psicologia e adozione 8
Ondina Greco psicologa, psicoterapeuta di coppia e famiglia Centro d’Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia Servizio di Psicologia Clinica di Coppia e Famiglia, Università Cattolica, Milano
La doppia appartenenza nell’adozione
L’adozione dà origine ad un processo che si prolunga per tutta la vita e la cui eco risuona anche nelle successive generazioni.
Se l’adozione, infatti, ha origine da un evento puntuale (il primo incontro con il figlio adottivo), dal punto di vista psicologico la costruzione del legame adottivo si configura come un processo che si snoda nel tempo. Si parla, infatti, di transizione adottiva, per sottolineare come il percorso che porta alla costruzione di questa specifica forma di genitorialità e di filiazione sia lento e progressivo e richieda continui aggiustamenti sia da parte dei membri della famiglia nucleare che della famiglia estesa. La qualità della transizione dipende da come tutti i soggetti coinvolti (genitori, figli, famiglie d’origine) affrontano e superano le molteplici sfide e i compiti di sviluppo che si presentano nel corso della vita familiare. Come è noto, il termine adottare deriva dal lati-
no ad+optare = scegliere, ma il sostantivo adoptio è usato anche in botanica per indicare l’innesto delle piante: innestare significa introdurre una parte viva in un’altra, in modo tale che esse si congiungano armonicamente e portino un frutto terzo. Tale metafora illumina il bambino come portatore di una propria ricchezza personale, indipendente dalla famiglia adottiva. L’adozione, dunque, non può essere concepita come un processo unidirezionale, nel quale i genitori adottivi colmano con le proprie risorse le carenze e i deficit del bambino, la cui origine è rappresentabile come “vuota”, se non addirittura come radicalmente “danneggiata”. L’adozione, al contrario, si costituisce come un processo di scambio, per la presenza reciproca di bisogni e