AL 9, 2002

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AL Mensile di informazione degli Architetti Lombardi numero 9 Settembre 2002

Direttore: Maurizio Carones Comitato editoriale: Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti Redazione: Igor Maglica (caporedattore) Roberta Castiglioni Segreteria: Augusta Campo Direzione e Redazione: via Solferino, 19 - 20121 Milano tel. 0229002165 - Fax 0263618903 e-mail Redazione: redazione.al@flashnet.it Progetto grafico: Gregorietti Associati Servizio Editoriale e Stampa: Alberto Greco Editore srl viale Carlo Espinasse 141, 20156 Milano tel. 02 300391 r.a. - fax 02 30039300 e-mail: age@gruppodg.com Impaginazione Chiara Giuliani Fotolito Marf-Progetto Fotolito, Milano Stampa Diffusioni Grafiche, Villanova Monf.to (AL) Rivista mensile: Spedizione in a.p.- 45% art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - Filiale di Milano. Autorizzazione Tribunale Civile n° 27 del 20.1.71 Distribuzione a livello nazionale La rivista viene spedita gratuitamente a tutti gli architetti iscritti agli Albi della Lombardia che aderiscono alla Consulta Tiratura: 22.000 copie In copertina: Meeting Internazionale Aquilonisti, Bresso, 2002 (foto: Lorenzo Mussi). Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti né la redazione di AL

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Forum Piano dei Servizi interventi di Maurizio Carones, Giulia Rota e Mario Covelli, Silvia Viviani, Mauro Anzini e Cecila Merlo, Marco Engel Bergamo Brescia Como Lodi Milano Varese

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Argomenti

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Concorsi

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Professione e aggiornamento Legislazione Normative e Tecniche

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Informazione Dagli Ordini Lettere Stampa Libri, riviste e media Mostre e Seminari

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Itinerari

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Indici e tassi

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Sommario

Direttore Responsabile: Stefano Castiglioni

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Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti, tel. 02 29002174 consulta.al@flashnet.it Presidente: Stefano Castiglioni; Vice Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Giuseppe Rossi; Segretario: Carlo Varoli; Tesoriere: Umberto Baratto; Consiglieri: Achille Bonardi, Marco Bosi, Franco Butti, Sergio Cavalieri, Simone Cola, Ferruccio Favaron Ordine di Bergamo, tel. 035 219705 http://www.bg.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibergamo@archiworld.it Informazioni utenti: infobergamo@archiworld.it Presidente: Achille Bonardi; Vice Presidente: Paola Frigeni; Segretario: Italo Scaravaggi; Tesoriere: Fernando De Francesco; Consiglieri: Barbara Asperti, Giovanni N. Cividini, Antonio Cortinovis, Silvano Martinelli, Roberto Sacchi (Termine del mandato: 18.3.03) Ordine di Brescia, tel. 030 3751883 http://www.bs.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettibrescia@archiworld.it Informazioni utenti: infobrescia@archiworld.it Presidente: Paolo Ventura; Vice Presidente: Roberto Nalli; Segretario: Gianfranco Camadini; Tesoriere: Luigi Scanzi; Consiglieri: Umberto Baratto, Gaetano Bertolazzi, Laura Dalé, Guido Dallamano, Paola E. Faroni, Franco Maffeis, Daniela Marini, Mario Mento, Aurelio Micheli, Claudio Nodari, Patrizia Scamoni (Termine del mandato: 2.10.02) Ordine di Como, tel. 031 269800 http://www.co.archiworld.it Presidenza e segreteria: architetticomo@archiworld.it Informazioni utenti: infocomo@archiworld.it Presidente: Franco Butti; Vice Presidente: Gianfranco Bellesini; Segretario: Franco Andreu; Tesoriere: Gianfranco Bellesini; Consiglieri: Marco Brambilla, Giovanni Cavalleri, Gianfredo Mazzotta, Marco Ortalli, Michele Pierpaoli, Corrado Tagliabue (Termine del mandato: 13.6.03) Ordine di Cremona, tel. 0372 535411 http://www.architetticr.it Presidenza e segreteria: segreteria@architetticr.it Presidente: Emiliano Campari; Vice Presidente: Carlo Varoli; Segretario: Massimo Masotti; Tesoriere: Federico Pesadori; Consiglieri: Edoardo Casadei, Luigi Fabbri, Federica Fappani (Termine del mandato: 1.8.03) Ordine di Lecco, tel. 0341 287130 http://www.lc.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilecco@archiworld.it Informazioni utenti: infolecco@archiworld. Presidente: Ferruccio Favaron; Vice Presidente: Elio Mauri; Segretario: Arnaldo Rosini; Tesoriere: Alfredo Combi; Consiglieri: Davide Bergna, Carmen Carabus, Massimo Dell’Oro, Gerolamo Ferrario, Massimo Mazzoleni (Termine del mandato: 15.2.03) Ordine di Lodi, tel. 0371 430643 http://www.lo.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettilodi@archiworld.it Informazioni utenti: infolodi@archiworld.it Presidente: Vincenzo Puglielli; Segretario: Paolo Camera; Tesoriere: Cesare Senzalari; Consiglieri: Samuele Arrighi, Patrizia A. Legnani, Erminio A. Muzzi, Giuseppe Rossi (Termine del mandato: 10.7.03) Ordine di Mantova, tel. 0376 328087 http://www.mn.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettimantova@archiworld.it Informazioni utenti: infomantova@archiworld.it Presidente: Sergio Cavalieri; Segretario: Manuela Novellini; Tesoriere: Michele Annaloro; Consiglieri: Francesco Cappa, Cristiano Guarnieri, Paolo Tacci, Manolo Terranova (Termine del mandato: 25.5.03) Ordine di Milano, tel. 02 625341 http://www.ordinearchitetti.mi.it Presidenza: consiglio@ordinearchitetti.mi.it Informazioni utenti: segreteria@ordinearchitetti.mi.it Presidente: Daniela Volpi; Vice Presidente: Ugo Rivolta; Segretario: Valeria Bottelli; Tesoriere: Annalisa Scandroglio; Consiglieri: Giulio Barazzetta, Maurizio Carones, Arturo Cecchini, Valeria Cosmelli, Adalberto Del Bo, Marco Engel, Marco Ferreri, Jacopo Gardella, Emilio Pizzi, Franco Raggi, Luca Ranza (Termine del mandato: 15.10.01) Ordine di Pavia, tel 0382 27287 http://www.pv.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettipavia@archiworld.it Informazioni utenti: infopavia@archiworld.it Presidente: Marco Bosi; Vice Presidente: Lorenzo Agnes; Segretario: Quintino G. Cerutti; Tesoriere: Aldo Lorini; Consiglieri: Anna Brizzi, Gianni M. Colosetti, Maura Lenti, Paolo Marchesi, Giorgio Tognon (Termine del mandato: 2.10.03) Ordine di Sondrio, tel. 0342 514864 http://www.so.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettisondrio@archiworld.it Informazioni utenti: infosondrio@archiworld.it Presidente: Simone Cola; Segretario: Fabio Della Torre; Tesoriere: Giuseppe Sgrò; Consiglieri: Giampiero Fascendini, Giuseppe Galimberti, Francesco Lazzari, Giovanni Vanoi (Termine del mandato: 19.2.03) Ordine di Varese, tel. 0332 812601 http://www.va.archiworld.it Presidenza e segreteria: architettivarese@archiworld.it Informazioni utenti: infovarese@archiworld.it Presidente: Riccardo Papa; Segretario: Emanuele Brazzelli; Tesoriere: Gabriele Filippini; Vice Presidente: Enrico Bertè, Antonio Bistoletti, Minoli Pietro; Consiglieri: Claudio Baracca, Maria Chiara Bianchi, Claudio Castiglioni, Stefano Castiglioni, Orazio Cavallo, Giovanni B. Gallazzi, Laura Gianetti, Matteo Sacchetti, Giuseppe Speroni (Termine del mandato: 3.7.03)


Stefano Castiglioni Presidente Consulta Regionale Lombarda degli Ordini degli Architetti

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Editoriale

Alla Legge Regionale 51 del 15.4.1975, che poi si poneva quale traduzione fedele (ed estensiva insieme del D.M. 2/04/08 n. 1444), va indubbiamente riconosciuto il merito, nel corso del periodo di validità della stessa, che ha investito l’ultimo quarto di secolo appena trascorso, di aver garantito una agevole applicabilità e permesso la realizzazione di una cospicua dotazione di aree per le municipalità, contenendo in limiti fisiologici la dinamica edificatoria. A fronte dei limiti della concezione propria dello standard quantitativo omogeneo e rigido innanzi alle complesse realtà comunali (inevitabilmente connessa all’applicazione di detta normativa), da parte della Regione era stato attuato un primo intervento sul problema dei servizi pubblici con gli artt. 6 - 7 della Legge 15/01/2000 n. 1, sostitutivi degli articoli 19 - 22 della Legge Regionale n. 51/75: per la verità si deve osservare che il provvedimento in questione al suo apparire sollevò consensi, ma anche alcune perplessità, anche perché inserito in un contesto, che si riferiva ad una problematica nettamente distinta (disciplina dei mutamenti delle destinazioni d’uso di immobili). I critici tendevano ad intravedere nell’impianto di detto sintetico testo più che altro accorgimenti idonei ad avviare uno sbrigativo quanto drastico ridimensionamento quantitativo degli standard, e consentire una riconsegna all’edificazione privata di consistenti parti del demanio pubblico tramite il “recupero” di servizi privati riconducibili, non senza alchimia urbanistica, a standard comunque considerati di uso pubblico o di interesse generale. Il successivo documento regionale “Linee guida per la riforma urbanistica regionale” pubblicato sul B.U.R.L. del 21.9.2000, se da un lato ha rappresentato un impegno di ampia valenza culturale e una generale necessaria riflessione sui nodi da sciogliere dell’attuale normativa urbanistica, in vista di avviare il superamento di una legislazione ormai datata, dall’altro poteva comportare il rischio di un dilatato spazio di dibattito procrastinando quindi la necessaria fase applicativa, stante il non semplice passaggio da enunciazioni di principio ad un “articolato normativo”. La Delibera di Giunta del 21.12.2001 n. 7/7586, pubblicata sul B.U.R.L. n. 3 del 14.1.2002, “Criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi”, ha pertanto rappresentato un esito innovativo e di ampia portata, per l’accento sul carattere attuativo e gestionale del pubblico servizio, nettamente contrapposto alla concezione parametrica di cui alla comune accezione di standard urbanistico, senza ignorare l’esigenza di compensazione, di diversificazione qualitativa e di differenziazione locale. Da una sommatoria di entità numeriche (superfici distinte per tipologie di destinazioni pubbliche) si è giunti a delineare (seppur molto resti ancora da puntualizzare) uno strumento unitario mirato a caratteristiche propriamente prestazionali, chiarendo il distinguo tra la nozione di servizio e quella specifica di standard urbanistico: è dunque da considerare definitivamente superata la definizione quale elaborato a corredo del P.R.G. per il Piano dei Servizi che ora si ripropone quale vero e proprio strumento di programmazione, tale da non poter prescindere sia da approcci progettuali urbanistici più complessi, articolati ed interdisciplinari, sia dall’istituzione di uffici permanenti di Piano presso le Amministrazioni Comunali (in grado di aggiornare in tempo reale gli obbiettivi, le strategie, i programmi), sia da un parallelo coerente quadro economico finanziario, correlato al bilancio comunale, sia infine da un ripensamento e una riconfigurazione dello stesso P.R.G. Se infatti la pianificazione comunale resterà destinata a ricoprire un ruolo determinante e centrale dell’assetto urbanistico territoriale, pur in relazione ai necessari livelli regionale e provinciale, questa non potrà certo più porsi in termini di “scenario” o prefigurazione ideale ma piuttosto quale strumento strategico, di programmazione, di perseguimento di obbiettivi di interesse generale, di ridefinizione dell’uso dell’habitat e in ultima analisi di effettiva gestione e governo del territorio. Il Piano dei Servizi, come ora riproposto, necessariamente non potrà non risultare attuabile ed efficace se non all’interno di un più vasto processo di complessiva riformulazione dell’attuale legislazione urbanistica regionale (tale ad esempio da comprendere o meglio fondere i contenuti delle L.R. 23/97, 9/99, 1/2001) dando finalmente esito all’auspicato sistematico/organico Testo Unico Regionale del Territorio Lombardo.


Piano dei Servizi

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Il Forum di questo numero è dedicato al Piano dei Servizi, nuovo strumento urbanistico introdotto dalla legge regionale 1/2001 prescritto come “elaborato obbligatorio” del P.R.G. Maurizio Carones e Marco Engel coordinano la trattazione e introducono il tema, individuando cinque prioritarie questioni: gli architetti Giulia Rota e Mario Covelli, dirigenti dell’Unità Organizzativa Piani e Programmi Urbanistici della Regione Lombardia, e l’architetto Silvia Viviani, membro dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, sono stati invitati a rispondere agli interrogativi posti. La trattazione prosegue con il testo dei sociologi Mauro Anzini e Cecilia Merlo sugli aspetti sociologici connessi alla redazione del Piano dei Servizi; si conclude infine con una riflessione di Marco Engel sul ruolo specifico dell’architetto. Viene inoltre data comunicazione del servizio di consulenza attivato dalla Regione Lombardia a supporto dei Comuni per i quali la redazione del Piano dei Servizi sia in via di sperimentazione. Ringraziamo chi è intervenuto, permettendoci di riflettere su un tema tanto attuale quanto poco conosciuto.

Il Piano dei Servizi. Appunti per una discussione di Maurizio Carones e Marco Engel La L.R. 1/2001 ha introdotto nella legislazione regionale lombarda il nuovo strumento del Piano dei Servizi; i criteri orientativi emanati dalla Regione alla fine del 2001 hanno dato indicazioni sul ruolo del Piano dei Servizi nell’ambito della pianificazione comunale e sui temi che esso deve affrontare. Parte ora la fase operativa in cui le amministrazioni si confronteranno con questo nuovo elemento della pianificazione comunale. Fase di sperimentazione in cui la Regione Lombardia si offrirà ad una interlocuzione con le amministrazioni e nella quale emergeranno questioni che saranno utili per chiarire il ruolo e la potenzialità del Piano dei Servizi. Le linee generali a cui si riferisce lo strumento del Piano dei Servizi, linee che hanno rapporto con alcuni orientamenti della legislazione urbanistica sia nazionale che regionale, sono già state affrontate in diverse sedi ed anche nel Convegno della Consulta del dicembre 2001, nella cui terza sezione in particolare si era discusso del Piano dei Servizi. È allora possibile proporre alcuni temi al fine di avviare una discussione indirizzata soprattutto al campo della esemplificazione. Esemplificazione che, considerato come l’applicazione della norma sia oggi solamente alla fase di avvio, può essere espressa attraverso interrogativi puntuali, stati di avanzamento dei lavori, posizioni

delle diverse amministrazioni sulla questione, confronti con analoghe strumentazioni legislative di altre regioni. Per quanto riguarda gli interrogativi iniziamo qui ad indicarne alcuni, in modo schematico e al solo scopo di avviare il dibattito. 1. Il ruolo programmatico del Piano dei Servizi rispetto al P.R.G. La L.R. 1/2001 prevede il Piano dei Servizi come strumento complementare al P.R.G. nel quale vengono stabiliti i criteri attraverso i quali l’amministrazione risponde alle esigenze di servizi emerse da ricognizioni ed interpretazioni. In questo senso il Piano di Servizi diventa importante elemento programmatico per la redazione del P.R.G.: quali sono dunque i suoi gradi di autonomia rispetto alla pianificazione comunale, potendosi costituire esso anche come autonomo strumento di programmazione delle varianti e dei piani attuativi particolari che le recenti normative regionali individuano come strumenti di progressiva modificazione e che alcune amministrazioni preferiscono adottare in alternativa alle revisioni generali di piano? 2. I rapporti tra Comuni confinanti I criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi indicano la possibilità di stabilire rapporti con le amministrazioni confinanti per la progettazione dei servizi. Possibilità che considera praticabile un rapporto tra amministrazioni confinanti su un tema come quello dei servizi che forse è stato sino ad oggi quello nel quale si è più riuscito a stabilire un rapporto fra differenti amministrazioni. Ciò pone però anche problemi di rapporti fra amministrazioni, ad esempio, nei confronti di servizi considerati sgraditi. I P.T.C. dovranno prevedere tali possibilità di interazione fra singole amministrazioni particolarmente gestibili dai Piani dei Servizi? 3. Il concetto di qualità Il Piano dei Servizi introduce il concetto di qualità per la definizione degli standard. La concezione parametrica viene cioè integrata con un giudizio di valore e da una interpretazione della qualità dei servizi esistente e di quella programmata. Come è possibile valutare la qualità e chi, a sua volta, verifica tali interpretazioni? La qualità architettonica e, più in generale, del progetto rientra in questo ragionamento ed eventualmente in che modo è possibile una sua valutazione? 4. La qualità dei dati e i modi per interpretarli Il Piano dei Servizi comporta una fase di reperimento di dati che coinvolge discipline di tipo socio-economico che a loro volta lavorano con strumenti selettivi ed interpretativi che spesso danno risultati differenti, così come dimostrato anche dai dati statistici ufficiali che spesso dimostrano una certa labilità di fronte ad una sempre maggiore difficoltà di reperimento.


Si fa presente che gli originali delle fotografie pubblicate in questa rubrica sono a colori. Corsico, 2000 (foto: Lorenzo Mussi).

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Sono previsti protocolli per tali indagini con parametri a cui attenersi oppure tali ricognizioni sono garantite da una qualità dei dati diversamente garantita e in che modo questi dati sono da interpretare, al di là delle valutazioni politiche? 5. La rappresentazione del “servizio” Il concetto di servizio introdotto dalla L.R. 1/2001 se da un lato sposta il servizio su un piano qualitativo, pone anche, in un certo senso, una contraddizione rispetto al problema della pianificazione territoriale che ancora lega i fenomeni ai luoghi, ubicandoli con precisione. Il servizio, diventando anche “immateriale”, sembra infatti confliggere con una sua precisa collocazione spaziale. Ciò ha evidenti rapporti, almeno in prospettiva, con la possibilità di rappresentare il dato del servizio cartograficamente e quindi con i sistemi informativi territoriali che diventeranno sempre più un indispensabile supporto per la pianificazione territoriale. Esiste la possibilità di affrontare in modo convenzionale dal punto di vista cartografico la rappresentazione di questi dati?

Cinque risposte dalla Regione Lombardia di Giulia Rota e Mario Covelli 1. La L.R. 1/2001, ha delineato, all’articolo 7, il “Piano dei Servizi” come elaborato obbligatorio del Piano Regolatore, per l’attuazione di una concreta politica dei servizi di interesse pubblico. Prevede, per l’approvazione e l’aggiornamento, il ricorso alla procedura semplifi-

cata di cui all’art. 3 della L.R. 23/97, che è da intendersi circoscritto ai profili procedurali. Sulla scorta delle indicazioni date dalla legge regionale, coordina ed orienta plurimi centri di spesa in funzione di finalità ed obiettivi di sviluppo predeterminati. Non può considerarsi semplicemente uno strumento autonomo di pianificazione, poiché si configura tecnicamente come disegno urbanistico nel quale si compongono e si organizzano i rapporti reciproci fra i diversi spazi destinati a servizi e fra questi spazi e le aree urbane consolidate o da urbanizzare. Conseguentemente si configura come lo schema strategico di riferimento sulla cui base giustificare le scelte azzonative del piano. Trattandosi di uno strumento programmatico, richiede un’analisi dei bisogni, che può essere riferita, a seconda dei casi, ad ambiti territoriali, a segmenti di popolazione od a settori funzionali; in funzione di tali bisogni sarà possibile attuare il sistema delle attrezzature non più come un complesso di vincoli, ma come un programma coordinato di opere. L’azione pianificatoria deve quindi puntare non tanto alla individuazione generica di aree, quanto alla progettazione e all’attuazione di opere e di servizi. 2. L’innovazione introdotta dal Piano dei Servizi, da dotazione minima di superficie per abitante a servizio effettivamente reso al cittadino, dà la possibilità di riconoscere a livello del piano la fervida attività di regolamentazione/programmazione nel campo dell’erogazione dei servizi che, ormai sempre più spesso, considera la dimensione territoriale come una fondamentale condizione di operatività. Le amministrazioni locali devono necessariamente lavorare insieme per progettare e gestire l’offerta di servizi, sia alla scala comunale che a quel-


la sovracomunale, anche attraverso il coinvolgimento dei privati, in un quadro complessivo di gestione delle politiche di sviluppo locale. Nel Programma Regionale di Sviluppo la Regione, con l’obiettivo specifico di costituire e sviluppare un sistema informativo territoriale coordinato, necessario alle scelte di programmazione generale e settoriale e di pianificazione del territorio, vuole istituire un tavolo di collaborazione permanente con le Province e gli Enti Locali. L’accesso a tali informazioni potrebbe permettere di valutare al meglio l’offerta dei servizi nei territori delle amministrazioni confinanti, evitando duplicazioni e sovrapposizioni, e potrebbe contribuire al concreto sviluppo a livello locale del partnerariato

istituzionale e sociale. Per quanto attiene, poi, alla tipologia di quei servizi che vengono considerati sgraditi, il livello di programmazione sovracomunale è quello che consente di individuare le localizzazioni più idonee e di costruire un sistema di compensazioni a favore dei comuni penalizzati.

Piazza Gramsci, Cinisello Balsamo, 2002 (foto: Lorenzo Mussi).

ministrazioni comunali, e che tale valutazione può riferirsi, in prima istanza, a parametri di facile lettura, quali lo stato di conservazione e il livello di accessibilità. Esiste, inoltre, un consistente patrimonio di circolari statali che, seppur datate e conseguentemente superate nelle relative parametrazioni, contengono ancora valide modalità di approccio alle tematiche di dimensionamento delle strutture e ai raggi di utenza. Occorre, peraltro, rilevare che il porsi obiettivi che vanno al di là di requisiti minimi, come nella tradizionale impostazione dello stan-

3. In alcuni settori, ad esempio quello dei servizi sociali, esistono già parametri consolidati per la valutazione dell’efficienza e della qualità del servizio offerto; in altri settori è ancora tutto da inventare. Occorre, peraltro, tener presente che la valutazione della qualità dei servizi offerti è un’opzione possibile, non un obbligo per le am-

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dard, pone il problema che l’individuazione dei bisogni e delle domande alle quali si intende rispondere costituisce, implicitamente, una scelta valoriale e non oggettiva ed univoca. Tale scelta può variare, infatti, sia all’interno delle diverse categorie economiche e politiche dei cittadini della stessa comunità locale, che all’interno delle diverse comunità locali ubicate in territori diversi. Come espressione di scelte valoriali i nuovi standard devono: • essere determinati mediante processi non più esclusivamente tecnici, ma anche politici (l’apporto tecnico diventa meramente strumentale alla formazione delle decisioni);

Italia-Messico. Piazza Duomo, Milano, 2002 (foto: Lorenzo Mussi).

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• essere validi per la comunità che li esprime. Se i nuovi standard devono realmente esprimere gli obiettivi della collettività locale ed essere riferiti al suo specifico contesto, si pone il problema di come garantire la necessaria sensibilità dei piani alla domanda sociale. Per fare ciò è necessario creare nuovi strumenti (cfr. comunity planning) e/o riformare quelli esistenti perché siano in grado di dare centralità al punto di vista dei cittadini. Ne consegue anche una ridefinizione del ruolo del tecnico. Il piano come sede di esplicitazione degli obiettivi, vede aumentare, infatti, al di là della dimensione tecnica, la sua natura di patto o contratto, attraverso il quale gli obiettivi stessi vengono sanciti quali traguardi che la comunità locale, per tramite della sua amministrazione pubblica, vuole raggiungere. Una simile modalità di approccio comporta per il piano la capacità di: • indicare la direzione strategica da perseguire; • individuare gli specifici livelli prestazionali da raggiungere;

• contenere una chiara rappresentazione delle analisi e dello schema interpretativo sul quale è stata basata l’individuazione degli obiettivi. Questo approccio evolutivo al Piano determina la necessità che la sua valutazione da parte della collettività locale si snodi a partire dalla fase iniziale della sua formazione (cfr. fase di scoping prevista dalla L.R. 1/2000), che definisce il primo schema interpretativo della realtà locale e le analisi necessarie a metterlo a fuoco (validazione del modello interpretativo), nonché il modello di assetto proposto (validazione del modello programmatico) nei suoi caratteri essenziali, dimensionali, funzionali, localizzativi e gestionali. Un’ulteriore conseguenza che la nuova accezione di standard dovrebbe avere sulla struttura del piano riguarda la necessità di una suddivisione inequivocabile tra la dimensione programmatica e quella regolamentare. Il piano, infatti, sviluppando la propria funzione di contratto tra la collettività locale e la sua amministrazione, deve indicare chiaramente quali sono gli impegni vinco-


Cinisello Balsamo, 2000 (foto: Lorenzo Mussi).

locale si snodi a partire dalla fase iniziale della sua formazione (cfr. fase di scoping prevista dalla L.R. 1/2000), che definisce il primo schema interpretativo della realtà locale e le analisi necessarie a metterlo a fuoco (validazione del modello interpretativo), nonché il modello di assetto proposto (validazione del modello programmatico) nei suoi caratteri essenziali, dimensionali, funzionali, localizzativi e gestionali. 5. Al di là del fatto che esisteranno sempre servizi non erogabili, se non in strutture specializzate e, in quanto tali, rappresentabili con le tradizionali modalità, per quanto concerne i servizi “immateriali” sarà sempre possibi-

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lanti che le parti si sono assunte di rispettare e che, come tali, devono essere individuate come cogenti e quali, invece, rappresentano obiettivi comuni verso i quali tendere. 4. Il piano, come sede di esplicitazione degli obiettivi, vede aumentare, al di là della dimensione tecnica, la sua natura di patto o contratto, attraverso il quale gli obiettivi stessi vengono sanciti quali traguardi che la comunità locale, per tramite della sua amministrazione pubblica, vuole raggiungere. Una simile modalità di approccio comporta per il piano la capacità di: • indicare la direzione strategica da perseguire; • individuare gli specifici livelli prestazionali da raggiungere; • contenere una chiara rappresentazione delle analisi e dello schema interpretativo sul quale è stata basata l’individuazione degli obiettivi. Proprio in relazione al mutamento della modalità di approccio, non ha tanto senso stabilire modalità univoche di raccolta e di rappresentazione dei dati, quanto selezionare, nel tempo, le esperienze “eccellenti” da indicare quali possibili metodologie di approccio. Interessante sarebbe, ad esempio, la costruzione da parte degli strumenti di pianificazione di una carta delle criticità urbane, così come sono lette nella percezione sociale, che interpreti i temi della sicurezza, della salubrità e della fruibilità del territorio come vissuti, anziché come interpretati sulla base di approcci specialistici settoriali. Questo approccio evolutivo al Piano determina la necessità che la sua valutazione da parte della collettività

le una rappresentazione sintetica della frequenza di erogazione sul territorio. Si tratterà quindi di sperimentare modalità rappresentative analoghe a quelle già in uso per restituire una visione sintetica di fenomeni di tipo sociale ed economico. Interessante sarebbe, in proposito, la costruzione da parte degli strumenti di pianificazione di una carta delle criticità urbane, così come sono lette nella percezione sociale, che interpreti i temi della sicurezza, della salubrità e della fruibilità del territorio come vissuti, anziché come interpretati sulla base di approcci specialistici settoriali.

Le recenti novità nella gestione urbanistica di Silvia Viviani L’urbanistica tradizionale si è basata sul metodo della previsione e sul principio della ammissibilità. La gestione urbanistica più recente cerca di stabilire opportunità e condizioni, nel rispetto di sollecitazioni diverse: dalla libertà di scelta alla difesa comune di valori - il benessere, il monumento, il paesaggio, i servizi, (sostenibilità del piano come capacità di esercitare tutti i rispetti). Si hanno: • il ruolo fondamentale della conoscenza, per la verifica degli obiettivi politici; • il carattere sperimentale di ogni piano che interpreta la conoscenza disponibile, rappresenta la strategia di governo, sceglie delle leggi quali significati attribuire ai termini e a quali dare prevalenza.


1. La riforma (non solo urbanistica) offre ai Comuni l’opportunità di regolamentare e decidere, come la possibilità di formare velocemente varianti e piani attuativi (sempre sostanziali per il Comune quando “risponde”). I nuovi fini, strumenti e metodi, devono tuttavia far seguito allo strumento urbanistico generale? Tali piani di fatto non sono riferimento per il P.R.G.: sono atti dei quali l’amministrazione si dota costruendo nel tempo un quadro (obiettivi, conoscenze) di coerenza per l’operatività pubblica e privata. Il P.R.G. - se arriverà e quando - li recepirà nella forma opportuna. Il fatto che si chiamino piani non determina che siano afferenti all’urbanistica. Certo necessita coordinamento nella macchina comunale. 2. È tema centrale la perequazione territoriale e pubblica. I Comuni stanno gestendo in forma consortile i servizi, avendo capito che “l’unione fa la forza”; ma quando si tratta di fare un bilancio fra un parco in un Comune e un centro commerciale in un altro, la situazione cambia. Le Province, nella parte programmatica dei loro atti, potrebbero tracciare la direzione, ma non “prevedere”; assumere il ruolo di coordinamento che è loro proprio. È necessario agganciare politica urbanistica e programmazione di spesa. Il tema delle risorse finanziarie è purtroppo assente dal dibattito e dalle leggi.

3. La qualità come obiettivo/parametro di giudizio/dato di riferimento può mettere in relazione le culture, assicurare la libera scelta individuale del luogo di consumo, dell’incontro e dello scambio, dell’istruzione, della cultura, dello svago, della cura del corpo, del culto. Si riduce il rapporto tra insediamento e attrezzatura che è alla base del decreto ministeriale del 1968. Sta nella libertà di scelta della scuola per i propri figli, indipendentemente dalla presenza della “scuola di quartiere”, o nel capire richieste di gruppi diversi per culture e costumi. Si può definire la qualità, compresa quella progettuale. Ciò dipende da un lato dalla corretta e non ambigua individuazione degli obiettivi, e dall’altro da un buon apparato regolamentare, che non è del piano. Si pensi per esempio alla crescente importanza del regolamento edilizio. Occorre lavorare sulle caratteristiche prestazionali. 4. Abbandonando la pretesa di una conoscenza completa ed esauriente, occorre portare a sintesi (sul territorio) i dati a disposizione, spesso non confrontabili, sempre lacunosi. Il piano dichiara (contiene la valutazione come metodo) tempi e metodi di raccolta dati, e loro caratteristiche, si assoggetta all’aggiornamento, fino a doversi rifondare quando dati nuovi cambiassero quadro per la strategia. La difficoltà di reperimento aumenta anche perché accresciamo la richiesta di dati, in quantità e qualità. L’antologia dei dati non sfugge al carattere politico del piano. Il tecnico fornisce quanto disponibile, costruisce relazioni, ma non può prescindere dagli obiettivi che l’amministrazione deve dare per “quel” piano in “quel” momento. 5. Il piano deve esplicitare princìpi e contenuti. Si dovrà dire che cosa si intende per servizio e per qualità. Ciò dipende da scelte concettuali e disciplinari,

Meeting Internazionale Aquilonisti, Bresso, 2002 (foto: Lorenzo Mussi).

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• l’articolazione della pianificazione in conoscenza e programmazione da un lato, sostanzialmente pubblici, e operatività dall’altro; • la fine del piano previsionale, con conseguenze anche nella sua rappresentazione grafica; • il passaggio dalle prescrizioni ai requisiti di qualità, con conseguenze procedurali, e sulle figure professionali; • un forte investimento nella costruzione di strumenti conoscitivi (SIT) e una conseguente riorganizzazione tecnica; • la moltiplicazione dei piani (le funzioni, gli inquinamenti, gli orari e la mobilità, i servizi) comunali e non.


da convinzioni politiche, dalla lettura della “domanda” (vecchio termine che si può rispolverare). Il rapporto con i luoghi non avrà la tradizionale forma previsionale. Si possono assegnare priorità, preferenze e caratteri ai diversi servizi nei diversi luoghi, senza necessariamente localizzarli. Si può bilanciare l’offerta dei servizi per le loro funzioni, quando queste siano chiaramente definite. Quello della rappresentazione cartografica è tema su cui lavorare in ordine all’articolazione del processo di pianificazione e del proliferare dei piani, per i quali non è detto che vi sia sempre un elaborato grafico di riferimento (di riferimento per che cosa?).

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che le stesse ottengono dai servizi offerti, forniti dalla Pubblica Amministrazione o erogati da Enti, Associazioni o Gruppi privati operanti in Comune. Una robusta cultura sociologica è necessaria per orientarsi a priori nei campi di indagine sui quali concentrare la propria attenzione, per esempio bisogni relativi a: culto, cultura e ricreazione, istruzione e formazione, sanità ed assistenza, verde e sport. La cultura (e l’esperienza sociologica) indica di concentrarsi sui segmenti di popolazione che per motivi diversi sono meno autosufficienti o hanno necessità più specifiche: anziani, famiglie con figli piccoli, giovani. Le tematiche individuate devono essere esplose ed ap-

Unità Organizzativa Piani e Programmi Urbanistici della Regione Lombardia La legge regionale n. 1/2001 ha introdotto l’obbligo per i Comuni della redazione del Piano dei Servizi che rappresenta lo strumento destinato a costituire l’ossatura portante dei nuovi Piani Regolatori Generali. La legge, a partire dai concetti di amministrazione per risultati e pianificazione per obiettivi, ha operato un radicale ripensamento della nozione di standard urbanistico, privilegiando gli aspetti qualitativi, attuativi e gestionali dei servizi, rispetto a quelli quantitativi dello standard tradizionale. In ottemperanza ai disposti dell’art. 7, comma 3 della legge con Deliberazione della Giunta Regionale Lombarda n. 7/7586 del 21 dicembre 2001, sono stati approvati i “Criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi”, elaborati dalla Unità Organizzativa Piani e Programmi Urbanistici della Direzione Territorio e Urbanistica. È stata una scelta consapevole quella di dare al documento un’impostazione di tipo metodologico e non prescrittivo, maturata nel corso di molti mesi, nei quali L’Assessore al Territorio e Urbanistica e i dirigenti delle strutture della Direzione Territorio e Urbanistica hanno interloquito, in riunioni pubbliche, con gli enti locali e con il mondo professionale per raccogliere impressioni e dubbi interpretativi sui contenuti innovativi della legge. Ci si è così resi conto che era necessario, innanzitutto, avviare un’operazione di tipo cul-

turale, che tentasse di chiarire il quadro di riferimento delle nuove norme, onde consentirne una corretta lettura e un consapevole approccio. Questa è stata, a nostro avviso, e in via preliminare, l’unica modalità possibile per affrontare una realtà fortemente diversificata, come quella lombarda, che accomuna, a livello legislativo, Milano, la sua area metropolitana e i restanti capoluoghi con una miriade di Comuni di piccole e piccolissime dimensioni, con le più svariate caratteristiche geomorfologiche ed insediative. Ma il lavoro avviato non può certo ritenersi concluso, in quanto è necessario supportare le amministrazioni pubbliche e gli operatori del settore nel processo di approccio ad una nuova modalità di pianificazione che, in base al principio di sussidiarietà, rompe con la disciplina urbanistica consolidata e abbandona il sistema pianificatorio gerarchizzato e discendente, a favore di un processo ascendente, partecipato e consensuale. A tal fine l’Unità Organizzativa Piani e programmi urbanistici della Direzione Territorio e Urbanistica si è dotata di una specifica Unità Operativa di supporto agli enti locali per la redazione del Piano dei Servizi, che fornisce consulenza ai Comuni, supporta delle sperimentazioni in corso e attua il monitoraggio delle esperienze locali. Proprio nell’ambito di questa struttura è ma-

Il Piano dei Servizi: aspetti sociologici di Mauro Anzini e Cecilia Merlo Il Piano dei Servizi previsto dall’art. 7 della L.R. 1/2001 di cui molto si dibatte ha un assunto chiaro: sostituisce al computo quantitativo e predeterminato della necessità di standard la valutazione qualitativa e gestionale del complesso dell’offerta di servizi nel territorio, comunale e sovracomunale. I criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi, indicati nella D.G.R. 21 dicembre 2001 n. VII/7586, individuano a corredo dello stesso tra gli elaborati minimi (art. 7) una “relazione descrittiva (eventualmente correlata da elaborati grafici) contenente il quadro conoscitivo dei servizi presenti sul territorio, la valutazione dei bisogni locali, il livello di soddisfazione della domanda, le nuove previsioni”. Per arrivare alla valutazione dei bisogni e del grado di soddisfazione degli stessi nel Comune è necessario ricorrere agli strumenti caratteristici dell’indagine sociologica per individuare e quantificare le reali necessità. Occorre interrogare direttamente la popolazione relativamente alle sue esigenze ed al grado di soddisfazione

turata la convinzione che, per rendere operativo ed efficace il nuovo strumento le amministrazioni locali, devono poter accedere ad un sistema informativo che permetta di formulare quesiti, ricevere risposte in tempo reale, consultare banche dati, conoscere e valutare le sperimentazioni in corso, confrontando le reciproche esperienze e implementando le conoscenze. Per attuare ciò si sta studiando la possibilità di realizzare in tempi brevi nella pagina “Territorio e Urbanistica” del portale internet della Regione Lombardia (www.regione.lombardia.it), un forum di discussione che costituisca il punto di partenza e di approdo di un flusso continuo di informazioni ed esperienze. Nel periodo transitorio è possibile richiedere informazioni e consulenze alla seguente struttura: Giunta Regione Lombardia - Direzione Territorio e Urbanistica Unità Organizzativa Piani e Programmi Urbanistici Unità Operativa di supporto agli enti locali per la redazione del Piano dei Servizi Resp. Unità Operativa Arch. Mario Covelli tel. 02 67654321 mario_covelli@regione.lombardia.it Il Dirigente dell’Unità Organizzativa Arch. Giulia Rota

profondite mediante interviste faccia a faccia non strutturate ai cosiddetti “testimoni privilegiati”, ovvero a cittadini che per il ruolo sociale che svolgono all’interno della Comunità o per il carisma di cui godono possono costituire un punto di riferimento importante per parte della popolazione: per esempio, il colloquio con il dirigente scolastico illustrerà le problematiche relative al settore dell’istruzione, con il dirigente di un’associazione imprenditoriale le necessità di formazione professionale, con l’assistente sociale il peso della devianza nella comunità, ecc. Nel corso di questi colloqui non possono non emergere problemi specifici magari riferibili anche a problemi di urbanizzazione primaria quali viabilità o infrastrutture in genere non adeguatamente risolti. A partire dalle informazioni rilevate, sono predisposti questionari “ad hoc” per le tre fasce d’età indicate; gli stessi vengono somministrati ad un campione di cittadini estratto casualmente tra tutti i residenti appartenenti alle singole fasce d’età. L’esperienza della ricerca sociologica indica che il numero minimo di interviste da effettuare relativamente al singolo problema, al fine di elaborare risultati statisticamente significativi e validi, è pari a 40. I cittadini estratti a sorte sono avvisati via lettera e vengono poi intervistati mediante questionari strutturati.


L’analisi statistica dei dati consente, in base alla legge dei grandi numeri, di proiettare i risultati sull’intera popolazione. Per esempio, in un caso specifico già affrontato l’analisi relativa al verde ha indicato un ampio utilizzo del parco pubblico comunale, vissuto dalla popolazione come centro di aggregazione e di svago; addirittura, lo stesso parco è risultato svolgere un importante ruolo di identificazione sociale: i ragazzi appartenenti alla fascia d’età 13-15 anni hanno dichiarato di non recarvisi perché “è cosa da piccoli”, preferendo invece radunarsi in piazza; con l’aumentare dell’età, però, l’utilizzo del parco cresce nuovamente. L’ovvia indicazione operativa che se ne

Politecnico di Milano, Sede di Milano Bovisa, 2002 (foto: Corrado Crisciani).

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è ricavata è stata di meglio curarlo ed attrezzarlo. Le strutture o le iniziative necessarie da realizzare per soddisfare le necessità della popolazione individuate dall’indagine sono infine valutate da un punto di vista economico, infatti, ogni specifica attrezzatura o servizio ha una sua ottimale economia di scala; un esempio concreto: in un Comune con popolazione di poco superiore ai 12.000 abitanti è emersa prepotentemente la richiesta di una piscina: i costi fissi di manutenzione e di gestione indicano che tale struttura sportiva necessita, per reggersi senza problemi, di una popolazione pari ad almeno 40.000 abitanti. È chiaro che un’Amministrazione Comunale difficilmente si assumerà gli oneri relativi alla costruzione ed alla gestione dell’impianto; piuttosto, si potrebbe ipotizzare di stipulare una convenzione con strutture poste nei Comuni limitrofi. Ancora, una casa di riposo minimizza i suoi costi di gestione e riesce a garantire un valido servizio quando ospita non meno di 80 e non più di 120 anziani: se il Comune non esprime una necessità di questa entità occorre convenzionarsi con realtà fuori dal proprio territorio. Naturalmente, diverso sarebbe il caso in cui un privato si proponesse per la realizzazione di questi impianti: a questo punto il Comune potrebbe soddisfare le esigen-

ze della popolazione residente senza ricorrere a forti investimenti attraverso convenzioni “ad hoc”. È del resto la L.R. 1/2001 stessa ad incentivare la collaborazione tra Pubblico e Privato (D.G.R. 21 dicembre 2001 n. VII/7586, art. 1), al fine di garantire fruibilità e adeguati livelli qualitativi ai servizi offerti.

Il ruolo dell’architetto nella redazione del Piano dei Servizi di Marco Engel Il riconoscimento formale del Piano dei Servizi quale contenuto indispensabile del P.R.G. pone al pianificatore almeno tre di problemi principali, fra i moltissimi che riguardano la sua formazione, la sua cultura e le sue reali competenze professionali, sui quale è opportuno soffermarsi: a. anzitutto pone un problema di adeguamento della strumentazione tecnica e culturale assieme all’esigenza di sviluppare capacità di coordinamento degli apporti multidisciplinari richiesti dalla grande varietà dei temi oggetto del Piano dei Servizi;


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b. in secondo luogo mette in evidenza la necessità di avere a disposizione - il più delle volte di costruire un quadro esteso delle coerenze territoriali degli argomenti trattati, ciascuno dei quali può essere riferito a scale, ambiti territoriali e perfino livelli istituzionali differenti; c. infine la facoltà di stabilire in ciascuna situazione il livello dello “standard”, ossia la facoltà di determinare caso per caso la misura del servizio al quale ciascun cittadino può avere diritto, riporta in primo piano il valore etico dell’attività professionale del pianificatore e le crescenti responsabilità sociali delle quali può trovarsi gravato, soprattutto in un periodo di relativa fragilità culturale e politica delle amministrazioni locali. Quanto alla prima questione, l’interdisciplinarità, questa è ben presente a chiunque si occupi di pianificazione comunale. L’ormai diffusa applicazione del principio di sussidiarietà, per il quale non si demandano al livello amministrativo superiore le materie che possono essere gestite a quello inferiore, carica la pianificazione comunale di competenze sempre più estese e diversificate.

Politecnico di Milano, Sede di Lecco, 2002 (foto: Lorenzo Mussi).

Politecnico di Milano, Sede di Milano Bovisa, aula di via La Masa (foto: Corrado Crisciani).

Al pianificatore viene chiesto di occuparsi, dentro o accanto alla redazione del P.R.G., di temi tradizionalmente estranei alle sue competenze, che spaziano dalla riorganizzazione dei distributori di carburante alla localizzazione delle antenne per la telefonia mobile, dal riordino delle reti sottosuolo alla protezione dagli impianti industriali a rischio, dalla qualificazione delle attività commerciali alla tutela dall’inquinamento acustico, ecc. Inoltre, alle competenze attribuite alla pianificazione comunale dalle leggi regionali e nazionali, spesso si sommano ulteriori competenze, o materie di approfondimento, disposte dagli strumenti della pianificazione provinciale, che stanno giungendo a compimento proprio in questo periodo. Questa situazione implica per il futuro un ripensamento profondo del bagaglio culturale e tecnico del quale il pianificatore dovrà essere dotato e, per il presente, la costruzione di gruppi di lavoro interdisciplinari che saranno posti sotto il coordinamento dell’architetto pianificatore. Si determina in tal modo un nuovo ruolo al quale il nostro soggetto era stato in passato assai poco incline: chi ha frequentato la corrente prassi professionale conosce assai bene la tendenza a riassumere nei compiti dell’architetto la trattazione di tematiche anche assai lontane dal proprio sapere disciplinare, introducendo spesso semplificazioni azzardate o circonvoluzioni fantasiose a copertura di imprecisioni e carenze. D’altra parte, tale atteggiamento appare coerente con la condizione di un mercato indisponibile a riconoscere i maggiori costi della crescente varietà ed importanza delle materie oggetto della pianificazione e perfettamente in linea con la tendenza delle amministrazioni a preferire l’offerta economica fra i criteri di aggiudicazione degli incarichi professionali, anche di quelli della pianificazione urbanistica. L’introduzione del Piano dei Servizi fra i contenuti obbligatori del P.R.G. conferma la tendenza a dilatare la materia del P.R.G. e questo proprio nel momento in cui la necessità stessa della pianificazione generale viene messa in discussione, tanto nel dibattito culturale quanto nella produzione legislativa. È lecito domandarsi se la dilatazione delle competenze del piano non sia in realtà coerente con la sua perdita di potere, e quindi se anche l’introduzione del Piano dei Servizi non sia da inquadrare nella tendenza al trasferimento del controllo dei processi di trasformazione più rilevanti dalla pianificazione generale agli strumenti speciali di intervento (programmi di recupero urbano, programmi integrati di intervento, ecc.), che per loro natura non potranno essere contemplati dal Piano dei Servizi. Quanto al problema delle coerenze alla scala sovracomunale, ampiamente affrontato nel documento regionale dei Criteri, questo attiene anzitutto alla scelta delle materie che saranno oggetto del piano dei servizi nelle diverse realtà comunali. Molta parte dei servizi erogati ai cittadini che dovrebbero essere trattati dal Piano, da quelli socio assistenziali a quelli sanitari e perfino a quelli sportivi, è già oggetto di diverse forme di pianificazione e programmazione, se non altro finalizzate alla distribuzione delle risorse pubbliche disponibili. Nei diversi casi si tratterà di piani regionali oppure provinciali o ancora di bacino o di distretto, ciascuno dei quali assume ambiti territoriali di riferimento diversi per finalità e per scala: ambiti che appare difficilissimo rendere fra loro coerenti o anche semplicemente sovrapponibili. Questa situazione pone al pianificatore diversi pro-


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blemi: di conoscenza di problemi e meccanismi istituzionali diversissimi, di rilevazione delle informazioni di base, di ricostruzione delle differenti forme di programmazione, fino ad arrivare alla determinazione delle materie che potranno essere efficacemente, e non solo nominalmente, trattate dal Piano dei Servizi, scartando di conseguenza quelle per le quali lo stesso Piano dei Servizi non potrebbe avere alcun effetto. Tale straordinaria complessità è accentuata dalla diversità delle condizioni territoriali: il Piano dei Servizi dovrà trattare materie diverse quando sarà applicato a Comuni dell’area metropolitana milanese, piuttosto che a centri isolati nella campagna mantovana o pavese, piuttosto che a comuni montani. Ne consegue una composizione di volta in volta differente dei temi e delle competenze, che possono facilmente determinare il groviglio inestricabile di competenze, procedure, responsabilità col quale i funzionari pubblici hanno qualche consuetudine, ma nel quale il nostro pianificatore rischia di rimanere irrimediabilmente intrappolato. Per evitare che la complessità della materia abbia come ricaduta la produzione di documenti vuoti o banali è indispensabile che si avvii un processo di riqualificazione delle strutture pubbliche di produzione e gestione dei servizi insieme alla costruzione di nuovi centri permanenti di osservazione e coordinamento alle diverse scale, che appaiono coerenti con le esigenze di miglioramento dell’accessibilità, dell’efficienza e dell’economicità dei servizi stessi. In assenza di tali nuovi strumenti il Piano dei Servizi finirà, nei casi migliori, per occuparsi delle materie delle quali si è sempre occupato il Piano Regolatore, ossia dei servizi programmati, finanziati e gestiti dal singolo Comune: la scuola, il verde, i parcheggi, altre attività varie genericamente raccolte sotto il titolo dei servizi di “interesse comune”. Quanto al tema dello “standard”, rimesso complessivamente in discussione dal nuovo testo di legge e dai “Criteri”, è chiaro che si tratta della questione che muove maggiormente la coscienza, la cultura e persino l’emotività del pianificatore. Molto è già stato detto e scritto sul declino dello “standard” come misura della qualità della città, o quantomeno della sua rispondenza ai bisogni primari dei cittadini. Ma c’è un tema, fra i molti affrontati dal dibattito cresciuto attorno alla questione dello “standard”, che appare ancora impropriamente relegato in secondo piano: è il tema della responsabilità del pianificatore nei confronti dell’amministrazione committente e più in generale dei cittadini. Fino ad oggi era richiesto al pianificatore, così come al funzionario incaricato del controllo, di applicare parametri quantitativi fissati per legge, sulla cui determinazione non poteva esercitare alcuna influenza. È noto come questa condizione abbia portato alle individuazioni più fantasiose, il più delle volte finalizzate al conseguimento della parità di bilancio ma destituite di fondamento operativo. È stata così vincolata per molti anni, in alcuni casi per decenni, una gran quantità di aree con funzione di riserva: riserva di territorio da mantenere inedificato e riserva di spazi per eventuali future esigenze di nuove attrezzature pubbliche che, al momento della redazione del piano, non appariva possibile, nonché programmare, talvolta nemmeno immaginare. Anche questo fatto, quest’obbligo di vincolare una gran quantità di aree alle quali non era possibile far corrispondere la destinazione ad

Politecnico di Milano, Sede di Mantova (foto: Corrado Crisciani).

uno specifico servizio, è servito per un lungo tempo ad alleggerire la responsabilità del pianificatore: una responsabilità che era almeno condivisa col legislatore regionale, il quale aveva imposto una certa quota complessiva di superficie da riservare alla realizzazione dei servizi pubblici. Ora non è più così. Con l’introduzione del Piano dei Servizi arriva a conclusione un processo già avviato col succedersi delle sentenze sull’indennizzabilità e sulla reiterazione dei vincoli urbanistici: un processo che rimanda definitivamente alla responsabilità dell’Amministrazione di motivare concretamente i vincoli apposti con gli strumenti di pianificazione. Né può sfuggire quanto importante diventi in questo nuovo contesto l’attività ed il consiglio del pianificatore, la sua capacità di costruire il quadro generale delle scelte urbanistiche che dà luogo al nuovo sistema di vincoli. Da qualche tempo, proprio in conseguenza delle citate sentenze, il pianificatore è chiamato a motivare analiticamente e concretamente l’apposizione dei vincoli. È costretto a costruire un ragionamento convincente per la scelta di una certa area, fra le molte possibilità che si presentano, e la dimostrazione che proprio quella è assolutamente indispensabile. L’unico strumento efficace per la rappresentazione di questo ragionamento non può che essere il progetto: un progetto generale di sistemazione del suolo e dei servizi pubblici che è poi progetto della struttura portante della città. Quest’ultima osservazione rimanda al punto di partenza di queste brevi note ed offre forse uno spiraglio per la ricostruzione del ruolo proprio dell’architetto pianificatore, rivolta a valorizzare le sue specifiche competenze culturali e professionali.


Bergamo a cura di Antonio Cortinovis e Alessandro Pellegrini

Contributo alla discussione sul tema “Il Piano dei Servizi”

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Parlare alla luce dell’odierna esperienza applicativa di Piano dei Servizi equivale, se ci è consentito il paragone, ad addentrarsi in un fitto bosco attraversato da molti sentieri alcuni dei quali ben individuabili (altri meno) che, pur intersecandosi fra loro, indirizzano, tendenzialmente, verso un’unica realtà costituita da una strada più ampia che dovrebbe condurre fuori dal bosco. Standard, aree funzionali, zone omogenee, dimensionamento di piano, nuclei di antica formazione, centri storici, procedure semplificate, nuove competenze ambientali, piani territoriali di coordinamento, nuove procedure di programmazione, consultazioni, conferenze dei sindaci, contenuti paesistici dei piani, nuovo P.R.G., Piano dei Servizi ecc.; quanto di tradizionale è rimasto e quanto è stato innovato. Gli addetti ai lavori, siano essi professionisti od amministratori, pur applicando raziocinio, buon senso, conoscenze tecniche, conoscenze fisiche, socio economiche e culturali relative al territorio, non riescono ancora univocamente a definire questo nuovo fondamentale elaborato/strumento di indagine, analisi, verifica e proposta–programmazione che ha la funzione di fotografare lo stato di salute attuale e futuro di un territorio in termini di presenza e grado di fruizione dei necessari Servizi. La produzione legislativa operata dalla Regione Lombardia nel corso degli ultimi anni, ha apportato nel campo del governo del territorio rilevanti innovazioni che, pur sottacendone alcune, ma citando essenzialmente: il superamento del concetto di standard quantitativo; il privilegio del momento programmatorio rispetto a quello pianificatorio; la valorizzazione dell’autonomia comunale attuata anche e non solo nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà, trovano proprio nel Piano dei Servizi la loro naturale sintesi. Questo stato di cose non può che imporre per tecnici ed amministratori un nuovo modo “più virtuoso” di approccio delle problematiche riguardanti il territorio e ciò non è dovuto soltanto ai mutati riferimenti normativi, bensì alla necessaria acquisizione concettuale che il territorio non può più essere considerato soltanto un bene fisico ma un patrimonio unico venuto a determinarsi nel tempo attraverso le sue molteplici trasformazioni storiche, culturali, socio economiche che lo fanno assurgere ad un vero e proprio patrimonio di interesse pubblico che, stante le sue caratteristiche di unicità, è da considerare quale bene finito irriproducibile per il cui mantenimento e corretto governo delle trasformazioni ciascuno dovrà sentirsi responsabilmente impegnato. La fondamentale riforma che pone alla base della programmazione qualsiasi scelta di piano, impone di considerare le indagini preliminari quali momenti fondamentali da porre a base di qualsiasi considerazione pianificatoria. La conoscenza della storia, della geografia e dell’evoluzione socio economica e culturale del territorio dovrà essere guida per l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni prodotti in esso dal passato per poter leggere correttamente particolari carenze da colmare o peculiari risorse da esaltare. Il superamento concettuale dello standard tradizionale (area fisica) in favore di un significato di standard a livello funzionale quale “grado minimo di accettabilità”, ci porterà invariabilmente a verificare l’accettabilità o meno dell’as-

senza di una farmacia poiché localizzata nel paese vicino e non nel nostro; l’accettabilità o meno che il più vicino pronto soccorso ospedaliero disti trenta o quaranta minuti di strada tortuosa da percorrere a bassa velocità. E se ciò si manifesta quale reale constatazione, la programmazione di una nuova infrastruttura viaria che ovvii all’inconveniente dovrà essere considerata programmazione comunale o invariabile strutturale da inserire in una più vasta problematica intercomunale se non addirittura nella programmazione territoriale di coordinamento provinciale? L’esempio valga come tale poiché queste valutazioni dovranno essere esperite, ovviamente per i corrispondenti livelli di interesse, per tutti quei servizi ed infrastrutture di livello urbano e non quali la viabilità, i servizi tecnologici, l’acqua, il gas, l’elettricità, l’arredo urbano, i trasporti, i servizi socio assistenziali, il commercio di vicinato, la presenza di medie e grandi strutture di vendita, i servizi connessi con la nettezza urbana, ecc. Potranno essere ancora tollerati comportamenti professionali ed amministrativi che, un po’ eufemisticamente, potremmo definire “disinvolti” e che in un recente passato hanno causato qualche grave danno al territorio? Penso seriamente che in Lombardia si sia alla soglia di un periodo molto difficile per i cambiamenti di mentalità e di costume che dovremo autoimporci, nel contempo però, questo inizio del nuovo millennio non può che essere considerato ricco di stimoli nuovi capaci di indirizzarci verso la vera riscoperta del ruolo esaltante di corretti programmatori e trasformatori, in una logica di conservazione e gelosa custodia del territorio quale bene comune. Le istruzioni per l’uso, ovvero una disanima sui Criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi emanati con la D.G.R. n. 7/7586 che sicuramente stimoleranno il dibattito, se ci è consentito lo rinviamo ad un prossimo futuro. arch. Fernando De Francesco

Il Piano dei Servizi (L.R. 1/2001): l’esperienza del Comune di Calvenzano Nell’ambito di applicazione della Legge Regionale del 15/01/2001 n. 1 all’articolo 7 rientra lo studio del “Piano dei Servizi” per la dotazione di aree per attrezzature pubbliche e d’interesse pubblico o generale all’interno degli strumenti urbanistici a carattere generale e nei piani attuativi. Detta dotazione deve essere determinata in base a parametri e criteri determinati, relativamente agli insediamenti residenziali, in rapporto alla capacità insediativa come definita dall’articolo 6, oltre che ai parametri dell’articolo 7 comma 5 e comma 6 della Legge Regionale sopra citata. Le dotazioni minime di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo 7 sono reperite in conformità a criteri quali: un’analisi sulle tipologie dei servizi esistenti, attrezzature ed impianti urbani d’interesse generale esistenti od in previsione di realizzazione, in base alle previsioni d’insediamento ed all’idoneità dei siti individuati in relazione alla destinazione finale. Per il raggiungimento delle dotazioni minime possono conteggiarsi, per le attrezzature e servizi pubblici, le aree e le opere realizzate in via pubblica diretta o da cedersi all’amministrazione nell’ambito di piani attuativi; oppure con atti di asservimento o regolamenti d’uso che assicurino lo svolgimento delle attività collettive destinate a tale funzione dal Piano comunale dei Servizi e che soddisfino le attività collettive cui sono stati destinati. Risultano esclusi dalla quantificazione della dotazione di


re il quadro generale per il soddisfacimento delle esigenze dell’utenza locale. La capacità di soddisfacimento considera sia il rapporto con la popolazione residente, sia il rapporto con le presenze temporanee date da pendolarità o presenze turistiche stagionali. Inoltre la presenza di centri urbani confinanti più grandi fornisce indicazioni sulla fruibilità di attrezzature e di strutture di interesse sovracomunale che non potrebbero avere seguito in un centro di piccole dimensioni, sia per disponibilità di investimento, sia per il bacino di utenza che non troverebbero corresponsione per proporzioni e dimensioni proprie dell’ambito di paese. Comunque resta il fatto che per realtà di piccole dimensioni è essenziale pensare che taluni servizi debbano essere pensati nei centri di maggior dimensione, in special modo se detti centri non distano molto dal paese oggetto di Piano dei Servizi. In questa ottica il Piano deve tener conto della dimensione sovracomunale del territorio in una visione “pratica” delle effettive esigenze del paese rapportato con l’intorno. Certo che nello studio del territorio si è anche pensato di turare le falle presenti, come il sistema di trasporti extra urbani e di collegamento all’interno delle diverse zone del paese, omogeneizzando e regolarizzando i percorsi, oltre a potenziare bacini verdi esistenti ampliandoli ed integrandoli, migliorando così l’offerta di spazi ed attrezzature utili. Le aree per le attrezzature sono anche state reperite all’interno del P.R.G. come sostituzione del tessuto esistente che, in ambito di trasformazione, dovranno cedere o trasformare la propria vocazione nella misura indicata dalle Norme Tecniche d’Attuazione. Le schede analitiche della consistenza dell’esistente sono un passaggio obbligato per la conoscenza del territorio e dell’ambiente urbano per compiere su di questo, come già affermato, le opportune relazioni tra costruito esistente ed ampliamento futuro. L’impostazione delle schede, non avendo una direttiva data, sono state ricondotte ad un’alea di specificità relativa al caso di studio, un canovaccio sul quale un domani apportare variazioni specifiche. Queste han tenuto conto: della tipologia di attrezzature, suddivise tra pubbliche e private; delle caratteristiche dimensionali, espressa in mq. di superficie lorda di pavimento; dello stato di consistenza, suddiviso tra il numero di vani e le necessità; dello stato di conservazione, con una valutazione variabile tra il sufficiente ed il buono; degli elementi integrativi della funzione principale, parcheggi e giardini; delle modalità di fruizione, ovvero da quali persone ed in quale momento della giornata settimana, mese od anno; del grado di integrazione con il contesto, con le valutazioni di cui in precedenza; della compatibilità con le funzioni al contorno, idem come l’antecedente; dell’accessibilità, adeguata ed inadeguata; del bacino di utenza, con il numero di persone servite; dell’organizzazione ed enti operanti sul territorio, natura e tipo di ramificazione sul territorio. Il Piano dei Servizi in conclusione resta uno strumento di studio del territorio e, conseguentemente di pianificazione, ma anche di supporto nelle scelte di programmazione nella scelta delle opere pubbliche da realizzarsi nel periodo di validità del P.R.G. Esso rimane ad oggi un elemento da valorizzare ed affinare con l’ausilio di più professionalità, senza prescindere dalle indagini da effettuarsi in loco e, perché no, sfruttando anche la memoria storica degli abitanti ed il prezioso supporto dei tecnici locali. L’applicazione costante delle indicazioni per l’estensione del Piano dei Servizi potrà in futuro essere migliorata, così da servire sempre meglio all’applicazione degli intenti formatori del P.R.G. arch. Mauro De Simone tecnico del Comune di Calvenzano

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spazi pubblici le fasce di rispetto stradale, ferroviario e cimiteriale, ad eccezione delle aree attrezzate esistenti alla data di adozione del Piano Regolatore Generale, oltre a quelle poste in continuità ad ambiti di verde pubblico. Questo significa che il Piano dei Servizi, nell’intento del legislatore, deve diventare uno strumento che anticipi e serva a formare, come strumento di programmazione, il piano delle opere pubbliche che da anno in triennio vada a completare quanto dato come intenti di massima nel P.R.G.; quindi, come possibile conseguenza, strumento di pianificazione e d’indirizzo per l’applicazione della realizzazione delle opere nel campo dei lavori pubblici. Nella mia esperienza, in un piccolo centro della bassa pianura bergamasca, il lavoro effettuato per la definizione del Piano dei Servizi ha tenuto conto dello stato delle attrezzature e dei servizi esistenti alla data odierna, nonché di quanto l’Amministrazione si propone di realizzare all’interno del periodo di validità della Variante Generale al P.R.G. esistente. Queste valutazioni sono state fatte tenendo conto, come detto, della disponibilità di attrezzature e servizi già presenti nella previsione di assetto futuro del nuovo paese, ma rispetto ai quali individuare le modalità di ottimizzazione o di potenziamento dei servizi stessi, al fine di garantire un adeguato soddisfacimento delle esigenze della collettività anche sulla base di previsione di necessità future. Come si è giunti al calcolo del fabbisogno abitativo? La L.R. 1/2001 ci viene incontro dandoci il potenziale massimo ammissibile in termini volumetrici, considerando abitanti reali e teorici, secondo l’equivalenza abitante/vano/150 mc da utilizzare nella predisposizione dei dati per il progetto del P.R.G. Il potenziale massimo resta comunque un dato indicativo che non tiene effettivamente conto delle mutate esigenze abitative, mentre si è considerato che l’incremento debba basarsi sull’evoluzione numerica e qualitativa dei nuclei familiari. Il collega urbanista al quale è stato dato l’incarico per la predisposizione della Variante Generale al P.R.G. ha tenuto conto di una ipotesi massima ed una minima. Successivamente l’architetto urbanista ha tenuto conto anche di una percentuale di alloggi liberi e di un dimensionamento definibile strategico, inferiore a quello naturale inquadrabile tra il minimo ed il massimo, come scelta data dall’Amministrazione, a cui però è stata aggiunta una volumetria unicamente di recupero dell’esistente tra parti del tessuto interno ed esterno che necessitano di una globale riqualificazione e per le quali potranno essere previste ed incentivate operazioni di rinnovo urbano. Nello studio successivo dell’urbanista per la definizione sul campo delle schede analitiche per la stesura del Piano dei Servizi la figura del tecnico comunale è prevalente in quanto, se ben cosciente dello stato d’uso degli edifici pubblici e della consistenza delle attrezzature, può dare un contributo sostanziale per effettuare le valutazioni necessarie per definire il quadro delle necessità pregresse e delle prospettive future. Dalla relazione stilata dell’urbanista si può estrapolare il sentiero guida per la stesura del Piano, infatti la documentazione acquisita dello stato dei servizi pubblici esistenti e delle attrezzature a rete, nonché delle aree a standards già esistenti, consente di esplicitare lo stato dei servizi pubblici e di interesse pubblico e quindi ha permesso di effettuare le valutazioni del caso. L’apporto del tecnico comunale, come detto, si fa importante proprio in questa fase preparatoria, fornendo dati sulle preesistenze, dando indicazioni sulle necessità dimostrate dal paese, sulle localizzazioni attuali di istituzioni religiose, scolastiche, attrezzature sportive e ricreative nonché tutte le attività non necessariamente gestite dalla Pubblica Amministrazione, ma che comunque influiscono a determina-


Brescia a cura di Laura Dalè e Paola Tonelli

L’esperienza del Piano dei Servizi nella provincia di Brescia dal 1986 ad oggi

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Il tema di un piano, che superi la visione del vincolo delle aree a servizi al solo fine di raggiungere un determinato rapporto quantitativo rispetto alla popolazione insediata, non è un tema nuovo per la città di Brescia, infatti già nel 1986 l’Amministrazione Comunale incarica l’architetto Vittoria Calzolari, assieme all’architetto Rossana Bettinelli, di elaborare il “Piano quadro del sistema del verde e delle attrezzature pubbliche”; ne abbiamo parlato con l’avvocato Innocenzo Gorlani, al tempo assessore all’urbanistica del Comune di Brescia, che per noi ha rievocato, ancora con entusiasmo, quel periodo, lo spirito che animava il piano, gli obiettivi che si prefiggeva, il suo significato. L’avvocato Gorlani, ricordando che il Piano quadro dei Servizi è filiazione del Piano regolatore generale Bazoli-Benevolo del 1980, afferma che l’idea parte dalla constatazione del “deficit gravissimo” dei servizi in una città cresciuta a dismisura, sulla base delle previsioni del piano Morini ed imbrigliata dal piano Bazoli-Benevolo (forse però, in altra sede, si potrebbe approfondire la valutazione su questi piani degli anni ’60). L’ambizione del piano era quella di individuare i

Vittoria Calzolari, Stralcio della tavola di zonizzazione del Piano Quadro del Sistema del verde e delle Attrezzature pubbliche (scala 1:10.000) (da: “Città & Dintorni”, supplemento al n. 13/14, gennaio-aprile 1989).

servizi, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche dal punto di vista qualitativo, e si è tradotto in sostanza in una riscrittura del P.R.G. per tutto quello che riguarda le aree ad uso pubblico SP ed F; lo studio è nato come piano programmatico, di contenuto politico, si è sviluppato sino a delineare l’esigenza di tradursi anche in una variante al Piano regolatore generale. Interessante anche il metodo con cui l’architetto Calzolari ha condotto il suo studio nel corso dei tre anni che hanno portato dall’avvio del piano alla sua adozione, nel dicembre 1989: innanzitutto la conoscenza meticolosa e personale del territorio comunale, alla ricerca di tutti i valori ambientali, paesaggistici, storici che lo caratterizzano, per giungere alla loro salvaguardia e valorizzazione come elementi distintivi di una specifica realtà; tra questi elementi particolare significato ricopre il sistema delle acque, fatto di fiumi, rogge, canali, che disegnano l’ambiente. Il Piano regolatore del 1980, poi, vincolava aree con la generica destinazione a “servizi pubblici”, col piano del verde invece, in queste aree, sono stati individuati con precisione attrezzature e spazi di uso collettivo, che sono gli elementi cui affidare il miglioramento della qualità dell’ambiente, attraverso la costruzione di un sistema organico, correlando gli spazi tra loro e col tessuto urbano. Altro punto caratterizzante sono i percorsi, soprattutto pedonali e ciclabili, che recuperano e valorizzano vecchi tracciati. A questo studio e progetto generale si aggiunge poi la progettazione in particolare di alcune aree che, per posizione, valore ambientale in generale, possono essere nuclei per una più generale riqualificazione del territorio. Un lavoro lungo e complesso dunque, quello che ha portato alla redazione del “Piano quadro del sistema del verde e delle attrezzature pubbliche”, che ha contribuito a cambiare la mentalità delle amministrazioni nell’impostare i programmi di spesa pubblica, guardando non solo alla singola opera, strada, asilo, o fognatura che sia, ma al quadro complessivo dell’ambiente in cui essa si colloca. Un altro dato importante, per sottolineare il cambio di mentalità che sta avvenendo e che deve avvenire, è che anche la giurisprudenza del consiglio di stato ripristina il valore ambientale e paesaggistico del territorio agricolo, non più quindi spazio libero da occupare con nuove espansioni e costruzioni, ma elemento che caratterizza ed individua quel paesaggio, e quindi meritevole di tutela. Venendo all’oggi, all’applicazione pratica della legge 1/2001, abbiamo sentito il parere dell’architetto Pierfranco Rossetti, che ha affrontato l’esperienza di numerosi Piani dei Servizi a Verolanuova, Ghedi, Leno, Mazzano, Coccaglio, Roccafranca, Iseo, Cologne, Flero, solo per citare i Comuni che hanno deciso di adottare un piano dei servizi, a prescindere dalla redazione di una variante al P.R.G. I Piani quadro dei Servizi e ambientale non sono comunque una novità per l’architetto Rossetti che, già da quattro o cinque anni, correda i suoi piani con un Piano dei Servizi, sulla base di due concetti fondamentali, il primo che prima di fare previsioni di sviluppo bisogna valutare se i servizi esistenti sono in grado di supportare tale sviluppo, il secondo è che la maglia dei servizi deve tenere conto della maglia ambientale. La legge 1/2001, rispetto a quanto quindi veniva già fatto, ha portato l’ampliamento dalla scala locale a quella territoriale ed ha portato la valutazione sul piano qualitativo, oltre che su quello quantitativo, configurandosi non solo come strumento urbanistico, ma anche di programmazione economica e strumento giuridico. Il Piano dei Servizi diventa uno strumento di revisione del Piano Regolatore Generale, ma è necessario che su questo punto si faccia chiarezza; la Regione vuole incentivare i Co-


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Como a cura di Roberta Fasola

Per la gestione e realizzazione dei servizi: Comuni come imprese o imprese al posto dei Comuni? Quale rapporto fra mercato e welfare? Ha ancora senso ed è ancora possibile la gestione pubblica dei servizi? Porsi delle domande, prima ancora che provare a dare delle risposte a quanto accade oggi nel settore urbanistica, ci pare importante perché pensiamo possa aiutare a capire meglio ed indagare a fondo lo spirito, il contesto in cui queste disposizioni regionali nascono. Da queste semplici domande, che sicuramente non indagano tutta la complessa materia dei “servizi”, ma che nascono dal confronto quotidiano con la disciplina, speriamo possa scaturire una riflessione produttiva presso tutti gli operatori del settore della pianificazione territoriale (amministratori locali e regionali, tecnici), sui cambiamenti sostanziali, in termini di pianificazione pratica del territorio, e metodologici che le nuove disposizioni apportano nel farsi quotidiano della pratica urbanistica e le possibilità di miglioramento a quanto proposto; magari attraverso la nuova legge urbanistica regionale in fase di redazione! I recenti “Criteri orientativi per la redazione del piano dei servizi”, ai sensi del ex art. 7, comma 3, della legge regionale 15 gennaio 2001, n. 1, introducono nuovi concetti ma soprattutto nuove metodologie di lavoro in campo urbanistico che, coniugate con le normative sui centri storici e sui mutamenti di destinazione d’uso della stessa 1/2001, cambiano sostanzialmente l’approccio urbanistico, ma anche politico, alla pianificazione del territorio in Lombardia. Infatti i criteri definiscono, rendono “ufficiale”, o meglio riconfermano quanto già previsto nello spirito e nella attuazione dalla L.R. 51/75 in merito al reperimento degli standard, ma quasi sempre disatteso dalle Amministrazioni Comunali (anche per evidenti problemi legati agli espropri), che il Piano dei Servizi costituisce atto di programmazione generale per il complesso delle attività e delle strutture costituenti i servizi della città o Comune. Documento che altresì deve selezionare i servizi, sulla scorta delle esigenze locali, per riconoscerli come standard (concetto di servizio diverso da standard): • Il tutto è collegato alla possibilità di ridurre gli standard, così come concesso dalla Legge, ma, riflettendo, questo non produrrà una carenza “reale”, non di calcolo urbanistico, di servizi? • Non sarebbe più opportuno affiancare a questo concetto un meccanismo legato alle diverse realtà morfologico - sociali della nostra regione? I criteri regionali definiscono “standard”, specifici servizi ed attrezzature che vengono riconosciuti come essenziali e basilari per l’equilibrato assetto del territorio, che risultano “costanti” nel tempo. L’Amministrazione (quindi di conseguenza il progettista) dovrà necessariamente approntare una “congrua e dettagliata” motivazione a supporto delle scelte di classificare delle strutture tra gli standard. Ma a tal proposito i Comuni sono in grado di produrre un supporto tecnico (o attraverso disponibilità finanzia-

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muni a dotarsi di un Piano dei Servizi consentendone il configurarsi come variante al P.R.G., avvalendosi della procedura semplificata per la sua approvazione, prevista dalla L.R. 23/97; tuttavia diversi legali non si dimostrano particolarmente generosi con l’applicazione della legge 23, considerando, di fatto, il Piano dei Servizi solamente come un allegato al Piano Regolatore Generale, bloccandone in sostanza l’operatività. L’architetto Rossetti quindi preferisce non avvalersi di tale procedura semplificata, per non innescare il perverso processo dell’urbanistica dei ricorsi, auspicando però che la Regione possa in maniera più esplicita affermare che, attraverso il Piano dei Servizi, è possibile attuare una variante al P.R.G. Il piano si attua attraverso un attento studio della situazione esistente e a ciascuna fase di analisi e di progetto corrisponde una sua illustrazione grafica; l’architetto Rossetti articola il suo lavoro nelle diverse fasi di inquadramento territoriale, analisi, proiezione futura, verifica dei servizi esistenti, progetto, verifica della mobilità. Correttamente Rossetti evidenzia la difficoltà che i piccoli Comuni possono incontrare nella fase di analisi socio-economica del proprio territorio, difficoltà legate anche alla non sempre sufficiente disponibilità in bilancio per finanziare questi studi. Sarebbe opportuno quindi che tali studi fossero svolti a livello territoriale e si rendessero patrimonio comune a più amministrazioni di un medesimo comprensorio, disponibile prima della redazione del piano, che verrebbe poi redatto dalla equipe fondamentale composta dall’urbanista, dal geologo, dall’agronomo e dal legale. Un altro punto interessante toccato nella conversazione con Rossetti, e che caratterizza alcune realtà della provincia bresciana, è che in numerosi Comuni lo standard di servizi previsti dalla precedente normativa di 26,5 mq/ab. con 100 mc di insediamento per abitante era già stato raggiunto; l’applicazione della legge 1/2001, che considera valore medio di volumetria per abitante di 150 mc, non deve però determinare una diminuzione della quantità dei servizi forniti, e non deve creare diversità di trattamento tra coloro che hanno operato con la precedente regolamentazione e coloro che opereranno con la nuova, per cui gli standard di cessione vengono opportunamente incrementati per mantenere i livelli di dotazioni raggiunti; sarà compito del progettista pianificatore calibrare la rete di collegamenti tra di essi per armonizzarli, accorparli in episodi significativi del tessuto urbano, anziché avere una miriade di piccole aree la cui gestione risulta impossibile per un’amministrazione comunale, consentendone una migliore fruizione e quindi un incremento della qualità complessiva. L’avvocato Gorlani sollecita i progettisti a considerare il Piano dei Servizi come il cuore della pianificazione urbana, auspicando che si riesca davvero a cambiare mentalità per raggiungere un più alto livello qualitativo, anche se la qualità non è normabile, ma è un atteggiamento culturale. L’architetto Rossetti valuta il Piano dei Servizi come un primo importante passo verso la nuova legge urbanistica regionale. Un giudizio complessivamente positivo, dunque, del Piano dei Servizi come punto di partenza; speriamo che nel futuro si possa intervenire su fatti che sono sotto gli occhi di tutti, ma che forse sono sottovalutati. Non dovrebbe la pianificazione del territorio, infatti, tutelarci per esempio lungo le nostre strade dal caos ed invadenza di cartelli stradali, pubblicità, insegne; abbiamo davvero bisogno di così tanti distributori di carburante; la sicurezza si fonda davvero sull’avere i lampioni di luce arancina così ravvicinati?


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rie da convogliare in questo settore) per la redazione di analisi di settore specifiche, legate alle motivazioni da addurre per le scelte effettuate? Questa prima parte dei contenuti del Piano dei Servizi sottolinea come il documento risulta essere sicuramente utile ed opportuno, in quanto strumento che consente - ed obbliga - i Comuni ad affrontare, ma soprattutto a programmare, il tema dei servizi, delle aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, non più solo in termini quantitativi, misurati e dimostrati semplicemente attraverso un bilancio di aree destinate a tali funzioni in riferimento ad uno standard predefinito, ma anche attraverso criteri qualitativi e valutazioni di funzionalità, efficienza, accessibilità, fattibilità. Proprio l’introduzione del criterio “qualitativo”, come misura dello standard (concetto dei “servizi di qualità” o “standard qualitativi”, introdotti dalla l.r. 9/99, art.6, comma quinto) risulta a nostro avviso l’argomento più difficile, perché presenta, senza per altro definirlo attraverso una metodologia chiara, un nuovo parametro di riferimento per il conteggio degli standard, cioè il valore economico del bene “servizio”, che si realizza in cambio di una cessione di aree da parte dei privati. La Legge prevede anche la possibilità che il Piano dei Servizi possa “motivatamente stabilire, per determinate tipologie di strutture e servizi, modalità di computo differenti riferite al valore economico o ai costi di realizzazione delle strutture” (estratto dai criteri regionali). Chiaramente la non definizione della modalità di passaggio dalla cessione di mq, alla cessione di Slp, lascia personalmente adito a perplessità, in quanto la possibilità che ogni singolo comune adotti modalità differenti di “calcolo”, non collegate magari a specifiche unicità territoriali, contribuisce a rendere ancora più confusa la situazione urbanistica dei nostri territori e la loro corretta pianificazione. La Regione, secondo riflessione, dovrebbe “guidare ed indirizzare”, sempre nell’ottica della sussidiarietà, i Comuni aiutandoli, specie quelli minori (la maggior parte in Lombardia), proponendo una metodologia di riferimento collegata anche alle specificità del territorio (ambiti di pianura e collinari, centri urbani di livello regionale, ecc.). Questo contribuirebbe ad una maggiore chiarezza nelle scelte politiche e tecniche, e per rispondere meglio alle reali necessità dei cittadini. Inoltre il definire con la dizione “standard di qualità” un diverso conteggio delle aree a standard e non l’introduzione di criteri specifici legati alle qualità architettonica, funzionale, paesistica, urbanistica dei servizi non risulta fuorviante? Soprattutto perché riteniamo invece utile e necessario fissare alcuni concetti e linee guida comuni per questo tema. Dall’altra parte bisogna anche dire che la “permuta” aree a standard - servizi realizzati da parte dei privati sembra ormai sempre più un’esigenza, una necessità che quasi tutte le amministrazioni comunali richiedono, vista la difficoltà degli espropri e l’ormai endemica carenza di fondi legati alla pianificazione urbanistica del territorio. Capire in modo analitico e profondo le ragioni di questo fenomeno ed il perché il reperimento delle aree a standard da parte dei Comuni fino ad oggi non abbia prodotto quel “portafoglio” di servizi tanto auspicato dai nuovi criteri regionali, risulta essere un passo fondamentale per interpretare se quanto oggi proposto dalla L.R. 1/2001 è veramente la risposta idonea alla situazione attuale. L’apertura, peraltro necessaria e giustificata, alla gestione dei privati, o addirittura alla proprietà diretta dei pri-

vati di “standard pubblici”, rischia di diminuire il ruolo dei Comuni nella creazione del welfare, compito primario dell’amministrazione comunale. Questo senza demonizzare il privato, anzi la risposta a questa domanda in termini positivi dovrebbe sottintendere una volontà da parte dell’amministrazione per programmare realmente lo sviluppo dei servizi. Si propone, a tal proposito, una significativa esemplificazione pratica di Piano dei Servizi. Si tratta del documento prodotto dal comune di Canzo nel 2001, ad opera dei progettisti arch. Pierre-Alain Croset e arch. Marco Ortalli; documento che è stato redatto prima dell’uscita dei criteri regionali. Lo scopo è quello di divulgare sempre più esempi pratici, per poter aver il modo di acquisire una casistica del modo di operare attuale. Sostanzialmente la Tavola della Carta dei Servizi del comune di Canzo propone di organizzare la sequenza degli spazi aperti esistenti e di nuova formazione lungo una serie di percorsi urbani privilegiati: questi percorsi, concepiti come assi verdi sistemati con piste ciclabili, sono pensati per valorizzare elementi significativi del paesaggio, come gli alvei fluviali del Lambro e della Ravella, oppure per migliorare le relazioni tra i diversi quartieri. Un’attenzione particolare dovrà essere dedicata ai parcheggi, che non dovrebbero più essere concepiti solo come “depositi” di automobili, per diventare delle specie di “giardini” con una chiara identità formale e paesaggistica. Alcuni parcheggi sono già stati sistemati correttamente, mentre altri sono tuttora privi di qualsiasi qualità di spazio. Riqualificare i parcheggi è importante anche per offrire una buona “carta da visita” di Canzo agli occhi dei visitatori. Per chi arriva a Canzo significherebbe riuscire ad orientarsi facilmente, e quindi provare un sentimento di familiarità con il luogo che contribuirebbe ad invogliare a fermarsi per una sosta di natura turistica. Anche i luoghi dello sport e del tempo libero necessitano di un progetto coerente di riqualificazione. Dare una chiara identità formale ai luoghi del tempo libero appare molto importante in quanto sono luoghi di aggregazione sociale tra gruppi di popolazione eterogenei. La qualità architettonica e paesaggistica di questi luoghi potrebbe quindi contribuire a renderli attrattivi per gruppi sociali che attualmente li ignorano o li frequentano molto raramente. Anche lo spazio naturalistico del bosco e della montagna dovrà essere valorizzato con progetti specifici di riqualificazione paesaggistica. Corrado Tagliabue e Gianfredo Mazzotta


a cura di Antonino Negrini

Il Piano dei Servizi in un piccolo Comune del Lodigiano: Villanova del Sillaro Il Piano dei Servizi è stato introdotto dalla Legge Regionale 1/2001, art. 7 come nuovo strumento di integrazione e accompagnamento obbligatorio dei nuovi Piani Regolatori. Costituisce uno strumento innovativo e programmatorio che opera un radicale ripensamento della nozione di standard urbanistico: si passa da una visione dei servizi non più solo in termini quantitativi, in relazione cioè ad uno standard predefinito (D.M.1444/68 e L.R.51/75), ma anche in termini qualitativi-prestazionali, legati cioè a valutazioni circa l’accessibilità, la distribuzione, l’efficienza e la funzionalità. Il Piano, quindi, secondo quanto espresso nei “Criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi ex art. 7, comma 3, della legge regionale 15 gennaio 2001, n. 1” si configura come strumento di programmazione diretto a fornire una soluzione razionale e complessiva alle esigenze di qualità e ai fabbisogni infrastrutturali dei Comuni, e indirizzato, dunque, alla necessità di costituire risposte articolate a bisogni differenziati. Ai sensi della L.R. 1/2001 il Piano dei Servizi, allegato obbligatorio alla Relazione, si configura come elaborato per l’attuazione di una concreta politica dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale: cambia la nozione di servizio che non coincide più necessariamente con quella di standard urbanistico. Per quanto riguarda il caso specifico del Lodigiano, Villanova del Sillaro, è innanzitutto necessario oltre che obbligatorio, sia per correttezza intellettuale sia per la comprensione delle poche righe dell’articolo, precisare che il Piano dei Servizi è in fase di redazione, in itinere. Si stanno analizzando e reperendo, in collaborazione con gli uffici comunali, i dati necessari alla ricognizione generale dello stato dei servizi esistenti. Si possono, quindi, qui solo accennare le linee guida e l’impostazione che si intende seguire per la sua elaborazione. Il Comune di Villanova del Sillaro fa parte della Provincia di Lodi: si trova a sud di Milano e dista dai maggiori centri 12 km da Lodi, 23 km da Casalpusterlengo, 40 km da Milano e da Piacenza, 5 km da Pieve Fissiraga e dal casello autostradale dell’Autosole di Lodi e 20 km dal casello di Casalpusterlengo in comune di Ospedaletto Lodigiano. È attraversato dall’Autostrada del Sole (A1) a Nord-Est, dalla s.p. 23 che collega il Comune a Lodi e San Colombano al Lambro, nota località turistica del Milanese e dalla s.p.167 che, attraverso un percorso tortuoso, taglia da est ad ovest il territorio collegando il capoluogo a Bargano. Sono inoltre da segnalare due percorsi viari di valore ambientale, peraltro evidenziati dal PTCC del Lodigiano come “percorsi comprensoriali di interesse ambientale”, quali la strada che collega Villanova con Bargano attraverso la frazione Monticelli, e la strada che da Bargano arriva a Vigarolo. Prevalentemente pianeggiante, è uno degli esempi di paesi agricoli della pianura lodigiana, ben irrigato da un sistema di canali e rogge tra cui il Sillaro - affluente del Lambro - la Barbavaria e Bargana. Il territorio presenta due frazioni principali

(Bargano, Monticelli) sedi di una parrocchiale, i nuclei rurali di San Leone e Monticelli Sillaro, oltre alle strutture agricole (cascine) sparse nel territorio comunale quali San Tommaso, Chiaravalle, Santa Maria del Toro, Mongiardino e Postino. Il territorio comunale, situato ad una altitudine sul livello del mare che varia tra i 60 e i 74 m. s.l.m., ha una superficie territoriale di 13,82 kmq; la popolazione al 31 dicembre 2001 è pari a 1.316 abitanti. La difficoltà ed insieme la novità della redazione del Piano dei Servizi per una realtà rurale di piccole, anzi piccolissime dimensioni, come quella di Villanova del Sillaro, è quella di cercare di rendere applicabile e concreto questo piano-programma caratterizzato anche dal punto di vista gestionale (vedi la definizione dei criteri prestazionali, di uso e fruibilità). Come previsto ai sensi della L.R. 1/2001 il Piano dei Servizi di Villanova del Sillaro documenta “lo stato dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale esistenti in base al grado di fruibilità e di accessibilità che viene assicurata ai cittadini per garantire l’utilizzo di tali servizi e precisa (...) le scelte relative alla politica dei servizi di interesse pubblico e generale da realizzare nel periodo di operatività del P.R.G. dimostrandone l’idoneo livello qualitativo nonchè un adeguato livello di accessibilità, fruibilità e fattibilità”. Il Piano effettuerà una ricognizione generale sulla domanda e offerta dei servizi esistenti, individuando e quantificando le aree a standard in relazione alle nuove modalità di calcolo, ed infine preciserà gli obiettivi dell’Amministrazione Comunale in tema di politiche dei servizi. Le categorie di servizi esistenti prese in considerazione sono relative a: • Servizi sanitari e socio assistenziali; • Istruzione e cultura; • Strutture amministrative pubbliche; • Servizi per il sistema della mobilità; • Impianti sportivi; • Sistema del verde; che verranno analizzati e descritti in relazione alla tipologia del servizio erogato e delle utenze servite, restituiti graficamente ed infine quantificati in relazione alla dimensione fondiaria e alla superficie lorda dei relativi edifici ed opere. Verranno evidenziati i servizi che, pur non rientrando nella definizione di standard di tipo “quantitativo”, svolgono per la realtà di Villanova elementi connotanti di qualità e di notevole importanza: basti pensare ai servizi socio assistenziali e sanitari come il prelievo sanguigno gratuito a domicilio per le persone anziane e disabili e il recapito domiciliare degli esami medici, il trasporto gratuito per visite specialistiche presso i principali centri ospedalieri della Provincia, il servizio trasporto disabili agli istituti scolastici e socio ricreativi, ecc. I dati desunti dallo stato di fatto verranno integrati con le previsioni del P.R.G. relative alle aree destinate a servizi pubblici o di pubblico interesse. Sulla base della ricognizione dei servizi esistenti verranno definiti criteri di uso, fruizione e gestione dei servizi stessi relazionati ai principali strumenti di programmazione economico-finanziaria, quali ad esempio il Programma delle Opere Pubbliche. Margherita Muzzi

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Milano a cura di Antonio Borghi e Roberto Gamba

Un progetto di struttura, di infrastrutture e di servizi per il territorio di Sesto San Giovanni

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L’evoluzione socioeconomica e urbanistica di Sesto San Giovanni, che negli ultimi dieci anni ha gradualmente accelerato il proprio ritmo confermando l’uscita dell’economia sestese da una situazione di profonda crisi di identità e di stasi occupazionale dovuta alla chiusura della città dell’acciaio, conferma la prospettiva assai concreta della rinascita di Sesto, sia come città del nuovo lavoro che, al contempo, come nuova città del lavoro. Appare infatti evidente quanto i requisiti di qualità urbana e accessibilità territoriale siano significativi come fattori di localizzazione dello sviluppo nella competizione territoriale fra i Comuni e come la concentrazione, nell’ambito nord milanese, dei maggiori settori produttivi a carattere innovativo debba essere supportata e incentivata dal contestuale perseguimento della sostenibilità ambientale, di una elevata dotazione di servizi e attrezzature e di buoni collegamenti alle reti della mobilità. A Sesto il rilevante patrimonio di aree in contestuale trasformazione (quasi trecento ettari per l’insieme delle aree ex Falck, ex Breda, ex Marelli, ex Decapaggio, Vulcano e scalo ferroviario) rappresenta quindi un’occasione storica irripetibile per la pianificazione innovativa dell’impianto strutturale, sia della città che di una parte significativa dell’area metropolitana milanese, in una logica di sviluppo territoriale multipolare cui concorrano soggetti pubblici e privati attraverso nuovi meccanismi concertativi. Il P.R.G. adottato nel luglio 2000, che affronta per la prima volta il problema della riconversione produttiva e insediativa delle aree della città delle fabbriche, il successivo Documento d’Inquadramento dei PII ai sensi della L.R. 9/99, concepito anche come occasione procedurale per attuare immediatamente gli obiettivi e le previsioni del P.R.G. adottato, la Variante ai sensi della L.R. 1/01, con relativo Piano dei Servizi, del luglio 2001, nonché il redigendo Quadro Organico di Riferimento previsto dal P.R.G., che dovrà coordinare l’attuazione delle zone di trasformazione, concorrono tutti infatti ad affermare il principio per cui il fondamentale obiettivo della sostenibilità non può essere raggiunto se la qualità dei sistemi strettamente fra loro integrati sul territorio - infrastrutturale (viabilità, trasporti, reti tecnologiche), insediativo, verde e servizi - non è perseguita, progettata e realizzata contestualmente alle trasformazioni e agli sviluppi urbani, che, peraltro, già da qualche anno, interessano il Comune di Sesto, a causa della potente spinta al decentramento dalla congestionata metropoli milanese, che trova a Sesto sia vaste aree di trasformazione dotate di buona accessibilità territoriale che concretezza politica e amministrativa e capacità imprenditoriale. In particolare, con P.R.G. e il Piano dei Servizi, l’Amministrazione comunale ha ribadito la volontà di perseguire la qualità urbana e sociale della nuova città come una sorta di risarcimento per il trauma occupazionale e civile che la crisi della siderurgia ha causato alla comunità sestese, subordinando gli obiettivi di valorizzazione economica delle aree alla riqualificazione dell’assetto urbano e a nuove funzioni residenziali e produttive di beni e di servizi che conferiscano da un lato qualità alla città nel suo complesso, evitando la crescita di quartieri esclusivi, separati ed autonomi e, dall’altro, nuovi e qualificati posti di lavoro. La valutazione della domanda e dell’offerta di attrezzature pubbliche e di uso pubblico è stata una delle operazioni di base per la formazione del Piano dei Servizi; la rilevanza territoriale del

Comune nell’ambito nord milanese, e la sua vivacità e creatività economica, politica e amministrativa, hanno portato ad una risposta assai tempestiva rispetto all’entrata in vigore della L.R. 1/01, con una analisi sia dei fabbisogni primari diffusi nei diversi quartieri (rispetto ad uno standard ottimale di dotazione dei servizi di base), che delle aspettative e opportunità di potenziale localizzazione delle funzioni di eccellenza a scala sovracomunale. È stata così ancora confermata la volontà di affidare alle aree di trasformazione Falck un ruolo fondamentale per la vita pubblica della città: questo non solo attraverso la costruzione del nuovo Parco Urbano centrale di circa 45 ha, ma anche attraverso la localizzazione di spazi pubblici di incontro e assistenza, servizi alla residenza e all’impresa e servizi rari di scala sovracomunale e di rango elevato - quali ad esempio l’Università, il Museo dell’Industria e del Lavoro, il BIC (attività di servizio alle piccole imprese), l’incubatore per nuove aziende (Officina Multimediale Concordia), il centro di telelavoro e alfabetizzazione informatica, ecc., che qualifichino l’intero sistema città, nell’ottica della competitività territoriale. Si pensi anche alla scelta di vincolare gli edifici industriali di valore storico testimoniale come monumenti che esprimano l’identità civile della città, da recuperare attivamente per la realizzazione di servizi e attrezzature o da conservare e riproporre anche per usi privati. D’altro canto, se è chiaro che il Piano dei Servizi costituisce il riferimento fondamentale del Programma triennale delle ope-

Progetto: Sistemi della città pubblica.


in rapporto al loro ruolo nei sistemi infrastrutturale, insediativo, verde e servizi, fra loro variamente integrati nella città, assumono la funzione di cardini territoriali che devono essere attuati nell’ambito degli interventi di trasformazione urbana. Il progetto parte dall’individuazione della direttrice intercomunale strategica di riqualificazione e di sviluppo urbano che, dal comparto Marelli/Adriano (100 ha), posto a sud del territorio comunale a cavallo con Milano, attraverso il complesso ex Falck (120 ha), passando per le aree dismesse dello scalo FS (10 ha) e il comparto Vulcano, raggiunge a nord in Cinisello Balsamo le aree comprese tra i nuovi svincoli della A4 Torino - Venezia, la nuova SS 36 verso l’Europa, e la Tangenziale Nord. È risultata evidente l’assenza sia di una pianificazione a tale scala, sia della percezione stessa di tale formidabile struttura urbana, che risulterebbe assai carente del suo necessario equipaggiamento infrastrutturale comunale e intercomunale, con particolare riferimento al settore dei trasporti pubblici, con conseguenze facilmente prevedibili per la congestione e la qualità della vita in Sesto e nell’adiacente parte della città di Milano. Ciò ha portato, tra l’altro, a sviluppare l’idea di una linea di metrotranvia che, percorrendo il primo tronco del tracciato della linea della Bicocca, già finanziato ed in corso di realizzazione, si allaccia alle stazioni ferroviarie di Greco Pirelli e di Sesto 1° Maggio, e alle fermate della Linea 1 della Metropolitana a Precotto, a Sesto Marelli e a Sesto 1° Maggio (dove è previsto un interscambio modale di livello urbano che riguarda ferrovia, metropolitana, metrotranvia, autolinee, auto e bicicletta con la realizzazione di una nuova stazione a ponte), fino a raggiungere a Bettola (sul confine tra Cinisello e Monza) il capolinea del previsto prolungamento della M1 (e/o della M5), ove è collocato un nodo di interscambio modale di livello territoriale. La previsione di connettere la linea metrotranviaria in più punti con le stazioni delle linee FS Chiasso e Lecco esprime la ragionevole necessità di raccordare gli sviluppi insediativi della direttrice strategica delle aree dismesse di Milano, Sesto e Cinisello alla ferrovia: tale progetto assume un significato particolare nella prospettiva - che sembra concreta - dell’imminente sperimentazione lungo l’arco di cintura Pioltello-Segrate-MilanoLambrate-MilanoGreco, con proposta di procedere fino a Sesto S.G. e Monza, di un servizio ferroviario dotato di un’adeguata frequenza dei treni e di un livello di servizio finalmente paragonabili a quello di altre metropoli europee. Lo studio propone altresì l’adozione di un sistema di greenways urbane che s’irradiano, prolungandone la presenza, dal Parco Centrale, anch’esso conformato secondo un modello polilobato lungo le principali direttrici di desiderio dei collegamenti ciclopedonali, che minimizzano l’interferenza con la rete della viabilità veicolare. I nodi urbani fra i sistemi della mobilità e del verde sono proposti come riferimenti fondamentali del sistema insediativo, luoghi preferenziali per la localizzazione dei servizi puntuali. Lo studio potrà contribuire ad una prima definizione sperimentale del complesso delle indicazioni fondamentali di valore strategico che il Comune - nell’attuazione del nuovo modello di pianificazione fondato sul binomio piano strutturale/concertazione - deve fornire agli operatori per esercitare il proprio ruolo di governo del territorio. Gianpaolo Maffioletti, consulente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Sesto San Giovanni, con la collaborazione di Laura Pogliani

Il Piano dei Servizi di Canegrate

Progetto: Il sistema del verde e delle greenways.

La Legge Regionale 1/2001 ha posto le basi per una decisa revisione della metodologia di pianificazione a livello comunale, sensibilizzando la disciplina urbanistica verso nuove for-

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re pubbliche, a fronte del carattere strutturale e strategico che le aree di trasformazione assumono per la riqualificazione della città, fornendo spazio, risorse e occasioni per l’innovazione del suo impianto infrastrutturale portante, a Sesto è apparso concettualmente prioritario e urgente affrontare il tema dei servizi in una accezione assai ampia, riservando particolare attenzione al sistema della mobilità con particolare riferimento ai trasporti pubblici, su ferro ed in sede propria, per offrire una realistica e forte alternativa all’uso generalizzato dell’auto privata, così da sostenere e favorire la grande potenzialità dei flussi vitali già oggi ben evidenti sul territorio e, contemporaneamente, contribuire al contenimento degli impatti del traffico sull’ambiente urbano. Si tratta dell’idea-guida portante del P.R.G., che affronta i problemi critici dei collegamenti della città con il sistema della mobilità intercomunale e nazionale e che collega inscindibilmente la trasformazione delle aree ex industriali alla realizzazione di nuove robuste ed efficienti dorsali portanti viabilistiche e trasportistiche che riqualifichino e colleghino l’esistente rete urbana all’impianto metropolitano nazionale ed europeo. Sulla base di quest’esperienza, il Piano dei Servizi, e i suoi futuri aggiornamenti che deriveranno anche dalla redazione del Quadro Organico di Riferimento (avente, ai sensi del P.R.G., fondamentali funzioni di coordinamento, relativamente a bonifiche, valutazione di impatto urbanistico-ambientale, realizzazione delle opere infrastrutturali, ecc.) e degli Accordi di Programma per la trasformazione delle aree dismesse, acquisirà un ruolo ed uno spessore rilevante, e, tutto sommato, assai vasto (anche se coerente con le linee guida espresse nella Circolare regionale “Criteri orientativi per la redazione del Piano dei Servizi”). In tale logica l’Amministrazione comunale ha promosso e presentato al pubblico nel maggio 2002 uno studio avente per oggetto i Sistemi e nodi strutturali della città pubblica che ha consentito, da un lato, di approfondire il tema delle infrastrutture come fattore di riqualificazione strutturale della città e, dall’altro, di proporre il concept design di alcuni luoghi che,


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me e modalità di programmazione, con particolare riferimento alla politica dei servizi. La principale novità riguarda l’obbligo di allegare al Piano Regolatore Generale un nuovo elaborato denominato “Piano dei Servizi” che deve contenere: • l’analisi e lo stato dei servizi pubblici e di interesse generale esistenti, valutati in base al grado di funzionalità e accessibilità; • la definizione della politica dei servizi su scala comunale, nel rispetto dei piani sovraordinati regionali o provinciali, con particolare riferimento ai livelli qualitativi raggiungibili e al grado di fattibilità, fruibilità e accessibilità delle attrezzature previste. La Legge Regionale precisa inoltre i seguenti criteri ai quali occorre attenersi nella redazione del Piano dei Servizi: • la funzione ambientale degli spazi verdi (riequilibrio ecologico, riduzione della pressione antropica, riqualificazione urbana attraverso il verde, ecc.); • l’organizzazione degli spazi di sosta come strumento cardine per il governo della mobilità; • l’incentivazione delle forme di concorso e collaborazione tra comuni e tra pubblico e privato per la realizzazione e gestione dei servizi. Sulla base di questa impostazione il P.R.G. è portato ad esprimere la propria strategia in maniera più propositiva rispetto al passato, aggiungendo una valutazione qualitativa a quella tradizionale, puramente quantitativa. Il Piano dei Servizi diventa così lo strumento che orienta le scelte e le iniziative della pianificazione comunale verso una effettiva e più realistica programmazione degli interventi, che dia certezza e concreta risposta alla legittima domanda dei privati assoggettati al regime giuridico, generalmente vincolistico, delle aree a standard. Direttamente collegato al tema del rapporto pubblico-privato è l’aspetto della valutazione economica degli interventi previsti e la definizione di modalità di intervento che consentano l’attuazione anche da parte di soggetti privati che, a fronte di un beneficio fiscale ed economico (non direttamente gravante sull’Amministrazione Comunale), si impegnino a garantire il servizio pubblico in sostituzione dell’Amministrazione stessa. In questa ottica, il “costo sociale/pubblico” si abbasserà in proporzione alle possibilità di intervento promiscuo (pubblico e privato) e i vantaggi del minor costo sostenuto saranno equilibrati grazie ad un accurato accordo per la gestione e l’utilizzazione delle strutture e dei servizi così realizzati. In termini procedurali e metodologici appare opportuno sottolineare che il Piano dei Servizi impone una maggiore articolazione e dettaglio nelle fasi decisionali, al fine di strutturare un vero e proprio quadro programmatico in grado di fornire anche i seguenti elementi: • individuazione dei livelli minimi accettabili per le singole tipologie di servizio; • valutazione delle caratteristiche strutturali dei servizi esistenti; • analisi della possibilità di potenziamento, ampliamento, riqualificazione e riconversione delle strutture esistenti. A queste valutazioni si deve accompagnare un quadro conoscitivo di tipo tradizionale, incentrato sui seguenti elementi: • elenco delle strutture esistenti; • individuazione del carattere del servizio offerto (struttura pubblica, privata di uso pubblico, privata con convenzionamento); • livello qualitativo dei servizi (accessibilità, modalità di gestione). Sulla base delle indicazioni di ordine generale sopra espresse il Piano dei Servizi di Canegrate è stato articolato secondo il seguente schema: Analisi • Analisi del sistema dei servizi con riferimento alla dotazione di attrezzature esistenti, all’idoneità del servizio offerto, agli spazi utilizzati, sottoutilizzati o inutilizzati; • Individuazione delle attrezzature al servizio della cittadinanza localizzate in comuni limitrofi; • Analisi del grado di utilizzazione delle attrezzature esistenti;

• Verifica del corretto inserimento all’interno del territorio comunale, in base alle caratteristiche dimensionali, al livello di accessibilità e di fruibilità e alle eventuali possibilità di ampliamento; • Analisi dei fabbisogni pregressi; • Valutazione del fabbisogno in base alle oscillazioni demografiche e alle dinamiche socio-economiche. Progetto • Definizione delle strategie generali per i servizi di interesse pubblico, comunali e sovracomunali; • Individuazione delle aree destinate ad attrezzature pubbliche e di interesse generale; • Definizione della specifica caratteristica/vocazione e la valutazione dell’idoneità urbanistica e territoriale in relazione al tipo di servizio previsto; • Indicazione delle priorità di intervento; • Modalità di intervento e attuazione. Il progetto di Piano per Canegrate Il P.R.G. di Canegrate si pone, all’interno del settore servizi, i seguenti obiettivi generali: 1. creazione di un sistema di parchi; 2. riorganizzazione della rete dei parcheggi; 3. potenziamento selettivo e mirato delle attrezzature ad uso pubblico; 4. attuazione semplificata; 5. definizione di priorità di intervento. Il sistema dei parchi Un “parco” assomma in sé molteplici significati e valenze: è un elemento qualificante di una porzione di città; è un fattore importante ai fini dell’equilibrio ecologico; è una componente fondamentale per la vita sociale delle persone. Il P.R.G., verificata l’assenza di aree che rispondono a tali caratteristiche, individua un articolato insieme di aree, prevalentemente poste all’interno del tessuto edificato che, opportunamente attrezzate e interconnesse, andranno a costituire la struttura primaria del sistema dei parchi urbani di Canegrate. Per arricchire e completare tale sistema il Piano identifica gli ambiti agricoli che caratterizzano il territorio comunale nel settore Sud-Ovest (già Parco del Roccolo) e tutte le aree non urbanizzate che hanno relazione ambientale o paesistica con il fiume Olona, sottoponendoli al regime dei Parchi Locali di Interesse Sovracomunale. Le scelte strategiche operate sono: • sostegno alle politiche sovracomunali finalizzate alla valorizzazione degli ambiti già sottoposti a iniziative di tutela; • concorso attivo alla creazione di nuovi ambiti tutelati; • mantenimento di consistenti aree a destinazione agricola, anche al di fuori dei parchi, quali ulteriori elementi di filtro e separazione fra edificato e aree di pregio ambientale. La rete dei parcheggi È ormai opinione consolidata che il governo della mobilità si attui anche, e soprattutto, attraverso una precisa programmazione e regolamentazione degli spazi di sosta. Canegrate presenta una forte carenza di parcheggi nelle zone centrali che, associata ad una storica sottodotazione di autorimesse private al servizio delle abitazioni, provoca un uso improprio delle sedi stradali, con evidenti effetti negativi sia sulla circolazione veicolare che su quella ciclopedonale. Il P.R.G. nell’affrontare questo tema ha posto quali precondizioni i seguenti princìpi: • è necessario gerarchizzare gli spazi pubblici, e più in generale il territorio, in funzione dell’uso che si vuole privilegiare; • l’accessibilità veicolare diretta e indistinta ai diversi servizi (pubblici e privati) non è una condizione necessaria per il funzionamento delle strutture. Il corollario territoriale di questi princìpi è che nelle aree del centro storico la mobilità ciclopedonale può essere prevalen-


Potenziamento e razionalizzazione dei servizi Sebbene la dotazione di attrezzature di Canegrate possa essere considerata abbastanza buona, la città dovrà dotarsi nel prossimo futuro di nuovi servizi per rispondere adeguatamente alle esigenze derivanti dalla trasformazione demografica e dalla nuova composizione sociale. Se da una parte va rilevato che non dovrebbero esserci riflessi sulle scuole, quantomeno dal punto di vista quantitativo, dall’altro si deve evidenziare che sono necessari potenziamenti e ampliamenti, sia nel campo della prima infanzia, sia in quello dell’assistenza agli anziani. Per quanto riguarda la componente sociale il modello di gestione dei servizi da approntare per il prossimo futuro deve valutare gli effetti derivanti da diversi fattori: • aumento del tenore di vita di una larga parte della popolazione; • diffusione di nuove forme di povertà; • necessità di rispondere e di integrare le esigenze di diverse etnie e culture; • modificazione della struttura occupazionale con riflessi sulle esigenze delle famiglie. Questo significa che saranno necessari maggiori spazi per il tempo libero, il divertimento, lo sport e la cultura, ma anche interventi mirati di sostegno verso le persone anziane sole o i disabili. Significa inoltre che si dovranno individuare spazi e forme per favorire l’integrazione sociale e civile degli immigrati, a partire dalle fasce di età più giovani. Significa infine che la velocità della società e la flessibilità della struttura occupazionale impongono di sviluppare nuovi servizi alle famiglie, affinché si possano adeguatamente coniugare le necessità lavorative con le altre attività quotidiane. Il P.R.G. concorre alla costruzione di questo nuovo modello di servizi attraverso una programmazione degli spazi e delle attrezzature che tenga conto delle diverse esigenze, e che consenta margini di flessibilità proporzionali alla velocità delle trasformazioni. Modalità di attuazione In accordo con gli orientamenti più recenti in materia di “standard urbanistici” il P.R.G. riconosce la necessità e l’opportunità di introdurre nuove forme di attuazione delle previsioni pianificatorie legate ai servizi, che vedano un maggiore coinvolgimento dei soggetti privati. Dati gli ostacoli che le Amministrazioni Comunali hanno dovuto e devono superare per dare concretezza alle previsioni contenute negli strumenti urbanistici, (difficoltà sia di ordine economico legate al quadro fiscale e finanziario dei comuni, sia di tipo procedurale connesse con la mancanza di una normativa esplicita e chiara sugli espropri) appare sempre più auspicabile il ricorso a forme di collaborazione stretta fra pubblico e privato sia nella fase attuativa che in quella di gestione dei servizi. Alla luce di ciò il P.R.G. prevede che, oltre agli enti istituzionalmente preposti, anche i soggetti privati possano attuare le previsioni relative alle aree a standard urbanistici. In sintonia con il principio di flessibilità è inoltre possibile che siano presentate proposte diverse da quelle contenute nel P.R.G., purché adeguatamente motivate e razionalmente integrate con la strategia generale precedentemente delineata. A tale scopo gli operatori privati dovranno proporre all’Amministrazione Comunale iniziative e progetti che tengano con-

to dei seguenti fattori: grado di priorità attribuito alla specifica tipologia dal Piano dei Servizi; interazione territoriale e/o funzionale con altri servizi; offerta esistente (valutando eventualmente la disponibilità di strutture analoghe anche all’esterno del territorio comunale); bacino di utenza ipotizzato; accessibilità veicolare e ciclopedonale (per le eventuali proposte difformi rispetto al P.R.G.); idoneità del sito e del contesto urbano (per le eventuali proposte difformi rispetto al P.R.G.). Ogni progetto o iniziativa deve garantire, attraverso opportuna convenzione, l’uso pubblico delle strutture, impianti e aree attuate da parte di soggetti privati. Questa condizione appare inderogabile, oltre che logica, al fine di assicurare la funzionalità dell’organismo urbano e la sufficiente dotazione di servizi alla cittadinanza, così come ipotizzato dal P.R.G. A tale scopo le proposte di convenzionamento devono evidenziare: • gli spazi destinati all’uso pubblico; • le modalità di accesso e le eventuali limitazioni orarie; • le eventuali strutture e/o attrezzature complementari ad uso pubblico ridotto; • le modalità di gestione; • gli oneri a carico dell’Amministrazione Comunale, intesi quali contributi alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione degli spazi e delle attrezzature previste; • la redditività economica del servizio, con l’indicazione della eventuale quota riservata all’Amministrazione Comunale; • la forma di uso delle aree (diritto di superficie, proprietà, affitto, ecc.); • le modalità e i tempi per l’eventuale cessione definitiva delle aree e delle strutture alla Amministrazione Comunale. In aggiunta all’iniziativa privata il P.R.G. individua e sostiene la possibilità di attuare alcune tipologie di servizi in modo coordinato fra diverse amministrazioni comunali, al fine di ridurre i costi, garantire un livello di qualità elevato ed evitare duplicazioni (peraltro dannose anche dal punto di vista economico/gestionale). A tale scopo appare sempre più opportuno valutare i fabbisogni in termini sovracomunali e attivare forme di consultazione allargata già nella fase di avvio di quei progetti di servizi che possono avere riflessi anche sui territori confinanti. L’ipotesi appare particolarmente utile, anche in relazione alla morfologia urbana del contesto territoriale in cui si inserisce Canegrate, che vede una suddivisione amministrativa largamente superata da una evoluzione dell’edificato che ha portato alla completa saldatura dei diversi centri. Priorità di intervento In relazione alla disponibilità di aree idonee per dimensione e localizzazione agli specifici utilizzi previsti, il Piano individua come prioritari a livello comunale i seguenti interventi: • la ridefinizione del verde pubblico attrezzato attraverso la realizzazione di parchi urbani; • l’attuazione del sistema dei parcheggi pubblici al servizio del centro storico; • la realizzazione delle strutture al servizio degli anziani. La presenza dell’Olona caratterizza e condiziona una parte importante del territorio comunale di Canegrate. Il P.R.G. considera prioritari il recupero e la salvaguardia del fiume e degli ambiti ad esso connessi, secondo un progetto unitario sovracomunale che porti alla ricostruzione delle valenze ambientali e paesistiche e che consenta una fruizione diffusa delle aree. A tale scopo appare importante proseguire l’iter per l’istituzione del Parco Locale di Interesse Sovracomunale Medio Olona e giungere al più presto alla richiesta di riconoscimento. Parallelamente a questo è altrettanto importante concludere la procedura per la definitiva approvazione del Programma Pluriennale degli Interventi relativo al Parco del Roccolo, al fine di poter iniziare velocemente la fase attuativa. Fabrizio Monza

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te rispetto a quella veicolare e che i parcheggi possono essere previsti in prossimità e non in stretta adiacenza rispetto alle strutture di servizio. Per dare risposta concreta alla esigenza sopra descritta, il P.R.G. propone la realizzazione di una serie di parcheggi-satelliti posti a corona del centro storico, che possono essere ricavati in parte negli spazi derivanti dalla riorganizzazione delle sedi stradali e in parte nelle aree appositamente destinate.


Varese a cura di Enrico Bertè e Claudio Castiglioni

Il Piano dei Servizi del Comune di Cardano al Campo

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Il Comune di Cardano al Campo ha una popolazione di circa 12.000 abitanti, è situato a ridosso della aerostazione di Malpensa, con la quale è direttamente collegato con la SS. n. 336, è inserito nel territorio del Parco del Ticino ed è dotato di un P.R.G. approvato nel 1991; per la sua collocazione, e per gli ampi spazi che il P.R.G. ancora offre agli operatori nel settore terziario, e in particolare ricettivo, il territorio è soggetto a forti sollecitazioni dall’esterno. Il mandato dell’Amministrazione Comunale consisteva nella formazione del Piano dei Servizi con procedura di approvazione semplificata, in quanto non si volevano introdurre nello Strumento Generale varianti sostanziali che non fossero direttamente connesse con il Piano dei Servizi. Oltre alla necessità, infatti, di cogliere tutte le opportunità offerte dalla legge 1/2001 per una rivisitazione generale dei servizi comunali, esisteva anche un motivo contingente in quanto il P.R.G., elaborato negli anni ‘80, disponeva di una normativa ormai inadeguata a gestire correttamente l’insediamento di nuove strutture terziarie di notevole peso, oltre che di edilizia residenziale, in misura superiore al territorio circostante, tutte dovute all’indotto di Malpensa; l’elaborazione di una nuova normativa nella gestione dei piani esecutivi è stata per questo uno dei contenuti prioritari del Piano dei Servizi. In relazione a questa esperienza è apparso subito evidente come il Piano dei Servizi, specie se introdotto su una base di P.R.G. elaborata da più di un decennio, sia uno strumento che può incidere profondamente sui suoi contenuti e, in modo particolare, sulle modalità di gestione. I contenuti Le aree a standard Con i nuovi parametri introdotti per il calcolo della capacità insediativa residenziale, e con quelli in riduzione per il produttivo, si pone un problema di ridimensionamento delle aree a standard e di assegnazione di nuove destinazioni a quelle in eccesso; diventa quindi necessario chiarire con quali criteri, in una specifica realtà territoriale, può essere operata questa riduzione; questi criteri, infatti, possono essere molto diversi a seconda del territorio sul quale si viene ad operare. Nel caso di Cardano al Campo si è operato su più fronti: • In Zona G del P.T.C. del Parco del Ticino era stato posto uno standard residenziale su una cava in attività di 100.000 mq; lungo il torrente Arno era stato localizzato uno standard produttivo molto esteso; in questi casi, più che in base ad un criterio di qualità, la scelta di declassificare queste zone è stata dettata da motivi di incompatibilità funzionale; si è ritenuto che per la loro dimensione, collocazione, qualità ambientale e/o per il livello di degrado dovuto ad interventi antropici, questi ambiti, previ interventi di recupero ambientale previsti anche dalla normativa del P.T.C. del Parco del Ticino, potessero meglio svolgere la loro funzione come Spazi per attrezzature pubbliche di interesse generale di cui all’art. 4 del DM 2/4/68 e di classificarli come tali, anche se il Comune di Cardano cade sotto la soglia dei 20.000 abitanti; • altri standard, quelli più estesi in particolare, sono stati ridimensionati ricorrendo alla loro trasformazione in piani

esecutivi residenziali a bassa densità insediativa, con obbligo di cessione dei 2/3 della Superficie Territoriale; • altri ancora, produttivi e residenziali, sono stati invece selezionati in base a criteri di qualità, ovvero alla loro attitudine, per accessibilità, dimensione, caratteristiche morfologiche, a svolgere il servizio richiesto; si ritiene che questi siano i parametri in base ai quali valutare il livello di qualità di un’area a standard, parallelamente alla qualità architettonica per le strutture edilizie. I servizi “immateriali” Al fine di individuare i bisogni in questa categoria di servizi sono state realizzate interviste mirate: a testimoni privilegiati (assessori, funzionari comunali, operatori nel sociale) e a cittadini suddivisi in tre classi di età (da 0 a 15, da 16 a 30, gli anziani). Sono emerse alcune valide indicazioni, per le quali si è posto il problema della rappresentazione, velocemente risolto riportando quelli che non avevano una precisa collocazione o dimensione spaziale nella parte illustrativa-programmatica, mentre quelli che esigevano la previsione di spazi e/o strutture edilizie venivano rappresentati anche cartograficamente; si rileva comunque la necessità di ricercare strumenti di rappresentazione che possano rappresentare con più completezza ed efficacia questa categoria di servizi. Le modalità di gestione Il Piano dei Servizi ha svolto una funzione importante nella ricerca di una diversa modalità di gestione delle previsioni del P.R.G. attraverso la proposizione di una nuova normativa indirizzata in particolare all’attuazione dei Piani Esecutivi, al fine di individuare sistemi di aree a standard che rispondessero il più possibile ai criteri di qualità prima descritti; il P.R.G. infatti non poteva garantire questo risultato, in quanto le stesse aree non erano in gran parte localizzate e la loro definizione, fatta dagli operatori privati, rispondeva prevalentemente a logiche privatistiche. Per questo, in un ambito strategico per il territorio di Cardano, in quanto tangente al nuovo tracciato della SP 28 previsto dal Piano d’Area di Malpensa, dove sono previsti numerosi e consistenti interventi di edilizia ricettiva e commerciale, il Piano dei Servizi impone la localizzazione di una parte delle aree a standard lungo l’asse stradale per una profondità di 30 m destinata a verde di filtro, parcheggi e viabilità di servizio, al fine di creare un sistema coordinato e integrato ricettivo, commerciale e viabilistico di una certa rilevanza; per questo, in tutti i Piani Esecutivi residenziali e produttivi, gli standard sono stati perimetrati, al fine di evitare la loro suddivisione in tanti episodi di scarso rilievo e la loro collocazione in siti non idonei. Sempre al fine di garantire una corretta dotazione di aree a standard, in ambiti sprovvisti, sono stati individuati, sia nel residenziale che nel produttivo, nuovi interventi soggetti a Piano Esecutivo. Il ruolo programmatico del Piano dei Servizi A Cardano al Campo la programmazione degli interventi è stata prevista per i prossimi 5 anni, facendo coincidere questo arco temporale con un mandato amministrativo; una programmazione su un periodo più lungo e una gestione portata avanti da Giunte diverse avrebbero reso meno credibile il Piano dei Servizi. A questo punto viene spontanea una considerazione: il Piano dei Servizi assomiglia molto al Piano Operativo, ovvero Piano del Sindaco, in quanto si pone, rispetto alla pianificazione comunale, in un rapporto molto simile. Antonio Locati Comune di Cardano al Campo, Piano dei Servizi


A cura della Redazione

Programma Integrato di Intervento Milano “Montecity-Rogoredo” Paolo Riganti, Rosina Pianta). Nel giugno scorso il P.I.I. è stato approvato dalla Giunta comunale, mentre nei prossimi mesi è prevista la stipula dell’accordo di programma, che ne sancirà l’attuabilità costruttiva. L’“idea di città” e il progetto che sinteticamente la esprime, fonda le proprie ragioni sui temi della centralità urbana dello spazio pubblico e dell’articolazione funzionale, quali elementi strutturanti e qualificanti il vivere collettivo. Si tratta di un “programma integrato di intervento”, denominato “Montecity-Rogoredo”, che basa i presupposti generali su tre temi, l’”ampliamento del mercato urbano”, assunto a partire dalla residenza, variamente articolata tipologicamente e spazialmente; la localizzazione di “grandi funzioni urbane” a livello sovracomunale, quali il Centro Congressi; la novità del “modello di organizzazione spaziale”, che configura l’area quale tassello intermedio tra il sistema infrastrutturale urbano consolidato e l’ambito regionale Sud-orientale. Il tema della “qualità urbana ed ambientale” è stato affrontato con l’introduzione di una pluralità di funzioni e presenza di attività di pregio, che si declina con il sistema degli spazi pubblici, per un sostanziale superamento del rapporto centro-periferia. L’impianto si struttura morfologicamente su di un asse principale di riferimento, disposto ortogonalmente rispetto al previsto tracciato della Nuova Paullese e che connette, integran-

Il Boulevard di ingresso all’abitato dalla strada Paullese in direzione della Stazione di Rogoredo.

25 Planivolumetrico dell’intervento.

Argomenti

L’ambito urbano interessato dal progetto di riqualificazione dell’area ex Montedison, nella periferia meridionale milanese, a Rogoredo (recentemente acquisito dall’imprenditore Luigi Zunino), è delimitato a Nord dai quartieri di via Mecenate e viale Ungheria, a ovest dai tessuti cresciuti a ridosso della linea ferroviaria, a sud-ovest dal centro di Rogoredo. È servita dai principali assi infrastrutturali che connettono Milano con il lodigiano: la tangenziale, la Strada Statale Paullese e l’Autostrada A1; a sud, dalla Via Emilia e dalla stazione ferroviaria. È infine nel raggio di un chilometro dallo scalo di Linate e da quello per voli privati dell’Ata. L’abbandono, in tempi recenti, delle strutture tecnologicoproduttive, che per quasi un secolo hanno caratterizzato il luogo dal punto di vista sia funzionale che morfologico, di fatto consegnano all’attualità un paesaggio urbano “astratto” dal contesto che lo delimita, avulso da qualsiasi relazione ambientale e morfologica con l’intorno. Il progetto, redatto da Paolo Caputo (con Luciana De Rossi, Alessandro Finozzi e con Matteo Milani, Monica Sarà, Rita Strati, Irene Longoni, Sebastian Morineau, Roberto Pigorini; da Raum s.r.l., Giovanni Carminati, con Marco Cerri, Francesco Moglia; per il verde, da Franco Giorgetta, con Pier Alberto Ferrè, Carolina Rozzoni) è stato definito nei contenuti e nella procedura attuativa dalla Direzione P.I.I. del Comune di Milano (Paolo Simonetti, Leonardo Cascitelli,

L’asse di attraversamento del parco e di collegamento tra Rogoredo e Montecity destinato alla tranvia e ai pedoni. doli in un segno unitario, i due insediamenti di Montecity (zona Bonfadini-Morsenchio) e Rogoredo (zona Paullese-Rogoredo). L’asse è costituito dal vasto parco centrale, che si sviluppa longitudinalmente per quasi un chilometro con andamento Nord-Est/Sud-Ovest, come “armatura” a scala urbana e territoriale, in grado di relazionarsi con il verde metropolitano; altresì quale elemento di saldatura tra le due nuove polarità urbane e un nuovo sistema relazionale tra parti di città storicamente non direttamente connesse. L’area Bonfadini-Morsenchio (Montecity) si specifica in un impianto con spiccate caratteristiche urbane e assume una morfologia assiale, orientata in relazione alle giaciture del preesistente impianto produttivo; struttura con andamento NordSud l’area orientale dell’insediamento, in una conformazione lineare dell’impianto, assimilabile all’idea della strada, dello spazio longitudinale, che raccoglie, convoglia e distribuisce capisaldi funzionali (Centro Congressi, Multiplex, am-

biti commerciali, strutture ricettive) e tessuto connettivo. A tale sistema è complementare uno spazio ellittico, che orienta il suo asse maggiore ortogonalmente rispetto all’andamento della strada e rappresenta la traccia di un vasto ambito residenziale, affacciato su di una grande area a giardino. Il vuoto ha il compito di concludere e raccogliere, per poi scomporlo e farlo filtrare verso la strada ed il contesto, il segno costituito dai percorsi pubblici che costeggiano il parco a partire dall’ambito di Rogoredo (percorso ciclo-pedonale, tramvia). L’area Rogoredo si costruisce su di un binomio di riferimenti: da un lato poggia sul sistema infrastrutturale, costituito dalla stazione ferroviaria e dal tracciato romano della Via Emilia; dall’altro si relaziona con il nucleo storico, del quale diviene naturale estensione. A ciò si sovrappone, integrandosi, il disegno del parco, al quale è demandato il compito di organizzare spazialmente l’assetto degli insiemi urbani. Si configura in uno spazio lon-


Tabella dati quantitativi Superficie territoriale P.I.I. S.l.p. di progetto Così suddivisa: Residenza Terziario Ricettivo Commercio Funzioni compatibili Residenza alberghiera (connessa alla Struttura Socio Sanitaria)

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Aree a standard richieste Verde e servizi Parcheggi pubblici Aree a standard di progetto Parcheggi pubblici Parco/giardini Piazze e percorsi pedonali

Argomenti

Aree destinate a strutture pubbliche: Centro Congressi, Struttura Socio Sanitaria, Attrezzature religiose, Asilo - scuola materna, Centro Civico gitudinale, lungo il quale l’edificazione si dispone su due segni rettilinei, che si rafforzano sugli assi relazionali, a Est il “boulevard” (asse viario primario) e a Ovest la “Strada canale” (percorso ciclo-pedonale, tramvia, canale d’acqua). Nel sistema si intrecciano, interagendo, attività legate alla cultura e alla formazione, all’intrattenimento e al consumo del tempo libero, alla sanità, allo sport e al sistema del parco, alla ricettività, al terziario, ai servizi. Il progetto del verde propone un nuovo paesaggio, alla cui formazione so-

1.111.573 mq 614.900 mq 270.885 162.785 73.280 30.000 70.450 7.500

mq mq mq mq mq mq

590.723 379.334 211.389 641.672 211.400 333.187 55.201

mq mq mq mq mq mq mq

48.324 mq

no chiamati a contribuire simultaneamente elementi macro e micro locali e globali, e suggerisce nuovi e più attuali modi di vivere la città. Roberto Gamba p.s. Si apprende infine, leggendo sui maggiori quotidiani, che ugualmente hanno pubblicato la notizia dell’importante iniziativa imprenditoriale, che un grande personaggio internazionale, Norman Foster, interverrà nel progetto. Con quale ruolo, rispetto al progetto di piano qui presentato? Perché?

I lavori alla Stazione Centrale La Stazione Centrale di Milano sarà soggetta ad un massiccio intervento di rinnovo e di trasformazione. L’iniziativa è finanziata in parte dalle Ferrovie dello Stato (danaro pubblico) e in parte da grossi imprenditori (danaro privato). Il progetto di rinnovo rientra nell’ambito di un generale programma edilizio che le Ferrovie dello Stato intendono avviare iniziando dalle principali stazioni della rete nazionale. Prima di fare un commento al progetto è opportuno esporre alcune osservazioni critiche alla procedura adottata nell’assegnazione dell’incarico ed ai criteri da cui è partita l’iniziativa. La prima critica riguarda le modalità di assegnazione del progetto, avvenuta mediante incarico diretto e non mediante concorso. L’opera è pagata con danaro pubblico, quindi per legge deve essere eseguita in seguito a regolare concorso pubblico. La seconda critica denuncia la scarsa utilità dell’operazione di

fronte a carenze, ben più urgenti, imputabili alle Ferrovie dello Stato. Ci si domanda perché, prima di ristrutturare le stazioni, non si sia rinnovato il materiale rotabile (vagoni merci, carrozze passeggeri, locomotive); non si sia potenziata la rete ferroviaria (binari, scambi, linee elettriche, tracciati per l’alta velocità); non si siano migliorate le condizioni di viaggio (puntualità, rispetto delle coincidenze, prevenzione dei guasti). La terza critica si indirizza alla destinazione attribuita all’edificio della stazione, destinazione che viene snaturata e distorta. La stazione deve anzitutto servire a chi viaggia, non a chi fa compere; deve essere anzitutto una attrezzatura per il trasporto; non è un emporio di merci, o un luogo di acquisti. La quarta critica è rivolta alla posizione ambigua che è stata assunta nei confronti dell’edificio esistente: da un lato se ne raccomanda la generale conservazione, dall’altro se ne permettono trasformazioni radi-

cali. Così facendo si perde l’edificio storico e originario ma non si ottiene un edificio nuovo e funzionale. La quinta critica riguarda il silenzio da cui tutta l’operazione viene avvolta. Nessuna informazione data dalla stampa, nessuna notizia divulgata al pubblico, nessun commento o dibattito aperto a tutti i cittadini. Passando ora al commento del progetto si rilevano i seguenti difetti: il primo difetto si può definire di grave insensibilità di fronte al carattere eccezionale degli spazi e dei volumi che contraddistinguono l’edificio; il progetto non si propone né di rispettarli né tanto meno di valorizzarli; e non si perita di introdurre una gratuita accozzaglia di elementi “moderni”, tecnologici, meccanici (pensiline, soppalchi, ponti aerei, balconate, passerelle, vetrine), elementi che nulla hanno a che fare con la funzionalità della stazione, ma servono solo ad aggiungere numerose superfici a destinazione commerciale in cui aprire negozi e spacci di vendita. E ciò non sarebbe necessariamente un male, se gli spazi aggiunti non pregiudicassero l’uso razionale della stazione. In realtà la funzionalità dell’edificio sarà gravemente compromessa perché il tragitto che si dovrà percorrere per raggiungere la biglietteria ed i treni è artificialmente allungato così da obbligare i viaggiatori a transitare davanti alle vetrine. Il secondo difetto del progetto riguarda la scarsa comprensione dei pochi ma pregevoli aspetti funzionali che la stazione ha il merito di offrire. Perché non mantenere alla galleria delle carrozze la destinazione del progetto originale? Perché sostituirla, come propone il progetto, con nuovi posteggi e far sostare i taxi all’esterno della stazione? Perché sottrarre aree pubbliche alle due piazze laterali che fiancheggiano l’edificio, quando la grandiosa galleria delle carrozze funge da ampia piazza coperta, perfettamente adatta all’arrivo e alla partenza delle autovetture? Le stesse osservazioni si possono ripetere per la sala dei biglietti. La sala dei biglietti, posta accortamente lungo il percorso che dalla galleria delle carrozze conduce alla galleria dei treni, non ha nessun bisogno di essere trasferita altrove. Perché arretrarla ed allontanarla dall’ingresso allungando sensibilmente i percorsi dei viaggiatori? Perché creare un irrazionale incrocio di percorsi tra chi è diretto alla biglietteria e chi è diretto ai treni, e procurare alle due correnti di viaggiatori un grave reciproco disturbo? Il terzo difetto del progetto è

l’incomprensibile collegamento sotterraneo tra le due piazze poste ai lati est e ovest della stazione. A che serve questo collegamento? I viaggiatori in arrivo o in partenza non chiedono di deambulare da una piazza all’altra; hanno invece bisogno di un collegamento pedonale che unisca tanto l’una quanto l’altra piazza con la sala dei biglietti posta nel centro della stazione; tale collegamento oggi è ancora mancante, ma sarebbe di facile attuazione se soltanto si rendessero transitabili le aperture già esistenti sui due fronti laterali della stazione. Nessuno nega la necessità di realizzare alcune migliorie all’interno della attuale stazione; tuttavia sono sufficienti pochi lavori di costo modesto. Anzitutto modificare l’attuale collegamento con la metropolitana, e trasferirlo dalla galleria delle carrozze, dove si trova adesso, alla sala dei biglietti, dove i viaggiatori, usciti dalla metropolitana, avrebbero il vantaggio di trovarsi direttamente davanti agli sportelli senza dover incrociare percorsi carrai né interferire con altri percorsi pedonali. In secondo luogo potenziare il numero e la velocità degli impianti di sollevamento che collegano la sala dei biglietti con la galleria dei treni. Gli attuali ascensori sono insufficienti, lenti e mal collocati; le scale mobili non sono adeguate ad un transito intenso. In terzo luogo introdurre un nuovo collegamento diretto tra metropolitana e galleria dei treni, scavalcando la sala dei biglietti. Questo collegamento, oggi inesistente, dovrebbe essere realizzato con ascensori capaci e veloci, così da consentire, a chi arriva dalla città con la metropolitana, e già possiede il biglietto ferroviario, di raggiungere direttamente i treni; e a chi arriva da fuori città con il treno, ed è diretto al centro urbano, di raggiungere rapidamente la metropolitana. In quarto luogo assicurarsi che i numerosi sportelli di vendita dei biglietti siano sempre aperti e accessibili al pubblico. Troppo spesso li vediamo sbarrati dal cartello di chiusura, ed assistiamo a lunghe ed impazienti code, indegne di un servizio ferroviario moderno. In quinto luogo esigere maggiore efficienza e disciplina da parte del personale di servizio: addetti all’ufficio informazioni, responsabili dei carrelli porta bagagli, corpo di polizia ferroviaria. Questi pochi ma fondamentali interventi sarebbero sufficienti a rendere la Stazione di Milano adeguata alle esigenze di una metropoli contemporanea. Jacopo Gardella


Rimozioni alla Triennale Guido Canali, Guido Canella, Howard Burns, Eduardo Souto de Moura, Heinrick Heissler, Italo Lupi, Tobia Scarpa, Giovanni Raboni, Luciano Patetta, Antonio Monestiroli, Daniele Vitale) e l’interrogazione presentata dai Ds al Consiglio Comunale circa le decisioni della Triennale, testimoniano entrambe di questa duplice valenza culturale e procedurale (cfr. “la Repubblica”, Milano … luglio 2002; “La Stampa”, Milano 30 luglio 2002 e Milano 3 agosto 2002; www.dscomune.milano.it). Non sono mancati elementi polemici e di facile consenso in nome di un recupero del progetto di Muzio che l’attuale progetto avrebbe compromesso: a questo proposito si richiama “il chiaro intento di salvaguardia nei confronti del manufatto storico, mirando ad un recupero filologico sia dell’impianto che dei caratteri originali” che opera piuttosto per sovrapposizioni nelle sue disposizioni e dimensioni spaziali, proponendo una lettura del preesistente senza entrare in competizione; si ricorda che l’ “intervento di ristrutturazione” ha recuperato per quanto possibile l’impluvium, ha riportato alla luce e restaurato il suo pavimento in litoceramica e i muri originali in klinker;

Umberto Riva, Triennale di Milano. Vedute dell’atrio d’ingresso con la biglietteria e l’entrata alla libreria (foto: Marco Introini).

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Umberto Riva, Triennale di Milano. Veduta del portale d’ingresso (foto: Marco Introini). “in una fase successiva si prevede di riaprire il soffitto e ripristinare la doppia altezza”, come si osserva sull’articolo di “Domus” n. 767 del gennaio 1995. Al di là dell’evidente conflitto tra le tensioni al rinnovamento della Triennale e le necessità di salvaguardare alcune opere di architettura contemporanea particolarmente significative per i caratteri formali di compiutezza e di articolazione spaziale nel totale rispetto della preesistenza, appare evidente con un certo sconcerto la frettolosità con cui si è giunti alla demolizione dell’opera di Umberto Riva, senz’altro da mettere in relazione col coro di proteste sollevate dalla notizia di un nuovo progetto di altri degli spazi di ingresso, libreria e bar. L’opera di Riva è oramai demolita e viene da chiedersi quale sia stato il destino di una serie di parti che, al di là dell’intrinseco valore economico e dell’intelligenza del fare, senz’altro non sottovalutabili, presentavano possibilità di riutilizzo anche al di fuori dell’unitarietà dell’intervento: in particolare il gruppo bar e la libreria che potevano essere ricollocati altrove. Anche questo è un ulteriore elemento che fa ritenere importante la messa a punto di procedure atte a garantire il rispetto, se non altro, delle opere che si intendono sostituire. Trattandosi in questo caso di un Ente pubblico, tale aspetto procedurale assume una rilevanza paradigmatica e pertan-

to diviene ineludibile, essendo la Triennale rappresentata dal Ministero dei Beni Culturali e dal Comune di Milano. Naturalmente la necessità di elaborare strumenti adeguati al controllo e alla gestione di procedure di modificazione, alterazione o sostituzione di costruzioni rilevanti da un punto di vista qualitativo, riguarda tutte le opere architettoniche considerabili entro questa categoria, siano esse edifici, loro parti o architetture dell’interno. Qualcuno potrebbe sostenere che l’opera di Riva nasce come allestimento e quindi, in quanto tale, soggetta ad un consumo culturale e fisico che ne decreterebbe la condizione automatica di sostituibilità. Si ritiene che l’appellarsi a questo genere di labili ma presunte motivazioni, non aiuta a definire atteggiamenti condivisibili per il futuro delle scelte di enti in particolare di carattere pubblico. Non vorremmo infatti che la logica della sostituibilità incessante, dell’invecchiamento precoce di tutto a favore delle mode e delle presunte necessità di aggiornamento, prendessero il sopravvento sulle possibilità di istituire procedure in grado di decelerare la spirale della novità a favore dell’auspicata possibilità da parte dell’amministrazione, così come del pubblico di esperti e di fruitori, di riconoscere i valori di permanenza delle opere di qualità. Annalisa de Curtis

Argomenti

La recente demolizione delle sistemazioni del piano terreno del Palazzo dell’Arte, realizzate da Umberto Riva nel 1994 e la realizzazione di un nuovo progetto di Michele De Lucchi, ripropongono al dibattito architettonico e culturale il tema urgente della conservazione di opere contemporanee d’autore. La questione riguarda almeno due livelli: da un lato esiste senz’altro un problema di tipo culturale, legato alla qualità intrinseca dell’opera, che richiederebbe strumenti per una valutazione obiettiva circa la necessità di mantenere o meno le opere stesse; dall’altra è oramai assolutamente evidente che questo tipo di azioni necessita di trasparenza nelle procedure, quindi di criteri di intervento che possano garantire di una collegialità delle decisioni supportate da chiari elementi procedurali, in cui i criteri di ordine funzionale non siano gli unici o i principali, utilizzati per giustificare operazioni di rimozione. Il dibattito avvenuto su alcuni quotidiani a seguito di una raccolta di firme per il mantenimento dell’opera, che ha visto coinvolti personaggi significativi ed illustri del panorama architettonico italiano ed europeo (tra gli altri Alvaro Siza,


A cura di Roberto Gamba

Concorso d’idee per la riqualificazione della piazza San Eusebio e delle zone limitrofe di Agrate Brianza

Concorsi

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Agrate Brianza, importante nodo viario e centro fortemente industrializzato, con industrie meccaniche, tessili, del legno e di microelettronica, sorge su una pianura terrazzata che si è formata in seguito alle quattro glaciazioni che hanno eroso, inciso e lasciato depositi sul territorio. Dal punto di vista idrogeologico l’area è caratterizzata da successioni litologiche costituite da sabbie e ghiaie a matrice argilloso-limosa di spessore fino a 10 m. Esiste probabilmente fin dal terzo secolo d.C. È stata un possedimento longobardo, franco, Comune e infine parte di

1° classificato PG studio: Eliana Pasquini, Marino Gornati Il territorio del Comune, pur avendo un tessuto omogeneo con una identificazione storica importante, manca di una zo-

un feudo; in seguito è passata sotto la dominazione spagnola (1535-1713) e sotto quella austriaca (1713-1796). Gli ultimi “padroni” furono i francesi, ma nel Novecento vi troviamo ancora gli austriaci. Il concorso si propone di qualificare l’assetto “dell’area centrale” del Comune, così il progetto deve offrire una soluzione razionale che sia in grado di valorizzare con la massima espressività architettonica e funzionale, lo spazio racchiuso dalle case che vi si affacciano, contribuendo a definire l’identità del “centro” del paese.

na centrale di aggregazione. Questo fulcro è la chiesa di Sant’Eusebio dell’omonima piazza e il progetto manterrà infatti la quota della prima parte del sagrato come unica per l’intervento. Dalla chiesa si originano direttrici (linee inserite nel-

la pavimentazione in pietra), che riescono a racchiudere in sé tutti i contorni e i limiti del nuovo centro urbano. Queste vengono interrotte da altre due linee, con movimento dolce e sinuoso (spine line - linee curve luminose anche di notte), che creano con il loro andamento spazi socialmente significativi, con elementi di aggregazione e svago (sedute “a nastro” in legno e pietra), arredo urbano (cestini, lampioni) e fonti di luce incassate a terra, che danno origine a un percorso luminoso. La linea retta è intesa e concepita come segno del passato, come “origine” e la linea curva come progressione verso il “futuro”. Il futuro, intersecandosi con il passato, dà vita a un disegno innovativo, che racchiude in sé, non solo spazi e segni grafici forti, ma anche il tentativo di concepire in modo differente la nuova piazza urbana. Il portico esistente a uso commerciale viene raddoppiato e specchiato, in corrispondenza dell’ingresso al vecchio edificio comunale, originando una suc-

cessione di portali che, nelle nette scansioni ortogonali dei suoi architravi, forma un cannocchiale ottico che porta alla chiesa. A fianco di tale struttura si trova una vasca d’acqua, a filo pavimentazione, che crea una barriera protettiva del percorso pedonale sottoportico e al tempo stesso innalza un quinta bassa per l’alloggio di portabicilette. Gli spazi destinati al verde pubblico sono racchiusi in contorni precisi e contestualizzati al luogo in cui si vanno a collocare: viene liberato dall’attuale cancello l’edificio del vecchio Comune, per riportarlo alla sua funzione sociale, circondandone a verde l’ingresso; lungo la facciata sud della chiesa di S. Eusebio viene inserito un triangolo a giardino e si prevedono delle riseghe rettangolari, crescenti lungo il lato nord della chiesa, in modo da ritmare la scansione dei contrafforti delle navate della chiesa. Il vecchio palazzo comunale verrà adibito, nella nuova organizzazione, a biblioteca telematica, spazio socio/culturale.

2° classificato Tommaso Giudici, Patrik Spreafico

conformazione (la scuola, l’asilo, il teatro, la piazza S. Eusebio rialzati per maggiore protezione dal traffico, l’accesso al centro per Anziani a raso per facilitare l’accessibilità), così che una regola rigida generasse il disegno del centro storico, con estrema attenzione però alle necessità funzionali. In piazza S. Eusebio e in piazza e via S. Paolo, è possibile realizzare un nuovo sagrato rialzato di circa 75 cm, che recupera il dislivello tra la strada e il piano interno della chiesa. Tutta la restante parte della piazza, dotata di un contorno rigido, è stata rialzata di 15 cm, trovandosi quindi alla quota della pavimentazione di piazza S. Paolo. La piazzetta S. Maria, attualmente un banale parcheggio, vede un intervento delicato e semplice. Viene introdotto un segno leg-

I caratteri dello sviluppo dell’aggregato urbano di Agrate Brianza si possono facilmente desumere anche da un’analisi delle attuali planimetrie. Nata attorno alla chiesa ed al vecchio nucleo circostante il vecchio edificio municipale, lo sviluppo è stato molto rapido e cospicuo solo nella seconda metà del secolo scorso. Si è optato per non tentare un recupero del piccolo giardino in centro e per demolire il vecchio edificio del municipio e per accentrare le funzioni pubbliche fuori dal centro storico. L’introduzione del marciapiede rialzato o a raso è stata fatta per isolati, con lo sforzo di individuare situazioni che necessitassero dell’una o dell’altra


gero, parallelo al fronte stradale, che costituisce una sorta di parentesi a delimitazione dello spazio di pertinenza della

chiesina; è alto 1 metro e costituisce il sistema di contenimento per il nuovo palchetto di pertinenza della chiesa.

vertebrale, i cui anelli rappresentano aggregati urbani che con il tempo si sono ampliati e ramificati fino a costituire l’attuale realtà, fatta di un susseguirsi di edificato, distinto da confini virtuali e non percettibili sul territorio. Il Comune ha richiesto con que-

sto concorso idee progettuali di riqualificazione della centrale piazza Conciliazione, sotto diversi profili, in modo da farla diventare un ambito più accogliente per i cittadini e di conferirle i contenuti adatti, per un futuro centro propulsore di attività integrate pubbliche e private.

3° classificato Anna Gadda, Luciano Chiozzi Al fine di risolvere il problema della mancanza di un vero centro come punto di riferimento per la vita del paese e eventuali manifestazioni pubbliche e private, la piazza S. Eusebio deve essere recuperata nella sua unitarietà con i seguenti interventi: un parziale recupero dell’edificio del vecchio Comune, con una messa in rilievo delle aperture, con i portali sottolineati da colonne esterne, con sovrapposte sculture; l’inserimento di un nuovo elemento caratterizzante, una panca-scultura (formata da cinque blocchi di beola con sovrastante scultura e fontanella metallica terminale) posta in diagonale quale cerniera di-

namica di tutto l’intervento; una pavimentazione realizzata in cubetti di porfido e beola levigata, che, nell’accostarsi alla parete a esedra, si interrompe in modo frastagliato e lascia spazio a aiuole con alberi e cespugli; sul lato sud, il recupero del vecchio muro con funzione di quinta per l’edicola cilindrica rivestita con fasce di beola e sovrastante cupolotto in vetro; una fontana di forma circolare con inserito a cuneo il piedistallo della scultura preesistente con funzione di cascatella. Gli altri elementi formali della piazza sono la piantumazione con alberi ad alto fusto, l’illuminazione a lampioni ad essa intervallata e il recupero dell’antica magnolia vicino all’edificio del vecchio comune.

Concorso di progettazione per la sistemazione di piazza Conciliazione e aree adiacenti di Desio L’importante cittadina del milanese, che sorge lungo la direttrice Milano-Meda-Lecco, conta oltre 35.000 abitanti. Il suo tessuto urbano ha avuto un

forte sviluppo con la nascita della tramvia, lungo l’asse commerciale della Valassina, che collegava la Brianza a Milano. È questa una sorta di colonna

1° classificato Tommaso Giudici, Patrik Spreafico Il progetto ha ritenuto fondamentale introdurre una nuova fermata della tramvia proprio nella piazza, così che possa ritornare ad avere un ruolo di importante riferimento, punto di arrivo e non di passaggio o, peggio, di rotatoria. L’aumento di superficie conferirà più spazio alla pedonalità, rendendo possibile attraversare la piazza in ogni senso e creerà una maggiore integrazione tra le presenze importanti insediate. Vengono introdotti tre livelli, ciascuno con il proprio valore semantico: il primo, su cui poggia il monumento di Pio XI, circondato da una fontana a sfioro e da una serie di panche in legno, è trattato come luogo di sosta e di arrivo pedonale; il secondo, pavimentato in pietra chiara e posto a quota superiore, costituisce il sagrato della Basilica: è inteso come accesso all’edificio, ma anche come punto di osservazione del

centro urbano; il terzo livello, a quota più bassa, rappresenta il substrato, sul quale poggiano i due elementi precedenti, è pavimentato con materiali differenti, a seconda della destinazione d’uso del suolo. Esso costituisce il confine calpestabile sull’intera ”isola urbana”. La piazza è delimitata sui quattro lati con elementi di varia natura e significato: a nord una cortina di verde; a sud pali multifunzione in acciaio di altezza decrescente, al fine di creare un asse prospettico e evidenziare il punto centrale dell’antica torre campanaria. Ad ovest viene posto un nuovo porticato costituito da una struttura metallica sormontata da una copertura in vetro trasparente, il cui fine è quello di prolungare il percorso coperto di Corso Garibaldi sin dentro la piazza e, al contempo, di creare un “ponte” di raccordo tra la nuova ”isola urbana” e il resto del tessuto cittadino. Ad est la Chiesa Centrale è stata enfatizzata da un sagrato in pietra chiara.

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3° classificato Nicola Casamassima, Stefano Maffeis, Michele Stillittano, D a v i d e Tre s o l d i , F r a n c e s c o Arienti, Alberto Gozzo, Fabrizio Arienti Ciò che contraddistingue il progetto è la creazione di un unico spazio aperto, diviso da segni orizzontali e verticali. L’unità della piazza è interrotta da un taglio, determinato da un cambio di pavimentazione. L’area destinata a manifestazioni pubbliche è caratterizza-

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ta dalla presenza di un volume a pianta quadrata, che emerge dal piano della piazza, con la doppia funzione di palco e di seduta. L’area posta al di sopra del taglio-direttrice è pensata per l’inserimento di elementi scultorei cubici, come sedute fisse, modulari e mobili, che possono ruotare su se stesse e scorrere lungo un binario incassato a pavimento. Sono previsti inoltre degli schienali, interpretati da lame in materiale plastico, con all’interno un sistema di illuminazione.

Riqualificazione e integrazione urbana dell’area ex-Ceramica Piccinelli a Mozzate

2° classificato Angelo Novara, Angelo Villa, Filippo Civetta, Paolo Villa Nella concezione architettonica della sistemazione di piazza e delle aree adiacenti, si è posta particolare attenzione alla salvaguardia e al miglioramento degli aspetti positivi esistenti, quali la statua papale e gli altri elementi del monumento attuale; la tipologia dei lampioni esistenti; i ravvolgimenti della basilica, in uno spazio omogeneo e coerente; la coerenza dell’interfaccia con l’area ad alto contenuto storico immediata-

mente a sud della piazza. La ricollocazione proposta della statua di Pio IX è ritenuta capace di rivalutarne il significato di desiano illustre. Liberato il centro della piazza, è possibile valorizzarne l’utilizzo, per manifestazioni anche coinvolgenti un numero rilevante di persone. Si è scelto di realizzare una superficie completamente piana, ove solo la tipologia della pavimentazione e le pendenze separano ed ordinano le funzioni, garantendo così la perfetta accessibilità e versatilità dal luoghi.

Mozzate in provincia di Como, che mostra i segni dell’abbandono di aree, per i fenomeni di trasformazione delle attività produttive, rappresenta una punta avanzata per le nuove forme di industrializzazione, con potenzialità connesse con le infrastrutture ferroviarie e l’effetto Malpensa. Nella zona, il verde presente è in genere privato, con numerose ville storiche dotate di ampi parchi che, insieme alle cascine abbandonate, costituiscono un arcipelago nel tessuto residenziale diffuso. L’ex-Piccinelli, un’area industriale dismessa, già sede di un’industria ceramica, è posta tangenzialmente alla ferrovia nord, sul lato settentrionale, verso il parco e dalla parte opposta rispetto al contiguo nucleo storico. Con il progetto di concorso si vuo-

le arricchire il paesaggio urbano mediante la riqualificazione e integrazione dell’area con il contesto, individuando le funzioni insediabili e le modalità di intervento più appropriate, secondo criteri di fattibilità economica. I premi erano cinque, da 30 a 5 milioni di lire. La commissione giudicatrice comprendeva Cesare De Santis (presidente), Massimo Pica Ciamarra, Gianni Scudo, Gianvincenzo Borghi, Giuseppe Speroni. Oltre ai due progetti primo e secondo classificati e qui presentati, vengono segnalati, 3° classificato: Alessandro Rogora, con Roberto Copreni, Mario Mare, Elena Rosselli; 4° classificato Annabel Little; 5° classificato Fabio Leoni, con Marco Liga, Marcello Ganassini.

1° classificato Pietro Carmine, Piera Basile, collaboratori Daniele Fraternali, Lucia Burgo, Carlo Mazzanobile

svago si equilibrano con sequenze percettive dei cicli ecologici presenti nell’insieme. Si prevede l’insediamento di attività di terziario avanzato, localizzate nel corpo baricentrico dell’attuale capannone, di cui si conserva parzialmente l’involucro, con trasformazioni mirate a creare spazi funzionali, aperti verso il verde, tali da creare un efficace sistema di bioclimatizzazione (veranda-serra e pergolato di protezione sola-

La proposta progettuale tende a realizzare una conversione ecologica dell’esistente. L’insieme degli interventi realizzano spazi ad alta qualità urbana, con valenza paesaggistica, in cui la molteplicità delle funzioni e l’interazione tra le attività produttive, culturali e di


re a foglia caduca - catalpa bignonioides). La demolizione delle parti non organicamente integrabili nel nuovo complesso funzionale genereranno materiali riciclabili in loco per la rimodellazione del suolo e come inerti nella formazioni di conglomerati necessari agli interventi di riconversione. La terra cruda viene proposta per la realizzazione di muratu-

re interne, con la tecnologia del piset. Si prevede un prelievo delle acque per i fabbisogni energetici connessi con la bioclimatizzazione, un riciclo complessivo, unitamente alle acque meteoriche, con parziale fitodepurazione e riuso delle acque grigie per i servizi igienici, l’alimentazione dei giardini d’acqua e dello stagno con acqua depurata e la finale reimmissione in falda.

A sud, il giardino potrebbe diventare ulteriore elemento di integrazione dell’area verso la stazione, con la creazione di un secondo parco. Ad est, la natura residenziale dell’area adiacente e l’organizzazione dei corpi di fabbrica nell’area di progetto sug-

gerisce l’inserimento di un insediamento residenziale, che lasci permeabilità pedonale a piano terra e di altezza limitata a due piani. A nord, la presenza della fabbrica di resine poliuretaniche porta all’esclusione di funzioni permanenti nelle vicinanze.

Concorso per la progettazione preliminare di un edificio da destinare alla sede del Municipio di S. Giorgio su Legnano 2° classificato Donato Bonanomi, Flavio Caronni, Fausta Lissi L’integrazione che si propone sviluppare risulta di tipo “fisico” e “sensitivo”. L’integrazione di tipo “sensitivo” ripropone nell’ex area industriale delle proporzioni di spazi che si ritrovano nella città: la composizione esistente dei corpi di fabbrica, la loro forma e lo spazio interno/esterno da loro generato creano un buona soluzione di distribuzione spaziale. Una scelta progettuale consiste nel sfruttare questa condizione esistente, creando una serie di stanze coperte e a cielo aperto, interagenti tra di loro, legate da una serie di percorsi e di passaggi in grado di

creare quelle dilatazioni e compressioni che caratterizzano il paesaggio urbano. La ferrovia è un elemento di barriera allo sviluppo verso il centro abitato, ma in questo caso diventa un’occasione di unione. La stazione diventa un “perno” di diverse realtà della città di Mozzate. La strategia è quella di valorizzare e rafforzare il concetto di “incontro” ed il luogo diventa occasione di unione; di dare continuità tra le aree venutesi a formare con la costruzione della ferrovia, tramite una serie di percorsi che favoriscono il flusso naturale delle persone che si muovono nel luogo dell’intera città, percorsi caratterizzati dalla stessa pavimentazione che contribuiscono a cucire le aree.

Il lotto di progetto occupa un’area sicuramente interessante all’interno del contesto urbano della borgata e si pone all’incrocio della strada che conduce, attraverso l’abitato, alla zona centrale da una parte, e della strada che la lega a Legnano dall’altra. L’esigenza di mantenere in funzione l’edificio sede attuale del municipio, sino al completa-

mento di quello nuovo, pone la necessità primaria di insediarlo nella parte “residua” del lotto. L’area di progetto è pertanto attestata su uno spazio pubblico già configurato, dotato di una sua identità, dominato dalla chiesa in testata e dalla scuola più avanti. Un doppio filare di tigli ben caratterizza l’insieme.

1° classificato Emilio Caravatti, Emanuele Panzeri, Andrea Carmignola collaboratori: Matteo Caravatti, Angelo Lunati, Maria Praolini, Ronald Baer-Fokker Nelle scelte compositive l’edificio disegna limiti e vuoti entro cui costruisce relazioni a scala urbana; si pone verso la città, a servizio di recuperate connessioni distributive e simboliche. Ha una pianta a “T” molto chiara anche a scala più alta,

forme semplici e riconoscibili; è un volume allungato parallelo e arretrato rispetto alla via Battisti, che conduce e si incontra con un corpo rialzato, che racchiude, dialogando con la Chiesa, un vuoto, la nuova piazza. La forte assialità della Chiesa, che segna il rapporto con il centro storico, è tesa e definita da questo nuovo vuoto, costituendo un preciso equilibrio d’aree espanse e pubbliche.

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l’ingresso principale; l’ingresso alla Biblioteca è segnalato da una pianta dal fogliame leggero. Una successione di piccole strutture corre parallela al viale: una gradonata, con funzione di teatrino all’aperto, il monumento, il giardino rettangolare di tigli pensato per la sosta, l’edicola, gli spazi dedicati al gioco. L’edificio del Municipio è rivestito in mattone faccia a vista con posa sfalsata, i serramenti e le facciate continue sono in metallo. L’ala a sud presenta una facciata di tipo ventilato con rivestimento in ceppo; in fregio alla piazza, ha un tamponamento in vetro strutturale.

3° classificato Ruggero Di Paola, Antonio Zanon collaboratori: Lorenzo Cucco, Francesco Zanon, Niccolò Di Paola

la realizzazione del secondo corpo di fabbrica destinato ad ospitare al piano terra la biblioteca che gode di accesso indipendente e al piano primo la sala consigliare/multiuso capace di ospitare 196 persone. Oltre a ciò è prevista la realizzazione dell’ampliamento del parcheggio interrato sotto la piazza. Proprio da quest’ultima si accede alla biblioteca, organizzata con un’ampia sala di lettura per 24 utenti, aperta su un giardino interno, e con una sala destinata alla consultazione, vetrata sul lato della piazza. Questi locali sono serviti dal vano centrale d’ingresso.

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zio aperto, una nuova piazza, innestato sullo spazio pubblico, ove crea una quinta scenica, in una ricerca di monumentalità. L’edificio si stacca dalla quota della piazza, liberando il livello seminterrato per il posteggio delle auto e per i locali tecnici e accessori. Dall’atrio si accede anche alla sala consiliare-multifunzionale a doppia altezza, con circa 200 posti a sedere. L’area per il pubblico si configura come una gradonata, a cui si accede anche dal piano primo. I percorsi principali sono segnalati da richiami visivi: l’esistente monumento ai caduti viene riposizionato in asse con

A piano terreno c’è il centro civico da una parte (con una sala da circa 200 posti), l’ingresso ai servizi comunali dall’altra. Una differenza di quota di 1 metro e una barriera verde raccolgono l’ambito della piazza proteggendo dal rumore e filtrando la vista di via Battisti. Un portico a doppia altezza, sul limite di piazza IV novembre consente una funzione più pubblica, a scala urbana, in relazione con i percorsi del paese. La parete ad ovest chiude la vista sulla scuola ed acquista

luce zenitale lungo tutta la sua estensione distribuendola in tutta l’aula; la relazione visiva con l’intorno è costruita attraverso la sezione della parete est sulla piazza con vetrate filtrate da lamelle frangisole in cotto. L’impianto dell’edificio è fondato su una maglia modulare 5 x 5 m. Tamponamenti e rivestimenti in laterizio, con rivestimento in lamelle e doghe di laterizio. Verranno utilizzati e sovrapposti pannelli frangisole in laterizio con vetri e serramenti metallici alternati a tamponamenti pieni.

2° classificato Pier Alberto Ferrè, Carolina Rozzoni, Mauro Morelli, Linda Morelli collaboratrice: Simona Cornegliani

L’edificio di progetto si articola in due corpi posizionati ad “L” sui margini del lotto, configurando quindi un nuovo spa-

Un primo volume garantirà il funzionamento degli uffici dell’Amministrazione prima che venga demolita la vecchia sede del municipio. Le murature esterne, verranno trattate come facciate ventilate e coibentate, con rivestimento in lastre di fibrocemento colorato, sia per favorire il comfort termico, sia per ridurre i costi di manutenzione. Nella seconda fase, dopo la demolizione della porzione dell’edificio esistente, si prevede


Legislazione a cura di Walter Fumagalli

Con delibera n. 77586 del 21 dicembre 2001, pubblicata sul BURL n. 3 del 14 gennaio 2002, la Giunta regionale ha approvato i “Criteri orientativi per la redazione del piano dei servizi ex art. 7, comma 3, della legge regionale 15 gennaio 2001 n. 1”. Il Piano dei Servizi è stato istituito dal legislatore regionale con il citato articolo 7 della legge regionale n. 1/2001, che ha sostituito il testo dell’articolo 22 della legge regionale 15 aprile 1975 n. 51. Il secondo comma di tale articolo dispone che, “al fine di assicurare una razionale distribuzione di attrezzature urbane nelle diverse parti del territorio comunale, il piano regolatore generale contiene, in allegato alla relazione illustrativa, uno specifico elaborato, denominato Piano dei Servizi, che documenta lo stato dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale esistenti in base al grado di fruibilità e di accessibilità che viene assicurata ai cittadini per garantire l’utilizzo di tali servizi e precisa (…) le scelte relative alla politica dei servizi di interesse pubblico o generale, dimostrandone l’idoneo livello qualitativo, nonché un adeguato livello di accessibilità, fruibilità e fattibilità”. Il Legislatore regionale ha quindi voluto gettare un colpo di spugna sul passato: viene infatti accantonato il vecchio concetto di standard meramente quantitativo, per lasciare spazio ad una politica dei servizi che ha nella qualità, nella fruibilità e nella fattibilità i propri obiettivi principali, nell’intento di apportare un miglioramento ai servizi offerti alla collettività, e di assicurare un conseguente miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Il Piano dei Servizi costituisce un elaborato indispensabile del piano regolatore, che i comuni sono obbligati a redigere pena l’illegittimità del P.R.G., come risulta evidente dal testo della norma testé riportata: “il piano regolatore generale contiene, in allegato alla relazione illustrativa, uno specifico elaborato, denominato Piano dei servizi”. La stessa Giunta regionale, nell’indicare gli elementi generali del Piano dei Servizi (Parte II dei criteri allegati alla deliberazione n. 7586/2001), non ha avuto alcuna esitazione a riconoscere che “la l.r. 1/2001 (…) ha delineato, all’articolo 7, il Piano dei Servizi come elaborato obbligatorio del Piano Regolatore, per l’attuazione di una concreta politica dei servizi di interesse pubblico”; il che del resto è pienamente comprensibile, in quanto lasciare alla discrezionalità delle singole amministrazioni comunali la scelta se dotarsi o meno del Piano dei Servizi, significherebbe rinunciare a priori ad uno strumento istituito appositamente dalla legge per “assicurare una razionale distribuzione di attrezzature ur-

bane nelle diverse parti del territorio comunale”, e quindi significherebbe mettere seriamente a repentaglio la possibilità di raggiungere quegli obiettivi che la legge stessa si è prefissata. Chiarita la natura obbligatoria del Piano dei Servizi, si può ora passare ad esaminare come concretamente deve operarsi per la predisposizione del piano stesso. Chi si appresti a redigere tale strumento dovrà anzitutto accertare quale sia la consistenza dell’attuale domanda di servizi nel territorio interessato. A questo scopo l’utenza dovrà essere suddivisa in gruppi il più possibile omogenei e diversificati tra loro (fasce di età, fasce di reddito, popolazione residente, popolazione fluttuante, ecc.), in modo da poter determinare non solo la quantità, ma anche e soprattutto la qualità dei servizi richiesti. Va da sé che maggiori saranno i gruppi omogenei di utenza individuati, più preciso e rispondente alla realtà sarà il quadro della domanda di servizi che risulterà dall’indagine. Questa indagine dovrà tenere conto di tutte le variabili che possono avere influenza sulla domanda di servizi. L’estensore del piano dovrà quindi valutare se la realtà territoriale di riferimento sia caratterizzata da flussi di utenza aggiuntivi rispetto alla popolazione residente, generati da fenomeni quali il pendolarismo lavorativo, l’attrattività turistica, la presenza di grandi strutture (università, ospedali, teatri e simili), e dovrà individuare di conseguenza anche la specifica domanda di servizi indotta da tali flussi. L’individuazione dell’attuale domanda di servizi dovrà essere accompagnata da una valutazione circa la sua prevedibile evoluzione, in ragione dello sviluppo insediativo previsto dal piano regolatore. Fatto ciò, l’estensore del piano dovrà condurre un’attenta e dettagliata ricognizione del tipo e del livello dei servizi già disponibili nel territorio considerato. Tale indagine non potrà ovviamente risolversi nella mera quantificazione delle aree a standard esistenti, ma dovrà: • a. individuare le categorie di servizi e di attrezzature che, a causa della domanda emergente dalla collettività locale, saranno di volta in volta da ricondurre nel concetto di standard (in questo modo, potranno essere calcolate come aree di standard anche le aree destinate a servizi diversi da quelli a tal fine considerati dalla normativa previgente, e viceversa); • b. individuare i parametri qualitativi minimi che tali strutture dovranno possedere, per soddisfare adeguatamente la richiesta proveniente dall’utenza considerata;

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Via libera ai Piani dei Servizi


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• c. individuare tutte le attività e le strutture esistenti nel territorio, capaci di soddisfare la domanda della collettività; • d. tenere nella dovuta considerazione a tal fine, oltre che i servizi pubblici, anche le strutture private idonee a fornire un servizio alla cittadinanza (si pensi alle case di cura, alle residenze per anziani, ai centri sportivi, ai centri sociali gestiti da privati); • e. valutare anche l’apporto dato da eventuali strutture ubicate all’esterno del territorio comunale, che risultino idonee a soddisfare anche le esigenze provenienti da tale territorio; • f. precisare, ove possibile, il bacino d’utenza servito dalle singole strutture individuate. Tale indagine consentirà di mettere a nudo l’eventuale carenza dei servizi esistenti nel territorio comunale, aprendo le porte ad un’attività programmatoria mirata al recupero dell’esistente o, eventualmente, alla riconversione o alla dismissione di strutture non idonee a garantire un adeguato livello qualitativo dei servizi prestati. Esaurita la fase più propriamente ricognitiva, sulla base delle informazioni assunte dovrà quindi essere elaborata la parte programmatoria del piano, nella quale dovranno essere delineati gli indirizzi di politica dei servizi che l’Amministrazione intenderà perseguire per soddisfare i fabbisogni individuati. In particolare dovranno essere fissate le iniziative da intraprendere per ottimizzare la qualità dei servizi forniti dalle strutture esistenti, e per incrementare la dotazione di quei servizi di cui sarà stata rilevata la carenza (privilegiando a tal fine, ove possibile, il riutilizzo delle strutture adibite a servizi non più attuali o sovrabbondanti). In tale fase dovranno essere indicate le scale di priorità degli interventi da effettuare, tenendo conto delle risorse economiche a disposizione dell’Amministrazione per far fronte alle spese relative, al fine di assicurare anche la concreta fattibilità degli interventi programmati. Emiliano Fumagalli

La perequazione, “araba fenice” dell’urbanistica Come tutti sanno, l’approvazione di un piano regolatore influisce in maniera considerevole sul patrimonio dei proprietari degli immobili (soprattutto dei terreni, ma in certi casi anche delle costruzioni) esistenti nel territorio considerato: arricchisce alcuni, e penalizza altri. Arricchisce (anche se non tutti nella stessa misura) i proprietari dei terreni classificati come edificabili; fra di essi, i più fortunati sono i proprietari dei terreni cui il P.R.G. attribuisce maggiore capacità edificatoria, attuabile senza necessità della preventiva approvazione di piani attuativi, ed utilizzabile per funzioni di maggior pregio commerciale. Penalizza, invece, i proprietari degli immobili vincolati per la formazione di infrastrutture e di servizi pubblici, ai quali viene sottratta la possibilità di edificare il proprio terreno, che vengono assoggettati alla spada di Damocle dell’esproprio (spa-

da che oltretutto cade se e quando decide la pubblica amministrazione), e che una volta espropriati hanno diritto ad un indennità molto inferiore al valore di mercato delle aree fabbricabili. Per questa ragione si è soliti dire che i piani regolatori generano quella sperequazione che tutti considerano iniqua, e che tutti (fatta eccezione, forse, per i proprietari che dalla sperequazione hanno la fortuna di venire “arricchiti”) vorrebbero quindi che fosse eliminata. In molti hanno tentato di perseguire questo obiettivo, ma raggiungerlo è tutt’altro che facile. Emblematico, a questo proposito, è l’esempio della concessione edilizia. Quando la legge 28 gennaio 1977 n. 10 la istituì, molti gridarono al miracolo: grazie al nuovo titolo abilitativo lo jus aedificandi era stato sottratto ai privati ed era stato attribuito al Comune, che quindi poteva concederlo ai proprietari dei terreni a tal fine individuati dal piano regolatore, previo pagamento di un contributo. Ecco dunque realizzata la perequazione! Il pagamento del contributo avrebbe sottratto ai proprietari dei terreni fabbricabili il plusvalore ad essi attribuito dalle previsioni del piano regolatore, e quindi li avrebbe messi sullo stesso piano dei proprietari dei terreni non edificabili. Dopo pochi anni di applicazione della nuova normativa, però, ci si accorse che in realtà le cose non stavano proprio così: la giurisprudenza ci spiegò che, contrariamente a quanto ci sembrava di aver capito, comunque la legge n. 10/1977 aveva mantenuto lo jus aedificandi in capo ai privati proprietari, e ci si rese conto che il pagamento del contributo non aveva prodotto alcun sostanziale effetto perequativo, tant’è che di fatto chiunque preferisce tuttora un’area edificabile ad un terreno vincolato. Un ulteriore tentativo è stato compiuto più di recente dalla Regione Lombardia con la delibera n. 7586 del 21 dicembre 2001 mediante la quale la Giunta regionale, allo scopo di fornire ai Comuni le indicazioni per la redazione del Piano dei Servizi previsto dall’articolo 7 della legge regionale 15 gennaio 2001, ha fissato appositi criteri orientativi. Al riguardo il paragrafo 6 dei criteri regionali sottolinea che “il ricorso (…) allo strumento perequativo (…) amplia considerevolmente le possibilità di risoluzione secondo consenso dei conflitti connessi all’individuazione delle aree vincolate per prevalenti ragioni di pubblico interesse (…), consentendo così (…) al proprietario espropriando di partecipare agli utili derivanti dalla edificazione dei suoli circostanti e dovrebbe fare determinare l’indennità di esproprio anche sulla base dei medesimi utili, consentendo che il costo dell’esproprio ricada non sull’Amministrazione, ma su coloro che conservano la proprietà e possono edificare proprio perché anche a loro beneficio è disposto l’esproprio in danno di altri”. Le proposte formulate dalla Regione per raggiungere questo obiettivo sono così riassumibili: • il Piano dei Servizi potrebbe individuare “comparti più o meno ampi all’interno dei quali operare con meccanismi di tipo perequativo, in funzione dell’attuazione delle scelte prospettate”; • il Piano dei Servizi potrebbe poi prevedere “che il recupero della capacità edificatoria spettante al-


teche, teatri, scuole d’arte, sale prove, cineteche, centri culturali); • strutture inerenti attività sociali e ricreative (centri ricreativi, centri sociali giovanili, centri di inserimento e avviamento professionale; centri di inserimento sociale per extracomunitari); • strutture inerenti attività fieristiche, espositive, congressuali; • strutture inerenti attività di servizi e supporto alle imprese (incubators, centri di sviluppo progetti aziendali, business innovation centre); • posti auto disponibili su spazi privati e pertinenze condominiali (eccedenti la quota dei parcheggi privati obbligatoria ex L. 122/89)”. Può quindi essere fatto un primo passo concreto verso la perequazione, semplicemente approvando un piano regolatore che permetta ai cittadini di realizzare determinate infrastrutture urbanizzative “in libero regime di economia di mercato” previo eventuale convenzionamento con l’Amministrazione comunale, e che riservi a quest’ultima un ruolo di orientamento e di controllo, nonché di supplenza laddove si registri l’inerzia dei privati proprietari (i quali però, in questo caso, potranno addebitare solo a se stessi il fatto di aver perso l’opportunità loro offerta dal piano regolatore). Un ulteriore passo verso la perequazione può essere compiuto conglobando negli ambiti riservati ai piani di lottizzazione ed ai piani di recupero privati non solo le aree fabbricabili, ma anche quelle riservate dal piano regolatore alla formazione di servizi pubblici (con particolare attenzione per quei servizi non attuabili “in libero regime di economia di mercato”). In questo modo, infatti, i proprietari dei terreni fabbricabili possono costruire solo dopo aver acquisito la disponibilità delle aree destinate ai servizi, permettendo così ai proprietari di queste ultime di partecipare ai vantaggi economici connessi all’edificazione, senza subire alcuna sostanziale penalizzazione. Per le aree destinate a servizi non attuabili “in libero regime di economia di mercato” e non inseribili negli ambiti assoggettati ai piani di lottizzazione, infine, si può ipotizzare un meccanismo in virtù del quale il piano regolatore: • a. assegni ad esse una capacità edificatoria, mediante l’attribuzione di un indice di fabbricabilità teorico; • b. imponga ai titolari dei piani di lottizzazione e dei piani di recupero privati individuati nel territorio comunale: - di realizzare nell’ambito di questi ultimi, secondo determinati parametri e previo accordo con i proprietari delle aree relative, i volumi connessi alle potenzialità edificatorie così assegnate; - di cedere (o di far cedere) dette aree al Comune, gratuitamente o previa corresponsione dell’indennità dovuta per i terreni non edificabili, allo scopo di permettere al Comune stesso di realizzare le infrastrutture su di esse previste dal piano regolatore. Si tratta di un meccanismo all’apparenza un po’ complesso ma che, magari con qualche correttivo suggerito dalle specifiche realtà locali, potrebbe contribuire in maniera efficace ad eliminare, o quanto meno a ridurre, la sperequazione prodotta dagli strumenti urbanistici. W. F.

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l’area oggetto di vincolo sia effettuato anche su aree di proprietà pubblica, esterne od interne al comparto, oppure tramite la permuta dell’area vincolata con un immobile di proprietà parimenti pubblica, ecc.”; • inoltre “l’uso di strumenti perequativi potrebbe estendersi anche ai casi, diversi da quelli connessi a vincoli urbanistici espropriativi, di soggezione dell’area o dell’immobile a vincoli di natura diversa”. Forse la strada imboccata è quella giusta: infatti una sostanziale (anche se non totale) perequazione fra i proprietari di immobili può essere perseguita soltanto mediante l’adozione di una molteplicità di misure fra loro coordinate. A questo scopo, per affrontare e risolvere le problematiche di carattere eminentemente locale la fantasia e la creatività degli amministratori comunali e degli estensori dei piani regolatori potranno svolgere un ruolo fondamentale. Su un piano più generale, possono risultare utili alcune considerazioni. Anzitutto la sperequazione può essere eliminata alla radice, tutte le volte in cui i vincoli urbanistici vengano trasformati in un’opportunità di valorizzazione degli immobili da essi colpiti, e cioè tutte le volte in cui i vincoli si risolvano in destinazioni che, di fatto, non sottraggano valore alle aree relative, ma diano ai loro proprietari l’opportunità di utilizzarle in modo economicamente vantaggioso proprio per la realizzazione di servizi pubblici. In proposito vale la pena di richiamare quanto sottolineato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 179 del 20 maggio 1999, a proposito dell’efficacia e dell’indennizzabilità dei vincoli urbanistici: “sono al di fuori dello schema ablatorioespropriativo (…) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene”. La stessa Corte ha richiamato, come esempio pratico di servizi realizzabili dai privati, i parcheggi, gli impianti sportivi, i mercati ed i complessi per la distribuzione commerciale, gli edifici per iniziative di cura e sanitarie, e in genere “tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato”. Ancora più dettagliata è l’elencazione esemplificativa contenuta nel paragrafo 2 della parte III dei “criteri orientativi” approvati con la delibera regionale n. 7586/2001: • “strutture inerenti attività scolastiche e di studio (asili, scuole private, università, anche private); • strutture inerenti attività di ricerca (centri scientifici, laboratori); • strutture inerenti attività sportive (palestre, insediamenti sportivi privati, scuole CONI); • giardini ed aree a verde di dimensioni apprezzabili ed attrezzati; • strutture inerenti attività assistenziali (centri sociali no profit, case di cura, di riposo e strutture ricreative per anziani, ostelli e ricoveri); • strutture inerenti attività terapeutiche e sanitarie (cliniche e case di cura private, ambulatori, centri diagnostici, terapeutici, riabilitativi); • strutture inerenti attività culturali (musei, biblio-


Rassegna

a cura di Camillo Onorato

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G.U. n. 155 del 4.7.2002 - Serie Generale D.P.R. 7 maggio 2002, n. 129 Regolamento recante ulteriore modifica al decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1999, n. 162 in materia di collaudo degli ascensori Il seguente decreto all’art. 1 detta le modifiche all’art 19 del decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1999, n. 162. Gli impianti sprovvisti della certificazione CE alla data di entrata in vigore del presente regolamento sono legittimamente messi in servizio qualora, entro il 30 settembre 2002, il proprietario o suo legale rappresentante trasmettano al competente ufficio comunale l’esito positivo del collaudo effettuato ai sensi delle norme vigenti fino alla data in vigore del presente regolamento: dagli organismi competenti ai sensi della legge 24 ottobre 1942, n 1415, e dall’Istituto superiore per la sicurezza e prevenzione del lavoro (ISPELS); da un organismo di certificazione di cui all’art. 9; dall’installatore avente il proprio sistema di qualità certificato; con autocertificazione dell’installatore corredata da perizia giurata di un ingegnere iscritto all’albo. G.U. n. 162 del 12.7.2002 - Serie Generale Decreto 27 dicembre 2001 Programma sperimentale di edilizia residenziale denominato “Alloggi in affitto per gli anziani degli anni 2000” Parte delle disponibilità finanziarie previste all’art. 3, comma 2, della legge 8 febbraio 2001, n. 21, è destinata all’attuazione di un programma sperimentale di edilizia residenziale per la realizzazione ed il recupero di alloggi da concedere, in locazione permanente a canone agevolato ad utenti anziani, denominato “alloggi in affitto per gli anziani degli anni 2000”. Sulla base di bandi di concorso vengono assegnati in locazione a canoni previsti per l’edilizia economica e popolare, alloggi ad utenti ultra sessantacinquenni in possesso di requisiti. G.U. n. 162 del 12.7.2002 - Serie Generale Decreto 27 dicembre 2001 Programmi innovativi in ambito urbano Il presente decreto all’art. 1 tratta delle disponibilità finanziarie di attuazione. All’art 2 viene attivato un programma innovativo in ambito urbano denominato “Contratto di quartiere II” da realizzare in quartieri caratterizzati da diffuso degrado delle costruzioni e dell’ambiente urbano e da carenze di servizi, oltre ad un marcato disagio abitativo. Il programma è finalizzato ad incrementare, anche con il supporto di investimenti privati, la dotazione infrastrutturale di quartieri degradati, prevedendo al contempo misure ed interventi atti a favorire l’occupazione ed integrazione sociale. Gli articoli successivi riguardano le modalità e gestione delle risorse. G.U. n. 162 del 27.7.2002 - Serie Generale Decreto 27 dicembre 2001 Programma sperimentale di edilizia residenziale denominato “20.000 abitazioni in affitto” Il decreto è finalizzato alla soluzione delle più manifeste condizioni di disagio abitativo, incrementando l’offerta degli alloggi da concedere in locazione a canone convenzionato, in modo da rispondere alle esigenze di categorie sociali che hanno difficoltà a reperire alloggi a canoni accessibili. L’art. 2 riguarda le disponibilità finanziarie e le finalità degli interventi di acquisizione, recupero e costruzione di alloggi. L’art. 3 tratta della ripartizione delle risorse e dimensionamento del contributo dello Stato. L’art. 4 designa i soggetti proponenti, quali i comuni, gli Iacp, le imprese di costruzione, le cooperative edilizie e rispettivi consorzi, nonché le persone giuridiche da questi costituite. Inoltre vengono dettati i requisiti di tali soggetti. L’art. 5 tratta dei contenuti e finalità del piano operativo regionale. Gli articoli successivi dei piani operativi regionali, dell’attuazione e gestione degli interventi. G.U. n. 174 del 26.7.2002 - Serie Generale Decreto 9 maggio 2002, n. 153 Regolamento recante disposizioni modificative del decreto ministeriale 18 febbraio 1998, n. 41, in materia di detrazioni per le spese di ristrutturazione edilizia Il presente decreto adotta il seguente regolamento: All’art. 1 vengono apportate le modifiche all’art. 1 della legge 27 dicem-

bre 1997, n. 449 in materia di detrazione per le spese di ristrutturazione edilizie, approvato con decreto 18 febbraio 1998, n. 41. Nell’art. 1, comma 1 dopo le parole “41 per cento delle spese sostenute” sono inserite le seguenti: “negli anni 1998 e 1999, e del 36 per cento per le spese sostenute negli anni 2000, 2001 e 2002”; nella lettera “a” le parole: “al centro servizi delle imposte dirette ed indirette, individuato con decreto dirigenziale” sono sostituite dalle seguenti: “all’Ufficio delle entrate, individuato con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate”. Si inserisce inoltre “copia delle ricevute di pagamento dell’imposta comunale sugli immobili relativa agli anni a decorrere dal 1997, se dovuta”; nella lettera “d” dopo le parole “il cui importo complessivo supera la somma di“, sono inserite le seguenti: “euro 51.645,69 pari a”. All’art. 2, comma 1, è aggiunto il seguente periodo: ”La detrazione spettante a partire dall’anno 2002 è da ripartire in dieci quote annuali di pari importo. L’art. 3 è sostituito dal seguente: ”art. 3: - 1. Ai fini dei controlli concernenti la detrazione, le banche presso le quali sono stati disposti i bonifici trasmettono all’Agenzia delle entrate in via telematica, con le modalità ed entro il termine individuato da apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, i dati identificativi del mittente, dei beneficiari della detrazione e dei destinatari dei pagamenti“. B.U.R.L. 2° Suppl. Straord. al n. 27 del 2 luglio 2002 D.g.r. 28 maggio 2002 - n. 7/9150 Approvazione di due varianti parziali al Piano territoriale di coordinamento del Parco regionale dell’Oglio sud, ai sensi della l.r. n. 86/83 La giunta regionale delibera di approvare le varianti parziali al Piano territoriale di Coordinamento del Parco regionale dell’Oglio Sud. La prima variante riguarda le norme tecniche di attuazione: la zona agricola forestale di tutela morfo-paesistica viene sostituita da nuova edificazione di strutture agricole e florovivaistiche relativamente al deposito di attrezzi e materiali, utilizzando indici di edificabilità non superiori ad 1/3 di quelli consentiti dalle l.r. n. 93 del 7 giugno 1980. La seconda variante riconferma il Piano territoriale di coordinamento approvato con d.g.r n 7/2455 del 1 dicembre 2000; viene dato atto che le predette varianti di Piano territoriale di coordinamento assumono i contenuti di Piano territoriale paesistico ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge 27 maggio 1985 n. 57 e successive modifiche ed integrazioni. B.U.R.L. 2° Suppl. Straord. al n. 27 del 2 luglio 2002 D.g.r. 7 giugno 2002 - n. 7/9322 Approvazione della variante al piano territoriale di coordinamento del Parco regionale Adda Nord (art. 19, comma 2, l.r. 86/83 e successive modificazioni) La giunta regionale delibera di approvare la variante al piano territoriale di coordinamento del Parco regionale dell’Adda Nord. Vengono allegati i seguenti elaborati: tav. 1, planimetria di piano f. 9, scala 1:10.000; tav. 1 planimetria di piano f. 18, scala 1:10.000, parte integrante e sostanziale della seguente deliberazione. Si approva la Relazione Istruttoria, si dà atto che la variante assume i contenuti di piano territoriale paesistico ai sensi degli artt. 4 e 5 della l.r. 27 maggio 1985 e successive modificazioni. Si riconferma in ogni altra parte la d.g.r. 22 dicembre 2000 n. 7/2869 “Approvazione del piano territoriale di coordinamento del Parco regionale Adda Nord”.


Normative e tecniche a cura di Emilio Pizzi e Tiziana Poli

La Deliberazione n. VII/8313 A sette anni dalla promulgazione della Legge quadro sull’acustica lo scenario dei decreti attuativi e delle Leggi che ne permettono l’applicazione pratica è giunto a buon punto. In Lombardia, tra i vari documenti a carattere generale, se ne individua uno di particolare interesse, definito come Legge Regionale 10 agosto 2001 n. 13 “Norme in materia di inquinamento acustico” ed in particolare della Deliberazione n. VII/8313 della Regione Lombardia intitolata “Modalità e criteri tecnici di redazione della documentazione di previsione di impatto acustico e di valutazione del clima acustico”. Tale documento determina il contenuto e descrive le modalità di presentazione degli studi di impatto acustico in essere ed in divenire per tutti gli scenari applicativi possibili. Per quanto concerne la previsione di impatto acustico esso si articola in cinque gruppi riferiti ad altrettanti contesti tematici: aeroporti, strade, ferrovie, attività produttive, centri commerciali, discoteche, pubblici esercizi, impianti operativi. In questa sede ci si propone di esaminare puntualmente il documento per mettere in luce le problematiche relative a ciascun gruppo tematico, al fine di individuare le competenze necessarie per il corretto svolgimento dei diversi studi di impatto acustico e di bonifica ambientale, in relazione alla specifica documentazione da allegare allo studio stesso. Aeroporti e aviosuperfici La vastità di problematiche connesse allo svolgimento di un tale studio spazia dalla conoscenza delle tecniche di pilotaggio degli aeromobili alla consapevolezza urbanistica relativa al territorio coinvolto e meriterebbe una trattazione a sé; tuttavia in questa sede si è voluto circoscrivere l’argomento ad alcuni elementi peculiari della tematica trattata. Per la redazione del documento è obbligatorio considerare e descrivere in dettaglio: a. almeno due scenari di previsione del traffico aereo relativi ad 1 e 5 anni dopo l’entrata in esercizio. L’adempimento relativo a questo comma presuppone imprescindibilmente quanto segue: • la conoscenza dell’attuale parco aeromobili sul bacino di utenza interessato e status di vetustà degli stessi, elementi necessari per l’individuazione della composizione tipologica della flotta che gravita e graviterà sull’aeroporto; • la conoscenza della potenzialità tecnica e commerciale riferita alla possibile e probabile utenza futura dell’aeroporto, necessaria per stabilire il numero di atterraggi e decolli futuri.

b. i dati di traffico usati per le stime previsionali: nelle simulazioni occorre considerare anche il giorno più trafficato (busy day) e le condizioni peggiori di traffico. (tipologia, stage, carico al decollo, destinazione) nei due periodi della giornata (diurno e notturno) e durante la settimana. Oltre a quanto specificato al precedente punto a) per esaurire le richieste di cui sopra, comma b), è necessario, per la situazione presente, disporre delle statistiche elaborate dall’ente aeroportuale in questione; per la situazione futura, definire, di concerto con l’ente aeroportuale e la Regione stessa, i piani possibili e più probabili di sviluppo del traffico, da un lato, e della più probabile composizione tipologica degli aeromobili gravitanti sull’aeroporto in questione dopo cinque anni, dall’altro. Come appare evidente ciò comporta più ipotesi, concernenti sia lo sviluppo commerciale dell’area, sia l’evoluzione tecnologia della flotta area su di essa gravitante. c. la descrizione del modello di calcolo utilizzato nelle stime di rumore aeroportuale e relativi dati di input. La descrizione deve riportare il dettaglio dei dati di input, le procedure di decollo ed atterraggio, le rotte utilizzate nel modello previsionale di calcolo per la stima del rumore misurabile al suolo. Anche per l’adempimento di questo comma è necessario quanto sopra specificato, e sono inoltre indispensabili le seguenti professionalità: • oltre un ovvio background nell’ambito dell’acustica ambientale, una generale conoscenza dei metodi dettagliati (numerici e non) di soluzione dei problemi di emissione, propagazione, attenuazione, riflessione, diffrazione in campo aperto e con sorgenti mobili; • competenze specifiche, non solo nell’utilizzo e la gestione di software per la simulazione specifica del rumore aeronautico, ma anche sulle metodologie di modellazione adottate dal software adottato, sia per un suo corretto impiego, sia per poter descrivere il metodo di soluzione adottato (non è in generale sufficiente dichiarare, ad avviso dello scrivente, che è stato usato il programma xy); • cognizioni avanzate di navigazione aeronautica e di pilotaggio di aeromobili. d. Ove calcolabili, vanno individuate le curve di isolivello di 60, 70, 75 Lwa, sulla base dello scenario a maggiore impatto scelto per la previsione, oppure in alternativa, ove vi fossero pochi movimenti nel busy day, l’indicazione dei livelli di rumore, prodotti dalle attività aeroportuali, previsti in un numero significativo di punti interessati dai sorvoli. Questo punto richiede, oltre una consapevolezza di grado superiore nel campo dell’acustica ambientale e della simulazione specifica di rumore aeronautico, anche delle competenze di tipo urbanistico e territoriale per definire in modo significativo gli eventuali punti interes-

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Le modalità di redazione degli studi di impatto acustico: le competenze e le professionalità necessarie


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sati dal sorvolo, per i quali calcolare i livelli di rumore. e. Le stime della popolazione esposta e dei livelli di rumore durante i singoli sorvoli, per gli intervalli di tempo individuati dalla normativa, utilizzando i descrittori acustici in essa previsti ed in particolare quelli in grado di descrivere il rumore derivante dalle attività aeroportuali, il rumore residuo, il rumore ambientale. Per effettuare una stima della popolazione esposta è necessario conoscere la distribuzione al suolo dell’impronta sonora generata da un qualunque sorvolo, essa cambia in funzione del tipo di aeromobile, delle sue condizioni di carico al decollo e dalle procedure di take-off seguite. La distribuzione della popolazione coinvolta dai sorvoli deriva necessariamente da un approfondito studio urbanistico del territorio, mirato all’individuazione delle tipologie edilizie e conseguentemente alla loro destinazione d’uso, sia per lo scenario attuale che futuro. Oltre che una fotografia della situazione presente, tale studio deve quindi necessariamente contenere anche una proiezione di tendenza degli strumenti di piano. f. Le eventuali ipotesi valutate dal Comune interessato relativamente alle modifiche nelle regolamentazioni urbanistiche ed edilizie e, comunque, le eventuali misure di mitigazione dell’impatto acustico previste ed i tempi della loro realizzazione. La modificazione degli strumenti di pianificazione territoriale e della regolamentazione edilizia ai fini del contenimento dell’impatto acustico deve necessariamente discendere da un attento studio della destinazione d’uso degli edifici in essere ed in divenire, ma soprattutto deve essere basato sulle caratteristiche stratigrafiche degli involucri e della loro composizione, ai fini dell’isolamento acustico. È evidente che un tale compito deve essere svolto da un insieme di competenze specializzate riguardanti l’ingegneria edile, l’architettura e l’urbanistica e ovviamente l’acustica edilizia e l’acustica ambientale. Infrastrutture stradali L’elemento più significativo per l’individuazione delle competenze specifiche relative ad uno studio d’impatto acustico per le infrastrutture stradali è nel comma 2 dell’articolo 2: “Per la stima previsionale dell’impatto acustico possono essere utilizzati appositi metodi di calcolo reperibili sul mercato. Nella relazione tecnica deve essere riportata la descrizione, anche al fine di poter valutare l’accuratezza della stima dei valori dei livelli di pressione sonora, del modello di calcolo e dei dati di input utilizzati oltre che riportare l’analisi dei risultati ottenuti dal calcolo previsionale. Occorre riportare dati relativi a scenari previsionali riferiti ad uno e a cinque anni dopo l’entrata in esercizio del tratto di struttura stradale interessata. Devono essere inoltre forniti i valori previsti in singoli punti o anche da isolinee, ove queste ultime sono corredate da dati e notizie adeguate a valutare l’affidabilità del metodo di calcolo seguito, relative ai valori significativi dei descrittori acustici.” Per portare a compimento quanto sopraesposto sono necessarie competenze acustico ambientali e competenze ingegneristiche di tipo viabilistico e trasportistico, ambedue probabilmente riassumibili nella stessa persona. Inoltre si consente l’impiego di programmi di calcolo commerciali, la cui asseverazione, in termini di correttezza di calcolo e qualità previsionale, viene di fatto scaricata sulle spalle dell’utente tramite la descrizione

del modello di calcolo impiegato, modello poi quasi sempre non specificato nel manuale dei programmi commerciali. Si rileva infine uno strano approccio della legge riguardo l’affidabilità del metodo di calcolo, che richiede una serie di informazioni atte alla sua valutazione solo per quanto riguarda le isolinee e non esteso anche ai ricettori puntuali. Si rimarca inoltre l’assenza di indicazioni precise, per quanto concerne i dati di input, riguardo ai fattori di correzione ambientale, il cui utilizzo può consentire di modificare i valori di tre e più decibel. Per i contesti urbani inoltre sarebbe auspicabile rendere obbligatoria l’asseverazione dei dati di traffico da parte del servizio di vigilanza urbana. Si rileva infine l’assenza di un richiamo ad una procedura normalizzata per la taratura del modello revisionale mediante le misure eseguite in loco, elemento essenziale per la validità dell’estrapolazione dei dati di scenario; considerata l’importanza della correttezza di tale procedura, risulterebbe estremamente importante avere un preciso iter prefissato. Infrastrutture ferroviarie L’elemento più significativo per l’individuazione delle competenze specifiche relative ad uno studio d’impatto acustico per le infrastrutture ferroviarie si ritrova nel punto c) del comma 1 dell’articolo 3: “Descrizione, con informazioni dettagliate utilizzabili nei modelli di calcolo più comuni, del tracciato della linea ferroviaria, delle quote relative al piano del ferro, delle caratteristiche geometriche dell’infrastruttura, del numero e della tipologia dei treni o materiale rotabile previsti (traffico nelle ore di punta diurne e notturne, traffico massimo previsto per il periodo diurno e per il periodo notturno, composizione per caratteristiche di convogli e tipologie di treni riferita alle fasce orarie più significative). I dati forniti devono riguardare il traffico giorno previsto al momento dell’entrata in esercizio del tratto ferroviario interessato e quello stimato dopo uno e cinque anni.” La maggioranza dei modelli commerciali adatti alla simulazione dell’impatto acustico ferroviario è di produzione estera e si basa sulla normativa di calcolo di paesi diversi dal nostro, inoltre i database utilizzati da detti software sono costituiti da tipologie di materiale rotabile diverso da quello nazionale (in alcuni paesi è anche diverso lo scartamento). A questo riguardo è anche opportuno precisare che in quasi tutti i modelli non è possibile introdurre fattori correttivi riguardo il grado di vetustà del materiale rotabile e del tracciato. In questo scenario si avverte l’esigenza di poter fare riferimento ad un quadro tipologico normalizzato relativamente al materiale rotabile ed a quello di tracciato, un’indicazione della legge in questo senso, diminuendo il grado di libertà nella simulazione dei fenomeni, costituirebbe maggior garanzia circa la proprietà delle risultanze. Anche in questo caso, come per quello relativo alle infrastrutture stradali, risulterebbe molto adeguato prevedere obbligatoriamente la taratura del modello con dati rilevati in loco e sarebbe anche molto opportuno che la procedura di taratura corrispondesse ad un iter normalizzato. Nuovi impianti ed infrastrutture adibite ad attività produttive Gli elementi più significativi per l’individuazione delle competenze specifiche relative ad uno


Centri commerciali polifunzionali, discoteche, circoli privati e pubblici esercizi, impianti sportivi In pratica, per la documentazione relativa allo studio

di impatto acustico di queste tipologie, si rinvia a quanto richiesto dai precedenti articoli 2 e 4, con di conseguenza le relative considerazioni sulle competenze richieste, e con in più le complicazioni dovute agli effetti sinergici di diverse tipologie di fonti di disturbo compresenti. Valutazione previsionale di clima acustico Nell’ultimo articolo, il 6, si prescrive la documentazione che deve essere fornita con la valutazione previsionale di clima acustico, associata alla realizzazione di insediamenti quali scuole e asili nido, ospedali, case di cura e di riposo, parchi pubblici urbani ed extraurbani, nuovi insediamenti residenziali prossimi alle possibili fonti di disturbo di cui agli articoli precedenti. In modo sintetico le informazioni richieste che rappresentano una certa criticità nella loro individuazione e definizione sono quelle relative ai punti b), d) ed e) del comma 1. Al punto b) si richiede di quantificare, in posizioni concordate con Comune ed ARPA, il contributo alle immissioni delle singole sorgenti sonore in tali punti, cioè le loro singole emissioni, fornendo anche dettagli descrittivi delle stesse. Data la potenziale grande varietà delle sorgenti sonore che possono insistere su un’area e la difficoltà che spesso si incontra nell’ottenere corrette informazioni sulle caratteristiche delle sorgenti stesse, salvo ricorrere a costose campagne di misura, si può immediatamente comprendere il livello di complessità della richiesta. Al punto c) si richiedono valutazioni relative alla compatibilità del nuovo insediamento con il clima acustico preesistente nell’area, specificando gli eventuali sistemi di protezione rumore e/o dettagli progettuali adottati per rientrare nella compatibilità, se questa non è rispettata. Al punto e) si descrivono eventuali significative variazioni di carattere acustico, indotte dalla presenza del nuovo insediamento nelle aree limitrofe preesistenti. Risulta evidente che, oltre alle considerazioni già fatte sull’impiego di modelli previsionali per la stima del clima acustico, si può osservare la necessità di una competenza veramente multidisciplinare del “tecnico acustico”, il quale deve avere competenze di urbanistica, edilizia e di ingegneria industriale, con varie specificità se deve anche caratterizzare le varie sorgenti di disturbo. Conclusioni Riepilogando, è opportuno auspicare che i legislatori rivedano il documento perfezionandolo, in alcuni punti, ed indicando soprattutto quali esperti e responsabili degli studi, in particolare per i grandi insediamenti, dei gruppi di lavoro anziché delle singole persone, che difficilmente possono essere effettivamente competenti su uno spettro così ampio di discipline. Dati i lunghi tempi normalmente connessi alle modifiche legislative, ci si sente di raccomandare agli “ufficiali” addetti ai lavori, “i tecnici competenti”, molta prudenza nell’approccio a questo tipo di problematiche e li si esorta ad affrontare spontaneamente il problema della multidisciplinearità del lavoro, dando vita in modo autonomo a gruppi di esperti in grado di gestire realmente, ed in modo corretto, la complessità intrinseca di tale attività. Livio Mazzarella prof. ordinario di Fisica Tecnica Ambientale, VI Fac. di Ingegneria del Politecnico di Milano

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studio d’impatto acustico per infrastrutture adibite alle attività produttive è al punto e) del comma 1 e nel comma 3 dell’articolo 4: “!1-e - Descrizione dei cicli tecnologici, degli impianti, delle apparecchiature con riferimento alle sorgenti di rumore presenti. Per le parti di impianto o per le sorgenti sonore che possono dare origine ad immissioni sonore nell’ambiente esterno o abitativo occorre dare la descrizione delle modalità di funzionamento e l’indicazione della loro posizione in pianta e in quota, specificando se le medesime sono poste all’aperto o in locali chiusi, la parte di perimetro o confine di proprietà e/o attività che sarà interessata da emissioni sonore, i livelli sonori previsti al di fuori del confine di proprietà. La descrizione può essere fornita tramite dati relativi alla potenza sonora e alle caratteristiche emissive delle sorgenti o tramite la descrizione di livelli di pressione sonora stimati o eventualmente rilevati per impianti e apparecchiature dello stesso tipo. ! 3 - Se sono previsti sistemi di mitigazione e riduzione dell’impatto acustico, descrizione degli stessi, fornendo altresì ogni informazione utile a specificarne le caratteristiche e ad individuarne le proprietà di riduzione dei livelli sonori nonché l’entità prevedibile delle riduzioni stesse, con l’indicazione delle posizioni per le quali si avranno tali riduzioni nei livelli sonori.” Quanto recitato dalla Legge e qui sopra riportato descrive sostanzialmente i passaggi da eseguirsi utilizzando un qualunque sistema previsionale facilmente reperibile in commercio. Tramite questi sistemi si perviene appunto a caratterizzare dapprima le sorgenti, ad esempio usando dati spettrali forniti in potenza sonora dalle case costruttrici. Le sorgenti così ottenute vengono virtualmente fatte funzionare per il periodo di riferimento e si possono quindi ottenere valori di livello equivalente, ponderato secondo la curva “A”, in postazioni puntuali preimpostate o su superfici isofoniche caratteristiche. Tali modelli consentono anche il calcolo automatizzato di barriere per l’ottenimento dei livelli desiderati. Tutto facile e razionalizzabile da un software facilmente impiegabile dal “tecnico competente” titolare di una cultura di tipo acustico applicato? Apparentemente sì, ma in realtà assolutamente no. Se si pensa, infatti, ad una realtà non così lineare come quella descritta, ma viceversa ad uno scenario complesso, dove le sorgenti non sono caratterizzate all’origine, ma magari il risultato di più macchine ciascuna con spettri di emanazione diversi dislocate in situazioni miste fra il campo libero ed il campo confinato, si può facilmente intuire che le competenze necessarie al corretto svolgimento di uno studio di impatto acustico, e/o della modificazione del clima acustico ambientale del nuovo insediamento, divengono indiscutibilmente di carattere interdisciplinare. Con maggior precisione si può individuare nello scenario proposto alcune competenze specifiche, ad esempio: • specifica competenza nel campo dell’ingegneria edile; • competenze acustiche nel campo delle misure di pressione sonora e di intensimetria; • conoscenza dei processi di lavorazione ai fini di una loro post pianificazione o revisione.


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Lecco Commissione cultura Viaggio a Roma I ricordi e testimonianze sono occasione per unire i frammenti di storia, vissute, dimenticate. La visita recente al nuovo Auditorium di Roma da parte di un gruppo dell’Ordine degli Architetti della provincia di Lecco e l’accoglienza ricevuta da parte della Impresa costruttrice di Lecco, Colombo Costruzione, hanno contribuito all’arricchimento professionale e culturale. Per chi conosce quanta difficoltà da sconfiggere nel dover materializzare una idea, va il meritato riconoscimento per avere raggiunto un traguardo; l’Auditorium di Roma ha aspettato 70 anni per vedere luce nella capitale. C’è un vuoto fra la storia dell’Ottocento e un Novecento mal interpretato, di quella avanguardia che vanta pochissimi elementi che oggi riusciamo a darle il giusto valore di opere d’arte. Forse attraverso la lettura di piccoli episodi, come qui sotto trascritto, possiamo capire meglio perché tanto tempo si è dovuto attendere per gioire di un “Auditorium” in Italia e come si collegano le radici di una lotta ancora non finita per evitare i pregiudizi verso una nuova architettura.

Giornata di studio Giuseppe Terragni: testo della prolusione alla seduta pomeridiana Giovanni Monaco, avvocato, mi inviò la sua relazione al convegno, che in rappresentanza di Alberto Sartoris presentò per la Giornata di Studio Giuseppe Terragni, al Palazzo dell’Arte a Milano nel 1993. Diede un ricordo molto significativo; qui sotto trascritto: “Ringrazio la Sovrintendenza di Milano, organizzatrice del Convegno. Sono qui per rappresentare Alberto Sartoris, impedito di partecipare da una improvvisa indisposizione. A tutti porto il suo affettuoso saluto. Conosco Sartoris da sessant’anni. Il suo nome ora risuona nel mondo, campione della architettura italiana. Voi giovani avete visto nel film appena proiettato con quale entusiasmo continua, ormai novantenne, a dare voce alle sue idee. L’editrice Sapiens di Milano stamperà l’Opera omnia delle sue opere. Ma non è stato sempre così. Dopo gli studi a Ginevra, a Zurigo; a Torino, membro del movimento artistico europeo d’avanguardia; in collegamento ininterrotto con i giovani architetti del regime; arrivarono persino ad accostare la sua opera al dirigismo bolscevico; e, insomma a farne un nemico del regime. Amareggiato, abbandonò l’Italia. Trasferì la residenza in Svizzera. In Svizzera, entrò in contatto con la élite dell’arte moderna europea. Per restare nel campo, con gli Aal-

to, con i Gropius e anzitutto con l’esuberante svizzero col nome di Le Corbusier. Le cronache del tempo registrano polemiche e critiche di Sartoris con artisti di mezza Europa. Il suo cruccio era di non poter dialogare direttamente con gli italiani. Occasionalmente, veniva in Italia, dove riusciva ad avere contatti e scambiare idee nella Galleria Del Milione dei fratelli Ghiringhelli, che erano punto di riferimento universale. Ma la realtà era che il Regime impediva non solo la libertà di comunicazione, ma sopratutto la possibilità di attuare liberamente le proprie idee. Quando anche si riusciva a farne oggetto di un progetto, diventava problematico conoscere in partenza se il regime avrebbe poi concesso eseguirlo. Affiora un ricordo che pare significativo. All’inizio degli anni Trenta, un pomeriggio, si erano dati convegno a Roma da molte parti d’Italia numerosi architetti. Argomento, l’edizione di una nuova rivista che doveva essere dedicata esclusivamente alla diffusione di attività artistiche indipendenti alla politica. La rivista uscì nel maggio 1933 con nome ‘Quadrante’. Ero appena arrivato dalla Calabria per frequentare l’università. Non conoscevo nessuno. Non ancora Sartoris. Entrai nella sala della riunione accompagnato da Carlo Belli. Questi mi portò verso un angolo, dove Massimo Bontempelli stava conversando con due giovani. Belli mi disse che quello che stava mostrando alcuni lucidi si chiamava Adalberto Libera. Illustrava a Bontempelli il suo progetto per la costruzione dell’Auditorium, una grande sala di musica che rispondesse alle esigenze della Capitale. Di quella necessità di allora si faceva eco un numero sempre crescente di persone. Bontempelli ascoltava con visibile compiacimento. Le vicende che accaddero negli anni successivi sono note. P. M. Bardi ne aveva parlato a Mussolini fin dal 1931 alla ‘Mostra degli Orrori’ che si era tenuta in via Veneto. Il ‘Duce’ aveva dichiarato apertamente che quell’opera sarebbe stata confacente alle ambizioni del fascismo nel campo della cultura; più tardi, il concorso venne indetto. I progetti furono presentati. Non se ne fece nulla. Il sindacato dei ‘parrucconi’ tanto sostenne che i progetti presentati non erano all’altezza della impronta ‘imperiale’ del luogo, che il Segretario del Partito, forte di tanto parere, fece in modo che il concorso non autorizzasse anche la costruzione del progetto premiato. Affermò che una tal costruzione non sarebbe stata compatibile nella Piazza in cui sorgeva la bacheca contenente le vestigia di Augusto Imperatore. Così Roma, non ebbe l’Auditorium. Allora la colpa fu del sindacato fascista. Però nei successivi cinquant’anni i padrini dei partiti, che si proclamavano

democratici, indaffarati nell’affare Tangentopoli, non seppero fare di meglio. L’argomento ‘Auditorium’, quel pomeriggio tenne banco per un pezzo. Un capannello si era formato attorno a Massimo Bontempelli allorché passava a esaminare i lucidi che gli stava mostrando l’altro architetto. Circolò la voce che si trattava del progetto di un edificio che esprimeva molte novità. Bello, bellissimo! Ma come ottenere l’approvazione dei soloni? Ad un certo momento, si udì la voce di P. M. Bardi sovrastare le altre: ‘Sapete che il nostro amico ha in mente di dare alla costruzione il nome di Casa del Fascio?’ Il giovane si chiamava Giuseppe Terragni. Beninteso, il progetto sarebbe passato lo stesso. Tutti fummo certi che l’espediente sarebbe bastato ad imbavagliare il sindacato. Soprattutto a mettere a tacere i vari Calza Bini. Come che fosse, la Casa del Fascio, in seguito a polemiche e lotte interminabili, venne costruita. Da allora il gioiello che G. Terragni concepì è passato ad arricchire la storia dell’architettura mediterranea. Dobbiamo essere grati alla Sovrintendenza dei Beni culturali di Milano che ci ha concesso di rivisitare con tanta accurata preparazione l’opera di Giuseppe Terragni; e prendere l’avvenimento di oggi come un auspicio per la moltiplicazione di queste iniziative che testimoniano l’importante contributo degli artisti alla formazione della cultura europea”.

Anotaciones de un viaje • Abril 2002: Un grupo de amigos-colegas pensamos ir a Roma, un fin de semana veloz para poder admirar unas de las obras que hacen de Roma una verdadera capital del estado. El Auditorium de Roma, la ciudadela de la música en la zona flaminea, proyecto de Renzo Piano e inaugurada el pasado 21 de abril. • Mayo 2002: Llegamos a mediodía en tren e inmediatamente fuimos a la obra porque nos esperaban uno de los titulares de la impresa Colombo Costruzione de Lecco, el arquitecto Luigi Colombo y el responsable de la obra geométra Flain. La presentación del proyecto fue clara, dandonos una imagen completa a priori de la magnitud de la obra. El carácter simple del estudio, de los trazados de las distintas zonas de esta ciudadela de la música que tiene como eje ordenador la zona archeologica donde son muy visibles los restos de una villa patricia “descubierta” mientras empezaron los primeros escavos y razón por la cual el proyecto tuvo que ser modificado. Las tres salas se organizan en manera autónoma y en relación una con otra atravez de un espacio común abierto, la gran sala abierta, a modo de teatro romano, con sus


gradones circulares che tiene la cubierta azul del cielo. Por detrás hay, en la parte superior, un corredor perimetral que colega las tres salas cubiertas del auditorium. La de 700 y 1200 asientos ya estan en plena función, mientras la de 2700 con todas las salas anexas estan en un fase conclusiva y pronta para recibir una refinada terminación prevista para el próximo mes de diciembre. Mas allà de los comentarios técnicos valen de todas maneras las sensaciones que provoca una obra de este tipo, un impacto donde los valores y requisitos de una buena arquitectura están a disposición de todos los que la visitan. Es un lugar moderno, donde hay una alternativa de vivir la ciudad y no solamente para los romanos, que ya tienen que refugiarse del andar y viene de turistas, como es bien sabido se apropian de una unica Roma: caput mundi. El proyecto del auditorium tuvo una atención especial para los espacios comunes, los ingresos, los recorridos, que dan una sensacion constante de cercanía y aproximación; que sin embargo se vive cada lugar como único, por que en el interior se desarolla la verdadera función y es resaltada por tantos detalles específicos que acomunan un lenguaje simple y elegante. Los materiales se transforman en materia plástica que dan lugar a una desenvuelta simbología de la romanidad; ladrillo a vista, travertino, posados como revestimien-

to en estructura de hormigón armado; las paredes y los pisos, trazados sobrios, las escaleras invitan a continuar el recorrido. Las tres salas tienen una forma curva que se asemejan a gigantes escarabajos, la idea de robutez es dada por el uso de una cubierta sagomada con láminas de plomo que protegen el manto de la cubierta sofistificada para permitir un cieloraso de alta qualidad acústica. Las formas de las salas enfrentadas entorno a un teatro circular, forman la silueta de un armadillo; los espacios abiertos, pórticos, foyers se amalgan con los espacios cubiertos dando un equilibrio de conjunto bajo el cielo azul de Roma. El proyectista, un Renzo Piano de gran embergadura, no se desmiente, expresa una calidad profesional y la nuestra visita guiada se trans-

che es una lucha cotidiana, para la empresa una enorme responsabilidad, donde el prestigio y la capacidad están bajo los reflectores de toda una ciudad, para el arquitecto esta realización se suma a las ya conocidas en el exterior. Italia esperó tantos años, pero valiò la pena, este resultado logra dar un nuevo inicio para grandes proyectos que tendrán repercusión en la historia. A Lecco, le quedarà el orgullo de haber dado la fuerza empresarial hacia una lectura internacional, nosotros que vivimos en Lecco nos acomunamos para sentir la presencia lombarda en la capital. Seguramente volveremos, la próxima vez para vivir la música, personalmente para renovar vivencias pasadas en el Palau de Barcelona o al Rivera Indarte de Córdoba, en la arena de Verona. Y para cantar Roma non far la stupida stasera, quisáz, davanti a la fontana de Trevi y cada vez volver a “descubrir” Borromini, el extranjero, che cambió el curso de la storia de la arquitectura. Carmen Carabús Scheda tecnica A.T.I. Imprese: Impregilo S.p.A. Colombo Costruzioni S.p.A. Committente: Comune di Roma Gestione Parco della Musica: Musica per Roma, A.D. Dott. Maurizio Pucci Progetto: Arch. Renzo Piano R.P.B.W. (Genova) Progetto per acustica: Ing. Gerhard Müller - Müller BBM (Monaco di Baviera) Progetto strutture: Studio Vitone & Associati (Bari) Progetto impianti: Manens Intertecnica (Verona) Direzione Lavori: A.T.I., Drees & Sommer AG (Stoccarda), Techint S.p.A. (Milano), D.L.: Ing. E.M. Gruttadauria Direttore tecnico di cantiere: Arch. Enzo Morziello Capo Cantiere: Geom. Rino Flain Assegnazione lavori: 10 Agosto 2000 Inizio lavori: 29 Agosto 2000 • Dati generali Sala grande: 2.700 posti (80x50 circa) Sala media: 1.200 posti Sala piccola: 700 posti Cavea: 3.000 posti Area totale: mq 55.000 Volumetria totale: mc 500.000 Piazze e giardini: mq 40.000 Area a verde: mq 30.000 Servizi in genere: mq 42.000 Alberi piantati: n. 2.500 Posti auto: n. 700circa Acciaio per le strutture in c.a.: kg 6.000.000 Calcestruzzo: mc 40.000 Operai impiegati: n. 1.200 • Dati generali sale e cavea - edificio nord Sala 2700 da m 77 x 54: travi lamellari in legno m 55 Sala 1200 da m 48 x 34: travi lamellari in legno m 35 Sala 700 da m 32 x 23. travi lamellari in legno m 25 Edificio nord: n. 2 sale prova: coro, mq 350 (25 x 14); coro e orchestra, mq 450 (28 x 16) n. 3 sale prova mq 110 (11 x 10)

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Vedute del cantiere del nuovo Auditorium di Roma.

formò en una lección ejemplar de arquitectura contemporánea. El respeto por el tratamiento de los espacios lo encuentra otorgando jerarquías y prioridades, creando inumerables situaciones de atracción y suportados de espacios expositivos, comerciales, de recreación, que junto la calle principal se vive el conjunto come en el antiguo foro romano. La modernidad consiste en la permanencia del pasado atravez de un lenguaje moderno, donde la monumentalidad no tiene razón de ser, es por ello que la atención estuvo puesta en los espacios verdes que cubren las areas con funciones accesorias como parking, servicios secundarios, etc. Emergen solamente del prato verde, las moldeadas cubiertas de plomo, en antítesis total con las cúpulas características de Roma. Un paseo en la modernidad es siempre un momento de aventura y sorpresa, sin dejar de afacinarnos la presencia del escavo arqueológico que dà un señal temporal a la vida de la ciudad. El hoy y el ayer en una conjugación armónica para escuchar las mejores orquestras con la exhibición de sus directores exigentes; donde la acústica tiene el mayor significado de la especialización (el cieloraso realizados con láminas de acero recubiertos de madera de cerezo americano). Como profesionales vimos el tejido conectivo de la obra, las distintas faces de una cubierta, los hierros colocados en modo preciso, la impermebilización, los aislantes, las cámeras acústicas, los encofrados para recibir las láminas final de plomo, que por su color el conjunto asume una importancia en el juego de luz y sombra atravez del predominante gris. Subimos al techo, en un safari entre protejidos pasadizos en las alturas, hasta llegar a los treinta y cinco metros, para nosotros fue una ocasión vivida, entrar en el corazón de la obra, porque cada centímetroquadrado estuvo confeccionado por seres humanos; única; porque tambien para la arquitectura de la música se puede asociar la frase de Saint Exupery: ”lo esencial es invisible a los ojos”. • Junio 2002: Para nosotros fue una visita emocionante, para los que trabajan duramente día y no-


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• Finiture Pietra: Travertino Cortina: Mattoni Rivestimento sale: Ciliegio americano Controsoffitti: Ciliegio americano Assorbimento acustico: Con pannelli in legno di ciliegio americano opportunamente sagomati per assorbimento acustico. Dietro i pannelli vi è materiale fonoassorbente in fibra poliestere e non fibra minerale per evitare la creazione di allergie. • Coperture Struttura: L’orditura principale è in travi lamellari ad arco disposte ortogonalmente rispetto l’asse principale della costruzione. L’orditura principale del tetto trasmette i carichi alle pareti laterali in cemento armato della struttura tramite due vincoli, uno a cerniera ed uno con carrello. Le estremità delle travi sono collegate con un tenditore. Sulle travi sono posti gli arcarecci in senso ortogonale alle travi sempre in lamellare. Agli arcarecci sono stati appesi i grigliati tecnici per gli impianti. Copertura: Sopra l’orditura in legno sono posti elementi in lamiera grecata e sono state realizzate 2 solette in cemento armato separate tra loro da strato isolante. L’armatura delle solette è realizzata con reti in acciaio zincato a caldo ed il calcestruzzo arricchito con fibre metalliche. Sopra le solette è posizionata una guaina bituminosa ed è collocata una centinatura per sorreggere un assito. Sopra l’assito è stata posta la copertura in piombo.

Mostra Roma 1948-1959. Arte, cronaca e cultura dal Neorealismo alla Dolce vita La nuova Costituzione della Repubblica Italiana è appena entrata in vigore, lasciandosi ormai alle spalle la Seconda Guerra Mondiale. Il 1948 è un anno di sfide e di conflitti; le tragedie sembrano finite, il paese si sveglia, ha voglia di vivere, dimenticare, ricominciare. La D.C. di De Gasperi ed il Fronte Popolare di Togliatti si fronteggiano, il Papa Pacelli rivendica il ruolo della Chiesa e sogna Roma capitale della Cristianità. Giulio Andreotti è, all’epoca, sottosegretario D.C., oggi è la storia della politica italiana del ventesimo secolo.

Il 29 Giugno 1948 il governo De Gasperi firma l’adesione dell’Italia al Piano Marshall per gli aiuti economici all’Europa da parte degli U.S.A. (ERP). È la Roma rumorosa e superficiale di “Poveri ma belli”, coi nuovi fusti Maurizio Arena e Renato Salvadori, è quella malinconica e crepuscolare di Ennio Flaiano e Federico Fellini, è la Roma dei caffè di via Veneto e salotti letterari di Elsa Morante, Alberto Moravia, Pasolini, Palazzeschi, Antonioni, Germi, ecc… L’Italia riparte: gli italiani hanno voglia di divertirsi, di riappropriarsi del lavoro, di sognare. L’Italia riparte tutta insieme e riparte da Roma, facendola diventare una delle città più magnetiche del mondo. La mostra anni Cinquanta, ideata da Maurizio Fagiolo dell’Arco è ospitata nel Palazzo delle Esposizioni, il più grande spazio espositivo interdisciplinare nel centro di Roma. Essa ripercorre il decennio, di anno in anno, attraverso segni grandi e piccoli, dai divi ai paparazzi, dagli intellettuali ai politici, dai pittori ai poeti, dall’alta moda ai cantanti, dal teatro al cinema, alla Tv nel 1954. Nella frenesia collettiva serpeggiano conflitti soprattutto nel campo dell’arte visiva: figurativi (Guttuso in testa) contro astrattisti, neocubisti (anche il lecchese Morlotti) contro neodadaisti; Giorgio De Chirico neoclassico contro tutti. La cronaca si tinge di giallo: delitti eccellenti (Montesi sulla spiaggia di Tor Vaianica) e spogliarelli (la ballerina turca Aichè Nanà al Rugantino di Trastevere), è la Roma delle lambrette, dei taxi neri e verdi, dei bucatini di Aldo Fabrizi, delle gite domenicali a Fregene, della Roma vitale, ufficiale, gaudente e papalina. Tutto un fermento: inizia l’era dei cantautori, i primi quiz, i primi juke-boxe, le Miss Italia, Claudio Villa è nominato “Reuccio”, Nilla Pizzi “caramellaia”, Luciano Tajoli canta “Mamma”, ma gli stili musicali in trasformazione favoriscono Mina e Celentano. Nel mondo del cinema troviamo Ingrid Bergman contro Anna Magnani, Rossellini in mezzo oggetto del desiderio; Sofia Loren diventa Miss Italia e sposa Carlo Ponti, Gina Lollobrigida “la donna più bella del mondo”, Marisa Alassio,

Lorella De Luca, Antonella Lualdi, Monica Vitti, Lauretta Masiero, Giulietta Masina, Alessandra Panaro, Mastroianni, Tognazzi, Gasmann, Manfredi, Sordi, Walter Chiari, Vianello e Mondaini. Roma brulica di star per tutti i gusti. Wanda Osiris, l’intramontabile icona della rivista italiana, scende puntualmente dalle scale cantando; Totò e Taranto vendono la fontana di Trevi, mentre Anita Ekberg ci fa il bagno ne La docle vita di Fellini. Coppi e Bartali duellano sulla bici e Maria Callas debutta nel teatro dell’opera nella Turandot di Puccini. L’on. Lina Merlin abolisce le “case chiuse”, Mario Riva presenta il Musichiere, Mike Buongiorno Lascia o raddoppia e Macario e Rascel fanno di tutto. Lo status symbol del momento è la pelliccia di visone, oltre la villona ad Anzio e la macchinona cabriolet. La bandiera del Made in Italy spetta a Roberto Cappucci, mentre a Gattinoni l’onore di vestire con stile Ingrid Bergman e con opulenza Evita Peron. Valentino apre la sua prima sartoria in via Condotti e le sorelle Fontana sono le sarte preferite da Ava Gardner e Soraja, principessa triste rifugiatasi a Roma dopo il ripudio dello Scià di Persia. Trovano casa a Roma anche molte star straniere da Audrey Hepburn (Sabrina, Vacanze romane, Guerra e Pace, Colazione da Tiffany) a Montgomery Clift (Stazione Termini), a Orson Welles, ecc. Nel campo dell’architettura, Roma, devastata dalle bombe, nell’immediato dopo guerra, diventa vetrina della ricostruzione e cerca di conciliare un’eredità storica con l’architettura moderna, pas-

sando attraverso il completamento di grandi opere lasciate a metà dal regime. Anche la Chiesa con l’apertura dell’Anno Santo, deve abbellirsi. Assai timida verso le nuove architetture e diffidente ad accogliere soluzioni troppo avanzate, nel decennio ‘48-‘59, non andò oltre la stanca riproposta del manierismo romano. Deve comunque fare i conti ed adattarsi alle pressanti richieste di nuovi quartieri periferici troppo vicini al cuore del pontificato e troppo innovativi tecnologicamente. Eugenio Galdieri, architetto di grido, incoraggiato dall’elegante prototipo di palazzina milanese di Marco Zanuso, guarda benevolo la scuola romana di architettura di Ridolfi, Montuori, Fiorentino, Monaco e Luccichenti, ecc., e ricorda questo gruppo numeroso quanto scombinato che urlava la propria voglia di sperimentare, di misurarsi, di creare fuori dagli schemi e dalle accademie. La mostra dedicata alla vita romana ‘48-‘59, si presenta come un salto che nel brevissimo giro di un decennio muta profondamente il corso della società italiana. Attraverso un percorso fotografico di particolare rilevanza è possibile seguire le cronache, testimonianze, ricordi, documenti di allora. Un vastissimo apparato informativo, video, costumi, gioielli, oggetti vari, sono tutti lì a testimoniare per le nuove generazioni e sollevare le nebbie di quelle che giovani non lo sono più. Angela Piga

Pierluigi Nervi e Marcello Piacentini, Il Palazzo dello Sport all’EUR, 1958-60.


Risposta del Ministero della Giustizia al quesito posto dal Presidente dell’Ordine di Milano Nel numero di “AL” di luglio-agosto abbiamo pubblicato lo scambio epistolare tra il Ministero di Giustizia e l’Ordine di Milano relativo alla sospensione delle elezioni del nuovo Consiglio, in seguito all’emanazione del Decreto Legge n. 107 del 10.6.02. In particolare, sospese le previste operazioni di ballottaggio, il Consiglio in carica chiedeva al Ministero quale destino avranno le operazioni di voto svolte finora e come dovesse essere intesa la proroga del consiglio in carica, ponendo la seguente questione: “quali sarebbero i poteri dell’attuale Consiglio? Quelli tipici di un regime ad interim, e quindi sostanzialmente i poteri di ordinaria amministrazione, oppure deve trattarsi di un prolungamento ex lege del periodo in carica di un Consiglio?” La risposta è pervenuta il 16 luglio da parte del Direttore generale del Dipartimento, Francesco Mele, e la riportiamo per intero Antonio Borghi Ministero della Giustizia Dipartimento per gli affari di Giustizia Direzione generale della Giustizia Civile Ufficio III Roma, 16 luglio 2002 All’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Milano via Solferino, 19 20121 Milano Oggetto: D.L. 10.6.2002, n. 107. Sospensione delle elezioni Con riferimento al quesito proposto con nota prot. n. 020633 del 12.6.2002, relativo all’art. 4 del Decreto Legge 10 giugno 2002 n. 107, che ha prorogato i Consigli degli Ordini professionali dei dottori agronomi e dottori forestali, architetti, assistenti sociali, attuari, biologi, chimici, geologi, ingegneri e psicologi, nella composizione comunque vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, si conferma che, allo stato, tutte le operazioni elettorali in corso sono sospese comprese le operazioni di ballottaggio. L’ipotesi di una ripresa della procedura elettorale già iniziata dovrà essere eventualmente disciplinata in sede di successiva conversione del decreto citato, ovvero in sede di regolamento attuativo del D.P.R. n. 328/2001. Pertanto, per il combinato disposto dell’art. 15, 2° comma, del D.Lgs Lgt. 23 novembre 1944, n. 382 e dell’art. 4 del D. L. n. 107 del 10.6.2002, fino alla data del 30 giugno 2003 è dunque prorogata ex lege la carica dei Consigli uscenti con i più ampi poteri. Il Direttore generale Francesco Mele

Fondazione dell’Ordine Pubblichiamo di seguito l’intervento di Enrico Freyrie all’Ordine degli archiettti di Milano il 20 giugno scorso in occasione dell’incontro intitolato “L’ultima lezione di Giovanni Michelucci. Un libro e una mostra di fotografie dall’archivio Michelucci a commento del testo dell’ultima lezione universitaria del maestro pistoiese”. Vi hanno preso parte, oltre a Freyrie, Andrea Aleardi e Giacomo Pirazzoli curatori della pubblicazione, Corrado Marcetti, Direttore della Fondazione Michelucci e Davide Virdis, fotografo. La serata è stata introdotta e moderata da Federico Bucci. Antonio Borghi Parliamo di Michelucci Il taglio che darò a questo mio intervento è quello di Michelucci docente ed uno spaccato di vita universitaria degli anni dal 1945 al 1947. Il mio trasferimento a Firenze, dopo la liberazione e dopo tre anni di Politecnico, fu determinato anche dal mio sofferto esame di elementi distributivi. Due prove scritte andate a vuoto e la non ammissione all’orale. Tempo di progettazione per l’ex tempore, 8 ore, ma potevano essere anche solo 4. Non mi ricordo bene questo particolare. Tema del tipo: progettare un complesso ricettivo (ma allora non si diceva così) comprendente: un atrio monumentale, sei uffici di cui 3 per dirigenti (ma non si diceva così) un’aula magna-teatro per 200 persone con camerini, una mensa con cucina per 200 persone, camere da letto con servizi per 20 persone, una sala Consiglio, una palestra con spogliatoi e servizi. Io proprio non riuscivo a finire il mio lavoro in un tempo così ristretto. Chiesi ai miei amici come si comportassero loro. Si portavano da casa una rivista con il progetto di una Casa del Fascio e lo rielaboravano. Decisi di emigrare a Firenze dove dopo 15 giorni sostenni l’esame con Fagnoni, il progettista della Accademia aeronautica alle Cascine e andò tutto per il meglio. Mi fermai là. La facoltà era all’Accademia di belle arti in Piazza S. Marco, un edificio trecentesco con loggia e gipsoteca. L’avrete visto nel film di Zeffirelli Un the con Mussolini, se pure un po’ idealizzato. L’ambiente era ben diverso da quello grigio del vecchio Poli con i suoi tristi obelischi. Quando filava la tramontana, si respirava aria pulita. Negli interi 5 anni dei corsi di Architettura non frequentavamo, forse, in più di 40 allievi. Io arrivavo da Milano e subito mi furono addosso gli amici per sapere come si progettava da noi e quali erano i nostri maestri, poco conosciuti a Firenze, come Gropius, LC, Neutra e Terragni. Si verificò

un corto circuito. Wright con il suo libro Verso una architettura organica portato da Bruno Zevi, arrivò in Italia nel settembre 1945 e fu una rivelazione. Preside e docente di composizione era Michelucci, già noto tra di noi per essere stato il capogruppo di progettazione della Stazione di S. Maria Novella con Nello Baroni, Pier Nicolò Berardi, Sarre Guarnieri, Italo Gamberini, Leonardo Lusanna. Una stazione pensata per la sua funzione e non monumento di se stessa come molte altre. I filari della facciata in pietra forte non le impedirono di essere considerata appartenente alla nuova architettura. Si diceva non avesse titoli accademici. Mi dissero che era stato nominato per meriti fascisti che a mio parere non ebbe, ma è stato meglio così. Fondammo un’associazione studentesca. Ci ritrovavamo sui parapetti della loggia dell’Accademia o in Cineteca prima della proiezione di un film. Oggetto delle riunioni: la proposta di nomi di Docenti graditi anche agli allievi, per sostituire, non mi ricordo bene, credo, Libera, la cui cattedra era stata trasferita a Roma. Oppure si decideva il nostro comportamento verso i Docenti più tradizionalisti. Michelucci, con un portamento aristocratico, scendeva ogni giorno dalla sua villa Le cupoline per farci lezione. Era un persona mite, discorsiva, ma non prevaricante, parlava a bassa voce, praticava la maieutica. Nel suo modo di comportarsi non era per nulla fascista. I camerati, nel 1945 ormai passati di moda, avevano avuto un motto “Me ne frego” che non si attagliava alla sua persona. La sua parlata toscana, densa di frasi principali, di subordinate, di aggettivi pertinenti, di costruzioni letterarie fantasiose, mi colpì perché assai diversa da quella scarna e pragmatica dei miei insegnanti milanesi. Faceva architettura anche con le parole. Si faceva aiutare da due assistenti molto validi Ricci e Savioli. Di Leonado Ricci, simpatico, preparato e molto disponibile con i ragazzi, si diceva che il padre avesse vinto, in terre dell’Impero ed in Buoni del tesoro la Lotteria di Tripoli per una somma favolosa. Con i Buoni del tesoro aveva poi vinto, per estrazione dei nume-

ri delle cartelle in sue mani, un’altra ingente somma. Questo fatto, in qualche modo, lo aveva psicologicamente segnato. Il figlio Leonardo, mio assistente, forse per riflesso a quanto era successo al padre, aveva una personalità particolare. Lo definirei “genio e sregolatezza”. Pur essendo già docente, visse, come pittore, un anno a Parigi. Sarebbe divenuto il nonno della bellissima Elena Sofia Ricci. Savioli, nell’insegnamento, era meno brillante di Ricci, ma più meditativo. Aveva un aspetto tra Piccard ed Einstein con i capelli lunghi sul collo sotto una pelata prematura. Michelucci, che aveva una personalità positiva, aveva un forte carisma. Il suo competitore in Facoltà era Roberto Papini che insegnava Storia dell’Architettura ed era innamorato delle opere di Francesco di Giorgio Martini che ci proponeva come maestro nella scansione dei vuoti e dei pieni delle sue facciate. A Firenze si respirava aria di proporzioni auree e molti Docenti mal si adattavano ad accettare l’architettura razionalista, troppo povera, ma soprattutto troppo schematica, bloccata in griglie geometriche, senza uno studio particolare delle proporzioni. In campo musicale si era passati dalla musica classica a quella seriale dodecafonica. Nel nostro campo dal neoclassicismo al razionalismo. I toscani, sono sempre stati polemici, ma mai conformisti. Anche in quel periodo Michelucci ed il suo gruppo accettarono di studiare e di assimilare un tipo di architettura a loro estranea come la nostra. Roberto Papini che si definiva “il bello” - in contrasto con l’allora famoso scrittore cattolico Giovanni Papini “il brutto” - e che veniva all’Accademia seguito da un esangue assistente, portando all’occhio destro un ottocentesco monocolo, amava un tipo di architettura più legata al territorio, con spartiti simmetrici, fedele alla tradizione. Il confronto tra razionalisti e tradizionalisti, era serrato e reso possibile dal fatto che alle lezioni oltre ai Docenti erano presenti pochi allievi. Tra i quali, alcuni divennero noti come i registi Zeffirelli e Bolognini, gli architetti Gambacciani e Ciruzzi i rico-

Enrico Freyrie, Planimetria di un nuovo centro industriale di 8.000 abitanti (tesi di laurea esposta alla VIII Triennale di Milano).

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struttori di Genova. Pier Luigi Spadolini, fratello del Ministro, Adriano Montemagni il progettista dell’ultimo ponte sull’Arno alle Cascine, Konig il designer del tram Jumbo. Michelucci, era un Docente molto valido, provocava l’allievo in ogni sua scelta senza far trasparire il suo pensiero; più che intromettersi, stava ad ascoltare e interveniva solo su fatti concreti come la progettazione. La sua mente sognante stava, forse, inseguendo tipi liberi come la chiesa dell’autostrada o di Longarone. Era indipendente dalle mode e non si lasciava incantare dalla fama dei grandi maestri che, a mio parere, poco conosceva. Per inciso segnalo, un’altra volta, ai miei giovani colleghi, che, come nella facoltà di Milano, anche a Firenze la bibliografia era molto scarsa e la biblioteca contenuta in pochi scaffali. Le riviste più note erano “Architectural Record”, “Architecture d’ajourd’hui”, “Domus”, “Stile”, e “Metron” stampata a Roma con mezzi di fortuna nel 1945. Aveva nella redazione nomi come Figini, Bottoni, Gentili, Peressutti, Piccinato, Ridolfi. La guerra ci aveva abituato, in ogni campo, alle cose essenziali. Scelsi, come tesi di laurea una città satellite di Erba, un po’ spostata ad est sul lago di Pusiano e naturalmente mi rivolsi al Preside che, pur non essendo un Urbanista, accettò la mia proposta. Le regole fluttuavano nell’aria come farfalle. Ogni proposta sembrava valida dopo un periodo di Piani regolatori del periodo prebellico. Vorrei mostrarvi la planimetria di base di questa città satellite, un tipo di intervento mai accettato in Italia, in puro stile LC, ma a mio parere, interessante per la scelta della sua postura e perché, se realizzata, avrebbe risparmiato lo scempio che si è fatto di una cittadina verde, prevalentemente sette-ottocentesca come Erba, che è divenuta una disordinata città di frontiera. Il giorno della laurea si verificò, come previsto, lo scontro tra il mio Relatore e Roberto Papini. Egli disse: “In Italia si progettano città italiane. Anche se l’impegno è stato grande la soluzione è azzardata e internazionalista: il laureando merita una detrazione dalla media dei voti degli esami di diversi punti”. Così fu. Michelucci tentò di difendermi, ma come dissi, era timido e mite nei rapporti umani, tanto quanto era forte e determinato nelle sue opere e, ripensandoci, nel farsele assegnare, specialmente dagli Enti pubblici. In Facoltà fui considerato un laureato scomodo. Insieme a lui ebbi, però la soddisfazione di avere dalla mia parte gli studenti e di veder esposta, per merito loro, la mia tesi alla VIII Triennale di Milano. Enrico Freyrie

Deliberazioni della 107a Seduta di Consiglio del 27.5.2002 Seconda parte 13026, Gurgone, Cinzia, 20.4.1969, Milano; 12932, Lamanna, Roberto, 21.5.1973, Milano; 13021, Lambertini, Silvia, 9.10.1969, Milano; 13035, Lamperti, Annalisa, 3.2.1973, Melzo; 13108, Landoni, Silvana, 8.11.1971, Rho; 12951, Lapenna, Luca, 7.3.1971, Bari; 13034, Leuenberger, Elena, 11.5.1977, Milano; 13106, Logroscino, Paolo, 24.7.1974, Bari; 13117, Lorenzi, Angelo, 22.2.1963, Torino; 13097, Maffeis, Stefano, 24.3.1976, Seregno; 13016, Maggiolini, Igor, 5.4.1974, Rho; 13101, Magi, Silvio Carlo Giorgio, 22.1.1965, Milano; 13110, Magnelli, Francesco, 6.3.1968, Rotonda; 12991, Maiorano, Roberta, 25.4.1974, Paderno Dugnano; 13094, Malabarba, Laura, 7.9.1976, Milano; 12919, Mantero, Anna, 14.8.1969, Milano; 12941, Mastrapasqua, Daniele, 18.1.1970, Milano; 13048, Matika, Marino, 30.1.1958, Pola; 12924, Mattarozzi, Alberto, 21.10.1974, Milano; 12990, Mattavelli, Antonella, 24.9.1974, Vimercate; 12928, Meriggi, Maurizio, 27.6.1963, Firenze; 12925, Merini, Daniele, 15.5.1974, Milano; 12953, Meroni, Daniela, 27.3.1973, Milano; 12996, Messeca, Luca Marcello, 14.3.1963, Milano; 13013, Minotti, Cristina, 19.2.1969, Como; 13032, Mosca, Michela, 14.3.1970, Milano; 12993, Musso, Francesco, 5.3.1973, S.Agata Di Militello; 12967, Nano, Fabrizio, 7.6.1973, Stresa; 12960, Nebuloni, Massimo, 21.5.1973, Rho; 13042, Neri, Alessandro, 3.3.1975, Como; 12973, Niciforo, Annamaria, 24.10.1963, Roma; 12926, Olivo, Laura, 20.7.1971, Monza; 13027, Orsenigo, Adriano Ettore, 28.5.1971, Cantù; 13103, Padoa, Davide Gabriele, 2.8.1970, Milano; 12994, Paganini, Gian Mario, 26.7.1974, Busto Arsizio; 13002, Paola, Marco, 2.7.1973, Cremona; 13022, Parmeggiani, Marco, 18.11.1972, Milano; 13047, Pegolotti, Alessandro, 30.7.1974, Giussano; 12936, Pelanda, Paolo Filippo, 13.4.1972, Milano; 13079, Pellicano, Laura, 4.4.1973, Milano; 12918, Perego, Daniela, 16.10.1973, Monza; 13043, Petruzzellis, Michy, 1.3.1971, Milano, 12944, Peviani, Andrea, 22.12.1970, Milano; 13004, Piccio, Massimiliano, 9.11.1970, Milano; 12947, Pietra, Roberto, 21.2.1966, Milano; 13000, Pignolo, Italo, 20.5.1965, Milano; 13056, Pilato, Alessandro, 13.7.1971, Messina; 12998, Portioli, Maria Antonietta, 5.8.1967, Caceres; 13118, Pradella, Roberta, 8.3.1966, Bormio; 13115, Prandoni, Marcella, 31.7.1975, Milano; 12956, Racchi, Alessandro, 31.10.1975, Vizzolo Predabissi; 13057, Radice, Alessandro, 3.5.1971, Milano; 13113, Rattaro, Paolo, 17.3.1970, Pavia;

12938, Redaelli, Emanuele, 25.2.1971, Vimercate; 13020, Renisi, Serena, 24.9.1972, Milano; 12970, Renzi, Clemente, 12.12.1960, Dugenta; 12958, Rikos, Dionysios, 2.10.1960, Atene; 1550, Rivolta, Pierluigi, 2.1.1940, Milano; 13111, Rizzi, Gianluca, 15.12.1973, Vizzolo Predabissi; 13080, Rizzo, Paolo, 2.12.1973, Milano; 13031, Robecchi, Chiara, 11.7.1973, Milano; 13055, Rocchitelli, Myrta, 20.4.1971, Milano; 12948, Romeo, Annalisa, 22.9.1970, Milano; 13058, Rosenberger, Michal, 15.6.1968, Jaffo; 13008, Rossi, Giuliana, 22.11.1972, Milano; 12923, Rossi, Maria Luisa, 1.10.1971, Bruxelles; 13050, Rossi, Silvia, 16.8.1973, Milano; 13012, Rossignoli, Alessia, 1.2.1974, Milano; 12992, Rota, Valerio, 8.9.1971, Milano; 13109, Saja, Daniele, 23.7.1973, Sesto S. Giovanni; 12943, Sala, Barbara, 1.4.1973, Desio; 12982, Samsa, Erika Anna Alessandra, 22.6.1970, Milano; 12988, Sancini, Marco, 27.1.1968, Milano; 13078, Sangiorgio, Andrea, 20.10.1972, Milano; 13077, Sapranidou, Maria, 10.1.1972, Salonicco; 13040, Sartorelli, Paola, 21.2.1969, Milano; 12933, Savastano, Sara Olga, 11.11.1973, Milano; 13073, Savelli, Alessandro, 2.10.1955, Milano; 13052, Sciacca, Emiliano, 9.11.1973, Lamezia Terme; 13100, Serafin, Monica, 9.2.1974, Milano; 13119, Sicuro, Giacomo, 14.11.1965, Messina; 12913, Silvestre, Laila, 30.6.1969, Milano; 12981, Silvestri, Werner Sandro, 24.12.1969, Milano; 13075, Spinelli, Barbara, 12.7.1975, Sesto San Giovanni; 12984, Succi, Ivan, 10.11.1970, Sesto San Giovanni; 12927, Taddio, Giorgio, 23.3.1971, Busto Arsizio; 12942, Tagliabue, Carlo, 24.6.1964, Seregno; 12966, Tagliabue, Laura, 14.4.1968, Monza; 13025, Taidelli, Filippo, 14.2.1972, Milano; 13011, Tamborini, Sergio, 22.2.1971, Vimercate; 12978, Tauscheck, Ilaria, 20.8.1969, Genova; 13068, Ternullo, Monica, 19.11.1971, Milano; 12977, Terzoli, Marina Piera, 11.3.1973, Melzo; 13051, Tresoldi, Davide, 29.1.1976, Mariano Comense; 12949, Trittoni, Andrea, 29.11.1972, Zevio; 12920, Tura, Antonella, 11.3.1972, Milano; 13065, Urso, Salvatore, 8.7.1967, Saronno; 12965, Vallinoto, Antonio, 8.10.1966, Nova Siri; 13070, Valtorta, Elena, 31.12.1971, Carate Brianza, 12985, Venco, Denis, 19.9.1973, Monza; 12971, Verdi, Alessandra Raffaella, 21.5.1975, Milano; 13069, Verga, Beatrice, 26.11.1972, Milano; 13071, Vergassola, Samantha, 25.9.1973, Monza; 12995, Verneau, Stefano, 25.5.1975, Milano; 13083, Versetti, Elisabetta, 25.1.1973, Magenta; 12980, Viale, Claudia, 20.6.1966, Milano; 13036, Vigano’, Enrico, 5.1.1972, Carate Brianza; 13084, Vigano’, Fabrizio, 1.12.1965, Lis-

sone; 12915, Villa, Valeria Maria, 24.12.1968, Milano; 13049, Volpe, Silvia, 25.06.1974, Legnano; 12963, Zanardi, Davide, 21.5.1970, Milano; 13037, Zanini, Davide, 10.12.1973, Milano; 13093, Zappettini, Barbara, 14.8.1969, Milano. Iscrizioni per trasferimento da altro Albo: Francesco Burgio da Caltanissetta; Angelo Lorenzi da Torino; Roberta Pradella da Sondrio, Giacomo Sicuro da Messina. Reiscrizione all’albo: Rivolta Pierluigi. Cancellazioni su richiesta: Ambrogio Brusa (*); Mirco Busolini; Guglielmo Castelli. Cancellazioni per decesso: Piera Comazzi dec. li 18.11.2001; Fulvio Mario Raboni dec. li 23.03.2002; Paolo Tilche dec. li 13.05.2002; Woiciech Stefan Wrotniak dec. li 18.9.2001. Cancellazioni per trasferimento ad altro Albo: Emanuela Colzani a Parma (30.4.2002); Ettore Filograna a Lecce (2.5.02); Salvatore Regio a Catanzaro (12.4.2002); Marcella Rossin a Catanzaro (12.4.2002). Rilascio di n. 1 nulla osta per trasferimento ad altro Albo: Maria Luisa Fiorentini a Cremona. Inserimento nell’Albo d’Onore: (*) Ambrogio Brusa.

Deliberazioni della 110a Seduta di Consiglio del 8.7.2002 Domande di prima iscrizione presentate nel mese di maggio 2002 (n. 62, di cui n. 44 architetti unicamente l.p. e n. 18 architetti che svolgono altra professione): 13127, Albera, Daniele, 13.7.1973, Tortona; 13123, Alberti, Raffaello, 24.5.1973, Milano; 13122, Bagnasco, Daniela, 15.9.1974, Milano; 13181, Balzanelli, Paolo, 8.11.1961, Milano; 13150, Brambilla, Roberta, 22.7.1974, Milano; 13138, Brianzoli, Marco, 26.4.1975, Milano; 13175, Campodonico, Magda, 4.12.1974, Genova; 13182, Carabellese, Feliciano, 30.1.1972, Bari; 13171, Castellaneta, Francesco, 1.11.1970, Desio; 13183, Catalano, Salvatore, 29.11.1973, Catenanuova; 13128, Chiesa, Laura, 10.5.1975, Saronno; 13160, Cimnaghi, Tiziana, 1.10.1974, Mariano Comense, 13157, Colombo, Alessandro Giuseppe, 8.3.1973, Milano; 13130, Conti, Serena, 20.7.1975, Milano; 13140, Contini, Alessandro, 27.5.1973, Milano; 13134, Cozzi, Marta, 1.10.1975, Rho; 13126, Curti, Chiara, 21.5.1976, Milano; 13139, De Maio, Andrea Giuseppe, 23.7.1975, Milano; 13137, Edwards, Elisabetta Giovanna, 11.3.1972, Milano; 13120, Fassi, Raffaella, 3.7.1970, Monza; 13162, Ferrario, Andrea, 7.12.1975, Milano; 13136, Filippi, Ivan, 1.11.1968, Milano; 13169, Francavilla, Antonella, 7.3.1964, Gorizia; 13184, Galli, Maurizio, 1.12.1962, Erice; 13172, Ganassini, Marcello, 17.12.1971, Milano; 13185, Giacobone, Giovan-


Maurizio Galli da Messina; Giovanni Giacobone da Pavia. Cancellazioni su richiesta: Mario Abate; Mara Isabella Bertoni; Davide Castiglioni; Leonardo Chieppa; Renzo Dal Zotto (*); Fredrik Fogh (*); Rosalba Piedimonte. Cancellazione per decesso: Claudio Ferrari (dec. il 2.4.02). Cancellazioni per trasferimento ad altro Albo: Carmine Caputo a Imperia (11.6.02); Salvatore Corvaia a Enna (14.6.02); Francesca Siclari a Genova (12.6.02). Rilascio di n. 2 nulla osta per trasferimento ad altro Albo: Francesco Bertazzi a Varese; Marco Jadicicco-Spignese a Pavia. Inserimento nell’Albo d’Onore: (*) Renzo Dal Zotto; (*) Fredrik Fogh.

Patrocinio al convegno Paradeisos Egregio Presidente, Vi ringraziamo per la concessione di patrocinio alla manifestazione Paradeisos, che provvederemo a inserire nel nostro programma. Vi confermiamo pertanto che in virtù di tale patrocinio i Vostri iscritti potranno usufruire di uno sconto del 30% sulla quota di iscrizione al convegno. A tale proposito Vi allego un breve testo che oltre a descrivere la manifestazione evidenzia questa opportunità, Vi prego pertanto, se possibile, di pubblicarlo sulla rivista AL nel Vostro spazio. Novella Beatrice Cappelletti Condirettore de “Il Verde Editoriale” Paradeisos 2002: 7 anni di paesaggio Che cos’è Paradeisos? L’iniziativa Paradeisos nasce nel 1996: un appuntamento annuale nel quale tutte le realtà coinvolte sul tema del Parco Urbano possono incontrarsi e dibattere sulla gestione, sulla funzione dei parchi e sulle future strategie. Paradeisos è un’iniziativa de “Il Verde Editoriale” che, insieme alla Regione Lombardia, ha dato vita a questo importante appuntamento. È un evento che vuole rappresentare un punto di incontro annuale per quanti si occupano di paesaggio. 1996: “I Parchi urbani alle soglie del 2000: tra conservazione e svi-

luppo”, la prima edizione ha affrontato il tema del Parco urbano registrando nel corso della giornata convegnistica e nei giorni a seguire uno straordinario interesse. • 1997: la seconda edizione di Paradeisos è stata dedicata al tema “Dal Parco urbano alle infrastrutture ecologico-ambientali: il paesaggio tra occasione e strategie”. • 1998: “I parchi protagonisti della riqualificazione urbana”, la terza edizione è stata organizzata in quattro sessioni che si sono alternate nel corso di due giornate congressuali. • 1999: “Più valore al paesaggio”, anche la quarta edizione si è articolata in quattro sessioni nell’arco di due giornate congressuali. • 2000: “Paesaggio e città”, la quinta edizione si è svolta per la prima volta a Milano, nel prestigioso Centro Congressi Le Stelline. Articolata in quattro sessioni e due giornate di lavori, con un’ampia ed interessante parte espositiva. • 2001: “Costruire il paesaggio”, che ha affrontato i temi quali parchi per il paesaggio italiano, oltre che gli obiettivi della Comunità europea su questo tema. Dedicata al progetto urbano e alla qualità dello spazio pubblico infine l’ultima sessione della seconda giornata. • Paradeisos 2002 Paradeisos arriva quest’anno alla settima edizione e festeggia questo traguardo con l’uscita di un tabloid, “Paradeisos Info”, che sostituirà il consueto cartoncino/invito e rappresenterà un piccolo giornale di informazioni e news sulla manifestazione. La macchina organizzativa di Paradeisos si è riavviata per tornare ad allestire come sempre, le quattro sessioni del Convegno ed il corollario di manifestazioni, mostre, ed altro che l’evento porta con sé. Molti i temi che saranno affrontati nel corso delle quattro sessioni: • Il paesaggio europeo: paesaggisti di chiara fama illustreranno i nuovi progetti per il paesaggio; • La certificazione ambientale nelle aree protette; • Il paesaggio in movimento: strade, autostrade, promenade, passeggiate, boulevard; • I grandi eventi come occasioni di paesaggio: Euroga 2002+, Barcellona 2004, Torino 2006, Lombardia 2005. A questo punto nel presentare la prossima edizione non possiamo che darvi appuntamento al 28 e 29 Novembre 2002, nella nuova sede del Museo delle Scienza e della Tecnologia di via San Vittore 21 a Milano. N. B. C. Segreteria organizzativa Il Verde Editoriale srl via Ariberto 20, Milano tel. 02 8331 1825-35 iniziative@ilverdeeditoriale.com

Lettere redazione.al@flashnet.it

Conserviamo intatta la Scala, patrimonio del mondo! A una preziosa carrozza settecentesca togliereste i cavalli per sostituirli con un motore turbo? Al teatro Olimpico di Palladio a Vicenza togliereste la scena fissa d’epoca per sostituirla con un attuale allestimento virtuale? Spesso gli architetti sono ansiosi di lasciare ovunque una propria traccia, purtroppo non sempre improntata a sensibilità culturale. Questo vale in particolare per il teatro alla Scala di Milano, patrimonio del mondo. Il suo antico apparato scenico manovrato manualmente, con le quinte opere di importanti artisti anche del passato, il palcoscenico inclinato (uno dei pochi superstiti), il volume originale architettonico esterno, non troppo alto per non alterare la volumetria del teatro, sono una testimonianza irripetibile di una tradizione di tre secoli. Ricordo nel dopoguerra che la ricostruzione delle distruzioni causate dal bombardamento venne rifatta nel pieno rispetto di come il teatro era prima. I finanziamenti vennero da tutto il mondo da ToscanIni al Metropolitan. Ricordo che le piccole migliorie operato dall’architetto Tito Varisco, colto e sensibile direttore degli allestimenti scenici, sono state limitate nel pieno rispetto dell’”artigianalità” del movimento delle quinte. Sono profondamente costernato, e non solo io, per la proposta di stravolgere e violentare questo gioiello appartenente alla cultura non solo di Milano, ma del mondo. Certe innovazioni tecnologiche son da riservare a un teatro nuovo e non a un’opera antica come la Scala. Andrea Disertori

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Informazione

ni, 22.4.1961, Milano; 13148, Gulino, Angelo Massimo, 18.12.1974, Milano; 13143, Ielo, Francesca Assunta, 30.11.1970, Milano; 13170, Lamera, Gabriele Paolo, 25.8.1955, Monza; 13165, Lenza, Antonello, 15.7.1970, Salerno; 13142, Limonta, Tiziano, 26.1.1973, Bollate; 13163, Lucini, Leonardo, 26.10.1976, Mariano Comense; 13129, Macchi, Marina Vanna Teresa, 27.8.1975, Imperia; 13155, Manfredi, Luca Marco, 29.11.1965, Milano; 13168, Marangoni, Milena, 17.12.1971, Rho; 13179, Mariani, Federico, 20.4.1975, Monza; 13153, Mazio, Giulia Adelaide Carla, 25.12.1973, Milano; 13131, Merolla, Anna, 16.2.1970, Napoli; 13144, Meroni, Davide, 2.2.1972, Milano; 13156, Miticocchio, Dario Giovanni, 27.12.1968, Milano; 13125, Modafferi, Laura Francesca, 28.4.1967, Milano; 13177, Morelli, Silvia, 13.3.1972, Milano; 13178, Motta, Silvia, 7.05.1976, Treviglio; 13141, Nai, Laura Elisabetta, 3.4.1975, Vizzolo Predabissi; 13121, Nardin, Paola, 28.6.1975, Desio; 13135, Ottogalli, Barbara, 21.8.1970, Codoipro; 13176, Pasquina, Tiziana, 20.3.1973, Seregno; 13161, Pati, Enrico, 9.4.1970, Lecce; 13132, Pezzorgna, Alessandra, 20.6.1976, Mantova; 13145, Piazzardi, Andrea, 28.7.1972, Voghera; 13133, Prete, Massimiliano, 8.1.1975, Milano; 13167, Raffaglio, Paolo, 29.11.1975, Milano; 13149, Redaelli, Gianluca Vittorio, 23.2.1972, Sesto San Giovanni; 13164, Romanato, Matteo Giuseppe, 12.6.1972, Milano; 13158, Schiavi, Raffaella, 25.4.1972, Roma; 13147, Slocovich, Barbara, 1.9.1973, Milano; 13159, Spada, Marcella, 26.05.1972, Milano; 13173, Triulzi, Stefania, 9.3.1967, Desio; 13154, Ughi, Francesca, 22.1.1972, Napoli; 13152, Vacchelli, Bianca Maria, 16.6.1973, Milano; 13124, Valente, Barbara, 26.7.1973, Milano; 13174, Vincoletto, Massimiliano, 27.2.1968, Milano; 13146, Viroli, Sergio, 7.10.1970, Milano; 13151, Vitali, Matteo Enrico Luigi, 15.10.1974, Milano; 13180, Zangheri, Fabio, 9.8.1974, Milano; 13166, Zanlungo, Claudia, 5.8.1972, Pavia. Iscrizioni per trasferimento da altro Albo: Feliciano Carabellese da Bari; Salvatore Catalano da Enna;


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se ripercussioni sulla salute dei cittadini e un’invasione selvaggia di antenne di telecomunicazioni. Hinterland

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Rassegna a cura di Manuela Oglialoro

Informazione

Ambiente Sviluppo sostenibile, accordo senza illusioni. Il summit sulla Terra chiuso con un Piano d’Azione che non indica scadenze vincolanti per i governi (dal “Corriere della Sera” del 5.9.02) I delegati dei quasi 200 Paesi di tutto il mondo presenti al Summit della Terra di Johannesburg, dopo undici giorni di estenuanti trattative, enti conferenze organizzate dalle Nazioni Unite hanno rilasciato la “Dichiarazione Politica di Johannesburg sullo Sviluppo Sostenibile”. Precedentemente era stato approvato il “Piano di Azione sullo Sviluppo Sostenibile”. La “Dichiarazione Politica” è un documento che impegna moralmente i contraenti a intraprendere la strada dello “sviluppo sostenibile”. Come trasformare le buone intenzioni in realtà? La strada viene indicata dal secondo documento, il “Piano d’Azione”, che enumera gli obiettivi da raggiungere sui vari temi in discussione (energia, ambiente, salute, aiuti finanziari), talvolta senza riferimenti ai tempi di attuazione, talaltra indicando possibili traguardi temporali che, tuttavia, non rappresentano scadenze vincolanti. In molti casi gli obiettivi indicati rappresentano una riconferma di impegni già assunti in precedenti conferenze organizzate dalle Nazioni Unite. La parte più innovativa dei documenti riguarda i 562 progetti operativi che sono stati allegati al “Piano di Azione”. Limiti meno rigidi contro l’elettrosmog. Procedure accelerate per l’installazione delle antenne. Gli ambientalisti: salute a rischio, avremo 40mila nuovi impianti (dal “Corriere della Sera” del 3.8.02) Saranno meno restrittivi i limiti all’elettrosmog. Lo ha stabilito un comitato dei ministri, presieduto dal Ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, fissando come soglia di attenzione delle emissioni degli elettrodotti su case, scuole e uffici, i 10 microtesla. Il Consiglio dei Ministri ha varato un provvedimento che sveltisce le procedure per l’installazione di reti e antenne di telecomunicazioni sul territorio nazionale. Entrambe le norme dovranno passare al vaglio della Conferenza Unificata. Ma è già polemica: gli ecologisti paventano pericolo-

Premio a San Giuliano, “città dei bambini”. Studenti e tecnici hanno progettato insieme parchi piste ciclabili e percorsi pedonali (dal “Corriere della Sera” del 14.6.02) Questa volta San Giuliano, dopo il terzo posto del 2000 e la menzione dell’anno scorso, ha agguantato il primo posto assoluto tra i Comuni con meno di 50mila abitanti del Concorso “Città sostenibili delle bambine e dei bambini”. Con un merito in più: è stato l’unico Comune lombardo tra i tredici scelti dal ministero dell’Ambiente, che ha istituito il premio nel 1998. San Giuliano ha vinto con un progetto che ha impegnato i bambini a immaginare e disegnare una città “su misura”. Parchi, giardini, spazi di studio e luoghi di incontro sono stati discussi e ridefiniti dai tecnici comunali con la collaborazione dei “piccoli architetti”, che hanno dato consigli su come collocare giochi o costruire piste ciclabili e percorsi pedonali. Milano Restauri alla Scala, scontro sulle “torri”. Critiche alle nuove strutture previste sul tetto, ma l’aspetto originale è stato alterato quasi un secolo fa (dal “Corriere della Sera” del 6.6.02) Associazioni, comitati e politici si stanno ancora mobilitando nella battaglia per la difesa del patrimonio artistico. Legambiente e “Salviamo - Milano” hanno presentato un esposto alla Procura per possibile “danno ambientale” causato dalla demolizione del vecchi palcoscenico scaligero. Artisti come Carla Fracci e Luciano Damiani, osteggiano il restauro. Le opposizioni si scagliano sulla scarsa chiarezza del procedimento adottato dal Comune per l’attribuzione dell’intervento. Italia Nostra ha invece proposto di realizzare in cartongesso i nuovi volumi (il quadrato della torre scenica e il cilindro) e di montarli sul tetto in modo da valutare l’intervento prima che venga realizzato. Aperte due nuove stazioni del passante (da “Il Giornale” del 5.7.02) Per il passante ferroviario, siamo giunti al penultimo atto. L’inaugurazione delle nuove fermate di piazzale Dateo e Villapizzone porta a otto il numero delle stazioni nel percorso urbano che sarà concluso per il 2004 con l’apertura della stazione di Porta Vittoria. Per quella data sarà attivato anche il collegamento extraurbano in superficie per Treviglio, Bergamo e Brescia. Con le due nuove stazioni, la lunghezza totale della linea arriva a 10,4 chilometri. Il costo complessivo dell’opera è di 880 milioni di euro per il tratto urbano. Design Museo del Design alla Triennale. Il Cda della fondazione ha già dato l’ok (da “Il Giornale” del 7.7.02) Il sospirato museo del Design verrà

realizzato all’interno della Triennale. Il Consiglio di amministrazione della neonata fondazione ha deliberato la realizzazione di un’area espositiva permanente del design all’interno del palazzo di via Alemagna. I tecnici sono al lavoro sia per preparare il progetto museografico sia per stilare un preventivo dei costi. Difficile sapere qualcosa in più sul progetto. Se si tratterà di un museo “classico” o qualcosa di diverso, aperto all’innovazione e alla multimedialità. Oppure, una terza ipotesi, quella più vicina al Presidente Augusto Morello, di un “museo diffuso” con il suo fulcro in Triennale, sorta di coordinamento centrale, e il resto della collezione sparso per la città. Progetti Mancano i fondi, si ferma la Biblioteca europea. Il comitato che promuove l’opera di Porta Vittoria ha i finanziamenti per il progetto esecutivo ma non per la costruzione e la gestione (dal “Corriere della Sera” del 28.8.02) Nell’elenco delle opere che Milano deve chiedere al Governo di finanziare, oltre al restauro del Teatro alla Scala e alla quarta linea della metropolitana, si deve aggiungere la “Biblioteca Europea d’informazione e di cultura”, che dovrebbe sorgere entro il 2008 sull’ex scalo ferroviario di Porta Vittoria. È quanto auspica il promotore del comitato che sostiene la nascita della Biblioteca. Se non saranno stanziati al più presto i fondi per la costruzione, non si darà il via al progetto esecutivo e , di conseguenza, l’intero piano per la nascita della Biblioteca europea rischierebbe di arenarsi. “In tre anni cambierà il volto di Milano”. L’assessore Verga: cantieri su 7 milioni di metri quadrati di aree dismesse. Già investiti tre miliardi di euro (dal “Corriere della Sera” del 4.8.02) Milano colma i “vuoti urbani”. Sulle grandi aree dismesse ex industriali e ferroviarie, sparse qua e là sul territorio cittadino alla fine degli anni ’80 dopo il trasferimento delle funzioni produttive, stanno spuntando o spunteranno a breve nuove case, uffici centri sportivi, poli universitari, teatri e parchi urbani. La città sta cambiando aspetto e sta giocando una scommessa da sette milioni di metri quadrati di terreni e da tre miliardi di euro di investimenti già attivati. Tra i progetti più significativi, il capolavoro si chiama Montecity-Rogoredo, l’intervento di riqualificazione più esteso d’Europa. Grandi trasformazioni riguardano però altre aree: dalla Bicocca, dove al posto dei capannoni della Pirelli è sorta la Nuova Università Statale, sono comparsi centri di ricerca ed è nato il primo grande teatro di periferia (gli Arcimboldi). Cambieranno aspetto inoltre Porta Vittoria, l’ex Ansaldo, il Portello e la Fiera dopo il trasloco a Rho-Pero. Cruciale l’area di Garibaldi Repubblica, dove dovrebbe sorgere la “Cittadella della Moda”. Piani di recupero riguardano ancora la zona dei Navigli: da via Magolfa al Parco Argelati, al Sieroterapico.

Navigli Comune: piano antidegrado per i Navigli. Progetto di recupero alla Darsena e nuova centrale elettrica alla Conca Fallata (dal “Corriere della Sera” del 23.8.02) Un concorso internazionale per la rinascita della Darsena. Una microcentrale elettrica alla Conca Fallata. La riparazione della Conchetta in modo da rendere navigabile un primo tratto del naviglio Pavese grazie all’antico meccanismo dell’”ascensore ad acqua”. Al centro di tutto il Master Plan, il documento che fissa nero su bianco il progetto delle amministrazioni, Regione, Comune in testa, per il recupero dei bistrattati canali milanesi. Un piano che si concluderà alla fine del 2004 e che nelle intenzioni dei promotori dovrebbe portare alla completa rinascita dell’intero sistema dei Navigli, Martesana inclusa, non soltanto nel territorio milanese. Territorio L’occhio del satellite aiuterà a prevenire le frane in Valtellina e Valle Camonica. Avviata la sperimentazione sulle zone a rischio (dal “Corriere della Sera” del 6.7.02) Un supermonitoraggio delle aree a rischio frane in Valtellina e Valle Camonica, con una mappatura dei punti più critici. Un’indagine dettagliata, di precisione millimetrica, mai realizzata prima né in Lombardia né nel resto d’Europa. Si sta verificando addirittura se sia un caso unico al mondo. Il brevetto del metodo dell’analisi lo è. E fra poco, al termine delle procedure tecnico-legali, sarà tutelato negli Stati Uniti e in Giappone. Dietro la sperimentazione c’è infatti un nuovo sistema di rilevamento, basato sul funzionamento dei radar satellitari. Un’invenzione dei ricercatori del Dipartimento di elettronica del Politecnico di Milano. Urbanistica Addio piani regolatori, ai Comuni carta bianca. La Regione propone una modifica alla legge urbanistica (da “Il Giornale” del 23.7.02) I piani regolatori non esisteranno più: al loro posto ci saranno i “piani di governo del territorio”, di durata quinquennale e decisamente più flessibili (in pratica consentiranno ai comuni di attuare investimenti urbanistici senza passare attraverso le forche caudine della burocrazia). È solo una delle grandi novità contenute nel progetto di legge urbanistica su cui la Regione sta lavorando e che è stato ufficialmente anticipato dal governatore Roberto Formigoni e dall’assessore al Territorio Alessandro Moneta. “La Lombardia - ha detto il governatore - si accinge a riformulare completamente una legge di 27 anni fa, la 51 del 1975, e quindi a introdurre elementi di innovazione sostanziali, in modo da avere uno strumento legislativo adattabile al contesto urbanistico attuale, un testo unico che sostituirà e semplificherà tutta la normativa”.


a cura di Antonio Borghi Segnali di fumo Finalmente si sono insediati alcuni dei gruppi assegnatari di uno spazio alla Fabbrica del vapore. Il 28 giugno, con un cocktail a base di integratori salini, Mario Gorni ha inaugurato il nuovo spazio Careof l’importante archivio di arte visiva contemporanea che ha fondato e di cui è curatore dal 1987 e che da oggi opera in via Luigi Nono 7, sul fianco della Fabbrica del vapore. Altri due laboratori operativi sono il Process, e One Off, mentre il Dagad, Polifemo, Accademia del gioco, hanno solo un piccolo ufficio di rappresentanza, senza la disponibilità di spazio per operare. Che destino attende gli altri gruppi premiati? Se lo chiedeva Anna Detheridge sul supplemento domenicale de “Il Sole 24 Ore” del 12 maggio, in un articolo intitolato La Fabbrica del vapore produce solo fumo. “‘Pagherò il pranzo a chi crede che entro l’anno la Fabbrica del vapore non sia già funzionante’: sono ‘le ultime parole famose’ dell’ex assessore allo sport e giovani di Milano Sergio Scalpelli pronunciate il giorno dell’inaugurazione davanti alle sedici società vincitrici del bando di concorso ‘Realizza il tuo progetto’. Dopo diciotto mesi con i cancelli ancora chiusi, stanchi di attendere, costoro hanno indetto una conferenza stampa per ricordare al Comune gli impegni presi; e a giudicare dal malinconico stato di disarmo in cui versa tuttora la grande ex fabbrica Carminati & Toselli di via Procaccini 4, il debito dell’ex assessore, qualora volesse onorarlo, rischierebbe di diventare un’occasione di gala. Il progetto della Fabbrica del vapore che unisce le sedici aziende selezionate con tanto di presentazione di business plan e analisi di fattibilità per attestare l’autonomia finanziaria delle creative industries italiane tra cui Studio Azzurro, Show Biz, Aiace, Centro Studi Golden, Careof & Viafarini, aziende ‘giovani’ con attività pluriennali alle spalle, si situa nel contesto di una Europa competitiva dove già operano luoghi analoghi altamente specializzati e competitivi quali La Friche Belle de Mai a Marsiglia, lo Zkm a Karlsruhe e la Cable Factory di Helsinki. Rammentare agli amministratori che gestire un progetto non è come gestire un museo, che un centinaio di persone non può essere accatastato nei magazzini in attesa di soluzioni e tempi politici, potrebbe apparire superfluo se non si sapesse che i primi progetti intrapresi risalgono a oltre cinque anni fa. Non solo, ma la delibera che formalizza l’identità culturale

e la mission della Fabbrica del vapore non hanno avuto alcun seguito, tanto meno una direzione progettuale. Non sono stati neppure avviati i lavori di restauro residuali (per un valore di trecento milioni) che permetterebbe alle suddette aziende di cominciare a lavorare. Tuttavia, si comincerà a giorni a lavorare su un altro braccio del complesso [quello inaugurato a fine giugno ndr] che è stato finanziato per 9 miliardi. Messo di fronte al Cahier de doléances sciorinato da Paolo Rosa dello Studio Azzurro e da Romano Fattorossi della Aiace, l’Assessore del settore sport e giovani Aldo Brandirali ha risposto con insolita quanto imbarazzante schiettezza. Superato lo scoglio di una progettazione tecnica errata (45 metri di corridoi che separavano i locali dai servizi), emerge un’assenza di coordinamento interno e una mancata disponibilità di spesa dell’attuale giunta. Di fronte all’insensibilità verso una progettualità culturale che non chiede finanziamenti, ma alla quale l’amministrazione nega persino quel supporto di che possa muovere effettive sinergie, l’amministrazione - come anche la città stessa - appare in tutta la sua opacità, condannando le generazioni più giovani a una ineluttabile marginalizzazione culturale ed economica prima ancora che sociale. Questo in un modo che brucia obiettivi, modelli di produzione e progettualità con tempi talmente rapidi che al Comune di Milano, evidentemente, appaiono invisibili”. Facciamo due passi e da via Procaccini arriviamo fino all’Arco della Pace per verificare la veridicità

della lettera che Riccardo Chiaberge indirizzava al Ministro Urbani dalle pagine dello stesso supplemento il 28 aprile, lettera che portava il titolo Salvate il grattacielo di Napoleone. “Caro ministro Urbani, il suo impegno per la ricostruzione del ‘pirellone’ dopo il tragico sfregio del 18 aprile è stato apprezzato da tutti, milanesi e non. Purtroppo, per un singolo ferito che rinasce, ce ne sono altri che cadono a pezzi. E senza che nessuno si incarichi di demolirli. Prenda l’Arco della Pace. È una delle meraviglie della Milano ottocentesca, il nostro Arco di Trionfo. Il grattacielo di Napoleone. Un monumento che colpì, tra gli altri, la fantasia di Ernest Hemingway. Premetto che abito nei paraggi, e sono quindi in flagrante conflitto d’interessi. Ma se può ci faccia un salto, signor ministro. Lo troverà recintato da una palizzata di lamiera, istoriata di geroglifici spray: è così dai tempi di Craxi. Due cartelli esibiscono il nome del suo Ministero. Uno annuncia il restauro dei ‘gruppi equestri bronzei’. Costo 400 milioni (di vecchie

Ma Milano non merita questa umiliazione. Poco lontano, a Palazzo Reale, è aperta una grande mostra sul Neoclassicismo: cinquantacinquemila visitatori nei primi 44 giorni, un incasso che basterebbe da solo a rimettere in sesto uno dei più fulgidi esempi di architettura neoclassica. Passando sotto l’Arco, i turisti alzano gli occhi e leggono: ‘Milano esultante cancellò da questi marmi / le impronte servili / e vi scrisse l’indipendenza d’Italia’. Data: 1859. Era l’ultimo di una serie di ribaltoni, tipici del costume nazionale. Disegnato nel 1807 da Luigi Cagnola in onore di Napoleone, il monumento era stato poi dedicato a Francesco e Ferdinando imperatori d’Austria, per tornare infine a un altro Napoleone, il terzo, entrato in Milano ‘coll’armi gloriose’ a fianco di Vittorio Emanuele II. A ogni passaggio gli scalpellini cambiavano i soggetti dei bassorilievi allegorici. E ora? Che cosa o chi dovremo aspettare, per salvare l’Arco dal degrado? Le armate di Haider, quelle di Le Pen? O le auto (e magari i Tir) che qualche assessore vorrebbe far transitare là sotto, in quella che da quindici anni è un’isola pedonale? I gas di scarico come cura per i marmi, che idea brillante. Provi a credere all’istituto di restauro, ministro Urbani: scommetto che nessuno ci aveva ancora pensato”.

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lire). ‘Presunta ultimazione dei lavori’: 29 novembre 2001. L’altro, risalente addirittura al marzo del 1999, promette per la modica spesa di 350 milioni, il ‘restauro del paramento decorato lapideo parte lato sud’. E in effetti, una porzione dei marmi è tornata a biancheggiare, e quel bianco fa risaltare ancora di più la patina rugginosa che ricopre il resto. Mentre lassù, la Sestiga della Pace è sormontata da un orrendo baldacchino di cellofan e di tubolari, in attesa che qualche mano pietosa venga a rimuovere le incrostazioni verdastre dalle groppe dei cavalli. Intanto passeri e piccioni nidificano sui capitelli, e nelle fenditure allignano le erbacce. Lei dirà che non è colpa sua: dopotutto ha preso servizio soltanto un anno fa. E quanto alla soprintendenza, è prigioniera di leggi barocche e vessatorie.

Riletture


Libri,riviste e media a cura della Redazione

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Rassegna

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Provincia di Milano (a cura di) I mosaici informatizzati degli strumenti urbanistici comunali e dei piani delle aree protette Franco Angeli, Milano, 2002 pp. 96, € 20,50 Robert Adam Ruins of the Palace of the Emperor Diocletian at Spalatro in Dalmatia Biblioteca del Cenide, 2001 pp. 264, € 75,00 Vittorio Gregotti Architettura, tecnica, finalità Laterza, Roma-Bari, 2002 pp. 140, € 9,50 Marco De Michelis, Maddalena Scimeni (a cura di) EMBT Miralles Tagliabue VeneziaVigo. Architetture e progetti Skira, Milano, 2002 pp. 260, € 25,00 Nicolò Leotta (a cura di) La nascita di una università nuova: Milano-Bicocca. Dal lavoro di fabbrica alla fabbrica del sapere Skira, Milano, 2002 pp. 216, € 40,00 AA.VV. Guida alla progettazione delle costruzioni in blocchi di laterizio termico Consorzio Alveolater, Bologna, 2002 Cd Rom, € 30,00 Luca Ramacci Codice delle acque. Rassegna completa di normativa e giurisprudenza Esselibri - Simone, Napoli, 2002 pp. 672, € 35,00 Patrizio Corno (a cura di) Marzorati Ronchetti. 1922-2002 Electa, Milano, 2002 pp. 136, € 40,00 Paolo Zermani Identità dell’architettura (parte seconda) Officina, Roma, 2002 pp. 120, € 10,50 Marcello Rebecchini Architetti italiani 1930-1990. Giovanni Michelucci, Adalberto Libera, Mario Ridolfi, Ignazio Gardella, Giancarlo De Carlo, Carlo Aymonino, Aldo Rossi Officina, Roma, 2002 pp. 260, € 16,00

Michele De Lucchi dopo Tolomeo

Una guida all’abilitazione professionale

“Una casa da sacristia”

“Oggi l’unica certezza è che tutto sta cambiando (…) anche quelle che sembravano grandi certezze immutabili non sono più tali: comfort, funzionalismo, ergonomia e non in ultimo bellezza sono parametri variabili.” Dopotolomeo racconta in 120 pagine i progetti di Michele De Lucchi disegnati dopo il 1986, anno di nascita di Tolomeo: la lampada di design contemporaneo più venduta al mondo. Disegni e modelli, realizzazioni e immagini di quasi un centinaio di progetti sono raccontati attraverso le pagine dei 47 quaderni, che Michele De Lucchi raccoglie fin dai tempi dell’università, nei quali è registrata la sua storia professionale mescolata alla quotidianità, le esperienze della ricerca del periodo di Memphis, di Produzione Privata e quelle professionali di architetto. L’idea del cambiamento e dell’evoluzione sono il filo conduttore di questo regesto di progetti; vi s’incontra la curiosità verso il senso delle cose, ma anche le perplessità di un professionista maturo che riflette sul proprio ruolo d’architetto e designer nella società contemporanea. Come in un diario De Lucchi confessa una complessa relazione conflittuale con l’industria: “un grande amore e allo stesso tempo un grande odio per la tecnologia”, ma anche una profonda fiducia nel ruolo del progettista quale “ponte ideale tra industria e umanità, tra azienda e consumatore”. Alla figura romantica dell’artista “che mostrava agli uomini le bellezze della natura” sovrappone quella attuale del designer “che deve far vedere agli uomini le bellezze della tecnologia”. De Lucchi trova nella storia la consapevolezza del proprio ruolo nel presente e la continuità tra provenienza e destino: tutto, sempre, “alla ricerca di un mutato senso delle cose (…) che non sta né dentro agli stabilimenti produttivi, né negli scaffali dei mercati (…) sta nella nostra testa, nella nostra immaginazione, nei nostri desideri e nelle nostre aspettative”.

Il volume si prefigge di aiutare e indirizzare al superamento dell’esame di abilitazione professionale; secondo lo schema formativo proposto da appositi corsi che si svolgono a Roma, da quasi vent’anni, a cura degli autori. Oltre a quelli, Ceccarelli e Villatico organizzano in varie città d’Italia altri generi di corsi di formazione professionale. In questo caso viene sottolineata l’importanza dell’impostazione grafica e rappresentativa della tavola progettuale d’esame. Il libro non è un manuale, ma una guida pratica e propone un indirizzo metodologico sui principali temi da affrontare. Gli argomenti trattati riguardano: le statistiche degli esami di stato e le relative problematiche; i metodi di progettazione; le tavole di particolari costruttivi; gli strumenti urbanistici. La normativa specifica, raccolta in apposite schede divise per argomento e per regione, con tavole di riepilogo, è stata riassunta e vengono esposti i più comuni parametri dimensionali, riferiti alle strade, agli edifici residenziali, a quelli pubblici; le prescrizioni antincendio, per il contenimento energetico e per la tutela ambientale. Infine c’è un elenco dei temi assegnati nelle 13 sedi per l’esame di stato per architetto. Il secondo dei due volumi riproduce (in base a una scelta effettuata dagli autori, tra le migliori elaborazioni svolte durante i corsi) un abbondante numero di tavole, suddivise per argomento progettuale e tipologico. Da un punto di vista formale gli elaborati selezionati evidenziano una certa ricorrenza all’esplicitazione di soluzioni e atteggiamenti “alla moda” e, come tali, tra breve risulteranno sorpassati. Alla fine, a cura di Adriano Gentili, ci sono 15 tavole di metodologia grafica e prospettica.

Le fasi costruttive e il continuo mutare delle necessità d’uso di Palazzo Reale sono l’oggetto di studio dei primi due capitoli del libro. Le due vicende sono, in questo edificio, strettamente legate fra di loro. Fin dalla sua fondazione Palazzo Reale ospita un’eterogenea serie di attività cui corrispondono parti che non si mostrano come individualità, come nel caso del teatro di corte o della chiesa di S. Gottardo che si costruiscono come parti di un sistema che le regola. Il punto in comune su cui hanno lavorato gli architetti che si sono succeduti nelle continue ristrutturazioni e riedificazioni è l’adesione al principio su cui si fonda l’edificio stesso: l’aggregazione di più corti come l’elemento di unione e di riconoscibilità delle molteplici attività qui presenti. A questo principio aderisce l’ultima fase di costruzione che nei primi anni dell’800 annette al complesso una serie di corti ad uso militare che si estendono fino all’attuale via Larga. È questo l’ultimo periodo di trasformazioni dell’edificio, in cui a nuove necessità si aggiungono nuove parti in forma di corti collegate alle precedenti, riconfermandone il principio compositivo. In epoca moderna con lo smembramento del sistema e la sua riduzione alla dimensione attuale, con il mettere in evidenza le singolarità che lo compongono, si è perso il senso originario di Palazzo Reale legato fin dalla sua fondazione alla precisa regola che stabiliva attraverso la successione delle corti la gerarchia tra le parti, e messo in crisi il difficile rapporto che questo ha sempre stabilito con la Cattedrale. Come scriveva Pietro Verri a proposito del progetto di Piermarini: “quella costruzione farà sempre la figura di casa di sacrestia del Duomo”.

Elisabetta Gonzo + Alessandro Vicari

Silvia Suardi Michele De Lucchi. Dopotolomeo Skira, Milano, 2002 pp. 124, € 28,00

Roberto Gamba

Alberto Fabio Ceccarelli, Paolo Villatico Campbell Guida pratica alla progettazione. Per l’esame di abilitazione alle professioni di architetto, ingegnere, geometra e perito edile Maggioli, Sant’Arcangelo di Romagna, 2002 pp. 396, € 50,00

Ilario Boniello

Enrico Colle e Fernando Mazzocca (a cura di) Il Palazzo Reale di Milano Skira, Milano, 2001 pp. 326, € 70,00


Ignazio Gardella nell’architettura italiana

Guida all’architettura del Canton Ticino

Il “diario collettivo” di Enrico Mantero

“Aldo Rossi, uno dei maestri dell’architettura del Novecento, nel ricordo degli amici e dei colleghi”. Così è scritto nella quarta di copertina di questo libro nato da un’iniziativa del dottorato di ricerca in Composizione Architettonica dello IUAV di Venezia che, nel 1998, a un anno circa dalla morte di Rossi, ha organizzato un seminario “teorico” sulla sua figura. Se al termine teoria attribuiamo il suo significato etimologico - dal greco theorein, meditare - allora ben comprendiamo il carattere del seminario e, di conseguenza, del libro. Si tratta, infatti, da un lato di una “rimeditazione” sull’opera e sul pensiero di Rossi operata a partire dai ricordi di lavoro ma anche di vita e di impegno civile dei suoi amici-collaboratori, e dall’altro di un’occasione perché allievi e colleghi di Scuola riconsiderino il suo insegnamento teorico. Si potrebbe pensare a una grande distanza fra queste due posizioni e invece, ciò che appare con evidenza è come per Aldo Rossi non fosse possibile separare l’insegnamento teorico dal lavoro professionale e dalla vita civile. Se l’architettura, secondo la sua bella definizione, è “la scena fissa della vita degli uomini” allora non può esistere una frattura fra i diversi momenti dell’attività di un architetto. Ecco allora che la passeggiata per Milano, da via Maddalena, dov’era il suo studio, a Piazza del Duomo, diventa l’occasione per ragionare sui luoghi che costruiscono la città, l’occasione di stupirsi ogni volta di questo spettacolo. Infatti, ciò a cui Aldo Rossi ha sempre teso è stata la “messa in scena” del “senso della nostra vita”. Un’operazione compiuta, come scrive Daniele Vitale, “senza dismettere quell’elogio e quell’ansia dell’architettura civile, quella ricerca di dimensione pubblica, quella volontà di rappresentazione che rimangono connaturate all’architettura”.

Il 19 giugno scorso, nella ideale cornice del Padiglione dell’Arte Contemporanea di via Palestro, è stata presentata la monografia su Ignazio Gardella curata da Stefano Guidarini. Questo lavoro colma una notevole lacuna nel nutrito panorama degli scritti dedicati all’architetto milanese, assumendo una pluralità di fonti e facendone convergere le indicazioni alla ricerca di una unità della sua opera “non nell’impegno ideologico, né nella ricerca formale, ma nei fondamenti metodologici del fare architettonico, derivati dallo studio dei suoi progetti e dalla lettura delle sue testimonianze”. Ignazio Gardella ha avuto molti riconoscimenti nel corso della sua lunga e fortunata carriera, è stato propheta in patria, forse anche grazie all’attitudine pragmatica e non ideologica dei suoi lavori. Pur aderendo infatti con decisione al movimento moderno e all’architettura razionalista, non si attiene mai ai suoi dogmi, anteponendovi una volta la propria ricerca linguistica, l’altra l’attenzione al contesto in quella che Guido Canella (illuminante il suo saggio datato 1961 e pubblicato per la prima volta in questo volume) ha definito “puntuale trasgressione”. Gardella stesso riconosceva che i suoi progetti non descrivono una coerente parabola formale, ed il suo allievo Aldo Rossi osservava quanto fosse “inaffidabile” come maestro, per l’imprevedibilità dei suoi percorsi progettuali per varianti successive, alla ricerca della soluzione alla quale non resta che arrendersi. Per questo i suoi insegnamenti sono affidati alle opere e ai disegni, piuttosto che ai suoi rari scritti, dei quali per altro troviamo in questo volume alcuni significativi esempi.

Questa guida all’architettura recente del Canton Ticino, su CDRom, presenta 261 realizzazioni di 90 architetti che, nell’arco dell’ultimo trentennio, hanno caratterizzato la produzione architettonica locale. La consultazione avviene tramite due indici (autori e luoghi), attraverso l’accesso diretto agli itinerari (personalizzabili e quindi rispondenti alle diverse esigenze degli utenti) o riferendosi a una timeline nella quale sono inseriti tutti gli edifici ordinati per funzione e anno di realizzazione. Altre due sezioni (critici e internet) sono sempre accessibili dalle pagine in consultazione. L’opera si presenta come una guida di viaggio ragionata e le architetture presentate vengono indagate grazie all’ausilio di disegni, fotografie, biografie, bibliografie, dissertazioni e video con interviste a quattro noti critici dell’architettura (Kenneth Frampton, Jacques Gubler, Roberto Masiero, Werner Oechslin) e a sette architetti ticinesi (Mario Botta, Mario Campi, Aurelio Galfetti, Fabio Reinhart, Flora RuchatRoncati, Luigi Snozzi, Livio Vacchini) che si sono distinti con opere di particolare valore; vengono inoltre proposte promenades architecturales in sette edifici particolarmente significativi. Nella selezione delle opere presentate, le autrici Graziella Zannone Milan e Mercedes Daguerre arrivano a un inventario pluralistico di oggetti architettonici rappresentativi che, oltre al giudizio critico insito in qualsiasi scelta, permette di indagare quali siano stati gli edifici e chi siano stati i protagonisti dei vari approcci progettuali emergenti all’interno del variegato panorama contemporaneo ticinese, per poi proporre nuovi attori e possibili eredi della tradizione locale.

Il racconto autobiografico della formazione di Enrico Mantero nasce in terza persona, con la garbata discrezione che lo distingueva. Tappe differenti di questa formazione sono la lettura dell’Eupalinos di Valery, il “lessico familiare” del padre Gianni, attraverso le amicizie e i libri portati dal fronte, Pasolini “scrittore-regista tra i più amati”, incontrato durante le riprese esterne del film Salò. Ma più di tutti il rapporto insistito con Ernesto Rogers e l’eredità assimilata dell’”imparare insegnando”, le lezioni di Rogers sui temi dei suoi editoriali, i viaggi studenteschi in Piemonte e Veneto, infine il richiamo del maestro al giovane assistente presso la Facoltà di Milano. Con un accurato lavoro d’archivio pubblicato nel 1969 nel libro Giuseppe Terragni e la città del razionalismo italiano, e dopo un periodo di imbarazzato silenzio, per primo Mantero ha difeso lo stretto rapporto con la città di Como che Terragni aveva spiegato sul Patris II in navigazione verso Atene. Nelle sue architetture Mantero ha sempre cercato di comprenderne le implicazioni urbane: una per tutti, il progetto per la Sede del Credito Industriale Sardo (1985), sintesi di architettura e fatti urbani. La sua scomparsa, intervenuta durante le correzioni in bozza, non ha modificato sotto alcun aspetto il carattere di “diario collettivo” di questo libro. Il quale soffre di una polverizzazione di contributi troppo dispersiva, anche se è questo un segnale dell’articolazione di temi e interessi che si sono affacciati sul suo percorso professionale. Arriva alla fine lo scritto di Federico Bucci a tirare le fila di tutti questi accorati apporti. Spiegare, attraverso l’analisi di alcune pagine di Valori Primordiali, come Rogers interpretava Terragni significa mettere in luce con un unico colpo di sezione i riferimenti del mondo di Mantero.

Martina Landsberger

Pisana Posocco, Gemma Radicchio, Gundula Rakowitz (a cura di) Scritti su Aldo Rossi “Care Architetture” Allemandi, Torino, 2002 pp. 160, € 18,00

Antonio Borghi

Stefano Guidarini Ignazio Gardella nell’architettura italiana Opere 1929-1999 Skira, Milano, 2002 pp. 264, € 22,00

Paola Giaconia

Luigi Spinelli

Mercedes Daguerre, Graziella Zannone Milan Architetture nel territorio. Canton Ticino 1970-2000 Tarmac, Mendrisio, 2001 CD-Rom Mac/Pc, € 60,00 (italiano, tedesco, inglese, francese)

Enrico Mantero Architettura. Diario collettivo a cura di Federico Bucci Unicopli, Milano, 2002 pp. 176, € 20,00

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Informazione

Ricordando Aldo Rossi


Mostre e seminari

Giuseppe Vaccaro: una mostra, un libro Giuseppe Vaccaro moderno e contemporaneo Appartamento del CiambellanoPalazzo Reale, Napoli 17 aprile - 30 maggio 2002

a cura di Ilario Boniello e Martina Landsberger

Informazione informazione

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Rassegna mostre

Rassegna seminari

Carlo Carrà. Il realismo lirico degli anni Venti Aosta, centro Saint-Bènin via Festaz 20 22 giugno - 3 novembre 2002

Giuseppe Samonà e la scuola di architettura di Venezia Venezia, Cotonificio veneziano di Santa Marta 14 - 15 novembre 2002

Dopotolomeo. Michele de Lucchi Aosta, Chiesa di san Lorenzo piazza Sant’Orso 7 giugno - 13 ottobre 2002

37° Marmomacc Struttura e superficie Verona, Centocongressi Arena Conferenza, sala Rossini 5 ottobre 2002

Gabriele Basilico Salvo. Paesaggio contemporaneo. Dialoghi tra fotografia e pittura Bergamo, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea via San Tomaso 82 18 settembre - 17 novembre 2002

37° Marmomacc Michael Graves, Alain Ritchie Verona, Centocongressi Arena Conferenza, sala Rossini 5 ottobre 2002

Bagno senza confini Bologna, Ex magazzini ferroviari DLF via Stalingrado 12 1 ottobre - 6 ottobre 2002 Le città in/visibili Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 15 ottobre 2002 - 1 febbraio 2003 Memoria e futuro dell’architettura italiana. Italia costruisce 1945 - 2000 Milano, Palazzo della Triennale viale Alemagna 6 27 novembre 2002 16 marzo 2003 Gonzaga. La celeste galleria Mantova, Palazzo Te Palazzo Ducale 2 settembre - 8 dicembre 2002 Tecnargilla 2002 Rimini, Riminifiera via Emilia 155 1 - 5 ottobre 2002 Figure tra le carte Maccagno, Civico Museo Parisi Valle via Leopoldo Giampaolo 1 29 giugno - 20 ottobre 2002

37° Marmomacc David Chipperfield Verona, Centocongressi Arena Conferenza, sala Rossini 5 ottobre 2002 I parcheggi interrati a Milano: gli ultimi dieci anni di esperienza in falda Milano, Unione del commercio, sala convegni Orlando corso Venezia 49 8 ottobre 2002 Ponti in legno. Palladio, i Grubenmann, Soane e le esperienze contemporanee Bassano del Grappa, Museo civico 4 - 5 ottobre 2002 Madrid 002. Architettura contemporanea prosegue il Ciclo di conferenze promosso dall’Ordine degli Architetti della provincia di Como 11 ottobre: Esteve Bonell, Opere complete Como, Casa del fascio piazza del Popolo 4 tel. 031 269800

Nell’ambito della IV settimana della Cultura, promossa dal Ministero dei Beni Culturali, si è tenuta a Napoli nel Palazzo Reale la mostra Giuseppe Vaccaro moderno e contemporaneo. L’opera dell’architetto bolognese è stata presentata attraverso foto d’epoca a confronto con le immagini di G. Basilico, plastici realizzati per l’occasione e disegni originali di cui alcuni inediti. La mostra, che riprende ed integra, a due anni di distanza, quella tenuta a Bologna, ha coinciso con l’uscita dell’opera completa di Vaccaro curata da Marco Mulazzani (Electa) e presentata a Napoli da Irace, Dal Co e Purini. Tale densità di iniziative, come il recente convegno sul moderno trascurato, manifesta il crescente interesse per questa figura emblematica della complessa vicenda dell’architettura italiana del Novecento, al pari di Gio Ponti, Asnago e Vender. Vaccaro, infatti, all’interno della sua notevole produzione ha sondato differenti linguaggi e stilemi, dall’accademismo magniloquente e retorico del ventennio, commisto ad un certo modernismo novecentista, alla svolta razionalista fino al dibattito sulla ricostruzione. Al primo periodo appartengono il Palazzo della Società delle Nazioni a Ginevra (1927) premiato ex equo al concorso vinto moralmente da Le Corbusier, il Progetto per il Ministero delle Corporazioni con Piacentini e il progetto per un blocco di abitazioni a Napoli del 1926. Il Palazzo delle Poste e Telegrafi di Napoli, nonostante alcuni accenti monumentali peraltro legati ad esigenze rappresentative, la colonia Agip a Cesenatico (1936) e il progetto di risanamento del quartiere Mandracchio a Napoli (1937), segnano invece un’adesione al movimento razionalista. Questi progetti costituiscono, come afferma Irace, dei topoi dell’architettura razionalista italiana, infatti, pur essendo rinvenibili legami con le ricerche di Mendelsohn o di Gropius, vi è sempre nel loro assetto

tipologico e compositivo, come nelle opere migliori di Terragni (Casa del Fascio) o di Libera (Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi), una particolare attenzione alle forme e alle architetture della storia. In questo connubio tra modernità e classicità, come da più parti è stato rilevato, sta il contributo originale e continuamente contrattato dell’architettura italiana al Movimento Moderno e al dibattito successivo con la teoria delle preesistenze ambientali di Rogers. Nel dopoguerra Vaccaro opererà ancora nel solco della continuità razionalista con il raffinato asilo nido circolare per il quartiere INA casa a Piacenza e nel concorso per la stazione di Napoli centrale, in collaborazione con Nervi. I numerosi progetti per edifici di culto, dalla basilica di Recoaro Terme alla chiesa di S. Giovanni Bosco, di volta in volta ricercheranno programmaticamente un recupero colto delle tradizioni locali mediante l’uso dei materiali o l’impiego di elementi segnaletici fortemente caratterizzati. Negli anni ’50 infine l’attenzione di Vaccaro sarà rivolta soprattutto a temi urbanistici, come il quartiere CEP di via della Barca a Bologna strutturato attorno ad una lunghissima spina centrale di blocchi a corte porticati. Pur essendo aperto il giudizio storiografico sull’opera di Vaccaro, oscillante tra una certa ambiguità linguistica e una continua contaminazione di sorprendente attualità, rimane il fatto che le sue architetture pur muovendo da differenti contesti culturali, rappresentano sovente delle rilevanti innovazioni immuni da omologazioni stilistiche e certamente degli importanti contributi alla vicenda insolita dell’architettura italiana. Renato Capozzi


Riflessioni e progetti di Vittorio Introini

Brescia: Incontri di architettura

I° Seminario internazionale delle discipline afferenti all’area della rappresentazione Milano, Facoltà di Architettura Civile 13 - 14 maggio 2002

Vittorio Introini. Riflessioni e Progetti Comune di Gallarate, Civica galleria d’Arte Moderna dal 19 maggio 2002

La Città e i suoi simboli. Architettura e Architettura Brescia, Auditorium San Barnaba aprile - maggio 2002

Per la Scuola di Milano il disegno e il rilievo sono stati strumenti decisivi per lo studio e la ricerca in architettura. La Facoltà di Architettura Civile di Milano, che ha la responsabilità dell’attualità e dell’eredità culturale di quella scuola, ha organizzato, con il I°Seminario internazionale delle discipline afferenti all’area della rappresentazione, due giornate di intensa discussione sul disegno e sul rilievo. Il convegno è stata un’occasione importante per chiarire quelle che sono le competenze dell’architetto nel rilievo e nella rappresentazione del reale, e per discutere della questione, che potremmo definire, della propedeuticità del disegno. È stato sottolineato che questo incontro si svolge in un momento in cui le università vivono una fase di importanti trasformazioni, e d’altra parte, fatti importanti stanno modificando con velocità crescente la città e il territorio, ovvero i luoghi propri dell’architettura. Ma qual è il contributo del rilievo e del disegno alla comprensione di questi fatti? E qual è, in relazione a ciò, il ruolo dell’architetto? I contributi esposti hanno descritto un panorama che pure in modo complesso mostra il disegno adoperato come strumento di ricerca e di conoscenza. I lavori sono stati articolati in tre sezioni: il disegno come rappresentazione delle idee, il rilievo come rappresentazione del reale, il disegno per la costruzione. La descrivibilità come problema d’architettura, il disegno come momento di riflessione sui fatti della città, le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, il rapporto del disegno con la memoria e con l’archeologia, sono solo alcune delle questioni discusse. Il disegno della città, museo senza tempo e deposito nel tempo delle architetture e delle civiltà è stato più specificatamente l’oggetto di studio descritto nelle tavole esposte alla mostra dei corsi di disegno della facoltà milanese sempre interessata all’attualità problematica delle questioni proprie dell’architettura della città.

Il 19 maggio scorso si è inaugurata alla Civica galleria d’Arte Moderna di Gallarate una mostra sulle Architetture di Vittorio Introini. Come suggerisce il sottotitolo “Riflessioni e Progetti” è una mostra che ha l’obiettivo di ricostruire in maniera non analitica la complessità di una ricerca architettonica iniziata negli anni Sessanta ed ancora in corso. Complessità di ricerca che la mostra e il bel catalogo mettono bene in evidenza. Dalla formazione avvenuta al Politecnico di Milano attorno alla figura centrale di E. N. Rogers e proseguita fino a oggi come scrive lo stesso Introini nell’introduzione del catalogo “scorrendo parallela al divenire della disciplina e delle trasformazioni strutturali della società, che si riflettono sul modo di pensare l’architettura dall’utopismo delle avanguardie alla presente rarefazione dell’uso della cultura nella realtà”. Il forte carattere veristico delle architetture di Vittorio Introini, la loro grande forza di appartenere strettamente ad una realtà; realtà culturale, geografica e sociale è messa in luce in modo cristallino dalle fotografie di Gabriele Basilico. Accanto alle fotografie la mostra mette insieme gli schizzi dei taccuini, vere e proprie riflessioni sul fare architettura e i disegni d’architettura, sorta di “capricci” dove l’illustrazione tecnica è esclusa a vantaggio della teoria d’architettura che le sottende. Il disegno per Introini è “concepito come elemento conoscitivo della spazialità, della forma, della linguistica e della evidenziazione dell’emblematicità del progetto e di valori grafici autonomi”. Fotografie, schizzi, disegni d’architettura assieme alle tavole sulle allegorie, compongono una sorta di puzzle che circoscrive quella precisa linea poetica dentro la quale Vittorio Introini lavora da più di trent’anni. Architetture ancorate fortemente a quei principi di teoria dell’architettura di scuola milanese, ma nello stesso tempo architetture che non rinunciano a tradursi come interpretazioni poetiche di una realtà.

Giuseppe Mazzeo

Paolo Rizzo

Un ciclo di conferenze e le personalità d’eccezione intervenute in forma di intervista pubblica all’Auditorium di San Barnaba su invito del Comune di Brescia, Assessorato alle Attività Culturali, organizzato dall’Ordine degli architetti della Provincia di Brescia, viene introdotto coerentemente: “Con il titolo proposto per il ciclo di conversazioni, l’iterazione Architettura e architettura intende porre in risalto, dialetticamente, da un lato, l’eterogeneità dell’ambiente costruito, la pluralità di risposte e concrete esigenze, l’eclettismo linguistico la diversità di contesto economico,culturale, di modalità di fruizione di grado di consumo e obsolescenza, e dall’altro l’omologazione delle tecnologie, al mercato, alla globalizzazione”. Oltre l’eccezionalità dell’avvenuto in sé, il significato dell’evento va ampiamente traslato e riferito a un contesto socio-culturale locale in fase di evidente transizione, dove da alcuni anni, anche grazie all’operato dell’INARCH, si riaprono le parentesi del dialogo tra gli ambiti professionali e le istituzioni circa la potenzialità dell’architettura nell’affrontare i temi della città - soprattutto lo spazio e il linguaggio - più che i temi di gestione dello sviluppo urbano. Il ciclo di conferenze sull’architettura e l’ambiente urbano rivolte alla cittadinanza - un dialogo mediatico il cui esito verrà unitamente raccolto e ripresentato - va attualizzato come ulteriore testimonianza sulla specificità del periodo che Brescia sta attraversando, periodo contraddistinto dalla portata delle scelte strategiche di gestione del territorio, anche in fase di adozione del nuovo Piano Regolatore Generale. I temi, progettuali e teorici, esposti dagli invitati, a partire delle esperienze personali, trasversalmente

convergono in una sinergia unica per tracciarne un panorama più esteso di una relazione possibile architettura-società. Architettura e architettura sembra esprimere anche un consenso collettivo sulla necessità di decifrare in termini locali il senso di questa relazione alle soglie di trasformazioni del tessuto urbano tra le quali la costruzione della metropolitana leggera, la qualificazione delle aree industriali dismesse in via Milano, la futura espansione urbana a San Polino ecc. Una relazione da costruire coscientemente, in termini intergenerazionali, cogliendo la specificità e la potenzialità di una società di tipo estremamente produttivistico, della fabbrica esplosa nella collettività e diffusa nel territorio, relazione il cui esito dipenderà forse proprio dai riferimenti culturali che stanno per essere assunti, inerenti ai modi di costruire la città contemporanea. A conferma della possibilità e dell’efficacia del dialogo intrapreso, anche le scelte dei riferimenti guida per alcune delle problematiche di gestione del territorio da parte dell’Amministrazione Comunale di Brescia, per esempio i piani norma come strumento attuativo della pianificazione urbanistica e i concorsi internazionali per le aree urbane di rilievo. A conclusione provvisoria - il primo traguardo, la centralità del progetto d’architettura, è raggiunto - la qualificata presenza dell’Architettura negli ambiti propositivi e decisionali della città, attraverso i veicoli culturali, divulgativi quale anche Architettura e architettura, con la propria responsabilità di ruolo e con il grande interesse pubblico, potrebbe richiamare in causa l’orizzonte definitivo di una interazione con la società. A Brescia? Stevan Tesic

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Informazione

Il disegno di architettura


A cura di Carlo Lanza (Commissione Tariffe dell’Ordine di Milano)

Variazione Indice Istat per l'adeguamento dei compensi 1) Tariffa Urbanistica. Circolare Minist. n° 6679 1.12.1969 Base dell'indice - novembre 1969:100 Anno

Gennaio Febbraio

1999

1360 1370 1380 1358,71 1361,22 1363,73 1368,75 1371,26 1371,26 1373,78 1373,78 1377,54 1380,05 1385,08 1386,33 1390 1400 1410 1420 1387,59 1393,87 1397,63 1398,89 1402,66 1407,68 1410,19 1410,19 1412,70 1416,47 1422,75 1424,01 1430 1440 1450 1430,28 1435,31 1436,56 1441,59 1445,35 1446,61 1447,86 1447,86 1449,12 1452,89 1455,4 1456,65 1460 1470 1480 1462,93 1467,96 1471,72 1475,49 1478 1480,51 1481,77

2000 2001 2002

Marzo

Aprile

Maggio

2) Tariffa P.P.A. (in vigore dal novembre 1978)

56

Anno

Gennaio Febbraio

1999

470 470,23 471,10 480 480,23 482,40

2000 2001

Indici e tassi

2002

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

novembre 1978: base 100 Giugno

Luglio

dicembre 1978:100,72

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

471,97

473,71 474,58 474,58 475,45 475,45 476,75 477,62 479,36 479,79 490 483,70 484,14 485,44 487,18 488,05 488,05 488,92 490,22 492,40 492,83 500 495,00 496,74 497,18 498,91 500,22 500,65 501,09 501,09 501,52 502,83 503,70 504,13 510 506,30 508,04 509,35 510,65 511,52 512,39 512,82

3.1) Legge 10/91 (Tariffa Ordine Milano)

anno 1995: base 100

Anno

Gennaio Febbraio

Giugno

2001 2002

109,30 109,69 111,80 112,18

Marzo

Aprile

Maggio

Luglio

giugno 1996: 104,2

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

109,78 110,17 110,46 110,55 110,65 110,65 110,74 111,03 111,22 111,32 112,47 112,76 112,95 113,14 113,24

3.2) Legge 10/91 (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) anno 2000: base 100 Pratiche catastali (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno

Gennaio Febbraio

2001 2002

100,44 100,79 102,73 103,08

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Gennaio Febbraio

2001 2002

105,26 105,63 107,67 108,04

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

100,88 101,23 101,49 101,58 101,67 101,67 101,76 102,02 102,20 102,29 103,35 103,61 103,79 103,96 104,05

4) Collaudi statici (Tariffa Consulta Regionale Lombarda) Anno

dicembre 2000: 113,4

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

anno 1999: base 100

gennaio 1999: 108,2

Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

105,73 106,09 106,37 106,46 106,56 106,56 106,65 106,93 107,11 107,20 108,31 108,59 108,78 108,96 109,05

5) Tariffa Antincendio (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno

gennaio 2001: 110,5

2001 2002 103,07 105,42

6) Tariffa Dlgs 626/94 (Tariffa CNA) Indice da applicare per l’anno

anno 2001: base 100

anno 1995: base 100

1996 1997 1998 105,55 108,33 110,08

1999 2000 2001 2002 111,52 113,89 117,39 120,07

7) Tariffa pratiche catastali (Tariffa Ordine Milano) Indice da applicare per l’anno

1998 1999 2000 101,81 103,04 105,51

novembre 1995: 110,6

anno 1997: base 100

febbraio 1997: 105,2

2001 2002 108,65 111,12

Interessi per ritardato pagamento Con riferimento all'art. 9 della Tariffa professionale legge 2.03.49 n° 143, ripubblichiamo l'elenco, a partire dal 1993, dei Provvedimenti della Banca d'Italia che fissano i tassi ufficiali di sconto annuali per i singoli periodi ai quali devono essere ragguagliati gli interessi dovuti ai professionisti a norma del succitato articolo 9 della Tariffa

Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv. Provv.

della della della della della della della della della della della

Banca Banca Banca Banca Banca Banca Banca Banca Banca Banca Banca

d'Italia d'Italia d'Italia d'Italia d'Italia d’Italia d’Italia d’Italia d’Italia d’Italia d’Italia

(G.U. (G.U. (G.U. (G.U. (G.U. (G.U. (G.U. (G.U. (G.U. (G.U. (G.U.

14.4.1999 n° 86) dal 14.4.1999 10.11.1999 n° 264) dal 10.11.1999 8.2.2000 n° 31) dal 9.2.2000 3.5.2000 n° 101) dal 4.5.2000 14.6.2000 n° 137) dal 15.6.2000 5.9.2000 n° 207) dal 6.9.2000 10.10.2000 n° 237) dal 11.10.2000 15.5.2001 n° 111) dal 15.5.2001 3.9.2001 n° 204) dal 5.9.2001 18.9.2001 n° 217) dal 19.9.2001 14.11.2001 n° 265) dal 14.11.2001

Per valori precedenti, consultare il sito internet o richiederli alla segreteria dell’Ordine.

2,5% 3% 3,25% 3,75% 4,25% 4,50% 4,75% 4,5% 4,25% 3,75% 3,25%

Nota L’adeguamento dei compensi per le tariffe 1) e 2) si applica ogni volta che la variazione dell’indice, rispetto a quello di base, supera il 10%. Le percentuali devono essere tonde di 10 in 10 (come evidenziato) G.U. n° 163 del 13.07.1996 ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, re-lativo al mese di giugno 1996 che si pubblica ai sensi dell’art. 81 della legge 27 luglio 1978, n° 392, sulla disciplina delle locazioni di immobili urbani 1) Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1979 è risultato pari a 114,7 (centoquattordicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1980 è risultato pari a 138,4 (centotrentottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1981 è risultato pari a 166,9 (centosessantaseivirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1982, è risultato pari a 192,3 (centonovantaduevirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1983 è risultato pari a 222,9 (duecentoventiduevirgolanove). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1984 è risultato pari a 247,8 (duecentoquarantasettevirgolaotto). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1985 è risultato pari a 269,4 (duecentosessantanovevirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1986 è risultato pari a 286,3 (duecentottantaseivirgolatre). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1987 è risultato pari a 298,1 (duecentonovantottovirgolauno). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1988 è risultatopari a 312,7 (trecentododicivirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1989 è risultato pari a 334,5 (trecentotrentaquattrovirgolacinque). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1990 è risultato pari a 353,2 (trecentocinquantatrevirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1991 è risultato pari a 377,7 (trecentosettantasettevirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1992 è risultato pari a 398,4 (trecentonovantottovirgolaquattro). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1993 è risultato pari a 415,2 (quattrocentoquindicivirgoladue). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1994 è risultato pari a 430,7 (quattrocentotrentavirgolasette). Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1995 è risultato pari a 455,8 (quattrocentocinquantacinquevirgolaotto). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abita-zione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al 1984, non si applica; pertanto, la variazione percentuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1995, agli effetti predetti, risulta pari a più 310,1. Fatto uguale a 100 l’indice del mese di giugno 1978, l’indice del mese di giugno 1996 è risultato pari a 473,7 (quattrocentosettantatrevirgolasette). Ai sensi dell’art. 1 della legge 25 luglio 1984, n° 377, per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l’aggiornamento del canone di locazione di cui all’art. 24 della legge n° 392/1978, relativo al1984, non si applica; pertanto, la variazione per-centuale dell’indice dal giugno 1978 al giugno 1996, agli effetti predetti, risulta pari a più 326,2. 2) La variazione percentuale dell’indice del mese di maggio 1996 rispetto a maggio 1995 risulta pari a più 4,3 (quattrovirgolatre). La variazione percentuale dell’indice del mese di giugno 1996 rispetto a giugno1995 risulta pari a più 3,9 (trevirgolanove).

Applicazione Legge 415/98 Agli effetti dell’applicazione della Legge 415/98 si segnala che il valore attuale di 200.000 Euro corrisponde a Lit. 394.466.400.


Giancarlo Maroni e Riva del Garda di Silvana Giordani

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Itinerari

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Agli inizi del secolo Riva del Garda è una città turistica e luogo di cura come la vicina città di Arco, frequentata soprattutto da una ricca clientela tedesca. Dopo la prima guerra mondiale, con il passaggio del Trentino all’Italia, la città rivana deve affrontare non solo il problema della ricostruzione dei numerosi edifici distrutti dai bombardamenti, ma verificare anche il suo nuovo ruolo non più legato al mito del Kurort. L’esordio professionale di Maroni avviene in questo particolare contesto, ed i progetti che vengono redatti a partire dal 1919 si misurano soprattutto con la necessità di “ambientare” gli interventi in un tessuto urbano fortemente caratterizzato, anche dalla dimensione lacustre del paesaggio. Le opere realizzate dall’architetto rivano in questa prima fase propongono un metodo fondato sulla ripetizione di motivi ed elementi compositivi ripetuti alle varie scale, che concorrono a ricreare lo stile “benacense” e a rendere omogenei i diversi interventi realizzati nel centro antico della città. Nel 1923, in un articolo dedicato agli architetti trentini (tra i quali Ettore Sottsass, Pietro Marzani, Giovanni Tiella) apparso su “Architettura e Arti Decorative”, Giorgio Wenter Marini commenta con parole di apprezzamento le opere realizzate da Maroni per la città di Riva, dove ha saputo riportare “l’arte edilizia al vecchio grado di purezza, di dignità, di prosperità, di signorilità come nell’arte passata (prediligendo) le

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costruzioni ad archivolti, a cantonali, con basamenti e zoccolature in pietra”. La sua opera architettonica - secondo quanto scrive ancora l’autore dell’articolo - rientra a pieno titolo nella “nuova architettura trentina” caratterizzata dal recupero di antichi motivi locali, ma al tempo stesso aperta alle innovazioni tecniche. Questo orientamento è pienamente in linea con quanto andava promuovendo, sempre in quegli anni, anche Giuseppe Gerola, il Direttore dell’Ufficio di Belle Arti di Trento: “I criteri dovrebbero riassumersi nel concetto di edificare con intendimenti di arte moderna, ma al tempo stesso di ambientare - luogo per luogo - le nuove fabbriche alla natura circostante non solo, ma anche alle tradizioni specifiche del paese”. Nel dibattito artistico regionale che, negli anni Venti, si caratterizzerà per la vivacità di interventi e le diverse posizioni espresse, Maroni avrà un ruolo marginale, anche perché a partire dal 1921 sarà impegnato ad assolvere l’impegnativo ruolo di architetto di D’Annunzio per il Vittoriale a Gardone. I suoi interventi per la città di Riva, dopo l’emergenza post-bellica, proseguiranno con progetti di notevole importanza, dalla Centrale Idrolettrica del Ponale alla Spiaggia degli Olivi, secondo un’idea di progettazione unitaria per la vecchia e la nuova Riva, che si basava sul principio - espresso fin dal Piano Regolatore del 1923 - di favorire lo sviluppo della città verso est.

Biografia Giovanni Maroni (cambierà il suo nome in Giancarlo nel 1913 per evitare una ominimia con un parente) nasce ad Arco (Trento) il 5 agosto 1893. A Riva del Garda, dove il padre gestisce l’omonimo Caffè e Pasticceria, frequenta dal 1907 al 1908 il primo e secondo corso della Scuola Civica, distinguendosi per le sue doti nel disegno. Assieme a lui ci sono il cugino Riccardo Maroni, futuro ideatore della Collana Artisti Trentini, Silvio Zaniboni e Umberto Maganzini, che diventeranno l’uno scultore e l’altro pittore. Il fratello Ruggero, maggiore di tre anni, dopo aver frequentato la Scuola Reale Elisabettina di Rovereto, prosegue i suoi studi a Vienna presso la Technische Hochschule. Cresciuto in un ambiente irredentista, era attivo nella Lega Nazionale e negli anni roveretani aveva seguito le manifestazioni degli studenti per l’Università Italiana e per la salvaguardia della identità nazionale. Nel 1912, ottenuta la laurea in ingegneria, trova lavoro a Torino nella Ditta dell’Ingegner Porcheddu, la prima ad impiegare in Italia il sistema Hennebique per l’utilizzo del cemento armato. Giancarlo continua i suoi studi a Milano, prima alla Scuola d’Arte applicata all’Industria (1910-1911), poi alla Scuola Speciale di Architettura. Tra i suoi insegnanti all’Accademia di Belle Arti di Brera avrà l’architetto Gaetano Moretti, Giuseppe Mentessi come insegnante di prospettiva e scenografia, Alcide Davide Campestrini insegnante di figura; inoltre lavora presso gli studi di alcuni architetti. Nel maggio del 1915, seguendo l’esempio dei fratelli Ruggero e Italo, si arruola volontario nel corpo degli Alpini. Viene ferito gravemente durante un combattimento sul monte Roite e per questa azione verrà insignito della medaglia d’argento al valor militare. Trascorre la lunga convalescenza tra Torino e Milano, città quest’ultima dove si erano nel frattempo rifugiate la madre e le due sorelle, Maria e Alide. Inabile al servizio attivo, presta servizio a Verona, nelle retrovie, fino alla fine del conflitto. Nel 1919 ritorna a Riva, dove presta la sua opera presso il comitato profughi ed è anche responsabile del Comitato Pro Fiume che si occupa di raccogliere fondi e di ingaggiare volontari. Il 12 luglio del 1919 consegue a Milano il titolo di “professore di disegno architettonico”. Con il fratello Ruggero, rientrato da Torino, dà inizio ad una intensa attività nell’ambito della ricostruzione della città danneggiata dal conflitto, nell’arco di pochi anni saranno molti i progetti che usciranno dallo “Studio Tecnico-Artistico per costruzioni di qualsiasi genere-specializzato in cementi armati”. Si occupa della ricostruzione di opere pubbliche come il Palazzo dei Provveditori e la sistemazione della Piazzetta San Rocco, la Canonica Arcipretale e di numerose ricostruzioni per privati (casa Bettinazzi, Zaniboni, Armani, Marzani-Parteli, Salone Baldo). Tra le opere non realizzate, un progetto per Bagni Popolari della Cassa Ammalati, per la Scuola Popolare e per un Campo Sportivo. Lavora anche in alcuni paesi della vicina valle di Ledro: a Tiarno di Sopra (casa Tiboni-Pinaider e il progetto dell’ampliamento della chiesa curaziale) e Tiarno di Sotto (progetto per la Scuola Popolare). Le celebrazioni ai caduti della guerra, numerose in questo periodo,

danno l’opportunità a Maroni di progettare lapidi commemorative e cippi (monumento a Luigi Storck, lapide a Italo Conci). Inoltre prende parte al concorso per i monumentini ai caduti indetto dalla Giunta Provinciale di Trento. Fa parte, con il fratello, della Commissione Edilizia del Comune di Riva (fino al 1924) ed è membro della Commissione per il Piano Regolatore dal 1920 al 1924, assieme al pittore Luigi Pizzini. Nel 1921 il legionario Giuseppe Piffer presenta Giancarlo Maroni a D’Annunzio, che aveva da poco deciso di trasferirsi nella Villa di Cargnacco, nelle vicinanze di Gardone Riviera. Inizia così la collaborazione a fianco del Poeta che durerà per tutta la vita. Come primo incarico redige un grandioso progetto (mai realizzato) per un monumento ricordo dell’epopea Fiumana, da erigere a Maderno sul Garda. Con il fratello Ruggero si occupa dei primi urgenti lavori di sistemazione di Villa Thode, la casa che D’Annunzio aveva scelto quale dimora, in abbandono da sei anni. Le successive opere di trasformazione renderanno irriconoscibile la Villa di Cargnacco, che D’Annunzio dona nel 1923 al Paese come “Vittoriale degli Italiani”. Questo complesso lavoro non lo allontana dalla sua città, per la quale continua a lavorare, anche ad opere di notevole impegno come la ricostruzione del Grand Hotel Sole D’Oro e il Giardino d’Infanzia nel 1922. Tra il 1925 e il 1930 realizza la Centrale Idroelelettrica del Ponale, sulla quale è collocata la statua dello scultore rivano Silvio Zaniboni. Inoltre progetta la Spiaggia degli Ulivi e il Campo Sportivo del Littorio. Nel teatro all’aperto del Vittoriale, nel settembre del 1927, viene data una rappresentazione de “La Figlia di Jorio” di D’Annunzio, per la quale Giancarlo Maroni progetta e realizza le scenografie. Il Consiglio Accademico dell’”Accademia Parmense di Belle Arti” nomina all’unanimità Maroni suo membro corrispondente, due anni più tardi nel 1935, diviene “Accademico corrispondente per la classe di Architettura” della “Accademia Nazionale di San Luca”. Il Comune di Riva quale riconoscimento per l’opera che l’architetto ha svolto per la sua città, delibera di donargli la casa e il fondo detto “ai Germandri”, che Maroni ristrutturerà e trasformerà, per farne la sua dimora rivana. Nel 1935 si occupa del progetto e del restauro della casa natale di D’Annunzio a Pescara, esegue anche numerosi lavori per privati nella zona di Gardone, Salò e Brescia. Un anno prima della sua morte D’Annunzio redige l’Atto di Erezione della Fondazione del Vittoriale: Maroni viene nominato sovrintendente al Vittoriale, dove proseguirà la sua opera fino alla morte avvenuta il 2 gennaio 1952. Bibliografia essenziale G. Wenter Marini e R. Maroni (a cura di), Giancarlo Maroni architetto (18931952), Trento 1962. E. Mariano (a cura di), D’Annunzio. Carteggio inedito con Giancarlo Maroni, in “Quaderni del Vittoriale”, n. 16 luglioagosto 1979. C. Oradini, L’Idraula del Ponale, in “Il Sommo Lago”, n. 9, 1983. Fulvio Irace (a cura di), L’architetto del lago. Giancarlo Maroni e il Garda, catalogo della mostra, Museo Civico di Riva del Garda, Milano 1993.


1. Palazzo dei Provveditori e restauro della Porta Bruciata, 1919 piazza III Novembre, Riva del Garda

2. Casa Bettinazzi, 1919 via Maffei - piazza Erbe, Riva del Garda 3. Casa Zaniboni, 1919 via Mazzini - via Santa Maria, Riva del Garda

4. Canonica Arcipretale e Confraternita del Santissimo Sacramento, 1919 piazza Cavour, Riva del Garda

5. Progetto per i Bagni Popolari della Cassa Ammalati, 1919 viale F. Filzi, Riva del Garda

1. L’esordio dell’attività professionale di Giancarlo Maroni si svolge nel clima febbrile della ricostruzione conseguente alla prima Guerra Mondiale. Il giovane architetto rivano si misura subito con le problematiche che derivano da un tessuto urbano fortemente danneggiato. Il progetto per la riedificazione della parte occidentale del Palazzo Municipale su piazza San Rocco e il corrispondente riadattamento della omonima cappella ottengono l’approvazione dell’Ufficio Belle Arti Architettura di Trento, che sottolinea in modo positivo la zoccolatura in pietra a vista di carattere locale. Per questo edificio Maroni recupera parzialmente alcune soluzioni tipiche del Broletto, il palazzo municipale dei Comuni medioevali dell’Italia Settentrionale: in particolare il piano terreno aperto a portici e la scala di accesso al Palazzo Municipale utilizzabile anche come loggetta. Tra le finestre ad arco, di dimensioni e ampiezze diverse, che si aprono sulle facciate del Palazzo Municipale, si distinguono quelle con il davanzale sagomato sul profilo dei gradini delle scale interne, tema che si ritroverà anche nel successivo progetto di Maroni per la Canonica di Riva. Un’attenzione particolare viene dedicata ai gocciolatoi che per la loro disposizione a coppie diventano anche un preciso motivo decorativo. La necessità di creare uno spazio più ampio nella piazzetta antistante all’edificio porta alla quasi completa demolizione della cinquecentesca chiesetta di San Rocco, della quale Maroni conserva solamente la cappella del presbiterio. A destra del Palazzo Municipale si trova la Porta Bruciata, che collega piazza Benacense e piazza San Rocco; con porta San Michele e porta San Marco costituiva il sistema delle torri che proteggevano e delimitavano le mura della città. L’architetto rivano, nel ridefinirne il coronamento con merlature a coda di rondine, ne richiama l’antica funzione.

2. Nel progetto per Casa Bettinazzi Maroni deve partire dalla necessità di allargare la strada ed arretrare in questo modo i portici a pianoterra del preesistente edificio. Per conservarne la memoria, l’architetto li ricompone sulla facciata dove si aprono le vetrine della farmacia, utilizzando la pietra grigia locale “Corno dè Bò” lavorata a rasosasso, che caratterizza le facciate dell’edificio fino al primo piano. Il balcone che corre lungo le due facciate, dove si notano le eleganti ringhiere in ferro, sottolinea la diversa impostazione adottata per i due ultimi piani dell’edificio, dove spiccano l’ampia fascia sottogronda riccamente decorata dell’ultimo piano e le finestre coronate da frontoni triangolari del secondo piano, quest’ultima soluzione utilizzata anche per Casa Armani.

3. L’intervento in piazza Cavour comprende, oltre all’edificazione della Canonica Arcipretale e l’apertura della piazzetta Craffonara, la ricostruzione della Casa Zaniboni. Allo scopo di poter allargare l’accesso alla piazza, Maroni procede alla rettificazione delle facciate della Casa Zaniboni. Per questa ragione, nel progetto di ricostruzione, taglia diagonalmente l’angolo della casa aprendovi a pianoterra l’ingresso del negozio, mentre i tre piani sovrastanti vengono arrotondati dal balcone e dalle finestre leggermente aggettanti. Questo motivo si ritrova anche nelle finestre delle facciate, creando un movimento ondulatorio della superficie muraria, arricchita da ampie fasce decorative che interessano il pianoterra e l’ultimo piano.

4. Nel 1919, dopo un sopralluogo al quale prendono parte il Sindaco, membri della Civica Commissione Edilizia e lo stesso Maroni, viene definito l’intervento sugli edifici situati attorno alla Chiesa di Santa Maria Assunta. Si decide di allargare la via Mazzini arretrando la facciata nord di casa Fiorio. Per quel che riguarda la costruzione della Canonica, i criteri che guidano Maroni sono espressi in una lettera del 1927 inviata a Monsignor Paolazzi: “Il concetto architettonico della Canonica da me fu eseguito non come di una casa comune, ma di una casa che invita alla comunione degli spiriti. Perciò l’entrata grande è di facile accesso alla medesima”. La presenza della Chiesa arcipretale è il costante punto di riferimento per definire le proporzioni del nuovo edificio. Nel progetto di massima Maroni presenta un edificio a due piani con pianta ad “L”, comprendente la Canonica, l’Oratorio della Confraternita e un appartamento per il cappellano. Aperture di forma diversa, rettangolari e ad arco, caratterizzano le facciate, mentre per l’ingresso alla Canonica, incorniciato da un ampio arco, viene previsto il collocamento di una statua su un capitello. Dopo l’avvio dei lavori, la costruzione della Canonica viene interrotta dall’intervento dei dirigenti del Genio Civile, subentrato a quello militare nell’opera di ricostruzione: si cerca di imporre un nuovo progetto che prevedeva un edificio ad un solo piano. L’intervento di Monsignor Paolazzi permette di portare a termine il progetto originale con qualche modifica. Le variazioni più consistenti si rilevano nella facciata nord, dove l’altezza e l’ampiezza del campanile vengono aumentate in modo considerevole, mentre l’ingresso alla Cappella della Confraternita viene inserito in un arco a doppia altezza che occupa tutta la facciata.

5. Nel 1919 la Cassa Ammalati di Riva assume l’iniziativa di costruire una sede con annesso stabilimento Bagni Popolari, da costruirsi “con criteri di estetica moderna” e “opera di abbellimento edilizio per la città”. Maroni è incaricato di redigere un primo progetto su un’area di proprietà comunale di forma irregolare, situata dietro l’Ufficio Postale: lo spazio effettivamente disponibile per lo sviluppo della facciata è ridotto e il nuovo complesso risulta di scarso risalto urbano. Tuttavia Maroni elabora soluzioni originali, non facendo riferimento ai caratteri dell’architettura locale, come l’utilizzo delle aperture ad arco e la sottolineatura delle zoccolature in pietra, a cui ricorre in altri interventi. Nella prima proposta l’edificio per la Cassa Ammalati si accorda all’altezza di quello delle Poste: al pianoterra, occupato dalla zona d’ingresso, si accede da una scalinata attraverso una porta adornata da fontane e piante. Al primo piano ampie finestrature rettangolari sono arretrate rispetto alla linea del pianoterra; il tetto piano, sorretto da pilastri, si dispone a formare una terrazza. Il progetto non parve sufficientemente rappresentativo, così fu richiesta al Comune un’area più valorizzabile. Giancarlo Maroni e il fratello Ruggero preparano in tempi brevi un secondo progetto più articolato, malgrado l’irregolarità della nuova area. L’entrata viene collocata in angolo, di fronte alla stazione ferroviaria; i due piani dell’edificio sono scanditi dalla serie regolare delle finestre, mentre il tetto piano é coronato in corrispondenza delle entrate laterali da corti pilastri, che bilanciano l’orizzontalità della costruzione. La pianta riprende la distribuzione del primo progetto, con la sala d’aspetto di forma ottagonale, attorno alla quale si distribuiscono gli ambienti di servizio, l’ambulatorio, la sala operatoria, il laboratorio chimico. Il vincolo di una proprietà comunale per la quale i costi di demolizione erano particolarmente onerosi, causò nell’aprile del 1920 l’abbandono definitivo della realizzazione del complesso.

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6. Casa Armani, 1920 piazza Battisti, Riva del Garda

8. Progetto per casa Maroni, 1919-20 piazza Cavour - via Discipini, Riva del Garda

9. Giardino d’Infanzia, 1921-23 viale Roma, viale F. A. Lutti, Riva del Garda

10. Hotel Sole, 1922-25 Lungolago Brescia, Riva del Garda

8. L’intervento nella piazza Cavour di Riva non si limita alla costruzione della Canonica e alla sistemazione della piazzetta Craffonara, ma, seguendo le indicazioni fornite dal Piano Regolatore, interviene anche nella rettificazione delle facciate della casa Zaniboni parzialmente distrutta dalla guerra. Maroni si preoccupa di allargare l’imbocco di via Mazzini senza dover però arretrare completamente la facciata della casa. Per questo motivo taglia diagonalmente l’angolo della casa Zaniboni, aprendovi a pianoterra l’ingresso del negozio, mentre i tre piani sovrastanti vengono arrotondati dal balcone e dalle finestre leggermente aggettanti. Questo motivo viene utilizzato anche per le finestre delle facciate, creando un movimento ondulatorio della superficie, arricchito da ampie fasce decorative che interessano il pianoterra e l’ultimo piano. Nella stessa piazza si trova anche il Caffè Maroni di proprietà del padre. In concomitanza con le altre ricostruzioni, che interessano questa zona della città, l’architetto rivano ellabora un intervento anche per la casa paterna. Ripropone soluzioni già sperimentate per Casa Bettinazzi, come gli arconi lavorati a pianoterra. Mentre nella Casa Bettinazzi il raccordo con la parte superiore dell’edificio viene risolto in maniera semplice, per Casa Maroni vengono proposte diverse varianti: finestre ad arco e rettangolari, balconi, logge coperte, verande. Nei progetti è costante tuttavia la presenza dell’arco di collegamento, coronato da una statua, tra Casa Maroni e l’abitazione dirimpetto di via Disciplini, soluzione che verrà adottata anche per l’Hotel Sole. L’insistenza su questo tema concretizza il programma sinteticamente riassunto dall’architetto in una corrispondenza con il pittore Luigi Pizzini: “Bisogna legare, non slegare”.

9. Per il Giardino d’Infanzia di Riva, Maroni affronta l’incarico a partire da un preesistente progetto del quale manterrà alcune caratteristiche, modificandone radicalmente altre. Imposta un primo progetto su una pianta ad “L”, collocando l’entrata sull’angolo che si apre su un atrio di forma ottagonale dal quale si diramano le due ali dell’edificio. L’ottagono, prolungandosi nel volume di una torre in forte evidenza rispetto al tetto, termina in una terrazza coronata da pilastri architravati. Accogliendo l’invito della Direzione, Maroni apporta delle modifiche al progetto. Le finestre rettangolari vengono sostituite quasi tutte da aperture ad arco, l’ingresso viene inquadrato da un portico che corrisponde al balcone del primo piano. L’atrio e la torre ottagonale assumono il ruolo di elementi di forte caratterizzazione. Al primo piano sull’atrio si affaccia un balcone e internamente la parte terminale della torre viene chiusa con capriate che convergono in un lucernario centrale. L’organizzazione in pianta dell’edificio rimane sostanzialmente invariata: le ampie aule, il refettorio, la direzione. Sottoposta al giudizio dell’assemblea del Giardino d’Infanzia, la proposta suscita forti critiche poiché non si “confà ai nostri stili paesani ed in pratica non è corrispondente alle esigenze dell’Istituzione”. Inoltre, “le finestre mancano di scuri, indispensabili a proteggere i locali dalle intemperie e a dare alle suore quel senso di sicurezza”. Seguendo queste indicazioni Maroni elimina in parte le finestre ad arco e adotta per l’ingresso una soluzione più modesta. Il balcone del primo piano viene coronato da archi, la torre ottagonale abbassata a livello del tetto e delimitata da una semplice ringhiera. All’interno viene eliminata la fontana nell’atrio e la terminazione a capriate della torre, all’esterno invece non viene realizzato l’arco di collegamento con la casa adiacente su viale Roma.

10. L’Hotel Sole d’Oro diviene, in occasione della sua ricostruzione, un’importante occasione per ridefinire l’immagine del lungolago rivano. Maroni coglie l’importanza del tema soffermandosi principalmente attorno ai due punti: la Torre Apponale e il lago. Dopo un primo progetto, con il pianoterra aperto a portici, mentre ai piani superiori le terrazze e le logge si alternavano alle finestre ad arco, Maroni elabora successivamente un progetto che si inseriva nel tessuto urbano in modo ancora più articolato. In una lettera indirizzata al Comune si sottolineava la conservazione del movimento prospettico della piazza Tre Novembre, pur arretrando la facciata ovest per facilitare il transito sul lungolago e conferire una maggiore visibilità alle case della piazza stessa. La facciata sud doveva invece mantenere la grandiosità e signorilità del lungo lago di Riva, che una galleria all’estremità est dell’Hotel avrebbe dovuto collegare con l’interno della città. La galleria vetrata su cui si sarebbero affacciati dodici appartamenti sarebbe divenuta “forma di comunicazione (...) attraente per il visitatore, comoda per i cittadini, di indubbio abbellimento per Riva e creante un nuovo taglio panoramico”. Il Municipio veniva invitato a costruire un piccolo ponte “in stile veneziano” che doveva servire da raccordo fra i due tronchi del lungolago sul fronte sud. Il progetto verrà drasticamente ridimensionato: non verranno infatti realizzate la galleria e il ponte. La facciata verso il lago presenta al pianoterra una serie di aperture ad arco, con i piani superiori progressivamente arretrati verso l’interno. Le foto d’epoca ci rimandano l’immagine di un edificio dove l’ombra viene utilizzata con intensità diverse, in grado di creare profondi recessi. Il collegamento con l’edificio adiacente, dove avrebbe dovuto esserci la galleria di collegamento, viene risolto mediante due archi sovrapposti.

7. Casa Marzani-Parteli, 1920 via Disciplini, Riva del Garda

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6. Nella ristrutturazione di Casa Armani, danneggiata dalla guerra, Giancarlo Maroni interviene nella zona antistante l’edificio, dove al posto del giardino vengono realizzati i locali per la sede della banca. I pilastri in pietra della originaria recinzione vengono conservati e contribuiscono a movimentare l’andamento della facciata a piano terra, dove si aprono le vetrine, mentre l’ampia terrazza del primo piano è delimitata da finestrature ad arco. Le finestre del secondo piano vengono coronate da frontoni triangolari aperti, mentre sul tetto spicca il camino sagomato a frontone curvilineo.

7. Nel progetto di ricostruzione della Casa Marzani-Parteli, che era stata quasi completamente distrutta dai bombardamenti, Maroni doveva conservare il ricordo di un’antica torre preesistente. Per questo la zona basamentale dell’edificio viene sottolineata da un bugnato in pietra con la tipica lavorazione a rasosasso già utilizzata per Casa Bettinazzi. Sulla facciata si aprono finestrature ad arco di diversa ampiezza, mentre la disposizione dei gocciolatoi, che diventano anche un motivo decorativo, si ritrova nei quasi contemporanei progetti per la Canonica Arcipretale e il Palazzo dei Provveditori di Riva.


11. Piano Regolatore per la città di Riva del Garda, 1923 Riva del Garda

12. Centrale Idroelettrica del Ponale, 1925-30 piazza Catena, Riva del Garda

13. Campo benacense del Littorio, 1928-31 viale Rovereto, Riva del Garda

14. Spiaggia degli Olivi, 1932-34 Riva del Garda

11. Nel clima della ricostruzione dell’immediato dopoguerra, il pittore rivano Luigi Pizzini ripresenta il suo progetto per il Piano Regolatore con esiti negativi da parte della Commissione cittadina. Scrive Pizzini: “in quei tempi, nel riprendere l’attività presso la commissione d’ornato, ebbi il conforto, nel collega architetto G. Maroni, non solo di entusiastica comprensione, ma di una valida ed effettiva cooperazione. Non saprei dire quante serate, e per lunghi mesi, studiammo insieme evenienze e possibilità del piano regolatore. Molti particolari vennero anzi dalla sua competenza sviluppati. Purtroppo chiamato l’architetto altrove, a Gardone, la collaborazione cessò”. Giancarlo Maroni fa parte della Commissione per il Piano Regolatore dal 1920 al 1924, e di questa sua attività rimane un breve promemoria scritto nel 1923, dove vengono enunciate le linee generali d’intervento per la città di Riva. I problemi da affrontare riguardano la parte vecchia della città, per la quale indica tre diversi tipi di intervento: l’allargamento di strade esistenti, la formazione di nuove vie con sventramenti e il risanamento. Indica inoltre nel criterio artistico l’unica guida ad ogni intervento che non voglia snaturare il carattere dell’ambiente locale. Per quel che riguarda invece il problema dell’ampliamento, il piano riprende sostanzialmente i concetti fondamentali del progetto di Pizzini. Maroni: “Ogni nostro sforzo è diretto a capovolgere completamente il piano di sviluppo della città. Invece di volgerci a nord noi tendiamo ad adagiarci e stenderci verso il lago, ad Est. Questa deviazione è d’importanza enorme. Da una parte l’ombra, dall’altra la luce, noi facciamo la scelta verso quest’ultima parte. (...) Verso l’Est invece la spina dorsale della nuova città rimane pur sempre la vecchia arteria che va verso Torbole. Naturalmente ampliata e mantenuta costantemente in curva, raccordandola solo nell’ultimo tratto a S. Nicolò”.

12. Le vicende dell’impianto del Ponale hanno inizio all’indomani della fine della grande guerra, quando, nel processo di ripresa economica, viene posta la questione della costruzione della Centrale. Giancarlo Maroni viene chiamato ad elaborare un progetto dove molto forti erano i vincoli imposti dalla destinazione d’uso dell’edificio e dalla sua collocazione a ridosso della montagna. Per questo motivo deve realizzare l’edificio a quote diverse, dislocando in maniera diversificata i cinque corpi di fabbrica che comprendono la sala macchine, l’officina di montaggio, la sala trasformatori, la sala turbine e la sala comandi. Il nucleo centrale dell’ingresso, sviluppato su tre ordini giganti sovrapposti, viene collocato in posizione arretrata rispetto alla strada. Le ampie superfici dell’edificio della Centrale vengono articolate dall’architetto rivano con una ricca campionatura di aperture differenti: bifore architravate, finestre rettangolari e a lunetta di diverse dimensioni, oculi e finestrature ad arco a tutto sesto, mentre paraste e cornici piatte scandiscono ritmicamente le facciate. A completare l’edificio la grande statua “Il genio delle acque”, realizzata dallo scultore rivano Silvio Zaniboni.

13. Nel 1921 Giancarlo Maroni, con il fratello Ruggero, aveva presentato un progetto per un campo sportivo commissionato dalla Società Sportiva Benacense: era questa una delle tante iniziative nate nel clima della ricostruzione e che non erano poi state realizzate. Dieci anni dopo viene inaugurato il nuovo campo sportivo benacense del Littorio, il suo progettista è di nuovo Giancarlo Maroni. Il luogo dove viene edificato, sul lungolago, segue le indicazioni già espresse nel Piano Regolatore, che suggeriva di favorire lo sviluppo della città verso est. La relazione tecnica, datata dicembre 1928 e firmata dall’ingegner Moro, era corredata da una tavola di Maroni che raffigurava una veduta prospettica del campo sportivo: il campo da gioco era inscritto in un’area rettangolare recintata e la tribuna era coperta da un tetto piano sorretto da pilastri. Nella fase esecutiva il progetto subisce alcune consistenti modifiche, come la posizione del campo da gioco, inizialmente collocato con il lato più lungo parallelamente alla strada che collega Riva a Torbole, ma realizzato poi, rispetto a questa, perpendicolarmente. La tribuna viene costruita con una copertura a sbalzo, soluzione architettonica che viene paragonata, per la sua arditezza e novità, a quella realizzata da Pier Luigi Nervi a Firenze. Il perimetro del campo viene delimitato da un muro che, in corrispondenza della zona d’ingresso, si modella ad esedra dove, all’esterno, tre contrafforti sorreggono le bandiere, mentre la lunga superficie muraria è interrotta ritmicamente da lesene che, nel legarsi alla copertina del muro, rimandano al tema del pilastro architravato. Nel corso degli anni questa opera di Maroni ha subito delle continue modifiche dettate dalle nuove esigenze del campo sportivo, come era stato originariamente realizzato: sono rimaste solamente la tribuna e parte del muro di recinzione.

14. Con la Spiaggia degli Olivi Maroni realizza un’altra importante opera pubblica per la sua città, dopo la Centrale Idroelettrica del Ponale e il Campo benacense del Littorio. Nata all’interno del programma di valorizzazione turistica della cittadina gardesana, la proposta di Maroni trova il pronto sostegno delle autorità politiche provinciali. I numerosi articoli, che celebreranno questa realizzazione, accentuano l’aspetto politico di quest’opera del Regime, che testimoniava come Riva fosse “rimasta fieramente italiana nei costumi, nell’architettura, nell’idioma, malgrado ogni infiltrazione nordica ed ogni dominazione straniera”. La località scelta per la realizzazione, tra la vecchia e la nuova Riva, ribadisce la convinzione dell’architetto di favorire lo sviluppo della città verso est. Maroni racchiude un’ampia zona della spiaggia all’interno di un semicerchio che si spinge verso il lago, all’estremità del quale colloca un edificio a pianta ellittica destinato ad accogliere le sale di ritrovo, di danza e di lettura. Da questo si diparte la lunga teoria delle cabine che incorniciano simmetricamente la zona della spiaggia e si collegano alle banchine con una successione di pilastri architravati. Dall’estremità di una delle due banchine si eleva un trampolino che, verso l’alto, si trasforma in faro. Al complesso balneare è annesso l’edificio della Fraglia rivana della Vela, l’associazione sostenuta da D’Annunzio. Anche in questo caso Maroni riprende la forma base del cerchio, articolandola verticalmente con la scansione ritmata dei pilastri e delle aperture ad arco. L’insistenza su questi elementi architettonici, largamente impiegati a delineare il perimetro della spiaggia e il coronamento del corpo volumetrico centrale, risponde alla memoria della tipica cedraia del paesaggio benacense.

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