3_2018 - Professionalità

P RO F E S S I O N A L I TÀ Bimestrale di studi e orientamenti per l’integrazione tra scuola e lavoro e per l’apprendistato formativo

n.3 _ gennaio 2018

Somministrazione e politiche attive

vent’anni dopo il pacchetto Treu

PROFESSIONALITÀ STUDI riviste.gruppostudium.it

4.0

ABBONAMENTO RIVISTE riviste.gruppostudium.it

PROFESSIONALITÀ

STUDIUM

PEDAGOGIA E VITA

NUOVA SECONDARIA

ABBONAMENTO CARTACEO annuale (6 numeri): € 50,00 biennale (12 numeri): € 80,00

Abbonamento ordinario cartaceo 2017 (6 fascicoli) Italia: 70,00 € – Estero: 120,00 €

ABBONAMENTO ANNUALE 2017/2018 (10 fascicoli) cartaceo 69,00 € - digitale 45,00 €

ABBONAMENTO DIGITALE annuale (6 numeri): € 33,00 biennale (12 numeri): € 53,00

Abbonamento sostenitore cartaceo 2017 (6 fascicoli): 156,00 € Singolo fascicolo: cartaceo 16,00 €

ABBONAMENTO ANNUALE 2017 (3 fascicoli) Abbonamento cartaceo Italia 49,00 € Europa 64,00 €; Extra Europa 79,00 € Abbonamento digitale: 35,00 € ABBONAMENTO BIENNALE 2017+2018 (6 fascicoli) Abbonamento cartaceo Italia 80,00 € Europa 110,00 €; Extra Europa 140,00 € Abbonamento digitale: 55,00 €

ABBONAMENTO TRIENNALE 2017/2018 - 2018/2019 - 2019/2020 (30 fascicoli) cartaceo 160,00 € - digitale 106,00 €

SINGOLO FASCICOLO cartaceo 18,00 €; digitale 10,80 €

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riviste.gruppostudium.it A coloro che si abboneranno a due tra le nove riviste del gruppo Studium (Nuova Secondaria, Pedagogia e Vita, Professionalità, Studium, La Famiglia, Ephemerides Iuris Canonici, RSPI - Rivista di Studi Politici Internazionali, Morìa, Arte | Documento) invieremo un buono SCONTO DEL 25% spendibile per acquisti sui nostri siti internet (www.gruppostudium.it - www.edizionistudium.it - www.marcianumpress.it) Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

PROFESSIONALITÀ

n.3 _ gennaio 2018

Bimestrale di studi e orientamenti per l’integrazione tra scuola e lavoro e per l’apprendistato formativo

Editoriale Bocchieri, Gotti, Massagli, Le professionalità per le nuove politiche del lavoro

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Rubriche Il lavoro che cambia a cura di Giuliano Cazzola La somministrazione nel mercato del lavoro odierno Economia sociale e sfide cooperative a cura di Lucio Moioli Lavoratore o imprenditore? Il dilemma del cooperatore Welfare e dintorni a cura di Viviana Molaschi Francesca Rosso di San Secondo, La legge sul “dopo di noi” Dalla parte delle donne e del lavoro a cura di Alessandra Servidori Occupazione femminile e contratti di somministrazione Piattaforme digitali e sharing economy a cura di Elisabetta Bani Gina R. Simoncini, L’incidenza delle piattaforme telematiche sul lavoro somministrato Il mercato delle professioni a cura di Giampaolo Montaletti Come nasce una professione? Il caso dei Data Scientist

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Problemi e proposte Intervista a Tiziano Treu Intervista a Roberto Maroni Intervista a Cesare Damiano Intervista a Maurizio Sacconi Intervista a Elsa Fornero Intervista a Enrico Giovannini L’opinione del Ministro Poletti Lavoro in somministrazione. Evoluzione normativa

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Dalla formazione al lavoro Mauro Colombo, L’apprendistato in somministrazione. La sinergia tra agenzie ed enti formativi Francesco Verbaro, Il modello Forma.Temp e le sfide del mercato del lavoro Antonio Maffei, ITS Sistema Meccanica Abruzzo. Quando il top-down incontra il bottom-up

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Dal lavoro alla formazione Stefano Consiglio e Luigi Moschera, Il lavoro in somministrazione al tempo del Jobs Act Claudio Soldà, Oltre la somministrazione. Come evolve il ruolo delle agenzie Raffaella Meloni, Somministrazione e lavoratori disabili Maurizio Mirri, La somministrazione nell’ambito delle politiche attive per il lavoro Franco Chiaramonte, I servizi al lavoro nella rivoluzione digitale Chiara Gaiti, Social recruiting e selezione del personale nell’era digitale 4.0 Roberto Panzeri e Matteo Sironi, Lavoro e formazione nell’esperienza lecchese del “polo di eccellenza”

44 48 52 56 58 63 67

Legislazione, contrattualistica e giurisprudenza Diana Larenza, Sperimentare l’apprendistato “duale” in somministrazione è possibile Libri

Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

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PROFESSIONALITÀ Bimestrale di studi e orientamenti per l’integrazione tra scuola e lavoro e per l’apprendistato formativo Professionalità (versione cartacea) Condirettori: Gianni Bocchieri, Eugenio Gotti, Emmanuele Massagli Comitato direttivo: Antonio Bonardo, GiGroup Spa; Paolo Cesana, Fondazione Clerici; Rossella Fasola, Randstad Spa; Angela Elicio, CIOFS-FP; Luigi Enrico Peretti, CNOS-FAP; don Mario Tonini, CNOS-FAP; Giuliana Sandrone, Università di Bergamo; Alessandra Spagnolo, Adecco Spa; Raffaele Crippa, Rete ITS meccatronici.

Redazione (email: professionalita@edizionistudium.it): Clara Fortina (coordinamento); Paolo Bertuletti, Alfredo Di Sirio, Erica Della Valle, Francesco Magni, Alessandra Mazzini (Università degli Studi di Bergamo); Mattia Dolci (Noviter).

Professionalità studi (on line) - (in collaborazione con ADAPT University Press) Condirettori: Giuseppe Bertagna, Michele Tiraboschi, Giuseppe Scaratti.

Redazione: Lilli Viviana Casano (redattore capo); Paolo Bertuletti; Adele Corbo; Maria Teresa Cortese; Emanuele Dagnino; Andrea Negri; Elena Prodi; Lavinia Serrani (area internazionale); Tomaso Tiraboschi; Paolo Tomassetti; Carlotta Valsega.

Consiglio per la valutazione scientifica degli articoli Anna Alaimo, Associato di Diritto del lavoro, Università di Catania; Giuditta Alessandrini, Ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università Roma Tre; Henar Álvarez Cuesta, Profesora Titular de Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, Universidad de León (España); Marco Azzalini, Aggregato di Diritto Privato, Università di Bergamo; Gabriele Ballarino, Ordinario di Sociologia del lavoro, Università di Milano; Elisabetta Bani, Associato di Diritto dell’Economia, Università di Bergamo; Alessandro Bellavista, Ordinario di Diritto del lavoro, Università di Palermo; Paula Benevene, Ricercatrice di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, LUMSA; Vanna Boffo, Associato di Pedagogia generale e sociale, Università di Firenze; Guido Canavesi, Associato di Diritto del lavoro, Università di Macerata; Silvia Ciucciovino, Ordinario Diritto del lavoro, Università Roma Tre; Anna Michelina Cortese, Associato di Sociologia del Lavoro, Università di Catania; Madia D’Onghia, Ordinario di Diritto del lavoro, Università di Foggia; Loretta Fabbri, Ordinario di Didattica e metodologia dei processi educativi e formativi, Università di Siena; Monica Fedeli, Associato di Didattica e Pedagogia Speciale, Università di Padova; Paolo Federighi, Ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università di Firenze; Valeria Filì, Ordinario di Diritto del lavoro, Università di Udine; Rodrigo Garcia Schwarz, Profesor Doctor del Postgrado en Derechos Fundamentales de la Universidad del Oeste de Santa Catarina (Brasil); Jordi García Viña, Catedrático de Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, Universidad de Barcelona (España); José Luis Gil y Gil, Catedrático de Derecho del Trabajo, Universidad de Alcalá, Madrid (España); Teresa Grange, Ordinario di Pedagogia Sperimentale, Università della Valle d’Aosta; Lidia Greco, Associato di Sociologia del Lavoro, Università di Bari; Djamil Tony Kahale Carrillo, Profesor Titular de Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, Universidad a Distancia de Madrid (España); Alessandra La Marca, Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale, Università di Palermo; Antonio Loffredo, Associato Diritto del lavoro, Università di Siena; Isabella Loiodice, Ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università di Foggia; Nicole Maggi Germain, Maître de conférences HDR en Droit privé (Droit social), Université Paris 1, Panthéon-Sorbonne (France); Patrizia Magnoler, Ricercatrice a tempo indeterminato di Didattica e Pedagogia speciale, Università di Macerata; Claudio Melacarne, Associato di Pedagogia generale e sociale, Università di Siena; Lourdes Mella Méndez, Profesora Titular de Derecho del Trabajo, Universidad de Santiago de Compostela (España); Viviana Molaschi, Aggregato di Diritto Amministrativo, Università di Bergamo; Massimiliano Monaci, Associato di Sociologia dell’organizzazione, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano); Eleonora G. Peliza, Profesora Adjunta Regular por concurso, Cátedra de Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, Universidad de Morón, Buenos Aires (Argentina); Rodrigo Ignacio Palomo Vélez, Profesor de Derecho del Trabajo, Universidad de Talca (Chile); Luca Paltrinieri, Maître de conférences en Philosophie politique, Université de Rennes (France); Paolo Pascucci, Ordinario di Diritto del lavoro, Università di Urbino Carlo Bo; Flavio Vincenzo Ponte, Ricercatore di Diritto del lavoro, Università della Calabria; Rocco Postiglione, Ricercatore di Pedagogia generale e sociale, Università di Roma Tre; Juan Ramón Rivera Sánchez, Catedrático de Escuela Universitaria de Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, Universidad de Alicante (España); Pier Giuseppe Rossi, Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale, Università di Macerata; Alfredo Sánchez-Castañeda, Coordinador del Área de Derecho Social, Instituto de Investigaciones Jurídicas de la Universidad Nacional Autónoma de México (México); Annalisa Sannino, Research Fellow CRADLE, Faculty of Educational Sciences, University of Helsinki (Finland); Francesco Seghezzi, Direttore Fondazione ADAPT; Maurizio Sibilio, Professore Ordinario di Didattica Generale e Pedagogia speciale, Università di Salerno; Esperanza Macarena Sierra Benítez, Profesora Contratada Doctora Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, Universidad de Sevilla (España); Nancy Sirvent Hernández, Catedrática de Escuela Universitaria de Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social, Universidad de Alicante (España); Lorenzo Speranza, Ordinario di Sociologia del Lavoro, Università di Brescia; Maura Striano, Ordinario di Pedagogia generale e sociale, Università Federico II di Napoli; Giuseppe Tacconi, Ricercatore di Didattica e Pedagogia Speciale, Università di Verona; Lucia Valente, Associato Diritto del lavoro, Università La Sapienza Roma; Luca Vecchio, Associato di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni, Università degli Studi di Milano-Bicocca; Sabine Vanhulle, Professeure ordinaire, Rapports théorie-pratique en formation, alternance et didactique des savoirs professionnels, Université de Genève (Suisse); Antonio Varesi, Ordinario di Diritto del lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore (Piacenza); Maria Giovanna Vicarelli, Ordinario di Sociologia del lavoro, Università Politecnica delle Marche; Giuseppe Zanniello, Ordinario di Didattica e Pedagogia Speciale, Università di Palermo.

Copertina: Lucia Coltamai; progetto grafico e impaginazione: Roberta Marzuillo. Coordinatore del progetto: Prof. Claudio Gobbi (Accademia di Belle Arti di Brescia Santa Giulia) Direzione, Redazione e Amministrazione: Direttore responsabile: Giuseppe Bertagna - Edizioni Studium Srl, Via Crescenzio, 25 - 00193 Roma - Fax. 06.6875456 Tel. 06.6865846 - 06.6875456 - Sito Internet: www.edizionistudium.it - POSTE ITALIANE S.P.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 LOM/BS/02954 - Edizioni Studium (Roma) - Ufficio marketing: Edizioni Studium Srl, Via Crescenzio, 25 - 00193 Roma - Fax. 06.6875456 Tel. 06.6865846 - 06.6875456 - email: professionalita@edizionistudium.it - Ufficio Abbonamenti: Tel. 030.2993305 (operativo dal lunedì al venerdì negli orari 8.30-12.30 e 13.30-17.30) - Fax 030.2993317 - email: abbonamenti@edizionistudium.it.

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Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

EDITORIALE

LE PROFESSIONALITÀ PER LE NUOVE POLITICHE DEL LAVORO di Giovanni Bocchieri, Eugenio Gotti, Emmanuele Massagli

Questo numero di Professionalità è contraddistinto da un approfondito confronto a distanza tra gli ultimi sette Ministri del lavoro e delle politiche sociali della Repubblica Italiana. Li abbiamo interpellati per discutere di somministrazione di lavoro e di politiche attive, a venti anni dalla prima regolazione delle Agenzie per il Lavoro, contenuta nella legge 24 giugno 1997, n. 196 (c.d. Pacchetto Treu). Quella riforma ha inaugurato un lungo (e drammatico) percorso di modernizzazione del nostro diritto del lavoro, continuato nella Legge Biagi, nella Legge Fornero e, da ultimo, nel Jobs Act. Sono estremamente diverse le soluzioni tecniche approvate in questo ventennio e ancor più distanti sono le filosofie politiche che le hanno guidate. Ciononostante ogni disposizione approvata ha fatto un passo avanti, piccolo o grande, nella costruzione del sentiero delle politiche attive.

Non si può certamente ancora parlare di “strada” nel nostro Paese: ancora troppe le lacune normative, le mancanze delle Regioni, le diffidenze culturali. Si tratta però di un percorso irreversibile, poiché non è esito della volontà del Legislatore, bensì è una conseguenza del cambiamento della natura del rapporto di lavoro in atto nella Quarta Rivoluzione Industriale. È oramai definitivamente terminata l’epoca della linearità, durante la quale era possibile concepire per via legislativa percorsi formativi, professionali e previdenziali continui e tranquilli; è ora la stagione della discontinuità, delle molteplici transizioni formative ed occupazionali, della molteplicità delle tipologie contrattuali e delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, del lavoro a risultato più che a processo. In questo contesto la strutturazione di politiche attive intelligenti, presenti, efficienti non è una opzione, ma un obbligo per ogni Paese che voglia competere e non perdere il “treno” della ripresa economica.

Professionalità non è una rivista di politica del diritto, né una pubblicazione per gli addetti ai lavori della somministrazione di lavoro. Per questo la nostra preoccupazione nella composizione di questo numero non è stata rivolta soltanto ai profili legislativi della materia, ma anche alle sue prospettive future in ottica di competenze e professionalità.

Per vincere la sfida delle politiche attive, che persone servono e serviranno? Come si potranno formare? Di cosa si occuperanno? Sono tanti i nuovi fronti con i quali ogni giorno si misurano le Agenzie per il Lavoro: la somministrazione degli apprendisti di primo e terzo livello (sistema duale) da intendersi come leva per affermare il metodo della alternanza formativa; la creazione di divisioni specializzate nella ricollocazione dei soggetti svantaggiati; la corresponsabilità con le Regioni nella costruzione delle reti territoriali delle politiche attive; il tentativo di diffusione e valorizzazione dell’assegno di ricollocazione.

In questo numero abbiamo quindi inteso celebrare i venti anni delle Agenzie per il Lavoro innanzitutto non ripercorrendo il passato, ma provando a mettere a fuoco i nodi che saranno chiamate a sciogliere nei prossimi venti anni, diventando sempre di più protagonisti del mercato del lavoro.

Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

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IL LAVORO CHE CAMBIA a cura di Giuliano Cazzola

LA SOMMINISTRAZIONE NEL MERCATO DEL LAVORO ODIERNO La somministrazione è un settore in espansione e, soprattutto, sembra aver superato la ‘’maledizione del politicamente (s)corretto’’ che per anni ha reso la vita difficile alle tipologie di lavoro diverse da quelle standard: alle dipendenze a tempo indeterminato di un datore. In una prima fase sono state circoscritte e distinte le possibilità di intervento delle agenzie del lavoro (le cui vetrine, tuttavia, continuano ad essere imbrattate durante le manifestazioni come se rappresentassero in terra il Maligno); poi, per diverso tempo è stata soppressa la possibilità di ricorrere allo staff leasing come se le agenzie non fossero degne di contaminare con la loro impurità il rapporto di lavoro per eccellenza.

Attualmente, almeno sul versante normativo, le agenzie sono autorizzate a svolgere le più importanti funzioni riguardanti il mercato del lavoro, a partire dallo sviluppo delle politiche attive, avvalendosi del riconoscimento di un apposito assegno – modulato nell’importo secondo le caratteristiche del lavoratore assistito – collegato alle attività che ne hanno consentito la ricollocazione. Ma questa funzione è ancora un’aspirazione, una promessa, condannata a superare tante difficoltà non solo nella disponibilità delle aziende ma anche nell’orientamento dei lavoratori, benché il mercato del lavoro italiano soffra di un significativo disequilibrio (mismatch) tra domanda ed offerta del lavoro.

Una recente indagine di Unioncamere, inquadrata nel Progetto Excelsior, ha monitorato la domanda di lavoro delle imprese allo scopo di osservare (nel periodo compreso tra settembre e novembre dell’anno in corso) quali sono le professioni ricercate. I lavoratori previsti in entrata per grande gruppo professionale (ovviamente non si tratta solo di nuovi posti) nel periodo considerato sono 995.630, di cui: 207.303 dirigenti, impiegati con elevata specializzazione e tecnici (20,8% del totale), 327.050 impiegati, professioni commerciali e nei servizi (32,8%), 285.510 operai specializzati e conduttori di impianti e macchine (29%), 172.730 appartenenti a professioni non qualificate (17,3%).

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Il confronto è particolarmente significativo se è ragguagliato al titolo di studio, perché mette in chiaro quanto incidano le carenze del sistema scolastico rispetto alle esigenze del mercato del lavoro. Delle 995.630 entrate previste in settembre ed ottobre, 137.480 richiedono un titolo di studio di livello universitario. Ebbene, l’indagine sostiene che le difficoltà di reperimento riguardano il 32,1% dei casi (di cui il 17,6% per ridotto numero di candidati). Persino laddove non è richiesta alcuna formazione specifica è arduo reperire degli operatori nella misura del 17,7% del fabbisogno. Per tirare le somme sui 995.630 soggetti, il 24,3% è di difficile reperibilità (l’11,3% per numero ridotto di candidati). Il 16,8% non ha esperienza nella professione e ben il 49% nel settore.

Ecco perché la somministrazione può svolgere un ruolo positivo sia sul versante delle fasce alte dell’occupazione (dove è in via di sviluppo la somministrazione a tempo indeterminato) sia nelle fasce più basse del lavoro non particolarmente qualificato (che le imprese non hanno interesse ad accollarsi in modo permanente e stabile).

Ad un’agenzia del lavoro conviene avere un organico stabile di lavoratori, la cui professionalità sia ricercata, da poter somministrare – a tempo determinato - alle aziende nei momenti dei picchi produttivi (per affrontare i quali non basta ricorrere alla somministrazione di manodopera generica) che, nell’attuale dinamica del mercato sono imprevedibili e tutt’altro che continuativi e ripetibili.

Il peso della somministrazione nel mercato del lavoro italiano – è scritto nella nota periodica di Assolavoro che riprende e rielabora dati forniti da Ebitemp e dall’Inps – si conferma su base annua in crescita anche a settembre 2017 (l’1,8% contro l’1,7% dello stesso mese dell’anno precedente). Anche il peso sull’occupazione alle dipendenze evidenzia un trend in crescita con l’incidenza della somministrazione (425mila lavoratori interessati) che è passata al 2,4% di settembre 2017, rispetto al 2,3% dello stesso mese del 2016.

Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

Nel confronto con l’andamento di tutto il lavoro dipendente a termine, la somministrazione registra una dinamica relativamente più cauta. Nonostante la prolungata fase di crescita della somministrazione sul mercato del lavoro nazionale, osservando i dati tendenziali di settembre, emerge, infatti, una riduzione nell’utilizzo dello strumento rispetto alle altre forme di lavoro a termine. Nel mese in esame il peso della somministrazione sul totale del lavoro a termine è sceso, infatti, al 15,1% rispetto al 16,0% registrato nello stesso mese del 2016. È noto che la forma di assunzione a termine è quella prevalente nei flussi. I contratti a tempo determinato, nel mercato del lavoro, hanno sempre goduto, nonostante il loro maggior costo per il datore, di un netto primato (rafforzato dopo la riforma del 2014) su quelli a tempo indeterminato anche quando su questi ultimi era applicato il bonus triennale introdotto nella legge di bilancio per il 2015. La somministrazione ha le carte in regola per razionalizzare e qualificare il ricorso alle assunzioni a tempo. Occorre utilizzarle meglio.

Giuliano Cazzola Giornalista e politico

Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

Il contratto di somministrazione. Definizione e limiti Somministrazione di lavoro: contratto a tempo indeterminato o determinato con cui un’agenzia di somministrazione autorizzata mette a disposizione di un soggetto definito utilizzatore uno o più lavoratori, suoi dipendenti, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e controllo dell’utilizzatore (il potere disciplinare rimane in capo al somministratore).

• Somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing): in questo caso il numero dei lavoratori somministrati non può eccedere il 20% della forza lavoro a tempo indeterminato impiegata presso l’utilizzatore (o all’inizio dell’anno o al momento della stipula del contratto per attività iniziate nel corso dell’anno). Sono somministrabili a tempo indeterminato solo i lavoratori assunti a tale titolo dal somministratore, salvo diversa disposizione del contratto applicato dall’utilizzatore. Non si applica alla pubblica amministrazione. Per i periodi in cui il lavoratore rimane in attesa dell’invio in missione è prevista una indennità mensile di disponibilità assoggettata a contribuzione previdenziale.

• Somministrazione a tempo determinato: i limiti quantitativi sono stabiliti dal contratto dell’utilizzatore. Non vi sono limiti per le assunzione di lavoratori in mobilità, disoccupati da almeno sei mesi, lavoratori svantaggiati.

Si applica la disciplina prevista per il contratto a tempo determinato con esclusione del limite max. di durata dei 36 mesi, del limite delle 5 proroghe, del rispetto degli intervalli tra un contratto e l’altro, dei limiti percentuali di utilizzo in rapporto agli assunti a tempo indeterminato e dei diritti di precedenza per le nuove assunzioni.

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ECONOMIA SOCIALE E SFIDE COOPERATIVE a cura di Lucio Moioli

LAVORATORE O IMPRENDITORE? IL DILEMMA DEL COOPERATORE In questo numero di Professionalità viene trattato il contratto di somministrazione di lavoro, argomento che in qualche caso suscita ancora contrapposizioni ideologiche. È un rischio non facile da evitare, d’altra parte, perché la somministrazione interroga la natura stessa del lavoro, del suo legame con l’individuo e con i luoghi sociali della produzione. Schematizzando e utilizzando un lessico tradizionale, possiamo dire che la somministrazione radicalizza la distanza tra lavoro e lavoratore: il lavoratore autonomo è proprietario del proprio produrre, il lavoratore dipendente è subordinato e dunque non ha un rapporto paritario con il contesto che sostiene la sua attività, il “somministrato” vede annullarsi (tendenzialmente e in linea di principio) la relazione diretta con l’azienda al cui funzionamento contribuisce e si riduce a qualcosa di omogeneo agli altri fattori della produzione.

Il quadro appena tratteggiato non va inteso come una tassonomia rigida dal positivo (lavoro autonomo) al negativo (lavoro somministrato), perché ciò presupporrebbe la validità attuale della visione ottocentesca ed idealistica del lavoro come dimensione prevalente, se non unica, dell’autorealizzazione umana. D’altro canto non va accettata ingenuamente la posizione di chi auspica e profetizza la completa “smaterializzazione” della produzione in relazioni finanziarie, con una riduzione a tecnica algoritmica di ogni interazione tra fattori naturali, materiali ed umani operanti nei processi economici.

Personalmente sono favorevole all’utilizzo e alla diffusione, entro certi limiti, della somministrazione di lavoro. Credo infatti che in alcune situazioni questa possa essere una proposta adeguata e addirittura più tutelante: basti pensare alle soluzioni alternative praticate talora in modo discutibile quali un certo impiego dei voucher, dei tirocini, delle prestazioni occasionali...

Ciò richiede, però, parallelamente, di mantenere una riflessione attenta e critica alle evoluzioni del mercato del lavoro, rifiutando ideologie “nuoviste” che possono

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semplicemente fungere da maschera per precisi interessi di parte.

Come si pone la figura del socio-lavoratore nel poliedrico rapporto tra lavoro e lavoratore?

La questione è complessa e presenta aspetti politico-culturali, normativi, sociali che nel tempo hanno avuto evoluzioni e cambiamenti importanti.

In prima battuta, e in linea di principio, il socio-lavoratore va certamente collocato sul versante del lavorare “in autonomia”. La cooperazione, infatti, nasce proprio come esperienza centrata sull’idea di auto-organizzazione. E’ una sorta di “lavoro autonomo collettivo”, che spesso si traduce nella formula “il socio è imprenditore di se stesso”1. D’altro canto, però, la concreta esperienza storica ha mostrato la presenza di un rischio paradossale di abbassamento delle tutele dei lavoratori: cooperative che derogano dai limiti minimi retributivi e normativi dei contratti nazionali di lavoro producendo forme non di auto-organizzazione bensì di auto-sfruttamento. Anzi, dato che queste cooperative sono per lo più eterodirette (e quindi “spurie”), non è difficile cogliere l’obiettivo vero consistente nel ridurre il costo del lavoro a vantaggio del committente esterno. Altro che “socio-lavoratore imprenditore di se stesso”2!

Questo problema ha provocato tensioni e cambiamenti sul piano politico-culturale, normativo, giurisprudenziale. Momento fondamentale di questo processo è l’approvazione della già richiamata Legge 142/2001, legge che sancisce il passaggio da un’interpretazione monistica, secondo cui per il socio-lavoratore vige esclusivamente il rapporto sociale ed è all’interno di questo che si colloca lo scambio mutualistico di lavoro, a un’interpretazione dualistica, per la quale sul rapporto sociale si innesta un rapporto di lavoro che è “ulteriore”, pur rimanendo gerarchicamente subordinato e derivato dal primo3.

A nostro avviso non sembrano praticabili vie di uscita semplici. L’esclusività del rapporto sociale rende più difficile il contrasto alla falsa cooperazione, mentre

Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

l’appiattimento sul rapporto di lavoro dipendente snatura e vanifica le potenzialità di imprenditorialità “dal basso” della cooperazione.

Credo quindi che sia necessario giocare una partita articolata, che valorizzi la cooperazione quale attore sociale aggregato, capace di dialogare con gli altri attori istituzionali e no che siano interessati a tutelare e promuovere la funzione sociale sancita dall’art. 45 della Costituzione.

In particolare possiamo immaginare una partita giocata su alcuni fronti complementari: razionalizzare il quadro delle regole, renderlo omogeneo per tutti gli attori, ampliare alcuni spazi di flessibilità e innovazione.

I fronti devono essere agiti contestualmente, pena pericolosi squilibri. Ecco quelle che ci sembrano alcune possibili piste di lavoro.

1. Regole certe e valide per tutti. È necessario semplificare (e ridurre) i Ccnl, contrastando anche la diffusione di pseudo-organizzazioni sindacali che con i loro contratti distorcono la concorrenza a danno dei lavoratori.

2. Ampliare gli spazi per la contrattazione decentrata.

Solo in una declinazione territoriale o aziendale è possibile coniugare tutele dei lavoratori con logiche imprenditoriali che valorizzino specifiche potenzialità innovative e di crescita.

3. Mutualità e vantaggio per i soci. L’auto-organizzazione dei soci-lavoratori deve essere finalizzata ad un rafforzamento dei benefici che questi ricavano dalla loro prestazione e non ad un abbassamento delle loro tutele, salvo in situazioni di autentica e certificata crisi aziendale4.

4. Autenticità cooperativa e controllo sociale. Tutto quanto precede è possibile nella misura in cui un tessuto sociale assume responsabilmente la cooperazione come valore e ne combatte le forme “spurie”.

Questo implica processi culturali e alleanze politiche tra Centrali Cooperative, Organizzazioni di Rappresentanza delle imprese committenti, Enti di sorveglianza, Organizzazioni Sindacali dei Lavoratori; solo in questo modo, infatti, la mutualità – essendo effettiva e fondata sulla partecipazione democratica - si orienterà al bene dei soci, evitando gli effetti paradossali richiamati sopra.

L’ultima pista di lavoro richiede certo molto impegno. È più facile, naturalmente, puntare all’uniformità di Ccnl nazionali, con diritti/doveri analiticamente articolati; ma quanto è elevato il rischio che, specie per i soggetti più spregiudicati, tutto ciò rimanga sulla carta?

Richiede, certo, molta fatica costruire e controllare pratiche sociali declinate sui territori, ma è solo così che può crescere un’economia responsabile, nella quale le imprese non cerchino vie per avvantaggiar-

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si ai danni dei lavoratori, le Organizzazioni Sindacali evitino la tentazione di essere deboli con i forti e forti con i deboli e le istituzioni non si accontentino di un rispetto puramente formale della legge.

Un’economia sociale nella quale le Centrali Cooperative non sfuggono le sfide ma le giocano sul campo aperto delle trasformazioni in corso, rivendicando e aggiornando quel peculiare intreccio tra persona, lavoro, organizzazione produttiva e società che ne segna l’identità profonda.

Lucio Moioli Segr. Gen. Confcooperative Bergamo Presidente Mestieri Lombardia

Note Qui intendiamo “lavoro autonomo” in senso non tecnico. Da un punto di vista tecnico, infatti, l’art. 1 della L. 142/01 precisa che sulla base di un Regolamento Interno sono molteplici le forme di rapporto di lavoro praticabili nei confronti del socio-lavoratore: «Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali» (L. 142/2001, art. 1 comma 3).

2 Combattere la falsa cooperazione è proprio uno degli obiettivi espliciti alla base della L. 142/01. Cfr. per esempio la Circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n.

34 del 17/06/02: «Sull’altro versante vi era poi l’esigenza di combattere la c.d. falsa cooperazione, la cooperazione cioè che utilizzava lo strumento del rapporto associativo al solo scopo di eludere la legislazione del lavoro nel suo complesso e in particolare l’applicazione nei confronti dei soci dei principali istituti retributivi».

3 Si veda il comma 3 dell’art. 1 della L. 142/01 riportato nella nota n. 1. Per una discussione del percorso si veda L. Imberti, Il socio lavoratore di cooperativa. Disciplina giuridica ed evidenze empiriche, Giuffrè, Milano 2012 passim e in particolare pp.

83 e segg.

4 Questa non va intesa come una deroga: in situazioni di crisi la rinuncia ad alcuni elementi retributivi o l’abbassamento delle tutele nella parte normativa è funzionale alla difesa dell’opportunità occupazionale del lavoratore stesso.

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WELFARE E DINTORNI a cura di Viviana Molaschi

LA LEGGE SUL “DOPO DI NOI” La Legge n. 112 del 22 giugno 2016, recante «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», detta legge sul “dopo di noi”, si propone cioè di favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave (che non sia determinata dal naturale invecchiamento o da patologie legate alla senilità) «prive di sostegno familiare in quanto mancanti entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori» (art. 1).

I destinatari della nuova legge sono i disabili gravi secondo l’art. 3, III comma della Legge n. 104/1992, ossia coloro la cui autonomia personale, correlata con l’età, sia stata ridotta in modo tale da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.

La legge sul “dopo di noi” si muove in una duplice direzione. Da un lato, prevede misure pubblicistiche come l’istituzione di un fondo ad hoc, per favorire azioni quali percorsi di deistituzionalizzazione dei soggetti e interventi per promuovere la domiciliarità ovvero programmi e interventi innovativi di residenzialità (art. 4).

Si tratta di ambiti in cui il Terzo settore, in ossequio al principio di sussidiarietà orizzontale, gioca un ruolo fondamentale. Dall’altro, si propone di valorizzare l’iniziativa delle stesse famiglie, anche in considerazione della crisi del Welfare State, dovuta, tra gli altri fattori, all’insostenibilità dei costi della spesa pubblica.

Per realizzare tale disegno, la disciplina favorisce la stipula di polizze di assicurazione, innalzando l’importo fiscalmente detraibile per premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di morte finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave (art. 5) e mette a disposizione delle famiglie tre istituti, agevolando anche questi fiscalmente: i) il trust; ii) il vincolo di destinazione di cui all’art. 2645-ter del codice civile; iii) i cc.dd. fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di

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destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario (art. 1, III comma)1.

Tali strumenti appartengono alla categoria dei patrimoni separati o di destinazione, ossia complessi di beni distinti dagli altri all’interno del patrimonio di un soggetto in vista di un certo fine specifico, in virtù del quale gli stessi beni sono di regola riservati all’adempimento delle sole obbligazioni contratte per il perseguimento dello scopo di destinazione (rappresentano quindi un’eccezione al principio del diritto civile, enunciato dall’art. 2740, I comma c.c., in base al quale il debitore risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri). i) Il trust è un istituto giuridico introdotto in Inghilterra dai Frati Francescani, nel XIII secolo, e che in seguito conobbe una grande fortuna2. Il trust che conosciamo più da vicino è quello della Convenzione de L’Aja3 del 1985, la quale ha introdotto tale istituto anche in ordinamenti (come quello italiano) che non ne hanno alcuna disciplina. L’art. 2 della Convenzione lo definisce come il complesso di rapporti giuridici istituiti dal costituente e posti sotto il controllo di un trustee, che ha il potere e l’obbligo di amministrare, gestire o disporre dei beni in trust nell’interesse di un beneficiario o per un determinato fine.

Pur avendo il trustee la titolarità dei beni, essi costituiscono un patrimonio separato (non fanno perciò parte del suo patrimonio) in vista del fine per cui il trust è stato istituito.Dato che il nostro ordinamento non ha alcuna normativa sul trust, esso dovrà essere regolato da una legge straniera scelta dal costituente, come dispone l’art. 6 della Convenzione – e in mancanza di scelta si farà riferimento alla legge con cui il trust ha i più stretti legami (art. 7 Conv.).

Si tratta di uno strumento duttile; il livello di separazione dei beni che ne fanno parte è massimo4, dato che il patrimonio dei beni in trust ha una specifica autonomia giuridica sia rispetto al patrimonio del disponente che a quello del trustee; esso è da sempre però visto con sfavore dagli interpreti in quanto estraneo al nostro ordinamento. La Legge 112/2016, menzionandolo tra gli istituti a tutela dei soggetti più deboli, lo eleva

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a strumento per mezzo del quale perseguire interessi di prioritaria importanza, incentivandone, per la prima volta, l’utilizzo. ii) Il vincolo di destinazione, introdotto nel 2006, c.d. trust italiano, è disciplinato dall’art. 2645-ter del c.c.

Viene istituito con atto unilaterale, di cui è parte cioè solamente il disponente, il quale pone il vincolo di destinazione su beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri (che possono essere trasferiti o meno al beneficiario, a un terzo – nel caso di trasferimento c.d. non strumentale, cioè che non realizza lo scopo della destinazione ma è sorretto da altra causa – o al c.d. attuatore, cioè colui che deve realizzare le finalità del vincolo, figura non necessaria ma opportuna; il trasferimento all’attuatore, invece, generalmente è strumentale).

La destinazione non può avere durata superiore a novant’anni, o alla durata della vita della persona fisica beneficiaria, ed è diretta alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pub. amministrazioni o ad altri enti o persone fisiche.

Il vincolo viene reso opponibile ai terzi tramite la trascrizione, grazie alla quale opera la segregazione patrimoniale, che non è piena (come quella del trust) ma agisce in questo modo: i creditori generali del conferente non potranno agire sui beni destinati, mentre i creditori dei debiti contratti per la realizzazione dello scopo potranno agire sia sui beni destinati che sul restante patrimonio del debitore, ma su quest’ultimo soltanto in caso di incapienza dei primi. Con la trascrizione, inoltre, è opponibile anche “l’effetto di destinazione”, in forza del quale sorge a vantaggio del beneficiario il diritto di credito a che il bene e i suoi frutti vengano utilizzati per lo scopo della destinazione.

Anche prima della Legge 112/2016, il vincolo di destinazione veniva utilizzato per la tutela delle persone con disabilità; la novità consiste nelle agevolazioni fiscali previste dall’art. 6 della Legge. iii) Di rilievo è il riferimento ai cosiddetti fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario.

La legge non ne fornisce alcuna nozione. Dopo le prime incertezze, è prevalsa l’opinione che il Legislatore abbia voluto riconoscere la figura del contratto di affidamento fiduciario (già prima utilizzato, ma mai regolamentato, se non nella Legge n. 43/2010 della Repubblica di San Marino). Si tratta del contratto con cui il fiduciante trasferisce beni, in forma di patrimonio separato, ad un fiduciario che li amministra e ne dispone secondo un programma, opponibile a terzi nella destinazione e nella separazione grazie allo stesso articolo 2645-ter5 nell’interesse di un beneficiario.

I vantaggi del contratto di affidamento fiduciario consistono nel fatto che, a differenza del trust, esso trova

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la sua disciplina nel diritto italiano. Quanto all’oggetto (che per il vincolo di destinazione è necessariamente immobile o mobile registrato) non vi è alcuna limitazione. Infine, l’unico elemento invariabile del contratto di affidamento fiduciario è il programma secondo cui debbono essere gestiti i beni (si parla di destinazione dinamica, dato che possono variarne sia il fiduciario che l’oggetto), mentre nel vincolo di cui all’art. 2645-ter c.c. nulla muta (c.d. destinazione statica).

Per promuovere il ricorso agli strumenti descritti la legge prevede una serie di agevolazioni fiscali (art. 6), tra cui l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni rispetto a quanto conferito in trust, in vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. ovvero destinato al fondo speciale di cui all’art. 1, III comma della stessa legge, istituiti in favore dei disabili gravi6.

Le agevolazioni potranno essere godute soltanto a condizione che trust, vincolo di destinazione e fondi speciali, oltre ad avere come finalità esclusiva quella della tutela del disabile grave in favore del quale sono istituiti (cosa che deve essere espressamente enunciata nell’atto istitutivo o nel regolamento di fondo speciale), rispettino i requisiti di forma e di contenuto previsti, per tutti e tre gli istituti citati, dallo stesso art. 6 III comma, lettere dalla a) alla h). Tra i requisiti di forma spicca il fatto che il negozio prescelto debba essere necessariamente stipulato per atto pubblico7, il che significa che il notaio riveste un ruolo centrale.

Avv. Francesca Rosso di San Secondo Note Sul punto: D. Muritano, La legge sul dopo di noi: impressioni, proposte, Studio Cnn n. 3-2017/C, pp. 11 ss.

2 G.C. Cheshire, Il concetto di “Trust” secondo la Common Law inglese, Giappichelli, Torino 1998, pp. 11 ss.

3 Viene detto trust “amorfo”; la nozione, infatti, è priva degli elementi caratterizzanti del trust inglese: sul punto v. M. Lupoi, Introduzione ai trusts, Giuffrè 1994, pp. 129 ss.

4 Cfr. Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Liguria, Ufficio Consulenza, Interpello 903-124/2014 del 22.04.2014.

5 Solo nel caso di negozi che abbiano ad oggetto beni immobili o mobili registrati; per i beni mobili, invece, le norme per la trascrizione sono gli artt. 1, c- III L. 112/2016 e 1707 c.c.

6 I destinatari dei negozi citati potranno essere anche persone la cui disabilità non possa essere considerata grave ai sensi della citata L. 104/1992; in tal caso, tuttavia, non si potrà beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla L. 112/2016.

7 Il vincolo di destinazione di cui all’art. 2645-ter richiede in ogni caso l’atto pubblico a pena di nullità, come previsto dalla stessa norma che lo disciplina. Dunque il requisito formale previsto dalla L. 112/2016 non rappresenta una novità.

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DALLA PARTE DELLE DONNE E DEL LAVORO a cura di Alessandra Servidori

OCCUPAZIONE FEMMINILE E CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE Un’analisi dell’occupazione femminile assunta con il contratto di somministrazione si trae da banche dati e osservatori che offrono trend storici significativi: il sistema delle comunicazioni obbligatorie (Sisco), l’Osservatorio Inps, le agenzie dell’impiego attraverso Ebitemp.

Vero è che l’entrata in vigore della Direttiva europea 2008/104/CE del 19 novembre 2008 è stato un buon motore per regolarizzare questa tipologia di contratto e ha evidenziato nel panorama internazionale che le differenze di genere tra lavoratori e lavoratrici assunti tramite agenzia rispecchiano tendenzialmente la struttura e il tessuto socio-economici di ogni Paese: l’Italia, con 52% uomini e 48% donne, segna la costante differenza di genere a scapito delle donne, tranne che nella pubblica amministrazione, come vedremo sotto.

Le tipologie contrattuali attualmente esistenti nel mercato del lavoro italiano sono riunite nel D.Lgs 81/2015 che di fatto costituisce una sorta di Testo unico: la somministrazione di lavoro ha assunto una propria identità e si differenzia dal contratto a tempo determinato. Anche la pubblica amministrazione può giovarsi del lavoro in somministrazione (L.133/2008), purché non impegni la stessa persona per più di tre anni nell’ultimo quinquennio, in caso contrario è vietata la conversione del rapporto di lavoro in uno a tempo indeterminato. I lavoratori interinali della Pa, il cui 60% è rappresentato da donne, esprimono la terza forma di lavoro flessibile, preceduta da quella a tempo determinato (72,6%) e socialmente utile (16,3%).

Nella Pa nonostante la generale contrazione del personale iniziata nel 2001, soprattutto per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato, il lavoro temporaneo ha registrato un incremento pari al 62,1%. Nel 2016 per il lavoro dipendente sono stati registrati dal Sisco complessivamente 1.805.074 rapporti di lavoro attivati in somministrazione a fronte di 1.614.135 effettuati nel 2015. Complessivamente, più della metà delle attivazioni in somministrazione interessa lavoratori di genere maschile (54,8% del totale). Nel triennio 2014-

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2016, si osserva che i rapporti di lavoro in somministrazione – che assumono per la quasi totalità (99,4% dei casi) la forma della tipologia a Tempo determinato – sono cresciuti costantemente e nell’ultimo anno la variazione tendenziale è stata + 11,8%. L’incremento delle assunzioni in somministrazione è stato più alto nel caso della componente maschile (+12,1%, nel 2016), rispetto a quanto osservabile per la componente femminile (+11,5%). Come già ricordato, più della metà delle attivazioni in somministrazione interessa lavoratori maschi (54,8% del totale).

Le lavoratrici che prestano lavoro in somministrazione hanno diritto ad un’adeguata tutela quanto le altre lavoratrici subordinate. Le lavoratrici in gravidanza per le quali la missione cessi nei primi 180 giorni dall’inizio della stessa ed alle quali non spetti l’indennità relativa alla maternità obbligatoria possono richiedere un contributo una tantum di € 2.250 al lordo delle imposte previste dalla legge. I documenti da allegare alla domanda, che va spedita entro 30 giorni a partire dalla scadenza del contratto sono: la fotocopia codice fiscale e documento di identità, copia del contratto di prestazione di lavoro in somministrazione ed eventuali proroghe, certificato medico della Asl o di un ginecologo attestante l’inizio della gravidanza, dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà attestante la non percezione dell’indennità Inps per maternità obbligatoria, dichiarazione di cessazione rapporto di lavoro rilasciata dall’Agenzia per il lavoro.

Inoltre, le lavoratrici madri con una missione pari o superiore a 7 giorni e con un’anzianità di almeno 3 mesi lavorati negli ultimi 12 possono richiedere un contributo fino ad un massimo di € 100 mensili, fino al terzo anno di età del bambino. La domanda va spedita entro 30 giorni a partire dalla eventuale scadenza del contratto con documentazione di nuovo stato di famiglia, spese sostenute per il nido del bambino…

Al di là di queste tutele, la strada da intraprendere è comunque quella di rafforzare la componente formativa collegata al lavoro tramite agenzia con l’obiettivo

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di favorire l’incontro tra le esigenze di qualificazione della domanda e dell’offerta di lavoro, adeguando le competenze dei lavoratori e delle lavoratrici – generalmente molto schiacciate su contratti a bassa qualificazione – alle caratteristiche della domanda esistente per ampliarle al fine di accrescere la loro occupabilità.

La formazione dunque non dovrebbe rappresentare solo lo strumento per ridurre il gap di competenze che separa i lavoratori in somministrazione dai dipendenti diretti dell’impresa utilizzatrice, ma più in generale dovrebbe costituire un vantaggio per l’evoluzione della carriera dei lavoratori e delle lavoratrici. Vero è che gli

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enti bilaterali di settore hanno creato fondi proprio per finanziare in particolare l’attività formativa destinata ai lavoratori in somministrazione ma è evidente che l’efficacia della formazione nel lavoro tramite agenzia si giochi su due dimensioni cruciali: la possibilità di capitalizzare le competenze e di fare tesoro di ogni esperienza formativa; l’opportunità di crescere professionalmente attraverso un progetto coerente.

Alessandra Servidori Università di Modena e Reggio Emilia

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PIATTAFORME DIGITALI E SHARING ECONOMY a cura di Elisabetta Bani

L’INCIDENZA DELLE PIATTAFORME TELEMATICHE SUL LAVORO SOMMINISTRATO L’attuale mercato del lavoro è influenzato sia dalla rivoluzione tecnologica nonché dallo sconvolgimento delle note coordinate spazio-temporali che hanno sempre caratterizzato la prestazione lavorativa.

Quest’ultima si discosta sempre più dai modelli rigidi e gerarchici tipici della catena fordista, focalizzandosi sull’ottenimento di obiettivi e risultati, allo scopo di valorizzare le competenze della persona del lavoratore.

La pervasiva influenza delle piattaforme telematiche e la connessione tramite internet incidono su innumerevoli aspetti connessi alla prestazione lavorativa, perlopiù non di immediata percezione. Si pensi ad esempio all’attività di rilevazione del rendimento del lavoratore nel contratto di somministrazione, ottenuta grazie allo “sdoppiamento” del potere datoriale, vista la presenza di altri due soggetti coordinati fra loro, ovvero, l’impresa utilizzatrice e quella di somministrazione.

La fattispecie contrattuale in esame, quindi, si caratterizza per la fornitura professionale di manodopera dall’agenzia autorizzata ad un’impresa richiedente per il soddisfacimento delle relative esigenze produttive.

Questo comporta la stipula di due contratti distinti, ma collegati tra loro, ovvero, il contratto di somministrazione, di natura meramente commerciale, tra somministratore e utilizzatore; ed il contratto di lavoro subordinato, tra somministratore e lavoratore1.

Volendo brevemente rivedere il ruolo dei soggetti che prendono parte al contratto di somministrazione, si deve ricordare che il somministratore è quel soggetto che, in possesso di requisiti giuridici e finanziari, risulta autorizzato allo svolgimento di somministrazione di lavoro, ed è pertanto iscritto in un’apposita sezione dell’albo delle agenzie per il lavoro, cui può accedere l’utilizzatore per la verifica dell’effettiva iscrizione dell’impresa. Diverso ruolo assume l’utilizzatore, ovvero, quel soggetto che ricorre alla collaborazione del lavoratore somministrato nella propria impresa, dietro pagamento all’agenzia di un prezzo di fornitura concordato. Essenziale, al fine che si concluda il contratto

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in sé, è la presenza del lavoratore, cd. “somministrato”, che presterà la propria opera presso l’utilizzatore, pur essendo assunto dall’agenzia somministratrice.

L’elemento che maggiormente contraddistingue questa tipologia contrattuale è proprio il rapporto che intercorre tra le parti. Ed invero, durante lo svolgimento della missione, il potere direttivo e di controllo nei confronti del lavoratore somministrato viene concretamente esercitato dall’utilizzatore, mentre il potere disciplinare spetta al somministratore, che lo esercita anche sulla base di tutti gli elementi oggetto di contestazione comunicati in precedenza dall’utilizzatore.

In altre parole e, con tutta evidenza, si ha una proiezione della titolarità del potere del datore di lavoro su di un altro soggetto: l’utilizzatore. Il lavoratore somministrato si trova dunque costretto a rispondere alle due parti predominanti del doppio sinallagma contrattuale, il che implica la genesi di forme di stress lavoro correlato e, purtroppo, di crisi di identità, al pari del lavoratore moderno della sharing economy che viene referenziato mediante una piattaforma che si comporta come un’agenzia di somministrazione. Il lavoratore è consapevole che un suo comportamento non corretto viene rilevato dall’impresa utilizzatrice e trasferito all’agenzia di somministrazione, subendo un doppio richiamo: sebbene la norma sostenga che il potere di controllo è esercitato dall’utilizzatore e quello disciplinare dal somministratore, non è possibile ritenere che a fronte di un erroneo atteggiamento del lavoratore – rectius a qualsiasi fatto a lui imputabile, connesso al rapporto di lavoro e che si discosta dal volere dell’impresa in cui opera – l’utilizzatore non esprima il proprio pensiero negativo, travalicando il limite del potere disciplinare.

Si realizza in questo modo una tecnica di imputazione del rapporto di lavoro molto particolare, definibile come codatorialità descrittiva2, rispetto al contratto di lavoro tipico del nostro ordinamento, in cui il lavoratore deve rispondere ad un unico datore di lavoro.

Ebbene il contratto di somministrazione, con queste

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caratteristiche così peculiari, non contrasta affatto con la disciplina sancita dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, come si potrebbe ritenere da una prima lettura.

L’estensione di titolarità nella gestione del contratto di lavoro di somministrazione non rappresenta l’unico caso presente nel nostro ordinamento, sia in relazione alle profonde trasformazioni che il mercato del lavoro sta vivendo a seguito della crisi del 2008, sia quale diretta conseguenza della quarta rivoluzione industriale. Si pensi alle ipotesi in cui il datore di lavoro viene a conoscenza del rendimento dei propri lavoratori, non sulla base di un’accurata valutazione delle modalità in cui rendono la prestazione lavorativa, quanto piuttosto grazie al potere di controllo attivato da terzi, quali i clienti, con l’utilizzo di recensioni – feedback lasciate nella rete (internet).

In questo senso si apre un nuovo scenario del diritto del lavoro in cui cessano i confini di garanzia e tutela del lavoratore, in quanto un estraneo, vuoi per una valutazione oggettiva o peggio ancora, per una valutazione eccessivamente personale e volutamente denigrante, può scalfire la dignità di un lavoratore, fornendo valutazioni che vanno ad inficiare il rispetto che il datore di lavoro possedeva nei confronti del proprio dipendente.

Quest’ultima eventualità non è ancora normata, ma non è di facile eliminazione: non a caso gli apprezzamenti che circolano nella rete non possono essere cancellati, rimanendo impressi nella memoria dei terzi, come se si trattasse di un tatuaggio indelebile (e negativo) dell’azienda.

Ciò comporta, nella mentalità comune, a seconda della valutazione e quindi della positività o meno della stessa, una reazione da parte del cliente - fruitore, ed una susseguente e diversa considerazione da parte della collettività, non solo nel caso dell’avventore abituale, ma nei confronti di tutti gli interessati ad ottenere un determinato servizio da quell’impresa.

Diviene così necessario legiferare sulla natura di tali controlli “incrociati”, soffermandosi sulla legittimità degli stessi nonché sulle dirette conseguenze che scaturiscono dal gradimento dell’utenza, quale giudizio “oggettivato” della prestazione resa dal lavoratore.

Inevitabilmente questo fenomeno, valido anche per il contratto di somministrazione, suggella l’esistenza di uno sdoppiamento di poteri e di una effettiva doppia valutazione, al pari del potere di controllo attivato dall’utenza tramite il feedback.

In un’epoca in cui si cerca di gestire al meglio il rapporto di lavoro, garantendo ai lavoratori il diritto alla disconnessione3, pare che la liberalizzazione del contratto di somministrazione, avvenuta molto lentamente

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negli anni4, scardini i dogmi del diritto del lavoro in cui si sancisce la tutela del contraente debole, quale atto principe di tutto l’apparato giuslavoristico, agevolando una modalità di gestione del contratto di lavoro che, se mal utilizzata, può dare luogo alla spersonalizzazione del lavoro e la «radicale divaricazione fra subordinazione tecnica e subordinazione esistenziale»5.

Gina R. Simoncini Università di Bergamo

Note G. Pacella, Il lavoro nella gig economy e le recensioni on line: come si ripercuote sui e sulle dipendenti il gradimento dell’utenza?, «Labour & Law Issues», 3 (2017), p. 16 e ss.

2 D. Garofalo, Lavoro, impresa e trasformazioni organizzative, in Frammentazione organizzativa e lavoro: diritti individuali e collettivi, in Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro (Cassino 18-19 maggio 2017), 2017.

3 M. Peruzzi, Sicurezza e agilità: quale tutela per lo smart worker?, «Diritto della sicurezza sul lavoro», 1 (2017), p. 1 e ss.

4 V. Filì, Prime note sulla somministrazione di lavoro (artt. 30-40), in Commento al d. lgs. 15 giugno 2015, 81, (2015), p. 207 e ss., secondo la quale «La dottrina giuslavoristica italiana si è a lungo occupata dei fenomeni della triangolazione e intermediazione di manodopera, seguendo la strada tracciata da un legislatore che, sulla spinta dell’ILO e della CE, ha modificato nel corso del tempo la direzione di marcia: dalla netta ostilità per il fenomeno (l. n. 1369/1960) 2 , si è passati, dapprima, ad un suo prudente sdoganamento (l. n. 196/1997), poi all’accettazione piena (d.lgs. n. 276/2003), per approdare, infine, alla liberalizzazione sotto il profilo causale dell’istituto, considerato uno strumento di inserimento lavorativo (d.l. n. 34/2014 e d.lgs. n. 81/2015)».

5 G. Vardaro, Tecnica, tecnologia e ideologia della tecnica nel diritto del lavoro, «Politica del Diritto», 1 (1986), p. 122 e ss.

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IL MERCATO DELLE PROFESSIONI a cura di Giampaolo Montaletti

COME NASCE UNA PROFESSIONE? IL CASO DEI DATA SCIENTIST Il data scientist è una professione emergente. Secondo il Bureau of Labour Statistics negli Stati Uniti questa posizione lavorativa crescerà del 19% nei prossimi anni, con uno stipendio medio sopra i 110.000 dollari l’anno, nessuna esperienza precedwente richiesta e nessuna formazione in azienda prevista. E anche da questi fattori capiamo che si tratta di una professione emergente.

Cosa fa il data scientist? Analizza dati e produce approfondimenti, verifica ipotesi o formula previsioni di natura operativa, che sono utili allo sviluppo delle attività dell’organizzazione per cui lavora; questa è solo la mia definizione, in rete ne potete trovare molte altre, visto che si tratta di una professione emergente.

La “scienza dei dati” evolve dalla convergenza di alcuni fattori tecnologici, organizzativi e scientifici.

I dati resi disponibili da processi automatici o digitali (ad esempio le comunicazioni dei datori di lavoro sulle assunzioni, gli acquisti su un sito di e-commerce, gli scontrini emessi da un supermercato e connessi ad una persona attraverso la sua carta fedeltà, le transazioni bancarie…) crescono vertiginosamente. Questi dati, se analizzati con intelligenza, consentono di conoscere le abitudini di vita e di consumo, e quindi di pianificare politiche pubbliche o piani di marketing.

Negli ultimi anni oltre ad una grande mole di dati è cresciuta anche la disponibilità di potenza di calcolo.

Questa potenza di calcolo non ha consentito solo di “macinare” molti dati, ma consente anche di affinare le tecniche di stima, di classificazione e di previsione.

Quindi non solo è cresciuta la “forza bruta” dei sistemi, ma anche la capacità analitica e la sofisticazione delle tecniche analitiche. Mentre gli statistici del passato (pochi anni fa in realtà) avevano a disposizione relativamente poche distribuzioni note stimabili attraverso l’uso di modelli lineari, oggi l’algebra dei tensori ed i modelli non lineari consentono molta più flessibilità e accuratezza nell’analisi di grandi quantità di dati.

Pensiamo solo al riconoscimento della voce da parte

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dei cellulari, al riconoscimento di persone, animali e cose nelle fotografie, alla guida di veicoli assistita da sensori, al miglioramento della qualità dei sistemi di traduzione automatica solo per citare dispositivi che tutti abbiamo già modo di utilizzare. Machine learning (apprendimento automatico), artificial neural networks (reti neurali artificiali), reinforced learning (apprendimento per rinforzo) fanno parte di quella branca della intelligenza artificiale da cui il data scientist attinge le sue tecniche analitiche. I principali linguaggi e le principali librerie sono open source e gratuiti (R e Python sono i principali linguaggi utilizzati).

Ora però il problema per tutti è che ci sono più dati che persone competenti. Per questo il data scientist guadagna molto ed è molto richiesto. Ma come si forma?

Da alcuni anni le università hanno avviato corsi specifici, ma il numero di persone che frequenta questi corsi resta troppo basso per il tasso di crescita della domanda. Molti Paesi si stanno attrezzando sfruttando le sinergie fra insegnamento universitario e apprendimento a distanza. In India il professor Balaraman Ravindran tiene i suoi corsi su una piattaforma governativa (potete trovarli qui www.cse.iitm.ac.in/~ravi/ courses/) che consente successivamente agli studenti di sostenere gli esami di persona in diverse parti del Paese, guadagnando una certificazione formale molto conosciuta e apprezzata anche in ambito lavorativo.

Altre piattaforme, anche commerciali (Udemy, Coursera…) ospitano corsi on line di diverso livello molto seguiti, spesso con un approccio pratico alla scrittura di routine analitiche di immediato utilizzo. Moltissimo materiale è disponibile in forma gratuita; ad esempio www.fast.ai mette a disposizione due corsi gratuiti tenuti da Jeremy Howard e Rachel Thomas.

L’obiettivo dichiarato di iniziative come www.fast.ai negli Usa e http://nptel.ac.in/ in India è quello di allargare la base di persone competenti, in modo da generare massa critica e consentire al vertice della piramide di

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L’interno di un data center di Google

potersi occupare di far avanzare la ricerca più speditamente. I vantaggi competitivi per rispettivi Paesi sono evidenti, e vengono perseguiti con la diffusione della conoscenza e la formazione di una élite attraverso la competizione fra molti, non attraverso una selezione scolastica che risulterebbe troppo restrittiva e basata sul censo.

On line si svolgono anche le competizioni a premio (in denaro) a cui tutti possono partecipare. I premi sono banditi da imprese che attraverso specifiche piattaforme (www.kaggle.com è la più nota e frequentata) mettono a disposizione i loro dati, presentano i problemi che intendono risolvere e pagano (spesso con migliaia di dollari) le persone ed i team che presentano risultati migliori (valutati con metriche oggettive).

Attraverso queste competizioni le imprese acquisiscono soluzioni ai loro problemi e gli analisti si scambiano informazioni e tecniche che vengono condivise con tutta la comunità on-line. Molte altre comunità on-line stanno sorgendo per consentire lo scambio di metodi e velocizzare, attraverso la condivisione di esperienze e conoscenze, la risoluzione di problemi applicativi.

Kaggle mette a disposizione gratuitamente anche potenza di calcolo on-line per gli utenti meno dotati di risorse tecniche proprie. Non è quindi necessario possedere calcolatori potenti per partecipare, quello che viene premiato è la capacità analitica o, se si preferisce, la competenza. Per le tecniche che richiedono più potenza di calcolo e per i modelli più complessi, che coinvolgono l’analisi di milioni di casi, Google e Amazon, ad esempio, noleggiano a consumo attraverso il cloud risorse di calcolo specializzate nella risoluzione di problemi di machine learning e intelligenza artificiale, rendendo possibile ridurre gli investimenti iniziali per le start-up del settore o per i data scientist che fanno consulenza in autonomia. Tutte le grandi imprese dell’informatica e della telefonia stanno investendo ci-

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fre rilevanti nella ricerca e nell’applicazione delle tecniche di intelligenza artificiale, e assumono giovani data scientist che trovano nei centri di ricerca o nei gruppi di sviluppo di queste grandi imprese o dei loro consulenti un ambito formativo ideale.

Riassumendo, un data scientist emerge da questo mix formativo: competizioni on-line, frequentazione delle comunità di pratica, apprendimento in imprese ad elevata tecnologia, condivisione di risorse di calcolo, formazione on-line gratuita e a pagamento, spesso in sinergia con corsi universitari. Il tutto in inglese, naturalmente.

Davvero in Italia pensiamo di sostenere questa corsa competitiva globale con la sola retorica della maggiore collaborazione fra impresa e ricerca e spendendo soldi pubblici in ulteriori centri? Oppure mettendo ulteriori vincoli a sistemi già precari di alternanza?

Oppure ritoccando per l’ennesima volta norme e forme contrattuali? In un paese già refrattario agli studi scientifici è ora di allargare la base dei partecipanti alla gara competitiva. Come? Anche cambiando le regole di accesso alla ricerca e alla didattica.

Su fast.ai Jeremy Howard spiega come: nessuno – dice – ti insegna a usare il violino tenendoti in aula a spiegarti la teoria del suono e della musica per anni. Ti mettono il violino in mano e ti fanno fare pratica, puoi mettere in pratica la teoria mentre la studi. Se ti mettessero il violino in mano dopo anni di studio, è chiaro che non lo sapresti suonare. Lo stesso vale anche per la matematica e la scienza e per ogni altro apprendimento: se non lo applichi subito, ti stanchi di studiare la teoria e la pratica non la conosci. Chiaro, no?

Giampaolo Montaletti Direttore Vicario Arifl

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PROBLEMI E PROPOSTE

SOMMINISTRAZIONE E POLITICHE ATTIVE VENT'ANNI DOPO IL PACCHETTO TREU Questo numero di Professionalità è dedicato al tema della somministrazione di lavoro.

Nella sezione Problemi e proposte sono riportate, in una sorta di confronto a distanza, le interviste a sei ex Ministri del lavoro. Li abbiamo interpellati sulla normativa che dalla legge Treu in avanti ha disciplinato la somministrazione, sul ruolo delle agenzie per il lavoro e dei fondi interprofessionali, ma anche sulla questione della formazione per i lavorati somministrati, così come sui fenomeni emergenti della forza lavoro immigrata, della disintermediazione e del lavoro su piattaforma, con una battuta finale sull’assegno di ricollocazione. Nelle altre sezioni della rivista sono raccolti articoli che sviscerano le medesime questioni da diversi punti di vista.

INTERVISTA A TIZIANO TREU Tiziano Treu è nato a Vicenza il 22 agosto del 1939. Si è laureato in Giurisprudenza ed è stato ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università di Pavia e l’Università Cattolica di Milano, di cui attualmente è professore emerito. Presidente della International Industrial Relations Association è stato Deputato nella XIII Legislatura e Senatore nella XIV, XV, XVI Legislatura. Nei governi Dini e Prodi I è stato Ministro del Lavoro e della previdenza sociale. Successivamente, dal 1998 al 1999, è stato Ministro dei Trasporti del Governo D’Alema. È stato anche Presidente della Commissione Lavoro, previdenza sociale del Senato ed è Presidente del Cnel dal 5 maggio del 2017.

Com’era il mercato del lavoro in Italia e quali erano le forze politiche in campo, quando fu approvata la Legge 196/1997?

L’input è nato da altre esperienze europee. In Italia era ancora presente il divieto di intermediazione generale ed era ancora radicata l’idea storica della pubblicità e dell’unicità del collocamento. Noi abbiamo rotto gli schemi su più fronti: da un lato, abbiamo decentrato e liberalizzato il collocamento, dall’altro abbiamo legittimato l’intermediazione tramite le Agenzie per il Lavoro. Il primo progetto di legge, nato durante il governo

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tecnico Dini, si è poi concretizzato nella Legge 196/1997 nel corso del primo governo Prodi. Si è trattato di un momento felice, poiché c’è stata la volontà di attuare riforme necessarie che hanno trovato consenso, nonostante il sindacato - soprattutto la Cgil - fosse inizialmente molto diffidente.

Nella formulazione della legge, si è ispirato, in particolare, a qualche modello già esistente in Europa?

In quel periodo abbiamo avuto modo di osservare e di studiare diverse esperienze europee e abbia-

mo cercato di recepirne gli aspetti che ci sembravano più convenienti e più moderni. In particolare, abbiamo ricevuto spunti interessanti su due punti: da un lato, la presenza di un controllo rigoroso sulle Agenzie per il Lavoro, anche limitandone il numero; dall’altro, la parità di trattamento dei lavoratori interinali rispetto ai dipendenti dell’utente utilizzatore, già presente, ad esempio, nel modello belga. Questi sono stati i due punti di forza della riforma e penso lo siano tuttora.

Con l’implementazione comple-

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ta della Direttiva europea sulla somministrazione di lavoro, in Italia ci siamo ritrovati ad avere una regolamentazione della somministrazione ab origine, con la legge che porta il suo nome, molto più moderna rispetto ad altre realtà europee.

Ritiene sia stata una scelta lungimirante?

Penso sia stata una scelta giusta, che ha consentito di superare molte resistenze e che è in linea con il principio fondamentale dell’Europa che è quello della parità di trattamento, che in Italia si faceva fatica ad applicare.

Cosa pensa delle norme che dalla Legge 196/1997 al Jobs Act hanno regolato la materia?

Come vede oggi il mercato del lavoro italiano in relazione alle esigenze di flessibilità?

Da un punto di vista normativo, in tema di somministrazione, c’è stato un progressivo allargamento delle maglie e devo dire che la Legge 276/2003, cd. Legge Biagi, ha fatto importanti passi avanti in tale direzione. Inoltre, i compiti delle Agenzie per il Lavoro si sono notevolmente ampliati. Ormai, con il Jobs Act, le Apl sono diventate operatori del mercato del lavoro a pieno titolo nella rete dei servizi, superando quello che è stato per lungo tempo un tabù, ossia la parificazione privato - pubblico.

Nonostante questa sia la strada affermatasi con il Jobs Act e con la creazione dell’Anpal, ancora adesso alcune Regioni fanno fatica a mettere sullo stesso piano i compiti degli uffici pubblici e i compiti delle Agenzie per il Lavoro. Questo è, a mio avviso, un punto centrale nell’attuale mercato del lavoro che, essendo molto frammentato, richiede una costante collaborazione tra pubblico e privato, ai fini della creazione di un modello integrato che ancora non c’è.

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Secondo lei, su quali aspetti il settore delle Agenzie per il Lavoro deve ancora migliorare?

Quali sono gli aspetti su cui si dovrebbe investire maggiormente?

Vi sono diversi aspetti da tenere in considerazione. Da un punto di vista normativo, ad esempio, l’assegno di ricollocazione rappresenta uno strumento innovativo ma di difficile attuazione, a cui né le Apl né gli uffici pubblici erano preparati fino in fondo. Diventa importante vincere la resistenza storica non soltanto dei lavoratori ma anche delle imprese, abituate a strumenti di politica passiva.

L’idea della ricollocazione fa fatica ad andare avanti in Italia, perché incontra evidenti limiti culturali ma anche limitazioni giuridiche. È, pertanto, necessario uno sforzo congiunto da parte delle imprese, degli uffici pubblici e delle stesse Apl, poiché in un mercato del lavoro caratterizzato sempre più da transizioni occupazionali, la ricollocazione diventerà la politica attiva per eccellenza.

Ogni lavoratore dovrebbe avere periodicamente un completo resetting del proprio bagaglio formativo. Ormai la formazione ha bisogno di salti di scala in termini di quantità e di qualità. Diviene, dunque, importante puntare anche su una formazione di tipo intensivo, non soltanto ordinaria.

Per poterlo fare, ovviamente, deve essere d’accordo anche l’azienda utilizzatrice. Per esempio, in tema di ricollocazione, ho fatto un’analisi delle buone pratiche europee, le quali evidenziano che, per anticipare i problemi di posizionamento e di adattamento della manodopera, in alcuni casi è necessario un periodo di sospensione della propria attività lavorativa a fini di un riposizionamento all’interno dell’azienda stessa. In tal modo, dunque, si anticipa la ricollocazione attraverso investimenti in formazione che consentano di tornare a lavorare, dopo un periodo di sospensione, nella medesima azienda. Anche questo è un problema che, con la dovuta gradualità, le Apl dovrebbero affrontare.

Che riflessione è possibile fare, invece, sul fondo Formatemp che, ad oggi, rappresenta una risorsa imprescindibile per il nostro settore?

Se si pensa che in Italia, in molti casi, si fa fatica ad usare bene i fondi interprofessionali e che gli investimenti sulla formazione continua sono molto scarsi rispetto alle medie europee, il fondo Formatemp è senz’altro una realtà positiva. Indubbiamente vi sono ampi margini per gestirlo in maniera ottimale e per attivare altre politiche attive, connesse alla formazione e destinate alla ricollocazione.

Qual è, a Suo avviso, il ruolo dell’immigrazione nel mercato del lavoro odierno? In relazione al mondo della somministrazione, che tipo di aiuto potrebbero dare le Agenzie per il Lavoro?

Sebbene la gestione del fenomeno dell’immigrazione nel mercato del lavoro italiano rientri tra i compiti generali delle politiche pubbliche, le Agenzie per il Lavoro potrebbero creare dei percorsi specifici per supplire a una carenza delle politiche pubbliche in tema di immigrazione, prevedendo anche programmi formativi di tipo intensivo, anche al fine di gestire il mismatch di competenze nel mercato del lavoro.

Come dovrebbe evolvere la formazione dei lavoratori somministrati nell’attuale contesto?

In relazione ad un altro tema estremamente dibattuto in que-

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sto periodo, che è quello della digitalizzazione e della tendenza alla disintermediazione che si sta affermando a più livelli, che scenario prevede?

Come e in che misura le macchine intelligenti potranno sostituire i lavoratori, è un tema ad oggi molto incerto. Non credo che nell’immediato vi sia una minaccia per il mondo delle Agenzie per il Lavoro, sebbene vi sia un problema più generale: le recenti forme di lavoro agile, su piattaforma, richiedono una nuova alfabetizzazione per gran parte dei lavoratori. In alcuni settori dovrebbero, dunque, esse-

re fatti investimenti per adeguare le competenze dei lavoratori ai bisogni dell’attuale mercato del lavoro.

Sul tema delle politiche attive e, in particolare, dell’assegno di ricollocazione, quale presente vede e quale futuro?

La ricollocazione dovrebbe essere, insieme alla formazione qualificata, un settore su cui investire molto. È importante, a tale scopo, la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti nella rete delle politiche attive del lavoro. È normale che si riscontrino difficoltà nella

fase iniziale di attuazione, ma è necessario uno sforzo congiunto per rendere la ricollocazione uno strumento efficace, come accade in altri Paesi europei.

Un’ultima provocazione: vent’ anni dopo cambierebbe qualcosa della legge che porta il Suo nome? È difficile dirlo. Penso si sia trattato, nonostante i difetti, di una scelta felice che è cresciuta oltre le aspettative, cosa che con le leggi italiane non succede spesso.

INTERVISTA A ROBERTO MARONI Roberto Maroni è nato a Varese il 15 marzo del 1955. Si è laureato in Giurisprudenza ed è stato responsabile dell’ufficio legale di una multinazionale statunitense. È stato Deputato nella XI, XII, XIII, XIV, XV, XVI Legislatura, Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro dell’Interno del Governo Berlusconi I dal 1994 al 1995, Ministro del Lavoro e delle politiche sociali del Governo Berlusconi II e III dal 2001 al 2006, infine Ministro dell’Interno del Governo Berlusconi IV dal 2008 al 2011. Dal febbraio 2013 è Presidente della Regione Lombardia.

Presidente Maroni, quando lei era Ministro del Lavoro e delle politiche sociali è stata promulgata la Legge 30/2003, quale era il mercato di riferimento di allora e quali erano le forze in campo?

All’avvio del nuovo Millennio l’Italia era il Paese con il più basso tasso di occupazione generale e femminile in particolare, il più alto livello di disoccupazione di lungo periodo e il più marcato divario territoriale nella partecipazione al mercato del lavoro. Allora ci trovavamo di fronte un mercato del lavoro chiuso, che proteggeva gli “insider” e non dava strumenti di

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accesso a quelli che stavano fuori o a quelli che venivano espulsi.

Perciò volevamo creare un mercato del lavoro più inclusivo che desse maggiori opportunità di inserirsi nel mercato del lavoro a quelli che avevano più difficoltà, ossia ai giovani, alle donne e ai lavoratori over 50. Questo è stato l’obiettivo prioritario della riforma: promuovere una partecipazione ampia e regolare al mercato del lavoro, anche da parte delle categorie che tradizionalmente incontravano – e incontrano tuttora – maggiori difficoltà di inserimento lavorativo.

Per affrontare queste sfide, con la Legge 30/2003 (c.d. “Legge Biagi”)

e il successivo Decreto Legislativo 276/2003 operammo un autentico processo di riforma. I contenuti della legge si fondavano sul pensiero di rinnovamento che nel 2001 Marco Biagi e Maurizio Sacconi avevano sistematizzato nel Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia, orientato alla promozione di una società attiva e di un lavoro di qualità.

Il lavoro nero, infatti, costituiva una vera piaga per il mercato del lavoro italiano. Prima della L. 30/2003 un datore di lavoro che avesse deciso di assumere poteva farlo sostanzialmente con un unico contratto, a tempo pieno e in-

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determinato. Occorreva pertanto disciplinare nuove forme di lavoro più flessibili e allo stesso tempo tutelanti per i lavoratori, per consentire agli imprenditori, specie alle micro e piccole aziende, un utilizzo più modulare delle risorse professionali sulla base dell’andamento del ciclo produttivo.

Per superare questi elementi di rigidità, che ingessavano il mercato del lavoro e alimentavano il lavoro nero, vennero regolamentate tipologie contrattuali differenti dal tradizionale rapporto a tempo pieno e indeterminato. Sebbene, purtroppo, ci fu una strumentalizzazione ideologica di alcune scelte, la finalità che perseguimmo fu quella di garantire maggiori opportunità di un’assunzione regolare e più tutele per i giovani e gli outsider.

L’azione della riforma fu davvero innovativa in quanto puntava a riplasmare la struttura del mercato del lavoro attraverso gli strumenti dell’innalzamento del livello di occupazione mediante la rimozione delle barriere in entrata e la trasformazione dell’occupazione in occupazione di qualità. Obiettivo comune a molti Paesi Europei che ha ispirato le grandi riforme del mercato del lavoro del Regno Unito, della Germania, della Spagna, la riforma italiana seguiva la stessa strada.

Nella formulazione della legge, si è ispirato, in particolare, a qualche modello già esistente in Europa?

Il ventennio 1996-2016 è nato con l’idea che l’Europa doveva essere più flessibile se voleva competere con il mondo, Stati Uniti e Giappone in particolare fondato su un nuovo modello sociale che riuscisse a contemperare le esigenze di flessibilità del mercato con quelle di sicurezza dei lavoratori. E per questo fu coniato il termine flexicurity, ovverosìa flessibilità rego-

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lata, parola che doveva apparire nei documenti conclusivi di in ogni Vertice dei Ministri del Lavoro. E su questo metro abbiamo tentato di costruire nuove regole del lavoro e anche un nuovo sistema di welfare. Ed in parte ci siamo anche riusciti.

In questa prospettiva, gli orientamenti dell’Unione Europea esortavano gli Stati membri, allora come oggi, ad assicurare il diritto di tutti i cittadini ad un servizio gratuito di intermediazione attraverso un sistema integrato e organico di servizi per l’impiego di qualità erogati da operatori pubblici e privati, che operassero nel mercato in condizione di pari dignità, superando il monopolio pubblico sul collocamento, che la stessa Corte di Giustizia europea aveva dichiarato incompatibile con la normativa comunitaria.

Allora il mercato dei servizi per l’impiego in Italia presentava diversi aspetti di arretratezza rispetto alle realtà europee più avanzate. In questo senso con la Legge 30/2003 abbiamo voluto elevare la qualità degli standard di attività di incontro tra domanda e offerta realizzate dalle strutture specializzate, avvicinando l’Italia ai livelli di performance dei Paesi in cui il sistema di intermediazione era più efficiente.

La rottura del monopolio pubblico ha rappresentato il passaggio fondamentale per un nuovo assetto regolatorio del mercato del lavoro. Un passaggio molto contrastato ma che ha consentito di aprire il mercato del lavoro a nuovi soggetti abilitati ad operarvi attraverso l’autorizzazione ministeriale o l’accreditamento regionale e regolamentò il lavoro interinale. Introducendo la somministrazione poneva le basi per un mercato del lavoro più competitivo che avrebbe dovuto migliorare l’efficienza del mercato stesso accrescendo

le possibilità di trovare un’occupazione.

Come vede oggi il mercato del lavoro italiano in relazione alle esigenze di flessibilità?

In un mercato del lavoro caratterizzato da modalità di organizzazione del lavoro sempre più flessibili, la sfida più grande è lo sviluppo di un sistema evoluto di politiche attive che sia in grado di sostenere i lavoratori in tutte le transizioni che caratterizzano i percorsi di carriera: dal sistema educativo al mondo del lavoro, da un’occupazione ad un’altra, dalla disoccupazione all’occupazione e nel passaggio generazionale che si realizza nella fase conclusiva della vita attiva. Occorre assicurare misure di accompagnamento all’inserimento e al reinserimento al lavoro universali e sempre esigibili, ovvero accessibili a tutti in qualsiasi momento, prescindendo dal possesso di determinati requisiti restrittivi.

In questo modo si supportano i cittadini in ogni fase della vita: li si sostiene nel primo ingresso nel mercato del lavoro, li si supporta nella qualificazione e nell’aggiornamento delle competenze professionali, li si accompagna nella ricerca del lavoro, fornendo di volta in volta risposte mirate ai bisogni che gli individui manifestano nei diversi momenti.

Avendo questo modello in mente, in Lombardia abbiamo strutturato un sistema di politiche attive del lavoro incentrato sullo strumento della Dote Unica Lavoro, attraverso la quale chiunque sia alla ricerca di un’occupazione può fruire di un percorso individualizzato di orientamento e accompagnamento al reinserimento lavorativo, che viene definito in accordo con il centro per l’impiego o l’operatore accreditato prescelto in fase di adesione alla politica, sulla base

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delle specifiche esigenze della persona. L’intensità del supporto nella ricerca del lavoro è proporzionale alla difficoltà di inserimento professionale del destinatario, che viene calcolata mediante un meccanismo di profilazione che assegna al disoccupato un indice di distanza dal mercato del lavoro.

Inoltre i servizi erogati vengono remunerati agli operatori prevalentemente a risultato occupazionale raggiunto, secondo unità di costo standard cui corrispondono livelli di prestazione uniformi e validi per tutto il sistema.

Dall’avvio della politica nel 2013 abbiamo investito 249 milioni, conseguendo risultati molto positivi in termini di occupazione: 154mila persone sono state prese in carico con la Dul per un percorso di inserimento o reinserimento lavorativo e di queste 129mila sono state avviate al lavoro. Il successo dell’iniziativa ci conferma la bontà del nostro modello di politica attiva, che fa della Lombardia una best practice apprezzata e riconosciuta sia a livello nazionale che europeo.

Sotto questo profilo è rimasto inattuato il principio della Legge 30/2003 del federalismo regionale: il riconoscimento della competenza concorrente in materia di politiche attive del lavoro alle Regioni consentirebbe di progettare strumenti di policy calibrati sulle specificità dei mercati del lavoro locali migliorando in questo modo l’efficacia degli interventi.

Ritengo che all’interno di una cornice di riferimento generale debbano poter essere adottate misure differenti riconoscendo e valorizzando le peculiarità delle dimensioni regionali. Per questo nella negoziazione con il Governo per richiedere maggiori spazi di autonomia, avanzeremo anche l’istanza di mantenere il nostro modello di servizi per il lavoro basato sulla parità degli operatori, come

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nello spirito originario della Legge Biagi.

In relazione ad un altro tema estremamente dibattuto in questo periodo, che è quello della digitalizzazione e della tendenza alla disintermediazione che si sta affermando a più livelli, che scenario prevede?

Certamente lo sviluppo delle tecnologie digitali ha aperto opportunità persino inimmaginabili fino a cinquant’anni fa, rivoluzionando le modalità di comunicazione e le relazioni nella società. Tuttavia, non sarebbe corretto sostenere che la propensione alla disintermediazione comporti il declino dei servizi per l’impiego. Anzi, come ho affermato precedentemente, la vera sfida per il lavoro oggi consiste proprio nello sviluppo di un modello avanzato di politiche attive che preveda servizi targettizzati sulle esigenze del singolo, erogabili da parte di una rete integrata di operatori pubblici e privati autorizzati o accreditati.

Da questo punto di vista non bisogna dimenticare che gli istituti dell’autorizzazione e dell’accreditamento nascono proprio per tutelare il lavoratore, evitando abusi nell’intermediazione tra domanda e offerta e garantendo un livello minimo di qualità dei servizi nel sistema. È evidente che il nuovo modo di concepire il lavoro, le modalità con cui vengono scambiate prestazioni lavorative, ad esempio per il tramite delle piattaforme, pongano delle nuove sfide al nostro sistema di welfare che dovrebbe far evolvere quei principi della “sicurezza flessibile” verso forme di tutela delle persone, andando oltre i paradigmi contrattuali del Novecento.

Inoltre, mi preme richiamare un altro elemento importante riguardo al fatto che una misura di politica attiva, che sia concepita in modo

organico, non si riduce al solo servizio di “matching” ma comprende un set di azioni sinergiche che compongono un percorso integrale di empowerment della persona.

In Lombardia con la Dote Unica Lavoro chi cerca un lavoro e si rivolge agli operatori accreditati al sistema regionale riceve una gamma di servizi propedeutici volti a far acquisire una più affinata consapevolezza di sé e delle proprie attitudini e aspirazioni individuali e al conseguente miglioramento delle chance occupazionali (quali il bilancio di competenze, l’accompagnamento continuo, il coaching, l’analisi delle propensioni all’autoimprenditorialità e la creazione di una rete di sostegno per i soggetti più fragili), oltre che certamente al risultato occupazionale.

In relazione al tema delle politiche attive, su cui ha potuto innovare molto attraverso lo strumento di Dote Unica Lavoro attuato in Regione Lombardia, quale presente vede ma, soprattutto, quale futuro?

La Dote Unica Lavoro ha rappresentato un modello di riferimento anche per le politiche nazionali che hanno mutuato dalla Dote lombarda molti aspetti relativamente all’Assegno di ricollocazione che rappresenta l’unica misura di politica attiva attualmente realizzata in via sperimentale – quali la personalizzazione dei servizi, il profiling, il finanziamento a costi standard, l’orientamento al risultato occupazionale.

Tuttavia, la Regia nazionale, la difficile situazione di incertezza in cui sono stati a lungo costretti i Centri per l’impiego a seguito dei provvedimenti Del Rio, non hanno consentito un rapido decollo del sistema nazionale che avrebbe dovuto garantire servizi di politiche attive del lavoro su tutto il territorio. Manca ancora la definizione

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dei Livelli Essenziali delle Prestazioni che dovrebbero rappresentare il riferimento minimo per gli operatori dei servizi per l’impiego nell’erogazione delle politiche attive del lavoro, così come manca il completamento di quel sistema informativo nazionale integrato con i nodi centrali che avrebbe dovuto consentire lo scambio di informazioni tra tutti gli operatori della rete dei servizi per il lavoro.

A Suo avviso, la formazione dei lavoratori come dovrebbe evolvere nell’attuale mercato del lavoro?

Secondo le analisi dell’Ocse l’Italia è il Paese con il più alto squilibrio di competenze tra gli Stati maggiormente sviluppati. Il sotto-inquadramento comporta elevati costi sociali nella misura in cui chi ha qualifiche che non corrispondono a quelle richieste è più propenso a restare disoccupato e la mancata partecipazione al mercato del lavoro determina una doppia perdita, che è umana ed economica: è perduto il capitale umano inagito e sono perdute le risorse pubbliche spese per la sua formazione.

In sostanza, nonostante il forte investimento dello Stato sull’istruzione, le imprese hanno difficoltà a trovare i profili professionali di cui necessitano. E ciò si riflette

nella perdita di competitività del sistema e nel rallentamento della crescita.

Il concetto di occupabilità porta con sé quello della formazione e del rafforzamento delle competenze: è la tutela “reale” per la persona affinché possa essere sempre in grado di trovare una occupazione. L’occupabilità non è un concetto da realizzare astrattamente ma attraverso il rafforzamento di un sempre più stretto rapporto tra formazione e lavoro, tra sistema educativo e tessuto produttivo.

Per superare questo mismatch ritengo che sia necessario aumentare gli investimenti nella formazione continua per la qualificazione e l’aggiornamento professionale dei lavoratori adulti lungo tutto l’arco della vita attiva. Inoltre occorre rivedere il modello educativo tradizionale che trattiene i giovani a scuola troppo a lungo, mentre sarebbe auspicabile una riduzione della durata dei percorsi scolastici e la diffusione del contratto di apprendistato formativo che consente ai giovani di conseguire un titolo di studio di secondo ciclo o universitario attraverso un vero e proprio contratto di assunzione.

In questo modo i ragazzi imparano lavorando e si abbatte la durata della disoccupazione, poiché

quando i giovani concludono gli studi hanno già un impiego.

Un’ultima provocazione: cambierebbe qualcosa della sua legge?

Alla luce della situazione attuale sono convinto della bontà dell’impianto della Legge, che è riuscita a regolamentare in modo organico tipologie contrattuali flessibili, realizzando in questo modo il primo tentativo concreto di armonizzare l’esigenza di flessibilità organizzativa del sistema produttivo garantendo allo stesso tempo condizioni tutelanti per i lavoratori. Tuttavia, ora come allora resto convinto che il compito delle istituzioni sia quello di creare le migliori condizioni per l’aumento della produttività e della competitività delle nostre imprese. L’occupazione non può prescindere dallo sviluppo del sistema produttivo e dalle opportunità che possono essere colte per creare posti di lavoro di qualità.

Solo gli investimenti nell’innovazione, nella ricerca e nella crescita assieme ad un quadro regolatorio certo e al passo con i tempi potranno consentire al nostro Paese di agganciare la ripresa che, invece, si caratterizza ancora per non aver prodotto effetti significativi sull’occupazione.

INTERVISTA A CESARE DAMIANO In Italia con la Legge Treu ci siamo ritrovati ad avere una regolamentazione della somministrazione molto più moderna rispetto ad altre realtà Europee.

Ritiene sia stata una scelta lungimirante?

Sì è stata una scelta saggia. Vorrei ricordare che quella Legge (196/1997) fu un positivo esempio

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di riformismo dei governi dell’Ulivo e nacque a valle di un’approfondita fase di concertazione con le organizzazioni sindacali e datoriali.

Cosa pensa delle norme che dalla legge Treu al Jobs Act hanno regolato la materia? Come vede il mercato del lavoro italiano odierno rispetto alla flessibilità?

L’equilibrio realizzato con la Legge Treu non fu mantenuto successivamente. Con il nuovo governo Berlusconi (2001-2006) cominciò la stagione degli accordi separati che puntavano ad isolare pregiudizialmente la Cgil e successivamente con l’articolo 8 della Legge 148/2011 si autorizzava a stipulare accordi aziendali in deroga a leggi e contratti nazionali.

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Cesare Damiano è nato a Cuneo il 15 giugno del 1948. Conseguito il diploma di Tecnico commerciale, ha lavorato per un’azienda torinese. Sindacalista, è stato Segretario generale della Cgil di Torino e negli anni ‘90 responsabile delle politiche contrattuali della Fiom nazionale. Successivamente è stato segretario generale della Cgil del Veneto e Presidente del Cda del fondo pensione Cometa. È stato Deputato nella XV, XVI, XVII Legislatura e Ministro del Lavoro e della previdenza sociale del Governo Prodi II dal 2006 al 2008. Dal 7 maggio 2013 è Presidente della Commissione Lavoro della Camera.

L’ultima stagione positiva di concertazione con le forze sociali si ebbe con il secondo governo Prodi (2006-2008), che portò alla firma del Protocollo del welfare (luglio 2007), con 40 miliardi in dieci anni di risorse per lavoratori e pensionati, poi tradotto nella Legge 247/2007, collegata alla Finanziaria del 2008.

Il Jobs Act ha inteso accrescere il grado di flessibilità del lavoro, con l’obiettivo di togliere alibi alle imprese circa la rigidità delle assunzioni a tempo indeterminato e favorire la crescita dell’occupazione di qualità. In realtà si è visto che le assunzioni sono cresciute in relazione ai robusti sgravi contributivi; quando gli stessi sono diminuiti o eliminati, le assunzioni sono calate vistosamente. Non ho condiviso l’eliminazione della reintegra in caso di licenziamenti illegittimi e la modifica della normativa sui licenziamenti collettivi.

Su quali aspetti il settore delle agenzie per il lavoro deve ancora migliorare? Quali sono, secondo Lei, gli aspetti su cui si dovrebbe investire maggiormente?

Siamo in una fase di ripresa produttiva (più 1,5% a fine anno), ma la crescita dell’occupazione è ancora inadeguata. Inviterei le Agenzie del lavoro ad implementare le politiche di ricollocamento dei

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lavoratori disoccupati e di inserimento dei giovani.

Che riflessione è possibile fare, invece, sul fondo Formatemp che, ad oggi, rappresenta una risorsa imprescindibile per il nostro settore?

In una fase di profonda trasformazione dell’economia, grazie alla diffusione della digitalizzazione e della robotica, la risorsa formazione diventa strategica per non rimanere emarginati dai processi di cambiamento. Quindi il ruolo di Formatemp si accresce decisamente.

Come dovrebbe evolvere la formazione dei lavoratori somministrati nell’attuale mercato del lavoro?

La formazione deve preparare gli aspiranti lavoratori sia nei segmenti tradizionali dell’economia sia nelle attività innovative legate alla digitalizzazione e alla robotica.

Qual è, secondo lei, il ruolo dell’immigrazione nel mercato del lavoro odierno? In relazione al mondo della somministrazione, che tipo di aiuto potrebbero dare le agenzie per il lavoro?

Partiamo dal principio che è in atto un processo migratorio verso l’Italia e l’Europa che si può e si deve governare, ma non si può ar-

restare. Non si possono accogliere tutti coloro che arrivano in Italia.

Coloro che hanno diritto ad essere accolti, devono essere integrati e il lavoro è uno degli strumenti più efficaci di inserimento. D’altro canto, i migranti coprono segmenti del mercato del lavoro spesso abbandonati dagli italiani. Le agenzie del lavoro possono dare un grande contributo sia per l’inserimento lavorativo dei migranti sia per i necessari processi formativi.

In relazione ad un altro tema estremamente dibattuto in questo periodo, che è quello della digitalizzazione e della tendenza alla disintermediazione che si sta affermando a più livelli, che scenario prevede?

Non si può rifiutare a priori il cambiamento né accettarlo acriticamente, ma occorre governarlo da riformisti. Il ruolo dei corpi intermedi per me è importante perché essi aiutano i più deboli ad organizzarsi per confrontarsi con le Istituzioni e le controparti più forti. Non credo alla teoria dell’uomo solo al comando né all’affidare solo alle piattaforme digitali le prospettive della partecipazione democratica. Quindi non chiudersi alle innovazioni né rinunziare all’azione sociale e politica collettiva.

In relazione al tema delle politiche attive e, in particolare

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dell’assegno di ricollocazione, quale presente vede ma, soprattutto, quale futuro?

Le politiche attive sono tuttora il punto debole della strategia per

l’occupazione. L’assegno di ricollocazione è uno strumento valido, che va accompagnato con più efficaci piani di aggiornamento dei giovani disoccupati e dei lavoratori. Non dimentichiamo natural-

mente che una crescita significativa dell’occupazione si potrà avere solo con un robusto incremento degli investimenti pubblici e privati.

INTERVISTA A MAURIZIO SACCONI Maurizio Sacconi è nato a Conegliano Veneto (Treviso) il 13 luglio del 1950. Laureato in Giurisprudenza. E’ stato funzionario dell’Ilo. È stato docente di Economia del lavoro dell’Università Luiss di Roma e Deputato nella VIII, IX, X, XI Legislatura, poi Senatore nella XV, XVI, XVII Legislatura. È stato Sottosegretario al Ministero del Tesoro dal 1987 al 1994 e Sottosegretario al Ministero Lavoro e alle politiche sociali dal 2001 al 2006. Infine, nel Governo Berlusconi IV dal 2008 al 2011 è stato Ministro del lavoro e delle politiche sociali (fino al 12 dicembre 2009 Lavoro, salute e politiche sociali). Dal 7 maggio 2013 è Presidente della Commissione Lavoro, previdenza sociale del Senato.

L'Italia con la legge Treu si è ritrovata con una regolamentazione della somministrazione molto più moderna rispetto ad altre realtà europee. Ritiene sia stata una scelta lungimirante?

Come la Legge Biagi ha completato quel disegno?

Ha rappresentato il primo pertugio di flessibilità in un mercato del lavoro particolarmente rigido. Una sorta di rendita di posizione che ne ha favorito il primo sviluppo. A Marco Biagi si deve prima la semplificazione dei contratti a termine e poi una più diffusa flessibilità in entrata. La stessa somministrazione è stata collocata in un quadro di polifunzionalità delle agenzie per il lavoro prima condannate ad avere un oggetto esclusivo.

Cosa pensa delle norme che dalla legge Treu al Jobs Act hanno regolato la materia? Come vede oggi il mercato del lavoro italiano in relazione alle esigenze di flessibilità?

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Le norme hanno via via reso più libera la scelta della somministrazione in relazione alle necessità aziendali. Ed hanno introdotto lo staff leasing, ovvero la somministrazione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dalle agenzie con il conseguente interesse a renderli sempre occupabili attraverso la formazione continua.

Per avere una visione anche critica, a Suo avviso, su quali aspetti il settore delle agenzie per il lavoro deve ancora migliorare? Quali sono, secondo Lei, gli aspetti su cui si dovrebbe investire maggiormente?

Le agenzie del lavoro sono oggi polifunzionali ed operano confrontandosi con centri pubblici per l’impiego poco diffusi e spesso inefficienti. Esse hanno interesse ad una politica pubblica rivolta a sostenere la domanda di lavoro attraverso l’assegno di ricollocamento in modo da generare una sana concorrenza tra operatori in

funzione del l’inclusione di ciascuna persona nel mercato del lavoro.

Ciò può indurle ad investire di più sul collocamento “mirato”, ovvero dedicato a formare le persone per la loro occupabilità.

Che riflessione è possibile fare, invece, sul fondo Formatemp?

E sui fondi interprofessionali in genere?

Il fondo Formatemp ha una caratteristica particolare che lo mette al riparo da ogni tentazione di autoreferenzialità. Gli altri fondi devono analogamente essere puri “avvocati” della domanda e non cedere alla tentazione di soddisfare esigenze di enti formatori collegati alle parti sociali. L’offerta che scelgono deve essere rivolta solo a soddisfare le esigenze delle imprese e dei lavoratori.

A Suo avviso, la formazione dei lavoratori somministrati come dovrebbe evolvere nell’attuale mercato del lavoro?

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La formazione dei somministrati deve consentire il loro tempestivo passaggio da lavoro a lavoro corrispondendo alle esigenze delle imprese. Si tratta di aggiornare continuamente metodi e contenuti pedagogici in funzione di competenze trasversali. Il che significa un metodo duale e l’acquisizione di soft skills oltre che conoscenze tecnologiche coerenti con l’evoluzione dei lavori.

Qual è, a Suo avviso, il ruolo dell’immigrazione nel mercato del lavoro odierno? In relazione al mondo della somministrazione, che tipo di aiuto potrebbero dare le agenzie per il lavoro?

Gli immigrati hanno bisogno di particolare attenzione sotto il profilo della acquisizione di competenze connesse alla propria salute e sicurezza nonché di lingua, usi e costumi del Paese di accoglienza in modo da favorirne la piena integrazione.

In relazione ad un altro tema estremamente dibattuto in questo periodo, che è quello della digitalizzazione e della tendenza alla disintermediazione che si

sta affermando a più livelli, che scenario prevede?

Il tradizionale diritto del lavoro risulta largamente superato dai nuovi processi di disintermediazione per cui occorre definire una base di tutele inderogabili sostenute dalla legge cui aggiungere uno sviluppo della contrattazione personale e collettiva, particolarmente dedicata ai diritti promozionali come quello all’apprendimento perpetuo.

In relazione al tema delle politiche attive e, in particolare dell’assegno di ricollocazione, quale presente vede ma, soprattutto, quale futuro?

L’assegno di ricollocazione, per esprimere la sua efficacia, deve essere sistemico e non limitato a pochi beneficiari. Esso si deve peraltro integrare con una vera rete nazionale dei servizi per il lavoro e con motori locali, quali i fondi interprofessionali, atti a sollecitare scuole, università, imprese a dialogare tra loro costruendo ambienti idonei alla occupabilità di ciascuna persona, di tutte le persone. A partire dalle funzioni di orientamento.

Vede qualche possibile nesso tra la “tradizionale” somministrazione e il moderno lavoro su piattaforma? Le piattaforme non rispettano le norme sulla intermediazione di lavoro o sono le regole che dovrebbero essere riscritte sul punto?

Le piattaforme dovrebbero favorire l’incontro flessibile tra lavoratori indipendenti, perché liberi di accettare la chiamata, e loro clienti.

Ciò non deve significare assenza di tutele perché, secondo gli usi, i lavoratori hanno comunque diritto ad un equo compenso e ad essi si devono applicare fondamentali regole di salute e sicurezza. Ma possono essere soprattutto gli accordi economici collettivi lo strumento con cui una comunità di lavoratori indipendenti, riuniti in associazioni o cooperative, definiscono con le piattaforme l’evoluzione dei compensi per prestazione (e non per orario), forme assicurative, convenzioni per prestazioni sociali complementari e altro ancora.

INTERVISTA AD ELSA FORNERO In Italia con la legge Treu ci siamo ritrovati ad avere una regolamentazione della somministrazione molto più moderna rispetto ad altre realtà Europee.

Ritiene sia stata una scelta lungimirante?

Assolutamente sì, credo che tutto il pacchetto Treu fosse abbastanza lungimirante e che quindi desse una veste di modernità al nostro mercato del lavoro. L’ambito in cui il nostro Paese è ancora in ritardo

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è l’applicazione corretta delle norme: è proprio dai tempi di Treu che in Italia si cerca di introdurre regole di maggiore flessibilità, senza sacrificare necessariamente la protezione, ma poi si vede un uso in molti casi assolutamente improprio, scorretto e qualche volta decisamente illegale delle stesse norme, quindi è come se ci fosse una asimmetria tra le norme che sono in grado di recepire tutti gli elementi positivi della modernità del mercato del lavoro e almeno

una parte del nostro mondo economico che non è in grado o non ce la fa o non vuole adattarsi a questo cambiamento.

Cosa pensa delle norme che dalla legge Treu al Jobs Act hanno regolato la materia? Come vede oggi il mercato del lavoro italiano in relazione alle esigenze di flessibilità?

Direi che le varie leggi che si sono venute dopo il pacchetto Treu

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Elsa Fornero è nata a San Carlo Canavese (Torino) il 7 maggio del 1948. Si è laureata in Economia e commercio ed è stata membro di una commissione di esperti valutatori del sistema pensionistico della World Bank, nonché membro del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale del Ministero del Welfare. È stata Vice Presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo e Vice-presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo. Nel Governo Monti (dal 2011 al 2013) è stata Ministro del Lavoro e delle politiche sociali con delega alle Pari opportunità.

Attualmente è docente di Economia politica dell’Università di Torino e Vicepresidente di Share Eric.

hanno seguito un percorso abbastanza coerente, faticoso certo, di difficile applicazione, ma tutto sommato positivo. Il problema è stato quel contrasto di cui dicevo prima, perché ogni volta l’introduzione di regole di flessibilità faceva poi emergere una area di precarietà e quindi, sebbene da un lato si riconoscesse l’importanza della flessibilità in entrata ai fini dell’inclusione nel mercato del lavoro questo è un aspetto socialmente delicato lo comprendo.

Si voleva sotto un certo profilo favorire la flessibilità in uscita, in quanto strumento che aiuta l’inserimento nel mercato del lavoro anche di chi un’occupazione non ce l’aveva e l’aveva persa, si è sempre detto che un mercato del lavoro più flessibile, meno rigido, è un mercato del lavoro che non blocca le uscite ma favorisce le entrate, rompendo così quei compartimenti che tendono a far sì che chi è dentro è dentro e chi è fuori è condannato a restar fuori.

Quindi tutto il percorso fino al Jobs act di fatto è stato direi in un’unica direzione, naturalmente non tutti sono d’accordo sul fatto che questa flessibilità sia né necessaria e neppure opportuna – penso ad una parte del mondo sindacale - ma ciò può anche dipendere dal fatto, come dicevo priva, che alcune imprese, o particolari segmenti del nostro mondo produttivo non sono in grado di recepire la

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flessibilità, se non come elemento di riduzione dei costi e non come elemento di incremento della produttività.

Su quali aspetti il settore delle agenzie private per il lavoro deve ancora migliorare? Quali sono, secondo Lei, gli aspetti su cui si dovrebbe investire maggiormente?

Tutti possiamo sempre migliorare, sicuramente anche le agenzie private per il lavoro. Senz’altro devono farlo le agenzie pubbliche.

Io ricevo molte lettere di persone che non hanno un lavoro, che l’avevano e magari l’hanno perso, e che mi chiedono cosa fare e io a tutti dico che la prima cosa da fare è andare presso l’ufficio del lavoro pubblico e informarsi sulle opportunità che ci sono. La risposta è sempre la stessa: mi dicono che ci sono già andati, ma là hanno allargato le braccia. Questo atteggiamento non deve più continuare.

Sinceramente, non so quale sia la risposta più tipica che danno le agenzie private per il lavoro. Oggi ci sono anche molti strumenti che possono aiutare le agenzie per fare un targeting più fine degli interventi calibrandoli proprio sulla persona, sulle sue caratteristiche, non come un soggetto indistinto che ha bisogno di aiuto, ma proprio quella particolare persona, con quel curriculum, con quel per-

corso lavorativo o di precarietà alle spalle.

Immagino che le agenzie private siano più rapide in questo, anche perché o si sta sul mercato o si esce, quindi sono abituate più di quelle pubbliche a ragionare in termini di efficienza.

In ogni caso, quello del mercato del lavoro è un tipico ambito in cui il privato da solo non basta, dunque non si può immaginare che tutto il funzionamento del mercato sia affidato ai privati e il pubblico faccia solo il regolatore. Deve anche esserci un’agenzia pubblica che affianca nelle iniziative specifiche quella privata e le due devono avere una giusta collaborazione e una sana competizione in modo che questo spinga entrambe a migliorare.

Per quando riguarda le agenzie private, in particolare devo dire che anche lì, ogni tanto sento di persone che sono state molto deluse, non per l’inerzia degli operatori (l’atteggiamento dell’impiegato che allarga le braccia), ma perché hanno percepito che il servizio si sia orientato più agli interessi dell’agenzia che non agli interessi della persona. Anche per questo il monitoraggio sull’attività delle agenzie private e di quelle pubbliche è fondamentale per vedere se i servizi sono offerti effettivamente secondo criteri che rispondono ad equità sociale e non solo.

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Qual è, a Suo avviso, il ruolo dell’immigrazione nel mercato del lavoro odierno? In relazione al mondo della somministrazione, che tipo di aiuto potrebbero dare le agenzie per il lavoro?

Io penso che sia sotto gli occhi di tutti l’importante ruolo che i lavoratori immigrati hanno svolto nel nostro Paese in settori nei quali comunque era difficile trovare un’offerta di servizi in grado di far fronte alla domanda, parlo soprattutto nell’ambito dei servizi alla persona. Si tratta di un segmento del mercato del lavoro assai poco regolare, mantenuto così anche perché alla politica ha fatto comodo non regolamentarlo in modo più preciso. Mi riferisco al lavoro delle badanti, del servizio domestico…

Che sia stato utile – e vorrei dire essenziale – perché molte famiglie italiane non avrebbero effettivamente saputo come gestire situazioni difficili senza l’aiuto di queste persone immigrate, va riconosciuto. In generale, in questo ambito le persone che coprono questo tipo di domanda di servizi sono più che qualificate rispetto al lavoro che fanno. È un aspetto che ci deve far riflettere, perché si tratta di persone, generalmente provenienti dall’Est europeo, che spesso hanno qualifiche elevate e che cionondimeno hanno accettato il lavoro di badanti di buon grado, sono state capaci anche di amministrare questo loro lavoro, il loro tempo, magari aiutando le proprie famiglie nei Paesi d’origine, poi magari facendole venire anche nei nostri Paesi, quindi questo ruolo è stato importantissimo.

Nel segmento intermedio – pensiamo, ad esempio, alle piccole imprese manifatturiere – l’importanza di manodopera proveniente da Paesi dell’Est ed extraeuropei è stata molto importante; lì c’è

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stata anche un’integrazione, ma di nuovo si tratta di una immigrazione che ha consentito di coprire un gap tra domanda e offerta nel mercato. L’eccesso di aspettative che probabilmente ha caratterizzato gli anni pre-crisi, ha indotto molti giovani a snobbare i lavori di qualifica operaia, la crisi ovviamente ha ridimensionato tutto e ha indotto molti ragazzi anche a superare questo pregiudizio. Poi, c’è il segmento alto, è qui che la somministrazione gioca probabilmente il ruolo principale, ovvero il segmento dei lavoratori qualificati che vengono da Paesi stranieri, extraeuropei o anche europei, dove le agenzie di somministrazione essendo in grado di fare un serio monitoraggio delle posizioni, sono in grado di lavorare meglio. Io credo comunque che le agenzie non debbano fare solo il c.d. cherry picking, bensì posizionarsi anche sugli altri segmenti “inferiori”.

In relazione ad un altro tema estremamente dibattuto in questo periodo, che è quello della digitalizzazione e della tendenza alla disintermediazione che si sta affermando a più livelli, che scenario prevede?

Io credo che nel medio termine noi vediamo principalmente gli effetti di riduzione del lavoro e l’aumento di posti di lavoro meno retribuiti rispetto a quelli che si sono persi.

Lo si vede benissimo in America, dove oggi molta produzione avviene praticamente senza manodopera. Là ci sono delle fabbriche dove non trovi nessuno, perché tutto è controllato da personale che sta in una sorta di laboratorio indossando il camice bianco, anche se per esempio si tratta di una lavorazione che un tempo era molto manuale, oggi è interamente affidata a processi produttivi automatizzati.

Che cosa ha voluto dire tutto ciò per l’America? Perdita di posti di lavoro nell’industria manifatturiera, ma poi anche aumento della produttività, quindi dei redditi per alcuni, che ha significato una crescita notevole della domanda di servizi, per es. alla persona, e dunque creazione di nuovi posti.

Si tratta però di lavori più poveri rispetto a quelli che si sono persi.

Anche noi oggi abbiamo una quantità di negozi che fanno manicure, pedicure, parrucchiere, massaggi oppure servizi di ristoro, tutto ciò fa occupazione, ma è un’occupazione più povera. Questo però è nel medio periodo.

Nel periodo più lungo, io credo che se investiamo sulla formazione – perché qui la formazione è cruciale – e puntiamo sull’espansione di certi servizi più sofisticati (non quelli dei quali parlavo prima), allora avremo un’espansione del mercato del lavoro. Naturalmente, non è facile, non ci sono ricette sicure e non è chiaro quanto è lungo sia il percorso di temporanea riduzione dei posti di lavoro che in genere la digitalizzazione comunque procurerà.

Bisogna tenere sotto osservazione un aspetto che in America sembra essere scappato di mano, che è la distribuzione dei redditi e delle ricchezze che nonostante la crisi è andata sempre più divaricandosi, per cui sì la gente magari ha occasioni di lavoro ma sono veramente povere, mentre quelli che stanno al top, ma parlo di una percentuale inferiore all’1% della popolazione, si arricchisce sempre di più.

Tale situazione anche un portato delle nostre trasformazioni tecnologiche e del fatto che molta di questa industria delle nuove tecnologie digitali non paga le tasse, questo va anche ricordato, perché è così, allora questa concentrazione di ricchezza è certamente un aspetto negativo ed è certamente

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un altro riflesso di un mercato del lavoro che soffre proprio perché siamo nella transizione dovuta agli effetti della digitalizzazione.

In relazione al tema delle politiche attive e, in particolare dell’assegno di ricollocazione, quale presente vede ma, soprattutto, quale futuro?

Io credo che questo sia un tema essenziale. Quando manca la professionalità nei servizi per il lavoro, la tendenza è quella di accontentare le persone con un trasferimento monetario, senza poi aiutarle davvero a reinserirsi nel mondo del lavoro. Questo è un sintomo di cattivo funzionamento.

Io penso che invece le politiche attive siano essenziali, ma devono sul serio attivare, sia chi offre i servizi sia chi ne beneficia. Biso-

gna quindi prendere molto sul serio tutto il tema della formazione, l’analisi attenta del mercato, un’analisi non statica che non rifletta soltanto l’oggi ma tenga anche conto delle proiezioni future a medio e lungo termine in modo che ci sia una maggiore fine tuning delle politiche. E così non siano semplicemente politiche che enunciano principi, ma poi se ne vede poco l’applicazione a livello pratico.

L’assegno di ricollocazione è una bella innovazione, vorremmo vederla funzionare meglio che non per esempio la Garanzia giovani, ma perché funzioni c’è bisogno di professionalità, io direi che l’ostacolo oggi principale alle politiche attive ben fatte ed efficaci è proprio la mancanza di professionalità. Forse, purtroppo, più nel pubblico che nel privato, ma in generale possiamo dire che in tutti i

due segmenti si può migliorare la professionalità. Io ricordo sempre che noi pensiamo al mercato finanziario, come un mercato dove si esplicano professionalità molto difficili da acquisire e pertanto molto ben pagate, io ritengo che il mercato del lavoro sia anche più complesso dei mercati finanziari, mentre invece noi trascuriamo la creazione di professionalità relative a una conoscenza minuziosa di questo mercato e quindi poi non siamo in grado di migliorarne il funzionamento, perciò se devo dire la cosa più importante non è adesso vedere esattamente la distribuzione delle competenze tra lo Stato e le Regioni… ma è invece occorre dire che a tutti livelli occorre alzare il livello della professionalità.

INTERVISTA A ENRICO GIOVANNINI Enrico Giovannini è nato a Roma il 6 giugno 1957. Laureato in Economia e commercio, è stato ricercatore all’Istat, nonché dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale per lo Studio della Congiuntura. È stato Chief Statistician e Director of the Statistics Directorate dell’Ocse e Presidente dell’Istat dal 2009 al 2013. Ministro del Lavoro e delle politiche sociali del Governo Letta dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014, attualmente è docente di Statistica economica dell’Università di Roma “Tor Vergata” e Portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. È anche docente di Public management dell’Università Luiss.

In Italia, dopo la legge Treu ci siamo ritrovati una regolamentazione della somministrazione molto più moderna rispetto alle altre realtà europee. Ritiene sia stata una scelta lungimirante?

Credo che il mercato del lavoro, per funzionare bene, abbia bisogno di uno spettro ampio di strumenti. Normalmente, si considera solo la flessibilità, ma in realtà gli strumenti hanno delle implica-

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zioni notevoli anche da un punto di vista della contribuzione, della formazione sul posto del lavoro… non solo del rapporto fra datore di lavoro e lavoratore.

In tal senso, il contratto di somministrazione è andato ha colmare una lacuna della legislazione precedente ed indubbiamente è stata una soluzione valida per molti che altrimenti avrebbero trovato molte difficoltà sul mercato del lavoro.

La questione su cui vorrei porre l’attenzione però è un’altra. Come si è visto, ad esempio, con l’eliminazione nell’ultimo anno dei voucher, il mercato del lavoro è un insieme di vasi comunicanti: se tocco una parte di questo complesso sistema, il mercato del lavoro trabocca sulle altre. Eliminati i voucher, una parte dell’offerta di lavoro non è andata verso il tempo determinato - come alcuni

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speravano - ma verso contratti più flessibili dal punto di vista dell’impresa.

Il contratto di somministrazione garantisce senza dubbio una tutela maggiore al lavoratore rispetto ai voucher, ma al di là di questo non si può dare un giudizio specifico su un particolare intervento, se non lo si inquadra nel complesso degli strumenti e dei contratti disponibili nel mercato del lavoro.

Che cosa pensa dell’evoluzione della normativa dopo la legge Treu?

Vale lo stesso principio che ho poc’anzi affermato. Dopo la legge Treu, con la legge Biagi e poi la legge Fornero, la possibilità di usare contratti molto flessibili si è ridotta drasticamente. Ciò ha comportato un travaso dell’offerta di lavoro verso altri tipologie di contratti.

Inoltre, non è facile capire quanto l’intenzione del Legislatore, viste le frequenti modifiche della normativa, sia stata convinta oppure un ripiego, perché non si potevano usare più altri strumenti.

Secondo lei, in cosa dovrebbero migliorare le agenzie per il lavoro? Dove bisognerebbe investire?

Qui il discorso è legato alla debolezza dei sistemi pubblici nel supporto alla ricerca del lavoro e quindi alla debolezza dei centri per l’impiego, soprattutto in alcune aree del paese. Sappiamo che ci sono alcune aree più avanti al Nord ed aree nettamente più indietro nel Mezzogiorno e in generale aree difficili da un punto di vista economico.

Il trasferimento delle competenze in materia di politiche attive dalle Provincie alle Regioni e poi la discussione sulla revisione costituzionale e, quindi, la possibilità di trasferirle al centro hanno causato un gravissimo il ritardo nell’utilizzo

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dei fondi che avevo stanziato da Ministro per il contratto di ricollocazione. Questo ritardo terribile ha reso quello delle agenzie un ruolo spesso di supplenza e non di integrazione, come dovrebbe essere.

Sappiamo che le agenzie hanno personale mediamente più qualificato rispetto al settore pubblico e che ci sono aree del Paese dove il settore pubblico e le agenzie lavorano in modo sinergico, altre zone in cui c’è competizione e altre ancora in cui agenzie sono realtà a sé.

Dunque, c’è un problema di carenza complessiva dei sistemi di politiche per il lavoro e c’è molto da fare per una vera integrazione del sistema pubblico e privato. I due sistemi non sono alternativi, ma devono lavorare in sinergia.

In proposito, non bisogna dimenticare il tema importantissimo dello scambio delle informazioni. Quando feci la Garanzia giovani, poi attuata dal Governo Renzi sullo schema delineato nei mesi precedenti, finalmente si riuscì a mettere in rete i vari centri per l’impiego attraverso una banca dati integrata con standard di classificazione delle persone in cercava di lavoro, con uno standard per i curriculum vitae e così via.

Questa azione doveva essere propedeutica ad un allargamento della medesima strategia a tutti i lavoratori. Era una prova generale. Proprio in quell’occasione mettemmo in competizione e cooperazione, con il supporto di Italia-Lavoro, le agenzie con in centri per l’impiego, al fine di favorire lo sviluppo di azioni integrate soprattutto nelle aree più problematiche.

Dunque, Lei dice che per rendere possibile l’integrazione fra pubblico e privato è necessario creare sistemi che rendano accessibili i dati?

E secondo formati standardizzati, come avviene in Germania. Purtroppo, il piano di integrazione dei dati raccolti con Garanzia giovani con quelli relativi al resto dei disoccupati non è avvenuto e così in questi ultimi anni si è creata una confusione assai dannosa.

La creazione dell’Anapl è stato un passo avanti importante, ma è arrivato quando ormai di fatto la riforma costituzionale era già stata bocciata. E ora determina un problema di competenze.

Le agenzie sono un pezzo del sistema e la qualità del loro lavoro dipende in gran parte da come funziona il resto. Ciò che si deve fare è l’integrazione.

Una sua riflessione sul tema della formazione dei lavoratori in somministrazione.

Mi piacerebbe fare una riflessione sulla formazione dei lavoratori e dei disoccupati in generale, non solo dei lavoratori in somministrazione. Sappiamo che in Italia l’investimento in formazione è bassissimo. Il nostro Paese non ha sistema serio di lifelong learning.

Uno degli ultimi atti del Governo di cui facevo parte, insieme con il Ministro Carrozza, fu di mettere a disposizione lo studio di una Commissione sulla formazione permanente che io costituii e guidata da Tulio De Mauro che mostrava come eravamo ancora all’anno zero su questo fronte.

Purtroppo, lo siamo ancora. Le imprese italiane rispetto ad altri Paesi investono molto meno in formazione, anche a parità di altre condizioni. E non è solo un problema di piccole-medie imprese che investono meno delle grandi…

Il tema è l’urgenza di anticipare le esigenze future delle imprese. Negli ultimi tempi, prima che l’attività di governo fosse sospesa, io avevo contattato le agenzie per il lavoro che fanno parte di gruppi multina-

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zionali, chiedendo loro di formulare una previsione sulle skills del futuro anche sulla base dei riscontri che ricevevano dai mercati esteri tramite le loro filiali. Le imprese italiane sembravano, infatti, incapaci di esprimere tale domanda.

La risposta fu positiva, ma credo non sia stato fatto più nulla.

Questo tema della formazione anticipata rispetto ai cambiamenti tecnologici è un tema chiave del futuro. Il rischio che le imprese usino il metodo dell’usa e getta è molto alta.

Come membro della Commissione globale dell’Ilo sul futuro del lavoro posso dire che è ormai chiaro come le competenze nel futuro cambieranno con maggiore rapidità rispetto al passato, perché l’innovazione - non solo quella tecnologica - sta facendo passi da gigante, evolve in modo non lineare in virtù della contaminazione dei saperi. Questo significa la necessità di anticipare il futuro, non di seguire il passato.

Sul tema della formazione, a proposito di Industria 4.0, sono lieto che il bilancio 2018 abbia riconosciuto un credito d’imposta alle imprese che investono sulla formazione del proprio personale. È follia pensare che, quando compro un computer, questa possa essere considerato una spesa di investimento, mentre se formo delle persone, ciò venga considerato un costo corrente.

Quale impatto potrebbe avere l’immigrazione nel mercato del lavoro? E quale ruolo potrebbero giocare in questo ambito le agenzie?

Che l’Immigrazione sia una componente cruciale non solo del mercato del lavoro, ma della società italiana di oggi e del futuro è riconosciuto da tutti, o quasi. Un Paese che si è fatto cogliere di sorpresa, benchè i demografi ci aves-

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sero avvisato da anni che sarebbe arrivata un’ondata migratoria dal Sud, perché non ha impostato un dialogo con i paesi africani.

Non solo. Per via di una gestione poco lungimirante dei flussi, l’Italia si ritrova una forza lavoro molto disomogenea, non necessariamente coerente con le esigenze che derivano dall’andamento demografico italiano.

Questo richiede un enorme sforzo di riqualificazione del mondo dei lavoratori e parlo non solo dei lavoratori dipendenti, ma anche indipendenti, perché sappiamo che molti dei lavoratori immigrati hanno scelto di fare il lavoro autonomo e tra l’altro ci sono molti dati che mostrano come, spesso, l’abbiamo fatto con risultati lusinghieri.

Quindi, il tema della formazione della forza lavoro immigrata è ancora quello dell’orientamento alle esigenze del futuro, ma qui ritorniamo alla nostra scarsa capacità di anticipare il futuro.

Rispetto al fenomeno della digitalizzazione e disintermediazione che si sta affermando a più livelli, quale scenario prevede in riferimento alle politiche per il lavoro? È evidente che la disintermediazione, che già investe molti settori (finanziario, agenzie viaggio…), colpisce anche gli intermediari del mercato del lavoro, a meno che non siano in grado di offrire un servizio a più alto valore aggiunto.

Per fare questo, però, tale servizio deve essere da un lato segnaletico, non tanto su quello che serve ora, ma fra quello che serve fra uno, due, cinque anni… Il che però richiede una collaborazione con il settore pubblico che dovrebbe fare orientamento, ma che non fa.

Altro tema cruciale, infatti, sarebbe l’orientamento al lavoro, oggi ahimè inesistente.

Dall’altro lato, gli intermediari devono essere capaci di riqualificare nel tempo le persone che, vuoi per l’automazione o per cambiamenti di altro tipo, verranno espulsi dal mondo del lavoro. Quello della riqualificazione è un nodo cruciale e su questo le agenzie possono avere un ruolo non di competizione con i computer, ma di integrazione con il settore pubblico, che però deve fare un grosso salto di qualità.

In relazione alle politiche attive, in particolare all’assegno di ricollocazione, quale presente vede e soprattutto quale futuro?

Mi sembra di capire che l’assegno di ricollocazione abbia ancora grosse difficoltà a partire, almeno come strumento normale. È ancora presto per riuscire a valutarlo.

Bisognerebbe però tener presente che è fondamentale preparare le informazioni attraverso l’uso di banche dati, per verificare a tempo opportuno attraverso tecniche statistiche corrette cosa succede alle persone che usufruiscono di questo strumento a confronto con quelle che non ne usufruiscono.

Le tecniche di valutazione sono ben note e non credo che in questo momento ci sia un piano già disegnato per valutare l’efficacia di questo strumento.

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L’OPINIONE DEL MINISTRO GIULIANO POLETTI Nato a Imola (Bologna) il 19 novembre 1951 Giuliano Poletti ha conseguito il diploma di Perito agrario e ha lavorato come tecnico agricolo. È stato Presidente dell’Ente studi ed assistenza viticola ed enologica dell’Emilia Romagna e presidente delle Ente di formazione della Legacoop Emilia Romagna, poi Presidente del Fondo mutualistico per la promozione cooperativa di Legacoop e infine Presidente della Legacoop nazionale e dell’Alleanza delle Cooperative Italiane. Dal 21 febbraio 2014 è Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega alle Politiche giovanili.

Rielaborazione a cura di Emmanuele Massagli delle dichiarazioni rilasciate dal Ministro Giuliano Poletti il 22 novembre 2016 in occasione del Decennale dell’Associazione Assolavoro Su Repubblica il presidente di Confindustria Boccia qualche tempo fa disse che la precarietà va combattuta. “Se vivi da lavoratore somministrato – così Boccia – non hai futuro, non puoi costruirti una famiglia”. Cosa pensa di questa affermazione?

Per un giudizio “equilibrato”, bisognerebbe anzitutto considerare che le agenzie, ormai, non si occupano plo di somministrazione.

Esse svolgono, in collaborazione con i servizi pubblici per l’impiego, tutte le azioni che compongono il quadro delle politiche attive a sostegno delle persone che vogliono rientrare sul mercato del lavoro.

L’idea che un tempo si aveva, quella secondo cui era il pubblico che avrebbe dovuto fare ciò – cosa che per altro non è mai riuscito a fare oggi è stata definitivamente superata dalla normativa e dalla prassi.

Stabilire un’analogia secca tra la somministrazione e la precarietà, significa non avere ben chiaro cosa significano questi due termini. Le agenzie hanno diversi di dipendenti a tempo indeterminato e questi lavoratori hanno tutte le tutele di quelli a tempo indeterminato occupati nelle “normali” aziende, quindi non c’è ragione per considerarli più precari.

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Altra cosa sono – naturalmente – i comportamenti scorretti o sleali di qualcuno che utilizza questi strumenti in maniera impropria. Qui, però, stiamo ragionando d’altro, ossia dell’opportunità di avere una strumentazione che aiuti le persone e le imprese a lavorare.

Un altro aspetto importante in merito alla somministrazione è il seguente. Prima, quando sussisteva il requisito della causale, pareva che la legge fosse congegnata per cogliere in fallo chiunque cercasse di utilizzare questi strumenti.

Il pregiudizio era quello che il lavoro a tempo determinato non fosse per definizione una bella cosa, anche se non si poteva vietare.

Allora, occorreva rendere la vita dura a quelli che ci provavano; e a quelli che ci provavano, si diceva: se sgarrate, vi capita un guaio!

Invece, la funzione della legge dovrebbe essere quella di stabilire in modo chiaro e preciso vincoli ragionevoli per consentire a ciascuno di scegliere liberamente ciò che è giudicato conveniente, nei limiti – ovviamente – della legge stessa. Che sia la legge a imporre un determinato comportamento al cittadino o all’imprenditore è scorretto. Ciò che conviene, ciò che è opportuno fare, è una deci-

sione che spetta ai cittadini e agli operatori del settore. Usare la legge per produrre fenomeni economici riflette una visione della società oramai insostenibile. Anche perché, alla fine, chi vuole fare il furbo, riesce sempre ad aggirare la legge.

Cosa devono migliorare, secondo Lei, le agenzie per il lavoro?

Primo. Bisogna lavorare insieme.

Noi abbiamo bisogno di mettere in relazione gli strumenti, perché se ognuno svolge bene il suo compito, possiamo davvero fare il bene del Paese, dei cittadini, delle imprese. Secondo. Bisogna “tirar fuori dal campo le volpi”, quelli che non fanno bene il loro mestiere, perché questo è un ambito molto delicato: parliamo di lavoro, parliamo di persone in una condizione critica della loro vita, pertanto non è eticamente tollerabile che qualcuno assuma comportamenti sleali o addirittura illeciti. Da qui, l’impegno da parte del Governo di proporre leggi chiare, fare ispezioni, approntare strumenti per la certificazione. Da parte sua, infine, l’associazione di categoria Assolavoro deve espellere questi soggetti. Se ci muoviamo così, il sistema funziona.

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LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE EVOLUZIONE NORMATIVA «Il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore» (art. 30 D.Lgs. 81/2015 Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni).

Il carattere “normale” del contratto di somministrazione, così come la sua legittimazione a livello sociale, non sono affatto scontati, ma il frutto di un lento percorso legislativo e culturale che ha preso il via nel 1997 con la riforma voluta dall’allora Ministro del Lavoro Tiziano Treu.

Il monopolio statale nell’intermediazione e il divieto all’«interposizione di manodopera» Fino al 1997 in Italia l’unico soggetto legittimato ad intervenire nel mercato del lavoro era lo Stato, che lo faceva attraverso gli uffici territoriali del Ministero del Lavoro (cfr. L. 264/1949).

In particolare, la L. 1369/1960 (Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro) impediva «all’imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque [fosse] la natura dell’opera o del servizio» (art. 1).

Tale divieto aveva lo scopo di arginare comportamenti opportunistici finalizzati a scaricare su soggetti terzi la responsabilità derivante dall’assunzione diretta dei lavoratori (pensiamo al c.d. caporalato nel settore agricolo).

Il pacchetto Treu e la «fornitura di lavoro temporaneo» Questa impostazione fu superata solo dalla L. 196/1997 (c.d. Pacchetto Treu) che per la prima volta nel nostro ordinamento rese possibile impiegare lavoratori grazie all’intermediazione di un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo (art. 1).

In realtà, la nuova legge introduceva soltanto alcune eccezioni al divieto stabilito dalla L. 1369/1960, che rimaneva valido in linea generale. Infatti, la fornitura di lavoro temporaneo, che doveva essere mediata da un’impresa autorizzata a svolgere esclusivamente tale funzione, era consentita solo per il soddisfacimento di esigenze temporanee dell’utilizzatore.

In ogni caso la fornitura di lavoro temporaneo era esclusa: • per i lavori scarsamente qualificati (individuati dai contratti collettivi delle imprese utilizzatrici); • per la sostituzione di lavoratori in sciopero; • nelle unità produttive presso le quali nei dodici mesi precedenti si fosse proceduto a licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse mansioni per cui si chiedeva la fornitura di lavoro; • nelle unità produttive presso le quali fosse operante una sospensione dei rapporti o una riduzione di orario con diritto di integrazione di salario riguardante lavoratori adibiti alle stesse mansioni per cui si chiedeva la fornitura di lavoro; • per le imprese che non erano in regola con la valutazione dei rischi sul luogo di lavoro ai sensi del D.Lgs. 626/1994; • per i lavori che richiedevano la sorveglianza medica e per quelli dichiarati pericolosi.

La fornitura di lavoro temporaneo era inoltre gravata da numerosi adempimenti burocratici e, comunque, non poteva interessare nella medesima azienda un numero di lavoratori superiore a quello stabilito dal contratto collettivo nazionale di riferimento.

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La riforma Biagi e il pieno riconoscimento del contratto di somministrazione Qualche anno più tardi, il D.Lgs. 276/2003 (attuativo della L. 30/2003) abrogò la L. 1369/1960 e gli artt. 1 e 11 della L. 196/1997 consentendo il pieno riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano di quella che fu da allora definita «somministrazione di lavoro». Da eccezione motivata da esigenze di carattere temporaneo quello di somministrazione divenne un contratto al pari di tutti gli altri.

Come nella vecchia fornitura di lavoro anche nella somministrazione si prevedeva un rapporto triangolare fra l’impresa utilizzatrice, il lavoratore e l’impresa somministratrice di lavoro. Nel 2003, però, il Legislatore distinse due tipologie di somministrazione: • la somministrazione di lavoro a tempo determinato, ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo dell’utilizzatore (erede della fornitura di lavoro a tempo determinato introdotta dal pacchetto Treu); • la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (c.d. staff leasing).

Il carattere normale e non più eccezionale della somministrazione di lavoro era dimostrata dal fatto che l’utilizzo del lavoratore somministrato, in caso di assunzione a tempo determinato, non doveva più essere giustificata da esigenze di carattere eccezionale e temporaneo, ma da una qualsivoglia ragione di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo. Inoltre, si decise di normare il rapporto fra il soggetto somministratore e il lavoratore tramite le regole comuni relative al contratto a tempo determinato e non più con contratto ad hoc come nel 1997.

Le altre novità introdotte dalla riforma Biagi furono: • l’abolizione dell’obbligo per il soggetto somministratore di avere come oggetto sociale esclusivo la fornitura di lavoro: nacquero così le agenzie per il lavoro come le intendiamo oggi, ossia come soggetti polifunzionali operanti sul mercato del lavoro; • la riduzione dei divieti: si consentì l’utilizzo della somministrazione per tutte le mansioni, anche quelle poco qualificate, quelle che richiedono una sorveglianza medica o quelle considerate pericolose. Inoltre, il ricorso alla somministrazione dopo una crisi aziendale che aveva portato a licenziamenti collettivi oppure alla cassa integrazione divenne possibile in presenza di un accordo con i sindacati.

Il progressivo superamento del requisito causale La vaghezza con cui il D.Lgs. 276/2003 definiva il requisito causale necessario per giustificare la somministrazione di lavoro temporaneo («La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore» art. 20 c. 4), fu presto causa di contenziosi (anche giudiziari). Per molto tempo, infatti, si è dibattuto su quali fossero le ragioni sufficienti per legittimare una somministrazione, generando in molti casi il sospetto che i contratti di somministrazione stipulati fra le parti non fossero regolari, quindi passibili di sanzioni e di essere trasformati in rapporti di lavoro diretti fra il lavoratore e l’utilizzatore, come previsto dallo stesso decreto.

Proprio per superare questa ambiguità e favorire nel contempo l’intervento delle Agenzie per il lavoro nelle politiche attive per il lavoro, negli anni si cercò di superare il requisito causale, anche sulla spinta delle raccomandazioni Europee. Il primo passo fu compiuto dalla Legge finanziaria del 2010 che sollevò le imprese utilizzatrici dal giustificare il ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato stipulato con lavoratori iscritti alle liste di mobilità, oltre a consentire una deroga ai limiti quantitativi previsti dai contratti collettivi nazionali.

Nel frattempo la Direttiva 104 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 esortava gli Stati membri a ridurre le restrizioni alla somministrazione di lavoro, intesa come strumento che facilita la partecipazione di tutti al mercato del lavoro, perché favorisce, da un lato, la flessibilità richiesta dalle imprese, all’altro, la conciliazione fra vita privata e vita professionale spesso ricercata dai lavoratori dipendenti.

La Direttiva europea fu recepita dal Legislatore italiano tramite il D.Lgs. 24/2012 che abolì il requisito causale nel caso in cui la somministrazione coinvolgesse: i) lavoratori disoccupati; ii) precettori di ammortizzatori sociali; iii) persone definite «svantaggiate» dalla stessa Direttiva europea.

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Il decreto prevedeva inoltre la possibilità da parte dei contratti collettivi nazionali o decentrati di ampliare ulteriormente la casistica di contratti di lavoro in somministrazione senza l’obbligo causale.

La somministrazione come periodo di prova La L. 92/2012 (c.d. riforma Fornero), modificando il D.Lgs. 368/2001, stabilì sia per il contratto di lavoro in somministrazione a tempo determinato sia per il normale contratto a termine, che non fosse necessario esplicitare la causa del rapporto nel caso di prima assunzione. Il contratto di somministrazione a tempo determinato venne così equiparato ad una sorta di periodo di prova.

Il Decreto Poletti e l’abolizione del requisito causale Da ultimo, l’”acausalità” di qualunque contratto di somministrazione a tempo determinato (così come di qualsiasi contratto a termine) è stata sancita dal Decreto 34/2014 (c.d. Decreto Poletti), poi confermata dal D.Lgs. 81/2015, che ha riformulato la disciplina del contratto di somministrazione abrogando il D.Lgs 276/2003.

Le principali novità introdotte dal D.Lgs. 81/2015 sono: • abolizione dei limiti quantitativi (che rimangono invece per il normale contratto a tempo determinato), se non quello del 20% sul numero di lavoratori assunti a tempo indeterminato dall’utilizzatore (salvo diverse disposizioni del contratto collettivo); • possibilità di conteggiare lavoratori disabili utilizzati in somministrazione ai fini dell’espletamento dell’obbligo previsto dalla Legge 68/1999.

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DALLA FORMAZIONE AL LAVORO

L’APPRENDISTATO IN SOMMINISTRAZIONE LA SINERGIA TRA AGENZIE ED ENTI FORMATIVI di Mauro Colombo La collaborazione fra agenzie per il lavoro ed enti di formazione non si deve limitare soltanto al placement. Se è vero che l’intreccio tra formazione e lavoro accompagna la persona per tutta la vita, essa deve continuare anche per la formazione degli apprendisti in somministrazione e la formazione continua dei lavoratori.

Gli Enti e i Centri di formazione professionale si collocano da sempre, per loro stessa natura, tra il mondo dell’istruzione e il mondo del lavoro, muovendosi verso l’uno o l’altro di questi poli a seconda del momento e delle proprie specificità.

Mentre nei primi anni Duemila l’innalzamento dell’obbligo scolastico (e la possibilità che venisse assolto anche nella Formazione professionale) ha provocato una certa “scolarizzazione” dei Cfp, la stagione attuale si caratterizza invece per un movimento opposto e una maggiore attenzione e impegno delle Istituzioni formative verso il mondo del lavoro e delle imprese.

Lo sviluppo delle politiche attive del lavoro e la possibilità che vengano attivate da Enti accreditati e, più recentemente, il rilancio e la crescita dell’apprendistato di primo livello sono solo due elementi che spiegano questo nuovo posizionamento dell’Istruzione e formazione professionale regionale.

In questo nuovo contesto, la collaborazione tra Enti di formazione professionale e Agenzie per il lavoro può dare origine a prospettive interessanti e a nuove attività per entrambi i soggetti.

Una prima prospettiva è legata appunto all’apprendistato di primo livello, per il conseguimento della Qualifica professionale o il Diploma di tecnico, così come normato dall’articolo 43 del Jobs Act (Decreto Legislativo n. 81 del 15 giugno 2015). Oggi è infatti possibile attivare percorsi di apprendistato di primo livello (ma anche di terzo, in alta formazione) anche a scopo di somministrazione di lavoro. I giovani lavoratori possono così venire assunti da un’Agenzia per il lavoro, e quindi essere collocati in azienda secondo le modalità previste dalla somministrazione e completare la formazione tecnico-professionale all’interno del Cfp.

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A rendere possibile questa procedura è l’Accordo Interconfederale sottoscritto il 18 maggio 2016 da Confindustria e dai tre maggiori sindacati, applicabile alle Agenzie per il Lavoro associate ad Assolavoro (che a sua volta è Associazione aderente al sistema confindustriale). Tale accordo interviene in quei settori che non si sono ancora dotati di una regolamentazione contrattuale che regolamenti i dispositivi specifici dell’apprendistato (piano formativo individuale, livello di inquadramento convenzionale…), come appunto la categoria delle Agenzie di somministrazione di lavoro, così da favorire un maggior ricorso all’apprendistato di primo e terzo livello.

L’Associazione Cnos-Fap Regione Lombardia quest’anno ha realizzato presso la sede di Arese (Milano) un percorso di apprendistato per il conseguimento della Qualifica triennale insieme a un’Agenzia per il Lavoro e a un’azienda del settore meccanico.

Non c’è nessuna modifica sostanziale rispetto a un analogo percorso con assunzione diretta da parte dell’azienda. Semplicemente, l’Agenzia per il Lavoro diventa il quarto soggetto in campo che si aggiunge all’azienda ospitante, all’Ente formativo e al giovane lavoratore, firmando anch’essa il Piano formativo e mettendo a disposizione una propria risorsa con funzioni di tutor, senza alcuna ulteriore complicazione burocratica o gestionale e mantenendo inalterate le caratteristiche proprie del percorso.

La possibilità di assunzioni in apprendistato anche da parte delle Agenzie per il Lavoro amplia la platea delle imprese interessate a questo tipo di percorsi.

Anche aziende che abitualmente utilizzano il lavoro in somministrazione, oppure ditte che non intendono incrementare il ridotto numero dei propri dipenden-

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Il Cfp del Cnos-Fap di Arese (Mi)

ti, oppure ancora aziende che per molteplici ragioni non sono disponibili a un’ulteriore assunzione diretta possono investire sulla formazione di un giovane e farlo crescere secondo le proprie esigenze ricorrendo a questa modalità. Una modalità che contiene anche importanti agevolazioni economiche.

Una seconda prospettiva generata dalla collaborazione tra gli Enti di formazione professionale e le Agenzie per il Lavoro è costituita dai percorsi formativi finanziati con Forma.Temp, il Fondo per la formazione e il sostegno al reddito dei lavoratori in somministrazione.

Accade ormai frequentemente che le aziende non riescano a trovare figure professionali preparate secondo le proprie esigenze produttive ed accade ancor più frequentemente che i giovani che concludono il loro percorso di istruzione, soprattutto con l’Esame di Stato della scuola secondaria di secondo grado, non riescano a collocarsi nel mondo del lavoro perché sprovvisti delle necessarie competenze tecniche e professionali.

Un’Agenzia per il Lavoro può così proporre a persone selezionate per un inserimento lavorativo in somministrazione di frequentare un corso di formazione, anche di durata significativa, incaricando un Ente idoneo a erogare tale percorso e finanziando la formazione attraverso Forma.Temp. In questo modo si aggiunge al sistema di istruzione ordinamentale, composto dai classici percorsi scolastici e accademici, un tassello formativo forse meno stabile ma di grande utilità ed efficacia tanto per le imprese quanto per i giovani.

Lo sviluppo delle attività connesse alle politiche attive

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del lavoro, oggi attivate da entrambi i soggetti, rendono gli Enti di Formazione professionale e le Agenzie per il Lavoro in qualche misura concorrenti; ma le collaborazioni possibili tra essi sono decisamente più interessanti e promettenti e suggeriscono a Enti e ad Agenzie per il Lavoro di considerarsi reciprocamente come una risorsa e un’opportunità.

Da un’intelligente collaborazione tra Enti formativi e Agenzie per il Lavoro possono originarsi vantaggi sia per i lavoratori, in particolare per i giovani, che per le aziende del nostro Paese.

Mauro Colombo Associazione CNOS-FAP Regione Lombardia

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DALLA FORMAZIONE AL LAVORO

IL MODELLO FORMA.TEMP E LE SFIDE DEL MERCATO DEL LAVORO di Francesco Verbaro Gli strumenti messi a disposizione dal fondo per la formazione dei lavoratori in somministrazione Forma.temp vanno dalla formazione continua ai sussidi per accompagnare i disoccupati nelle transizioni lavorative. Un ricco paniere di servizi che risponde alle sfide dell’odierno mercato del lavoro.

Il ruolo strategico dei fondi interprofessionali In un mercato del lavoro sempre più complesso e mutevole, il ruolo della sussidiarietà orizzontale svolto dai fondi interprofessionali e dagli enti bilaterali come Forma.temp, risulta essere cruciale. Tali realtà riescono ad essere più flessibili e più efficaci, data la loro prossimità alla domanda e all’offerta. La profonda conoscenza del panorama nazionale del lavoro consente di anticipare le trasformazioni inevitabili e continue del settore ed a fornire risposte adeguate alle necessità dei lavoratori.

Prima fra tutte, la formazione che ti accompagna in tutto l’arco della vita lavorativa. La migliore garanzia alla stabilità dell’occupazione, infatti, come emerge dall’esperienza di Forma.temp sulla crescita dei contratti a tempo indeterminato, è data sempre di più dalla specializzazione e dall’apprendimento continuo, due condizioni alle quali possono contribuire sempre di più i fondi e gli enti bilaterali.

Questo dovrebbe portare il legislatore e le amministrazioni del settore a valorizzare questa esperienza rispetto ai risultati senza imbrigliare il settore degli enti bilaterali e dei fondi interprofessionali in regole e procedure formali. Maggiore attenzione, quindi, ai risultati delle politiche, alle competenze e al placement e meno alle procedure.

Un coordinamento sulle politiche e sui risultati dovrebbe portare ad una maggiore attenzione sui dati che il settore genera. La raccolta sistematica dei dati e l’incrocio degli stessi potrebbero fornire preziose informazioni al sistema delle politiche attive e sul capitale umano in genere. Il settore dei fondi e degli enti potrebbe essere meglio valorizzato nei rapporti con

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il mondo della formazione iniziale, scuola e università, grazie ad una maggiore autonomia e ad un ruolo propositivo delle istituzioni pubbliche. La mancanza di competenze specialistiche che registrano i fondi sul lato dell’offerta potrebbe essere attenuata e colmata da una collaborazione sistematica tra fondi e mondo della formazione scolastica e universitaria.

Un ulteriore ambito di sviluppo dell’azione dei fondi è dato dalla collaborazione con i territori e con i centri di innovazione e ricerca, anche al fine di anticipare i bisogni della domanda e rispondere meglio agli stessi. Le amministrazioni centrali competenti potrebbero svolgere, in tale direzione, un ruolo di promozione e di raccordo positivo con le amministrazioni regionali e locali.

I fondi, inoltre, possono fornire un importante contributo nel colmare i deficit sulle transversal skills e human skills, sempre più necessarie oggi per sviluppare le competenze specifiche e di settore e per gestire al meglio le transizioni da un lavoro ad un altro.

La mission di Forma.Temp Forma.Temp, è una realtà virtuosa che risponde efficacemente alle sfide del mondo del lavoro. Costituito sotto forma di libera associazione senza fini di lucro autorizzata con D.M. del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in applicazione dell’art. 5 della Legge n. 196 del 24 giugno 1997 “Norme in materia di promozione dell’occupazione” (c.d. Legge Treu) sotto la vigilanza dello stesso Ministero. Forma.Temp è finanziato ai sensi dell’art. 12 del D. Lgs. n. 276/2003 con un contributo, a carico delle Agenzie per il Lavoro, pari al 4% delle retribuzioni lorde corrisposte ai lavorato-

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ri con contratto di lavoro in somministrazione. Come previsto dall’art. 12 del D. Lgs. 10 settembre 2003 n.

276, Foma.Temp persegue i seguenti scopi: • interventi di formazione, qualificazione e riqualificazione professionale, nonché misure di carattere previdenziale e di sostegno al reddito a favore dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato, dei lavoratori che abbiano svolto in precedenza missioni di lavoro in somministrazione in forza di contratti a tempo determinato e, limitatamente agli interventi formativi, dei potenziali candidati a missione; • iniziative comuni finalizzate a garantire l’integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in caso di fine missione; • iniziative comuni finalizzate a verificare l’utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di contrasto agli appalti illeciti; • iniziative per l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche in regime di accreditamento con le Regioni; • iniziative per la promozione di percorsi di qualificazione, riqualificazione e aggiornamento professionale

per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato.

Il Fondo ha, altresì, lo scopo di svolgere le attività ad esso assegnate da contratti ed Accordi collettivi, come confermato dall’art. 55-ter del D.L. 24 aprile 2017, n.

50, convertito dalla Legge 96/2017. Anche in questo ambito la delega alla contrattazione collettiva assicura la massima flessibilità e la piena rispondenza delle misure e degli interventi ai bisogni del settore. Così come la presenza del conto azienda, consente alle agenzie di organizzare ed erogare la formazione più adeguata e più efficace rispetto all’occupabilità del lavoratore e alle necessità dell’utilizzatore.

Le attività formative finanziate dal Fondo sono suddivise per tipologie di destinatari. Oltre agli interventi di Politiche Attive e Passive per i lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato in somministrazione, Forma.Temp finanzia, diversamente dagli altri fondi, anche interventi di Politiche Attive per i candidati a missione di lavoro.

Nel contesto di una crescente domanda di lavoro in somministrazione, il fondointerprofessionale Forma.

Temp rappresenta, dunque, un punto di osservazio-

Le tipologie di formazione erogate dal fondo Per i candidati a missione di lavoro e i lavoratori attivi con contratto di lavoro a tempo determinato in somministrazione: Tipologia

Formazione di Base

Caratteristiche

per la creazione di competenze specifiche o specializzazioni legate alle singole figure professionali

Beneficiari

inoccupati, disoccupati, lavoratori con contratto di somministrazione *obiettivo minimo di placement 35% a livello nazionale con penalizzazioni se non conseguito

Tipologia

Formazione On the Job

Caratteristiche

in affiancamento, sul luogo di lavoro all’inizio della missione per l’adeguamento delle competenze al contesto lavorativo

Beneficiari

lavoratori con contratto di somministrazione

Tipologia

Formazione Continua

Caratteristiche

corsi a iniziativa delle Agenzie per il lavoro

Beneficiari

inoccupati, disoccupati, lavoratori con contratto di somministrazione

Per i lavoratori attivi con contratto di lavoro a tempo indeterminato in somministrazione, le tipologie di formazione: Tipologia

Riqualificazione

Caratteristiche

formazione per il rafforzamento della posizione professionale

Beneficiari

lavoratori attivi con contratto di lavoro a tempo indeterminato in somministrazione durante il periodo legato alla procedura in mancanza di occasioni di lavoro (art. 25 del Ccnl di settore) * deve prevedere Accordo Sindacale nel quale venga definito il piano formativo individuale di Riqualificazione

Tipologia

Qualificazione

Caratteristiche

formazione per lo sviluppo di nuove competenze

Beneficiari

lavoratori attivi con contratto di lavoro a tempo indeterminato in somministrazione, in costanza di missione, durante il periodo di disponibilità (art. 32 del Ccnl di settore), in apprendistato * deve prevedere Bilancio delle Competenze per i lavoratori in disponibilità

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ne privilegiato sui mutamenti in atto nel mercato del lavoro.

Da un lato, attraverso un’analisi qualitativa dei dati presenti nei propri archivi, è in grado di monitorare e valutare, con riferimento ai corsi erogati dalle Agenzie per il Lavoro (Apl) e finanziati dal Fondo, se e come queste ultime abbiano modificato la propria offerta formativa in risposta alle esigenze degli utilizzatori e in generale ai mutamenti del mercato.

Dall’altro, l’analisi dell’andamento degli strumenti di Politica Passiva del Lavoro erogati da Forma.Temp per i lavoratori in somministrazione, spesso in integrazione con le Politiche Attive del Lavoro (non solo Formazione, ma anche Bilancio di competenze e Orientamento al lavoro), offre l’evidenza di un modello virtuoso di sostegno ai lavoratori in differenti situazioni di fragilità del contesto lavorativo1: • nelle fasi di transizione da una missione lavorativa ad un’altra (per lavoratori Td); • in assenza di opportunità di lavoro (per lavoratori Ti); • per trattamenti di Integrazione Salariale in connessione con il riconoscimento della Cassa Integrazione Guadagni ai lavoratori dell’Impresa Utilizzatrice (per lavoratori Td e Ti).

Prestazioni sociali L’Accordo delle Parti Sociali del 25 novembre 2015 ha dato avvio alla costituzione del Fondo di Solidarietà per i lavoratori in somministrazione, istituito presso Forma.Temp, con contabilità separata, ai sensi dell’art.

27 del Decreto Legislativo 148/2015.

Il Fondo garantisce ai lavoratori del settore la tutela reddituale in costanza di rapporto di lavoro, nei casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa dell’impresa utilizzatrice, nonché una tutela in caso di cessazione del rapporto di lavoro.

I proventi del Fondo, che alimentano le prestazioni, sono rappresentati dalla contribuzione pari allo 0,3% delle retribuzioni mensili imponibili ai fini previdenziali dei lavoratori in somministrazione sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, con l'esclusione dei dirigenti.

Gli Accordi e i Contratti Collettivi, oltre a definire le tipologie di prestazioni in funzione delle disponibilità del Fondo di Solidarietà Bilaterale, definiscono le modalità di adeguamento dell’aliquota in funzione dell’andamento della gestione ovvero la rideterminazione delle prestazioni in relazione alle erogazioni, tenendo presente in via previsionale gli andamenti del relativo settore in relazione anche a quello più generale dell’economia e l’esigenza dell’equilibrio finanziario del Fondo medesimo.

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Ad oggi il Fondo di solidarietà eroga due tipologie di prestazioni: • Trattamento di Integrazione salariale (Tis) • Trattamento di sostegno al reddito (Sar).

Le Parti, al fine di favorire l’occupabilità dei lavoratori in somministrazione, possono individuare con separate intese misure di politiche attive del lavoro volte a favorire l’inserimento e il reinserimento di tali soggetti.

Trattamento di integrazione salariale (Tis) In caso di sospensione e riduzione dell’attività lavorativa, ed in applicazione dell’Accordo Quadro sugli ammortizzatori sociali in deroga per i lavoratori in somministrazione del 14 luglio 2009, la riduzione dell’orario di lavoro o la sospensione del lavoratore in somministrazione, prima della scadenza naturale del contratto, deve essere connessa alla riduzione dell’orario di lavoro o alla sospensione di lavoratori dipendenti dell’impresa utilizzatrice.

Il Fondo di Solidarietà riconosce ai lavoratori in somministrazione, in relazione alle causali previste dalla normativa in materia di cassa integrazione ordinaria e straordinaria, considerate in relazione all’impresa utilizzatrice, un assegno ordinario di importo uguale all’integrazione salariale per un tempo massimo pari alla durata residua del contratto di somministrazione stipulato tra l’Agenzia e l’impresa utilizzatrice, ovvero commisurato alla minore durata prevista dall’ammortizzatore sociale attivato dall’impresa utilizzatrice.

La prestazione viene riconosciuta dal Fondo di Solidarietà nella misura dell’80% dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore, così come risultante dall’ultimo cedolino emesso dall’Agenzia per il Lavoro prima della data di sospensione del lavoro, compresa la contribuzione previdenziale correlata riferita al 100% dell’ultima retribuzione utile corrisposta, ed in ogni caso nei limiti dei massimali previsti dalle norme vigenti. Per l’accesso alla prestazione è necessaria una anzianità di settore pari o superiore a 90 giornate lavorative.

In base all’Accordo di gestione del Fondo di Solidarietà Bilaterale per la Somministrazione di Lavoro, sottoscritto in data 25 novembre 2015, le prestazioni di integrazione salariale per le ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa sono anticipate dalle Agenzie per il Lavoro ed a queste rimborsate dal Fondo di Solidarietà attraverso una specifica procedura.

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Il progetto Form&go Trattamento di sostegno al reddito (Sar)

Nel mese di Giugno 2017 Forma.Temp ha lanciato, in questo ambito, il Catalogo Form&Go prevedendo una dote finanziaria individuale (Voucher) del valore massimo di 5.000 euro per i soggetti che, avendo i requisiti, ne facciano domanda per la partecipazione a corsi di formazione.

Si tratta di interventi di formazione tecnica e specialistica mirati alla riqualificazione e all’aggiornamento per conseguire un efficace adeguamento delle qualificazioni all’evoluzione delle professioni e dei contenuti delle mansioni; al miglioramento delle competenze e all’acquisizione di qualificazioni indispensabili per rafforzare la situazione competitiva delle imprese e del loro personale.

Il fine è evitare l’invecchiamento delle qualificazioni attuali e prevenire, al tempo stesso, i possibili impatti negativi associati a trasformazioni economiche e tecnologiche o a ristrutturazioni organizzative.

I destinatari finali dei percorsi a Catalogo sono, infatti, i soggetti di cui all’art. 12 punto D) del Ccnl per il settore delle Agenzie di Somministrazione di lavoro ossia: a) lavoratori in missione a tempo determinato o indeterminato in somministrazione, che abbiano maturato almeno 2 mesi di lavoro negli ultimi 12. Tali lavoratori hanno diritto a chiedere un periodo di congedo retribuito per partecipare al corso di formazione. Nel periodo di congedo al lavoratore è garantita la retribuzione e la contribuzione previdenziale a carico della bilateralità; b) lavoratori in missione a tempo determinato o indeterminato in somministrazione che vogliono partecipare ad un corso di formazione al di fuori dell’orario di lavoro e nel limite dell’orario previsto dal Ccnl per il settore delle Agenzie di Somministrazione di lavoro; c) lavoratori in attesa di missione, che abbiano avuto un contratto a tempo determinato o indeterminato in somministrazione di almeno 30 giorni negli ultimi 12 mesi e che siano disoccupati da almeno 45 giorni. I destinatari del voucher appartenenti a tale categoria riceveranno da Forma.Temp un’indennità di frequenza; d) lavoratori in attesa di missione, che abbiano avuto un contratto a tempo determinato o indeterminato in somministrazione di almeno 5 mesi (110 giorni) e che siano disoccupati da almeno 45 giorni. I destinatari del voucher appartenenti a tale categoria riceveranno da Forma.Temp un’indennità di frequenza; e) lavoratori in attesa di missione che, a seguito di infortunio occorso durante la missione a tempo determinato o indeterminato in somministrazione, presentino riduzioni di capacità lavorativa per le quali occorra una formazione riqualificante al fine di un reinserimento

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Il Fondo di Solidarietà eroga ai lavoratori in somministrazione precedentemente assunti a tempo determinato, ma che risultino disoccupati da almeno 45 giorni e che abbiano comunque lavorato almeno 110 giorni nell’arco degli ultimi 12 mesi, un contributo una tantum a titolo di sostegno al reddito (già erogato da Forma.

Temp) pari a 750,00 Euro lordi. I lavoratori che si trovano nelle predette condizioni presentano, entro 68 giorni dalla maturazione dei requisiti, la domanda per l’indennità al Fondo. Il trattamento è erogato al lavoratore che ne fa richiesta direttamente o per il tramite di uno Sportello Sindacale abilitato attraverso una specifica proceduta intesa a verificare la sussistenza dei requisiti.

lavorativo. I destinatari del voucher appartenenti a tale categoria riceveranno da Forma.Temp un’indennità di frequenza; f) lavoratrici madri che alla conclusione del periodo di astensione obbligatoria o facoltativa non abbiano una missione attiva, a condizione che abbiano maturato almeno 30 giorni di lavoro a tempo determinato o indeterminato in somministrazione negli ultimi 12 mesi antecedenti al periodo di astensione. A tal fine non si tiene conto del periodo di gravidanza. Le destinatarie del voucher appartenenti a tale categoria riceveranno da Forma.Temp un’indennità di frequenza.

L’iniziativa si è rivelata un successo e si è ormai prossimi alla pubblicazione del secondo avviso pubblico.

Una risposta alle nuove sfide del mercato L’esperienza di Forma.Temp è quanto mai preziosa in termini di analisi del panorama del mondo del lavoro attuale in generale e rappresenta una fonte inesauribile di informazioni sui flussi di lavoro in somministrazione che possono essere utilizzati dal policy maker per rispondere più efficacemente alle esigenze di riforma del mercato del lavoro.

Il lavoro in Somministrazione, mai come oggi infatti, presenta segnali specifici di cambiamento in risposta all’introduzione delle nuove tecnologie digitali e all’insorgenza del fenomeno Industria 4.0 che richiede risposte rapide ed efficaci.

In linea con la definizione della High Tech Strategy 2007-2010 tedesca2, Confindustria definisce l’Industria 4.0 (o Manifattura 4.0), come la «produzione industriale del futuro, che include quella estensiva di prodotti individualizzati, all’interno di ambienti produttivi altamente flessibili; che punta sull’integrazione sia dei

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consumatori sia dei business partner all’interno dei processi di progettazione e creazione del valore; che promuove l’integrazione della produzione con servizi di alta qualità per realizzare prodotti ibridi. In termini più operativi, Industria 4.0 comporta l’organizzazione di processi di produzione basati sulla tecnologia e su device in grado di comunicare autonomamente tra di loro lungo la catena del valore: ossia un modello di smart factory dove i sistemi controllati dai computer gestiscono processi fisici, creando un mondo virtuale e parallelo a quello fisico»3.

In definitiva i processi di produzione e lavoro si stanno trasformando per l’avvento coevo di nuove capacità tecnologiche: Big Data, possibilità di elaborare e trasmettere enormi masse di dati grazie alle ampliate potenzialità di storage; Industrial Internet of Things, sistemi di networking in grado di connettere sensori attraverso trasmettitori di radiofrequenze rendendo possibile il cd. dialogo tra oggetti; Cloud Manufacturing, disponibilità di risorse interconnesse ovunque accessibili e adattabili flessibilmente ai mutamenti di contesto; Advanced Automation, robot dotati di capacità ergonomiche, di apprendimento e problem solving; Additive Manufacturing, cioè l’uso industriale della stampa in 3D; Wearables e Interfacce Vocali, ovvero dispositivi in grado di “aumentare” le capacità umane se indossati o attraverso i comandi vocali.

Queste nuove capacità aumentate della tecnologia stanno trasformando tutti i settori dell’economia dalla produzione al consumo, ai trasporti, alle comunicazioni.

Con riferimento all’occupazione, il dibattito - come già accaduto in altre fasi della rivoluzione industriale - si articola intorno agli effetti negativi che digitalizzazione, automazione e intelligenza artificiale insieme possono determinare sulla quantità e sulla qualità dell’occupazione, stanti le possibilità di sostituzione di ampie tipologie di lavorazioni ad alta complessità fino ad ora riservate esclusivamente a soggetti umani.

La velocità, la pervasività e la trasversalità con cui le nuove tecnologie digitali stanno permeando i processi produttivi inducono a riflettere e a interrogarsi su come e in che direzione stia cambiando la domanda di lavoro sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi con riferimento, cioè, alle skill richieste dal mercato, alle figure professionali emergenti e ai bisogni formativi ad esse connessi.

Per i professionisti dell’istruzione e della formazione fuori e dentro le imprese è, dunque, indispensabile

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cogliere i mutamenti già in atto al fine di indirizzare opportunamente i piani e gli interventi formativi idonei a sostenere le nuove richieste del mercato e, conseguentemente, l’occupabilità per le risorse giovani da inserire e per i lavoratori da riqualificare.

Per i policy maker si pone il duplice tema dell’accelerazione da imprimere nello sviluppo delle competenze connesse alle opportunità produttive legate all’innovazione dei processi produttivi, attraverso adeguate politiche attive del lavoro e, al contempo, la necessità di individuare strumenti idonei a «minimizzare il costo sociale connesso alla distruzione di posti di lavoro» attraverso ammortizzatori sociali (politiche passive) per quelle fasce di lavoratori destinati a subire la distruzione di lavori/settori produttivi4.

L’esperienza Forma.Temp risulta essere come non mai preziosa, poiché mostra con precisione la modificazione dei bisogni formativi che si evidenzia attraverso le variazioni in termini di quantità e qualità delle tematiche formative dei progetti presentati dalle Agenzie per il Lavoro.

Interessante sottolineare, infine, come un Fondo, che inizialmente nasce soprattutto come effetto di una scelta politico legislativa di rendere più costoso il contratto di somministrazione, si trasforma subito in un’opportunità che rende di qualità i servizi di somministrazione erogati, qualificato il personale inviato in missione e protetti i lavoratori dopo ogni missione, grazie ad una maggiore capacità di ricollocarsi.

Il decent job o il lavoro protetto si realizza proprio grazie a sistemi di presa in carico e di supporto continuo, specie nelle transizioni, che assicurino l’employability dei lavoratori. Più delle tutele giuridiche sarà la formazione continua a garantire l’occupazione del nostro capitale umano. È questo il messaggio che ci ha consegnato Forma.Temp. in questi primi anni di attività.

Francesco Verbaro Presidente Forma.Temp

Note Si tratta di trattamenti aggiuntivi rispetto agli strumenti istituzionali a carattere nazionale di politica passiva quali la Naspi (voci a. e b.) o alternativi (voce c.).

2 Documento di programmazione economica del governo federale tedesco, in cui compare per la prima volta il termine.

3 A. Bianchi, Industria 4.0: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, Confindustria, 2016.

4 D. Guarascio - S. Sacchi, Digitalizzazione, Automazione e Futuro del lavoro, Inapp, 2017 1

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Dalla formazione al lavoro

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CONTENUTI Gli articoli raccolti in questa sezione devono presentare esperienze concrete ritenute da chi scrive buoni esempi di integrazione tra formazione e lavoro.

Gli autori sono invitati a: • specificare, anche con dati, testimonianze, ricostruzioni diacroniche di situazioni critiche, i problemi culturali, sociali, educativi e didattici che hanno spinto la scuola/il cfp (il docente, i docenti; gli studenti) a rendersi conto della necessità di aprirsi alla collaborazione con il mondo delle imprese; • descrivere le modalità con cui tale collaborazione si è concretizzata, soffermandosi sugli attori che l’hanno gestita, sugli strumenti/esperienze che l’hanno resa possibile e soprattutto sui cambiamenti che ha indotto nelle routine del personale della scuola/cfp; • indicare quali conoscenze/abilità presenti nelle Indicazioni nazionali o nelle Indicazioni regionali hanno trovato, dove e come l’occasione didattica per essere assunte e rigenerate nel confronto con la pratica lavorativa (analisi dei processi di lavoro individuali, analisi dei processi di lavoro di reparto, analisi dei manufatti, analisi della filiera dalle materie prime ai luoghi e ai tempi di commercializzazione dei manufatti, analisi delle discrasie tra organigrammi contrattuali e attività/funzioni/responsabilità reali, analisi dei bilanci aziendali e di reparto ecc.); • precisare le modalità con cui tutor scolastico e tutor aziendale hanno contribuito a rendere l’esperienza un arricchimento rispettivamente per la scuola e per l’impresa; • soffermarsi sui momenti di follow up critico valutativo, indicando i tempi, gli oggetti, i processi, gli attori di tali momenti, nonché gli apprendimenti e le revisioni organizzative a cui hanno condotto.

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• Gli autori sono invitati a spedire alla redazione immagini e grafici significativi che possono arricchire i loro contributi. Le immagini devono essere corredate di didascalia.

1Esempio: I. Svevo, Senilità, Rizzoli, Milano 2002, pp. 55ss. Nel caso di articoli apparsi su riviste indicare: titolo della rivista, n. di fascicolo e anno. Nel caso di articoli apparsi su quotidiani indicare, oltre alla testata, la data esatta di pubblicazione. Per i testi pubblicati da enti indicare: nome dell’ente, titolo del documento, data di pubblicazione, pagine (es.: Cedefop, European sectoral trends: the next decade, 2016, p. 14).

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ITS SISTEMA MECCANICA ABRUZZO QUANDO IL TOP-DOWN INCONTRA IL BOTTOM-UP di Antonio Maffei

Che l’istituzione degli Istituti tecnici superiori sarebbe stata una vera e propria novità di successo per il panorama della formazione terziaria professionalizzante italiana, forse, non se lo aspettava nessuno. Nati, un po’ in sordina, tra il 2010 ed il 2012 come fondazioni di partecipazione, configurazione giuridica richiesta dal D.P.C.M. del 25 gennaio 2008, tra imprese, scuole, università ed altri soggetti, stanno dimostrando grande efficacia nel raggiungimento degli obiettivi che si sono dati, soprattutto dal punto di vista occupazionale. Ciò dimostra come a volte l’approccio top-down, nella fattispecie di politiche di istruzione e formazione, se ben congeniato, sia non solo opportuno, ma indispensabile per innescare quei processi virtuosi di costruzione di partenariati territoriali collaborativi in grado di mettere in atto cambiamenti strutturali ed efficaci.

Il contesto abruzzese Ma andiamo con ordine. Sicuramente l’idea di partire dalle filiere produttive presenti nei territori e collegarle a quelle formative, contenuta nel D.P.C.M. 2008, è stata la chiave vincente. Nel caso abruzzese della meccanica, la dimensione del settore automotive (oltre 200 imprese globalizzate, 30 mila addetti, circa 7 mld di euro di fatturato annuo) e le iniziative che erano già state intraprese sul territorio, hanno indotto la Regione Abruzzo a far partire nel 2009 la sperimentazione di un Its su Nuove tecnologie made in Italy sistema meccanica in Provincia di Chieti, proprio lì dove è massima la concentrazione di queste aziende. La filiera produttiva non ha mancato di rispondere a questa sollecitazione e l’iniziativa è stata accolta come un ulteriore tassello per dare risposte concrete alle aziende, soprattutto in termini di adeguamento e di sviluppo del capitale umano.

A luglio del 2010, infatti, nasce formalmente uno degli allora 11 progetti pilota a livello nazionale di “scuole speciali di tecnologia” nell’ambito della meccanica, promosse e finanziate dal Miur.

Mai come in questo caso, il territorio era pronto ad accogliere un progetto di tal genere, visto che un paio di anni prima, si era partiti, proprio su iniziativa delle imprese, con il Programma innovazione automotive e metalmeccanica e con il Polo di innovazione automotive, per rispondere all’esigenza comune di realizzare progetti di collaborazione strategica nel settore della ricerca e della formazione, soprattutto per le piccole e medie imprese, e affrontare insieme le difficoltà e le sfide del mercato globale. Pertanto, il coinvolgimento da protagoniste ed in maniera strutturata delle aziende, nel complesso processo di progettazione e realizzazione di percorsi formativi corrispondenti ai loro reali fabbisogni è stato ben accolto e totale.

Il ruolo delle aziende I responsabili dei dipartimenti Risorse umane delle grandi e medie aziende operanti nel territorio sono stati chiamati, e lo sono tutt’ora, a progettare le figure professionali e ad individuare le competenze richieste dal mercato del lavoro, partendo dall’analisi dei nuovi scenari strategici in termini di innovazione: ecoefficiency, green energy, materiali innovativi, qualità dei processi, tracciabilità... sono tutte tematiche in costante e veloce evoluzione nelle nuove aziende globalizzate, soprattutto del settore automotive.

La presenza congiunta nell’Its delle imprese, università e scuole tecniche garantisce la concretezza del trasferimento di competenze dalla filiera produttiva a quella formativa per poi restituire, alla prima, risorse umane adeguate e pronte per il lavoro. Un vero e proprio circolo virtuoso. Come ha ribadito in più occasioni Claudio Gentili, Responsabile Education di Confindustria, «il matrimonio tra Its ed impresa per funzionare deve essere un matrimonio di interesse».

Fuor di metafora, è proprio questo il vero grande risultato ottenuto dall’Its: aver messo l’azienda, e soprattutto il lavoro, al centro per il bene delle nuove generazioni. Primo perché, una volta garantita la partecipazione attiva delle aziende nella compagine dell’Its, è stato ed è senza dubbio più facile aggregare altri soggetti in

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maniera nuova e fattiva (anche se ognuno inconsciamente nutre ancora alcune resistenze): università, scuole...

Secondo, le aziende sono protagoniste in tutte le fasi necessarie alla costruzione di un profilo professionale efficace: quindi non solo progettazione delle figure, ma anche selezione dei potenziali allievi, docenze tecnico specialistiche con personale qualificato spesso “prestato” gratuitamente (oltre il 50%), progettazione e realizzazione dei project work-tirocini con messa a disposizione di un tutor aziendale, placement dei diplomati (circa il 44% è assorbito dalle aziende ospitanti).

Non ultimo, il carattere di grande flessibilità ed autonomia conferite con lungimiranza dal Miur alle Fondazioni, consente loro di far leva, e con successo, anche sulla natura etica delle imprese, la cosiddetta corporate social responsibility, offrendo l’occasione di “restituire qualcosa” al territorio dove sono nate e prosperano.

Pertanto, al 7° corso Its attivato, il “matrimonio” tra scuola e impresa si sta esprimendo al meglio: le aziende richiedono gli allievi prima del raggiungimento da parte dei ragazzi dell’agognato diploma. Si può dire che la formazione teorica, anche se sempre con forti connotazioni laboratoriali, coniugata all’esperienza maturata on the job raccoglie i suoi frutti.

Un’istruzione terziaria professionalizzante di successo Tornando ai dati nazionali, se nell’a.s. 2010/2011, quando le fondazioni erano 59 con 77 corsi attivati e 1956 studenti, suonavano più come un buon auspicio, anche se lungimiranti, le parole dell’allora sottosegretario all’Istruzione Elena Ugolini «dobbiamo interagire con il mondo del lavoro e formare tecnici specializzati, per dare ai nostri giovani la possibilità di costruirsi un futuro» – oggi, che le fondazioni operanti sono 93, con 300 percorsi attivi e 7214 studenti frequentanti, oggetto di monitoraggio continuo da parte dell’Indire, tanto che la ripartizione dei fondi è su base premiale (vera innovazione per il sistema di formazione italiano!), risultano piene di motivato orgoglio le espressioni entusiastiche dell’attuale sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi, quando dice che «gli ITS ci parlano con i loro numeri! Sono numeri che ci convincono che questa è la strada giusta per ricostruire il legame vincente tra istruzione, formazione, università e impresa». I dati dell’ultimo monitoraggio, comunicati dal Miur a marzo 2017, parlano chiaro: circa l’87.5 dei diplomati Its (erano 81.1% nel 2016 e 57% nel 2013) ha un’occupazione ad un anno dal diploma, di questi il 90,2% con un lavoro coerente al titolo di studio conseguito.

Its e Industria 4.0 In piena quarta rivoluzione industriale, questi dati ci dicono che, sebbene i numeri degli istituti siano ancora piccoli - è la riserva che viene più spesso rivolta alle fondazioni – e nonostante gli istituti siano ancora poco conosciuti - purtroppo ce ne accorgiamo nel reclutamento dei nuovi allievi – gli Its sicuramente hanno generato, anticipando alcune indicazioni contenute nella legge 107/15, un contesto territoriale virtuoso, dove è stata maturata la consapevolezza che l’incremento delle competenze è la reale sfida del futuro, e che la si può vincere solo con l’integrazione scuola-formazione-sistema produttivo.

Tant’è che per la prima volta la Ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, parla all’unisono con i ministri allo Sviluppo, Carlo Calenda, e al Lavoro, Giuliano Poletti, per dire che «stiamo puntando, in un’ottica di attuazione dell’industria 4.0, a moltiplicare gli Istituti tecnici superiori, che sono uno strumento fondamentale di sbocco lavorativo post diploma per i giovani». Dichiarando, che, usciti ormai dalla sperimentazione, occorre almeno triplicare l’esiguo fondo di dotazione riservato a questa che può essere ritenuta, senza ombra di smentita, un’esperienza virtuosa e vincente poiché risponde concretamente ad un bisogno reale del Paese.

Antonio Maffei ITS Nuove Tecnologie per il Made in Italy di Lanciano

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DAL LAVORO ALLA FORMAZIONE

IL LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE AL TEMPO DEL JOBS ACT* di Stefano Consiglio e Luigi Moschera La soddisfazione dei lavoratori somministrati rispetto al proprio lavoro e al rapporto con le agenzie dimostra le potenzialità di questo contratto, specialmente sul fronte delle politiche attive. Lo evidenzia una ricerca commissionata da Ebitemp, di cui si riportano qui i risultati.

Il benessere dei lavoratori in somministrazione Il Jobs Act e le collegate Leggi di stabilità degli ultimi anni con gli incentivi per i contratti a tempo indeterminato hanno notevolmente condizionato le dinamiche del mercato italiano del lavoro sia dal punto di vista delle aziende e delle Agenzie per il lavoro, sia da quello dei lavoratori. Parallelamente, l’aumento dell’utilizzo dei contratti di somministrazione e il sempre crescente aumento del tasso di penetrazione dello strumento nel mercato italiano del lavoro, che ormai ha superato i valori medi europei, hanno dato vita ad un ricco dibattito sull’influenza e l’impatto che tale forma contrattuale può avere sul benessere dei lavoratori e su alcuni loro comportamenti all’interno delle aziende.

Il lavoratore in somministrazione, come noto, rispetto ad altre forme di lavoro dipendente ha la peculiarità di costruire una doppia relazione gerarchica con l’agenzia per il lavoro di riferimento e con l’impresa utilizzatrice presso la quale è inviato in missione. Tale doppia relazione, alla base del cosiddetto dual commitment, rappresenta certamente un elemento di grande interesse, ma nello stesso tempo può influenzare la soddisfazione e più in generale il benessere dei lavoratori in somministrazione. Questa peculiarità, unitamente ai cambiamenti contrattuali legati al Jobs Act, ha ispirato una ricerca nazionale commissionata da Ebitemp sul grado di soddisfazione lavorativa dei lavoratori in somministrazione in Italia.

Nel dibattito pubblico nonostante siano passati ormai quasi venti anni dalla nascita delle agenzie italiane, il cosiddetto lavoro interinale continua ad avere un’immagine non positiva nell’opinione pubblica. Il lavoro in somministrazione e le agenzie per il lavoro sono spesso considerate come un simbolo della precarietà. Ana-

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lizzando, però, nel dettaglio gli aspetti di soddisfazione e benessere dei lavoratori in somministrazione italiani emerge un quadro che di fatto sancisce la caduta di tantissimi stereotipi legati a questa visione. L’indagine realizzata su un campione rappresentativo dell’universo cancella questa immagine del lavoro in somministrazione, mostrando un quadro complessivamente soddisfacente ed una serie di aspetti che evidenziano criticità e problematiche.

L’indagine sui lavoratori in somministrazione è stata realizzata con il coinvolgimento di 17 Agenzie per il lavoro italiane di diverse dimensioni e che complessivamente rappresentano circa il 50% del fatturato del settore. In totale sono stati contattati 67.517 lavoratori, pari a circa il 14,5% del totale dei lavoratori in somministrazione italiani e raccolti circa 10.000 questionari, compilati on line su una piattaforma web, pari al 15% del totale dei lavoratori contattati e al 2,1% del totale dei lavoratori in somministrazione in Italia.

In particolare, molto significativa è stata la rappresentatività dei lavoratori in somministrazione a tempo indeterminato: 2.472 soggetti, che rappresentano circa il 4,8% di tutti i lavoratori a tempo indeterminato in Italia nel 2015.

Tra coloro che hanno compilato il questionario è possibile distinguere tre categorie di lavoratori in somministrazione: 1. lavoratori a tempo determinato (da ora in poi “Td”); 2. lavoratori a tempo indeterminato, precedenti l’entrata in vigore del c.d. Jobs Act (da ora in poi “Ti-pre”); 3. lavoratori a tempo indeterminato assunti a partire dal mese di marzo 2015 e, quindi, con le nuove cornici legislative legate al c.d. Jobs Act e con il sistema di incentivi delle Leggi di stabilità 2014 e 2015 (da ora in poi “Ti-post”).

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La ripartizione per forma contrattuale dei lavoratori in somministrazione che hanno partecipato all’indagine val.

%

Lavoratori TD

7.547

75,32

Lavoratori TI-pre

1.054

10,53

Lavoratori TI-post

1.418

14,15

10.019

100,00

Le dimensioni del benessere analizzate Il campione esaminato ha permesso di analizzare un universo poco conosciuto ed ha consentito di raccogliere informazioni sul percorso professionale, sul rapporto con l’agenzia e con l’azienda utilizzatrice e sul grado di benessere/malessere dei lavoratori in somministrazione italiani.

In particolare sono state indagate numerose tematiche1 ritenute particolarmente rilevanti per i lavoratori in somministrazione, quali, ad esempio: la percezione di insicurezza lavorativa misurata attraverso la percezione dell’incertezza del proprio futuro lavorativo e della possibilità di perdere il lavoro (job insecurity), l’intenzione del lavoratore di abbandonare il proprio lavoro e di cercare attivamente altre opportunità lavorative (turnover intention) e il legame strumentale della persona con il lavoro basato sulla mancanza di alternative (commitment strumentale); il dual commitment, ossia il legame del lavoratore con l’agenzia e con l’azienda in cui sta svolgendo la missione, misurato attraverso il legame affettivo che il lavoratore ha maturato nei confronti dell’agenzia e che fonda il senso di appartenenza e il coinvolgimento con essa (commitment di agenzia) e il legame affettivo che il lavoratore ha maturato nei confronti dell’azienda utilizzatrice e che facilita il coinvolgimento negli obiettivi organizzativi (commitment di azienda); la soddisfazione generale del rapporto con l’agenzia, per la missione in corso, dell’esperienza come lavoratore in somministrazione (rispetto a premi, crescita professionale, opportunità di migliorare il proprio lavoro).

Per quanto riguarda il rapporto contrattuale emergono diversi dati interessanti. È possibile evidenziare un elevato grado di fedeltà tra agenzia e lavoratori: più del 50% dei lavoratori intervistati, a prescindere dalla tipologia contrattuale, ha avuto rapporti con una sola agenzia. Sebbene la normativa consenta ad un lavoratore di lavorare con una pluralità di operatori emerge dall’indagine una relativa stabilità del rapporto tra somministrato ed agenzia.

Un altro importante dato riguarda la formazione, anche in questo caso a prescindere dalla tipologia contrattuale (a tempo determinato o indeterminato),

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emerge che più del 40% dei somministrati è stato coinvolto in un’azione formativa e molto positiva è in media la valutazione della stessa.

Per quanto concerne le cause che hanno portato all’assunzione a tempo indeterminato da parte dell’agenzia emerge che soltanto nel 25% dei casi questa scelta sia dettata dall’aver superato i 36 mesi con un contratto a tempo determinato; nel 75% dei casi, infatti, si è in presenza di una decisione volontaria dell’agenzia e non imposta dalla normativa.

Il lavoratore in somministrazione, a prescindere dal tipo di contratto (tempo determinato o indeterminato), è una persona che non si sente discriminata sul posto di lavoro, è emotivamente legato all’azienda in cui svolge la missione, è molto soddisfatto del rapporto con l’agenzia, con i colleghi e con l’azienda utilizzatrice. Tutti i valori legati alla soddisfazione – nel rapporto con l’Agenzia, relativi alla singola missione in corso e alla soddisfazione dell’esperienza di lavoro in somministrazione – sono sopra la media e in molti casi abbondantemente sopra la media. Analoghi sono i risultati relativi al grado di commitment e al legame del lavoratore sia con l’agenzia, sia con l’azienda utilizzatrice.

Positiva è anche la soddisfazione legata alle iniziative di Ebitemp, logicamente soprattutto per coloro che ne hanno usufruito; discorso analogo per le iniziative formative o quelle potenziali di programmi di ricollocazione.

L’indagine, però, evidenzia al tempo stesso anche quelli che invece sono i punti critici e da monitorare.

I lavoratori in somministrazione evidenziano un tendenziale malessere sul fronte del grado di autonomia sul lavoro, sulla pressione temporale, sulla retribuzione incentivante e sulle prospettive di carriera, oltre che sull’incertezza verso il futuro.

Queste criticità sono connaturate a questa forma contrattuale, anche se l’affermarsi del contratto di somministrazione a tempo indeterminato fornisce alle agenzie lo stimolo per ripensare le proprie politiche di gestione del personale in somministrazione.

Nella tabella 2 sono presentati i “profili” tipo del lavoratore soddisfatto e di quello soddisfatto. E’ abbastanza evidente come l’età, il titolo di studio e le caratteristiche del mercato territoriale del lavoro siano tra gli elementi più collegati alla soddisfazione. I lavoratori più soddisfatti, prescindendo dalle differenti tipologie contrattuali, sono quelli con un basso tasso di istruzione, giovani e delle regioni con un mercato del lavoro più asfittico. Più in generale sono quelli che vedono il lavoro in somministrazione come un’opportunità di crescita e/o di inserimento nel mercato del lavoro e non come una scelta di ripiego.

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Soddisfazione e insoddisfazione: elementi di sintesi Profilo dei lavoratori più soddisfatti

Profilo dei lavoratori meno soddisfatti

- in egual misura sia uomini che donne - hanno meno di 24 anni - in pochi casi hanno più di 50 anni - hanno come titoli di studio la licenza elementare o media o la qualifica professionale - in pochi casi sono laureati - solitamente risiedono nelle regioni del Sud o nelle isole - in pochi casi risiedono nel Nord Ovest

- in egual misura sia uomini che donne - hanno tra i 30 e 39 anni - in pochi casi hanno meno di 24 anni - sono laureati - in pochi casi hanno come titolo di studio la licenza elementare o media - risiedono in egual misura in tutte le aree geografiche del Paese

Confronto fra somministrazione a tempo determinato e a tempo indeterminato Una parte considerevole dello studio ha riguardato l’analisi del legame tra la specifica tipologia contrattuale (Td, Ti-pre, Ti-post) dei lavoratori in somministrazione e alcune delle principali dimensioni del benessere prima descritte, e nello specifico: job insecurity, intenzioni di turnover, commitment strumentale, il dual commitment affettivo, il grado di soddisfazione lavorativa, prendendo in considerazione i suoi diversi ambiti.

Appare rilevante confrontare le tre tipologie di lavoratori in somministrazione in base alle otto variabili chiave per le quali è indicato il punteggio medio standardizzato ottenuto nelle tre categorie prese in considerazione. Si segnala che i punteggi più elevati (rappresentati da quelli più distanti dal centro della ragnatela) hanno un valore positivo per tutte le dimensioni, tranne la job insecurity e le intenzioni di turnover (turnover intention e commitment strumentale), per le quali punteggi più alti hanno una valenza negativa.

I lavoratori che risultano più soddisfatti nei vari aspetti e che percepiscono una minore insicurezza legata allo strumento contrattuale della somministrazione risultano i lavoratori assunti dopo il marzo 2015 e, quindi, con un contratto a tutele crescenti.

I lavoratori Ti-post sono quelli con i valori di maggiore soddisfazione e benessere, con valori positivi relativi al dual commitment e alle variabili dell’insicurezza lavorativa e alla turnover intention. Anche la soddisfazione presenta un punteggio elevato, soprattutto se confrontato con quello dei Ti-pre, i quali al contrario presentano le maggiori criticità, come è possibile desumere dal grafico 1.

Per quanto concerne i lavoratori Td, la soddisfazione, soprattutto quella per la missione corrente, presenta

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il valore più alto; al contrario, come d’altro canto ci si aspetta, le maggiori criticità riguardo la job insecurity e il commitment strumentale.

Tali dati devono essere scomposti e analizzati nelle loro componenti di fondo, ma un elemento che spiega e giustifica tale risultato, non in linea con l’immaginario collettivo e con la narrazione che solitamente accompagna la riforma del lavoro, è legato alla dimensione temporale.

Gioca un ruolo chiave, infatti, nel processo di soddisfazione e benessere il passaggio da uno stato di maggiore insicurezza/precarietà, quale essere inoccupato o assunto a tempo determinato, a un’assunzione a tempo indeterminato, anche se con un contratto a tutele crescenti. Nel breve periodo, quindi, ci si poteva aspettare una valutazione del genere. Per avere un quadro più corretto ed esprimere una valutazione più completa sarà necessario ripetere la valutazione nel medio periodo. Dopo la fase iniziale in cui assume importanza il “passaggio” seguirà una fase temporale in cui l’assunzione sarà stata metabolizzata e sarà considerata “data per scontata” e agiranno altri elementi sulla valutazione generale del grado di benessere e insicurezza sul lavoro.

I dati della ricerca nel suo insieme delineano un profilo medio del lavoratore in somministrazione complessivamente positivo, dal quale non sembrano emergere particolari criticità. Infatti, emerge un buon livello di soddisfazione sia della missione, soprattutto per i lavoratori Td, sia del rapporto con l’agenzia, per i Td e i Ti-post. Leggermente inferiore, ma comunque è discreta, è la soddisfazione per l’esperienza come lavoratore in somministrazione, soprattutto per i Ti-pre.

Principali differenze per tipologia di contratto

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Per quanto riguarda il commitment, il punteggio più alto fa riferimento a quello strumentale. Questo dato fa pensare che il legame con questo tipo di lavoro sia basato in primis su una valutazione costi-benefici e sulla mancanza di alternative legate soprattutto ad un’assunzione di tipo subordinato classica. Tuttavia, emerge anche un discreto commitment di tipo affettivo sia nei confronti dell’agenzia, sia dell’azienda utilizzatrice, soprattutto per i Ti-post. I Ti-post e i Td sono anche le categorie che vivono i livelli più bassi di job insecurity.

La suddivisione del campione in tre gruppi ha permesso di analizzare e rilevare importanti differenze tra tipologie diverse di lavoratori in somministrazione e dunque offrire un contributo alle agenzie italiane nell’individuare strategie di intervento per promuovere il benessere e migliorare le prestazioni dei lavoratori in somministrazione.

Nel corso del 2017 è stata realizzata una seconda rilevazione con un maggior numero di Agenzie coinvolte e di questionari somministrati; tale indagine i cui risultati saranno disponibili all’inizio del 2018 consentirà di monitorare possibili cambiamenti nel benessere e nella soddisfazione dei lavoratori, suddivisi per categorie nel corso del tempo. In particolare, sarà interessante e utile indagare la stabilità di atteggiamenti e percezioni dei profili individuati, per comprendere in che misura le differenze tra lavoratori con contratto a tempo indeterminato “pre” e “post” si mantengono nel tempo, o se invece sono differenze legate alla trasformazione a tempo indeterminato che tendono ad affievolirsi nel tempo.

In altre parole, la retribuzione e la relativa stabilità offerta dal contratto, può rappresentare in una fase iniziale un fattore motivante, ma nel lungo periodo, se non supportata da altri elementi, potrebbe trasformarsi in un fattore che non genera più soddisfazione positiva, ma che almeno sia in grado di prevenire contesti di lavoro con elevata insoddisfazione.

Un nuovo rapporto delle agenzie con il lavoratore Il processo di consolidamento ed istituzionalizzazione delle Agenzie per il lavoro in Italia a circa 20 anni dalla legge istitutiva, si rafforza ulteriormente grazie all’attenzione che progressivamente le agenzie pongono rispetto al rapporto con i lavoratori. In fase di costituzione del comparto la relazione triangolare tra agenzia, impresa utilizzatrice e lavoratore era tendenzialmente spostata sugli interessi dell’impresa, in una sorta di triangolo isoscele con il lavoratore idealmente “lontano” da agenzia e azienda utilizzatrice. L’agenzia guardava all’impresa come il cliente e alla forza lavo-

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ro come il fornitore. Il lavoratore era lo strumento per soddisfare il bisogno dell’impresa utilizzatrice. Con il passare degli anni le agenzie hanno in parte modificato il loro approccio nei confronti dei lavoratori. La capacità di riuscire a costruire un rapporto fecondo e reciprocamente soddisfacente con i lavoratori è diventata la chiave di volta per riuscire, infatti, a garantire un servizio di qualità alle imprese utilizzatrici. La scelta di sperimentare l’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori in somministrazione, il maggiore ruolo (anche in prospettiva) nelle politiche attive per il lavoro, sono sicuramente dei segnali importanti di questa nuova tendenza, che con gli sgravi contributivi si è ulteriormente consolidata.

Non è un caso che nell’indagine svolta sui lavoratori inizi ad emergere un forte legame tra agenzia e lavoratore, un legame che porta il triangolo lavoratore-agenzia-azienda ad essere sempre più un triangolo equilatero e le agenzie sempre più attori che percepiscono come clienti sia i lavoratori, sia le aziende utilizzatrici.

Non è un caso, quindi, neanche il positivo stato di benessere organizzativo e di soddisfazione fatto registrare dall’indagine sui lavoratori in somministrazione, prescindendo dalla forma contrattuale a tempo determinato o indeterminato.

La capacità di gestire in modo innovativo i lavoratori in somministrazione, garantire la stabilità dei rapporti lavorativi e superare le criticità legate all’incertezza, agli incentivi e alla carriera rappresenteranno le sfide di frontiera del comparto nel corso dei prossimi anni, soprattutto sul fronte delle politiche attive del lavoro.

Stefano Consiglio Università Federico II - Napoli

Luigi Moschera

Università Parthenope - Napoli

Note * Il presente articolo è un estratto di una ricerca Ebitemp pubblicata in S. Consiglio - L. Moschera, Le Agenzie per il Lavoro e i lavoratori in somministrazione dopo il “Jobs Act”, FrancoAngeli, Milano 2016. La ricerca è stata realizzata con il coordinamento scientifico del Prof. Stefano Consiglio (ordinario di Organizzazione Aziendale presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II) e del Prof. Luigi Moschera (ordinario di Organizzazione Aziendale presso l’Università degli Studi di Napoli Parthenope). Gli aspetti affrontati in tale contributo sono stati indagati in collaborazione con Laura Borgogni (professore ordinario di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza), Chiara Consiglio (ricercatore e docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza), Mariavittoria Cicellin (Assegnista di ricerca e docente di Organizzazione aziendale presso l’Università degli studi di Napoli Federico II), Pietro Menatta, Gianluca Cepale e Valerio La Mura (Università degli studi di Roma La Sapienza).

1 Per approfondimenti cfr.: S. Consiglio – L. Moschera, ibidem.

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DAL LAVORO ALLA FORMAZIONE

OLTRE LA SOMMINISTRAZIONE COME EVOLVE IL RUOLO DELLE AGENZIE di Claudio Soldà Come è noto, la riforma Biagi abolì l’obbligo per le agenzie del lavoro di avere come oggetto sociale esclusivo la somministrazione. Ciò ha consentito alle Agenzie più strutturate, come Adecco, di sviluppare col tempo servizi innovativi finalizzati all’accompagnamento delle persone nelle transizioni occupazionali.

Il carattere polifunzionale delle agenzie Il ruolo delle Agenzie per il Lavoro è riconosciuto come essenziale per il contributo offerto alla realizzazione di un più efficiente e trasparente incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Gli operatori privati rappresentano uno strumento utile a migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro, in particolare per la realizzazione delle politiche della c.d. flexicurity; partecipano alla formazione di una forza lavoro più qualificata, affrontando la sfida rappresentata dalla rapida evoluzione delle competenze necessarie al mercato; generano investimenti nella formazione cercando di anticipare le esigenze in termini di skill; forniscono servizi di orientamento e di collocamento, di qualificazione o riqualificazione, fondamentali per aumentare le produttività, la crescita economica e la conseguente occupazione; offrono percorsi di mobilità professionale e geografica, rendendo più efficiente la collocazione delle risorse e del capitale umano; contribuiscono all’aumento della qualità del lavoro e a garantire adeguate condizioni di lavoro.

Flexicurity Con il termine Flexicurity si intendono tutte quelle politiche che cercano di favorire, nel contempo, la flessibilità del mercato del lavoro e la sicurezza sociale. Si tratta di un approccio inventato in Svezia che unisce alle tradizionali politiche passive di sostengo ai disoccupati strategie finalizzate ad attivare chi è temporaneamente senza lavoro per facilitare il suo (re-)inserimento nel mercato del lavoro.

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Svolgono un ruolo centrale nel mercato del lavoro, costituendo un reale canale di comunicazione tra domanda e offerta di lavoro.

L’attività di intermediazione, combinando le competenze dei lavoratori con le esigenze delle imprese, si è sviluppata intorno al ruolo polifunzionale svolto dalle agenzie riconosciuto dalla normativa1: non solo lavoro in somministrazione a tempo determinato, ma anche lavoro in somministrazione a tempo indeterminato, ricerca e selezione, formazione e outplacement.

Grazie alla estensione dell’oggetto sociale previsto dalla legge e allo sviluppo del sistema della bilateralità di settore, le Agenzie per il Lavoro svolgono una rilevante funzione sociale rispondendo alle esigenze di tutela, garanzia e continuità professionale dei lavoratori, e contemporaneamente soddisfano il bisogno di flessibilità e competenze espresse dalle realtà aziendali in un mondo del lavoro in rapido cambiamento.

Le trasformazioni cicliche dell’economia, le fluttuazioni stagionali della domanda, le trasformazioni sociali, i progressi della tecnologia e i nuovi approcci al lavoro richiedono soluzioni innovative e flessibili per permettere alle organizzazioni e alle persone di adattarsi ai profondi cambiamenti. Le agenzie per il lavoro possono contribuire a realizzare quelle soluzioni.

La dimensione qualitativa del ruolo degli operatori privati autorizzati e accreditati, oltre a quella espressa nell’attività di somministratori di lavoro, trova piena espressione nel concetto di “agenzie di transizione”. Si può parlare infatti del ruolo di “agenti della transizione” svolto dalle Agenzie per il lavoro nei momenti di cambiamento della vita professionale delle persone, o meglio nei punti cruciali di svolta dei rispettivi percorsi professionali.

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L’ “agente di transizione” offre un supporto indispensabile nei momenti chiave quali: • transizione scuola – lavoro – scuola: interventi finalizzati a facilitare la relazione tra le istituzioni del sistema educativo e delle aziende. Anche alla luce delle più recenti normative2 sull’alternanza scuola-lavoro, l’attività di educazione al lavoro e di orientamento agli studenti delle scuole secondarie superiori e università crea maggior consapevolezza nei giovani per la scelta dei successivi percorsi formativi, di studio, o professionali; • transizione scuola – formazione – lavoro: le Agenzie offrono percorsi di formazione professionale mirati all’inserimento lavorativo di giovani al termine dei percorsi di studio; • transizione disoccupazione – formazione: nello sviluppo di politiche attive del lavoro, le persone disoccupate vengono inserite in percorsi di formazione professionale promossi attraverso il sistema bilaterale del settore; • transizione disoccupazione – lavoro: attraverso l’attività di matching tra domanda e offerta di lavoro; • transizione lavoro – lavoro: si affiancano i lavoratori occupati nella scelta di nuove, diverse e migliori opportunità di lavoro; • transizione lavoro precario – lavoro stabile e tutelato: le Agenzie contribuiscono all’emersione del lavoro irregolare, offrendo una forma contrattuale con garanzie e tutele; • transizione lavoro – pensione: individuazione di percorsi progressivi (opportunità di lavoro Part Time) verso la pensione, nell’ultimo periodo di lavoro. Attività di matching nell’adozione della c.d. staffetta intergenerazionale; • transizione esclusione – inclusione: promozione di misure di politica attiva o di progetti a carattere speciale per l’inclusione lavorativa di fasce deboli della popolazione.

Esistono già molte esperienze concrete che dimostrano il potenziale che le Agenzie per il Lavoro rappresentano come “agenti della transizione” nel mercato del lavoro, a livello nazionale e a livello europeo3.

Alcune iniziative innovative promosse da Adecco Rispetto al ruolo di facilitatore della relazione tra mondo dell’educazione e mondo produttivo, Il Gruppo Adecco ha promosso e realizzato percorsi di conoscenza, accompagnamento nel mondo del lavoro per migliaia di studenti e giovani. Le iniziative di educazione al lavoro sono mirate ad orientare le giovani generazioni nelle scelte degli studi e dei percorsi professionali. Di seguito si riporta la descrizione di alcuni fra i programmi più rilevanti attuati dall’Agenzia.

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TecnicaMente TecnicaMente, nato nel 2014, è destinato agli studenti delle scuole superiori di secondo grado con indirizzo tecnico e agli studenti universitari.

L’edizione 2016 ha coinvolto 50 istituti e alcune Facoltà di Ingegneria Industriale degli indirizzi di Ingegneria Meccanica, Gestionale, Chimica ed Elettronica.

I giovani hanno l’opportunità di presentarsi alle aziende attraverso i progetti di tesi sviluppati durante il percorso di studio e di essere coinvolti in un processo di valutazione, strutturato attraverso la metodologia dell’assessment center. Le aziende hanno così la possibilità di incontrare giovani di talento, strutturare un piano di sviluppo delle competenze attraverso l’inserimento di risorse di alto potenziale e svolgere attività di employer branding.

Nel 2016, con l’introduzione della Legge 107/2015, TecnicaMente si è anche evoluto verso un nuovo modello: “TecnicaMente 3.0”, che si integra con il percorso di Alternanza Scuola Lavoro e che prevede un percorso Assessment center L’Assessment center è una metodologia di indagine utilizzata per valutare le competenze di persone che si candidano per una determinata posizione lavorativa.

Viene utilizzata sia per la selezione di nuovo personale sia per la mappatura delle risorse umane interne al fine di sviluppare piani di carriera.

L’Assessment center si compone di varie prove che simulano la realtà operativa e organizzativa dell’azienda.

Durante le prove alcuni osservatori registrano i comportamenti delle persone coinvolte valutandone le competenze relazionali, manageriali e di leadership, il problem solving e la flessibilità.

Tali prove possono essere svolte in gruppo, in coppia o individualmente. Alle prime appartengono, ad esempio: • Dinamica di gruppo: consiste in una discussione finalizzata alla soluzione di un problema fittizio (ad es.: un caso aziendale), dove ciascuno dei partecipanti è chiamato a contribuire; • Role play: gioco di ruolo in cui i partecipanti devono assumere un ruolo predefinito (ad es. una funzione prevista dall’organizzazione aziendale).

Sono prove individuali: • In Basket: simulazione che richiede al candidato di prendere decisioni in merito a problemi che trova sulla scrivania del proprio ufficio attraverso l’invio di email, messaggi...

• Test attitudinali Oltre alle prove, l’Assessment si avvale generalmente anche di colloqui individuali. Una tecnica molto diffusa per condurre i colloqui di selezione è la c.d. Bei (Behavioural Event Interview), teorizzata da McClelland. Nella Bei all’intervistato viene chiesto di raccontare il proprio comportamento in occasione di un incidente critico

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Employer branding Per employer branding si intendono tutte quelle azioni che un’azienda intraprende per comunicare ai potenziali futuri collaboratori, quali sono le caratteristiche che rendono peculiare il proprio marchio e il posto di lavoro presso la propria organizzazione.

Tale comunicazione può riguardare caratteristiche concrete (diffusione del prodotto, retribuzione del lavoro…) oppure simboliche (notorietà, prestigio…)

scolastico e post scolastico di sviluppo delle competenze e di work experience.

Way to Work Way to Work, programma internazionale in favore dei giovani di tutto il mondo per sostenerli nel percorso di ricerca di un lavoro e incoraggiarli a riconoscere e sviluppare il proprio talento.

L’obiettivo del programma è quello di aiutare i giovani a migliorare la propria employability (profilo di occupabilità) per introdurli nel mondo del lavoro, forti di quel mix di skill e competenze che le aziende cercano e che, sempre più spesso, faticano a trovare.

Il programma Way to Work, che a livello globale coinvolge 60 paesi, in Italia nel 2016 ha visto la partecipazione di 150 dipendenti Adecco che si sono messi a disposizione di oltre un migliaio di giovani per orientarli e ispirarli nelle loro scelte professionali.

Athlete Career Programme Athlete Career Programme, inizialmente denominato “Master 2000” e attivo dal 2001 in conseguenza di un accordo esclusivo tra Adecco Italia ed il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (Coni), ha l’obiettivo di fornire agli atleti di alto livello che stanno terminando la carriera sportiva un percorso di orientamento e di educazione al lavoro finalizzato ad agevolare il loro ingresso nel mercato del lavoro.

Si tratta di una vera e propria transizione di carriera: da quella sportiva agonistica a quella professionale.

Il Progetto si è inizialmente sviluppato attraverso una fase pilota che ha coinvolto 7 Federazioni Nazionali Sportive (Federazione Italiana Pallacanestro, Federazione Italiana Pallavolo, Federazione Ciclistica Italiana, Federazione Ginnastica d’Italia, Federazione Lotta, Pesi, Judo Karate, Federazione Italiana Nuoto, Federazione Italiana Hockey e Pattinaggio) e 50 atleti di altissimo livello identificati in virtù di criteri condivisi con la Direzione Preparazione Olimpica.

In seguito ai risultati ottenuti in Italia ed in Spagna in cui è stata sperimentata la fase di sviluppo ed applica-

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zione della metodologia, dal 2005 il Progetto è stato sviluppato a livello mondiale grazie ad un accordo tra il Gruppo Adecco ed il Comitato Olimpico Internazionale (International Olympic Committee “Athlete Career Programme”).

Nel 2007 viene siglato ufficialmente anche il primo Accordo di collaborazione tra il Gruppo Adecco ed il Comitato Paralimpico Internazionale (International Paralympic Committee “Athlete Career Programme”) dando così vita a progetti locali di formazione ed orientamento al lavoro per atleti paralimpici.

In occasione delle Olimpiadi di Londra, il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale ed il Presidente dell’International Olympic Committee hanno sottoscritto il rinnovo dell’accordo internazionale, con validità fino al 31 dicembre 2020.

Il progetto è dedicato ad atleti di alto livello che, segnalati dalle Federazioni Nazionali Sportive o dal Coni, devono aver partecipato ad una delle seguenti competizioni: • Olimpiadi e Paralimpiadi • Campionati del Mondo • Campionati Europei • Giochi del Mediterraneo • Incontri internazionali • Campionati di Serie A e B • Campioni nazionali assoluti e di categoria L’iniziativa è stata strutturata per sostenere l’ingresso degli atleti di vertice nel mondo del lavoro sia durante la carriera sportiva sia alla fine della carriera, che avviene mediamente intorno a trent’anni.

La sfida principale per molti atleti è gestire la transizione delle loro caratteristiche personali e delle loro competenze dal mondo sportivo ad una carriera professionale di successo nel mondo del lavoro.

Va considerato che gli sportivi sviluppano, durante la loro attività, attitudini particolari quali forza di volontà, capacità di lavorare in team, facilità di risposta di fronte a situazioni di stress, metodologie di lavoro per obiettivi, capacità di creare un clima positivo, rispetto per le regole, quindi disciplina; tutte caratteristiche valide tanto quanto l’esperienza e la formazione.

Le attività previste per lo sviluppo del progetto sono: • Colloqui conoscitivi e motivazionali individuali e/o di gruppo; • Orientamento formativo: riguarda tutte le informazioni sulla ricerca del lavoro, i canali da intraprendere e gli strumenti da utilizzare per cercare lavoro; • Orientamento informativo: permette di trasferire tutte le informazioni utili relative al mercato del lavoro ed in particolare quelle che riguardano le leggi che regolano il mercato del lavoro e le tipologie contrattuali; • Consulenza orientativa per la definizione del Proget-

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La sede di Adecco Italia in via Tolmezzo a Milano

to Professionale e dell’Obiettivo Professionale; • Seminari di Transizione di Carriera e Gestione del Cambiamento; • Formazione Professionale di Base (in gruppo); • Formazione Professionale Avanzata (in gruppo); • Accompagnamento all’inserimento lavorativo; • Tutoraggio e Monitoraggio costante; • Diffusione delle buone prassi attraverso la raccolta di testimonianze di atleti di vertice che lavorano grazie al contributo dell’Ioc/Ipc Acp; • Organizzazione di workshop e seminari formativi per atleti in preparazione Olimpica; • Organizzazione di giornate in azienda per familiarizzare con i contesti aziendali; Adecco ed il Coni, nella conduzione del progetto, si avvalgono della collaborazione di una rete di partner, pubblici e privati, che condividono gli obiettivi dell’iniziativa: le Federazioni Nazionali Sportive e le Discipline Associate, i Coni Regionali e Provinciali, le Leghe Sportive Professionistiche, la Pubblica Amministrazione, le Aziende pubbliche e private, le Società Sportive e le Associazioni Sportive di diverso tipo.

Sono oltre 1.500 gli atleti italiani coinvolti nel progetto.

Fondazione Adecco per le Pari Opportunità Se guardiamo invece alla funzione nel ruolo di agente di transizione tra condizione di esclusione e condizione di inclusione nel mercato del lavoro, Adecco, al di là del carattere sociale proprio delle attività svolte, ha promosso e realizzato un’iniziativa di responsabilità sociale di rilevante impatto sulla comunità.

Nel 2001, per rispondere a nuove istanze e nuovi bisogni della società, ha costituito la Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, un soggetto no profit dedicato a persone con svantaggio nel mondo del lavoro.

La Fondazione vuole contribuire alla realizzazione di un mercato del lavoro accessibile nel rispetto dei principi di non discriminazione, pari opportunità, diritto al

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lavoro e inclusione sociale, in cui ogni persona abbia la possibilità di esprimere il proprio potenziale valorizzando la propria diversità.

La Fondazione rivolge il proprio impegno a persone in situazione di svantaggio nel mercato del lavoro, in particolare a: giovani con difficoltà d’ingresso nel mondo del lavoro, persone over 40, persone disoccupate di lunga durata, donne con familiari a carico, persone con disabilità e persone con lo status di rifugiate.

Con il percorso di educazione al lavoro e i progetti di accompagnamento al mondo del lavoro, la Fondazione Adecco fornisce ai beneficiari tutte le com­petenze necessarie ad affrontare con consapevolezza e autonomia il mondo del lavoro. Il percorso di educazione al lavoro si sviluppa in cinque macro fasi: 1. colloquio conoscitivo; 2. orientamento; 3. analisi delle competenze e dei fabbisogni formativi; 4. accompagnamento al lavoro; 5. monitoraggio.

Le persone che hanno beneficiato dei percorsi di educazione e integrazione al lavoro sviluppati dalla Fondazione sono oltre 8.000.

Sulla base di queste esperienze, possiamo affermare che il contributo delle Agenzie per il Lavoro non comporta esclusivamente un più efficiente ed efficace incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma incide positivamente sulla qualità generale del mercato del lavoro e della vita delle persone.

Claudio Soldà CSR & Public Affairs Director – Adecco Italia

Note Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

Legge 13 luglio 2015, n. 107.

3 E. Voss et al., The Role of Temporary Agency Work and Labour Market Transitions in Europe: Institutional frameworks, empirical evidence, good practice and the impact of social dialogue, Final Report, Hamburg, 2013. Disponibile su eurociett.eu 1 2

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DAL LAVORO ALLA FORMAZIONE

SOMMINISTRAZIONE E LAVORATORI DISABILI di Raffaella Meloni Ora le imprese utilizzatrici possono computare ai fini dell’assolvimento dell’obbligo relativo al collocamento mirato i lavoratori disabili impiegati tramite somministrazione. Nonostante un’applicazione normativa regionale piuttosto disomogenea, gli effetti di questa novità introdotta dal D.lgs. 81/2015 sono senz'altro positivi.

La recente apertura del Legislatore Il tema dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità ha visto il Legislatore impegnato, di recente, in quella che può essere letta come una vera a propria ridefinizione della normativa del collocamento mirato che, da un lato, va letta nell’ottica della semplificazione e dell’omologazione delle procedure a livello nazionale e, dall’altro, va nella direzione di ampliare le opportunità di inserimento lavorativo di una fascia debole della popolazione attiva rappresentata, appunto, dalle persone con disabilità in età lavorativa.

Proprio in quest’ottica si colloca l’apertura del Legislatore nei confronti della somministrazione di lavoro di soggetti disabili introdotta dal D.Lgs. 81/2015 (“Disciplina organica dei rapporti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”).

Guardando indietro, ad un passato molto recente, si può ben ricordare come i lavoratori somministrati dalle Agenzie per il Lavoro non potessero essere computati nell’organico della società utilizzatrice ai fini dell’applicazione delle normative di legge (o di contratto collettivo), fatte salve le regole in materia di salute e sicurezza sul posto di lavoro. A questa norma generale si faceva proprio riferimento quando si escludevano i lavoratori somministrati anche dalla cosiddetta base di computo utile per calcolare le quote di riserva che l’utilizzatore doveva riservare ai disabili.

Ebbene, il Decreto 81, all’articolo 34, comma 3, secondo periodo, recita: «In caso di somministrazione di lavoratori disabili per missioni di durata non inferiore a dodici mesi, il lavoratore somministrato è computato nella quota di riserva di cui all’articolo 3 della legge 12 marzo 1999, n. 68».

A seguito di questa norma quindi, tutte le agenzie per il lavoro in possesso di regolare autorizzazione mini-

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steriale (ai sensi del D.Lgs. 276/2003), hanno la possibilità di assumere lavoratori con disabilità, di inviarli in missione presso le aziende utilizzatrici e di far sì che queste ultime possano adempiere all’obbligo, vedendosi riconosciuta la copertura delle cosiddette quote di riserva destinate ai disabili.

Le convenzioni per il collocamento mirato come prime forme di flessibilità Per inquadrare al meglio quello che potrebbe apparire come un innovativo e audace orientamento del Legislatore è opportuno specificare che, dall’introduzione del concetto di collocamento mirato in poi, la Legge nel corso del tempo ha introdotto alcune forme di flessibilità a favore delle aziende obbligate da leggersi, se non in alternativa, quantomeno come complemento delle assunzioni dirette a tempo determinato o indeterminato.

La Legge infatti consente ai datori di lavoro di adempiere agli obblighi (o ad una parte di essi) con la stipula di convenzioni attivabili tra l’azienda, gli enti territoriali e alcuni altri soggetti che ne hanno facoltà.

La prima di queste fattispecie, e anche la più utilizzata, è sicuramente la convenzione ex art. 11 introdotta dalla L. 68/1999 che si configura come un accordo, stipulato tra il Centro per l’Impiego territorialmente competente e il datore di lavoro (pubblico o privato), nel quale vengono definiti e dettagliati tempi e modalità di assunzione dei lavoratori disabili nell’ottica di costruire insieme un programma progressivo di copertura delle quote di riserva che tenga conto anche della realtà produttiva dell’azienda e della propensione al lavoro del disabile.

La convenzione ex art. 11 può prevedere ad esempio assunzioni a tempo determinato, periodi di prova più

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lunghi in deroga a quelli previsti, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento e con una durata massima più lunga rispetto a quella consentita in caso di tirocini con altre categorie di lavoratori.

Le altre tipologie di convenzioni attivabili hanno come denominatore comune, diversamente da quella sopra citata, il principio in base al quale i datori di lavoro possono adempiere ad una parte dei loro obblighi mediante l’affidamento di commesse ai cosiddetti “soggetti ospitanti o destinatari” identificabili tra: cooperative sociali, imprese sociali, datori non soggetti all’obbligo di riserva. In base a questa fattispecie, si configura quindi un contratto di appalto che, per essere valido ai fini dell’adempimento degli obblighi, necessita della stipula a monte di una convenzione con gli uffici competenti.

In riferimento a questo schema, tre sono le tipologie di convenzioni che possono essere attivate, ognuna con presupposti, limiti e declinazioni differenti: le convenzioni ex art. 12 L. 68/1999, le convenzioni ex art. 12–bis L. 68/1999 (introdotte dalla Legge 24 dicembre 2007 n.

247) e le convenzioni ex art. 14 D.Lgs. 276/2003.

In questo scenario, l’introduzione del contratto di somministrazione come strumento per l’adempimento di cui all’art. 3 della L. 68/1999, per il fatto di avvenire ex lege e senza la necessità di stipula di convenzioni, è sicuramente la novità legislativa più interessante in termini di flessibilità e di opportunità per i lavoratori con disabilità di aumentare le loro chance di inserimento lavorativo.

L’applicazione dell’art. 34 a livello regionale e il caso della Regione Umbria A distanza di poco più di due anni dall’introduzione di questa normativa, è infatti doveroso affermare che i risultati, in termini di occupabilità delle “risorse” con disabilità sono positivi.

L’aspetto non altrettanto positivo riguarda invece la mancanza di omogeneità che l’applicazione della norma ha avuto da parte delle commissioni deputate, a livello provinciale e regionale, al rilascio del documento di nulla osta all’assunzione e di computabilità nelle quote di riserva dell’utilizzatore.

In alcuni territori infatti la procedura richiesta per fare rientrare il lavoratore disabile, assunto tramite contratto di somministrazione della durata di almeno 12 mesi, nel computo delle quote di riserva dell’azienda utilizzatrice prevede una modalità pressoché analoga a quella già prevista per le assunzioni dirette da parte delle aziende.

Nello specifico, deve essere l’Agenzia per il Lavoro a presentare richiesta di nulla osta agli uffici del colloca-

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mento mirato di competenza o, lì dove attivi, ai Servizi di Inserimento Lavorativo Disabili (i cosiddetti Sild).

Sarà poi l’ente competente, previa verifica dell’effettiva appartenenza del lavoratore alle liste dei disabili, della compatibilità dell’invalidità con la mansione e dell’effettiva sussistenza degli obblighi a carico dell’azienda utilizzatrice, a comunicare l’esito positivo di richiesta di nulla osta ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. 81/2015. Solo a quel punto l’Agenzia per il Lavoro potrà formalizzare l’assunzione in somministrazione e l’azienda utilizzatrice avrà, ex nunc, il riconoscimento della copertura della sua quota di riserva per il periodo di durata del contratto.

Di contro, altre commissioni territoriali, tra le quali anche quelle di Milano e Roma, hanno dato un’interpretazione letterale della norma rifacendosi all’espressione, utilizzata dallo stesso articolo 34 del D.Lgs. 81/2015, che parla appunto di “lavoratore computato nella quota di riserva”. In questo caso la procedura prevede che sia l’azienda utilizzatrice ad inoltrare all’ente competente richiesta formale di computo corredata da: copia del contratto di somministrazione, copia del verbale di invalidità del lavoratore con diagnosi in omissis e copia del modello Unilav dell’Agenzia per il Lavoro.

L’unica interpretazione che differisce in maniera sostanziale dall’indirizzo comune è, senza ombra di dubbio, quella della commissione competente della Regione Umbria che, basandosi sull’utilizzo da parte del legislatore della parola “computato” ha collegato la disposizione in questione all’art. 4, comma 3-bis, della Legge 68/1999 (così come introdotto dal D.Lgs. 151/2015) recante “criteri di computo della quota di riserva”, la quale consente al datore di lavoro di computare nella quota di riserva, di cui all’art. 3, lavoratori già disabili prima della costituzione del rapporto di lavoro, anche se assunti fuori dalle procedure del collocamento mirato, purché abbiano una riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 60%1.

Confermando questa interpretazione, la Regione Umbria introduce una procedura che, così declinata, sembrerebbe vanificare l’obiettivo finale della norma e l’occupabilità stessa delle persone con disabilità.

L’interpretazione data dalla Regione Umbria, seppur degna di menzione per la sua singolarità, rimane fortunatamente un caso isolato che non sembra compromettere un’applicazione della norma chiara e fluida a livello nazionale e questo nonostante le disomogeneità tra Regioni, e addirittura tra Province della stessa regione, in relazione alle procedure per ottenere il riconoscimento della computabilità sulle quote di riserva dell’utilizzatore.

La chiarezza del quadro normativo è stata peraltro confermata anche dalla recente risposta della Direzio-

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Condizioni di disabilità (art. 1, comma 1, L. 68/1999) • persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%; • persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33 per cento; • persone non vedenti o sordomute, di cui alle leggi 27 maggio 1970, n. 382, e successive modificazioni, e 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni; • persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio con minorazioni ascritte dalla prima all’ottava categoria di cui alle tabelle annesse al Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, e successive modificazioni.

ne Generale delle Attività Ispettive del Ministero del Lavoro all’Interpello n. 26 del 30 dicembre 2016 con il quale Assolavoro, in riferimento a quanto disposto dall’art. 34, comma 3, secondo periodo, del D.Lgs. 81/2015, richiedeva chiarimenti in relazione al requisito della riduzione della capacità lavorativa del disabile ai fini della computabilità nella quota di riserva di cui all’art. 3 della L. 68/1999. Nella risposta all’Interpello, il Ministero ha confermato l’interpretazione secondo la quale il lavoratore in somministrazione, per essere computato nella quota di riserva dell’azienda utilizzatrice, deve avere una riduzione della capacità lavora-

tiva così come stabilito dall’art. 1, comma 1, della L. 68/1999 analogamente a quanto previsto per le stesse assunzioni dirette. Fermo restando questo requisito, il lavoratore, sarà computato per il periodo di durata della missione (purché non inferiore ai dodici mesi) ai fini dell’adempimento dell’obbligo da parte dell’utilizzatore.

Assunzioni e incentivi economici Un altro tema, che è stato oggetto di approfondimento nell’Interpello n. 26 del 30 dicembre 2016 già citato sopra, è quello degli incentivi economici.

Nello specifico, il quesito riguardava la corretta interpretazione dell’art. 13, L. 68/1999, come modificato dall’art. 10, D.Lgs. 151/2015, recante la disciplina degli incentivi economici per l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità.

La risposta all’Interpello da parte del Ministero del Lavoro ha specificato che, gli incentivi assunzionali legati all’impiego dei lavoratori con disabilità (compreso il contributo introdotto dall’art. 10 del D.Lgs. 151/2015) sono fruibili anche qualora il lavoratore venga assunto con contratto di somministrazione di lavoro. In questo caso, e ferma restando la presenza dei requisiti previsti dalla disposizione sopra citata, la condizione dell’incremento occupazionale netto sulla media dei lavoratori occupati nei dodici mesi precedenti va però riferita all’impresa utilizzatrice.

L’obiettivo del legislatore rimane quindi quello di incentivare l’inserimento lavorativo dei disabili e lo per-

Tipo di assunzione

Disabilità

Incentivo

Durata dell’incentivo

Tempo indeterminato anche in somministrazione

riduzione della capacità lavorativa superiore al 79%

70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali

36 mesi

Tempo indeterminato anche in somministrazione

minorazioni ascritte dalla 1^ alla 3^ categoria di cui alle tabelle annesse al Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con D.P.R. 915/1978 e ss.mm.

70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali

36 mesi

Tempo indeterminato anche in somministrazione

riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67% e il 79%

35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali

36 mesi

Tempo indeterminato anche in somministrazione

minorazioni ascritte dalla 4^ alla 6^ categoria di cui alle tabelle annesse al T.u. delle norme in materia di pensioni di guerra, approvato con D.P.R. 915/1978 e ss.mm.

35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali

36 mesi

Tempo indeterminato anche in somministrazione

disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%

70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali

60 mesi

Tempo determinato almeno di 12 mesi anche in somministrazione

disabilità intellettiva e psichica che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%

70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali

per tutta la durata del contratto

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segue prevedendo il riconoscimento, in capo ai datori di lavoro, di un incentivo economico calcolato sulla retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, che varia in base alla tipologia di disabilità e al grado di riduzione della capacità lavorativa del disabile che viene assunto.

Provando ad entrare un po’ più nel dettaglio del tema incentivi, è importante specificare che la tipologia di assunzione necessaria per avere accesso agli incentivi è sempre il contratto a tempo indeterminato (anche in somministrazione) ad eccezione dei contratti di assunzione di lavoratori con disabilità intellettiva e psichica, purché abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%. In relazione a quest’ultimo caso, tra le tipologie di assunzione è contemplato anche il contratto a tempo determinato (anche in somministrazione) della durata di almeno 12 mesi.

La durata dell’incentivo è sempre di 36 mesi a prescindere dalla tipologia di disabilità. Unica eccezione, sempre per le assunzioni di disabili intellettivi e psichici, nel qual caso la durata dell’incentivo va da un minimo di 12 mesi (per contratti a tempo determinato di almeno un anno) e può arrivare fino a 60 mesi.

Importante e doveroso specificare, quando si ragiona in temi di incentivi economici legati alle assunzioni ex Legge 68/1999, che questi ultimi sono da considerarsi limitati alle sole assunzioni di lavoratori con disabilità. Dal quadro normativo di riferimento sono infatti volutamente ed esplicitamente esclusi i lavoratori appartenenti alle altre categorie protette che godono del diritto al collocamento obbligatorio.

Scenari futuri Nel suo tentativo di semplificare la normativa di riferimento ma anche di aumentare le chance di collocabilità dei lavoratori disabili, il D.Lgs. 151/2015 aveva abrogato la disciplina transitoria prevista dall’articolo 2, c.2, del D.P.R. 333/2000 per le aziende della fascia occupazionale “computabile” 15-35 dipendenti, secondo cui l’obbligo di assunzione della persona con disabilità scattava dopo 12 mesi dalla sedicesima assunzione, e fermo restando il termine degli ulteriori 60 giorni per adempiere dopo l’insorgenza dell’obbligo. Pertanto, in base alla previsione dell’articolo 3 del D.Lgs. 151/2015, era stato eliminato dal 1° gennaio 2017 il regime di gradualità dell’assunzione, il cui obbligo conseguentemente sarebbe scattato in automatico, salvo il termine dei 60 ggi entro cui adempiere. Pertanto le aziende con 15 dipendenti al 31 dicembre 2016 avrebbero dovuto procedere all’assunzione entro il 1° marzo 2017.

Proprio in prossimità della scadenza, il Decreto Milleproroghe (D.L. 244/2016) aveva modificato l’art. 3 del

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Le categorie protette (art. 18 L. 68/1999) • orfani e coniugi superstiti dei deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio, ovvero a causa dell’aggravarsi di invalidità riportate per tali cause; • coniugi e figli di soggetti riconosciuti grandi invalidi per causa di guerra, di servizio e di lavoro, esclusivamente in via sostitutiva dell’avente diritto a titolo principale; • profughi italiani rimpatriati; • vittime del terrorismo, della criminalità organizzata e del dovere, anche se non in stato di disoccupazione; • familiari delle vittime del terrorismo, della criminalità organizzata e del dovere, esclusivamente in via sostitutiva dell’avente diritto a titolo principale e anche se non in stato di disoccupazione.

D.Lgs. 151/2015 facendo slittare dal 2017 al 2018 il termine per adempiere all’obbligo di assunzione di una persona disabile da parte delle aziende con almeno 15 dipendenti.

Il Decreto Milleproroghe 2017 ha quindi concesso alle aziende di questa fascia un ulteriore anno per attivare l’effettivo ingresso di un lavoratore disabile, sollevando molte critiche e malumori tra le associazioni che rappresentano le persone con disabilità.

Di fatto, l’obbligo dovrebbe pertanto essere effettivo dal 2018, con la conseguenza che l’assunzione dovrà essere fatta decorrere non oltre il termine del 1° marzo (cioè nei 60 giorni successivi dall’insorgenza dell’obbligo stesso).

Si tratta quindi di una grande opportunità che, secondo quanto affermato dalle più grandi associazioni di disabili, potrebbe portare alla collocabilità di circa 70mila persone.

Anche alla luce di questa novità legislativa, si configura quindi sempre più irrinunciabile una maggiore cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti, pubblici e privati, che vada nella direzione, spesso auspicata ma non sempre perseguita, di trasformare un mero obbligo in opportunità per tutti.

Raffaella Meloni Specialty manager HOpportunities Randstad

Note O, in alternativa, una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45% per una disabilità intellettiva e psichica accertata dagli organi competenti.

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LA SOMMINISTRAZIONE NELL’AMBITO DELLE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO di Maurizio Mirri

La recente pubblicazione da parte di Inps e Istat dei dati relativi alla consistenza e composizione del mercato del lavoro nel terzo trimestre dell’anno in corso ha riaperto il vecchio dibattito sul ruolo svolto dalle diverse forme contrattuali nel favorire o disincentivare le dinamiche di assunzione da parte delle imprese.

Partendo da una affermazione pressoché unanimemente condivisa secondo la quale i posti di lavoro vengono generati in senso lato dall’andamento economico e non da quello delle vicende giuslavoristiche, è altrettanto noto come i due estremi di tale affermazione vengano usati al fine di sostenere posizioni fra loro diverse ma ugualmente legittime a seconda degli interessi e delle visioni che le parti sociali, le pubbliche amministrazioni e i governi regionali o nazionali intendono tutelare.

Quando però dal dato generale si scende a quello particolare, come nel caso dell’esame degli andamenti del contratto di somministrazione, tale dibattito esce molto spesso da una serena valutazione di performance finendo per impaludarsi in aspetti di carattere ideologico anziché prestare attenzione alle dinamiche di inclusione lavorativa che tale istituto favorisce o al contrario, a detta di alcuni, invece blocca. È proprio di queste settimane il riaccendersi di una polemica sostenuta in particolare da una parte sindacale, polemica che francamente chi scrive sperava ormai superata in questo Paese, secondo la quale, prendendo la media statistica della durata delle singole missioni in somministrazione, media che attualmente risulta pari ad undici giornate, si cerca di avvalorare la tesi secondo la quale tale forma contrattuale rappresenta un formidabile “generatore di precarietà” tralasciando la considerazione ad essa speculare ovvero valutare quante di quelle missioni brevi si trasformano in contratti continuativi superiori ai sei mesi e quanti in contratti a tempo indeterminato. Solo una analisi delle singole Cob potrebbe dirci in maniera più trasparente quale sia il reale percorso lavorativo delle persone piuttosto che affidare ad una media statistica simile a quella del pollo di Trilussa, la valutazione senza appello di una forma contrattuale che anche nelle sue forme più brevi contiene comunque tutti gli istituti assicurativi, formativi e previdenziali propri di un Ccnl accettato e firmato da tutte le parti sociali.

Paradossalmente se quelle undici giornate di lavoro rappresentassero il primo contratto regolare con cui una persona disoccupata di lunga durata e pertanto soggetto debole all’interno del mercato del lavoro proprio in tale mercato riuscisse a rientrare, saremmo di fronte ad un primo grande risultato di re-inclusione. Nessuna politica attiva pubblica ad ogni modo riconosce il risultato occupazionale ai soggetti privati accreditati se questi, anche mediante i contratti di somministrazione, non creano opportunità di lavoro continuativo superiori ai centottanta giorni.

All’interno del quadro operativo che ogni singola Regione si è data al fine di regolare l’organizzazione e l’erogazione delle misure di politica attiva allo scopo di aumentare qualità e quantità di lavoro nei contesti da esse amministrati, fatta eccezione per una sola Regione, il contratto di somministrazione è unanimemente ritenuto oltre che una forma di rapporto definito in forza di legge, un valido strumento per favorire l’incontro fra domanda e offerta soprattutto quando per ragioni economiche congiunturali o strutturali la domanda di lavoro da parte delle imprese è debole. In tutte le Regioni in cui a guidare è la domanda di servizi da parte dei cittadini questa forma contrattuale, che per mantenere fede alle premesse iniziali ribadiamo non genera di per sé posti di lavoro, ma esplicita le sue migliori potenzialità ovvero consente alla persona, usufruendo anche dei percorsi formativi preassuntivi gratuiti finanziati dal fondo Formatemp, di poter entrare o rientrare nel mercato del lavoro anche attraverso più missioni che ne aumentino l’occupabilità con l’obiettivo, coincidente anche con quello delle agenzie per il lavoro, di raggiungere durate contrattuali sempre più lunghe, ivi compreso il contratto a tempo indeterminato.

La tabella che segue contiene le misure di Politica Attiva operative alla data odierna, o di imminente avvio in quanto già deliberate, indicando per ciascuna di esse le tipologie e le durate contrattuali riconosciute dalle

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singole Regioni e da Anpal ai fini dell’inserimento lavorativo. Nella tabella non è inserita la Fase II^ di Garanzia Giovani in quanto ancora oggetto di definizione di dettaglio da parte delle Amministrazioni Regionali a cui spetta la competenza in materia.

Il quadro complessivo che si ricava dall’esame della tabella mostra come la maggioranza delle Regioni, compresa la struttura nazionale di supporto Anpal, riconosca il ruolo della somministrazione di lavoro nei processi di inserimento lavorativo con differenti valutazioni solo per quanto riguarda l’accettazione delle proroghe contrattuali ai fini del riconoscimento del risultato.

Dal punto di vista dell’incidenza di questa tipologia contrattuale sul totale degli inserimenti collegati a misure di politica attiva, i dati desunti dall’attività di chi scrive, dati ovviamente condizionati dall’essere una Agenzia per il Lavoro, stimano a livello nazionale nel 48% la percentuale di collocamento a risultato ottenuto mediante il contratto di somministrazione. Sulla base di questa valutazione, in ragione anche dai dati annuali pubblici di performance che indicano nelle Apl il sistema di placement attualmente più significativo del Paese, è possibile affermare che circa la metà delle persone ricollocate con contratti a tempo indeterminato o determinato superiore ai sei mesi abbia conseguito il risultato di entrare o rientrare in una condizione sociale positiva tramite l’applicazione del contratto di somministrazione all’interno delle misure di politica attiva.

Maurizio Mirri Direttore Politiche Attive per il Lavoro GiGroup

Somministrazione

consente proroghe

X

X

X

NO

X

NO

NO

NO

NO

AdR Plus

X

X

X

SI

Dote Lavoro e inclusione attiva

X

X

X

X

SI

GG, orientamento lavoro e accompagnamento

X

X

X

X

SI

CAMPANIA

Ricollocami

X

X

X

X

SI

EMILIA ROMAGNA

Piano Intervento per l’Occupazione

X

X

X

NO

NO

CdR - bando DONNE CON FIGLI MINORI

X

X

X

X

SI

CdR - GENERAZIONI Piano Over 40 DUL 2016

X X X

X X X

X X X

X X X

SI NO SI SI

CALABRIA

LAZIO LIGURIA LOMBARDIA MARCHE PIEMONTE PUGLIA TOSCANA VENETO ANPAL

determinato 3-6 mesi

X

Garanzia OVER

determinato >6 mesi

GG – SOLO ACCOMPAGNAMENTO LAVORO ABRUZZO

determinato >12 mesi

misura

indeterminato

Tipologie contrattuali riconosciute ai fini dell’inserimento lavorativo

FPA - settore energia

X

X

X

X

Azioni di Rete per il Lavoro

X

X

X

X

SI

FPA - settore legno

X

X

NO

NO

Buono servizi lavoro DISOCCUPATI 6 mesi

X

X

X

SI

Buono servizi lavoro SVANTAGGIATI

X

X

X

SI

GG DISABILI

X

X

X

SI

WELFARE to WORK (in avvio)

X

X

NO

NO

X

Assegno sperimentale per ricollocazione

X

X

X

X

SI

GARANZIA ADULTI (over 50) - DGR 681/2016

X

X

X

X

SI

AxL - ASSEGNO PER IL LAVORO

X

X

X

X

SI

DGR 1925/2017 - crisi aziendali

X

X

X

SI

Assegno di Ricollocazione (fase sperimentale)

X

X

X

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X

X

X

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DAL LAVORO ALLA FORMAZIONE

I SERVIZI AL LAVORO NELLA RIVOLUZIONE DIGITALE di Franco Chiaramonte Le agenzie per il lavoro devono valorizzare le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale, se vogliono governare le trasformazioni che ne derivano. L'articolo riprende gli spunti formulati sul tema da un gruppo di lavoro costituitosi durante l’assemblea soci di Assolavoro tenutasi nel maggio scorso.

Una trasformazione imprevedibile Nel suo saggio inserito in Corpi menti e macchine per pensare (speciale del magazine della Casa della Cultura di Milano), Lorenzo Pinna, giornalista e divulgatore scientifico, invita a diffidare dei tentativi di decifrare il futuro proiettando dati e conoscenze del nostro passato, ricorre a tal fine ad un bell’aneddoto «Ad un convegno di pianificazione urbana organizzato a New York nel 1898 il tema più scottante all’ordine del giorno non erano le infrastrutture, l’espansione delle metropoli, o il loro affollamento, ma il letame lasciato sulle strade dai cavalli (a New York all’epoca ne circolavano 170mila). L’inconveniente era visto in termini così drammatici che non mancavano le proiezioni apocalittiche. Il Times di Londra aveva previsto che, se non venivano presi drastici provvedimenti, entro il 1950 il letame avrebbe raggiunto nelle strade della capitale, un’altezza di tre metri e a New York entro 1930 il terzo piano degli edifici…». Sappiamo come è andata e possiamo dire che la rivoluzione tecnologica collegata ai nuovi mezzi di trasporto e ai motori ha avuto come vittima… proprio i cavalli.

Certo la rivoluzione digitale ha caratteristiche molto diverse dalle trasformazioni dei modi di produrre e di vivere conosciute dalla storia umana, ma questa semmai è una ragione in più per guardarla senza costruire una sovrastruttura previsionale dettata dai modi e dalle regole della produzione e della società che abbiamo conosciuto. Le tecnologie digitali, la globalizzazione, i big data, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, agiscono con velocità, profondità, estensione a ritmi che mai abbiamo conosciuto, producendo trasformazioni straordinarie nel nostro modo di produrre, lavo-

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rare, apprendere, vivere. Non ci stupisce quindi che larga parte del dibattito si concentri su caratteristiche, densità e disponibilità del lavoro che dovrà fare (fa) i conti con effetti sostitutivi e cambiamenti che queste rivoluzioni producono.

Grande attenzione viene dedicata ai “lavori che verranno”, alle competenze che richiederanno, alla possibilità di (ri)qualificare e assorbire le risorse che saranno espulse perché sostituite da nuovi modelli di business e processi di organizzazione della produzione globalizzati, o da piattaforme, intelligenza artificiale, algoritmi.

Molti osservatori si impegnano in previsioni sulla perdita di posti di lavoro (ma ricordiamoci dei cavalli) e appare indubbio che, nel breve/medio periodo, siano prevedibili esuberi e processi di mobilità. In prospettiva, qualcuno comincia anche a prefigurare, più radicalmente, la necessità di una discussione sulla “natura” ultima del lavoro e sul suo significato umano e sociale in mutazione, e congiuntamente e sistematicamente anche a sollecitare una riflessione sui sistemi, sulle pratiche e sulle nuove conoscenze disciplinari, scolastiche ed educative che saranno necessarie in futuro.

Iniziativa e responsabilità degli attori Nel recente documento approvato dalla Commissione Lavoro del Senato a conclusione di una indagine conoscitiva sull’impatto nel Mercato del Lavoro della 4^ Rivoluzione Industriale1, troviamo un forte richiamo alla responsabilità degli attori: «Molti si esercitano in una vuota disputa deterministica tra ottimisti e pessimisti nell’operazione complessa e utopica di calcolare i posti di lavoro persi o guadagnati nel contesto di questa nuova rivoluzione. Il tutto a discapito di una riflessio-

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ne sul che fare, perché dipenderà dai decisori pubblici in primo luogo se e quando i lavoratori espulsi, o mai inclusi, potranno essere assorbiti dai nuovi processi produttivi».

Che fare per affrontare questa rivoluzione con un approccio e strumenti proattivi? Molti osservatori (e gli indirizzi dell’Unione europea) concordano nell’individuare alcuni assi fondamentali che ruotano, oltre agli investimenti in innovazione, intorno alla crescita e valorizzazione del capitale umano a partire dalla formazione di qualità e attivabile lungo tutto l’arco della vita, all’alfabetizzazione digitale diffusa, al rafforzamento della formazione di base, al riconoscimento e portabilità delle competenze, alla gestione attiva e anticipata dei processi di trasformazione e crisi, all’accesso e rapidità di incrocio con tutta la domanda di lavoro disponibile migliorando l’efficienza del mercato del lavoro, alle politiche attive e servizi ai quali concorrano una pluralità di attori, capaci di accompagnare tutte le fasi della vita e di abbandonare la logica “del Pronto soccorso”, alla diffusione di un generale approccio “imprenditivo” sia per promuovere un costante atteggiamento attivo, sia, soprattutto, per incentivare la propensione al creare impresa.

Un cambiamento culturale Non possiamo sottovalutare come molte di queste linee di azione siano collegate anche al cambiamento di modelli culturali e sistemi di valore, ma non possiamo nemmeno confidare in processi lunghi di adattamento: il cambiamento è qui, è intorno a noi, ne siamo più o meno consapevoli protagonisti e dobbiamo imparare ad agire con tempi e logiche adeguate.

Ma se la rivoluzione (digitale e della globalizzazione) non dorme e pulsa ininterrottamente accelerando costantemente – animata da codici, sensori, dati, algoritmi – le idee sulle risposte attive (di quelle passive o di pura resistenza non trattiamo in questo contributo) si concentrano prevalentemente sulle politiche, mentre affrontano poco, per il momento, quali saranno le “piattaforme” (il sistema di servizi) e le forme (quale formazione, quali modelli di apprendimento, con quali contenuti, per formare cosa) con cui a quelle politiche si potrà accedere.

Eppure, sappiamo che, in un’economia service-dominant, saranno i servizi uno dei terreni di maggior impatto della rivoluzione digitale e della diffusione di intelligenza artificiale.

La rivoluzione digitale può essere l’occasione per sfruttare tutte le opportunità che nuove interfaccia, algoritmi, social network, nuovi modelli di apprendimento ci mettono a disposizione pensando a servizi

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per il lavoro 4.0 (per allinearci alla “release” in uso in questo momento), riqualificandone le competenze per trasformarli nelle risorse strategiche di una nuova piattaforma di servizi che valorizzi il capitale umano, la crescita delle opportunità, la promozione del talento, l’efficienza del mercato. Le tecnologie digitali stanno cambiando profondamente la produzione, il lavoro, i modelli di consumo e hanno trasformato modalità e possibilità di interazione e di accesso alle informazioni, creando nuove forme di socializzazione.

Competenze, reti relazionali, nuove interazioni Avremo (abbiamo!) una vasta popolazione che si misura con un mercato del lavoro fortemente variabile, nel quale le competenze, il modo di interpretare le opportunità, le possibilità di accesso alle stesse, la possibilità di creare e valorizzare network relazionali saranno decisive. Persone formate in un’altra era tecnologica si affiancano a giovani millennial, persone con alfabetizzazione digitale incerta a giovani nativi digitali. Storie professionali e attitudini completamente diverse, generazioni che hanno visto prolungare la loro prospettiva nel lavoro e che, senza un cambiamento nell’organizzazione del lavoro e una adeguata (ri)qualificazione delle loro competenze, rischiano di essere messe ai margini dei processi produttivi.

Quando pensiamo alla domanda di servizi e politiche (del lavoro e della formazione) che diciamo essenziale per affrontare attivamente questa sfida dobbiamo chiederci anche come possiamo far fronte a queste diversità se non abbandonando definitivamente un approccio che spesso ha trasferito sugli utenti la difficoltà (di costo, di competenze e di tecnologia) a realizzare una personalizzazione che non fosse ex post (il pacchetto di utensili che ti posso mettere a disposizione).

Oggi stanno profondamente cambiando gli stili e le domande delle persone anche per la diffusione di strumenti personali di interazione. In questo mercato stanno maturando le condizioni perché l’affacciarsi di opportunità (tecnologiche e di domanda) trovino soggetti (nuovi?) che ne colgano la portata, utilizzando in maniera innovativa e disruptive il loro potenziale per creare modelli diversi di servizi, che non nascono all’interno dei confini della filiera (nel nostro caso il mondo dei servizi per il lavoro) e che adottano approcci nati in altri ambiti (è il fenomeno della “uberizzazione” raccontato da Antonio Belloni)2.

Spostare e ripensare parte dei servizi e delle politiche (in particolare quelle formative, di orientamento e di ricerca autonoma e attiva delle opportunità) su applicazioni “mobile” è l’occasione per iniziare a guardare attivamente e preventivamente alle diverse caratteri-

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stiche della domanda delle persone, ed è anche una opportunità per allargare la platea delle persone intercettate dal sistema nazionale di politiche e servizi.

Quelle che in passato sono state organizzate come politiche che utilizzavano anche portali per l’interazione con l’utenza, possono proporsi nel prossimo futuro come “piattaforme” tematiche e/o su target, con le quali possano interagire applicazioni diverse dedicate a seguire le esigenze della domanda di servizi. Il “modello a piattaforma” risulta meglio allineato (e più performante) alla dinamicità e velocità del mercato: capacità di profilare e personalizzare, di incrociare efficacemente domanda e offerta, di contrastare la frammentazione e dispersione delle opportunità, di scalare l’impatto rapidamente e massivamente, di arricchirsi dinamicamente in base ai feedback degli utenti.

Polarizzazione, nuovi lavori, efficienza del mercato Il mercato del lavoro è caratterizzato da una sempre maggiore polarizzazione che si accompagna allo spostamento costante della popolazione verso le aree urbane. Crescono i lavori a basso e ad alto livello salariale a scapito dei posti di lavoro di medio livello.

Scompaiono lavori come operatori di macchine e assemblatori e addetti al servizio clienti, fenomeno che interessa tutti i paesi sviluppati e in tutti i settori, con un impatto particolarmente rilevante nel manifatturiero e nei servizi.

Avremo (abbiamo) uno sviluppo di lavori diffusi, spesso anche difficilmente riconducibili alle tipologie classiche del rapporto di lavoro (si veda a tale proposito il recente saggio del Senatore Pietro Ichino su Le conseguenze dell’innovazione tecnologica sul Diritto del Lavoro) 3, cresce la domanda di competenze specifiche accompagnata da skill (soft) che hanno funzioni abilitanti le competenze specifiche stesse. Anche la legislazione e la contrattazione devono evolvere con una azione incisiva, ma allo stesso tempo meno prescrittiva. Sempre nella Relazione della Commissione Lavoro del Senato si può leggere: «È cominciato il superamento del formalismo giuridico tutto e solo difensivo, fondato sul presupposto della omologazione fordista del lavoro. Abbiamo il dovere di accelerarlo per favorire la penetrazione del diritto promozionale alla autosufficienza della persona. I diritti promozionali, le soft laws, non sono strumenti impotenti se regolati dalla contrattazione anche attraverso sanzioni civilistiche».

I lavori che si creano in ragione della rivoluzione digitale e dalla crescita di nuove domande di servizi e prodotti, possono più che compensare quelli che vengono sostituiti dalle tecnologie, come ben indicava Enrico Moretti4, se saremo in grado di migliorare radical-

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mente l’efficienza del mercato (incontro tra domanda e offerta) e accompagneremo attivamente le persone nella progettazione del loro percorso nel lavoro.

Di fronte a quella che si configura come una vera e propria “Skills revolution”, la sfida sarà̀ quella di sviluppare competenze adeguate per adattarsi attivamente al mondo del lavoro in continuo cambiamento, costruendo una vera e propria nuova forma mentis (digital mindset) capace di valorizzare le opportunità di una società e di un’economia digitalizzate. Chi sarà in possesso delle giuste competenze avrà la possibilità di scegliere le migliori opportunità lavorative ovunque lo desideri e di accedere a posizioni di vertice; chi, invece, ne sarà sprovvisto farà fatica a pianificare il proprio futuro lavorativo.

L’occupabilità delle persone, ossia la capacità di mantenere il lavoro desiderato e di essere spendibili sul mercato, non dipende più̀ da ciò̀ che già si conosce, ma da ciò̀ che si ha/avrà la possibilità di imparare.

Le aziende con il giusto mix di persone, competenze e tecnologia sono quelle destinate al successo.

Sempre più la learnability, ovvero Il desiderio e la capacità di apprendere nuove competenze, sarà essa stessa un fattore di successo (questo implica, parallelamente, l’acquisizione anche della capacità di unlearning, cioè di disimparare rapidamente le conoscenze divenute nel tempo obsolete per lasciare posto alle nuove competenze da maturare che via via emergeranno nei processi di trasformazione in atto).

Abbiamo, dunque, bisogno di politiche incisive per lo sviluppo delle competenze dei lavoratori ma anche di modalità di formazione che siano contestuali e tempestive (erogo uno specifico corso in prossimità del suo utilizzo effettivo e non in base ad una pianificazione di lungo periodo, perché se così non fosse, quando servirà, quella conoscenza sarà già obsoleta o dimenticata).

Dobbiamo sviluppare quasi una mentalità nuova, infatti «una delle trasformazioni speculative più profonde sarà il passaggio dalla domanda “quali i fatti?” alla domanda “quali le conseguenze?”»5. Tutti noi, nelle diverse attività lavorative, diminuiremo l’impegno «nell’interrogare il passato attraverso i suoi documenti d’archivio, muoveremo verso un orientamento al futuro in cui le nostre ricerche computazionali produrranno milioni di scenari potenziali per azioni e prospettive possibili, proprio come già accade per le nostre previsioni del tempo, per le stime del traffico automobilistico, per le proiezioni della pianificazione finanziaria»6.

Occorre una straordinaria campagna di alfabetizzazione e qualificazione a partire dai giovani. Sviluppare una mentalità anticipatoria (“oracolare” e non più solo “archivistica”) per trarre vantaggio dalla capacità

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predittiva (individuale e sociale) insita nei dati e negli algoritmi di intelligenza artificiale guidando i percorsi di ricerca, di incrocio, di formazione, di crescita, di aggiornamento, di candidati e lavoratori. Abbiamo bisogno di progettare e sostenere politiche pro/pre-attive del lavoro e le tecnologie oggi ci consentono di farlo.

Gli operatori del mercato del lavoro possono contribuire anticipando la conoscenza della domanda di competenze, anche facendo emergere le parti solide della skills revolution. Se infatti il digitale si presenta come un agente di rimescolamento e di lancio in avanti di nuove skill, da parte degli operatori istituzionali e privati dovrà crescere la capacità di individuare, in mezzo a queste nuove competenze e queste nuove professioni, dove c’è più solidità. Tra tutte, quali competenze resisteranno al cambiamento nel medio periodo, in mezzo a quelle nuove che arrivano e quelle vecchie che cambiano, quali saranno le competenze che invece hanno una durata media più lunga e quali sono quelle che garantiranno maggior continuità nel proprio lavoro.

Di fronte ad un cambiamento continuo e veloce la skills revolution va quindi compresa sia in termini di previsione delle competenze d’avanguardia e degli agenti di evoluzione, che di quelle più resistenti.

Una nuova idea dei servizi per il lavoro Per anni abbiamo proposto i servizi e le politiche (attive) del lavoro come la risposta alla gestione di un problema (la perdita di lavoro, la ricerca di lavoro, la gestione di una crisi aziendale). Ci si iscrive alle liste dei disoccupati, si accede ai servizi se disoccupati (certo non è scritto nella norma che dice, anzi, che tutti hanno diritto a questi servizi, ma la realtà è sempre andata in altra direzione).

Indubbiamente dobbiamo mantenere l’attenzione a coloro che sono più deboli nel mercato del lavoro, per deficit di informazioni o di competenze, o ancora di condizioni oggettive e soggettive. Il lavoro è senz’altro la più importante, ma non la sola, espressione della partecipazione attiva della persona alla vita sociale, e proprio per questo è importante favorire l’accesso a tutte le opportunità di lavoro disponibili, favorire i processi di formazione continua e pensare ai servizi in modo nuovo.

Trasformare i servizi al lavoro nel partner che aiuta a incontrare, anticipandole, le opportunità e dare concretezza all’idea di valorizzare il talento, rendendo utilizzabili le grandi basi dati di informazioni, oggi disponibili, agli utenti anche attraverso interfacce di data visualization e infografiche che siano semplificate e di immediata comprensione (al pari, ad esempio,

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delle interfacce che si usano oggi in modo diffuso: per seguire le proprie performance sportive storiche o di cura di sé con accessori indossabili, o per ricevere stimoli e incentivi - anche con gamification - a migliorare le proprie performance per il futuro e in comparazione sociale e relazionale con altri).

L’orientamento al lavoro in questa prospettiva di utilizzo di molteplici basi dati, con algoritmi pensati per anticipare la conoscenza dei fenomeni, con la consapevolezza del valore essenziale del capitale relazionale nella gestione attiva e nella crescita del proprio talento, diventa una risorsa che accompagna e interagisce con la storia lavorativa delle persone in tutte le fasi della vita. Un partner costante.

Servizi al lavoro verso persone e imprese La tradizione insegna che se Maometto non va alla montagna è necessario che sia la montagna ad andare da Maometto. Ora le tecnologie digitali, intelligenza artificiale e nuove modalità di interazione con apparati individuali sono anche una straordinaria modalità per portare i servizi alle persone senza attendere che si “responsabilizzino da sole”, parlo soprattutto dei c.d.

Neet e delle fasce più deboli della popolazione. È l’occasione per allargare la platea delle persone che possono accedere ai servizi senza allungare code, senza dover necessariamente moltiplicare il numero degli operatori. I giovani, in particolare quelli nati immersi nelle tecnologie digitali, devono trovare una interazione che parta dalle loro caratteristiche e stili. Sono le modalità di accesso e personalizzazione dei servizi, delle politiche, dei modelli informativi, che devono muoversi verso le persone. Il momento di incontro fisico, la relazione con il proprio operatore di riferimento per lo sviluppo del proprio progetto di valorizzazione del talento e l’accesso alle opportunità, deve essere un momento di valore, un passaggio che aiuti la persona a sentirsi in una esperienza positiva.

Semplificare le modalità che supportano le attività di incontro domanda e offerta, esaminare e rimuovere le attività di natura puramente amministrativa che non danno valore aggiunto al servizio; affiancare, in una prima fase, ai servizi fisici, secondo gli standard definiti nelle normative nazionali e regionali, aggregati di servizi accessibili attraverso piattaforme e soluzioni a distanza adottando le tecnologie e gli standard che oggi permettono di garantire univocità e sicurezza alla proprietà delle informazioni personali, sono obiettivi già realizzabili.

Se esaminiamo le prestazioni standard che oggi descrivono una offerta di servizi o una politica nazionale e/o regionale, con uno sguardo consapevole delle

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possibilità e dell’esperienza che viviamo in altri servizi o settori, possiamo facilmente comprendere quanto sia già trasferibile in piattaforme, o trasformabile in tutto o in buona parte in soluzioni a distanza. È una straordinaria opportunità per incontrare e avvicinare fasce di popolazione estranee ai servizi, per dare continuità all’interazione, per semplificare il rapporto con le persone. Questa evoluzione servirà a migliorare l’efficienza del mercato del lavoro e ad ampliare le opportunità di accesso alla domanda, potrà allargare la platea delle persone che hanno opportunità, potrà rispondere meglio alla domanda delle imprese.

Decisiva è la diffusione di competenze adeguate, per interagire con il linguaggio dell’intelligenza artificiale, anche tra gli operatori che si occupano di lavoro e formazione, ma allo stesso tempo è importante sviluppare capacità di produzione di intelligenza, comprendendone la filosofia e le logiche, creando luoghi e occasioni perché domanda di intelligenza artificiale e produzione si incontrino.

Quale evoluzione allora per i servizi al lavoro? Non spariranno i servizi fisici, i luoghi di incontro, ma si trasformeranno, come notiamo già oggi, anche se, in questo ambito, non riusciamo ancora a leggere bene la traiettoria.

Tra l’agenzia digitale e lo spazio fisico per incontrare il proprio consulente per lo sviluppo del progetto personale nel lavoro, si disegnerà un equilibrio che sarà probabilmente dettato dalla capacità di puntare al valore aggiunto, alla dimensione qualitativa del servizio, alla velocità e alla personalizzazione costruita intorno al valore del talento. Determinante sarà quella che Enzo Rullani definisce “intelligenza relazionale”: «Nel mondo globale e digitalizzato di oggi, sono saltati i confini che in passato separavano luoghi e settori, creando spazi aperti – trans-territoriali e trans-settoriali – in cui ci sono molte opportunità, ma anche molta confusione. Per rispondere a questo mutato contesto, occorre sempre più abilitare forme di intelligenza relazionale in grado di mettere in connessione chi è dotato di capacità (conoscenze, risorse finanziarie, competenze professionali, legami, macchine, prodotti materiali ecc.) con chi potrebbe usare utilmente quelle capacità per rispondere alle proprie esigenze o ai propri bisogni. L’intelligenza relazionale è, quindi, una risorsa connettiva che, nelle filiere globali e differenziate di oggi, ha sempre più valore, perché i collegamenti tra chi offre e chi domanda non sono più dati o scontati, ma vanno di volta in volta ripensati e costruiti anche a distanza, scegliendo tra una molteplicità di possibili soluzioni»7. Abbiamo bisogno di esplorare e valorizzare questa componente di intelligenza sociale, anche attraverso approcci metodologici nuovi come quello

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proposto da Alex Pentland, del Mit, nella sua Fisica sociale 8, usando dati e modelli sempre più disponibili, per capire come si muovono e si influenzano realmente gli individui e i gruppi tra relazioni sociali, mobilità territoriale, spazi fisici e virtuali.

Le piattaforme, oltre che essere una nuova modalità di interazione fra domanda e offerta e di parziale superamento, anche simbolico, della loro distinzione, iniziano a prefigurarsi come motore di abilitazione dei talenti, espliciti e nascosti. In una recente intervista al New York Times, Brian Chesky, Airbnb’s Chief Executive, ha spiegato come la nota piattaforma online non sia oramai più soltanto un luogo per mettere a disposizione la propria casa, ma uno spazio nel quale le persone imparano a sviluppare i propri talenti. Basta entrare nella sezione “Esperienze” del sito, per vedere come milioni di persone mettono a disposizione servizi di vario genere liberando la loro imprenditorialità.

Si è avviato un processo complesso e inevitabilmente contradditorio, per rispondere a domande presenti da tempo e ad altre che incalzano con sempre maggiore velocità. Il mondo delle Agenzie per il Lavoro è pronto ad affrontare attivamente questa scommessa partendo dallo sviluppo delle competenze e del capitale umano, dall’offerta di nuovi servizi con nuove modalità, dall’interazione e cooperazione con gli attori Istituzionali e con nuovi attori che possono contribuire a questa prospettiva. Occorrono buon senso, fantasia e voglia di scommettere su un futuro (prossimo) che si presenta ricco di opportunità.

Franco Chiaramonte Esperto Politiche del Lavoro

Note Documento approvato dalla 11ª commissione permanente (lavoro, previdenza sociale) nella seduta del 10.10.17 a conclusione dell’indagine sull’impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale 2 A. Belloni, Uberization. Il potere globale della disintermediazione, Egea, Milano, 2017 3 P. Ichino, Le conseguenze dell’innovazione tecnologica sul diritto del lavoro, Relazione presentata al convegno promosso dall’Associazione giuslavoristi italiani, Torino, 15 settembre 2017 4 E. Moretti, La nuova geografia del lavoro (2012), tr. it. di L. Vanni, Mondadori, Milano 2013 5 Prefazione di A. Pentland a C. Accoto, Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale, Egea, Milano 2017, p. 9.

6 Ibidem.

7 E. Rullani - R. Sebastiani - D. Corsaro - Cristina Mele, Intelligenza relazionale. Nuove idee per l’economia dei servizi, FrancoAngeli, Milano 2015 8 A. Pentland, Fisica sociale. Come si propagano le buone idee (2014), tr. it. di B. Parrella, Egea, Milano 2015 1

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DAL LAVORO ALLA FORMAZIONE

SOCIAL RECRUITING E SELEZIONE DEL PERSONALE NELL’ERA DIGITALE 4.0 di Chiara Gaiti La rivoluzione digitale renderà obsoleta la figura del recruiter? Le nuove tendenze e gli strumenti messi a disposizione dalla tecnologia dimostrano il contrario. Le piattaforme online e i social network, infatti, se da un lato favoriscono la c.d. disintermediazione, dall’altro, offrono moltissime informazioni che solo selezionatori esperti possono valorizzare.

Una figura indispensabile Entrati ormai nell’era della grande trasformazione del lavoro connessa alla quarta rivoluzione industriale, anche le agenzie per il lavoro si trovano di fronte a nuove sfide: in primis comprendere i nuovi profili professionali connessi all’Industry 4.0 e le nuove modalità di lavoro che caratterizzano più in generale il lavoro 4.0; in secondo luogo confrontarsi con l’impatto diretto della tecnologia sul settore. Il social recruiting e il recruiting 4.0, che si delineano attraverso l’utilizzo di nuove piattaforme e applicazioni per la ricerca e la selezione del personale, necessariamente incidono sul ruolo delle agenzie, avvicinando e supportando l’incontro diretto tra candidati e datori di lavoro.

L’intervento della tecnologia nell’era della digitalizzazione cambia radicalmente e inevitabilmente l’idea del lavoro: la forma del lavoro diventa dislocata1, le relazioni lavorative virtualizzate (équipe virtuali tramite Skype) e lo spazio riorganizzato (pensiamo all’impatto di Uber o Amazon). La nuova morfologia del lavoro si costruisce nella sharing economy attraverso una finalità definita sociale e collettiva della prestazione.

Le grandi trasformazioni introdotte dalla globalizzazione che hanno impattato e impattano la totalità della realtà (sociale, politica, economica, culturale)2, hanno portato il soggetto a ritrovarsi in tempi e luoghi che sono anywhere, anytime ed everywhere3, non più legati alla presenza fisica, ma che si delineano e si svolgono on demand, nella realtà chiamata “virtuale”4 (dal latino virtus: forza, potenza) «che si fa sempre più reale e costituisce e costruisce parte del nostro modo di essere, di comunicare, di relazionarci con gli altri, di presentarci, di mostrarci, di informarci»5.

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Le esigenze emergenti nel mercato del lavoro, riassumibili con il concetto di flessibilità, hanno fatto sì che, come afferma il fondatore di Linkedin, Reid Hoffman, «il rapporto di lavoro si è spezzato: il vecchio modello basato sulla garanzia del posto a vita non funziona più»6.

Impellenti e necessarie sono anche nuove forme di politica gestionale delle Hr (Human resources, in italiano Risorse umane) che tengano conto della flessibilità, digitalizzazione e dell’importanza della formazione continua come componente essenziale sia per il lavoratore che per l’azienda, attraverso la diffusione di una cultura aziendale e forme di management aperte all’agilità, alla curiosità e ad un lavoro che generi valori e non solo profitto, superando il modello taylorista.

In questo scenario, benché le aziende possano oggi utilizzare o sviluppare sistemi informatici e applicazioni digitali che le supportino alle procedure di selezione, la figura del recruiter e dell’operatore dei servizi per il lavoro restano indispensabili, perché difficilmente surrogabili dai dispositivi informatici.

Job boards, web site e social network Negli ultimi anni anche le nuove modalità di ricerca e selezione del personale si sono mosse da una modalità analogica ad una digitale: seguendo il movimento e l’evoluzione continua del progresso tecnologico, anche questa attività è progressivamente slittata verso una dimensione virtuale, muovendosi da una classica “ricerca” attraverso annunci cartacei e consegna brevi manu di curricula, alla modalità “search” di consultazione di siti dedicati, pagine aziendali e piattaforme social.

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I metodi tradizionali di ricerca di lavoro e selezione del personale sono diventati costosi ed obsoleti, mentre Internet è considerato il luogo d’eccellenza per il reperimento di informazioni7: chi accede alla rete, infatti, ha la possibilità di vivere esperienze interattive (colori, immagini, video ed animazioni) lasciando tracce significative di sé. I reclutatori, muovendosi dall’altro lato del campo con velocità, rapidità e flessibilità, devono interpretare questi dati per identificare e entrare in contatto con il candidato migliore8.

Se Job boards9 e siti internet sono strumenti ormai divenuti abituali, nuovo soggetto emergente ed in galoppante crescita nell’ambito della selezione sono i social network10: attraverso questi ultimi, l’e-recruitment si rivolge sia ai candidati attivi che a quelli passivi attraverso la costruzione nel tempo di reciproco interesse e reti11. Queste due modalità di approccio dipendono dal comportamento che ci si aspetta dal job seekers.

Nel reclutamento online classico (tramite siti e Job Boards) vige una logica di tipo reattivo simile a quella dei vecchi annunci cartacei, in cui il soggetto “attende” una risposta e manca un’interattività diretta tra i soggetti coinvolti.

Nel social recruiting, al contrario, la logica è di tipo proattivo. Attraverso i social network, infatti, la persona può mettersi in gioco nella sua totalità, collegando vita lavorativa e bisogni personali, i quali intervengono nella costruzione dinamica dell’identità personale, che non può essere segmentata e divisa tra lavoro e vita personale12. L’utilizzo consapevole di piattaforme quali Facebook, Linkedin o Instagram aiuta, in questo senso, a far comprendere e supportare una reputazione digitale che permetta la creazione di legami tra persone, e non un semplice link tra “profili” professionali.

Possibili rischi e punti scoperti Al di là dei punti di forza, l’utilizzo dell’e-recruitment o della rete espone naturalmente anche a dei rischi.

L’aspetto più banale è strettamente legato alla tecnologia, ossia il fatto che il processo di selezione dipenda dal funzionamento dei dispositivi tecnologici. Un problema tecnico può bloccare qualsiasi attività. In questo caso risulta fondamentale essere in grado di rispondere a situazioni di stress e appare decisiva la proattività della persona. Ancora una volta emerge la primaria importanza della dimensione attiva del soggetto che non subisce la macchina ma la padroneggia.

Dal punto di vista sociologico, un altro limite dell’e-recruitment è la scarsa diffusione tra certi gruppi sociali dei mezzi tecnici e la conseguente disparità di accesso a telefoni, computer e internet. È il fenomeno del digital divide che, come rileva Castells, amplifica la di-

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stanza tra chi vive nell’era dell’informazione e chi ne rimane escluso13.

In ultimo, utilizzando una lente pedagogica, il rischio nell’utilizzo di questi strumenti potrebbe consistere nella mancata consapevolezza dei vantaggi e dei rischi effettivi che la rete può apportare: la persona rischia, quindi, di farsi travolgere da un vortice di informazioni e input che farebbero sorgere un “senso di impotenza”, in quello che Stefano Zamagni definisce il paradosso della scelta14. La scelta diviene cioè una necessità che, in assenza di una persona consapevole e competente, fa sorgere nella persona stessa ansie, insicurezze e frustrazioni.

Le nuove sfide del recruiting 4.0 La sfida che attende gli Hr manager nei prossimi anni è significativa, perché dovranno gestire in azienda almeno due generazioni (millennial e migranti digitali) con esigenze e aspettative molto diverse.

Come abbiamo visto, l’avvento di nuove tecnologie non sembra possa minare la figura d’intermediazione al lavoro, ma richiede da parte degli operatori la capacità di saper gestire il cambiamento, sviluppando nuove modalità e strategie. La tecnologia, quindi, non come primo attore del processo, ma come strumento nelle mani di una persona capace di applicare e gestire in autonomia questi strumenti: le «nuove tecnologie rendono più produttivi i lavoratori qualificati e sviliscono il lavoro meno qualificato»15.

Risulta in ogni caso difficile immaginare che il confronto personale e diretto tra candidati e professionisti del lavoro possa essere sostituito in toto da un iter di selezione automatizzata. Attitudini, aspirazioni, peculiarità ed aspettative personali sono fattori che solo si possono cogliere attraverso uno scambio tra persone e non certo interfacciandosi con algoritmi.

La novità introdotta dal web 2.0, quindi, è la trasformazione delle attività Hr in processi rizomatici nei quali candidati, recruiter e aziende cooperano in un network non gerarchico che opera in modo sempre innovativo e non lineare anche in base al grado di soddisfazione e motivazione di tutte le parti coinvolte16.

Una strategia Hr: Il Digital Cv Check Se la digitalizzazione e le evoluzioni tecnologiche hanno avuto impatti sulle modalità di fruizione di canali di ricerca del lavoro, l’altro lato della selezione del personale, ovvero l’attività di reclutamento, si è dovuto evolvere sviluppando nuove modalità di reperimento di informazioni dei candidati. La novità del settore è il Digital Cv Check, strumento utilizzato come servizio di

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consulenza specialistico, ma che può essere ampliato ad un utilizzo più globale di presa di consapevolezza di chi si è e di come si appare in rete.

Le piattaforme digitali sono usate prima di tutto per attività classiche di ricerca lavoro o tempo libero, ma gli ultimi trend mostrano delle novità: creare e coltivare reti di contatti, cercare pagine di datori di lavori e capirne i valori prima di entrare in una sede fisicamente (8 candidati su 10 verificano la reputazione di un’azienda); rispondere a candidature online e curare il personal branding; reperire informazioni riguardo le Hr di un’azienda17.

Il digital Cv Check può essere paragonato ad una versione digitale del Cv screening; consiste in un check up della propria presenza online e della reputazione digitale, in ottica professionale, muovendosi dalla ricerca sui motori di ricerca online (Google) al profilo LinkedIn, passando attraverso Facebook, Twitter, Instagram.

Lo scopo primario di quest’attività è arrivare a comprendere che «gli strumenti per una piena e consapevole fruizione positiva delle tecnologie sono anche risorse per individuare, valutare ed affrontare più serenamente il rischio producendo una peculiare prudenza per esercitare autotutela»18.

Questo strumento, utilizzato per la maggior parte in ottica aziendale, ci appare utile per affrontare una riflessione sul suo utilizzo come pratica educativa: esso, infatti, permette a chi si occupa di educazione e formazione, di far prendere coscienza a chi si approccia al “mondo del lavoro” o ancor di più per chi vive costantemente connesso on-line, mostrando come «l’uso assiduo delle tecnologie non produce automaticamente competenza digitale»19.

L’obiettivo, o quantomeno la direzione verso cui tendere, è far prendere coscienza che le tecnologie, e quindi anche i social network, oltre ad essere utilizzati per scopi ludici, possono risultare utili strumenti in mano a chi li sappia gestire adeguatamente.

La strada su cui muovere i passi è quella di superare la convinzione «tecno-centrica secondo cui la tecnologia da sola sia sufficiente a creare cambiamenti»20, andando oltre i determinismi tecnologici, i quali attribuiscono alla tecnologia la responsabilità sia del bene sia del male.

L’obiettivo educativo dovrebbe sostanziarsi nel riconoscere nell’identità digitale «un rinforzo alla propria identità personale, di gruppo, professionale, sociale, e inoltre deve includere il diritto alla propria immagine, sia delle persone fisiche sia giuridiche, il diritto alla privacy, il diritto alla reputazione digitale e il diritto all’oblio»21.

Interessante in questa direzione è la riflessione del sociologo spagnolo Manuel Castells: egli vede i social

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media come piazze virtuali in cui le persone di ogni età e condizione sociale si possono auto-governare attraverso “un’auto comunicazione di massa”, riprogrammando i network intorno a valori ed interessi alternativi rispetto a quelli istituzionali22. L’obiettivo è l’attuazione di una democrazia di tipo pratico, sperimentando una forma di partecipazione politica innovativa, digitalizzata e plurimediata (dai cellulari, dalle tv, dai social media) alle scelte politiche attraverso i movimenti e i flussi che avvengono nella rete23.

Applicata in un’ottica professionale, questo permetterebbe uno sviluppo sempre maggiore delle piattaforme social come base di costruzione di una “democrazia del lavoro”, in cui le persone collaborino in maniera esponenziale agendo con consapevolezza e responsabilità, mettendo in gioco competenze, conoscenze ed abilità.

Se, dunque, l’era del digitale chiede nuove competenze trasversali in grado di far fronte a dinamiche plastiche e non più rigide nel mondo del lavoro, appare chiaro come sia chi si occupa di selezione, sia chi è alla ricerca di lavoro (per la prima volta o per necessità di riconversione professionale) debba maturare strategie per “stare al passo” con i cambiamenti e gli sviluppi che il digitale muove. Maturazione che, come rilevato da alcuni recenti studi di carattere sociologico24, nel nostro Paese riguarda ad oggi una fetta ancora limitata della popolazione e dei c.d. job seekers.

Sussiste quindi la necessità di rendere effettiva la competenza digitale che consiste, quindi, «nel saper usare con dimestichezza e in modo critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) e richiede abilità di base nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT)»25.

Una competenza digitale che, oltre all’accezione di tecnologia chiusa, volta al raggiungimento di specifiche abilità tecniche, si apra anche alla concezione di tecnologia aperta,26 ovvero un’architettura di supporto per il conseguimento e l’intersezione con competenze chiave di altro tipo. Questa sembra essere la premessa d’obbligo per portare avanti un discorso di costruzione di identità consapevole attraverso le piattaforme di social network.

L’utilizzo consapevole e responsabile della rete e dei social network, oltre che un supporto tecnico alla persona che li utilizza, pare dunque necessario: non solo per non sentirsi soffocati dal cambiamento, ma per riuscire ad essere attori di cambiamento attraverso l’esercizio attivo e l’utilizzo della tecnologia come mezzo per realizzarsi e connettersi in quei luoghi “virtuali”, piazze di incontro tra persone.

A partire dall’agenzia educativa per eccellenza, ovvero la scuola, passando alle attività formative che si

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svolgono nelle organizzazioni fino ad arrivare a chi si occupa della gestione delle risorse umane, risulta necessario un cambiamento di paradigma che riesca ad utilizzare i media e gli strumenti digitali come canali che si pongono accanto alle persone, un medium che unisce e non separa, che crea ponti e non barriere, tra gli ambiti di educazione e formazione formale ed informale.

Nel mercato del lavoro, sempre più veloce e competitivo, è importante identificare persone con le competenze necessarie a svolgere determinati ruoli e ricoprire posizioni vacanti, o ancora meglio, anticipare esigenze organizzative future: competenza che si identifica con «l’essere in azione di una persona che cerca di affrontare bene, unitariamente, con libertà e responsabilità, i problemi professionali e sociali che gli si presentano»27.

Chiara Gaiti HR Man at Work

Note Prendiamo come esempio il telelavoro, ovvero il decentramento produttivo e occupazionale realizzato mediante strumenti telematici che permettono di lavorare scambiando dati e informazioni in tempo reale con la sede di lavoro.

2 La globalizzazione non è solo economico-finanziaria, ma anche politica, culturale e sociale: In ognuna di queste dimensioni assume caratteri particolari e, accelerando enormemente i flussi di merci, denaro, informazioni, persone, trasforma i rapporti di mercato, quelli tra gli Stati e tra Stato e cittadini, quelli tra gli individui (cfr. V. Cesareo, Globalizzazione e contesti locali, Franco Angeli, Milano 2000, p. 9).

3 Si pensi all’evoluzione del concetto di telework: si è passati dal concetto di home Office (utilizzo di dispositivi fissi presso le propria abitazioni da parte del lavoratoro) al Mobile Office e, ulteriore step, quello del Virtual Office (in cui il lavoratore utilizza devices e nuove ICT che operano nel cloud).

4 Pierre Lévy suggerisce di interpretare il concetto di virtuale non come opposto al reale, bensì come trasformazione della sua modalità d'essere; virtuale anche come deterritorializzazione al di fuori del qui ed ora, i quali tuttavia non smettono di esistere nel reale.

5 M. Lazzari - M.J. Quarantino, Virtuale e/è reale - Adolescenti e reti nell’era del mobile, Sestante Ed., Bergamo 2015, p. 164.

6 Co-fondatore di Linkedin nel 2002 e già creatore e sviluppatore di PayPal nel 2000, in R. Hoffman, B. Casnocha, C. Yeh, L’ alleanza. Gestire il talento nell’era del networking, EGEA Ed., 2015, p. 6.

7 A conferma di questo trend, i dati mostrano che nel mese di Gennaio 2017, 10,7 milioni di utenti in Italia erano online accedendo da un computer e 20,6 milioni da mobile e, tra questi, 12,8 milioni di italiani tra i 18 e i 74 anni hanno navigato esclusivamente da mobile (Fonte Audiweb, La Total Digital Audience, Gennaio 2017).

8 Cfr. G. Gravili, Il Social Recruiting, Cacucci, Bari 2011.

9 Sono portali rivolti all’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Essi forniscono possibilità di caricare o creare curriculum all’interno di banche dati e, alle aziende, di pubblicare annunci di lavoro su apposite bacheche. I principali canali 1

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utilizzati in Italia risultano essere: Indeed, Monster, InfoJobs, Jobrapido, Trovolavoro, Helplavoro.

10 Dall’Adecco Work Trend Study del 2015 il 78,3% dei recruiters afferma di cercare candidati attraverso social network e il 51% dei candidati di cercare lavoro.

11 I recruiter prevedono di svolgere il 71% delle attività di reclutamento online e incrementare l’uso dei social network per il social recruiting (rispetto a bacheche online e siti aziendali) dal 23 al 29% (fonte Adecco Word Trend Study, 2015).

12 Il nuovo paradigma antropologico all’interno della sfera lavorativa si può estrapolare anche dalla definizione che l’Eurofound ha fatto riferendosi alla sostenibilità nella sfera lavorativa: si evince infatti che l’uomo è considerato come un intero, nel quale la sua totalità può realizzarsi solo attraverso un balance tra la dimensione meramente lavorativa e quella privata, non più separate e considerate in modo distinto. La working life e i personal needs, infatti, intervengono nella creazione dell’identità della persona. Il lavoro è prima di tutto una social activity, il che implica e necessita una visione della persona come portatrice di relazionalità.

Eurofound and the International Labour Office, Working anytime, anywhere: The effects on the world of work, Geneva 2007.

13 Cfr. M. Castells, Galassia Internet (2001), tr. it. di S. Viviani, Feltrinelli, Milano 2013. Il fenomeno del digital divide a molteplici livelli: dal semplice utilizzo, alla conoscenza, alla partecipazione, alla produzione e tutti quegli aspetti che possono interessare la creazione e la diffusione delle Ict all’interno di una società complessa, con conseguenze di amplificazione a livello sia macro (Nord e Sud del mondo) che micro sulle generazioni che utilizzano la tecnologia.

14 S. Zamagni, L’economia del bene comune, Città nuova editrice, Roma 2007, p. 40.

15 D. Choen, Tre lezioni sulla società postindustriale (2006), tr. it. di C. Spinoglio, Garzanti, Milano 2007, p. 25.

16 Cfr. R. Bissola - B. Imperatori, Recruiting Gen Yers Through Social Media: Insights from the Italian Labor Market, Social media in human resources management, Emerald Group Publishing Limited, 2014, pp. 59-81.

17 Dati forniti dall’Adecco Work Trend Study, 2015.

18 T. Grange, Cura pedagogica ed educazione nell’era digitale, «InFormazione», (X), 13 (2015), p. 14.

19 M. Ranieri, Le insidie dell’ovvio. Tecnologie educative e critica della retorica tecnocentrica, Edizione ETS, Pisa, 2011, p. 68.

20 Ibi, p. 173.

21 R.R. Vila, Una nuova alfabetizzazione alla lettura nelle TIC, «Nuova Secondaria Ricerca», 8 (2014), pp. 6-7.

22 Cfr. M. Castells, Comunicazione e potere, Università Bocconi Editore, Milano 2014; Id., La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano 2014.

23 A. Lazzarini, Il mondo dentro la città. Teorie e pratiche della globalizzazione, Mondadori, Milano-Torino 2013, p. 141.

24 Cfr. I. Pais - A. Gandini, Looking for a Job Online. An International Survey on Social Recruiting, «Sociologia del lavoro», 137 (2015), pp. 115-129.

25 La competenza digitale è la quarta delle competenze chiave per lo sviluppo dell’apprendimento permanente riconosciute dall’Unione europea in sede della raccomandazione del Consiglio europeo e della Commissione del 18 dicembre 2006. http://www.competenzechiave.eu/competenza_digitale.html 26 Con tecnologia aperta si intende un ambiente o set di funzioni a valenza più ampia che, generalmente, deve essere curvato verso specifici obiettivi didattici. In A. Calvani, Tecnologia, scuola, processi cognitivi. Per una ecologia dell’apprendere, FrancoAngeli Editore, Milano, 2007 27 G. Sandrone, La competenza, concetto ponte tra formazione e lavoro, «Nuova Secondaria Ricerca», 10 (2017).

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DAL LAVORO ALLA FORMAZIONE

LAVORO E FORMAZIONE NELL’ESPERIENZA LECCHESE DEL “POLO DI ECCELLENZA” di Roberto Panzeri e Matteo Sironi La sinergia territoriale fra attore pubblico, parti sociali, enti formativi ed associazioni consente di affrontare al meglio le crisi occupazionali. Mentre si prendono in carico le persone disoccupate, infatti, occorre considerare i fabbisogni professionali del territorio. Le iniziative avviate dalla Provincia di Lecco rappresentano in questo senso una vera eccellenza.

Un polo per la gestione del mercato del lavoro Le premesse Il progetto “Polo di eccellenza per la gestione del mercato del lavoro e delle risorse umane in provincia di Lecco” è stato avviato dalla Provincia di Lecco nel novembre 2009 per rispondere in primo luogo agli effetti della crisi economica e occupazionale che, a partire dall’autunno del 2008, ha investito anche il territorio lecchese, causando la chiusura di centinaia di attività economiche e il licenziamento di migliaia di lavoratori, con conseguenze economiche e sociali potenzialmente dirompenti, se non affrontate per tempo e in modo adeguato.

Negli ultimi anni l’economia lecchese, basata in larga parte sul settore dell’industria manifatturiera e delle costruzioni (34% sul totale delle imprese nel 2016, contro il 38,4% del 2008) e dei servizi (cresciuti dal 56% del 2008 al 61,3% del 2016), ha assistito in modo pressoché impotente alla chiusura di centinaia di imprese, in particolar modo manifatturiere ed edili ma non solo, che non hanno saputo reagire alle difficoltà di mercato e alla contrazione del credito manifestatesi in particolar modo dall’autunno 2008 alla primavera del 2014.

Il tasso provinciale di disoccupazione registrato nel 2016 è stato del 5,8%, in costante diminuzione rispetto all’8,1% del 2013 (annus horribilis dell’occupazione lecchese), ma ancora lontano dal dato pre-crisi del 2008 (3,2%).

In secondo luogo il progetto, coordinato dal punto di vista scientifico dal docente di Diritto del Lavoro Prof.

Pier Antonio Varesi, ha incarnato una sperimentazio-

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ne dell’applicazione della L.R. 22/2006 “Il mercato del lavoro in Lombardia”, poiché il territorio lecchese rappresenta per Regione Lombardia, sotto il profilo demografico, sociale ed economico, un laboratorio di dimensioni e caratteristiche ideali per studiare e attuare progetti innovativi in diversi campi, in questo caso nelle politiche del lavoro e negli strumenti di contrasto alle situazioni di crisi aziendali.

Le attività del “Polo di eccellenza” sono state svolte principalmente a beneficio dei lavoratori espulsi dal mercato del lavoro e delle imprese alla ricerca di personale, con l’obiettivo primario della valorizzazione del capitale umano e del suo corretto impiego, al fine di sostenere la competitività e la crescita complessiva del sistema socio-economico lecchese.

Il progetto è stato incentrato sulla creazione di due strumenti operativi: l’Osservatorio provinciale per il mercato del lavoro e l’Unità di gestione delle crisi aziendali.

L’Osservatorio provinciale per il mercato del lavoro Il primo si è occupato principalmente dell’analisi delle caratteristiche e delle dinamiche del mercato del lavoro a livello territoriale e dell’elaborazione di dati a supporto della progettazione, definizione e attuazione delle politiche attive in un’ottica di integrazione dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro.

La realizzazione di report periodici e di analisi su temi specifici, come l’occupazione giovanile e femminile, ha inoltre consentito di promuovere iniziative d’informazione e orientamento rivolte alle categorie di volta in volta oggetto delle indagini. In particolare il “Rapporto annuale sul mercato del lavoro in provincia di Lecco”,

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giunto quest’anno alla sua 7ª edizione, rappresenta un valido strumento per fornire una lettura delle dinamiche del mercato del lavoro lecchese e illustrare le tendenze di fondo del sistema economico-sociale locale, colte nel loro sviluppo storico.

L’Unità di Crisi Dal canto suo l’Unità di Crisi, composta da un ufficio di due persone operativo presso il Centro per l’Impiego di Lecco, ha svolto in primis la funzione di informare e orientare i lavoratori coinvolti in crisi aziendali al fine di accompagnare e favorire il loro reinserimento lavorativo, e ha promosso un lavoro integrato di rete e di empowerment tra il sistema delle imprese, quello della formazione, la rete dei servizi al lavoro, le associazioni imprenditoriali, le organizzazioni sindacali dei lavoratori, le istituzioni politiche e socio-economiche territoriali al fine di promuovere la ricollocazione dei lavoratori e supportare la competitività delle imprese attraverso l’impiego di personale qualificato.

Inoltre, essa ha supportato un’attività di scouting aziendale, ossia la ricerca di opportunità lavorative per le persone prese in carico, anche mediante visite mirate presso aziende lecchesi volte alla rilevazione in loco dei fabbisogni professionali del personale da assumere.

L’individuazione delle crisi aziendali da affrontare è stata frutto del costante confronto promosso dalla Provincia di Lecco con le parti sociali, tanto che nei circa 8 anni di attuazione del progetto, sono stati promossi 60 tavoli istituzionali per altrettante crisi aziendali socialmente rilevanti, per un totale di 209 riunioni con gli enti territoriali interessati, i rappresentanti delle aziende in crisi e delle parti sociali impegnate nelle vertenze.

Nel periodo in esame l’Unità di Crisi è stata chiamata a gestire 44 crisi di aziende che operavano principalmente nei settori del metalmeccanico e dell’edilizia, per un totale di circa 2.392 lavoratori informati e orientati nel periodo dal 16/11/2009 al 31/12/2016 nel corso di incontri individuali e di gruppo promossi presso il Centro per l’Impiego di Lecco.Rispetto a questo dato, esclusi gli iscritti al servizio Collocamento Disabi-

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li e Fasce deboli e coloro che godevano di un accompagnamento alla pensione, sono stati 2.122 gli utenti effettivamente presi in carico nel periodo in esame.

Il 38,95% di queste persone ha trovato un impiego a tempo determinato o indeterminato, mentre l’1,35% ha avviato un’attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, quindi oltre il 40% dei lavoratori ha trovato una nuova occupazione.

Si tratta di un dato significativo, contando che il processo di presa in carico ha riguardato prevalentemente persone over 45 caratterizzate mediamente da un basso grado di istruzione e formazione e dal possesso di competenze professionali generiche o comunque poco richieste dall’attuale mercato del lavoro.

Facendo invece un’analisi delle crisi aziendali affrontate, è evidente come nella stragrande maggioranza dei casi si sia trattato di aziende che hanno cessato l’attività per una combinazione di cause (arretratezza organizzativa e tecnologica, incapacità manageriali, problemi finanziari, poca attenzione alla formazione e alla crescita professionale del capitale umano, mancati investimenti in innovazione di prodotto e/o processo, scarsa internazionalizzazione...).

Al di là delle capacità, delle competenze e della volontà di rimettersi in gioco da parte di chi si trova a cercare lavoro, è risultato evidente che anche le caratteristiche peculiari di ciascuna crisi abbiano influito sulla condizione emotiva (per lo più caratterizzata da sentimenti di rabbia, smarrimento e sfiducia) e sulle motivazioni delle singole persone a cercare una nuova occupazione.

Anche dal punto di vista economico, ogni crisi aziendale ha avuto diverse ripercussioni sui lavoratori coinvolti. Infatti, ad esempio, mentre sono stati minoritari i casi in cui le aziende hanno regolarmente pagato le spettanze ai lavoratori arrivando in alcuni casi a corrispondere anche un incentivo all’esodo, sono stati registrati molti più casi di mancato pagamento delle ultime mensilità di stipendio, di parte del T.f.r., di incompleti versamenti previdenziali...

L’analisi iniziale di ciascuna crisi aziendale, effettuata con la proprietà dell’azienda o il suo management (in caso di fallimento o procedura concorsuale con i

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rappresentanti degli organi della procedura) e le parti sociali, si è sempre rilevata indispensabile per mettere in rete tutti i soggetti chiamati ad attenuare le conseguenze negative della crisi stessa, per concordare alcuni aspetti delle politiche attive del lavoro e per definire il programma di monitoraggio delle azioni di ricollocazione/riqualificazione da attuare con i lavoratori coinvolti.

Conclusa la fase di analisi, il primo incontro informativo con i lavoratori e quelli successivi individuali e di gruppo sono stati decisivi per raccogliere preziose informazioni circa la loro situazione personale e familiare, il loro percorso d’istruzione, formativo e professionale e le competenze maturate.

L’utilità della formazione per il reinserimento Uno dei compiti svolti dall’Unità di Crisi è stato la verifica della necessità di promuovere eventuali percorsi di riqualificazione professionale a beneficio dei lavoratori presi in carico e della conseguente attività di collaborazione con i soggetti accreditati alla formazione per l’individuazione dei partecipanti da inserire nei corsi in partenza.

Da questo punto di vista, l“Accordo quadro su orientamento e formazione per il mercato del lavoro e lo sviluppo del territorio della provincia di Lecco”, siglato dalla Provincia di Lecco con le parti sociali lecchesi nel dicembre 2010, ha aperto la strada a un’azione sinergica su questi temi.

Inoltre, l’“Analisi dei profili professionali” maggiormente richiesti dalle aziende lecchesi che è stata realizzata negli anni 2012/2013 e nel 2015 da Provincia, Camera di Commercio di Lecco e Network Occupazione Lecco (l’associazione di carattere territoriale a cui aderiscono Ance, Api, Confartigianato, Confcommercio, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil)1, è stata utile per progettare e promuovere i percorsi formativi più rispondenti ai fabbisogni formativi manifestati dalle imprese lecchesi.

Ad esempio la Provincia di Lecco, mediante l’Unità di Crisi, ha collaborato con la Commissione Paritetica Territoriale di Fondimpresa per la rilevazione delle competenze in ingresso dei lavoratori in mobilità beneficiari di un percorso di riqualificazione professionale della durata di 400 ore (di cui 160 di tirocinio) finalizzato a formare la figura del manutentore meccanico polivalente, promosso nel 2012 con le risorse dell’avviso 2/2010 di Fondimpresa.

Inoltre l’Unità di Crisi ha coordinato il gruppo di lavoro, composto dai rappresentanti di Distretto Tessile Lecchese, Camera di Commercio di Lecco, Confindustria, Confartigianato, Filctem Cgil, Femca Cisl e Uilta Uil, che ha realizzato un corso di riqualificazione professionale

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di 400 ore a beneficio di lavoratori espulsi dal settore tessile per la formazione delle figure del manutentore meccanico con competenze avanzate sull’elettronica e dell’annodatrice/rimettina. Inoltre, è stata instaurata una proficua collaborazione con Confcommercio Lecco per la realizzazione di un corso di riqualificazione professionale per panificatore (200 ore di formazione d’aula e laboratorio e un tirocinio della durata di 320 ore presso panifici aderenti all’associazione), a beneficio di 16 persone disoccupate. In questo caso l’Unità di Crisi si è occupata della rilevazione delle competenze in ingresso di lavoratori inoccupati e disoccupati per individuare il gruppo dei partecipanti.

Un’altra esperienza formativa interessante, anch’essa finalizzata a favorire il reinserimento professionale di persone espulse dal mercato del lavoro, è stata il corso per operatore meccanico addetto alle macchine utensili realizzato dal C.f.p. “Aldo Moro” di Valmadrera grazie a un finanziamento della Provincia di Lecco.

Il corso, basato essenzialmente sui principi delle lavorazioni meccaniche della tornitura, fresatura e della conduzione di macchine utensili, è stato suddiviso in una parte iniziale di formazione tecnico-pratica di 260 ore e un tirocinio finale di 320 ore presso aziende meccaniche lecchesi.

Tra il 2014 e il 2015 la Provincia di Lecco ha finanziato la realizzazione di cinque corsi di riqualificazione professionale sulla base dei fabbisogni professionali rilevati dalle associazioni imprenditoriali lecchesi tra le imprese associate: un corso sartoria di base organizzato da Elfi2 Confartigianato Lecco e Fondazione Luigi Clerici (210 ore di cui 80 di tirocinio), un corso per pizzaiolo promosso da Confcommercio Lecco (140 ore), un corso per addetto alle macchine utensili (440 ore di cui 200 ore di stage) e uno per manutentore a telaio con conoscenze avanzate sulla pratica elettronica (340 ore di cui 160 di tirocinio) promossi da una rete di associazioni d’impresa (Confindustria, Api e Confartigianato) e, infine, un corso per operatore del cantiere del recupero edilizio di 150 ore organizzato dall’Espe3 di Lecco.

Un’altra esperienza formativa interessante è stato il corso di base di meccanica di 100 ore voluto da una rete di soggetti pubblici e privati (Provincia, Comunità Montana Valsassina, Api Lecco, Consorzio Consolida, Caritas, cooperative che gestiscono i centri di accoglienza straordinaria per migranti…) organizzato dalla Fondazione Luigi Clerici presso la sede di Merate e rivolto a 15 persone individuate tra persone richiedenti asilo e disoccupati.

In questo caso la Provincia di Lecco, mediante l’Unità di Crisi, si è occupata di preselezionare i partecipanti incontrando i candidati, quasi tutti giovani richieden-

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Lecco vista dall’alto

ti protezione internazionale ospitati presso i centri di accoglienza presenti nel territorio provinciale. Al termine del corso, in fase di realizzazione, nei primi mesi del 2018 i partecipanti avranno la possibilità di essere ospitati in tirocinio dalle aziende dell’Api di Lecco.

Si è trattato di esperienze senz’altro positive in cui è emerso chiaramente come i corsi di riqualificazione professionale necessitino di una parte teorica e laboratoriale piuttosto corposa affinché siano davvero utili a persone spesso caratterizzate da bassi livelli di istruzione e specializzazione professionale, che vogliono acquisire nuove conoscenze e competenze.

Anche lo stage rappresenta un momento formativo di fondamentale importanza che consente al tirocinante di mettersi alla prova (e in evidenza) in quello che potrebbe diventare il suo futuro luogo di lavoro.

Da questi percorsi formativi sono emerse altre indicazioni che, tuttavia, troppo spesso vengono sottovalutate quando si parla di percorsi di riqualificazione professionale: si tratta di iniziative che richiedono lo stanziamento di importanti risorse economiche per essere realizzate e che sono rivolte a un numero di partecipanti necessariamente contenuto (in genere 15 corsisti al massimo).

Quindi, considerando ad esempio che nel 2016 in provincia di Lecco si sono registrate circa 9.000 disoccupati, l’ammontare di risorse che sarebbe necessario per riqualificare anche una minima parte di questo piccolo

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esercito di disoccupati, è enorme e, certamente, non è nelle disponibilità degli enti pubblici.

Inoltre, l’individuazione dei candidati idonei per l’accesso ai corsi si è rilevata talvolta assai difficoltosa, poiché spesso le persone interessate non sono in possesso né dei requisiti di base, né della motivazione sufficiente ad affrontare il percorso.

Quindi, se da una parte è vero che gli interventi formativi possono rappresentare un efficace strumento per favorire l’occupabilità e il reinserimento professionale di lavoratori alla ricerca di un impiego, dall’altro è altrettanto vero che non sempre ci sono le condizioni per poterli effettivamente attuare.

Il ruolo della rete territoriale Nei casi in cui è emerso con evidenza che le persone alla ricerca di un nuovo impiego non avevano bisogno di formazione per aumentare il proprio grado di occupabilità, l’Unità di Crisi ha lavorato con gli utenti presi in carico promuovendo percorsi di accompagnamento, orientamento e rimotivazione alla ricerca del lavoro, denominati “laboratori di ricerca attiva del lavoro”, progettati e condotti con una logica laboratoriale, mediante l’utilizzo di un’aula informatica attrezzata con pc portatili messi a disposizione dalla Provincia di Lecco, con l’obiettivo di far apprendere ai lavoratori le conoscenze e tecniche utili per la ricerca attiva del la-

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voro, nonché la sperimentazione delle stesse attraverso l’uso del pc e del telefono. È importante sottolineare come i percorsi di reinserimento professionale promossi dall’Unità di Crisi siano stati attivati all’interno di una rete di collaborazione tra soggetti pubblici e privati (enti territoriali, agenzie per il lavoro, enti accreditati ai servizi al lavoro e alla formazione, parti sociali…) che nei primi anni di attività del progetto è stata creata informalmente grazie a una serie di strumenti di confronto attivati dalla Provincia di Lecco. A tal proposito è utile citare il “Tavolo provinciale di Networking”, un tavolo permanente di confronto con gli operatori privati accreditati ai servizi al lavoro e alla formazione operanti in provincia di Lecco, e il “Patto di collaborazione per la ricollocazione dei lavoratori coinvolti in crisi aziendali” siglato con alcune tra le principali agenzie per il lavoro operanti in provincia di Lecco (Adecco, During, Gi Group, Manpower, Maw, Openjobmetis, Randstad, Tempor e Umana).

Successivamente questa rete è stata ulteriormente rafforzata dalle politiche attive per il lavoro promosse da Regione Lombardia, proprio sulla scorta dei risultati positivi ottenuti in progetti sperimentali di carattere territoriale come, appunto, il “Polo di eccellenza”.

Si tratta di avvisi regionali denominati in modo diverso (“Azioni di reimpiego in partenariato”, “Azioni di Rete per il Lavoro”, “FPA Energia”...) e contenenti varie tipologie di interventi, che sono stati emanati negli ultimi anni da Regione Lombardia per favorire il reinserimento professionale di disoccupati o cassintegrati con la prospettiva del licenziamento.

Queste misure hanno dimostrato di essere strumenti importanti per gestire in modo mirato ed efficace gli interventi di politiche attive per i lavoratori licenziati a causa di crisi aziendali. È stato inoltre attivato un servizio di consulenza per l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità non solo a beneficio degli utenti dell’Unità di Crisi, ma anche per gli utenti del Centro per l’Impiego di Lecco al quale si sono rivolti 130 utenti.

Infine, la Provincia di Lecco ha partecipato a diverse iniziative di orientamento all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro destinate a giovani e adulti promosse dal servizio Istruzione e Formazione professionale o da soggetti esterni come i Rotary Club presso i principali istituti secondari di secondo grado del territorio (“Rotary for Job” edizioni 2015, 2016 e 2017, “LeccoOrienta 2.0” del 2016, “Arti e Mestieri 2.0” e “Giornata dell’orientamento universitario” del 2017).

ra del 2014 non si sono ancora tradotti in un sostanziale recupero dei livelli occupazionali pre-crisi, senza dubbio la situazione economica e occupazionale ha continuato a presentare negli ultimi tre anni segnali positivi che fanno ben sperare per il prossimo futuro.

La rete di collaborazione creata a Lecco tra i soggetti pubblici e privati che a vario titolo fanno parte dei meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro locale, ha rappresentato un valido strumento per far fronte ai gravi problemi occupazionali degli ultimi anni, tanto che, nel “2° Rapporto annuale dell’Osservatorio Statistico dei Consulenti del lavoro – 2016”, Lecco risulta al terzo posto nella classifica nazionale individuata dall’indice sintetico di efficienza e innovazione del mercato del lavoro. Tale indice viene calcolato dalla combinazione di cinque indicatori (tasso d’occupazione, quota di giovani “non Neet”, rapporto tra tasso d’occupazione maschile e femminile, quota di occupati che esercitano professioni altamente qualificate e quota di lavoratori con contratti “standard”).

Roberto Panzeri Dirigente D.O. VI (Lavoro e CPI) - Provincia di Lecco

Matteo Sironi

Coordinatore Unità gestione crisi aziendali - Provincia di Lecco

Note L’acronimo Ance sta per Associazione Nazionale Costruttori Edili. Api sta per Associazione Piccole e Medie Industrie 2 Ente Lombardo Formazione d’Impresa 3 Ente Unico Paritetico per la Formazione e la Sicurezza O.p.p.

Edilizia.

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Situazione attuale Anche se i segnali di miglioramento della situazione economica generale registrati a partire dalla primave-

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SPERIMENTARE L'APPRENDISTATO “DUALE” IN SOMMINISTRAZIONE E' POSSIBILE di Diana Larenza L’integrazione tra le fonti e l’applicazione analogica della disciplina del contratto di apprendistato professionalizzante consente già oggi di sperimentare l’apprendistato di primo e terzo livello in somministrazione. Tale soluzione, fortemente innovativa, potrebbe favorire la diffusione dell’apprendistato “duale”.

La previsione normativa

I contratti collettivi e gli standard formativi

La possibilità di assumere apprendisti con contratto di somministrazione di lavoro è stata introdotta con il cosiddetto Testo unico dell’apprendistato, il D.Lgs. 14 settembre 2011, n. 167, il cui articolo 2, comma 3, per la prima volta, con riguardo ai limiti di contingentamento, prevedeva la possibilità di assumere «apprendisti per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro»1.

Successivamente, nell’ambito della Riforma Fornero del 2012, si specificava che la somministrazione a tempo indeterminato fosse ammessa, in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo, da parte del somministratore, di uno o più lavoratori assunti con contratto di apprendistato2.

Tale impostazione è stata confermata dal c.d. Codice dei contratti del Jobs Act, il D.Lgs. 15 giugno 2015, n.

81, che, nella disciplina generale del contratto di apprendistato, dunque tra le disposizioni riferite a tutti e tre “i livelli” di apprendistato, ribadisce la possibilità di assumere apprendisti tramite le agenzie di somministrazione autorizzate, escludendo la possibilità di utilizzare apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato3.

Pertanto, in base alla disciplina legislativa ad oggi vigente, è possibile affermare che l’apprendistato in somministrazione sia ammesso per tutte le tipologie di contratto, incluso l’apprendistato di primo (apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore) e di terzo livello (apprendistato di alta formazione e ricerca), a condizione che il rapporto di natura commerciale tra agenzia per il lavoro ed azienda utilizzatrice sia consolidato da un contratto a tempo indeterminato, il cosiddetto staff leasing.

Come è noto tuttavia, la possibilità di attivare contratti di apprendistato è demandata alla relativa disciplina degli accordi interconfederali o dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Con riguardo alla somministrazione di lavoro, il contratto collettivo nazionale per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro del 27 febbraio 2014, siglato da Assolavoro (Associazione Nazionale di Categoria delle Agenzie per il Lavoro) con le organizzazioni sindacali Nidil Cgil, Felsa Cisl e Uiltemp, ha disciplinato in modo organico soltanto il contratto di apprendistato professionalizzante in somministrazione, non facendo cenno alle casistiche dei contratti di apprendistato di primo e di terzo livello, il c.d. apprendistato duale.

La possibilità di attivare contratti di apprendistato duale in somministrazione può essere però riconosciuta, per le agenzie per il lavoro associate ad Assolavoro, grazie all’accordo interconfederale siglato il 18 maggio 2016 tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. Tale accordo, valido per i soggetti aderenti a Confindustria (come ad esempio Assolavoro), oltre a delineare alcuni aspetti dell’apprendistato di primo e terzo livello, precisa che, ove non ancora oggetto di una specifica regolamentazione da parte dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria, i contratti di apprendistato di primo e terzo livello possono fare riferimento alla disciplina del contratto di apprendistato professionalizzante definita dagli stessi.

Pertanto, pur non essendo (ancora) definita dal contratto collettivo nazionale per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro, la disciplina dell’apprendistato duale in somministrazione può essere ricavata dalle fonti normative e contrattuali “disponibili” ovvero, in via generale: disciplina nazionale (Codice

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Apprendistato di I e II livello in somministrazione. Quale disciplina seguire?

Livello nazionale

D.Igs 81/2015: cornice normativa D.M. 12 ottobre 2015: standard formativi

Livello regionale

Normativa regionale che specifica i profili formativi di percorsi in apprendistato

Accordo interconfederale (Confindustria - CGL, CISL e UIL)

Contratti collettivi

Laddove non ancora oggetto di una specifica regolamentazione da parte dei contratti collettivi di categoria è possibile far riferimento alla disciplina relativa al contratto di apprendistato professionalizzante CCNL 27 febbraio 2014 (Assolavoro - CGL, CISL e UIL)

dei contratti del Jobs Act) e disciplina contrattuale (Accordo interconfederale del 18 maggio 2016; Contratto collettivo nazionale per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro; contratto collettivo applicato dall’azienda utilizzatrice).

Per quanto attiene in particolare ai profili formativi dell’apprendistato di primo e terzo livello, in assenza della regolamentazione regionale, è possibile fare riferimento a quanto previsto dal decreto interministeriale del 12 ottobre 2015, che definisce gli standard formativi ed i criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato.

datore di lavoro, quali attività e responsabilità siano riferibili all’agenzia per il lavoro e quali all’azienda utilizzatrice, considerata la declinazione bipartita dei poteri tipici del datore di lavoro tra somministratore ed utilizzatore. Per questo motivo si ritiene che i firmatari del protocollo saranno 3: agenzia per il lavoro, azienda utilizzatrice ed istituzione formativa. Parimenti il piano formativo individuale prevedrà 4 sottoscrittori, incluso l’apprendista (o chi ne esercita la responsabilità genitoriale se si tratti di minorenne).

Il carattere innovativo della soluzione

I contratti di apprendistato di primo e di terzo livello prevedono due modalità di erogazione della formazione. La formazione esterna è quella erogata dall’istituzione formativa, mentre la formazione interna è quella acquisita presso il datore di lavoro.

Nel caso di apprendistato duale in somministrazione la formazione interna sarà principalmente quella erogata sul posto di lavoro a cura dell’azienda utilizzatrice. Tuttavia non si esclude che l’agenzia per il lavoro possa compartecipare alla progettazione, alla successiva erogazione e alla valutazione finale delle attività formative.

Dalla definizione del soggetto che eroga la formazione interna dipenderà dunque la ripartizione delle relative attività e responsabilità all’interno del protocollo e del piano formativo individuale.

L’integrazione tra le fonti sopra citate e l’applicazione “analogica” della disciplina del contratto di apprendistato professionalizzante in somministrazione, nell’attesa di chiarimenti da parte della contrattazione collettiva di settore, prospetta certamente elementi di novità, se ne riportano alcuni di seguito.

Protocollo tra datore di lavoro e istituzione formativa4 I contratti di apprendistato di primo e terzo livello integrano il protocollo d’intesa tra datore di lavoro ed istituzione formativa, nonché il piano formativo individuale. Nel caso di apprendistato duale in somministrazione, è opportuno chiarire, tra i riferimenti al

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La formazione interna

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La presenza di tre tutor

Note

Il decreto interministeriale sugli standard formativi prevede che gli apprendisti di primo e di terzo livello siano affiancati da due tutor che garantiscano l’integrazione tra la formazione interna (tutor aziendale) e quella esterna (tutor formativo). Applicando per analogia la disciplina dell’apprendistato professionalizzante in somministrazione, si ravvede l’opportunità di prevedere per l’apprendistato duale in somministrazione, all’interno del protocollo e di conseguenza all’interno del piano formativo individuale, un terzo tutor, ovvero il tutor dell’agenzia per il lavoro (tutor di agenzia).

Si ritiene che il tutor di agenzia, prima di diversi ed ulteriori chiarimenti in sede di contrattazione, dovrà rispondere ai requisiti previsti per l’apprendistato professionalizzante in somministrazione5.

Il sistema descritto, attualmente in fase di sperimentazione, nell’attesa di una disciplina compiuta a cura della contrattazione collettiva di settore, potrebbe rivelarsi un elemento di rilancio dell’apprendistato, obiettivo più volte inseguito dal legislatore. Le agenzie per il lavoro da “facilitatori” del mercato del lavoro, e tramite l’esperienza consolidata nelle transizioni occupazionali, potrebbero dunque incentivare il ricorso al contratto di apprendistato duale, facilitando l’incontro tra scuola e lavoro, al fine di integrare la formazione istituzionale all’ingresso nel mondo del lavoro.

z

Diana Larenza Adapt Università di Bergamo

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L’art. 2, comma 3, del Decreto Legislativo 14 settembre 2011, n. 167 prevedeva che: «Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere con contratto di apprendistato, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, non può superare il 100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro stesso».

2 Il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, nell’introdurre il comma 17-bis all’art. 1 della L. 28 giugno 2012, n. 92, disponeva con l’art. 46-bis, comma 1, lettera b), l’introduzione della lettera i-ter) all’interno del comma 3 dell’articolo 20 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sulle condizioni di liceità della somministrazione di lavoro: «La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa: […] i-ter) in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo da parte del somministratore di uno o più lavoratori assunti con contratto di apprendistato».

3 L’art. 42, comma 7, del Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81 dispone che: «Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro può assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione autorizzate, non può superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro. Tale rapporto non può superare il 100 per cento per i datori di lavoro che occupano un numero di lavoratori inferiore a dieci unità. È in ogni caso esclusa la possibilità di utilizzare apprendisti con contratto di somministrazione a tempo determinato».

4 Il decreto interministeriale 12 ottobre 2015 definisce il protocollo come «l’accordo sottoscritto dal datore di lavoro e dall’istituzione formativa che definisce i contenuti e la durata della formazione interna ed esterna all’impresa».

5 Ai sensi dell’art. 26 del contratto collettivo nazionale per la categoria delle agenzie di somministrazione di lavoro del 27 febbraio 2014: «Il Tutor di Agenzia (TDA), individuato nel Piano Formativo, è un dipendente o un consulente dell’Agenzia per il Lavoro che, a seguito di comunicazione della stessa, viene iscritto nell’apposito Albo istituito presso FORMA.TEMP. Il TDA possiede adeguate competenze professionali che possono derivare, alternativamente, da un’esperienza professionale di durata non inferiore a due anni acquisita in qualità di dirigente, quadro, funzionario o professionista, nel campo della gestione o della ricerca e selezione del personale o della fornitura di lavoro temporaneo o della ricollocazione professionale o dei servizi per l’impiego o della formazione professionale o di orientamento o della mediazione tra domanda ed offerta di lavoro o nel campo delle relazioni sindacali».

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DALL’INTEGRAZIONE ALL’INCLUSIONE F. Magni pp. 180 - € 13,00

La tutela del diritto all’istruzione delle persone con disabilità è al centro dell’attenzione da parte delle istituzioni nazionali ed internazionali ormai da parecchi decenni. Il testo, dopo aver ripercorso le principali tappe dell’evoluzione storica della normativa riguardante l’integrazione scolastica delle persone con disabilità, offre un quadro aggiornato (compresi i recenti decreti attuativi della legge n. 107/2015), delle politiche e della normativa italiana in materia, approfondendo – anche grazie alle più importanti e recenti pronunce giurisprudenziali – il tema dell’integrazione scolastica delle persone con disabilità, dell’inclusione delle persone con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA), con Bisogni Educativi Speciali (BES) e degli alunni stranieri. Non mancano, inoltre, cenni comparati utili ad allargare lo sguardo sugli altri paesi europei.

Il pagamento può essere effettuato anche tramite

www.edizionistudium.it

CARTA del DOCENTE 77 cartadeldocente.istruzione.it

LIBRI

S. Consiglio – L. Moschera, Le agenzie per il lavoro e i lavoratori in somministrazione dopo il “Jobs act”.

Un’indagine nazionale Franco Angeli, Milano 2015, pp. 236, € 37,00 Il volume riporta i risultati del V Rapporto sull’evoluzione del settore delle agenzie per il lavoro italiane commissionato dall’Osservatorio Nazionale dell’Ente Bilaterale Nazionale per il lavoro temporaneo (E.bi.Temp) e del Fondo per la formazione e il sostegno al reddito dei lavoratori in somministrazione (Forma.Temp). La ricerca si è basata sui bilanci delle agenzie, sui rapporti Ebitemp e Formatemp, sui dati statistici forniti dalle associazioni di categoria (Assolavoro e Assosomm) e sulle risposte a questionari rivolti direttamente ai manager delle agenzie e ai lavoratori somministrati. Gli obiettivi dell’indagine erano quattro e corrispondono ai capitoli del libro.

Il capitolo primo presenta lo stato dell’arte (evoluzione, dinamiche competitive…) e le caratteristiche del settore (fatturato, numero di addetti e di filiali, livello di concertazione, quote di mercato…) in Italia.

Nel quadriennio considerato (2011-2014) il fatturato complessivo delle agenzie per il lavoro è aumentato con un tasso di crescita annuo del 17%, ritornando così ai livelli pre-crisi del 2008. Contemporaneamente, però, sono diminuiti gli addetti e le filiali. Questo sarebbe il risultato di strategie aziendali volte alla razionalizzazione della spesa, in considerazione del-

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la funzione sostitutiva che le nuove tecnologie – e in particolare di Internet – possono svolgere rispetto alla presenza capillare sul territorio delle filiali.

Il comparto ha segnato complessivamente performance positive: il tasso dei lavoratori somministrati sul totale dei lavoratori è aumentato di 0,4 punti percentuali.

Il capitolo secondo raccoglie, invece, le percezioni del management rispetto alle prospettive di evoluzione del comparto nel prossimo futuro. Le risposte date dagli intervistati ai questionari loro rivolti fanno emergere un comportamento ambivalente: da un lato le previsioni di evoluzione del settore sono solo moderatamente ottimiste, dall’altro le strategie che le singole agenzie intendono perseguire sono di crescita.

Il capitolo terzo cerca di valutare il grado di soddisfazione e benessere dei lavoratori italiani con contratto di somministrazione a tempo determinato e indeterminato. L’indagine, i cui esiti sono riassunti nell’articolo degli stessi autori pubblicato sul presente fascicolo nella sezione Dal lavoro alla formazione, si concentrata su vari indicatori, come: il job commitment (il legame che il lavoratore ha con l’organizzazione per cui lavora), la job insecurity e il burnout.

Il capitolo quarto analizza nel dettaglio l’andamento economico del settore nel periodo compreso fra il 2011 e i 2014. Sempre in questo capitolo viene stilata una classifica delle dieci agenzie best performer.

Dalla considerazione dei vari aspetti studiati emerge la fotografia di un settore senz’altro in buona salute. Non solo, il modo con cui i lavoratori somministrati percepiscono il proprio lavoro e il rapporto che hanno normalmente con le imprese e le agenzie lascia intravedere interessanti prospettive riguardo all’evoluzione del ruolo che le agenzie per il lavoro potranno avere in futuro nelle politiche per il lavoro.

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AA.VV., L’Italia che lavora. Persone, flessibilità, prospettive Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2017, pp.

255.

Il libro pubblicato nella collana Ricerche dalla Fondazione Feltrinelli in collaborazione con Adecco Group celebra i 20 anni del contratto di lavoro in somministrazione (prima “lavoro interinale”). Il volume si apre con un’introduzione di Enzo Mingione e Simone Ghezzi, i quali, sulla scorta delle riflessioni di importanti sociologi del Novecento, dimostrano come la flessibilità sociale sia una necessità strutturale del capitalismo fin dalle sue origini. Non a caso, il sistema della flexsecurity sviluppato dai Paesi scandinavi è da considerare una situazione eccezionale sostenuta da condizioni storiche favorevoli più che un sistema riproducibile in altri Paesi.

La prima parte del libro raccoglie alcuni saggi scritti da docenti universitari sul tema della trasformazione del lavoro in Italia nel corso degli ultimi decenni. La ricostruzione di questa evoluzione è affidata al contributo di Mario Perugini che legge la storia del nostro Paese dal Dopoguerra in poi analizzando in particolare alcuni fenomeni, quali: il tramonto del fordismo, la “terziarizzazione” dell’economia, la crisi della rappresentanza sindacale a seguito della frammentazione del lavoro, il cambiamento del settore industriale. Irene Stolzi descrive lo sviluppo del diritto del lavoro e della giurisprudenza nell’Italia contemporanea dall’Unità in poi, mentre Andrea Carini e Mafalda D’Onofrio mettono a confronto i sistemi regionali dei servizi per il lavoro mostrando le diverse modalità di collaborazione fra Pubblica amministrazione ed operatori pubblici e pri-

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vati sulla base delle normative regionali che stabiliscono le regole di accreditamento, i modelli organizzativi e i servizi affidati alle agenzie.

Nella seconda parte del libro vari contributi di manager e consulenti legali di Adecco, multinazionale leader mondiale nel settore dei servizi per il lavoro, presentano il contratto di somministrazione così come previsto nell’ordinamento italiano. Dopo aver ripercorso la storia dell’istituto – dalla sua introduzione nel 1997 con il c.d. pacchetto Treu (che parlava ancora di “lavoro interinale”), fino alla sua completa liberalizzazione con il Jobs act, passando per la legge Biagi, che istituì il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (il c.d. staff leasing), la legge Fornero e il decreto Poletti (par. 1) – gli autori descrivono analiticamente natura e regole del contratto di somministrazione a tempo determinato e indeterminato sia dal punto di vista del rapporto commerciale fra l’impresa utilizzatrice e l’agenzia somministratrice (par. 2) sia dal punto di vista del lavoratore (par. 3). Nel par. 4 si verifica l’applicabilità all’interno di tale contratto di altri istituti normati dal diritto, come la sorveglianza sanitaria, l’invenzione industriale e gli ammortizzatori sociali. Infine, si riflette sul ruolo delle agenzie per il lavoro nell’ambito più ampio dei servizi per l’impiego, con particolare riferimento all’assegno di ricollocazione ex D.Lgs. 150/2015 e ai tirocini extra-curricolari (par. 5).

Il libro rappresenta dunque un ottimo strumento per conoscere il contratto di somministrazione, apprezzandone la funzione nel contesto attuale dopo aver compreso la sua genesi sullo sfondo della grande trasformazione subita dal lavoro nelle economie avanzate.

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G. Rebora, Scienza dell’organizzazione. Il design di strutture, processi e ruoli Carocci, Roma 2017, pp. 409, € 39,00 Il manuale di Rebora, professore ordinario di Organizzazione e gestione delle risorse umane presso l’Università Carlo Cattaneo Liuc di Castellanza, introduce il neofita con un linguaggio piano e ricco di esempi alla scienza dell’organizzazione. Questa disciplina, relativamente nuova (si è sviluppata impetuosamente nel corso del Novecento), deve oggi rivedere alcuni dei suoi presupposti teorici a seguito dell’avvento delle tecnologie digitali e del nuovo protagonismo rivendicato dal soggetto che caratterizzano la società contemporanea.

L’istanza teorica sopra richiamata è ribadita più volte nel corso del libro che pure mantiene un approccio istituzionale. Il manuale si divide in due parti. La prima offre riferimenti per una corretta comprensione dei fenomeni e dei problemi di organizzazione, richiamando il percorso compiuto dalla dottrina e cercando di collegarlo con l’evoluzione delle forme organizzative assunte da imprese, istituzioni pubbliche ed organismi sociali di varia natura.

In questa sezione rientrano i primi tre capitoli del manuale: il primo dedicato ai concetti base della scienza dell’organizzazione; il secondo al percorso compiuto nel tempo dalle teorie dell’organizzazione; il terzo alla classificazione delle forme organizzative tipiche a cui tendono le organizzazioni concrete.

La seconda parte del manuale, accogliendo gli stimoli dell’evoluzione più recente della disciplina, interpreta la progettualità nei più ampi termini di design dell’organizzazione, estendendo l’attenzione dagli aspetti

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strettamente teorici ai valori di innovazione dei prodotti. Fanno parte di questa sezione gli ultimi quattro capitoli del libro.

Il quarto capitolo affronta alcuni problemi metodologi che studiosi e manager dovrebbero tener presente quando progettano l’assetto organizzativo di un’organizzazione. Il quinto fa una carrellata sugli schemi organizzativi tipici delle aziende (e per estensione anche delle organizzazioni in generale). Il sesto riflette sul concetto di ruotine organizzative, mostrando come ad influenzarle siano le interpretazioni personali dei ruoli che plasmano i processi lavorativi. Infine, il capitolo settimo considera l’impatto organizzativo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

L’autore afferma a più riprese la necessità di colmare il distacco tra il livello astratto della progettazione delle architetture e strutture organizzative e la concretezza dei ruoli, delle routine e dei processi, considerando la materialità degli ambienti e la ricchezza di sfumature dei comportamenti umani. Conformemente all’approccio epistemologico della c.d. scienza dell’organizzazione questa avvertenza non si traduce però in una sufficiente rielaborazione teorica circa l’impossibilità di ricondurre l’agire umano alla struttura organizzativa e ai suoi condizionamenti.

Altro tema trasversale che percorre tutto il libro, senza essere tuttavia oggetto di un capitolo specifico, è quello della trasformazione organizzativa, di grande attualità oggi nel contesto di una società e di un’economia che cambiano in fretta e in continuazione.

Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

R. Staglianò, Al posto tuo: così il web e robot ci stanno rubando il lavoro Einaudi, Torino 2016, pp. 256, € 18,00 Riccardo Staglianò è un giornalista, inviato del quotidiano La Repubblica. Staglianò esplora il tema della digitalizzazione dei processi lavorativi in vari settori e in diverse professioni. L’autore muove la sua esplorazione partendo dalla propria esperienza di cliente di Amazon. Fa notare che se è vero che acquistare merci sulla piattaforma Amazon è sì efficiente e meno costoso economicamente ma rende molto meno competitivi i negozi fisici e può portare alla loro chiusura. Per quarto concerne il settore dei trasporti analizza alcune innovazioni tecnologiche e il loro impatto sul lavoro umano. L’A. si chiede se e come la digitalizzazione dei trasporti (Google car, Daimler e droni) promuovono un accrescimento dell’efficienza e della sicurezza rispetto a quella garantita dal guidatore umano. Inoltre, il giornalista affronta la tematica della digitalizzazione nel settore dei servizi alle imprese. In particolare l’impatto nei call center del robot centralinista Amelia dell’azienda IPsoft e del software Google translate dell’omonima azienda. Amelia e Google translate sono in grado di immagazzinare dagli esseri umani le informazioni che non conoscono. Amelia ad esempio, quando non è in grado di ottemperare alle richieste del cliente non si limita a passare la telefona all’assistenza clienti umana ma «Ascolta la risposta giusta, non se la dimentica più e la volta che ricapiterà la stessa domanda saprà cavarsela da sola grazie alla sua peculiare forma di intelligenza cumulativa destinata, a differenza nostra, a crescere soltanto, senza degradarsi mai» (pp. 43-44).

Queste tecnologie immagazzinano le informazioni che

Professionalità - n. 3/2018 - Anno XXXIII - ISSN: 0392-2790

gli esseri umani condividono, si pensi al fatto che Google traslate accresce il proprio vocabolario sulla base delle traduzioni che gli utenti decidono di offrire. Dopo il capitolo primo dedicato ad Amazon, il secondo al futuro dei trasporti automatizzati, il terzo al ruolo degli algoritmi nei servizi alle imprese, l’Autore propone un intermezzo (il primo di tre) in cui spiega, muovendo dalla prospettiva marxiana, perché nel mercato capitalistico vi è una «spinta essenziale a produrre a un prezzo sempre più basso» (p. 57), e mostra quali sono le conseguenze negative sull’economia industriale della cosiddetta New economy, la quale si fonda sul paradigma della gratuità della condivisione (peer to peer).

Il quarto capitolo è dedicato alla “fabbrica a operai zero”, l’autore segnala con preoccupazione l’aumento dei robot e la conseguente diminuzione dei lavoratori.

Analizza due modalità di accrescere la produttività. La prima, quella cinese, è orientata all’eliminazione totale della manodopera (umana) a favore dei più produttivi robot. La seconda, quella tedesca, promuove un’innovazione organizzativa e tecnologica, la nota Industrie 4.0, con un importante presenza di robot ma mantenendo la stessa quantità di lavoratori. Inoltre l’autore esplora la digitalizzazione in Giappone e negli Usa. Nel quinto capitolo e sesto analizza la digitalizzazione nel giornalismo e nella finanza. Nel secondo intermezzo esplora muovendo dall’esperienza luddista alcune prospettive critiche (quella di W. Benjamin, K. Marx, J. M. Keynes, N. Wiener) riguardo all’introduzione delle macchine nella produzione industriale. Il settimo capitolo è dedicato all’impatto degli algoritmi nell’ambito dei servizi sanitari. L’ottavo analizza l’impatto che hanno sull’istruzione universitaria i corsi sulle piattaforme web. Il capitolo nono è dedicato alle conseguenze negative della sharing economy rispetto al servizio taxi, alloggio e ristorazione. Nel terzo intermezzo propone una lista provvisoria dei lavori in cui le “macchine” hanno sostituito l’uomo. Il capitolo decimo è dedicato all’impatto della digitalizzazione nel settore dei lavori autonomi (senza dipendenti). Il capitolo undicesimo riguarda la “professione Youtuber”. Nell’ultimo capitolo l’autore delinea alcune possibili exit strategy, dal problema Grande sostituzione del lavoro, concernenti l’istruzione, la tassazione (la c.d. web tax), il reddito di base, i diritti di proprietà sull’uso della tecnologia. Secondo l’autore non basta l’istruzione per bilanciare la digitalizzazione del lavoro (con i suoi impatti negativi) e l’equità sociale. Staglianò ritiene che gli strumenti più efficaci per rispondere alla disoccupazione tecnologica sono il reddito di base e i diritti di proprietà sull’uso della tecnologia. «Oltre che un reddito minimo lo Stato potrebbe intestarci, appena nati, una quota in società ad alto coefficiente di innovazione» (pp. 242-243).

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COLLABORA CON NOI Chi volesse proporre un articolo per la sezione

Dal lavoro alla formazione

può inviare il testo in formato word a professionalita@edizionistudium.it.

CONTENUTI Gli articoli raccolti in questa sezione presentano esperienze concrete ritenute da chi scrive buoni esempi di integrazione tra lavoro e formazione.

Gli autori devono: • specificare chi è l’ente promotore, quali sono i soggetti coinvolti, l’oggetto e le finalità delle iniziative presentate, nonché gli elementi di contesto utili per apprezzarne il valore.

• chiarire le ragioni che rendono interessanti tali iniziative (novità, efficacia, originalità ecc), precisando se sono suggerite da testimonianze rese dai diretti interessati, dal parere di persone autorevoli o dall’analisi di dati oggettivi.

• mostrare come e perché nei casi trattati la formazione contribuisce al miglioramento (organizzativo e tecnologico) dei processi lavorativi oppure il lavoro contribuisce al miglioramento (organizzativo e didattico) dei processi formativi.

A tale scopo può essere utile fare un’analisi preliminare del contesto di lavoro considerato. Qual è il modello organizzativo adottato? Chi prende le decisioni e come? Come vengono ripartiti i compiti e le responsabilità? I processi lavorativi sono standardizzati oppure valorizzano la creatività e le scelte di ciascuno? Quali sono le occasioni offerte ai lavoratori per rendersi sempre più autonomi e responsabili nell’ambito di loro competenza? Quale rapporto sussiste tra la formazione e l’organizzazione aziendale?

Tra la formazione e l’innovazione?

Quali sono i processi lavorativi interessati dall’iniziativa che si vuole presentare? Quali attività li caratterizzano in maniera sostanziale? Quali, invece, fungono solo da supporto? Quali sono le conoscenze, le abilità e le competenze necessarie per condurli nelle loro varie fasi?

NORME REDAZIONALI • Gli articoli hanno una lunghezza compresa fra le 12.000 e le 36.000 battute.

• Gli autori ne suggeriscono il titolo e li suddividono, se possibile, in paragrafi.

• Sotto la firma essi indicano la carica ricoperta oppure la propria qualifica professionale se • Eventuali riferimenti bibliografici devono essere completi (nome e cognome dell’autore, titolo dell’opera, casa editrice, città e anno di edizione, pagine)1.

• Gli autori sono invitati a spedire alla redazione immagini e grafici significativi che possono arricchire i loro contributi. Le immagini devono essere corredate di didascalia.

1Esempio: I. Svevo, Senilità, Rizzoli, Milano 2002, pp. 55ss. Nel caso di articoli apparsi su riviste indicare: titolo della rivista, n. di fascicolo e anno. Nel caso di articoli apparsi su quotidiani indicare, oltre alla testata, la data esatta di pubblicazione. Per i testi pubblicati da enti indicare: nome dell’ente, titolo del documento, data di pubblicazione, pagine (es.: Cedefop, European sectoral trends: the next decade, 2016, p. 14).

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