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La rivista diventa uno spin-off verticale. Ogni tanto mi viene da pensare che dovrebbe essere quasi un’edizione speciale. Se il mio sguardo dovesse essere quello dell’imprenditore, quindi anche di una struttura industriale che gestisce quest’attività, chiaramente non mi sarebbe possibile pensare che si esca one-shot (solo con edizioni speciali, in momenti speciali), però, se dovessi, oggi, ragionare rispetto a uno sviluppo della carta, penserei: l’edizione cartacea è l’edizione speciale che realizzo con un punto di vista estremamente eccezionale rispetto ad un particolare momento dell’anno. Faccio un ultimissimo esempio, citando “Domus” che, secondo me, sul web è, forse, la rivista che ha fatto lo sforzo maggiore, con le application che conosciamo, in tre lingue, ecc. In realtà, qui il tema vero è che, a parte un modello editoriale, quello che non si è ancora trovato è il modello di business. Dal web gli editori non riescono ancora a trarre vantaggi economici in termini di marginalità. Pierluigi Mutti: La nostra non è stata solo una scelta obbligata, nel senso di “Non si può sostenere il costo della stampa e della distribuzione”, ma anche di dire “Fai una cosa nuova, prova a scommettere sulla tecnologia, sul linguaggio nuovo”; quindi, abbiamo pensato di fare la rivista online, principalmente per il tablet, anche se attualmente non siamo sicuri di quanti la vedano sul tablet e quanti, invece, sul computer. Siamo nati nel gennaio del 2013 con due elementi che possono essere un limite, ma anche un vantaggio: essere l’espressione del Consiglio Nazionale degli Architetti PPC, da un lato può sembrare una cosa ingessante, ma dall’altro ti dà la possibilità di attingere informazioni sul terreno della professione, sulle cose in divenire. Il primo obiettivo che ci siamo dati è quello di non porci sullo stesso piano delle altre riviste di architettura, perché loro sono anni che pubblicano, con strutture grandi e collaudate, mentre noi, invece, abbiamo una struttura “liquida”. Non siamo ancora pienamente soddisfatti del livello ottenuto e stiamo lavorando per ottenere ben altro risultato. L’obiettivo che ci siamo posti è di tentare di costruire una comunicazione che non ha alcuna intenzione di dare l’informazione prima di altri sul progetto, ma di costruire un insieme di flussi che mettono in comunicazione diverse chiavi di lettura del progetto. Abbiamo usato la fusione di cultura e progetto, perché la “cultura del progetto” è fatta di tante cose, non solo di architettura, ma anche di città, di urbanistica, di immagine, di musica, di cinema e di tante altre cose. Alberto Caruso: “Archi” è una delle tre riviste della SIA, Società Svizzera degli Ingegneri e Architetti. Oltre all’edizione italiana, ce n’è una in tedesco, redatta a Zurigo, e un’altra in francese redatta a Losanna. In totale facciamo circa 20 mila copie. Il rapporto tra la carta e il digitale è, per noi, un rapporto complesso, nel senso che abbiamo un portale elettronico, diviso in tre testate, che pubblica una

“I nostri lettori vorrebbero trovare una rivista dove leggono il progetto da molteplici punti di vista e dove anche la comunicazione viene fatta con degli strumenti estremamente diversi.” Donatella Bollani

parte dei contenuti della rivista e alcune rubriche. Il portale esiste ormai da un paio d’anni, ma senza grandi successi. È come se volessimo accompagnare i lettori dalla carta al digitale, ma lentamente, in attesa che le condizioni maturino, perché abbiamo il problema della pubblicità: problema decisivo. Ci sposteremo sul digitale, infatti, solo una volta che il numero di lettori che apre, vede e legge sul digitale è tale da poter supportare il trasferimento di pubblicità. Una delle rubriche sul digitale è l’archivio dei concorsi. Le tavole di tutti i progetti classificati sono state caricate sul sito in formato pdf e sono scaricabili e stampabili costituendo, così, un archivio sempre consultabile. Questo è un suggerimento anche per “AL”. Inoltre, pubblichiamo video di conferenze e di visite a opere d’architettura. Per esempio, la tavola rotonda di oggi, io la riporterei su “AL” col video così com’è, con tutti i difetti della diretta, compresa l’interruzione telefonica. Ogni mezzo deve avere il suo linguaggio. Se posso entrare nel merito di “AL”, con critiche cordialmente sincere, vorrei dare qualche suggerimento: lo sforzo che potreste fare è quello di cercare − è un impegno faticoso dal punto di vista redazionale − opere meno note, di architetti che non hanno raggiunto la fama, ma non per questo meno valide. Attenzione, sconosciuti non vuol dire necessariamente giovani, ci sono colleghi che fanno opere eccellenti e che pochi conoscono, soprattutto in provincia. La seconda questione è il modo di pubblicare i progetti. Pubblicateli con belle immagini, piante, sezioni, ma, soprattutto, con dettagli costruttivi (il nodo del muro perimetrale con la soletta o con la copertura, ecc.) per capire come hanno affrontato, in quell’opera, i temi che sono al centro della cultura del progetto oggi. Il digitale ti consente questo, perché è uno spazio infinito. AM: Grazie Alberto, anche per le critiche e i suggerimenti. I primi approcci di “AL” in digitale si 495 | 2013

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