Ravenna & Dintorni 457 - 29 09 2011

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CRONACA& ATTUALITÀ

giovedì 29 settembre 2011 | RAVENNA& DINTORNI

LA STORIA

Villa Callegari, tra splendore e oblio Recente rifugio abusivo di profughi tunisini, un tempo sfarzosa residenza di Ivan Adonis C’è la guerra in quel 1916, ma è una guerra distante, di trincea, combattuta solo tra militari sul confine di montagne alte e lontane. Il “Sacchificio Ravennate” vende anche a loro, a quelli dell’Esercito. Però nel taccuino delle commesse ci sono pure la Marina, le Ferrovie e i Trasporti. Il lavoro non manca e il cavaliere Costantino Callegari, che dieci anni prima assieme al dottor Michele Ghigi aveva aperto la fabbrica per produrre teloni impermeabili, capisce che quello è il momento giusto per comprare. E poi non vendono solo teloni: ci sono cuffie e cappotti per i cavalli; mantelle per operai e minatori; cappelli per marinai; e ci sono le vasche da bagno e i catini da lavoro. Ora serve una bella villa, un posto dove portare la famiglia ma anche magari dove poter ricevere i clienti importanti. Dove farli accomodare, dove spiegare loro perché la roba che esce dalla Callegari è roba buona, da comprare. Ed è così che in quel 1916 di guerra, il mulino che si trova tra via Faentina e via Cavina si avvia a diventare Villa Callegari. E non immaginatevi il quartiere com’è adesso. Perché lì attorno in quel momento c’è un sacco di verde. Campi che circondano quell’antica struttura. Quasi 20 mila metri quadri di alberi. Un bel posto, il cavaliere Callegari nel ‘33 lo fa ristrutturare, e la residenza diventa sontuosa. Il lavoro va ancora meglio. Il marchio ha preso piede si è fatto conoscere. E Ravenna, molti anni prima di Gardini, si scopre capitale di un impero economico. Nel dopoguerra i battelli e le zattere di salvataggio faranno primeggiare la Callegari & Ghigi con la Pirelli nel settore

dei gommoni. Ma siamo alla vigilia di un’altra guerra. Franco, nipote di Costantino, racconta dalle colonne del settimanale Più notizie di un giardino abitato da uccelli rari portati da un altro della famiglia Callegari, Eugenio, un pervicace ornitologo addirittura tornato da Timbuctu con gabbie piene di gruccioni, trampolieri e picchi neri. Non sappiamo se quei pennuti rimangono anche durante la seconda guerra mondiale. Né conosciamo il destino esatto della Villa in quel travagliato periodo di morti ammazzati. Memorie familiari riportate dal libro Camicie nere di Ravenna e Romagna di Elios Andreini e Saturno Carnoli (edizioni Artestampa) riferiscono che in una villa Callegari, «l’unica nascosta da alberi, aveva sede il comando germanico». La guerra finisce e Anna, sorella di Costantino, fa costruire l’ultimo gioiello della dimora. Si tratta di una piccola chiesa – a tutt’oggi consacrata – tirata su per ringraziare Dio di avere vegliato al fronte su tutti i nipoti. Poi la Villa alla distanza segue la sorte della fabbrica. E quando quel piccolo impero economico va in crisi e si sgretola, viene confiscata come tanti altri beni della famiglia Callegari. Com’è stato possibile? Le cause sono più d’una: l’agguerrita concorrenza, i problemi di congestione produttiva, la perenne crisi di liquidità; poi di mezzo ci si mette anche un grosso incendio. Siamo nel 1972 e, dopo duri scioperi e annunciate ristrutturazioni, il

Di proprietà del Comune dal 1991, è affidata a una società dal 2003

gd’a

tribunale decreta il fallimento della Callegari. Per chi vuole saperne di più, consigliamo Callegari e Ghigi, storia di un’azienda ravennate” di Silvio Gambi (Danilo Montanari editore) e E’ fiscciòn, storia, valori e funzioni del fischione della Callegari, di Saturno Carnoli (editore Media News). Noi invece ritorniamo alla Villa, ormai in abbandono. I ragazzini là dentro iniziano ad andarci per sfida. Si arrampicano di notte sulla recinzione. O trovano i cancelli aperti e s’infilano su per le stanze buie. Si racconta di un tesoro abbandonato, forse preziosi della famiglia nascosti per evitare le razzie durante la guerra e mai ritrovati. Si

srl. Che poi si fonde nella Promos srl. Ed è così che arriviamo al 1991. È nel marzo di quell’anno che la maggioranza in consiglio comunale approva l’acquisizione dalla Promos di tutta la preziosa struttura. Si tratta di una permuta: una specie di scambio con un’area limitrofa edificabile di 3.505 metri quadri che sulla carta ha lo stesso valore: 841 milioni e 200 mila lire. L’immobile non è messo un gran ché bene se nello stesso atto notarile viene descritto come «vecchio, in cattivo stato di manutenzione, da ristrutturare». Ma rappresenta pur sempre una risorsa incredibile: un bene così di pregio da essere sottoposto al vin-

racconta perfino che là dentro ci siano i fantasmi. Leggende metropolitane che, tra erbacce che crescono fitte e calcinacci che vengono giù, rendono quel posto ancora più inquietante. La girandola di compravendite inizia subito. Seguite i passaggi: la Cierre srl, liquidatrice del fallimento, nel ’79 cede la Villa all’immobiliare Soimer

colo della Soprintendenza. E che farci là dentro? Il progetto della prima ora è questo: un parco da integrare con le limitrofe aree verdi e un’area culturale da adibire a museo naturalistico. Poi però non se ne fa nulla, e le erbacce nutrite dai buoni propositi crescono ancora più rigogliose. Altro sussulto nel 2003 quando il Comune,

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Un’immagi ne della villa oggi

dopo avere imbandito apposita gara, affida tutto alla società Honoria srl. Questa, a un canone poco più che simbolico, per 40 anni avrà in gestione la Villa a patto che di sua tasca ne provveda alla ristrutturazione. Che però non è esattamente una cosa da due spicci e via, perché qui ora servono i milioni (di euro). In ogni modo un paio d’anni dopo le quote di Honoria vengono rilevate da un altro imprenditore che si chiama Claudio Petronici e che prima d’ora era conosciuto dal grande pubblico per essere stato presidente del San Marino calcio. Intanto per la Villa, dopo quella dei ragazzini perdinotte, inizia un altro tipo di frequentazione. Nel novembre del 2008 la polizia Municipale, su segnalazione della stessa srl che gestisce l’area, trova là dentro un marocchino e un tunisino e li denuncia. Nel luglio dell’anno dopo altra segnalazione, e la Municipale torna e questa volta ci trova tre romeni sdraiati su vecchi materassi. E li denuncia. Ma tanto forse torneranno, perché non conta avere srotolato tutt’attorno una rete e avere murato le finestre al primo piano: il tamtam dei disperati ha già raggiunto chi ha orecchie per sentire. Dopotutto buttare giù due calcinacci o sfondare una rete non è poi così difficile. Non a caso a inizio settembre di quest’anno, dopo una furibonda rissa, nella Villa vengono trovati in nove. Sette sono tunisini e due sono marocchini. Ed è subito polemica. Il consigliere d’opposizione Alvaro Ancisi, in un’infuocata conferenza stampa, ribattezza ironicamente lo stabile “Hotel Tunisi”. Interviene allora Petronici che dalle colonne del quotidiano La Voce, tra le altre cose, assicura che i lavori partiranno entro l’autunno. Intanto anche le finestre al secondo piano vengono murate, la rete viene rinforzata e la folta vegetazione lungo il perimetro esterno viene sfalciata. Ecco, così ora passando là di fronte, e buttando un occhio, la potrete finalmente rivedere: quella è la magnifica Villa Callegari che per metà dei suoi quasi 90 anni di vita è stata splendore e lusso e per l’altra metà fatiscenza e oblio.

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