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FINANZA & FUTURO Avv. Gaia Fusai Milano, Viale Bianca Maria 5 gaia.fusai@studiolegalefusai.it

La notifica: più croce che delizia

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l 23 novembre si inaugura al DART di Milano, presso la storica sede del Palazzo della Permanente di via Turati, la celebre mostra che raccoglie i Capolavori delle Collezioni Private. Tra le opere di maggior prestigio, «L’Incredulità di San Tommaso» di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Nota al grande pubblico internazionale, per bellezza e pregio storico e artistico, l’opera è stata attinta nel 2016 dalla cosiddetta «notifica», uno dei provvedimenti forse più temuti nel mondo del collezionismo nostrano. Con tale termine si indica un meccanismo, che ha radici nella abrogata Legge Bottai del 1939, di cui tuttavia mantiene tratti tutt’altro che secondari, con il quale lo Stato, attribuisce a un determinato bene - mobile o immobile - lo status di particolare valore ed interesse per il patrimonio culturale italiano. Tale dichiarazione prende la forma di decreto che viene, appunto, “notificato” alla proprietà. Il fine di tale istituto, peraltro riconosciuto anche a livello costituzionale, è certamente nobile. Uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione prevede infatti che lo Stato debba tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tuttavia, se tale obiettivo è certamente da condividere, poiché pone di fatto le basi per una più estesa fruizione dell’opera meritevole da parte del grande pubblico, è altresì da sottolineare come i principi tesi alla valorizzazione del bene stesso rischino così di essere compromessi o peggio disattesi. Purtroppo, il sistema italiano non mostra particolare sensibilità in questo senso, e i vincoli al quale l’opera resta sottoposta, si riducono troppo spesso, in un peso anche ma non solo economico, sostenuto quasi esclusivamente dai soli proprietari. L’opera notificata infatti, subisce ipso facto una serie di restrizioni che limitano il diritto di godimento della cosa da parte della pro-

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prietà, che non solo non potrà destinarla ad usi non compatibili con lo status dichiarato, ma nemmeno potrà liberamente esportarla e meno ancora venderla, se non riconoscendo allo Stato un diritto di prelazione alla cifra pattuita. In un’ottica di bilanciamento delle due istanze, tutela e valorizzazione, troppo si è saputo insistere sulla prima, tesa alla protezione del patrimonio culturale, ereditando la ratio originaria di una norma di legge pre repubblicana, certo attenta all’accentramento e al controllo delle opere della Nazione e troppo orientata a prevenire la fuga di opere all’estero. Viceversa, gli aspetti valoriali anche economici intrinseci nello status riconosciuto, che potevano essere sostenuti anche attraverso mirati interventi di finanziamento da parte dello Stato, sono invece rimasti mortificati. Gradito sarebbe un intervento del legislatore europeo che, in un perimetro più attento alle esigenze del mercato, sapesse riconoscere le effettive potenzialità del Belpaese, magazzino certo inesauribile di opere troppo spesso nascoste in depositi privati, al riparo da uno Stato che, scontrandosi con i capitoli di bilancio, in pochi e rari casi esercita quel diritto di prelazione che pure la legge gli riconosce.


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