggi si avvalgono sempre di più di internet, fornendo i propri servizi 24h su 24h>>

Quali sono le forme di abuso psicologico più frequenti? Le forme di abuso psicologico che si vivono in una relazione di dipendenza, come quelle sperimentate nelle sètte o tra adepto e santone/mago, sono diverse. L’adepto consegna la sua vita nelle mani del guru di turno che la usa a suo piacimento. Quest’ultimo acquisisce quindi il potere di decidere quali emozioni spossa provare il suo adepto, quali informazioni gli potranno essere date, quali persone egli deve frequentare. Quindi l’ingerenza nella sua vita è totale, al punto da portarlo a fare delle scelte che non sono più proprie, ma sono quelle che garantiscono la sopravvivenza del gruppo/sètta o comunque del potere del guru. Presto l’adepto si troverà a rompere i suoi rapporti con la propria famiglia e il proprio sistema amicale. La sua visione del mondo sarà cambiata e si troverà a non avere più alcun controllo sulla sua vita. Solo successivamente, quando e se l’incanto sarà terminato, vivrà la sensazione di fallimento totale.

grandangolo

9


ATTUALITA’

APPROVATA LA PRIMA LE Intervista alla dottoressa Vera Stoppioni

N

el parlare di autismo, il primo pensiero va al mondo dell’infanzia e a quelle famiglie che, quotidianamente, devono fare i conti con questa patologia. Tra critiche, approvazioni e perplessità sembra che, in merito, si stia facendo un passo avanti. E’ stata, infatti, approvata la prima legge nazionale sull’autismo. Per conoscere più da vicino questo disturbo del neurosviluppo e riflettere su questa prima legge nazionale in merito abbiamo intervistato la dottoressa Vera Stoppioni Direttore Unità Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliera Marche Nord. Prima di entrare nel merito della legge sull’autismo, vorrei che ci spiegasse che cos’è l’autismo e come si manifesta. L’autismo è un disturbo del Neurosviluppo caratterizzato da deficit persistenti nella comunicazione e nell’interazione sociale e dalla presenza di interessi e attività ristretti e ripetitivi. Il livello di gravità è variabile. Al Disturbo spesso si associa compromissione intellettiva di diverso grado, disturbo del linguaggio, disturbo del comportamento. Come può un genitore accorgersi che suo figlio è affetto da autismo? Ci sono controlli particolari da fare? Generalmente i genitori, verso i 18 mesi di vita del bambino, cominciano a vedere alcune differenze rispetto ai coetanei, che riguardano soprattutto il fatto che spesso il bambino non parla o , nei casi in cui il linguaggio è comparso, che l’uso del linguaggio è poco adatto. Nei colloqui con i genitori emerge spesso che i genitori notano “una particolare autonomia” del bambino, modo in cui viene interpretata la completa assenza di richieste. Altri elementi che portano i genitori a chiedere consulenza sono disturbi del sonno, abitudini alimentari peculiari o comportamenti bizzarri e ripetuti. Inoltre, un altro motivo per cui i genitori richiedono consulenza è una regressione, apparente o reale. E’ necessario a mio avviso fare attenzione a tutti i comportamenti di eccessiva autonomia di un bambino molto piccolo, o ancora la assenza di richiesta di essere addormentato o consolato. E’ importante far caso al contatto visivo, o al fatto che il bambino risponda quando viene chiamato per nome. Con l’approvazione della prima legge nazionale sull’autismo, cosa cambierà? E’ un passo avanti reale per le persone affette da questa patologia e per le loro famiglie? Nonostante le perplessità che sono emerse durante tutto il percorso che ha portato alla legge e le critiche di chi (forse con ragione) ne vede i limiti, (perché è una legge senza adeguata copertura economica) io credo che questa legge darà senz’altro più forza alle richieste dei genitori e alle associazioni, per il diritto alla cura e a una vita dignitosa per i soggetti autistici. La legge prevede l’inserimento dell’autismo nei livelli essenziali di assistenza. Possiamo spiegare meglio che cosa significa tutto ciò e quali benefici può portare? La legge permette ed ora obbliga il governo a fare i LEA specifici per l’autismo. Ogni prestazione che entra nei LEA viene finanziata col Fondo sanitario nazionale, anno per anno. Ad es. se entra nei LEA un supporto comunicativo di qualche tipo, le Regioni ricevono, anno per anno, una somma per questo scopo, che corrisponde al costo standard del supporto per ogni tanti abitanti (fabbisogno stimato).

10

grandangolo


ATTUALITA’

EGGE SULL’AUTISMO Ora che la legge specifica è stata approvata il Ministero della salute deve includere i LEA per l’autismo con le specifiche del caso nella bozza di tutti LEA, secondo quanto previsto dall’art.3 comma 1 della legge sull’autismo, oppure potrebbe fare i LEA specifici per l’autismo. Dal momento dell’approvazione dei LEA scattano i 120 giorni di tempo per aggiornare le Linee di indirizzo del 29 novembre 2012, insieme alle Regioni. Quindi bisogna attendere e vedere come ssaranno costruiti i LEA per l’autismo Si parla anche dell’importanza della promozione della ricerca di tipo “biologico o genetico”. Che cosa possiamo augurarci per il futuro proprio in merito all’autismo? Molti studi sono stati effettuati e sono in corso sulla biologia e sulla genetica dell’autismo. Ad alcuni di questi studi abbiamo partecipato anche noi del Centro Autismo di Fano, riuniti in Consorzi Mondiali. Non si è ancora arrivati ad una definizione eziologica di questo gravissimo disturbo, per cui l’augurio di tutti i tecnici che lavorano con l’autismo, delle famiglie e, credo, dei ragazzi, è di poter presto conoscere meglio l’eziologia dell’autismo Un’ultima domanda: tra affermazioni e smentite si è dibattuto molto sulla connessione tra vaccini e autismo. cosa si sente di dire in merito? Da tempo la ricerca scientifica ha messo in evidenza che non esiste una correlazione fra i vaccini e l’autismo. In particolare, in oltre 15 anni di studi non è stato trovato un legame tra il vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia e i disturbi dello spettro autistico. Una nuova ricerca pubblicata su Jama nel 2015 smentisce ancora una volta il rapporto fra immunizzazione e questa patologia. L’indagine è stata condotta su ben 95.000 bambini, tutti con fratelli più grandi, alcuni dei quali autistici, ed ha accertato che il vaccino contro morbilloparotite-rosolia non è associato a un aumento del rischio di disturbi dello spettro autistico.

NELLA SCUOLA CRESCONO GLI ALUNNI CON DISABILITÀ Più frequenti il ritardo mentale e i disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione Secondo i dati contenuti nel report Istat “L’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole primarie e secondarie di primo grado statali e non statali”, nell’anno scolastico 2013-2014 4 sono stati quasi 85 mila gli alunni con disabilità nella scuola primaria (pari al 3,0% del totale degli alunni) mentre nella scuola secondaria di primo grado se ne contano più di 65 mila (il 3,8% del totale). Scorrendo ancora il report leggiamo che la tipologia di problema più frequente, in tutte le ripartizioni territoriali, è quella legata al ritardo mentale che riguarda, in media, il 41,8% della

popolazione con disabilità nella scuola primaria e il 48,3% di quella della scuola secondaria di primo grado. Nella scuola primaria tale problema è seguito dai disturbi del linguaggio, dello sviluppo e affettivo-relazionale, che riguardano rispettivamente il 21,9%, il 17% e il 15,3% degli alunni con disabilità. Nella scuola secondaria di primo grado, dopo i disturbi mentali, i problemi più frequenti sono legati ai disturbi dell’apprendimento, ai disturbi affettivo-relazionali e a quelli del linguaggio che colpiscono, rispettivamente, il 20,1%, il 16,4% e il 12,6% degli alunni con disabilità.

grandangolo

11


DAL MONDO

QUINDICI MILIONI DI ITALIAN

Ne parliamo con Riccardo Mangiaracina Resp. Osse

Q

uindici milioni sono gli italiani che fanno acquisti on line, ma solo il 10% si fida pienamente dei pagamenti in rete. Sono questi alcuni dati contenuti nel 12° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione «L’economia della disintermediazione digitale».

“La comodità (si può fare da casa, dall’ufficio, in qualunque orario, e la consegna è a domicilio) – si legge ancora nella sintesi del Rapporto - rappresenta un sicuro vantaggio per il 32,8%. Un altro aspetto positivo, secondo i clienti online, è la semplicità delle procedure di shopping in rete (basta un clic!), segnalata dal 19,8%. Per il 12,8% conta l’efficacia dei marketplace sul web rispetto agli esercizi commerciali tradizionali, perché qui c’è più scelta, si possono trovare più informazioni sui prodotti e servizi, si possono fare confronti tra modelli diversi. E per il 7% lo shopping online è semplicemente più divertente rispetto al fare acquisti nei negozi tradizionali: sembra un gioco”. Abbiamo chiesto a Riccardo Mangiaracina, Responsabile Osservatorio eCommerce B2c Netcomm del Politecnico di Milano, di illustrarci, nel dettaglio, questo settore. Secondo i dati del 12° Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione «L’economia della disintermediazione digitale» sono 15 milioni gli italiani che fanno acquisti sul web. Quali sono le potenzialità e i rischi della compravendita on line? Vantaggio di prezzo, ampiezza di gamma e livello di servizio: sono questi i tre principali fattori sui quali – con diverso peso relativo – puntano i migliori operatori del commercio elettronico. Il fattore determinante nell’indurre il consumatore italiano ad acquistare online è stato – e in parte rimane - il vantaggio di prezzo rispetto al canale tradizionale. Negli ultimi anni, però, sempre più consumatori scelgono l’eCommerce anche per via della qualità e della comodità del servizio. Online, ad esempio, è possibile evitare le code, fare shopping 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, accedere ad articoli introvabili, confrontare prodotti e servizi attraverso un’informazioni precise, puntuali e complete. In aggiunta, i principali

12

grandangolo

operatori hanno lavorato per ottimizzare sia la consegna, sempre più tempestiva e capace di soddisfare le esigenze dei clienti (ad esempio con servizi a valore aggiunto come la consegna su appuntamento, con installazione) sia la gestione dei resi, semplice e in molti casi senza costi aggiuntivi per il cliente. Cadono così, gradualmente, le principali barriere legate all’acquisto online. Sono però ancora tanti gli italiani che non acquistano online. Tra le diverse motivazioni abitualmente addotte per giustificare il limitato sviluppo dell’eCommerce nel nostro paese ci sono la scarsa diffusione della banda larga, lo scarso utilizzo di strumenti di pagamento elettronici, una bassa propensione all’acquisto a distanza da parte degli italiani, ecc. Dietro ad alcuni di questi fattori si nasconde la paura di subire una truffa, paura a nostro avviso assolutamente ingiustificata quando si acquista da siti di eCommerce di operatori seri. Peraltro questi elementi non giustificano nemmeno il ritardo che il nostro eCommerce ha accumulato rispetto a mercati occidentali come UK, Francia e Germania dove il commercio elettronico è molto più sviluppato. A nostro avviso la ragione principale di questa situazione è uno sviluppo dell’offerta online più limitato nel nostro paese, con molti operatori tradizionali, soprattutto in alcuni specifici settori (ad esempio grocery, arredamento, fai da te) che hanno ritardato (e in alcuni casi non ancora effettuato) il loro ingresso online. Il 37% degli italiani, stando sempre ai dati del rapporto, dichiara che acquistare on line, rispetto al negozio tradizionale, è più economico. E’ realmente così o occorre prestare la massima attenzione per non cadere nella trappola delle truffe? Da un’analisi che abbiamo condotto all’interno dell’Osservatorio eCommerce B2c per comparare i prezzi tra online e offline, emerge un effettivo vantaggio a favore dell’online in tutti i principali settori merceologici. In particolare abbiamo misurato una convenienza media dell’online del 25% nell’Abbigliamento, del 15% nelle Assicurazioni e nell’Editoria e del 10% nell’Informatica ed elettronica di consumo e nel Turismo. L’unica eccezione è rappresentata dal Grocery (spesa da supermercato), dove i prezzi


DAL MONDO

NI FANNO ACQUISTI ON LINE

ervatorio e-Commerce

sono allineati al canale tradizionale e a incidere negativamente a sfavore dell’online vi sono le spese di spedizione (svantaggio dell’online del 5%). Per quanto riguarda le truffe, il consiglio che mi sento di dare ai consumatori è di acquistare su siti di conosciuti o che riportano sigilli di sicurezza ideati da associazioni di settore (come ad esempio il consorzio Netcomm). Quali sono i beni che vengono maggiormente acquistati on line e chi sono i maggiori fruitori? Il valore del mercato eCommerce italiano raggiunge nel 2015 i 16,5 miliardi di euro grazie a un incremento in valore assoluto pari a 2 miliardi di euro (+14%), in linea con quello rilevato nel 2014. I prodotti, grazie ad una crescita superiore alla media del mercato (+22%), guadagnano quota rispetto al 2014 e pesano oggi il 42% dell’eCommerce italiano. Per contro i servizi fanno registrare una crescita inferiore (+8%), riducendo il loro peso dal 61% nel 2014 al 58% nel 2015. Tra i servizi si distingue il Turismo, che da solo vale oltre 45% del mercato. La gran parte di questo valore è riconducibile alla vendita di biglietti per i trasporti (aerei, ferroviari e navali), poco meno di un quinto alla prenotazione di camere di hotel, e solo una quota marginale alla vendita di pacchetti viaggio. Troviamo poi le Assicurazioni (7% del mercato) ancora oggi in larghissima parte generata dalle polizze RC Auto. Tra i comparti di prodotto spiccano invece l’Informatica e l’elettronica di consumo (14% del mercato), grazie sia alle Dot Com (come ad esempio Amazon, eBay, ePrice) che ai retailer tradizionali (ad esempio Euronics, Media World, Unieuro) e l’Abbigliamento (9% del mercato), soprattutto high fashion, grazie a dot com spcializzate come YOOX Group , case moda, siti delle vendite private (come ad esempio Amazon BuyVip, Privalia, Saldi Privati, vente-privee.com), retailer tradizionali (ad esempio Benetton, Intimissimi, OVS, Zara). Troviamo poi l’Alimentare, sia Food sia Wine, (3% del mercato), l’Editoria (3% del mercato), l’Arredamento e l’Home design (2% del mercato) e il Beauty (1% del mercato). Sebbene sia ancora

lontano, il paniere dell’eCommerce italiano si sta lentamente conformando a quello rilevato nei principali mercati stranieri, dove i comparti di prodotto hanno un peso più elevato rispetto ai servizi: si va dal 65% di UK e USA, al 75% circa di Francia e Germania fino all’80% di Cina e Corea del Sud. Parliamo dei pagamenti on line. Secondo i dati Censis solo il 10.3% si fida pienamente. La restante parte considera il pagamento on line ancora troppo rischioso. Lei che cosa ne pensa? Può dare all’utente qualche consiglio in merito? La scarsa fiducia degli italiani nell’inserire online i dati della propria carta di credito, per paura di possibili frodi, è considerata uno dei i fattori alla base del ritardo dell’eCommerce B2c in Italia rispetto ai principali mercati stranieri. Per prima cosa è utile chiarire che in caso di utilizzo fraudolento di una carta di credito i clienti finali sono tutelati e dunque rimborsati. Le frodi online, intese come il disconoscimento di una transazione da parte del titolare della carta di credito, sono comunque quasi trascurabili: le transazioni eCommerce disconosciute valgono, infatti, poco più dello 0,10% del totale transato eCommerce, pari a circa 15 milioni di euro. Il prezzo da pagare per la sicurezza è il blocco del 2,3% degli ordini complessivamente evasi. Per prevenire le frodi online sono state sviluppate, infatti, diverse misure volte, da un lato, a incrementare il livello di sicurezza percepita dall’utente finale e, dall’altro, a proteggere il merchant dall’utilizzo fraudolento online di numeri di carte di credito tipicamente acquisiti offline in modo indebito. E’ opportuno ricordare, infatti, che le vittime delle frodi non sono i clienti, rimborsati dopo aver disconosciuto la transazione, ma i merchant. Ai consumatori mi sento di dire che acquistare online è sicuro e che i timori di furto del numero di carta di credito durante il pagamento su un sito di eCommerce certificato sono del tutto ingiustificati.

grandangolo

13


DAL MONDO

“FOOD POVERTY FOOD BANK.

AIUTI ALIMENTARI E INCLUSIONE SOCIALE” I dati della ricerca commentati da Michele Altomeni coordinatore del progetto “-scarti+cibo e lavoro”

“G

li ultimi dati diffusi dall’ISTAT stimano che durante il 2013 il 7.9% delle famiglie italiane si sia trovato in condizione di povertà assoluta”. E’ quanto riportato nella ricerca “Food poverty food bank. Aiuti alimentari e inclusione sociale” curata da Giancarlo Rovati e Luca Pesenti. Il volume presenta, infatti, i risultati di un’ampia ricerca condotta sul sistema degli aiuti alimentari erogati agli indigenti da oltre 15.000 organizzazioni caritative accreditate presso l’Agenzia per le erogazioni dell’agricoltura (AGEA) e operanti nei principali comuni del nostro Paese. Scorrendo le pagine dedicate alla povertà alimentare, curate da Gisella Accolla collaboratrice di ricerca presso Èupolis Lombardia, si può notare, come riporta l’autrice del capitolo, che “dal 2005 ad oggi i livelli di diffusione della povertà assoluta sono infatti quasi raddoppiati nel complesso del Paese passando dal coinvolgere il 4% delle famiglie al toccarne quasi l’8%. In totale al 2013 si stimano quindi oltre un milione di famiglie italiane, in condizione di povertà assoluta, in più rispetto al 2005”. Un dato che sicuramente salta all’occhio è la situazione dei minorenni italiani. Oltre 1 milione e 300 mila vivono in famiglie costrette a “comprimere in maniera significativa le spese alimentari”. A questi si aggiungono oltre 500 mila giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni. Per approfondire la questione legata proprio alla povertà alimentare abbiamo intervistato Michele Altomeni coordinatore del

14

grandangolo

progetto “- scarti+cibo e lavoro” che ha l’obiettivo di recuperare prodotti di prima necessità per il sostegno delle persone in difficoltà. Leggo dall’indagine “Food poverty, food bank. Aiuti alimentari e inclusione sociale”: “Dal 2007 al 2013 si è registrata infatti la presenza di circa 1 milione di famiglie in più in condizione di povertà alimentare: secondo gli ultimi dati si trovano in questa condizione il 6,8% delle famiglie residenti nel territorio nazionale, per un ammontare totale di 1 milione e 737 mila famiglie. Come mai si è arrivati fino a questo punto? Colpa solo di governi e istituzioni o c’è dell’altro? Sicuramente governi e istituzioni hanno una grande responsabilità, ma occorre tenere conto che il sistema è più complesso e che spesso ormai le decisioni strategiche non vengono più prese all’interno degli organismi democratici, ma nell’ambito di circoli di potere ristretti che coltivano interessi molto specifici, che nulla hanno a che fare con il “bene comune”. In questi organismi di potere (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca Europea, Organizzazione Mondiale del Commercio, e diverse altre ancora meno note) sono i lobbisti degli interessi economici e finanziari ad imporre il proprio volere, non i rappresentanti dei cittadini. Molto spesso governi nazionali e locali non possono fare altro che accettare regole imposte dall’altro, derivanti da trattati e accordi di cui nessuno sa nulla. La vera responsabilità


DAL MONDO

di chi dovrebbe rappresentare la collettività è quella di accettare questo sistema e di non fare niente per cambiarlo, a causa di una vera e propria sudditanza culturale, oltre che politica. Sono proprio le decisione maturate negli ultimi decenni all’interno di questi circoli di potere ad avere instaurato un sistema economico che anzichè generare ricchezza e benessere produce sempre più emarginazione e povertà. Dal dopoguerra agli anni Settanta del secolo scorso si è diffuso, almeno in occidente, il benessere. A partire dagli anni Ottanta, con l’elezione di Ronald Reagan negli Stati Uniti e di Margaret Tatcher in Gran Bretagna, si è imposto il modello neoliberista che ha visto prima lo smantellamento dello stato sociale, poi la privatizzazione di ogni forma di economia pubblica, fino alla svendita dei beni comuni, quindi l’imposizione dei principi dell’austerità. Parallelamente, la globalizzazione ha causato un crescente sfruttamento de paesi del sud del mondo e la contemporanea delocalizzazione del sistema produttivo occidentale: chiuse le fabbriche nel nord del mondo per aprire in paesi dove il lavoro e il territorio potevano essere meglio sfruttati. Tutto questo ha portato al crollo del sistema economico e all’impoverimento progressivo della società. Era tutto ampiamente prevedibile e previsto, i movimenti sociali già negli anni Settanta denunciavano questo rischio, ed hanno continuato nei decenni successivi. Politici ed economisti hanno finto di non vedere e non capire ciò che era evidente, ed ora paghiamo le conseguenze. Come al soluto le pagano gli ultimi, e gli ultimi sono sempre di più.

appunto su altri principi. Occorre tornare a filiere più corte di produzione e consumo, questo sia per motivi ecologici che sociali, perchè l’economia locale permette di aumentare il benessere di un territorio, mentre le filiere lunghe e la globalizzazione lo fanno sfuggire e concentrare in poche mani. In questo modo si ricomincerà a generare lavoro e quindi benessere. Parlando di alimentazione, occorre rimettere a coltura quei terreni che sono stati abbandonati, destinati a produzioni non alimentari o a produzioni estensive e dannose, creando una nuova economia agricola che generi lavoro e reddito all’interno di circuiti prevalentemente locali. Anche i comuni potrebbero fare molto in questa direzione, a partire dai terreni pubblici, ma non lo fanno

quasi mai. Ognuno può fare molto, a partire dalle proprie scelte di consumo, cercando di spendere i propri soldi in un’economia sana, e non in filiere speculative che non generano benessere comune. E poi, ovviamente, si può fare molto sul piano della solidarietà, ricordandoci che facciamo parte di una unica famiglia umana. Ci sono esperienze interessanti di condivisione rispetto al cibo, oltre che tante organizzazioni di volontariato con cui collaborare.

In Italia vi sono numerose associazioni che si occupano di povertà alimentare, non ultimi la Caritas il Banco Alimentare. Nel nostro territorio è stato avviato il progetto “- scarti + cibo e lavoro”. Ce ne puoi parlare nel dettaglio? Il progetto nasce da una constatazione e un doppio obiettivo. La constatazione è che nella filiera economica del cibo, dal campo alle industrie di trasformazione, dai negozi alle singole case, viene buttata una quantità enorme di alimenti a causa di sprechi che si potrebbero evitare. Parliamo di prodotti adatti al consumo umano, ma scartati per motivi estetici, per prossimità alla scadenza, per piccoli difetti o per danni alle confezioni. Gli obiettivi sono

La povertà alimentare è un fenomeno che investe anche l’Occidente definito sviluppato. In concreto, che cosa si può fare affinchè venga almeno in parte arginato? E che cosa possono fare, anche nel piccolo, i cittadini? Sul piano strutturale occorre una riforma profonda del sistema economico, facendo piazza pulita di quei principi neoliberisti che oggi sono considerati dei dogmi, e che invece sono la causa del male. Ad un livello più basso, occorre ricreare dei circuiti di economia locale e solidale, fondati grandangolo

15


DAL MONDO

uno ambientale, perchè ogni scarto e ogni spreco è uno spreco di risorse naturali e produzione di rifiuti; e uno sociale, perchè con tutto questo cibo sprecato si può dare una prima risposta a chi vive in una situazione di povertà alimentare. Il progetto in sostanza ha visto la creazione di una piattaforma logistica organizzata per recuperare questi alimenti evitando che siano sprecati, e destinarli ad organizzazioni che si occupano di assistenza a famiglie e persone in difficoltà. Come possiamo educare le nuove generazioni a un corretto uso delle risorse alimentari? Il lavoro da fare è molto, perchè negli anni de boom economico le diverse generazioni sono state educate con l’idea che il benessere corrisponde ad avere e consumare molto, fino alla degenerazione che la stessa ostentazione delle spreco era un valore, che buttare era comunque un modo di far girare l’economia a beneficio di tutti. Ora sappiamo che in realtà quel modello crea un’economia malata e un beneficio solo pochi. Le ultime generazioni stanno riscoprendo una serie di valori fondamentali. Hanno la possibilità di capire che “molto” non corrisponde a “meglio” e che avere tanto non produce maggiore felicità, però occorre investire su questi messaggi, come scuole, come istituzioni, come società civile, e infatti la nostra campagna lavora molto anche sull’educazione e la sensibilizzazione. Torniamo all’indagine “Food poverty, food bank”. Un altro dato che salta all’occhio è il rischio di povertà alimentare nei bambini e nei giovani. E’ un rischio reale e concreto anche nel nostro territorio marchigiano o possiamo considerarci ancora “un’isola felice?” Purtroppo, su questi problemi, come su altri, non esistono isole felici. Al massimo esistono contesti in cui il tessuto sociale regge

16

grandangolo

più che altrove, e forse in questo le Marche stanno meglio che altri territori. Ma ciò consente al massimo di mettere delle pezze e di ritardare la resa dei conti. Chi opera con i poveri sul nostro territorio, e che fino a qualche anno fa aveva a che fare prevalentemente con migranti o con persone la cui povertà era conseguenza di altri tipi di disagio (emarginazione, dipendenze, malessere psichico, menomazioni fisiche), ora si trova di fronte cittadini italiani che appartenevano spesso dalle classi medie e che all’improvviso si sono trovare espulse, senza protezioni sociali, dal mercato del lavoro, senza possibilità, data la crisi, di rientrarvi. Parliamo di persone che hanno famiglie, e quindi anche bambini. Quando si cade nella povertà, dapprima si riduce la qualità dell’alimentazione, per ridurre la spesa, e poi si arriva alla riduzione anche delle quantità. In un contesto come il nostro la situazione ancora non è esplosa perchè da un lato si erodono i risparmi accantonati in precedenza, e dall’altro si attinge alle risorse delle generazioni precedenti, soprattutto pensionati. Ma è chiaro che una situazione come questa non può reggere. Vediamo una società civile consapevole del problema e attiva nel mettere in campo risposte come la nostra campagna, ma per contro un mondo delle istituzioni che sembra paralizzato e incapace di reagire e di mettere in gioco, se non risorse economiche ormai scarse, almeno la fantasia e la creatività... una volta la politica era l’arte del possibile, oggi è solo rassegnazione.


DALL’ITALIA

OLTRE TRE MILIONI DI DONNE HANNO SUBITO STALKING NELLA LORO VITA Ne parliamo con l’Associazione Nazionale Volontarie Telefono Rosa

P

aura, ansia, angoscia, senso di impotenza. Questo è quello che provano le donne che, ogni anno, sono vittima di stalking. Una persecuzione che sembra non avere mai fine e che, spesso, sfocia in atti delittuosi. Per capire meglio l’incidenza di questo fenomeno, abbiamo intervistato le operatrici del Telefono Rosa, che ha proprio uno sportello dedicato a come agire di fronte allo stalking. L’Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa si impegna, ogni giorno, a tutelare le donne vittime di violenza. Possiamo fare una stima di quante donne sono state negli ultimi anni vittime di stalking? L’ultima ricerca condotta dall’Istat sulla violenza contro le donne dentro e fuori la famiglia riporta che 3 milioni 466 mila donne hanno subìto stalking nel corso della vita, il 16,1% delle donne. Di queste, 1 milione 524 mila l’ha subìto dall’ex partner, 2 milioni 229 mila da persone diverse dall’ex partner. Spesso le donne non hanno il coraggio di denunciare e, per paura, rimangono ancorate a una “quotidianità di ordinaria violenza”. Come mai? Non sono abbastanza tutelate dopo la denuncia? Le conseguenze di una relazione violenta sono molto gravi, tanto da portare la donna ad avere una bassa autostima, scarsa fiducia in sé e soprattutto un forte isolamento e senso di dipendenza. Molto spesso le donne che si rivolgono al Telefono Rosa non hanno una indipendenza economica e naturalmente questo fa sì che abbiano molte più difficoltà a lasciare il proprio partner, ormai nella maggior parte dei casi unico punto di riferimento. Non sempre le donne conoscono i propri diritti e l’iter della giustizia, associazioni come la nostra servono proprio a informare le donne su quanto sia loro possibile fare per uscire dalla situazione di violenza. La paura delle ritorsioni e di subire altra violenza molto spesso le blocca in una posizione di rassegnazione. Lo stalking è solo la conseguenza di un amore “malato” o c’è dell’altro? Lo stalking è una vera e propria persecuzione che si protrae nel tempo e che si compone di una serie di condotte reiterate indesiderate tali da generare un grave stato di ansia e paura, costringendo la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. La diade autore-vittima non sempre è unita da un legame di natura affettiva, vi sono infatti delle matrici personali e relazionali alla base dei comportamenti violenti e persecutori. Alla luce di questa considerazione, possiamo affermare che lo stalking non è solo la conseguenza di un amore “malato” ma soprattutto il frutto di una serie di caratteristiche personali ed esperienze di vita che

favoriscono uno stile relazionale disfunzionale come quello dello stalker. Veniamo al Telefono Rosa che ormai da tanti anni opera sul territorio nazionale. Quali sono i vostri ambiti di competenza e quale supporto fornite a chi si rivolge al vostro centro? Il telefono rosa opera ormai dal 1988 ampliando sempre di più i servizi che offre alle vittime di violenza ma non solo: l’associazione si occupa di questo fenomeno a 360 gradi. Oltre a fornire un sostegno legale e psicologico alle vittime, il telefono rosa gestisce due case di accoglienza che permettono di ospitare le donne in pericolo, anche con i propri figli minori, consentendo loro anche di seguire un percorso che le porterà alla conquista di una nuova autonomia ed indipendenza. L’associazione persegue anche l’obiettivo di svolgere progetti di prevenzione e sensibilizzazione sul fenomeno, soprattutto coinvolgendo le generazioni più giovani al fine di combattere alla radice questa grave problematica. In particolare, per ogni vittima accolta si valutano i bisogni e le necessità cercando di fornire la migliore risposta concreta che la permetta di uscire dalla situazione che sta vivendo. Lo stalking è un fenomeno solo al femminile o a volte succede che anche gli uomini siano vittime di questo tipo di violenze? Il reato di stalking viene sicuramente messo in atto anche da donne nei confronti di uomini. Il telefono rosa non nega questo dato ma il nostro compito è quello di sottolineare come i fatti di cronaca e i dati emersi da numerose statistiche mostrino che nella grande maggioranza dei casi si verifica che a compiere violenza o stalking sia un uomo. grandangolo

17


DALL’ITALIA

EDUCARE A UN ”BERE

Intervista a Tomaso Zanoletti president

18

grandangolo


DALL’ITALIA

MODERATO”

te dell’Osservatorio Vino e Salute

L’

Osservatorio Nazionale sul Consumo Consapevole del Vino, nato nel 2007, continua ad operare – come si legge sul sito dal Castello di Grinzane Cavour per comunicare e divulgare le proprietà salutistiche del vino, nella consapevolezza che alla qualità debba essere associato un consumatore attento che non solo sa apprezzarne un buon bicchiere, ma è informato e documentato sugli effetti benefici per l’organismo di un consumo moderato. Parte essenziale dell’Osservatorio è il comitato scientifico composto da eminenti studiosi delle Università italiane. Coordinatore ne è il prof. Giocosa (università di Genova) e i componenti sono: Barale prof. Roberto (università di Pisa), Bavaresco prof. Luigi (centro di ricerca per la viticoltura di Conegliano TV), Gerbi prof. Vincenzo (università di Torino), La Vecchia prof. Carlo (università di Milano), Negri dott.ssa Eva (istituto farmacologico Mario Negri, Milano), Pezzetti prof. Mario (università di Verona), Rondanelli prof.ssa Mariangela (università di Pavia). Per conoscere più da vicino le proprietà di una bevanda che spesso non può mancare sulla tavola degli italiani, abbiamo intervistato il presidente Tomaso Zanoletti e gli abbiamo chiesto le motivazioni di questa iniziativa. Anni fa il sacrosanto intento di combattere, specie nei giovani, l’abuso di alcool e le stragi del sabato sera rischiava di confondere l’uso con l’abuso, il vino con i superalcolici e le droghe, con la conseguenza di credere necessario non solo di evitare il consumo esagerato di vino o il consumo prima di mettersi alla guida, ma evitare sempre questa bevanda. Sulla base delle conoscenze dei membri del comitato e dei risultati delle ricerche internazionali, ha operato per far conoscere le proprietà dell’uva e del

vino, per educare al bere appropriato, cioè in modo moderato, ai pasti e sempre con prodotti di qualità, e infine per comunicare che l’uso moderato del vino, essenzialmente vino rosso, ha effetti positivi sulla salute. Quali sono le proprietà benefiche di un buon bicchiere di vino? Sulla base delle conoscenze dei membri del Comitato e dei risultati delle ricerche internazionali, l’Osservatorio Nazionale sul Consumo Consapevole del Vino ha operato per far conoscere le proprietà dell’uva e del vino, per educare al bere appropriato, cioè in modo moderato, ai pasti e sempre con prodotti di qualità, ed infine di comunicare che l’uso moderato del vino, essenzialmente vino rosso, ha effetti positivi sulla salute. Sono state fatte conferenze, è stato scritto dai professori Giocosa e Rondanelli “la Verità sul Vino, come quando perché il vino fa bene”, sono state organizzate tre giornate di studio tra scienziati ed esperti da tutto il mondo. In particolare quello tenutosi nel 2010 ha prodotto un documento importante per l’autorevolezza dei sottoscrittori dove si afferma: 1) Il vino è da sempre parte della vita dell’uomo; 2) Il vino è oggi apprezzato da un numero sempre più ampio di Paesi e ambiti culturali diversi; 3) Il vino è parte della dieta mediterranea; 4) Il vino è un prodotto naturale ottenuto dalla fermentazione di uve pigiate e i suoi componenti includono numerosi composti bio-attivi in particolare polifenoli, quali il rasveratrolo, gli antociani e i tannini; 5) Queste sostanze contribuiscono alle qualità sensoriali e al gusto e rendono ogni vino unico e ideale complemento al cibo; 6) Negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha dimostrato che il consumo moderato del vino si associa a begrandangolo

19


DALL’ITALIA

nefici rilevanti per la salute, promovendo la longevità e riducendo il rischio di molte malattie da invecchiamento. Queste patologie includono le coronaropatie, l’ictus, la demenza senile e il diabete; 7) I meccanismi responsabili di questi effetti benefici sulla salute includono le attività antiossidanti e anti-infiammatori e di un ampio numero di composti bioattivi, così come l’effetto favorevole sull’aggregazione piastrinica e sulla composizione dei lipidi nel sangue; 8) L’alcol derivato dalla fermentazione delle uve, unitamente a questi composti bioattivi, ha effetti favorevoli sulla salute quando il vino viene consumato in quantità moderata, ma presenta effetti dannosi se consumato in quantità eccessiva o in modo inappropriato; 9) Gli enti governativi e le istituzioni private dovrebbero: sostenere la ricerca sugli effetti del consumo moderato di vino sulla salute e promuovere programmi di educazione al consumo moderato del vino; 10) I programmi educazionali saranno volti a prevenire l’abuso di alcolici in particolare fra i giovani, e dovranno includere informazioni su: l’esistenza di una variabilità individuale nella tolleranza alcolica, i rischi di un consumo scorretto di alcolici con inclusione del bere compulsivo, l’aumento del rischio di incidenti stradali quando vengono superati i limiti consentiti dalla legge e gli effetti favorevoli di un consumo moderato e regolare di vino di qualità come parte della dieta quotidiana. Cosa si intende per “bere moderato”? È definita moderata una quantità giornaliera di alcool equivalente a non più di 2-3 Unità Alcoliche (36 grammi) per l’uomo, non più di 1-2 Unità Alcoliche (24 grammi) per la donna e non più di 1 Unità Alcolica (12 grammi) per l’anziano. Una Unità Alcolica (U.A.), corrispondente a circa 12 grammi di etanolo, è contenuta in un bicchiere piccolo (125 ml) di vino di

20

grandangolo

media gradazione. Si parla di educare a un bere moderato, responsabile cioè ad un consumo consapevole, del tutto compatibile con la vita personale e sociale della persona. Bere senza avere il controllo, bere nel momento, nel luogo e per motivazioni sbagliate significa invece bere in maniera non responsabile. Osservando i dati del 2014 sul consumo mondiale di vino, emerge che Stati Uniti, Francia e Italia sono tra i maggior consumatori di questa bevanda. (dati OIV “Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino”).

Per combattere ad un uso irresponsabile di questa bevanda , in Italia è stato istituito nel 2007 l’Osservatorio Nazionale Vino e Salute che, come si legge nel sito, continua ad operare dal Castello di Grinzane Cavour per comunicare e divulgare le proprietà salutistiche del vino, nella consapevolezza che alla qualità debba essere associato un consumatore attento che non solo sa apprezzarne un buon bicchiere, ma è informato e documentato sugli effetti benefici per l’organismo di un consumo moderato.


DALL’ITALIA

Lei ha fatto cenno alla necessaria qualità del vino, ma si può essere certi di questo? Negli ultimi anni il vino italiano ha fatto enormi progressi sulla qualità e tipicità dei suoi prodotti tanto d’aver conquistato i mercati mondiali. Determinante è stata la legge delle denominazioni di origine che impone regole severe. Se il consumatore sta un po’ attento e si rivolge ai vini, ormai tantissimi, che hanno la denominazione di origine controllata, può bere con tranquillità.

Ci sono state recentemente altre iniziative dell’Osservatorio? Si. Di recente è stata allestita nel Castello di Grinzane una sala, con pannelli, oggetti tradizionali e strumenti multimediali che spiega le proprietà del vino, i danni dell’abuso, la necessità del bere moderato e gli effetti positivi che questa abitudine ha sulla salute. Si tratta di un vero percorso pedagogico, molto apprezzato dai tanti visitatori italiani e stranieri, che fornisce utili indicazioni e rappresenta anche una difesa di una cultura e di un’economia importanti per il Nostro Paese.

FOCUS

COME SARÀ LA VENDEMMIA 2015? Parlando di vino, non possiamo non riservare uno spazio alla vendemmia in particolare alle prime previsioni dell’Associazione Enologi Enotecnici Italiani - organizzazione nazionale di categoria dei tecnici del settore vitivinicolo Assoenologi. Secondo la fonte Assoenologi, quest’anno si produrranno tra i 46 e i 47 milioni di ettolitri di vino e mosto, a fronte della media quinquennale (2010/2014) di 44,1 milioni di ettolitri e di quella decennale (2005/2014) di 45,5 milioni di ettolitri. Per quanto riguarda il mercato è in crescita per i vini richiesti dal mercato in particolar modo per quelli a denominazione di origine. Stabile per gli altri. In aumento anche l’esportazione con previsione di un ulteriore aumento in particolar modo per i valori che, secondo Assoenologi, dovrebbero essere incrementati di almeno 3 punti al traguardo dei primi 9 mesi dell’anno. grandangolo

21


DALLA DIOCESI

IL RUOLO DELLE RELAZIONI NELL’EVANGELIZZAZIONE Le indicazioni pastorali del Vescovo Armando all’Assemblea Diocesana

“N

on è possibile annunciare il Vangelo senza creare affetti e legami, senza il rischio di passioni e sentimenti, privi dei quali il Vangelo stesso sarebbe incomunicabile”. Inizia così l’intervento del Vescovo Armando all’assemblea pastorale diocesana che si è tenuta sabato 19 settembre al Centro Pastorale Diocesano. Il Vescovo ha offerto ai presenti gli orientamenti pastorali per l’anno 2015-2016 focalizzando, in particolare, l’attenzione sul ruolo delle relazioni nell’evangelizzazione. “Non bastano i discorsi, occorre far incontrare la gente, i giovani, i ragazzi, con la vita di una comunità dove c’è amore e passione per Dio e per l’uomo, dove c’è la capacità di non rinchiudersi fra le mura solide del tempio, ma di uscire e andare per le strade, raggiungere i cortili, incontrare l’uomo dove vive, ama, soffre. Il vangelo vissuto provoca gioia nel cuore e nella vita. Non c’è niente di peggio di un cristianesimo triste, pessimista, stizzoso e ‘criticone’: allontana la gente dall’incontro con Gesù e provoca tanti danni relazionali anche all’interno delle nostre comunità. Quali sono gli ingredienti del profumo della gioia cristiana? Sono soprattutto la gratuità evangelica e la gratitudine pastorale”. Il Vescovo ha, poi, messo in evidenza l’importanza della cura delle relazioni. “Oggi, senza uno stile di fraternità, di vicinanza, di cura delle relazioni, la comunità cristiana non attrae. Se non cura le relazioni, la comunità assomiglia tutt’al più ad un’azienda, dove contano i risultati, l’efficienza e i bilanci. Nella famiglia, invece, sono al primo posto le persone e vengono messi in primo piano gli affetti e le relazioni. Occorre mettere al centro della pastorale la contemplazione dell’amore di Dio e la necessaria conversione della vita, invece della pianificazione delle attività; la risorsa umana, invece di sole strutture; il guardarsi negli occhi, invece che guardare alle bacheche degli avvisi; il progettare insieme dopo essersi confrontati, invece delle risposte privatistiche di sopravvivenza; la stima reciproca tra diversi carismi e ministeri, invece dell’antagonismo pastorale; la comunione come dono di Dio, invece di tavoli di concertazione”. Il Vescovo ha poi sottolineato le relazioni all’interno del

22

grandangolo


DALLA DIOCESI

Vangelo. “Leggendo i Vangeli ci si rende conto che le relazioni di Gesù hanno tre forme principali, nel senso che egli incontra le persone sostanzialmente in tre modi o circostanze: 1) anzitutto incontra tante persone insieme; è il caso delle folle; 2) in secondo luogo, incontra un gruppo di persone in modo continuativo; è il caso dei discepoli; 3) in terzo luogo, incontra alcune persone una volta sola in occasioni per lo più impreviste; è il caso degli incontri saltuari. La condizione essenziale per vivere con verità ogni forma di relazione è “avere lo sguardo di Cristo”. E poiché lo sguardo viene dal cuore, ogni relazione dipende dalla purificazione del cuore. La prima preoccupazione di chi vuole vivere le relazioni alla maniera di Cristo, il primo compito cui dedicarsi sarà dunque quello di custodire il cuore, consentendo alla grazia di rigenerarlo. Le condizioni - ha concluso il Vescovo - che determinano la nostra esperienza relazionale vanno dunque cercate primariamente nella dimensione interiore di noi stessi, cioè nel cuore che crea lo sguardo e nello Spirito che rigenera il cuore nell’amore dell’Agnello di Dio”.

grandangolo

23


DALLA DIOCESI

LA PASTORALE DEL LAVORO

Due giornate per riflettere su temi attu

“I MIGRANTI, LE NUOVE MINORANZE” Una pubblicazione che affronta un tema attuale e delicato

“C

’è un altro tema attuale, attualissimo, in cui non possiamo non misurare il nostro senso di responsabilità: il nostro atteggiamento nei confronti dei migranti”. Inizia così l’intervento del Vescovo Armando contenuto nelle prime pagine della pubblicazione “I migranti, le nuove minoranze” realizzato dall’Ufficio diocesano per i Problemi Sociali e il Lavoro, la Commissione Migrantes, la Caritas diocesana – Sala della Pace e l’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali. Quarantacinque pagine, corredate da foto, che hanno l’obiettivo di informare ma anche di far riflettere, con uno sguardo sempre attento al territorio diocesano ed evitando la misitificazione delle parole. Il Vescovo pone l’accento, nel suo intervento, su due parole chiave: l’ospitalità riscoprendo l’etimologia greca del termine e l’empatia ossia facendo lo sforzo di metterci nei panni dell’altro. La pubblicazione, ricca di testimonianza, vuole sfatare anche alcuni luoghi comuni che il tema dell’immigrazione purtroppo si trascina costantemente dietro. “Tra le cose errate che dobbiamo affrontare in questa vicenda – scrive Gabriele Darpetti direttore dell’Ufficio pastorale per i Problemi Sociali e il Lavoro – c’è anche la “percezione” sbagliata sui numeri effettivi, a volte arbitrariamente camuffati, dalle persone presenti sui nostri territori. In Italia i rifugiati, o i richiedenti asilo, o comunque coloro che sono fuggiti dalle loro terre e sono arrivati da noi in maniera fortunosa (sbarcati nelle nostre coste o entrati come clandestini in varie altre forme) sono 78.000 e l’Italia è al 5° posto in Europa. Ma ciò che veramente importa – prosegue Darpetti – è ricordarci che le tragedie di questi popoli e le povertà non possono essere ridotti a statistiche e numeri: sono storie umane uniche ed irripetibili e dare loro accoglienza non deve diventare mai un “compito” o un “adempimento burocratico”.

24

grandangolo


DALLA DIOCESI

O SUI MIGRANTI E IL CREATO

uali e delicati

LA CURA DELLA CASA COMUNE A Cagli la presentazione dell’enciclica “Laudato si’”

“L

audato si’, mi’ Signore”, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre nella che ci accoglie tra le sue braccia: “Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra madre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba”. Con questo passo del Cantico delle Creature inizia l’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco sulla cura della casa comune. Un’enciclica che, ponendo subito in evidenza la parola “casa” coinvolge e interroga tutta l’umanità. Proprio partendo da questo documento, venerdì 25 settembre nella Sala del Ridotto del Teatro di Cagli, in tanti si sono dati appuntamento per approfondire le tematiche toccate dall’enciclica grazie alla presenza di tre relatori d’eccezione in un incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro, la Consulta delle Associazioni Laicali, l’Ufficio diocesano Comunicazioni Sociali, la Caritas diocesana – Sala della Pace e il Centro Missionario diocesano. Tre voci autorevoli del panorama locale e nazionale a cominciare da dom Gianni Giacomelli, monaco camaldolese e priore del monastero di Fonte Avellana. Come sappiamo, i monaci camaldolesi hanno un rapporto particolare, per così dire sacro, con la natura. Non a caso nella loro regola più volte ricorrono i verbi “custodire” e “coltivare”. Inoltre, il codice forestale camaldolese, risalente al 1520, ha gettato le basi di quella che oggi definiamo sostenibilità ambientale. Daniele Garota, biblista e fondatore della cooperativa Girolomoni che del legame con la terra ne ha fatto uno dei suoi più grandi valori contribuendo in modo sostanziale allo sviluppo del biologico in Italia. Durante la serata, riprendendo le parole del Papa contenute nell’enciclica “un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare a esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, econo-

mico e sociale, è intervenuto anche padre Adriano Sella, coordinatore della Rete Interdiocesana Nuovi Stili di Vita che ha, fra gli obiettivi, quelli di stimolare nuovi stili di vita, ricercando insieme percorsi e piste pastorali, favorire capacità critiche verso gli attuali sistemi di sviluppo e di consumo con una visione profonda dell’umano. All’incontro hanno preso parte anche il Vescovo Armando, da sempre attento a queste tematiche, il Sindaco di Cagli Alberto Alessandri e l’assessore regionale Loretta Bravi a dimostrazione di come tutti sono chiamati a contribuire alla salvaguardia della casa comune.

grandangolo

25


DALLA DIOCESI

GENERAZIONI IN ECSTASY.

LA COMUNICAZIONE DISTORTA DEL PERICOLO Una serata per parlare dei giovani e le nuove droghe

D

opo il tragico fatto avvenuto al Cocoricò, nota discoteca di Riccione, dove un ragazzo di 16 anni ha perso la vita dopo aver assunto una pasticca di ecstasy, i social network si sono scatenati in una diatriba tra chi riteneva giusto far chiudere questi “divertimentifici” e chi sosteneva che con la chiusura del Cocoricò i ragazzi avrebbero cercato ugualmente lo sballo altrove. Per conoscere più da vicino il popolo della notte le sue dinamiche, l’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali ha organizzato, venerdì 18 settembre allo Chalet del Mar, noto locale della movida notturna fanese, un incontro dal titolo “Generazioni in ecstasy. La comunicazione distorta del pericolo” con il patrocinio dell’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Fano e con la collaborazione di Daniele e Filippo Carboni della Nautilus. Una serata per parlare degli adolescenti e le nuove droghe e in che modo questo problema viene percepito dalla società. Un folto pubblico ha preso parte all’appuntamento che ha visto la partecipazione di ben sette relatori: Marco Battini, coordinatore del coordinamento Unità di Strada regione Emilia Romagna, il dj e produttore musicale Frankie P, Alfonso Falcucci comandante della Compagnia dei Carabinieri di Fano, il dottor Cesare Grianti direttore del laboratorio di Tossicologia Area Vasta 1 Pesaro, la dottoressa Alessia Guidi psicologa della comunità nuove dipendenze di Fenile di Fano – coop IRS Aurora, il dj Luca Valentini e Francesco Loiacono addetto alla sicurezza. Ad aprire la serata l’intervento del Vescovo Armando, sempre at-

26

grandangolo

tento e sensibile alle problematiche che riguardano il territorio. “Quando ci si trova di fronte a un problema, cerchiamo i rimedi che tamponino le falle, ma ci guardiamo bene dall’operare sull’uomo – cioè su noi stessi, per rendere più matura la nostra libertà, più viva la responsabilità. Esempio. C’è una diffusione abnorme di sostanze stupefacenti, in particolare di cocaina. Come rispondiamo? Cercando antidoti e rimedi chimici che permettano di controllare gli effetti delle droghe e garantiscano un’esistenza sociale non troppo distruttiva. In realtà il consumo di droga è il segno di una malattia interiore, di una malattia del cuore, dei sentimenti, della libertà. Se non lavoreremo su queste cause per superarle, ogni rimedio sarà illusorio. Cancelleremo per un po’ gli effetti più negativi della droga, ma non faremo che nascondere il problema; come chi intonaca la crepa perchè non si veda ma non ripara il muro. Il cuore malato cercherà, inventerà altri modi per esprimere il suo disagio e dovremmo correre affannosamente per tamponare altri comportamenti devianti senza arrivare mai a una vera guarigione. La società funziona – ha concluso il Vescovo solo se coloro che la costituiscono sono umani nei loro sentimenti, nelle loro scelte e comportamenti”. Tanti i temi su cui si è discusso: l’importanza di buone relazione parentali e amicali, la necessità di essere informati su questi temi, i test per verificare se un ragazzo ha assunto sostanze, i tipi di droghe sintetiche in circolazione, come è cambiato, nel corso del tempo, il modo di fare musica in discoteca e il popolo della notte.


OBBIETTIVO CULTURA

LE “NUOVE PAROLE”

Intervista a Giovanni Adamo coord. Osservatorio Neologico della Lingua Italiana

S

e ci fermassimo ad ascoltare, oggi, le conversazioni fra nonni e nipoti, capiremmo subito come sono cambiati i tempi e come i tempi hanno cambiato non solo le mode, ma anche il linguaggio. Questo perché sono entrate a far parte del nostro lessico comune parole nuove, neologismi, che si sono radicati ormai nella nostra cultura. A che cosa si deve tutto questo? Innanzitutto non possiamo non prendere in considerazione la velocità dello sviluppo scientifico e tecnologico e, come ci ricorda l’Osservatorio Neologico della Lingua Italiana, il progressivo superamento degli ostacoli delle diverse forme di comunicazione mondiale. Per comprendere meglio come l’introduzione di queste nuove parole nella lingua italiana influisce nella lingua stessa e nella cultura della penisola abbiamo intervistato Giovanni Adamo coordinatore dell’Osservatorio Neologico della Lingua Italiana. Il rapido sviluppo dei mezzi di comunicazione ha portato con sé il proliferare di neologismi cari alle nuove generazioni. E mi riferisco, ad esempio, a termini come chattare, twittare, taggare, whatsappare, selfie. Occorrerà riscrivere i nostri vocabolari, o questi termini sono “mode passeggere”? Le “mode passeggere”, se così vogliamo definirle, esercitano anche un’influenza nel cambiamento dei costumi, del modo di pensare e della società. Accade, quindi, ed è già accaduto molte altre volte, che queste tendenze si riflettano nella lingua e nel lessico, che sono gli strumenti con i quali si esprime una cultura. Tuttavia, credo che ci troviamo a vivere un fenomeno più complesso, del quale si possono considerare alcuni principali tratti costitutivi: le conoscenze, le nuove tecnologie e la globalizzazione, con i cambiamenti epocali che esse comportano. Dalla metà del secolo scorso a oggi, infatti, l’umanità ha conseguito un progresso nelle conoscenze che – per intensità e concentrazione – non ha riscontri con il passato. Nello stesso periodo si sono sviluppate una serie di tecnologie che hanno amplificato la possibilità di entrare in contatto con persone, popoli e culture prima molto lontani. Tutto ciò si è ben inserito nel processo della globalizzazione – in origine connotato soprattutto come fenomeno economico e politico –, che ha raggiunto una dimensione sociale imprevedibile. Possiamo constatare, infatti, che si va affermando sempre di più la tendenza a un uso sociale dell’informatica, delle telecomunicazioni e, più in generale, delle nuove tecnologie. È evidente come queste nuove possibilità risultino più attraenti per le nuove generazioni, che riescono a impadronirsene con grande facilità. Proprio per questo è sorta nell’inglese d’America l’espressione digital native, che abbiamo fatto nostra ricalcandola, come avviene anche in molti altri casi, con la locuzione nativo digitale, che designa chi è nato nell’era digitale, con la predisposizione “innata” a grandangolo

27


OBBIETTIVO CULTURA

usare le tecnologie digitali (forse sarebbe più proprio dire: con la predisposizione a imitare, superandolo, chi si è dovuto cimentare a usare le nuove tecnologie con non poche esitazioni, impacci e imperizie). I vari tipi di vocabolari, dizionari e lessici – che si distinguono tra loro, oltre che per le dimensioni, anche per gli utenti ai quali principalmente si rivolgono – devono tener conto dell’innovazione lessicale che si va producendo, seguendo due criteri fondamentali: rappresentare l’evoluzione del patrimonio storico del lessico della nostra lingua e registrare un uso effettivo e stabile delle parole e delle espressioni che entrano a farne parte. Quanto influiscono internet, carta stampata, telegiornali sul linguaggio delle vecchie e nuove generazioni? C’è il rischio che, a volte, si faccia “un’indigestione” di vocaboli di cui nemmeno si conosce il significato? L’aspetto più interessante è rappresentato dalla continua evoluzione degli elementi referenziali. Lo sviluppo delle nuove conoscenze, delle quali parlavamo, e l’affermarsi incontrollabile di contesti tecnologici e sociali mutevoli – non solo l’informatica e le telecomunicazioni, ma anche l’economia, la politica e i grandi cambiamenti mondiali in atto – determinano necessariamente un’elevata mobilità lessicale che si manifesta in una continua oscillazione delle nuove forme denominative, sia sul piano interno alla lingua sia su quello che la mette in relazione con le altre lingue. Non sempre, però, tutto questo favorisce lo sforzo di comprensione richiesto ai lettori e agli ascoltatori, almeno a quelli che fanno parte di una platea più ampia. E, se spesso si è lamentata la perdita di ricchezza espressiva dovuta a un uso troppo semplificato, se non addirittura sciatto, delle articolate risorse grammaticali dell’italiano, con un progressivo restringimento dell’ampio ventaglio dei registri linguistici, non si valorizza mai quanto si dovrebbe l’importanza di un testo scritto o di un discorso chiaro e di facile lettura e comprensione. Occorre essere capaci di dare conto di quanto realmente avviene, cercando di illustrarne le cause e gli scenari che ne costituiscono la cornice, e anche evidenziando le prospettive future. Nella maggior parte dei casi, i mezzi d’informazione assolvono il loro compito con grande cura, assicurando ai cittadini la possibilità di formarsi un’idea corretta e articolata. Anzi, si può affermare che gli articoli dei giornali costituiscono un buon esempio di prosa scritta contemporanea. Occorre, però, ricordare sempre che il ricorso ai termini specialistici, soprattutto se presi in prestito da altre lingue, esige un costante intervento da parte del giornalista o dell’opinionista, per mettere in condizione il lettore di comprenderne il significato e il contesto d’uso. Il predominio di neologismi per lo più derivanti dal mondo anglosassone può, con il tempo, imbarbarire la lingua italiana, o al contrario, rappresentare un arricchimento? Sono convinto del fatto che una lingua non possa essere progettata da qualcuno: è un sistema troppo radicato, ampio e articolato per poter subìre condizionamenti determinanti. I buoni modelli riescono a imporsi, a mio parere, in modo spontaneo. Ma occorre aggiungere che lo stesso può accadere anche per quelle formule stereotipate ripetute in modo quasi ossessivo, che riescono a contagiare larghi strati di coloro che parlano la stessa lingua. Anche la circolazione di forestierismi costituisce un fenomeno universalmente diffuso, ma è difficile rilevarne in modo adeguato la consistenza numerica: la loro presenza varia da lingua a lingua, anche per influsso di interventi di tipo protezionistico, generalmente conseguenti a organiche strategie di politica linguistica, come accade, per esempio, per il francese e lo spagnolo. Occorre, però, segnalare che, nel lungo periodo, anche queste strategie non riescono a ottenere pienamente i risultati che si erano prefisse. È

28

grandangolo

opportuno, tuttavia, sottolineare come – accanto a un’accettazione che alcuni considerano perfino spregiudicata di elementi lessicali stranieri – l’italiano mostri una reattività assimilatrice capace di integrare nel proprio sistema linguistico forestierismi di struttura totalmente diversa, sia attraverso processi di derivazione ibrida dai prestiti integrali, sia attraverso il meccanismo del calco lessicale. E va evidenziato che è proprio questa capacità reattiva quella che maggiormente garantisce la tenuta strutturale di un sistema linguistico.

Parliamo ora dell’Osservatorio Neologico della Lingua Italiana. Come nasce e quali sono le attività principali di cui si occupa? L’idea di istituire un Osservatorio neologico della lingua italiana risale al dibattito che ebbe luogo a Roma, sotto l’egida dell’Unione latina, nell’Aula dei Gruppi parlamentari di Montecitorio il 24 giugno 1991, in occasione dell’«Incontro per la creazione di un’associazione di informazione sulla terminologia in Italia». A quell’incontro parteciparono, con altri studiosi e professionisti interessati, Aldo Duro, autore e direttore del Vocabolario Treccani, e Giovanni Nencioni, allora presidente dell’Accademia della Crusca, che ha sempre caldeggiato l’iniziativa. Dal 2001, per iniziativa di Tullio Gregory, l’Osservatorio, che coordino con Valeria Della Valle, è diventato un progetto dell’Istituto per il Lessico intellettuale europeo e storia delle idee del CNR. Il suo obiettivo principale consiste nell’individuare e nel documentare le linee di tendenza nella formazione di neologismi e nel verificare la vitalità dell’italiano contemporaneo nell’uso dei meccanismi di produzione e di formazione di parole o espressioni nuove. La banca dati dell’Osservatorio neologico della lingua italiana è costituita sulla base dello spoglio dei principali quotidiani nazionali, e anche di molti a diffusione locale, che permettono di verificare il continuo arricchimento, e quindi di ricostruire la costante evoluzione, del lessico italiano dagli anni Novanta del XX secolo a oggi. Vi sono comprese formazioni di nuovo conio o derivate, internazionalismi, forestierismi, tecnicismi e alcuni neologismi d’autore, in considerazione dell’opera di diffusione e di influenza esercitata dai quotidiani nella lingua d’uso, soprattutto nella loro veste di fonte scritta. I materiali raccolti nella banca dati dell’Osservatorio sono diffusi attraverso un duplice canale: da un lato attraverso una serie di dizionari di neologismi a stampa, dall’altro attraverso un sito web progressivamente aggiornato (http://www.iliesi.cnr. it/ONLI/).


OBBIETTIVO CULTURA

GLI ITALIANI E LA LINGUA MADRE: QUALE RAPPORTO? Intervista al professor Riccardi presidente della Società Dante Alighieri

Q

uante volte, fin dalla scuola elementare le maestre ci hanno ripetuto di continuo “Are, ere ier l’acca va a dormi

re, ato, ito, uto l’acca hano voluto” eppure c’è ancora chi, nonostante la maggiore età e gli anni di studio alle spalle, sembra aver bisogno ancora di un bel ripasso di grammatica. Ma non è tutto fra gli errori più frequenti che gli italiani commettono proprio in merito alla loro lingua madre possiamo annoverare l’uso spesso improprio del congiuntivo, l’abuso di apostrofi e di accenti, “gli” usato in sostituzione di “a loro” e chi più ne ha più ne metta. Detto ciò, ci chiediamo: che rapporto hanno gli italiani con la loro lingua madre? Lo abbiamo chiesto al professor Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri fondata nel 1889 da un gruppo di intellettuali guidati da Giosue Carducci, con lo scopo di «tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiane nel mondo, ravvivando i legami spirituali dei connazionali all’estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l’amore e il culto per la civiltà italiana». Professor Riccardi, nell’intervento al suo primo Consiglio Centrale della Società Dante Alighieri lei ha sottolineato che “sono l’italofonia e l’italsimpatia gli obiettivi su cui puntare per

stimolare meglio l’estroversione italiana nel mondo globale”. Può spiegarci questa affermazione? C’è un grande domanda di Italia nel mondo che si fonda su una simpatia per il nostro Paese, per la sua cultura, la lingua, la musica, il design, lo stile e il modo di vivere. Avvertiamo come sempre più urgente la necessità di diffondere un diverso livello di interesse e di attrazione per favorire l’inserimento del nostro Paese sugli scenari del mondo. Promuovere la lingua italiana significa offrire un’importante occasione di rilancio al Paese, dal punto di vista culturale, ma anche economico. La nostra lingua e la nostra cultura costituiscono in tal senso una risorsa fondamentale per tutte le nostre attività produttive. Per far amare l’Italia, i suoi prodotti e la conoscenza della sua terra, occorre investire nel creare l’Italsimpatia. Alcuni dicono che la nostra sia la quarta lingua più studiata tra gli stranieri nel mondo; è certo comunque che la domanda di italiano è in forte crescita. Il nostro è idioma di cultura e la sua richiesta nel mondo procede di pari passo con l’attrazione per lo stile di vita del Bel Paese (basti pensare, poi, alla diffusione della cucina italiana e alla crescita di esportazione del made in Italy). Cogliere questa occasione rappresenterebbe una grande opportunità per l’Italia – e dobbiamo coglierla con urgenza! Tuttavia se non si interviene con un rafforzamento delle grandangolo

29


OBBIETTIVO CULTURA

politiche di promozione, si rischia il deperimento di una simile domanda e l’italiano potrebbe essere presto messo in crisi dalla concorrenza di lingue emergenti nello scacchiere economico internazionale. La nostra lingua ha bisogno di nuovi ponti per la sua diffusione e il suo approfondimento nel mondo e l’attività della Società Dante Alighieri si colloca proprio nella prospettiva dell’estroversione italiana. Per questo abbiamo scelto di dedicare alla “italsimpatia” e all’individuazione di strategie per incrementare la presenza dell’Italia nel mondo il nostro appuntamento biennale, l’82°Congresso Internazionale della Dante, che quest’anno si svolge a Milano dal 25 al 27 settembre.   La vostra società porta il nome di colui che è considerato il padre della lingua italiana ovvero Dante Alighieri. Che cosa può ancora insegnare il poeta fiorentino alle nuove generazioni? Dopo sette secoli Dante continua ad avere un’attualità sorprendente. La sua opera rivela sempre una straordinaria valenza poetica, filosofica, teologica o semplicemente umana. Credo che nell’attuale stagione culturale e politica l’insegnamento e la presenza di Dante siano fondamentali. La corrispondenza straordinaria delle letture dantesche con fatti ed eventi del nostro momento testimonia il bisogno che la nostra società ha di aggrapparsi a qualcosa, e non c’è una scialuppa migliore della Divina Commedia per comprendere anche il nostro di tempo. Dante va oltre il suo tempo e l’errore che spesso si compie nelle scuole è leggerlo “medievalizzandolo”, privando perciò i ragazzi non solo della possibilità di capirlo, ma soprattutto di trovare in lui una chiave di lettura per comprendere il nostro tempo. Si sente spesso dire che gli studenti italiani arrivano all’università portandosi dietro grosse lacune per quanto riguarda la conoscenza della propria lingua. È un luogo comune o esiste davvero una percezione reale di questo “fenomeno”? C’è il reale pericolo di un “analfabetismo di ritorno”? Il livello linguistico degli italiani, particolarmente in alcuni conte-

30

grandangolo

sti, evidenzia alcune preoccupanti flessioni: non dobbiamo generalizzare il fenomeno, tuttavia dobbiamo lucidamente analizzare talune evidenti debolezze. Alcuni linguisti e docenti si crucciano sull’impoverimento del linguaggio delle nuove generazioni, perfino tra quelli che, per aver scelto facoltà umanistiche, dovrebbero avere, rispetto ad altri, maggiori disponibilità a un buon uso dell’italiano. È un impoverimento (non solo giovanile) che tocca in modo particolare il lessico, con la diffusa ignoranza di tanti termini “colti”, anche abbastanza diffusi e banali, e che non esclude nemmeno la sintassi, con la perdita dell’articolazione logica e

dell’ordine nell’argomentazione. Il sessanta per cento degli italiani non ha dedicato tempo alla lettura nell’ultimo anno e una famiglia su dieci non possiede nemmeno un libro in casa (italiani popolo di scrittori, ma non di lettori, pare!). È alla disabitudine con la pratica della lettura che dobbiamo ricondurre le tante incertezze ortografiche e lessicali degli italiani. Come si possono educare le nuove generazioni a un uso corretto della lingua italiana? Per una educazione alla buona lingua credo sia determinante la pratica della lettura. L’esercizio della lettura – capace di mettere in gioco le emozioni dei ragazzi - dovrebbe essere alla base della loro formazione linguistica. Tuttavia nella nostra società esiste quel limite storico costituito dalla scarsa dimestichezza con le pagine dei libri, ora acuito dall’uso dei social media, per cui la connessione sostituisce la lettura. Se è vero che questi strumenti rappresentano una ricchezza, la lettura resta un fatto insostituibile e questo dovrebbe essere il messaggio da trasmettere ai più giovani. Avvicinarsi alla lettura permette di acquisire quella padronanza della lingua che costituisce naturalmente la base di ogni sviluppo civile, e di conservare, attraverso la letteratura, le fonti della propria identità e della propria storia. Per questo la Società Dante Alighieri già da diversi anni promuove e sostiene campagne per incentivare la lettura tra i giovani.


OBBIETTIVO SPORT

LE BOCCE NON SONO UN SPORT PER “VECCHI” Il giovane campione Davide Bregamotti si racconta

U

na passione nata da un infortunio e un mito da sfatare: le bocce non sono un gioco per “vecchi”. Anzi sono sempre più i giovani che si avvicinano a questo sport ottenendo ottimi risultati. Ce lo dimostra Davide Bragamotti, classe 1986, che nonostante la sua giovane età ha avuto modo di farsi conoscere nell’ambiente per la sua bravura. Noi lo abbiamo intervistato e gli abbiamo chiesto di ripercorrere la sua carriera dagli esordi fino ai suoi primi successi. A volte quando si parla del gioco delle bocce si pensa, spesso, a uno sport per adulti anche un po’ attempati. Tu, invece, sei molto giovane e già hai ottenuto importanti risultati. Sei, in questo settore, un’eccezione o ci sono altri giovani che praticano, come te, questo sport? In realtà è così. Le bocce son fin da sempre considerate un gioco per adulti ma, devo essere sincero, sono 3/4 anni che gioco a livello agonistico e di giovani e ragazzi ce ne sono veramente tanti, soprattutto nelle società che “puntano” al settore giovanile e quindi investono tanto nei giovani. Come e quando è nata la tua passione per le bocce? La mia passione è nata nel momento in cui alcuni problemi al ginocchio mi hanno costretto a lasciare il calcio. Così un mio collega, anche lui giocatore di bocce ed ex calciatore, mi ha convinto a buttarmi in questo mondo; tra l’altro ho dei bravi giocatori e buon esempi in famiglia che mi hanno subito coinvolto. Infatti già due dei miei zii giocavano e poi anche mio padre e mio fratello hanno iniziato insieme a me.

Come ci si prepara, fisicamente e psicologicamente, ad una gara di bocce? Ci sono allenamenti particolari da effettuare? Naturalmente come in ogni sport senza allenamento non si può pretendere nessun risultato, ma le bocce sono anche una questione psicologica e di concentrazione. Spesso, infatti, è più importante riuscire a mantenere la calma durante una partita in quanto basta effettuare la giusta scelta di gioco per poterne cambiare l’andamento e addirittura il risultato.

l’anno.

Leggo sul sito della Federazione Italiana Bocce che esistono diverse specialità di questo sport. Tu quale pratichi? La specialità da me praticata è la raffa (la più comune), che è suddivisa in varie categorie AB-C-D e ogni giocatore sale e scende di categoria in base ai punteggi effettuati durante

Nonostante la tua giovane età hai già ottenuto, in questo settore, importanti risultati. Quali sono i tuoi prossimi impegni sportivi? Ho avuto la soddisfazione di essere stato il primo giocatore ad aver vinto la gara organizzata dalla mia società, ed è per questo che i dirigenti hanno deciso di pubblicare un articolo nel giornale “Il Metauro”. I miei prossimi impegni sportivi saranno decisi in base al calendario ufficiale F.I.B. in cui ogni giocatore può, al momento della pubblicazione di una gara, decidere se partecipare o meno in base ai suoi impegni e scelte di gioco; infatti le gare sono suddivise tra individuale, coppia oppure terna e sta nella capacità del giocatore e del suo compagno, che per comodità spesso è lo stesso, a scegliere a quale gara partecipare. grandangolo

31


OBBIETTIVO SPORT

TAEKWONDO: RESISTENZA Ne parliamo con il maestro Giacomo Giovanelli

È

diventato uno sport olimpico ufficiale dal 2000 ed è la disciplina sportiva di combattimento più diffusa al mondo. Stiamo parlando del taekwondo praticato da grandi e piccoli. Uno sport che fa bene al corpo ma anche e soprattutto alla mente. Per conoscere più da vicino questa disciplina e i suoi benefici abbiamo intervistato il maestro Giacomo Giovanelli della ASD Taekwondo Dragon Fighters. A che età si può iniziare questo sport? Occorre avere requisiti fisici particolari? Il Taekwondo è una disciplina marziale Coreana e sport da combattimento olimpico che si può iniziare a praticare già dai 5-6 anni di età, il bambino inizia la pratica attraverso al gioco, quindi abbinando arte marziale a circuiti di allenamento e gioco utili ai fine di insegnare più facilmente la disciplina al bambino e farli apprendere e consolidare i concetti base dell’arte marziale e gli schemi motori di base. Non occorrono requisiti fisici particolari per iniziare a praticare Taekwondo: sia un bambino che un adulto possono iniziare questo cammino partendo da zero.

Il Taekwondo viene praticato anche da tante ragazze. Cosa spinge una ragazza a praticare questo tipo di disciplina? Si, ci sono molte ragazze che iniziano a praticare questa disciplina, devo dire che sono davvero tante quelle affascinate e che iniziano la pratica. Il motivo principale è il fatto che sia una forma di difesa personale che ai giorni d’oggi è essenziale, iniziando la pratica ci si sente sempre più forti e sicuri di se e porta ad innalzare molto i propri livelli di autostima, un altro motivo è che a differenza di molte altre discipline marziali il Taekwondo è uno sport da combattimento e quindi porta a migliorare tutte le capacità fisiche di una persona, resistenza, forza ed elasticità acquisendo con il tempo un ottimo tono muscolare. Detto in poche parole: ci prepara alla prova costume!

32

grandangolo


OBBIETTIVO SPORT

A, FORZA ED ELASTICITÀ Durante le gare gli atleti indossano delle protezioni. Ci puoi spiegare nel dettaglio “l’abbigliamento” tipo di una competizione? La pratica del Taekwondo avviene prima di tutto indossando il Dobok, quello che in molti erroneamente chiamano “kimono”, che è la divisa ufficiale e tradizionale del Taekwondo. Il combattimento a livello agonistico si svolge su un tatami di 8 metri quadri con un arbitro centrale e altri arbitri ai lati; per combattere si indossa un kit di protezioni personali che sono: para-stinchi, para-avambracci, guanti, conchiglia, para-denti e corazza, caschetto e para-piedi elettronici che, come nella scherma, servono a segnare i punti all’impatto così che ogni punto sia chiaro grazie ad un sistema elettronico che gli assegna. Gli arbitri si accertano che il combattimento avvenga in modo pulito e seguendo le regole. Ora parliamo, per un attimo, di te. Perché ti sei appassionato a questo sport tanto da farne anche un tuo lavoro? Io pratico Taekwondo da circa 12 anni, e mi ha dato sempre tanto a livello personale aiutandomi ad affrontare la vita perché ti insegna un’etica di vita, etica che voglio trasmettere ai mie allievi. Penso che attraverso lo sport e le arti marziali si possa dare tanto alle persone, e il fatto di poter dare e aiutare qualcuno attraverso questa disciplina mi gratifica davvero tantissimo. Che cosa può offrire il Taekwondo ad un giovane? Il Taekwondo può dare tantissimo ad un giovane: aumenta i livelli di autostima, aiuta a sfogare le tensioni in modo controllato attraverso la pratica, insegna rispetto e disciplina e si vive in un ambiente, “la palestra”, dove tutti aiutano tutti e questo è un grande bagaglio di valori per un giovane che si accinge ad affrontare la vita. Ai tuoi livelli come ci si prepara, fisicamente e psicologicamente, a una gara? In una stagione sportiva in genere partecipo a un buon numero di gare e non c’è gara facile o difficile, sono tutte difficili perché affronto cinture nere del mio stesso peso e gli avversari sono tutti preparati. A gare di questo tipo mi preparo allenandomi tutti i giorni e riposando solamente la domenica, seguo un’alimentazione sana e bilanciata evitando ogni tipo di eccesso. Si è sempre a dieta, è uno stile di vita e non un periodo, tutti gli anni ci si prepara così ed è essenziale prefiggersi degli obiettivi e cercare di dare il massimo. Per me personalmente, a livello psicologico, ha un ruolo fondamentale il mio Coach che mi sa consigliare sempre in modo corretto prima, durante e dopo l’incontro e la mia fidanzata, che mi è sempre accanto e mi segue spesso alle gare, per me è una sicurezza. grandangolo

33




UNO SGUARDO SULL’UOMO DI OGGI

grandangolo

ARRIVEDERCI A OTTOBRE se vuoi ricevere una copia digitale scrivi a

ucsfano@gmail.com


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.