Storica National Geographic - novembre 2015

N. 81 • NOVEMBRE 2015 • 4,50 E

TROIA

CALIGOLA

L’IMPERATORE FOLLE A CUI TUTTO ERA PERMESSO

IVAN IL TERRIBILE IL PRIMO ZAR, RIUNIFICATORE DELLA RUSSIA

CIPRO

I SOLDATI DI CRISTO CHE DIVENNERO I PIÙ POTENTI BANCHIERI DEI RE

9

772035 878008

50081

TEMPLARI

periodicità mensile

L’ISOLA CONTESA DA GENOVESI E VENEZIANI

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EDITORIALE

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Pauperes milites

Christi et salomonici Templi: questa la dizione ufficiale, al momento della loro fondazione, dei cavalieri templari, l’Ordine sancito da Benedetto da Norcia con il compito di proteggere i pellegrini in Terrasanta. Ai tradizionali voti di castità, obbedienza e povertà, i Templari assommarono quelli di totale obbedienza al pontefice e di c0mbattere con ogni mezzo gli “infedeli”.

Poi, grazie a un’enorme quantità di donazioni e lasciti da parte di aristocratici, i “poveri di Cristo” divennero i banchieri più potenti d’Europa, finanziando gli stessi re e gestendo anche le finanze altrui.

Molti cercavano di mettere le mani sui loro tesori, e in particolare il re di Francia Filippo IV “il Bello”. Furono messe in giro calunnie e dicerie sul comportamento scandaloso ed eretico dei Templari, cosicché il papa francese Clemente V li sottopose a giudizio. Tuttavia, da secoli la legge ecclesiastica era del tutto autonoma da quella civile e non era possibile “estradare” un imputato da una all’altra. Ma non fu difficile per la corona francese esercitare pressioni sul papato avignonese affinché i Templari non fossero solo sciolti e condannati al rogo, ma i loro tesori traslati alle casse statali.

Né più né meno di quanto sarebbe accaduto un secolo dopo con Giovanna d’Arco, condannata per eresia da un tribunale ecclesiastico, ma subordinato di fatto alle autorità civili, che intendevano sbarazzarsi della pulzella.

GIORGIO RIVIECCIO Direttore

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Pubblicazione periodica mensile - Anno VI - n. 81

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L’europa e i suoi antenati Encyclomedia Publishers

MARINA MONTESANO Professore di Storia medievale, Università di Messina e VitaSalute San Raffaele, Milano; membro fondatore della International Society for Cultural History Autrice di: Da Figline a Gerusalemme. Viaggio del prete Michele in Egitto e in Terrasanta (1489-1490), Viella Editore Caccia alle streghe, Salerno Editrice

4 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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I FORI DI ROMA

A sinistra, le tre colonne del tempio di Vespasiano e Tito; davanti a esse, l’arco di Settimio Severo e, sulla destra, il tempio di Saturno, sede del Tesoro.

Grandi storie

22 Sesostri III, il faraone che conquistò la Nubia La regione estesa tra il sud dell’Egitto e il nord del Sudan fu territorio di conquista per il faraone della XII dinastia. DI MAITE MASCORT

32 La ricostruzione storica di Troia La città cantata da Omero, in posizione strategica sullo stretto dei Dardanelli, ebbe profondi legami con l’Impero ittita. DI M. MOVELLÁN LUIS

42 Mitra, il dio venuto dall’Oriente Di origine persiana, l’esoterico culto mitraico si diffuse, attraverso la cultura ellenistica, anche nella Roma imperiale. DI JAIME ALVAR EZQUERRA

54 Caligola, il princeps cui tutto era permesso Con le sue azioni dispotiche e crudeli, il successore di Tiberio si pose sempre al di sopra delle leggi. DI JUAN LUIS POSADAS

64 I Templari, i banchieri dei re Con le sue risorse, l’ordine fu il più importante potere finanziario della cristianità. DI MARINA MONTESANO

76 Cipro, l’isola dei conflitti In posizione chiave per i traffici nel Mediterraneo, fu contesa da molti, fra cui genovesi e veneziani. DI F. CARDINI

90 Ivan il Terribile Con intelligenza e capacità strategica il primo zar riunificò la Russia vincendo mongoli e oppositori. DI ALDO FERRARI FIGURA FEMMINILE NELLA TOMBA DEL FUNZIONARIO DJEHUTIHOTEP. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

Rubriche

6 ATTUALITÀ 10 PERSONAGGI STRAORDINARI

Mozart, folgorante genio del XVIII secolo

La breve e travagliata esistenza del grande compositore austriaco

14 L’EVENTO STORICO

La spedizione di Franklin nell’Artico

Intrappolati dai ghiacci alla ricerca del passaggio a nord-ovest

18 VITA QUOTIDIANA

Il tennis, lo sport in voga nel Rinascimento Tra il XV e il XVII secolo questo gioco fece furore in Europa

104 GRANDI SCOPERTE

Un colossale Olimpo sul monte Nemrut

Come fu scoperto il mausoleo di Antioco I di Commagene

108 LA STORIA NELL’ARTE

Teodolinda, una storia tra due mondi Il restauro del ciclo di affreschi nel duomo di Monza

110 LIBRI E APPUNTAMENTI 112 ITINERARI 114 PROSSIMO NUMERO

THUTMOSIS III TEMPLE PROJECT / MANUEL GONZÁLEZ BUSTOS

ACTUALIDAD

VEDUTA GENERALE

THUTMOSIS III TEMPLE PROJECT / MANUEL GONZÁLEZ BUSTOS

degli scavi in atto nel tempio di Thutmosi III, situato sulla riva occidentale di Luxor.

LA DONNA GIACENTE nella tomba 14 portava un pendente di pietre semipreziose ed elementi cilindrici d’oro completato da una grande conchiglia, anch’essa in oro, XXXXXXXXXXXXX X XXX XX finemente lavorato.

Portava un XXXXX XXXXXXXXX XXXXXX XXXXX bracciale in oroXXXXX su ogni polso eXXXXX una XXXXXX XXX XXX XXXXXXsu XXXogni XXX XXXXX XXXX cavigliera d’argento caviglia.

THUTMOSIS III TEMPLE PROJECT / MANUEL GONZÁLEZ BUSTOS

ANTICO EGITTO

Rinvenuti gioielli d’oro nel tempio di Thutmosi iii A Luxor, nella necropoli situata sotto il tempio funerario del faraone, gli archeologi hanno scoperto i resti di una donna con i suoi gioielli

IL RITROVAMENTO

della tomba di una donna adorna dei suoi gioielli ha permesso di confermare che sotto il tempio funerario di Thutmosi III si trova una necropoli nella quale furono sepolti personaggi importanti del Medio Regno (20501750 a.C.) con i loro familiari. L’immagine mostra i bracciali d’oro ancora attorno ai polsi della donna sepolta.

6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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n’équipe di egittologi diretta da M. Seco Álvarez ha compiuto interessanti scoperte nella necropoli risalente al Medio Regno che si trova sotto il tempio funerario di Thutmosi III, sulla riva occidentale di Luxor.

Il gruppo aveva avviato nello scorso ottobre la settima campagna di scavi con l’obiettivo di restaurare e proteggere alcune delle tombe localizzate con georadar durante le campagne precedenti.

In una di esse, quella contras-

segnata con il numero 14, gli archeologi hanno effettuato interessanti scoperte.

Una bara in frantumi Il tetto di una delle camere era parzialmente crollato, fatto che accese nei ricercatori la speranza che almeno quella parte della tomba non fosse stata profanata. Le indagini successive hanno confermato questa ipotesi.

La caduta di un grande blocco di pietra sulla tomba aveva schiacciato il sarcofago con quanto esso conteneva,

escludendolo così da azioni di saccheggio. La rimozione del masso ha permesso di portare alla luce i resti di un corpo femminile ancora adorno dei gioielli con i quali la donna era stata sepolta.

Questa non è l’unica tomba della necropoli in cui sono stati rinvenuti oggetti appartenenti a un corredo funerario. Nel 2013 anche in un’altra tomba, pur saccheggiata nell’antichità, furono rinvenuti i resti di un sarcofago in legno con oggetti del corredo funerario.

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L’opera più attuale e completa sul Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, a cura di National Geographic.

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campagna di PicNic

La scoperta della ruota risale al 3000 a.C., nella Mezzaluna Fertile. Fu qui che i Sumeri applicarono tre pezzi di legno a una slitta, creando il carro, il primo mezzo di trasporto terrestre e la prima “piattaforma” mobile da guerra della storia dell’umanità.

Orville e Wilbur Wright trasformarono in realtà il sogno, tra gli altri, di Leonardo da Vinci.

Nel 1903, il primo aeroplano della storia, il loro Flyer I, decollò dalla Carolina del Nord: in breve ogni luogo della terra sarebbe stato a portata di mano.

Johannes Gutenberg, artigiano di Magonza, intorno al 1450 diede vita alla stampa a caratteri mobili.

L’invenzione rivoluzionò la trasmissione del sapere, facendo diffondere le idee con una rapidità fino a quel momento inimmaginabile.

GRANDI INVENZIONI

Il cammino della nostra civiltà è anche quello delle grandi invenzioni che, dalla ruota all’aereo, hanno inciso profondamente sulla società, sull’economia e sul corso stesso delle vicende storiche, per esempio con lo sviluppo di armi e di mezzi di comunicazione che hanno modificato – e lo fanno tuttora – i rapporti di forza tra le nazioni. Ma la storia delle invenzioni è anche una storia di persone, che con lo studio, l’intuito e la tenacia, hanno sfidato e vinto ciò che si riteneva impossibile, creando nuovi mezzi, strumenti e idee che hanno reso la vita più facile, più comoda e anche più lunga. Le pietre miliari di questo cammino sono ora presentate nel nuovo Speciale di Storica National Geographic, Grandi invenzioni, con testi approfonditi e numerose ricostruzioni 3D per farvi vivere da vicino queste grandi conquiste dell’umanità.

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PERSONAGGI STRAORDINARI

Mozart, genio folgorante del XVIII secolo Compositore inimitabile per ricchezza, equilibrio e perfezione di ogni sua opera, attraversò tutte le forme espressive lasciandoci capolavori assoluti che non hanno epoca

Un’esistenza dominata dalla musica 1756 Nasce a Salisburgo Wolfgang Amadeus Mozart. Suo padre Leopold è maestro del coro alla corte dell’arcivescovo.

1763 Dai sette anni in poi effettua con il padre tour in giro per l’Europa durante i quali incanta il pubblico con il suo virtuosismo.

1781 Dopo aver discusso con l’arcivescovo Colloredo, Mozart lascia la sua corte e si stabilisce a Vienna come musicista indipendente.

1786 Anno di composizione di Le nozze di Figaro, la prima opera di Mozart a essere conosciuta in tutta Europa.

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n miracolo che Dio volle far nascere a Salisburgo».

Così si riferiva Leopold Mozart a suo figlio Wolfgang, meravigliato dalle inusitate doti musicali che mostrò sin dalla tenera età. In realtà, non si trattò esattamente di un prodigio.

Wolfgang crebbe in un ambiente familiare fecondo, poiché suo padre era un valente musicista, conosciuto in tutta Europa per aver messo a punto un metodo per imparare a suonare il violoncello. Interprete, compositore e teorico, seppe riconoscere le qualità del suo figlio minore e fece in modo di creargli le migliori condizioni per svilupparle. A tre anni Wolfgang già suonava il clavicordo – nonostante le sue mani a mala pena coprissero poco più di una mezza ottava– e a cinque tenne il suo primo concerto.

La fama di quel bambino prodigioso si sparse nei cenacoli musicali e nei saloni aristocratici di Salisburgo, ma presto la città austriaca divenne piccola per le aspirazioni dei Mozart, e il padre organizzò viaggi e lunghi tour in Europa, soprattutto in Italia e Francia. Nelle varie tappe il piccolo Mozart esibiva le sue

1791

rare doti di virtuoso. Per esempio, era capace di improvvisare su qualsiasi tema gli venisse proposto; lo ascoltava e immediatamente, senza nemmeno provare, lo suonava con incredibile scioltezza, aggiungendo tutta una parte di variazioni. A volte, veniva messo alla prova coprendo la tastiera dello strumento con un lenzuolo affinché non potesse vedere i tasti, ma questo non gli impediva di continuare a suonare brillantemente. Poteva suonare volgendo le spalle alla tastiera e passare dal clavicordo al violino, di cui era un eccellente virtuoso.

Il bambino prodigio A Napoli, suonò il piano al Conservatorio della Pietà con tale maestria che il pubblico presente pensò che si trattasse di un incantesimo prodotto da un anello che Mozart aveva a un dito, ma quando lo tolse i sospetti di stregoneria svanirono e rimase solo lo stupore di fronte al talento del ragazzo.

Aveva 14 anni, quando nella Cappella Sistina ebbe modo di ascoltare un Miserere composto da Gregorio Allegri nel 1638, la cui partitura era gelosamente custodita dal Vaticano affinché nessuno la copiasse. Dopo aver ascoltato l’opera una sola volta (durava circa 15

Formato musicalmente dal padre, Mozart fu un virtuoso sia della tastiera sia del violino

Dopo aver composto La Clemenza di Tito, Mozart è colpito da una malattia di natura non accertata.

Muore il 5 dicembre.

VIOLINO DI MOZART. CASA MUSEO DI MOZART, SALISBURGO. AZ

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ENDI

/ AGE FOTOSTOCK

INGENUO, SUPERBO, IMPETUOSO UNA DELLE PIÙ FAMOSE descri-

zioni di Mozart si legge in una lettera che il barone Friedrich Melchior von Grimm indirizzò al padre del compositore: «Wolfgang ha un carattere troppo fiducioso e indolente, perciò può cadere in errore con una certa facilità; e gli manca il giudizio necessario per scegliere il miglior percorso per il successo. Devo dirvi che preferirei che possedesse la metà del suo talento e il doppio della diplomazia e della capacità comune». Leopold aveva un’opinione simile: «È a volte troppo indulgente e altre troppo superbo. È temerario e impaziente e non conosce vie di mezzo».

MOZART NEL 1770, A 14 ANNI, MENTRE SUONA AL CLAVICORDO LA SUA SONATA K. 72. OLIO DI SAVERIO DALLA ROSA, COLLEZIONE CORTOT.

ERICH LESSING / ALBUM

minuti), Mozart scrisse l’intera partitura senza aver preso alcuna annotazione, compresi le improvvisazioni e gli abbellimenti introdotti dal coro.

Oltre all’ammirazione, queste imprese generarono invidie e sospetti.

Il padre venne accusato di sfruttare Wolfgang e la sua sorella maggiore Nannerl, costringendoli a suonare per ore e ore affermando: «I miei figli sono perfettamente avvezzi al lavoro». Durante questi viaggi Wolfgang si ammalò diverse volte, e in un’occasione arrivò addirittura a perdere temporaneamente la vista. A Leopold

Mozart fu rimproverato anche di aver spinto il figlio a comporre opere (e a dirigerle in concerto) quando ancora non era pronto per farlo. Ma bisogna riconoscere che Leopold ebbe sempre come obiettivo la carriera della sua geniale prole.

Nel 1771 Mozart fu sul punto di entrare al servizio dell’arciduca Ferdinando, figlio dell’imperatrice Maria Teresa. Ma questa, non particolarmente appassionata di musica, nonché di gusti austeri e tradizionali, gli rispose: «Mi chiedi se puoi prendere al tuo servizio il giovane salisburghese.

Non riesco a immaginarne il motivo dal momento che non posso credere che tu abbia bisogno di un compositore o di persone tanto inutili».

A partire dal 1773, quando aveva 17 anni, Mozart si stabilì in modo permanente a Salisburgo, dove il suo carattere indipendente presto gli avrebbe procurato costanti attriti con il nuovo arcivescovo, Hieronymus von Colloredo, da cui dipendevano tanto suo padre quanto lui. Nonostante ciò, in quel periodo il genio lavorò febbrilmente, producendo opere magistrali in tutti i generi, sia nell’ambito della musica da STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

JAN WLODARCZYK / AGE FOTOSTOCK

SALISBURGO. Mozart non amava la sua città natale: «Sai quanto detesti Salisburgo», scrisse a un amico poco prima di trasferirsi a Vienna.

camera, sia di quella sinfonica, vocale e operistica. Nel 1778 intraprese un nuovo viaggio, che lo portò prima a Mannheim – dove rimase impressionato dallo stile della magnifica orchestra della città e dai suoi drammatici contrasti – e poi a Parigi, alla ricerca di un incarico stabile e ben remunerato.

Di ritorno a Salisburgo, Mozart non

sopportò a lungo i contrasti con Colloredo. Il suo desiderio era diventare un musicista indipendente, senza ostacoli o vincoli, perciò alla fine, contro il parere del padre, decise di rompere con l’arcivescovo e di trasferirsi a Vienna.

Nella capitale imperiale cercò di guadagnarsi da vivere come concertista e scrivendo musica su

Una breve stagione

Mozart. Fu composta nel 1791, suo ultimo anno di vita, su libretto di Emanuel Schikaneder. Lo si può vedere come un percorso iniziatico verso la sapienza. In esso confluiscono elementi illuministici, giusnaturalistici e misteriosofici, culti orientali ed elementi massonici.

PAPAGENO, UNO DEI PERSONAGGI DELL’OPERA IL FLAUTO MAGICO.

12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DEA / ALBUM

L’OPERA PIÙ MISTERIOSA IL FLAUTO MAGICO è l’opera più profonda e misterica di

commissione, e si rese disponibile a dare lezioni di musica; e poiché a volte gli alunni ne saltavano qualcuna, decise di farsi pagare un importo fisso mensile. La scrittura, nel 1782, dell’opera Il ratto dal serraglio, una partitura musicalmente rivoluzionaria, con un libretto in lingua tedesca, gli garantì un grande successo e il favore dell’imperatore Giuseppe II, che nel 1780 era succeduto alla madre Maria Teresa.

L’imperatore ebbe anche il merito di reintrodurre l’opera italiana a Vienna (che era stata ritenuta dalla madre troppo frivola e licenziosa). Intanto Mozart aveva sposato Constanze Weber. A Vienna le prospettive si fecero promettenti. Mozart lavorava senza sosta e studiava intensamente i musicisti di epoca barocca, primo fra tutti Bach. Fece amicizia con Franz Joseph

UNA MORTE ANNUNCIATA massone, Mozart si arrese con rassegnazione alla sua morte. Nel 1787 scriveva a suo padre: «Poiché la morte è il miglior viaggio verso la vita eterna, è quasi come un’amica... Non vado mai a dormire senza pensare che, pur essendo giovane, potrei non svegliarmi il giorno seguente».

PHOTOAISA

COME CATTOLICO e

MOZART sul letto di morte,

Haydn, cui dedicò una celebre serie di sei quartetti. È impossibile effettuare una scelta anche solo fra alcune delle geniali creazioni che Mozart produsse in questi anni, cimentandosi in tutti i generi – sonata, sinfonia, concerti per clavicembalo e violino – e raccogliendo spesso un successo clamoroso. Il culmine della sua fortuna si raggiunse con il ciclo di opere composto fra il 1786 e il 1790 in collaborazione con il celebre librettista Lorenzo da Ponte: Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan tutte, che vennero rappresentate in tutti i principali teatri d’Europa; niente lo rese più felice che sentir canticchiare le arie di Figaro per le strade.

Purtroppo nel 1790 Giuseppe II moriva lasciando il trono a Leopoldo II. Il clima a Vienna cambiò. Ha scritto il critico Claudio Casini: «A corte, Leopoldo II aveva dato segni di notevole cambiamento, allontanando alcuni dei personaggi che avevano rappresen-

tato l’aspetto più lassista dell’epoca “giuseppina”. Nel microcosmo della gerarchia musicale di corte cadde la testa di Antonio Salieri [...]. Da Ponte, stando alle Memorie, fu costretto a lasciare Vienna in gran fretta. Mozart non venne toccato. Si dice che la sua carica di“compositore di camera”fosse così infima da farlo dimenticare».

L’ultimo anno La situazione finanziaria del compositore si fece sempre più critica. Per mantenere la sua famiglia (ebbe sei figli, di cui solo due sopravvissero) e pagare le cure di sua moglie a Baden non bastavano le sue entrate.

Nel 1791, al musicista arrivò la richiesta di scrivere un Requiem, che gli sarebbe stato generosamente retribuito. Un uomo mascherato si presentò a casa sua per trasmettergli l’incarico, rifiutandosi di rivelare chi lo mandasse.

Mozart era già gravemente malato, ma

DEA / AGE FOTOSTOCK

assistito da sua moglie Constanze. Tela di William James Grant. XIX secolo.

PARTITURA DEL REQUIEM, L’ULTIMA OPERA DI MOZART, RIMASTA INCOMPIUTA.

accettò immediatamente. Oggi sappiamo che la commissione giungeva dal conte Walsegg, appena divenuto vedovo, che desiderava una messa da requiem per i funerali di sua moglie.

Walsegg avrebbe anche voluto che l’autore rimanesse sconosciuto, in modo da potersi attribuire l’opera.

Cosí nacque uno dei pezzi più straordinari della storia della musica, il Requiem. Mozart non poté terminarlo (fu il suo allievo e amico Franz Süssmayr a completarlo). Una malattia rimasta sconosciuta lo spense nelle prime ore del 5 dicembre 1791, a soli 35 anni di età.

Fu sepolto in una fossa comune e i suoi resti non sono stati mai più ritrovati.

JAIME TORTELLA UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA

Per saperne di più

SAGGI

Mozart Bernhard Pressburger. Einaudi, Torino, 1994.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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SCALA, FIRENZE

La sventurata spedizione di Franklin nell’Artico Nel 1845, l’esploratore inglesee i suoi 128 uomini cercarono di completare il passaggio a nord-ovest, ma furono intrappolati dai ghiacci. Nessuno di loro fece mai più ritorno in patria

F

ino all’apertura del canale di Panama, l’unico modo per una nave di passare dall’oceano Atlantico al Pacifico era costeggiare il sud del continente americano, seguendo la rotta inaugurata da Magellano nel 15201521. Questo percorso lungo e costoso spinse molti navigatori a cercare una rotta alternativa e più diretta a nord dell’America, il cosiddetto passaggio a nord-ovest. Sin dalle prime spedizioni, però, fu evidente che non si trattava di un’impresa facile.

14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Per trovare la tanto agognata scorciatoia, bisognava destreggiarsi per 1500 chilometri attraverso isole, canali e baie. Inoltre, il freddo e il ghiaccio limitavano la navigazione ai due-tre mesi della stagione estiva. Le imbarcazioni di legno erano perennemente minacciate dalle lastre di ghiaccio che, muovendosi con le maree, potevano bloccare un canale o urtare contro lo scafo, perforandolo e intrappolando la nave. Per questo la ricerca del passaggio a nord-ovest fu per quattro secoli una successione di fallimenti talvolta fatali.

Il Paese che più si dedicò a questa ricerca fu l’Inghilterra, decisa a trovare una rotta verso le Indie che potesse essere un’alternativa a quelle controllate da spagnoli e portoghesi. Dopo il pionieristico tentativo dell’italiano Giovanni Caboto nel 1497, promosso da Enrico VII, tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII diversi esploratori inglesi si avventurarono nel nord-est del Canada alla ricerca dell’agognato passaggio: Martin Frobisher nel 1576, John Davis nel 1585, Henry Hudson nel 1610. Particolarmente importante fu

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L’EVENTO STORICO

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in Franklin (1845-1847) McClure (1850) Amundsen (1903-1906) Resti della spedizione di Franklin

I TENTATIVI SUCCESSIVI Baia di Hudson

LA NAVE EREBUS

durante il viaggio del 1845-1847.

Dipinto di FrançoisÉtienne Musin.

National Maritime Museum, Londra.

la spedizione di Robert Bylot e William Baffin nel 1616, che scoprirono lo stretto di Lancaster senza però rendersi conto che era quella la vera porta d’ingresso del passaggio a nord-ovest.

Dopo un lungo periodo di inattività, la ricerca riprese all’inizio del XIX secolo. Poiché il Canada era un dominio britannico, fu l’Ammiragliato inglese, diretto da John Barrow, a dare nuovo slancio all’esplorazione a partire dal 1816. Nel 1818, John Ross, dopo aver percorso la costa occidentale della Groenlandia, riscoprì la terra di Baffin e passò davanti

DUE SONO I CANDIDATI al titolo di scopritore del passaggio a nord-

ovest. Il primo è Robert McClure, che nel 1850, in uno dei tentativi di ritrovare Franklin, si inoltrò verso est fino all’isola di Banks, una zona che 30 anni prima era già stata esplorata da Parry; rimase però intrappolato per tre anni prima di essere salvato. Il primo a completare con successo il passaggio fu Roald Amundsen, tra il 1903 e il 1906.

allo stretto di Lancaster, scambiandolo per una baia. L’anno seguente William Parry, il secondo di Ross, tornò nella zona e si addentrò per 750 chilometri lungo lo stretto fino a raggiungee l’isola di Melville, dove svernò; se avesse proseguito la rotta sarebbe entrato nel mare di Beaufort e avrebbe raggiunto la costa dell’Alaska.

La rotta attraverso i ghiacci Successivamente altri navigatori ed esploratori cartografarono il nord-est del Canada e la costa nordoccidentale americana. Ma la rotta marittima diretta fra le due estremità non era ancora stata scoperta. Nel 1845 l’Am-

In una spedizione artica guidata da Franklin nel 1819 morirono undici persone BR IDG

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SIR JOHN FRANKLIN. INCISIONE DEL XIX SECOLO. COLLEZIONE PRIVATA. /A

O CE A NO ATLANTICO

miragliato inglese volle organizzare una grande spedizione per completare finalmente il passaggio a nord-ovest.

Quando Parry e Ross declinarono l’offerta di dirigerla, la scelta cadde sul contrammiraglio sir John Franklin che, negli anni precedenti, aveva partecipato all’esplorazione dell’Artico canadese.

Nel 1819 aveva diretto una sfortunata spedizione via terra dalla baia di Hudson verso il fiume Coppermine: undici dei venti uomini morirono di fame e gli altri furono costretti a mangiare i loro stivali di cuoio per sopravvivere. Un’altra spedizione terrestre verso ovest, nel 1825, si concluse senza incidenti, ma anche senza centrare l’obiettivo.

Nel 1836, desideroso di cambiare vita, Franklin era riuscito a ottenere la nomina a governatore della Tasmania, carica che ricoprì fino al 1843, quando fu obbligato a dimettersi su pressione dell’Ufficio Coloniale locale a causa della sua cattiva amministrazione. Nonostante tutto questo, e nonostante

CI STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

15

L’EVENTO STORICO

Franklin avesse quasi 60 anni, l’Ammiragliato si affidò a lui per la grande spedizione che si stava progettando.

Quando, nel maggio del 1845, la Erebus e la Terror partirono da Londra dirette a Nord, le autorità erano convinte che quella sarebbe stata la spedizione risolutiva. Le navi erano a tre alberi, robuste, con scafi ricoperti di lastre di metallo e a compartimenti stagni, ed

SCALA, FIRENZE

I MEMBRI della spedizione di Franklin morirono uno dopo l’altro cercando di raggiungere il continente. Dipinto di W. Thomas Smith. Maritime Museum, Londra.

erano state collaudate nell’Antartico.

Si pensava che il viaggio di Franklin dalla costa est dell’America per uscire vittorioso attraverso lo stretto di Bering non sarebbe durato più di un anno, ma, per ogni evenienza, furono caricate provviste di cibo in scatola sufficienti per tre anni. Su ciascuna delle navi c’era anche una biblioteca con 1200 volumi per intrattenere l’equipaggio,

L’ULTIMA LETTERA NEL 1859, una spedizione dell’inglese Francis Mc-

Clintock rinvenne sull’isola di Re William diversi reperti del viaggio di Franklin. Come questa lettera, nella quale si narra dell’abbandono delle navi intrappolate fra i ghiacci e della morte di Franklin e di altri ventiquattro membri della spedizione.

LETTERA SCRITTA DAL CAPITANO CROZIER, MARITIME MUSEUM, LONDRA. SCALA, FIRENZE

16 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

composto da 129 persone suddivise tra le due imbarcazioni. Nessuna di esse avrebbe fatto ritorno.

Intrappolati dal ghiaccio Le due navi di Franklin si inoltrarono nello stretto di Lancaster nel mese di luglio 1845: fu l’ultima volta che i navigatori vennero visti vivi, dal comandante di una baleniera. All’uscita dallo stretto trovarono il passaggio ostruito dalle lastre di ghiaccio, quindi svernarono nella piccola isola di Beechey, di fronte all’isola di Devon, allestendo un accampamento di fortuna.

Nel 1850, una spedizione di ricerca avrebbe localizzato questo precario rifugio, trovandovi oltre 600 scatole di cibo vuote e le tombe di tre componenti della spedizione. I resti mummificati sono stati esaminati nel 1984 da un’équipe di medici forensi, i quali hanno rilevato la presenza di elevate quantità di piombo, il che indicherebbe come

Il ritrovamento della nave di Franklin La lunga ricerca dei resti di John Franklin culminò nel settembre del 2014 con la scoperta di una delle due imbarcazioni della spedizione, la HMS Erebus. Dal 2008 si erano susseguite sei campagne di esplorazione nella zona in cui gli inuit avevano segnalato di aver avvistato gli sfortunati navigatori, attorno all’isola di Re William; alla fine, un drone sottomarino provvisto di un sonar localizzò il relitto. Nella sovrastruttura furono ritrovati due cannoni da sei libbre, una lampada, una pompa di aggottamento in bronzo e la campana della nave recante la data del 1845, installata durante la messa a punto alla vigilia della partenza.

causa della morte un’intossicazione provocata dalla saldatura delle lattine di cibo che avevano consumato.

L’estate seguente, le due imbarcazioni proseguirono la navigazione verso Sud, attraverso lo stretto tra le isole Principe di Galles e Somerset. Nel settembre del 1846, però, vennero di nuovo intrappolate dal ghiaccio, nei pressi dell’isola di Re William, e gli uomini dovettero trascorrere un altro rigido inverno polare in un accampamento improvvisato.

Quindici marinai e nove ufficiali morirono sul posto, compreso lo stesso Franklin, che spirò l’11 giugno 1847, come si è appreso dai documenti ritrovati nel 1859 da un’altra spedizione.

Gli esperti hanno sottolineato l’errore di Franklin per non aver abbandonato prima l’isola di Re William dirigendosi verso sud quando le provviste erano sufficienti a permettere al gruppo di raggiungere la terraferma canadese.

I sopravvissuti, guidati dal capitano

Francis Crozier, si misero in marcia alla fine dell’aprile del 1848. Muovendosi su una scialuppa e a piedi cercarono di raggiungere il continente attraverso la foce del fiume Great Fish, ma non vi sarebbero mai arrivati: lungo il cammino morirono uno dopo l’altro, per il freddo, per l’inedia e probabilmente anche per malattie come lo scorbuto o la già citata intossicazione da piombo.

La sorte della spedizione Nel 1854, il medico John Rae, che lavorava per la Compagnia della Baia di Hudson, la più antica impresa commerciale canadese, incontrò alcuni inuit che asserirono di aver visto un gruppo di quaranta uomini bianchi trascinare una scialuppa verso il Great Fish. Quell’anno Rae rinvenne i resti di trenta degli uomini di Franklin, tra cui quelli del capitano Crozier, e fu quindi possibile dedurre la terribile sorte di

PARKS CANADA

IL RELITTO DELLA HMS EREBUS INDIVIDUATO DA UN SONAR. LO SCAFO DELLA NAVE SI È CONSERVATO IN GRAN PARTE.

alcuni di loro, costretti persino al cannibalismo, come testimoniavano «dei resti nelle pentole». Nel frattempo, con la speranza di ritrovare vivi Franklin e i suoi uomini, erano partite diverse spedizioni di ricerca. La moglie di Franklin non si rassegnò e per anni perseverò nelle ricerche del marito.

Sebbene non avessero raggiunto l’obiettivo, quei viaggi furono determinanti per comprendere l’intricata geografia del passaggio a nord-ovest.

Alla fine fu il norvegese Roald Amundsen a completare per primo il passaggio da est a ovest, in una coraggiosa spedizione che durò tre anni, dal 1903 al 1906, a bordo del Gjøa.

JORDI CANAL-SOLER STORICO

Per saperne di più

Un giro di boa. Navigatori alla scoperta del passaggio a nord-ovest Davis Ottati. Polistampa, Firenze, 2000.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

Il tennis, lo sport di moda nel Rinascimento Praticato già nel Medioevo, il gioco della palla con le racchette fece furore in Europa tra il XV e il XVII secolo a mani nude – e da questo deriva il nome jeu de paume, “gioco di palmo” –, oppure con dei guanti. Le partite si disputavano in genere all’aperto, utilizzando come terreno di gioco un prato, una via, una piazza, il cortile di un palazzo o il fossato di un castello. I due campi erano separati semplicemente da una linea (non si usava ancora la rete) e ad affrontarsi erano giocatori singoli o, più comunemente, squadre di due o più persone. Questo tipo di “gioco lungo” o longue paume si mantenne vivo per parecchio tempo, ed è praticato ancora oggi, sebbene non in modo diffuso.

Talvolta il gioco della palla assumeva forme più essenziali: per esempio, si lanciava la palla sul soffitto di una casa, come nella pelota.

Un gioco da re Il jeu de paume fu estremamente popolare, come dimostra il fatto che nel 1397 le autorità di Parigi ritennero necessario proibire agli artigiani di

AKG / ALBUM

INFORTUNI DI GIOCO NEL XVI SECOLO, gli aristocratici smisero di usare la mano e adottarono la racchetta, anche per evitare le lesioni e le ferite provocate dai colpi della palla. Nei Paesi Baschi, dove si è conservata la tradizione del gioco che oggi si chiama pelota mano, un autore scrisse nel 1754 che le palline «rompono unghie e dita, feriscono e lussano le braccia, e poiché il sangue scorre bisogna porre fine alla partita».

GIOCATORE CON GUANTO, MINIATURA DEL XV SECOLO, BRITISH LIBRARY, LONDRA.

IL GIOCO DELLA RACCHETTA BRIDGEMAN / ACI

O

ggi l’origine del tennis è associata alla campagna inglese, a perfette distese in erba e all’aristocrazia britannica che fece di questo sport uno dei suoi divertimenti preferiti sin dalla fine del XIX secolo. In effetti, il tennis come lo conosciamo oggi nacque nel 1874, con la pubblicazione del primo regolamento a opera del gallese Walter Clopton Wingfield. Il tennis moderno, però, non è che una versione del gioco all’interno di una storia molto più antica, che si fa risalire alla Francia del XII e XIII secolo.

Il termine tennis, infatti, è di origine francese: deriva da tenez, “tenete”, ciò che il giocatore diceva all’avversario quando effettuava il servizio.

Nel Medioevo, il jeu de paume, come veniva chiamato in Francia, aveva caratteristiche molto diverse da quelle del tennis moderno. Prima di tutto, si giocava

di Gabriele Bella raffigura una partita nella Venezia del XVIII secolo.

giocare al jeu de paume nei giorni lavorativi; era permesso farlo solo la domenica. Nel 1485, un concilio ecclesiastico vietò ai chierici di giocare, «soprattutto in camicia e in pubblico», per non offendere il decoro consono al loro stato. Chi invece poteva praticarlo in tutta libertà erano gli aristocratici, compresi i re, a volte con conseguenze nefaste. Nel 1316, Luigi X di Francia, dopo aver disputato con grande ardore una partita nel bosco di Vincennes, bevve un bicchiere d’acqua fredda che gli provocò un malore e morì poco dopo; lo stesso accadde nel 1506 a Filippo I di Castiglia, detto il Bello,

V I TA Q U OT I D I A N A

che morì improvvisamente dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua mentre giocava alla pelota a Burgos.

Tra il XV e il XVI secolo ebbe luogo una profonda trasformazione di questo sport. Da una parte, anche se il gioco a mani nude non scomparve, si diffuse l’uso delle racchette. Verso il 1530, il filosofo e umanista spagnolo Juan Luis Vives immaginava un dialogo nel quale uno spagnolo di ritorno da Parigi spiega a un compatriota che i francesi «raramente giocano con il palmo». «Ma allora, come colpiscono la palla? Con il pugno?», chiede l’altro, e il primo risponde: «No, con una racchetta». Alcu-

Un locale a pagamento per giocare a tennis IN ITALIA IL JEU DE PAUME si chiamava «gioco della racchetta» o «pallacorda» e si praticava in grandi sale coperte simili nella struttura a quelle nate in Francia. Un documento della fine del XVI secolo mostra come il proprietario di una di queste sale a

Ferrara l’avesse affittata a un’altra persona affinché ne facesse un uso commerciale. Nel contratto erano elencati gli obblighi dell’affittuario: tenere la sala aperta tutti i giorni, conservare in buono stato tutti i materiali (reti, chiavi ecc.), restituire entro un anno le 800 palle usate e le 200 nuove

consegnate dal proprietario, non destinare la sala a banchetti e non effettuarvi scommesse, cosa che avrebbe causato la rescissione immediata del contratto.

Il proprietario pensava anche al proprio divertimento e riservava l’accesso gratuito alla sala per sé e per suo nipote.

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V I TA Q U OT I D I A N A

PRIMA DEL BADMINTON ebbe grande successo una variante del tennis che si potrebbe considerare come il diretto antenato dell’attuale badminton: il volano, chiamato in francese jeu du volant. Si giocava con racchette leggere, e la pallina era una semi-sfera di sughero con piume lunghe otto centimetri fissate con sottili strisce di cuoio.

Le partite di volano si potevano disputare in sale chiuse, tra squadre composte da due fino a quattro giocatori ciascuna, oppure all’aria aperta, in modo più informale. Era il gioco preferito dalle fanciulle, che si incaricavano di andare alla ricerca delle palline perdute.

NEL XVII E XVIII SECOLO

BRIDGEMAN / ACI

ne racchette erano fatte di pergamena, ma le più diffuse erano quelle in corda di canapa o budello. Allo stesso tempo vennero codificate le regole del gioco, mantenute con qualche variazione nel tennis attuale. I punti per vincere un gioco si contavano in 15, 30, 45; se in parità si passava ai“vantaggi”(l’attuale termine inglese di pareggio, deuce, viene dal francese à deux le jeu), e ogni set era composto da sei giochi. La pallina doveva passare al di sopra di una corda che separava i due campi; alla corda si

AKG / ALBUM

FANCIULLA CON RACCHETTA E PALLINA DEL JEU DU VOLANT. DIPINTO DI J.-S. CHARDIN. 1737.

appendevano dei campanelli che suonavano quando la palla passava al di sotto, fino a quando la corda non fu sostituita da una rete che fermava la pallina, come nel tennis di oggi.

Anche il terreno di gioco cambiò. Invece del campo aperto tipico del“gioco lungo”, si cercarono superfici delimitate da muri, in modo da sfruttare il rimbalzo della palla; nacque così il cosiddetto “gioco corto”o courte paume. Allo stesso tempo, si allestì uno spazio per gli spettatori, la galleria, e si ricoprì tutto lo spazio con un tetto. Questi campi coperti, di dimensioni variabili – potevano essere lunghi anche 30 metri –,

La racchetta, nata nel XVI secolo, aveva un telaio in legno e corde fatte di canapa o di budello ANTICA RACCHETTA FABBRICATA IN FRANCIA. 1825. COLLEZIONE PRIVATA.

si diffusero in tutte le città europee. In Francia vennero chiamati jeu de paume (come la sala di Versailles nella quale si pronunciò il celebre giuramento nel giugno del 1789, appena prima dello scoppio della Rivoluzione francese) o tripot (dal verbo triper, rimbalzare); nei regni della Penisola Iberica erano chiamati trinquete.

La passione dei francesi Nel XVI e nel XVII secolo, il jeu de paume visse la sua età d’oro, soprattutto in Francia. Gli stranieri si stupivano del seguito che aveva questo sport. «I francesi amano molto questo gioco e lo praticano con una grazia e una leggerezza meravigliose», si diceva. Secondo alcuni, i francesi nascevano «con una racchetta in mano»; persino le donne e i bambini giocavano.

Qualcuno disse che solo a Parigi vi erano 250 campi, e secondo un ambasciatore italiano erano 1800 in tutto

V I TA Q U OT I D I A N A

Partite regali

1 I muri. La palla poteva rimbalzare sulle pareti (ma non nella galleria) senza che fosse considerata fuori campo.

ENRICO VIII d’Inghilterra era un

il regno. A Londra, invece, nel 1614 ce n’erano soltanto quattordici.

Il jeu de paume era raccomandato per i benefici che arrecava alla salute. Secondo un libro pubblicato nel 1668, «l’esercizio di una partita di jeu de paume riscalda il corpo e le estremità, purga gli stati d’animo superflui, rinforza le facoltà naturali, alleggerisce la mente; in questo modo, chi sa come scegliere un gioco che comporti un esercizio onesto e lo sfrutta in modo saggio fa del bene alla propria salute e alla propria mente».

Allo stesso tempo, era una gara nella quale era importante vincere, il che portava i giocatori a “scaldarsi” troppo e oltrepassare i limiti del decoro. Il libro appena citato avvertiva: «Tutte le persone che vorranno giocare saranno ammesse, purché si impegnino a non ingiuriare o bestemmiare il nome di Dio». Inoltre, c’era di mezzo anche il denaro, poiché era consueto che i gio-

2 Le linee di campo. Quando la pallina le toccava, si otteneva un punto nella modalità di gioco chiamata jeu carré.

3 1

2

3 La rimessa. Si faceva rimbalzare la palla sul tetto inclinato delle gallerie, a un’altezza di due metri da terra.

4

4 La rete. Era fatta con una corda alla quale erano appesi dei fili, ai quali talvolta si appendevano dei campanelli.

INCISIONE DELLA COPERTINA DEL PRIMO LIBRO SUL JEU DE PAUME PUBBLICATO IN FRANCIA.

catori facessero delle scommesse – il denaro veniva posto sotto la rete –, così come facevano gli spettatori. In effetti, spesso nelle sale di pallacorda si giocava anche a carte o ai dadi, e questo fece guadagnare allo sport una cattiva fama presso i moralisti.

Per i proprietari delle sale era un affare molto redditizio: non solo affittavano i campi, le palline e le racchette, ma fornivano anche cibo e bevande per i banchetti che spesso si tenevano dopo le partite.

Stelle del tennis L’attesa che suscitavano le partite di jeu de paume fece sì che alcuni giocatori diventassero delle vere e proprie vedettes. Nel XVI secolo, il duca di Nemours, grande aristocratico, militare brillante ed eccellente ballerino, ottenne una notevole fama come tennista, in particolare per il suo rovescio. Secondo testimonianze dell’epoca, la sua bella

BRIDGEMAN / ACI

appassionato del tennis. Poco dopo aver ricevuto in dono il Palazzo di Hampton Court dal cardinale Thomas Wolsey, vi fece costruire un campo da tennis, il terreno di gioco più antico tra quelli ancora esistenti. Anche nel palazzo di Westminster Enrico VIII fece realizzare quattro campi da tennis, due all’aperto e due al chiuso. Il sovrano inglese obbligava a giocare con lui tutti i visitatori, dai banchieri italiani (i famosi Lombard) agli ostaggi di guerra ad altri sovrani. È rimasto storico un doppio disputato tra Enrico VIII e l’imperatore Carlo V d’Asburgo contro i principi di Orange e Brandeburgo, in occasione della firma del trattato di Windsor (1522) che segnò l’alleanza contro la Francia.

presenza e la sua fama di dongiovanni spingevano le signore ad abbandonare a metà la messa per vederlo giocare.

Successivamente fecero la loro comparsa tennisti quasi professionisti che divennero vere e proprie leggende, come il marchese di Rivarole, che alla fine del XVII secolo, seppur con una gamba di legno, risultato di una ferita di guerra, era in grado di sconfiggere i più rinomati giocatori francesi.

A partire dal XVIII secolo, questo tipo di tennis al coperto iniziò a declinare, soprattutto in Francia. In Inghilterra, invece, sopravvisse – e sopravvive ancora oggi – con il nome real tennis e ispirò il lawn-tennis, il tennis moderno.

EDUARDO JUÁREZ STORICO

Per saperne di più

SAGGI

Storia del tennis Rino Tommasi.

Longanesi, Milano, 1983.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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SESOSTRI III

IL FARAONE CHE CONQUISTÒ LA NUBIA

IL FARAONE E IL DIO DELLA GUERRA

Nel rilievo che decora un’architrave proveniente dal tempio di Montu a Medamud, presso Luxor, Sesostri III compare due volte nell’atto di porgere un’offerta al dio guerriero Montu. Museo del Louvre, Parigi.

Sesostri III intraprese varie campagne contro la Nubia per assicurare all’Egitto la fornitura di oro. Il faraone passò alla storia come un grande conquistatore, tanto che Erodoto lo definì «l’unico re egizio che governò in Etiopia».

MAITE MASCORT ARCHEOLOGA E VICEPRESIDENTE DELLA SOCIETÀ CATALANA DI EGITTOLOGIA

CHRISTIAN DECAMPS / RMN-GRAND PALAIS

I

l Medio Regno (1987-1780 a.C.) rappresentò un’epoca di unità e pace interna per l’Egitto. Sotto i faraoni dell’XI e XII dinastia, il Paese visse un periodo di relativa prosperità economica e di intensi contatti commerciali con l’estero. Le città fenicie, Creta e la Mesopotamia furono gli obiettivi primari delle mire espansionistiche egizie, al punto che in alcuni casi, come per esempio accadde a Biblos, i faraoni egizi furono riconosciuti come sovrani.

L’altro asse dell’espansione egizia passava per i territori situati oltre l’Alto Egitto. E fu proprio in questa regione che un sovrano della XII dinastia, Sesostri III, si rese protagonista di una serie di campagne militari che miravano ad ampliare il controllo dell’Egitto sulla Nubia, la vasta regione che si estendeva a sud della prima cateratta del Nilo.

Fin dall’origine dello Stato faraonico, la Nubia aveva avuto grande importanza per l’economia egizia. Da lì, infatti, proveniva l’oro usato in grandi quantità dai reali e dall’aristocrazia degli alti funzionari religiosi e militari, e attraverso la Nubia transitavano i beni provenienti dall’interno del continente africano e di cui l’Egitto era sprovvisto, come bestiame, pelli di felini, avorio, pietre semipreziose, resine e legni esotici. A questo si aggiungeva il grande numero di nubiani che venivano catturati e deportati per lavorare nei campi, nelle miniere e nelle opere pubbliche in Egitto. Tutto ciò spinse i faraoni a cercare di controllare le rotte lungo le quali transitavano le spedizioni commerciali verso sud.

A questo fine, Sesostri I, secondo faraone della XII dinastia, ordinò di costruire una serie di fortezze nella Bassa Nubia, tra la prima e la seconda cateratta del Nilo, in

luoghi come Aniba, Suban, Ikur, Kor e Buhen.

Queste piazzeforti garantirono alle spedizioni commerciali una certa tranquillità rispetto ai possibili attacchi da parte di tribù ostili.

Le prime campagne Sesostri III volle andare più in là dei suoi predecessori e pacificare l’Alta Nubia, a sud della seconda cateratta. A questo scopo, agli inizi del suo regno il faraone diede il via alla più importante opera civile mai realizzata dall’Egitto: un canale navigabile che permettesse alla sua flotta di costeggiare la seconda cateratta. Due iscrizioni incise sulle rocce dell’isola Sehel testimoniano che il canale, una volta terminato, era lungo 78 metri, largo dieci e profondo oltre nove, e che il suo nome era «Belli sono i cammini di Khakaura per l’eternità» (Khakaura è il nome del trono di Sesostri).

La stele dice che il canale è stato scavato affinché il re «possa proseguire il suo cammino, risalendo il Nilo, per piegare il vile paese di Kush», come veniva chiamata la Bassa Nubia.

Sesostri III organizzò quattro spedizioni contro la Nubia, e tutto fa pensare che le abbia condotte personalmente. Sulle prime due, negli anni ottavo e decimo del suo regno, abbiamo pochissime informazioni. Una stele eretta a Semna, a sud della seconda cateratta, indica che nell’ottavo anno il faraone stabilì in

Dalla Nubia proveniva gran parte dell’oro necessario per i gioielli della nobiltà egizia ANELLO D’ORO CON SCARABEO CON IL NOME DI SESOSTRI III. METROPOLITAN MUSEUM, NEW YORK. RMN-GRAND PALAIS

Tiro

Mar o Mediterrane

B

Bet-San Megiddo

PENISOLA ARABICA

C R O N O LO G I A

Giaffa

LE GUERRE CONTRO LA NUBIA

Gerusalemme

Gaza

Mar Morto

Karm Abu Girg el-Gharbaniyat

Menfi

Lago Meride Hawara el-Hiba

Oasi di Bahariya

PENISOLA DEL SINAI

1878 a.C.

RETENU

Il faraone Sesostri III sale al trono d’Egitto; succede al padre Sesostri II, che è sepolto a el-Lahun.

Timna

el-Lisht el-Lahun

Serabit el-Khadim Uadi Maghara

1870 a.C.

Ermopoli

Nell’ottavo anno del suo regno, Sesostri III fa erigere diverse costruzioni civili e avvia una campagna militare in Nubia.

Beni Hasan

Oasi di Farafa

ilo

Abido Ermant

Deir el-Bahari Tebe

1868 a.C. Sesostri inizia un’altra campagna contro la Nubia, probabilmente per soffocare una ribellione nella regione di Kerma.

r

Oasi el-Kharga

Ma

Oasi di Dakla

N

EGITTO

Tod

Ro ss

1ª Cateratta

IK KUR

URONARTI SEMNA SAI

3ª Cateratta

Tombos

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BASSA NUBIA

1859 a.C.

KUBAN

Quarta campagna in Nubia. Il re annienta definitivamente il potere della nobiltà feudale dell’Alto Egitto.

2ª Cateratta KOR KUMMA

A L TA NUBIA (KUSH) Kurgus (el-Kenisa)

4ª Cateratta Napata (Gebel Barkal)

5ª Cateratta BUHEN (FORTEZZE) Limite dell’espansione egizia sotto Sesostri III

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

BUHEN

Il faraone intraprende una terza spedizione militare contro la Nubia. Sesostri inaugura una nuova fortezza a Uronarti.

o

Elefantina

ANIBA

1862 a.C.

STELE DI FRONTIERA ERETTA A SEMNA DA SESOSTRI III. NEUES MUSEUM, BERLINO.

PRISMA / ALBUM

el-Alamein

Hazor

LA CAPPELLA BIANCA

R. WOOD / CORBIS / CORDON PRESS

quel luogo il confine meridionale dell’Egitto, proibendo il passaggio a tutti i nubiani sprovvisti di autorizzazione per commerciare con l’Egitto. La campagna del decimo anno, invece, è ricordata da due iscrizioni incise nella roccia, oltre ottanta chilometri a sud di Semna, nelle quali si dice che Sesostri aveva intrapreso il cammino del sud per respingere i kushiti.

Molto probabilmente il suo obiettivo era reprimere un sollevamento della popolazione nubiana di Kerma, molto belligerante. Le forze egizie dovettero ripiegare precipitosamente perché oltrepassare con le barche la seconda cateratta quando il livello dell’acqua era molto basso era parecchio rischioso, secondo quanto dice una scritta rupestre rinvenuta ad Assuan che riporta la data del secondo mese dell’inondazione di quell’anno.

I «vili kushiti» La terza campagna contro la Nubia, intrapresa nel sedicesimo anno del regno di Sesostri, dovette essere, co-

Sesostri I, bisnonno di Sesostri III, eresse questa cappella a Karnak per celebrare i suoi trent’anni di regno.

me le due precedenti, una spedizione punitiva più che un’operazione bellica pianificata, e si può addirittura dubitare che il re sia giunto a confrontarsi direttamente con il nemico.

Questo, infatti, è ciò che si deduce dalla velata descrizione della campagna che si conserva in due stele erette a Semna e a Uronarti in occasione dell’inaugurazione di una nuova fortezza in quest’ultima località, a sud della seconda cateratta. In entrambi i monumenti Sesostri, che parla in prima persona, si vanta di aver ampliato le frontiere del regno: «Ho posto il mio confine più in là rispetto ai miei avi; ho accresciuto ciò che mi avevano lasciato in eredità. Io sono un re che dice e che fa. Ciò che il mio cuore pensa, è fatto per mia mano».

A seguire, parla delle sue vittorie contro i kushiti, rinfacciando loro di evitare il corpo a corpo e di attaccare le posizioni egizie solo quando sono momentaneamente sguarnite: «Quando uno lo aggredisce [il nemico kushita], volge il dorso; quando uno esita, lui attacca. Però non sono un popolo potente, sono poveri e meschini». Sesostri assicura di aver loro inflitto un meritato castigo:

«Ho spostato la frontiera più in là dei miei avi, ne ho arricchito l’eredità», proclamò Sesostri FIGURA FEMMINILE NELLA TOMBA DEL FUNZIONARIO DJEHUTIHOTEP. BRITISH MUSEUM, LONDRA. SCALA, FIRENZE

Il re appare in atteggiamento di preghiera. Il torso è di un giovane, in contrasto con il volto invecchiato, con rughe, palpebre cascanti e labbra cadenti.

ALBUM

Il faraone, che indossa il nemes reale, è ancora giovane, ma ha un’espressione seria e borse molto marcate sotto gli occhi.

Statua di ossidiana.

3.

UN FARAONE PIÙ UMANO CHE DIVINO SCALA, FIRENZE

SCALA, FIRENZE

1.

2.

Sesostri raffigurato con la doppia corona. Sul volto sereno spiccano gli occhi dalle palpebre cascanti e le orecchie grandi, caratteristiche presenti in tutti i suoi ritratti.

LA RAPPRESENTAZIONE scultorea di Sesostri III contrasta in modo molto spiccato con quella dei grandi faraoni dell’Antico Regno come Chefren e Micerino, le cui statue li raffigurano come esseri quasi divini, con espressioni facciali che denotano bellezza e serenità, autentici rappresentanti del dio Ra in terra. Al contrario, gli scultori del Medio Regno rappresentano un Sesostri invecchiato e stanco, con un’espressione che mostra la cruda realtà di uno stato d’animo. Nonostante tutte le sue conquiste, Sesostri era conscio della precarietà della sua condizione. Il faraone sapeva che si può perdere tutto in un istante, che la gloria può tramutarsi in insuccesso in qualsiasi momento. Era consapevole anche di essere in pratica il solo a poter impedire che ciò accadesse. Forse fu per questi motivi che il re non volle dare di sé un’immagine trionfalista. E questo diventa l’aspetto più evidente della sua grandezza umana.

PEZZI: 1. statua in granito nero di sesostri iii.

xii dinastia . british museum, londra . 2. testa in

granito rosso di sesostri iii. xii dinastia . museo

di luxor. 3. testa in ossidiana del faraone sesostri iii. xii dinastia . museo calouste gulbenkian, lisbona .

SCALA, FIRENZE

TRUPPE NUBIANE PER L’EGITTO

La leggenda di Sesostri Tre anni dopo, Sesostri III avviò la sua ultima spedizione militare contro la Nubia; anche questa impresa ci è nota grazie alla scoperta di un’iscrizione rupestre incisa nel porto della fortezza di Uronarti. Il testo commemora il passaggio del faraone dalla fortezza al ritorno dalla spedizione: «Anno 19, quarto mese della stagione dell’inondazione, giorno 2, sotto la maestà del re dell’Alto e Basso Egitto, Khakaura, che viva eternamente e per sempre!

Il re, vita, salute e forza, avanzò verso nord dopo aver sconfitto la vile Kush». Quest’ultimo riferimento alla“vittoria”su Kush non chiarisce se si trattò di un risultato definitivo, fatto poco probabile, oppure se le operazioni militari si limitarono a energici interventi punitivi.

In qualsiasi caso, l’iscrizione mette in risalto soprattutto le difficoltà che le truppe egizie dovettero affrontare sulla via del ritorno, specialmente al momento di attraversare il Nilo con le barche, per via della scarsa portata delle 28 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

sue acque: «Si marciò nell’acqua per passare Ishmyk e rimorchiare le barche in questa stagione, ogni banco di sabbia è simile a […]. Fu difficile, c’era poca acqua per passare e rimorchiare le imbarcazioni, per via della stagione».

Probabilmente il faraone morì subito dopo quest’ultima spedizione, poiché secondo gli studiosi il suo regno durò tra i 17 e i 19 anni. Sesostri III fu sepolto nella necropoli di Dahshur, vicino a Saqqara, nel nord del Paese, all’interno di una piramide di mattoni alta 60 metri. La sua figura lasciò una traccia profonda nella coscienza degli egizi del tempo, una traccia che giunse fino al periodo greco-romano. Sono numerosi gli autori classici – come Diodoro Siculo, Plinio, Plutarco, Strabone – che commentarono le imprese militari di quel sovrano guerriero e, in particolare, le sue doti di grande statista. Fu però Erodoto quello che senza dubbio fece di più per dare a Sesostri un posto nella storia, presentandolo come uno dei più grandi e importanti conquistatori dell’Egitto e come «l’unico re egizio che governò in Etiopia», vale a dire in Nubia.

Per saperne di più

SAGGI

Il Medio Regno in Egitto: dall’ascesa dei sovrani di Herakleopolis alla morte di Ammenemes III W.C. Hayes. Il Saggiatore, Milano, 1972.

Sesostris. Storia dell’Egitto del Medio Regno Franco Cimmino. Rusconi, Milano, 1996.

AKG / ALBUM

«Lo ha visto la Mia Maestà stesso, non sono menzogne. Ho catturato le loro donne, ho portato via la loro gente, sono andato ai loro pozzi e ho disperso i loro tori, ho distrutto il loro grano e vi ho appiccato il fuoco». Per finire, il faraone afferma orgoglioso che l’eredità ricevuta passerà, accresciuta, ai suoi successori immediati.

BRIDGEMAN / ACI

R. WOOD / CORBIS / CORDON PRESS

Figurine di arcieri nubiani, arruolati dall’esercito egizio nel Medio Regno, rinvenute nella tomba del sacerdote Mesehti. Museo Egizio, Il Cairo.

3.

SCALA, FIRENZE

Cintura composta da una doppia fila di grani di ametista alternati a doppie teste di leone in oro.

Tesoro della regina Mereret.

ORO NUBIANO PER LE PRINCIPESSE

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NEL 1894, JACQUES DE MORGAN, archeologo francese, scoprì, nel complesso funerario di Sesostri III, la tomba della principessa Sat Hathor, probabilmente sorella del faraone. Il sepolcro era stato saccheggiato nell’antichità, ma in un pozzo poco lontano venne trovata una cassa molto rovinata che conteneva la collezione di gioielli in oro della principessa. Il giorno seguente, fu portata alla luce la sepoltura della regina Mereret, moglie di Sesostri III. In un altro pozzo era nascosto il magnifico tesoro di gioielli della sovrana, anch’esso saccheggiato in passato. Le scoperte, però, non erano finite; nel 1914, l’egittologo inglese Flinders Petrie esplorò la piramide di Sesostri II a el-Lahun e rinvenne uno splendido corredo di gioielli in oro: quello della principessa Sat-Hathor-Yunet, figlia di Sesostri II e sorella di Sesostri III. Tutti questi tesori sono conservati al Museo Egizio del Cairo.

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Cavigliera in grani di ametista e d’oro, dalla quale pendono due artigli, forse di falco, in oro. Tesoro della regina Mereret.

Cintura realizzata con grani a forma di conchiglia in oro, lapislazzuli, feldspato e cornalina. Tesoro della principessa Sat Hathor.

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Pettorale in oro, lapislazzuli e cornalina. Sul cartiglio centrale, il nome di Sesostri III. Tesoro della principessa Sat Hathor.

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Specchio in argento lucido con manico in ossidiana, pietre semipreziose e oro.

Rappresenta la dea Hathor. Tesoro di Sat-Hathor-Yunet.

BRIDGEMAN / ACI

Diadema in oro decorato con due alte piume e, nella parte frontale, con un ureo (cobra). Era portato su una parrucca. Tesoro di Sat-Hathor-Yunet.

UNA FORTEZZA SUL CONFINE CON LA NUBIA

FORTEZZA INTERNA

Era protetta da una muraglia di 150 m per 170. Comprendeva vari annessi e un tempio.

La fortezza di Buhen – della quale in queste pagine vediamo una ricostruzione – fu eretta all’estremità settentrionale della seconda cateratta del Nilo, probabilmente per volere di Sesostri III con l’obiettivo di garantire la sicurezza delle spedizioni egizie in Nubia.

Dotata di un doppio ordine di mura, rimase in funzione fino all’epoca del Nuovo Regno.

Residenza del governatore del forte

ANGOLI

RICOSTRUZIONE IPOTETICA DELLA FORTEZZA DI BUHEN. SOL 90 / ALBUM

Erano dotati di torri rettangolari e bastioni difensivi.

FOSSO

Con una profondità di 3 m, costituiva un ulteriore ostacolo per gli eventuali nemici.

Barbacane

Nilo

AREE RESIDENZIALI

TEMPIO

Dedicato a Horus, fu spostato al Museo Nazionale di Khartum (Sudan) nel 1962, prima di essere sommerso dal lago artificiale creato dalla nuova diga di Assuan.

Erano situate nella zona centrale.

Si possono vedere i muri scoperti durante gli scavi del XIX secolo.

I dipinti che decorano il tempio risalgono all’epoca del regno della regina Hatshepsut (14801468 a.C.).

La maggior parte delle scene raffigura il re mentre porge offerte agli dei.

UNA FORTEZZA SOTT’ACQUA Moli ALTEZZA

Le mura erano alte circa 11 metri.

MURAGLIA ESTERNA

DOPPIO PORTONE

Il Cairo

EGITTO

Buhen

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Le porte monumentali, situate sul lato ovest del complesso, si aprivano verso le acque del Nilo. Erano in legno e dotate di un ponte levatoio.

Nella parte più lunga misurava circa 700 metri ed era larga circa 4. Numerose torri rafforzavano il sistema difensivo.

Buhen fu utilizzata come fortezza militare dalla XII alla XVIII dinastia. Si pensa che sia giunta a ospitare tra le 3500 e le 4000 persone. Fu scoperta nel XIX secolo, e gli scavi procedettero con urgenza prima che le acque del lago Nasser, creato dalla costruzione della diga di Assuan, la inghiottissero.

LA CADUTA DI TROIA

Il dipinto di Denis Maublanc raffigura la distruzione di Troia per mano degli achei. In basso a destra, Enea fugge con il padre Anchise e il figlio Ascanio.

XVII secolo. Museo di Belle Arti e Archeologia, Besançon.

IL RE PRIAMO E LA BELLA ELENA

Sulla kylix attica a figure rosse il vecchio re di Troia, Priamo, siede di fronte a Elena di Sparta, la donna per la quale scoppiò la guerra di cui narra l’Iliade. Museo Nazionale Etrusco, Tarquinia.

AGENCE BULLOZ / RMN-GRAND PALAIS

LA RICOSTRUZIONE STORICA

TROIA

È accertato che la città cantata da Omero, in posizione strategica sullo stretto dei Dardanelli, ebbe profondi legami politici e commerciali con l’Impero ittita MIREIA MOVELLÁN LUIS RICERCATRICE DELL’UNIVERSITÀ COMPLUTENSE DI MADRID

SCALA, FIRENZE

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a quando Heinrich Schliemann iniziò nel 1870 i suoi scavi sulla collina di Hissarlik (Turchia), sullo studio delle rovine di Troia ha sempre aleggiato una sorta di “sindrome dell’Iliade”, ossia il desiderio di trovare le tracce precise di quello che Omero narrò nel suo grande poema epico. Per lungo tempo questo atteggiamento determinò un errore fondamentale, cioè credere che Troia fosse una città greca, e furono molti gli archeologi che si sforzarono di legarla alle culture dell’Egeo, con le quali indubbiamente intrattenne rapporti commerciali. Le ricerche più recenti, tuttavia, hanno dimostrato che Troia era molto più legata all’Asia Minore e, in particolare, alla civiltà ittita, fiorita nell’entroterra della penisola dell’Anatolia tra il XVIII e il XII secolo a.C.

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A DECIFRAZIONE della lingua ittita e il

ritrovamento del Trattato di Alaksandu hanno portato a un cambiamento negli studi su Troia e a uno spostamento della zona di interesse verso Oriente. Dai termini del trattato si deduce che l’alleanza fra Troia e l’Impero ittita era molto antica e che Troia era subordinata all’Impero, pur continuando a essere una città autonoma.

Inoltre, il trattato e altri testi dimostrano che gli ittiti si riferivano alla Troade con il nome di Wilusa e chiamavano Taruisa la città; i due nomi sono il corrispondente ittita della doppia denominazione greca: Ilion e Troia. Sebbene non tutti i ricercatori concordino sul fatto che Wilusa-Ilion sia la città portata alla luce a Hissarlik, i legami di Troia con l’Anatolia sono indubbi e nulla impedisce di considerarla una regione satellite dell’Impero ittita.

CARTOGRAFIA: EOSGIS.COM

CUSTODE DELLO STRETTO

Mappa del Mediterraneo orientale durante l’Età del Bronzo.

Troia, affacciata sullo stretto dei Dardanelli, si trovava in una posizione strategica.

Questo è stato dimostrato dal ritrovamento, fra i documenti dell’archivio imperiale di Hattusa, la capitale del regno ittita, di quello che è noto come il Trattato di Alaksandu: un patto di vassallaggio che fu stipulato fra un sovrano di Wilusa chiamato Alaksandu e il re ittita Muwatalli nel 1290 a.C. e che fornisce una serie di informazioni preziose sui rapporti tra i vari Stati dell’area anatolica. Wilusa sembra essere il nome ittita di Troia, il che spiegherebbe perché i greci la chiamassero anche Ilion. La guerra di Troia sarebbe dunque stata un conflitto fra le città greche e una fortezza ittita.

La «ripida» Troia dell’Iliade si innalzava sullo scosceso sperone formato dalla collina di Hissarlik, un piccolo altopiano di pietra calcarea alto 37 metri e con una superficie di circa 150 per 200 metri, situata sei chilometri a est della costa del Mar Egeo e 4,5 chilometri a sud dello stretto dei Dardanelli. Gli archeologi hanno scoperto che nel sito si sovrappongono fino a nove città di epoche diverse che comprendono i resti di oltre tremila anni di storia ininterrotta. Lo strato denominato Troia VI (che ha una continuità con lo strato Troia VII), databile all’incirca tra il 1700

LA COLLINA DELLE NOVE CITTÀ 34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Fondazione di Troia presso lo stretto dei Dardanelli (odierna Turchia). Troia I è distrutta da un incendio intorno al 2700 a.C. Si costruisce una nuova città, Troia II, che secondo Schliemann sarebbe la Troia di Omero.

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C R O N O LO G I A

1700-1250 a.C. RENZE

2900 a.C.

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Nel corso di questi secoli si sviluppa l’insediamento di Troia VI, che diventa una grande città dell’orbita ittita, con circa 8.000 abitanti. Alcuni ricercatori ritengono che questa sia la città del mito omerico.

PENDENTE IN ORO DEL COSIDDETTO “TESORO DI PRIAMO”. BERLINO.

LA COLLINA DI HISSARLIK

È il sito, nell’odierna Turchia, dove sorgeva l’antica Troia.

Qui gli archeologi hanno scoperto nove città sovrapposte, risalenti a epoche differenti.

GEORG GERSTER / AGE FOTOSTOCK

e il 1250 a.C., è uno dei candidati a essere considerato il vero scenario degli eventi che sono narrati nell’Iliade.

In generale, Troia VI corrisponde a ciò che ci si potrebbe aspettare da una città dell’Età del Bronzo nella penisola anatolica. Era costituita da due parti principali: sull’altopiano si ergeva la cittadella, centro amministrativo e religioso, protetta da una poderosa cinta muraria in pietra; sul versante meridionale della collina, invece, si estendeva la città bassa, cinta per l’intero perimetro da un lungo fossato. Oltre il fossato si innalzavano mura in mattoni

1250 a.C. Troia VI è distrutta da una calamità naturale, forse un terremoto, e viene ricostruita e abitata di nuovo. Lo stadio successivo è Troia VII, che presenta un’evidente continuità culturale con il precedente.

nelle quali oggi sappiamo si aprivano almeno cinque porte monumentali, ben difese da torri di guardia, come le Porte Scee che sarebbero state rese famose da Omero.

LO SCOPRITORE DI TROIA

Heinrich Schliemann (1822-1890), il ricco imprenditore tedesco che scoprì Troia scavando sulla collina di Hissarlik. Ritratto di Sidney Hodges.

1866. Musei Statali, Berlino.

La vita in città Gli archeologi hanno dimostrato che la città bassa si sviluppò precisamente nell’epoca di Troia VI, con vie pavimentate e canali di drenaggio delle acque, il che indicherebbe un aumento della popolazione proprio in quel periodo. È stato calcolato che sui circa venti ettari di superficie della città potevano vivere dai 7000 ai 10.000 abitanti. Una

1180 a.C. In Troia VII appaiono indizi di una grande devastazione e sono documentati diversi edifici distrutti dal fuoco.

Un’ipotesi sostiene che Troia VII sia stata distrutta dalla guerra narrata nell’Iliade.

1870 Heinrich Schliemann inizia gli scavi a Hissarlik e raggiunge lo strato di Troia II, dove scopre un magnifico tesoro di oggetti in oro che attribuisce al leggendario re Priamo.

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SUPERSTOCK / AGE FOTOSTOCK

IL DECLINO DELLA DINASTIA TROIANA

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NO DEGLI EPISODI più celebri dell’Iliade è il combattimento fra

Ettore e Achille. I due nemici si lanciano in un inseguimento che li conduce alle fonti del fiume Scamandro: «Una scorre acqua calda e fumo all’intorno / sale da essa, come di fuoco avvampante; / l’altra anche d’estate scorre pari alla grandine / o al ghiaccio o alla gelida neve», descrizione che diede a Schliemann una traccia per scavare a Hissarlik. Dopo aver ucciso Ettore, Achille «de’ piè gli fora i nervi / Dal calcagno al tallone, ed un guinzaglio / Insertovi bovino, al cocchio il lega» e lo trascina fino all’accampamento greco.

Poco dopo, Priamo giunge alla tenda di Achille al quale, tra le lacrime e prendendogli le mani, chiede la restituzione del cadavere del figlio: «Abbi ai numi rispetto, abbi pietade / Di me: ricorda il padre tuo: deh! pensa / Ch’io mi sono più misero, io che soffro / Disventura che mai altro mortale / Non soffrì, supplicante alla mia bocca / La man premendo che i miei figli uccise». A Priamo non restava più alcun figlio che potesse difenderlo o succedergli al trono, ma solo il coraggio di cercare di dare a Ettore un funerale adeguato.

ACHILLE TRASCINA CON IL SUO CARRO IL CADAVERE DEL NEMICO TROIANO ETTORE. CERAMICA ATTICA. 510 A.C. HERMITAGE, SAN PIETROBURGO.

36 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

tale densità di popolazione si spiega con l’apogeo economico della città, che sfruttò la sua posizione strategica all’interno del sistema commerciale del II millennio a.C. per diventare un importante centro di smistamento e ridistribuzione delle merci.

Attraverso il suo porto nella baia di Besika, Troia commerciò in bestiame, con i cavalli delle steppe a nord del Mar Nero e dell’Anatolia centrale, l’ambra del Baltico, la cornalina della Colchide (sulla sponda orientale del Mar Nero) e il rame dei Balcani e dell’Asia centrale. Il suo ruolo di fulcro commerciale è fondamentale per comprendere il contesto storico della guerra di Troia, poiché spiegherebbe il motivo della formazione di una così importante lega di città greche: lo scopo era assicurarsi il controllo dei Dardanelli e del commercio tra il Mar Nero e l’Egeo.

Le abitazioni della città bassa avevano tetti piatti, sui quali si potevano mettere a essiccare frutti e legumi, e un’area pavimentata nel cortile, probabilmente per trebbiare il grano. I prodotti venivano immagazzi-

L’ODEON DI TROIA

Troia IX è l’ultima città che venne costruita sulla collina di Hissarlik. Corrisponde al periodo romano e fu abbellita da Giulio Cesare e da Augusto. L’odeon fu ristrutturato nell’anno 124, sotto il governo di Adriano.

N. SOROKIN / AGE FOTOSTOCK

Cavalli e divinità Parte della popolazione si dedicava all’agricoltura e alla pastorizia, le due principali fonti di alimentazione, seguite dalla pesca e dalla raccolta di molluschi. Nel giacimento, inoltre, sono state

VASELLAME IN ORO E ARGENTO Durante i banchetti, i troiani delle classi sociali più elevate bevevano vino da coppe d’argento come quella rinvenuta tra le rovine di Troia.

2300 a.C. British Museum, Londra.

SCALA, FIRENZE

nati in grandi pozzi collocati sottoterra. È molto probabile che la maggior parte della popolazione si dedicasse a lavori artigianali, come la fabbricazione di ceramica al tornio, soprattutto vasellame e stoviglie con decorazioni geometriche. La massiccia presenza di utensili per filare e tessere, come i pesi da telaio, indica che i tessuti di Troia (principalmente di lana e lino) dovevano essere molto apprezzati. I troiani producevano anche la preziosa tintura porpora che si ottiene dal mollusco di mare, la murice, che serviva per tingere tessuti, pelli conciate e oggetti in osso o avorio.

Numerose botteghe erano dedicate alla produzione di manufatti in bronzo, ferro, argento e oro.

rinvenute anche grandi quantità di ossa di cavalli. Il II millennio a.C. è l’epoca d’oro dei carri da combattimento trainati da cavalli, e pare che i troiani fossero specializzati nell’addestramento di cavalli selvaggi destinati all’esercito ittita.

Nella famosa battaglia di Qadesh contro gli egizi, avvenuta attorno al 1270 a.C., il contingente ittita era formato da quasi quattromila carri da guerra. Lo confermano il principale epiteto dei troiani nell’Iliade, quello di «domatori di cavalli», le grandi scuderie reali che Priamo possedeva in città o il fatto che Andromaca nutrisse i cavalli, ai quali dava grano e vino, meglio che il marito Ettore.

Per quanto riguarda la vita religiosa, se nel Trattato di Alaksandu si fa menzione del dio Apaulinas, forse il nome ittita dell’Apollo greco, gli scavi hanno portato alla luce, presso le porte della cittadella, 17 grandi stele in pietra della grandezza di una persona; poiché si tratta di un elemento architettonico diffuso STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LO STUDIO DELLE ROVINE DI TROIA

BATTAGLIA DI QADESH TRA EGIZI E ITTITI IN UN RILIEVO DEL TEMPIO DI ABU SIMBEL. TROIA ERA UN REGNO TRIBUTARIO E ALLEATO DEL GRANDE IMPERO ITTITA.

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EINRICH SCHLIEMANN si occupò da solo degli scavi di Troia fino al 1879, quando a lui si unì l’architetto e archeologo Wilhelm Dörpfeld, autore di un dettagliato studio che servì per classificare gli strati della città. Fu grazie a lui che si giunse alla conclusione che Troia VI era stata bersaglio di un attacco, anche se ancora oggi non è certo che questo corrisponda al conflitto narrato nell’Iliade.

Dopo Schliemann e Dörpfeld, sono stati Manfred Korfmann e attualmente Ernst Pernicka, dell’Università di Tubinga, a fornire i dati più interessanti. Gli studiosi hanno scoperto l’immensa estensione della città bassa attraverso prospezioni geomagnetiche e foto aeree. Dopo 150 anni di scavi, è stato portato alla luce meno del cinque per cento della superficie totale di Troia: la città nasconde ancora molti segreti.

TARKER / BRIDGEMAN / ACI

La fine di Troia

38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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La cittadella di Troia VI, che nell’Iliade è chiamata Pergamo, consisteva in un grande complesso di costruzioni a più di un piano.

Probabilmente riuniva le funzioni di tempio, palazzo, tesoreria e archivio, e nella struttura seguiva il modello del megaron tipico dell’Anatolia ittita, della Creta minoica e della Grecia micenea, con edifici e stanze disposti attorno a un salone centrale.

La cittadella era circondata da una possente muraglia, la stessa, possiamo immaginare, dalla quale Priamo osservava il figlio Ettore alla guida delle truppe.

Inoltre, era dotata di una rete di tunnel che garantiva la fornitura d’acqua da una fonte sotterranea. Nella cittadella vivevano la famiglia reale e i nobili, in edifici grandi e sontuosi, ma dalla decorazione

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I nobili nel palazzo

austera: non sono state rinvenute tracce di affreschi né oggetti lussuosi. L’aristocrazia praticava la poligamia: Priamo, secondo l’Iliade, ebbe cinquanta figli e dodici figlie da mogli diverse, anche se il rango di regina era riservato alla prima moglie, Ecuba.

All’élite appartenevano anche le famiglie dei grandi commercianti, che esercitavano funzioni diplomatiche e ricoprivano le cariche più elevate nell’esercito. Gli altri abitanti di Troia, invece, formavano il grosso delle truppe di fanteria, con numerosi arcieri e frombolieri, a cui dava un sostanziale appoggio un buon numero di carri da combattimento che soltanto i più benestanti potevano permettersi.

LA MORTE DI UNA PRINCIPESSA Sull’anfora è raffigurato il sacrificio di Polissena, figlia minore di Priamo, immolata sulla tomba dell’eroe Achille. British Museum, Londra.

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nella zona ittita, secondo alcuni ricercatori sono tipiche del culto ittita di divinità protettrici delle porte, mentre per altri sono legate al culto di Apollo.

Da quanto emerge dagli scavi, Troia VI andò incontro a una fine traumatica. Attorno al 1250 a.C. (secondo alcuni studiosi verso il 1300), la città fu devastata da una catastrofe naturale, quasi sicuramente un terremoto, ma fu rapidamente ricostrui-

ALAMY / ACI

ta dagli stessi abitanti. Nacque così Troia VII, che mostra una chiara continuità culturale con Troia VI. L’insediamento che gli studiosi chiamano Troia VIIa, a cui segue Troia VIIb, ebbe vita breve: fu distrutto da un incendio verso il 1180 a.C. È stato infatti possibile far risalire a questa data i resti di edifici devastati dal fuoco e le ossa umane fossilizzate rinvenuti negli scavi, così come una grande quantità di proiettili da catapulta. Tutto questo indicherebbe che la popolazione subì un attacco dall’esterno, e che combatté una guerra.

Fu forse questa la grande guerra narrata da Omero? Indubbiamente, Troia fu un centro strategico per le rotte commerciali ittite, e ciò avrebbe potuto suscitare la rivalità dei greci micenei, ma è impossibile asserire con assoluta certezza che si sia trattato del conflitto di cui parla l’Iliade.

Qualunque sia la verità, rimane il fatto che dopo l’ultima distruzione Troia e la sua popolazione entrarono in una fase di declino, e quando Alessandro Magno, ver-

so l’anno334 a.C., conquistò l’Ellesponto e giunse a Troia, trovò soltanto i resti dell’antica città e un unico tempio in piedi, dove celebrò sacrifici in onore di Atena e degli eroi dell’Iliade. Dopo la sua morte, il suo generale Lisimaco fece ricostruire la città, che sopravvisse fino al VI secolo d.C., quando fu definitivamente abbandonata.

Con la nascita dell’Impero ottomano, la collina dove un tempo sorgeva Troia venne chiamata Hissarlik, «il luogo della fortezza», ma poiché vi erano molte altre colline simili e tutto era ricoperto dalla vegetazione, la sua ubicazione esatta cadde nell’oblio, fino a quando Heinrich Schliemann, nel XIX secolo, non la riportò alla luce.

Per saperne di più

LA PORTA DEI LEONI

Il monumentale ingresso, fiancheggiato da due leoni, era uno dei punti d’accesso ad Hattusa, la capitale ittita.

A Troia furono ritrovate anche stele che decoravano le porte della città.

SAGGI

La guerra di Troia Barry Strauss. Laterza, Bari, 2007.

La scoperta di Troia Heinrich Schliemann. Einaudi, Torino, 2006.

TESTI

Iliade Omero. Rizzoli, Milano, 2006.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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La leggendaria Troia era ubicata in una posizione geografica privilegiata. Situata sullo stretto dei Dardanelli, nell’attuale Turchia, la città si arricchì con il commercio e con il controllo marittimo dello strategico passaggio al confine tra Europa e Asia. L’archeologia ha dimostrato che Troia era legata più al mondo anatolico che a quello miceneo, contrariamente a quanto si è creduto per molto tempo, e che apparentemente nella città le donne di tutte le classi sociali godevano di maggiori diritti e libertà.

RICOSTRUZIONE DELLA TROIA CANTATA DA OMERO, AFFACCIATA SUI DARDANELLI. PODEROSE MURA CIRCONDAVANO LA CITTÀ BASSA, DOVE C’ERANO CASE E BOTTEGHE. PIÙ IN ALTO SORGEVA LA CITTADELLA, CON IL PALAZZO E I TEMPLI.

AKG / ALBUM

UNA CITTÀ STRATEGICA SUI BRIDGEM

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BARCA ITTITA O FENICIA. RILIEVO IN PIETRA PROVENIENTE DA KARATEPE. VIII SECOLO A.C.

RECIPIENTE IN ORO PER SALSA APPARTENENTE AL “TESORO DI PRIAMO”. MUSEO PUŠKIN, MOSCA.

RISCOSSIONE DI PEDAGGI

Omero chiamava Troia «ventoso Ilion» per la sua posizione geografica vicino allo stretto dei Dardanelli, dove il vento proveniente da nord soffiava, nei mesi estivi, anche a sessanta chilometri l’ora. Le imbarcazioni, dunque, non potevano navigare e gli equipaggi erano costretti ad aspettare nel porto della città che il vento si placasse. I troiani, che dominavano la costa, si arricchirono offrendo rifugio ai naviganti bloccati dalla forza del vento. Tuttavia, come avrebbe detto Tucidide secoli dopo, pur abitando vicino alla costa, essi non erano marinai.

VITA NEL LUSSO

Troia era una città ricca. Nei suoi campi si coltivava grano in abbondanza e la sua posizione era invidiabile, al crocevia del commercio internazionale. L’élite viveva nella cittadella, che si innalzava di una trentina di metri sulla pianura ed era protetta da mura alte dieci metri. Nello strato denominato Troia II furono rinvenuti numerosi gioielli, stoviglie in oro, argento e bronzo usate nei banchetti, asce decorate e altri manufatti preziosi. Il numero di oggetti in oro recuperati supera gli ottomila pezzi, il che testimonia del grado di ricchezza raggiunta dalle classi sociali più elevate.

VENDITA DI CAVALLI

L’addestramento era un’attività molto redditizia per i troiani. I destrieri di Troia erano famosi in tutto il mondo e nella città operavano numerosi commercianti di bestiame.

L’archeologia ha però dimostrato che questo interesse per i cavalli fu tardivo. Questi animali sarebbero giunti nella regione verso il 1700 a.C., divenendo presto la grande passione dei troiani, così come era per i loro vicini, gli ittiti. Nell’Iliade si narra che l’arciere troiano Pandaro amava tanto i suoi cavalli da preferire combattere a piedi pur di non metterne a rischio la vita.

CARRO ITTITA. RILIEVO CON SCENA DI BATTAGLIA. KARKEMISH. MUSEO DELLE CIVILTÀ ANATOLICHE, ANKARA.

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LA CITTÀ BASSA

Troia era un luogo brulicante di vita, con santuari, giardini, forni comuni e case in pietra, mattoni e legno. Le più lussuose, a due piani, erano dotate di grandi pozzi seminterrati per conservare gli alimenti, come quella di Antenore, il consigliere di Priamo, che, secondo l’Iliade, accolse nella sua casa i greci Menelao e Odisseo. La “ceramica grigia” di uso consueto in cucina e a tavola, come piatti, tazze e anfore, è di tipo anatolico, ma sono stati rinvenuti anche ceramiche greche importate e un sigillo in pietra che prova la presenza di commercianti micenei a Troia.

ANFORA IN TERRACOTTA DI STILE ANATOLICO RITROVATA A TROIA. MUSEO ARCHEOLOGICO, ISTANBUL.

BPK / SCALA, FIRENZE

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LE DONNE A TROIA

Le donne anatoliche godevano di maggiore libertà rispetto a quelle della Grecia micenea. Su un sigillo rinvenuto a Troia sono incisi su un lato il nome di una donna e sull’altro quello di un uomo.

Nel mondo ittita questi sigilli erano molto diffusi tra le coppie, il che indica una certa parità. Le donne ittite potevano anche avere un sigillo personale e avviare un procedimento di divorzio. Secondo Omero, anche i troiani tenevano in considerazione l’opinione delle loro donne, come Ettore quando ascolta Andromaca e la sua supplica di abbandonare il campo di battaglia per lei e per il loro figlio.

COLLARE IN ARGENTO DORATO APPARTENENTE AL “TESORO DI PRIAMO”. MUSEI STATALI, BERLINO.

ACUARELA DE JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE © ÉDITIONS ERRANCE

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DEA / ALBUM

DEA / AGE FOTOSTOCK

DARDANELLI

IL SACRIFICIO DEL TORO

La scena della tauroctonia è al centro del culto di Mitra. Affresco del tempio di Mitra, San Marino.

II secolo d.C.

Il dio venuto dall’Oriente

MITRA Di origine persiana, il culto mitraico con le sue connotazioni misteriche si diffuse, attraverso la cultura ellenistica, anche nella Roma imperiale. Qui ebbe inizialmente un certo seguito, ma in breve declinò contemporaneamente all’avvento del cristianesimo JAIME ALVAR EZQUERRA

SCALA, FIRENZE

ORDINARIO DI STORIA ANTICA. UNIVERSITÀ CARLOS III DI MADRID

I COLOSSI DEL NEMRUT DAGI

FUNKYSTOCK / AGE FOTOSTOCK

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metà del primo secolo a.C., con i pirati della Cilicia portati a Roma come prigionieri da Pompeo, giunge nell’Urbe il culto di Mitra. La divinità di questa religione misterica proveniente dall’Oriente offre ai suoi seguaci un nuovo ambito in cui esprimere le loro inquietudini religiose. Gli spazi consacrati a Mitra sono diversi dal solito, il culto è organizzato in rituali del tutto nuovi e i fedeli costituiscono confraternite chiuse e dalla rigida gerarchia. Per esservi ammessi è indispensabile superare prove iniziatiche dalle quali le donne sono assolutamente escluse. Le legioni sono il principale veicolo di diffusione del nuovo culto, e il favore im-

FULGORE E DECLINO DEL DIO

44 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Nel 62 a.C., il re Antioco I di Commagene eresse sul monte dell’Anatolia un monumento funerario dove si celebrava il culto di Mitra-HeliosApollo e di altre divinità.

periale è un elemento indispensabile per il suo rapidissimo successo. Il paradosso sta nel fatto che questa nuova divinità arriva proprio dalle terre dell’acerrimo nemico del mondo greco-romano: l’Impero persiano.

Mitra e Cristo Nel secolo successivo il culto di Mitra si consolida nell’Impero, mentre inizia a diffondersi il culto di un’altra divinità di natura ben diversa, Cristo. I culti di Mitra e di Cristo hanno suscitato sin dall’antichità un interesse particolare per le loro presunte similitudini. Le analogie, però, non corrispondono alla realtà così come la conosciamo attualmente. Una delle principali falsità è quella secondo cui

XIV SECOLO A.C.

V SECOLO A.C.

LA PRIMA MENZIONE del nome

ALL’EPOCA dell’Impero persiano

di Mitra appare nel trattato firmato da Shattiwaza, sovrano del grande Impero di Mitanni, e il re Suppiluliuma di Hatti, fondatore dell’Impero ittita.

achemenide risale l’assimilazione di Mitra con il Sole: accade nello yasht o inno X dell’Avesta, l’insieme di libri sacri dello zoroastrismo, la religione di Zarathustra.

I SECOLO D.C. DALLA SECONDA METÀ del

secolo si espande a Roma il nuovo culto di Mitra, come è testimoniato dai numerosi mitrei, successivamente diventati luoghi di culto del cristianesimo.

MITREO DI SAN CLEMENTE

Nel XIX secolo fu scoperto un tempio di Mitra sotto la basilica romana, nel corso di scavi archeologici effettuati alla ricerca di un tempio paleocristiano.

IV SECOLO D.C. to di Mitra all’interno dell’Impero. Mentre nella capitale sembra conservarsi nei circoli aristocratici, nelle province il declino si manifesta più rapidamente.

ERICH LESSING / ALBUM

SCOMPARSA progressiva del cul-

LE SUE ORIGINI RISALGONO AL MAZDEISMO NELLE TERRE IRANICHE, Mitra era il più importante degli yazata, divinità al

servizio del dio supremo Ahura Mazda, creatore dell’universo. Il suo nome significa “patto”: egli era il garante di contratti, giuramenti e alleanze. In quanto tale, nelle tradizioni persiane di epoca sasanide era lui a tutelare il patto tra Ahura Mazda, dio del bene, e Angra Mainyu o Ahriman, signore del male, che stabilì un periodo di novemila anni di mescolanza e confronto tra le forze del bene e quelle del male. La sua figura, però, finì per abbracciare vari aspetti: dio della giustizia, del fuoco, dei sacrifici e divinità della guerra, era responsabile anche dell’ordine cosmico e in particolare del percorso celeste del Sole. Il Mitra romano, tuttavia, si discosta dai testi religiosi persiani: è un dio creatore, che combatte contro un grande toro cosmico, dal sacrificio del quale sarebbe derivata la vita animale e vegetale.

MITRA UCCIDE IL TORO. SCULTURA IN AMBRA. I-II SECOLO D.C. CIVICI MUSEI DI STORIA E D’ARTE, UDINE. DA G

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

la nascita di Gesù sarebbe stata collocata attorno al solstizio d’inverno (il 25 dicembre) per occupare nel calendario la data di nascita di Mitra. In realtà, non vi è una data di nascita del dio persiano; e sebbene Mitra sia una divinità solare come tante altre provenienti dall’Oriente (Eliogabalo, Giove Dolicheno, Sabazio...), nel suo culto non vi è nulla che indichi una ricorrenza in questa data. È invece certo che la nascita di Gesù venne spostata dall’Epifania, in gennaio, per cristianizzare la data della celebrazione del solstizio di inverno e la “rinascita” del sole.

Un altro errore consiste nell’identificazione del banchetto rituale mitraico con l’eucaristia cristiana. I seguaci di Mitra celebravano un pasto rituale, come nella maggior parte dei culti politeisti, ma nulla indica che tale banchetto sia una celebrazione eucaristica nella

A ART TI / LI OR

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ORONOZ / ALBUM

LA MORTE DEL TORO

IVE

A destra, lato anteriore di un rilievo raffigurante una tauroctonia proveniente dall’antica città di Nida (l’attuale Heddernheim).

II secolo d.C. Museo di Wiesbaden.

quale si ingerisce la divinità stessa. E se rivolgiamo l’attenzione al fenomeno del sacrificio vediamo che nel mitraismo è il dio a celebrare il sacrificio, mentre nel cristianesimo il dio è la vittima sacrificata. Le due pratiche sono dunque nettamente diverse.

Gli adepti di Mitra La composizione sociale delle comunità dell’uno e dell’altro culto è profondamente diversa.

A prima vista, la differenza è l’esclusione delle donne nel mitraismo, mentre il cristianesimo dà loro una rilevanza che non aveva precedenti nella civiltà prima greca e poi romana.

L’espansione del mitraismo è stata favorita dalla sua connessione con l’ambiente militare, nel quale ottiene l’appoggio dei vertici; da lì si propaga tra gli schiavi, gli abitanti delle città e l’aristocrazia. Il cristianesimo si diffonde raccogliendo intorno a sé gli umili, i poveri, i diseredati ai quali offre sostentamento mate-

Mitra è una delle molte divinità giunte dall’Oriente, come Eliogabalo e Sabazio GLICONE, DIVINITÀ PROVENIENTE DALL’ASIA MINORE. SCULTURA RINVENUTA IN ROMANIA. II SECOLO D.C.

Ai quattro angoli del rilievo, all’interno di medaglioni, sono raffigurati gli dei dei venti, che escono dalle loro bocche.

La primavera, con fiori tra i capelli e sulle spalle.

Giove serra un fulmine nella mano destra.

Saturno, reclinato su una roccia.

L’inverno, avvolto da un velo.

UN MITO SENZA TESTI SACRI

IN MANCANZA DI TESTI che spieghino la storia di Mitra, essa è stata ricostruita

a partire dalle immagini rinvenute nei mitrei. Mitra nasce da una roccia 1, nudo e con un berretto frigio sul capo, sotto un arco celeste con i segni dello Zodiaco, simbolo della volta celeste ridotta a una grotta. Successivamente riceve dal Sole, attraverso un corvo 2, suo messaggero, l’incarico di catturare un toro e rinchiuderlo nella caverna. Pare che il toro riesca a scappare, e, per evitare nuove fughe, Mitra lo afferra 3 e lo sacrifica 4. La morte dell’animale è legata alla fertilità: dalla coda del toro nascono spighe di cereali 5, mentre il suo sangue, che cola sul terreno, è bevuto da diversi animali.

La Luna scende dal firmamento nella biga.

Mitra sale al cielo nella biga del Sole.

3

Mitra pare riverire il Sole, poi è il Sole a inginocchiarsi davanti a Mitra.

Fregio con i segni dello Zodiaco.

2

1

5

4

Lo scorpione affonda il pungiglione nei genitali del toro.

Un serpente si attorciglia a un cratere o beve da questo.

Mitra coglie rami da un arbusto.

Il cane balza sulla ferita.

Davanti al serpente appare un leone in posa minacciosa.

Cautes, gemello di Cautopates, ha una torcia accesa rivolta verso l’alto.

Forse rappresenta il solstizio d’inverno.

L’autunno, con una corona di spighe e foglie sul petto.

AKG / ALBUM

Cautopates ha in mano una torcia spenta rivolta verso il basso.

Forse rappresenta il solstizio d’estate.

L’estate, con una corona e un vestito di foglie.

IL SANTUARIO DI GARNI

Il tempio armeno sarebbe stato dedicato a Mitra – patrono di vari re armeni – dal re Tiridate I nel I sec.d.C. Secondo un’altra teoria, sarebbe la tomba di un re armeno successivo.

TEMPIO DI DURA EUROPOS

F. G. MAYER / CORBIS / CORDON PRESS

riale e la speranza di una nuova vita nell’aldilà, e sono proprio le donne il veicolo di diffusione più importante; in seguito raggiunge le classi medie della società, intellettuali, commercianti e, progressivamente, l’ambiente militare. Continua a crescere nonostante le persecuzioni finché con l’Editto di Milano, emesso da Costantino e Licinio nel 313, il suo culto viene liberalizzato.

Dalla Persia a Roma

DEA / GETTY IMAGES

Sta di fatto che il culto di Mitra si diffuse rapidamente in Siria e in tutta l’Anatolia occidentale del Mediterraneo, in Gallia e perfino in Britannia. Sul relativo successo che incontrò nella romanità, cioè in una civiltà da sempre poco propensa alle religioni misteriche e alle culture orientali – tranne vistose eccezioni, come

La città multietnica e multireligiosa, situata sul confine tra Roma e l’Impero persiano sasanide, ha un magnifico mitreo, risalente al II-III secolo e decorato con dipinti.

i culti esoterici e iniziatici raffigurati nella Villa dei Misteri poco distante da Pompei, ma sappiamo che questa città era cosmopolita per la sua storia – ha speculato il grande storico dei culti orientali, il belga Franz Cumont, il quale ipotizzò che il culto fosse stato diffuso attraverso la predicazione dei suoi sacerdoti, i magi, che si sarebbero spostati al di là dei confini dell’Impero persiano dopo la conquista da parte di Alessandro Magno nel 331 a.C. Sarebbero loro i responsabili della diffusione del culto fino al suo arrivo a Roma, dove si rinnovò per poi estendersi nell’Impero.

Le teorie di Franz Cumont, però, non concordano con ciò che sappiamo oggi. In realtà, i magi di cui parla lo studioso belga non compaiono in alcun luogo dell’Occidente. Per questo è nata l’ipotesi secondo cui il culto diffuso nell’Impero sarebbe stato diverso, usando solo il nome del dio persiano e alcuni vocaboli iranici per aggiungere esotismo e verosimiglianza.

Secondo alcuni studiosi il culto di Mitra fu usato come strumento di coesione tra i militari dell’Impero ALTARE DEDICATO A MITRA DAI TETRARCHI DIOCLEZIANO, GALERIO E LICINIO A CARNUNTUM NEL 307 D.C.

J. SWEENEY / CORBIS / CORDON PRESS

L’”INVENTORE” DEL BERRETTO FRIGIO IL BERRETTO FRIGIO, di origine persiana, fu inizialmente utilizzato dai sa-

cerdoti della Frigia, regione dell’Asia Minore, e divenne successivamente un attributo primario del dio Mitra anche a Roma. E proprio nell’Urbe, il berretto frigio, chiamato pilus, veniva donato dal padrone ai suoi schiavi affrancati (liberti), diventando quindi simbolo di libertà. Con questa connotazione fu adottato poi dai rivoluzionari francesi, forse perché era anche indossato dai galeotti di Marsiglia che furono liberati nel 1792 dai rivoluzionari. E fu posto sul capo della Marianne, la donna-emblema della Francia repubblicana. Durante la coraggiosa Repubblica Napoletana del 1799, il berretto frigio fu tra i simboli dell’ideologia liberale partenopea e posto in cima all’albero della libertà, che fu piantato per la prima volta dai patrioti napoletani a Castel Sant’Elmo e successivamente abbattuto dopo la caduta della Repubblica a opera dell’armata cristiana sanfedista. (G.R.)

UN SANTUARIO IN BRITANNIA

Nel 1822 fu scoperto un tempio di Mitra a Housesteads, un forte integrato nella poderosa linea difensiva del Vallo di Adriano.

A destra, una ricostruzione del suo interno.

MITRA CON IL BERRETTO FRIGIO. SCULTURA PROVENIENTE DAL MITREO DI WALBROOK, LONDRA. 180-220 D.C. MUSEUM OF LONDON.

ART ARCHIVE

Una religione presto scomparsa Questo rinnovamento del culto di Mitra ebbe luogo a Roma oppure prima, nei regni dell’Anatolia ai limiti del mondo ellenistico, governati da stirpi di origine persiana? Lì, il nome dinastico dei sovrani del Ponto, i vari Mitridate, parla della popolarità del dio. E nel santuario che Antioco I di Commagene innalzò sul monte Nemrut vi è un’immagine di Mitra-Helios-Apollo, un fatto che potrebbe essere legato all’assorbimento di Mitra e forse del suo culto nel mondo ellenistico.

La maggior parte delle testimonianze archeologiche del mitraismo proviene dalle zone di frontiera di Roma, dove vi era una nutrita presenza di legionari, mentre all’interno dell’Impero il culto appare soltanto in ambiti 50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

militari e in alcune città (soprattutto a Roma e a Ostia), il che dimostra che il suo radicamento non fu così rilevante. Oltretutto, in ampie zone dell’Impero non sono state trovate tracce di mitraismo successive al III secolo. È significativo il fatto che però molte chiese cristiane della penisola italica furono costruite sopra a mitrei distrutti o luoghi di culto mitraico: per esempio San Clemente a Roma e alcune località dell’anacoretismo cristiano in Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria.

A ogni modo, alla fine del IV secolo il mitraismo non era che un culto residuale, come le religioni politeiste, pressoché limitato a un esiguo numero di aristocratici. L’ultimo bagliore si dovette nel IV secolo all’imperatore Giuliano (detto l’Apostata), uno dei più colti e intelligenti della sua epoca, nonché filosofo neoplatonico, che cercò vanamente di reinstaurare i culti pagani, fra quelli del Sol invictus, un monoteismo “solare” dalle radici mitraiche.

Per saperne di più

SAGGI

Le religioni orientali nel paganesimo romano Franz Cumont. Ghibli, Milano, 2013.

Mitra. Il mito della forza invincibile Ruggero Iorio. Marsilio, Venezia, 1998.

Antichi culti misterici Walter Burkert. Laterza, Roma-Bari, 1991.

PETER CONNOLLY / AKG / ALBUM

Il mitraismo sarebbe stato uno strumento per favorire la coesione del vasto conglomerato etnico e culturale che era diventato l’Impero romano, iniziando dal ceto militare. Era un culto basato sull’autorità della gerarchia, sulla sottomissione degli adepti e sulla creazione di forti legami personali attraverso le piccole confraternite che lo professavano, legami che permettevano a persone di diversa provenienza di trovare forti vincoli di identità e solidarietà.

RIUNIONI SOTTO LE STELLE formato da una navata lungo la quale erano allineate due panche sulle quali si inginocchiavano i fedeli; sul fondo vi era la scultura della tauroctonia.

Il soffitto era a volta, per simulare la caverna nella quale era nato Mitra e la grotta in cui aveva sacrificato il toro; entrambe evocavano la volta celeste, e per questo il soffitto era decorato con stelle. Secondo il filosofo Porfirio, del III secolo d.C., «fu Zoroastro il primo a consacrare a Mitra, padre e artefice di tutte le cose, un antro naturale situato nei vicini monti della Persia, ricco di fiori e fonti: l’antro per lui recava l’immagine del cosmo di cui Mitra è demiurgo, e le cose situate nell’antro [...] erano simboli degli elementi cosmici e delle regioni del cielo». Il mitreo era dunque una miniatura del cosmo. Lì si riunivano gli iniziati e celebravano il banchetto in onore del dio.

BRIDGEMAN / ACI

IL SANTUARIO MITRAICO era

NASCITA DI MITRA. IL DIO SI LEVA DA UNA ROCCIA, CIRCONDATO DALLO ZODIACO. RILIEVO DAL FORTE ROMANO DI HOUSESTEADS. III SECOLO D.C. MUSEO DELLE ANTICHITÀ, NEWCASTLE UPON TYNE.

Ostia è la città dove è stato ritrovato il maggior numero di mitrei di tutto l’Impero romano. Tra i 18 portati alla luce a Ostia, spicca quello di Felicissimus, che si trova nell’area archeologica di Ostia antica, località dove nel momento del suo massimo fulgore questo culto era abbracciato da 1200 abitanti su 50mila Costruito fra il II e il III secolo, il mitreo di Felicissimus è decorato con un mosaico di tessere bianche e nere nel quale appaiono i simboli dei sette gradi dell’iniziazione praticata dagli adepti di Mitra. I gradi sono legati ai pianeti, e i fedeli seguivano una progressione gerarchica. Oltre a questa testimonianza diretta, i gradi compaiono anche nelle fonti cristiane. Tuttavia, poiché l’epigrafia documenta soltanto i gradi leo e pater, oggi si tende a pensare che la scala di sette gradi iniziatici fosse una realtà limitata all’ambito romano-ostiense, non estensibile a tutto l’Impero.

IL CAMMINO VERSO L’INIZIAZIONE

H

J

I

Sotto la protezione della Luna, l’adepto indossava una tunica biancastra con bordi gialli. Si occupava dei frutti nei banchetti rituali. I suoi simboli erano lo spicchio di luna, Vespero (Venere al tramonto), la falce e la spada falcata persiana (falcatus ensis).

G GRADO 5: PERSES (PERSIANO)

Il “corriere del Sole” era sotto la protezione di questo astro.

Indossava una tunica rossa e i suoi emblemi erano quelli del Sole: la corona solare, una frusta per i cavalli del carro solare e una torcia. Si direbbe che questi iniziati fossero i vicari dei patres.

H GRADO 6: HELIODROMUS

Rappresentante di Mitra, era il capo della comunità. Il suo pianeta era Saturno, e i suoi emblemi il berretto frigio del dio, il bastone del pedagogo e l’anello dell’autorità, oltre alla roncola, simbolo di Saturno. Vestiva una tunica rossa con bordi gialli e manto porpora.

I GRADO 7: PATER (PADRE)

Nel mosaico compare il nome di Felicissimus, la persona che finanziò la costruzione del mitreo.

Sotto al nome, un cratere con dei rami ai due lati, simbolo della natura che torna a fiorire nutrita dal sangue del toro sacrificato da Mitra.

J IL COSTRUTTORE

C

Il pianeta corrispondente è Marte.

I suoi attributi sono il giavellotto, l’elmo e un sacco chiuso con un nodo. Secondo lo scrittore ecclesiastico Tertulliano, a questo grado gli iniziati erano marchiati sulla fronte, con un ferro rovente o con un tatuaggio.

Il pianeta corrispondente è Venere, simboleggiato da un diadema con una luna crescente. Forse è un’allusione al matrimonio rituale tra Mitra e l’iniziato, che in questo caso assumerebbe un carattere femminile, il che spiega perché sia protetto da Venere.

A

D GRADO 3: MILES (SOLDATO)

C GRADO 2: NYMPHUS (NINFO)

B

Corax, nymphus e miles servivano ai banchetti rituali, mentre gli altri quattro gradi partecipavano come commensali. Per questo si riteneva che la vera e propria iniziazione ai misteri di Mitra iniziasse con il quinto grado, quello di Leo.

Pianeta di riferimento è Mercurio, qui rappresentato dal caduceo.

Il corvo è il messaggero degli dei, e forse l’adepto a questo grado faceva da intermediario tra il pater o mistagogo (colui che introduce al culto) e il mysta (l’adepto da iniziare).

D

E GRADI SUPERIORI

B GRADO 1: CORAX (CORVO)

E

Il pianeta è Giove, che ha come attributi una pala da fuoco e il fulmine; nel mosaico compare anche uno strumento musicale, il sistro. L’adepto indossava una maschera di leone e un mantello rosso. La sua funzione rituale aveva a che vedere con il fuoco.

All’ingresso appare un cratere, recipiente che in alcuni rilievi pare raccogliere il sangue del toro sacrificato. Due berretti con una stella, emblema di Castore e Polluce, i Dioscuri, simboleggiano gli emisferi celesti (nord e sud).

Su un altare arde un fuoco.

F

F GRADO 4: LEO (LEONE)

A CRATERE E ALTARE

G

ILLUSTRAZIONE: SANTI PÉREZ

IL VOLTO DI CALIGOLA

In contrasto con l’immagine idealizzata dei busti che lo ritraggono, Svetonio scrisse che il suo volto era «per natura orribile e ripugnante».

Metropolitan Museum, New York.

LE SORELLE DELL’IMPERATORE

RMN-GRAND PALAIS

Un sesterzio sul quale è riportata l’effigie delle tre sorelle di Caligola, Agrippina, Drusilla e Giulia Livilla. L’imperatore era particolarmente legato a Drusilla.

MAN, Madrid.

ASF / ALBUM

IL CESARE AL QUALE TUTTO ERA PERMESSO

CALIGOLA Le sue azioni dispotiche e crudeli, non sappiamo quanto esagerate dagli storici antichi, hanno dato luogo a numerose interpretazioni, compresa quella secondo cui fosse uno psicopatico. Inebriato dal potere, Caligola si pose sempre al di sopra delle leggi JUAN LUIS POSADAS UNIVERSITÀ ANTONIO DE NEBRIJA (MADRID)

U

n secolo dopo la sua morte, quando gli storici romani rivolsero lo sguardo sul breve regno di Gaio Cesare Augusto Germanico , più conosciuto come Caligola (37-41 d.C.), non raccolsero notizie altro che delle sue stravaganze, della sua megalomania e dei suoi atti criminali. Il trascorrere del tempo non aveva offuscato il ricordo delle nefandezze compiute da quell’imperatore della dinastia Giulio-Claudia, succeduto a 25 anni di età al prozio Tiberio e pugnalato dagli ufficiali della guardia pretoriana sollevatisi contro la sua tirannia. Per Svetonio e Dione Cassio, Caligola fu un «mostro» distintosi solo per l’immoralità, il dispotismo e la crudeltà. Non era forse un ritratto imparziale, ma rispondeva a un preciso intento politico e morale: mettere in guardia sui rischi del potere personale e ricordare il rispetto e l’integrità della nobiltà e del Senato di Roma.

ADORATO COME UNA DIVINITÀ

A Roma Caligola fece erigere due templi dedicati alla sua persona. In seguito adibì il tempio di Castore e Polluce, che consacrò al proprio culto, a vestibolo dei palazzi imperiali sul Palatino.

A questo scopo, gli autori posteriori mescolarono fatti certi a dicerie: per questo è difficile dare un giudizio obiettivo del personaggio.

Essi infatti difendevano la massima istituzione di Roma, nei confronti della quale Caligola, che soprattutto all’inizio del suo regno perseguì una politica liberale, mostrò sempre un certo sprezzo. Egli era il beniamino del popolo e dell’esercito, che lo acclamò imperatore alla morte di Tiberio e che lo impose al Senato.

Caligola era il terzogenito di Gaio Giulio Cesare Germanico, un generale assai amato, che aveva combattuto per Augusto e per

Tiberio. Egli si era fatto onore sedando una rivolta delle legioni in Pannonia riconoscendone i diritti, vincendo le tribù germaniche e recuperando le aquile perse dall’esercito romano nella disfatta inferta nel 9 d.C. a Teutoburgo da Arminio, capo delle tribù germaniche, all’esercito di Publio Quintilio Varo.

Detestato dagli storici Nella loro esecrazione di Caligola gli autori antichi introdussero un’ipotesi esplicativa che è sopravvissuta fino ai giorni nostri: quella della pazzia dell’imperatore. Seneca

C R O N O LO G I A

ASCESA E CADUTA DI UN DIO

Nasce ad Anzio Gaio Cesare Augusto Germanico, soprannominato Caligola. È figlio del generale Germanico e di Agrippina Maggiore e nipote dell’imperatore Augusto.

AGRIPPINA MAGGIORE, MADRE DI CALIGOLA. MUSEO AGOSTINO PEPOLI, TRAPANI.

35 d.C. AKG / ALBUM

12 d.C.

Nel suo testamento, Tiberio nomina suoi eredi il nipote Tiberio Gemello e Caligola, quest’ultimo accolto a Capri dopo la caduta in disgrazia e la morte della madre Agrippina e dei fratelli Nerone e Druso.

FRANCESCO IACOBELLI / AWL-IMAGES

Non vi è dubbio che Caligola soffrisse di disturbi e che forse essi ne intaccarono l’equilibrio psichico. Svetonio narra che durante l’infanzia fu soggetto ad attacchi di epilessia, che a quanto pare scomparvero nell’età adulta, anche se risulta che talvolta aveva degli svenimenti dai quali si riprendeva con molta fatica. Si sa anche che soffriva di insonnia. Secondo Svetonio, Caligola non riusciva mai a dormire più di tre ore, e persino quel breve sonno era turbato da incubi. Lo storico afferma che l’imperatore si alzava dal letto, si sedeva a un tavolo o passeggiava per le gallerie e i portici del palazzo, «atten-

37 d.C.

38-40 d.C.

Alla morte di Tiberio, il 18 marzo, con il sostegno dell’esercito Caligola viene acclamato imperatore in Senato. A distanza di sei mesi viene colpito da una grave malattia.

La morte della sorella Drusilla lo fa sprofondare nella depressione, ripresosi dalla quale sposa Milonia Cesonia.

Intraprende campagne militari in Germania e progetta l’invasione della Britannia.

LA FAMIGLIA GIULIO-CLAUDIA

Il Gran cammeo di Francia, sul quale sono raffigurati vari membri della famiglia imperiale; sulla sinistra compare il piccolo Caligola con la madre Agrippina.

Bibliothèque Nationale, Parigi.

41 d.C. Fallita una prima congiura ordita da Getulico e Lepido, Caligola viene assassinato durante i Giochi Palatini dai pretoriani Cassio Cherea e Cornelio Sabino.

J. MARTIN / ALBUM

individuava segni di squilibrio mentale già nell’aspetto fisico di Caligola, nei suoi «occhi torvi sotto una fronte da vecchia».

Così si potevano spiegare gli eccessi di quel giovane che senza dubbio, come riconoscono persino i cronisti più ostili, non era privo di intelligenza, di cui diede prova riorganizzando il controllo delle frontiere in modo da impegnarvi un minor numero di uomini e controbilanciando la debolezza della sua politica interna con misure di politica estera tese a creare delle alleanze: concesse una tetrarchia ad Agrippa I in Palestina e restituì il regno di Commagene ad Antioco IV.

UN’EREDITÀ TORMENTATA

LA SUCCESSIONE A TIBERIO

F

iglio di Livia Drusilla, moglie in seconde nozze dell’imperatore Augusto, Tiberio era zio di Germanico, essendo questi figlio di suo fratello Druso Maggiore. I due erano assai diversi: Tiberio freddo e pragmatico, Germanico appassionato e cordiale. I suoi successi militari e il favore che godeva presso l’esercito, il popolo e l’aristocrazia, che avversava Tiberio, ne facevano un candidato ideale per la successione allo zio, che era stato costretto da Augusto ad adottarlo e che gli affidò l’imperium proconsulare maius sulle province orientali per allontanarlo da Roma. Incaricò però Gneo Calpurnio Pisone, nominato a tale scopo governatore della Siria, di vegliare su di lui. Il 10 ottobre del 18, ad Antiochia, Germanico morì, accusando Pisone di averlo avvelenato. A Roma si diffuse il sospetto che dietro di lui ci fosse Tiberio, in-

tenzionato ad aprire la strada della successione al proprio figlio Druso. Questi fu però ucciso dal prefetto Seiano, che puntava al trono. Liberatosi dell’infido consigliere, l’imperatore nominò eredi il nipote Tiberio Gemello, figlio di Druso, e Caligola, sopravvissuto alla persecuzione patita dalla sua famiglia da parte di Seiano. Morto l’imperatore, Caligola, sostenuto dal Senato che invalidò il testamento di Tiberio, gli succedette.

DEA / SCALA, FIRENZE

LA BATTAGLIA CONTRO NETTUNO

Caligola una volta dichiarò guerra a Nettuno e portò il suo esercito in spiaggia ordinandogli di pugnalare l’acqua. Scultura dell’imperatore.

Museo Archeologico Nazionale, Napoli.

dendo e invocando il giorno». Potrebbe essere questa una delle cause dell’irascibilità e della crudeltà dell’imperatore, sebbene altri autori, come Seneca, diano la spiegazione inversa: le notti di veglia gli servivano per mantenersi all’erta, vigilare e pianificare atti criminali.

Gli storici antichi concordano anche nel riportare che pochi mesi dopo essere salito al trono, nell’autunno del 37 d.C., Caligola si ammalò gravemente. La natura di questa malattia non è chiara: si è ipotizzato che si trattasse di una crisi nervosa, di un’encefalite, di ipertiroidismo o, appunto, di epilessia. Filone di Alessandria, invece, offre una spiegazione di tipo morale: la causa della crisi sarebbe stata

Furono i soldati di suo padre a dare a Caligola il soprannome, per via dei calzari militari (caligae) che portava da bambino

58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

il cambiamento dello stile di vita di Caligola conseguente alla sua nomina a imperatore, quando passò da un’esistenza tranquilla e salubre a eccessi di ogni tipo, «vizi in grado di distruggere l’anima, il corpo e il loro equilibrio». Un’altra ipotesi punta su una malattia venerea, che può provocare problemi mentali o perlomeno disordini del comportamento.

Un individuo psicopatico Gli studiosi contemporanei hanno rinunciato a individuare una causa fisica specifica per la presunta follia di Caligola, e non credono neppure che questa abbia avuto origine in un momento preciso. Più semplicemente, l’imperatore poteva essere uno psicopatico. Tecnicamente, la psicopatia è un disturbo antisociale della personalità, in seguito al quale un individuo si presenta problematico sin dall’infanzia, impulsivo, irresponsabile e incline a una condotta criminale, incapace di relazioni durature. Queste caratteristiche in realtà si adattano piuttosto bene al ritratto che Svetonio e altri autori fanno di Caligola.

GIOCHI CIRCENSI

a Roma , ricostruzione del 1901. Caligola era un amante sia del teatro – tanto da circondarsi di mimi e attori – e aveva una grande passione per i giochi e le corse dei carri, sulle quali puntava enormi somme di denaro.

SCALA, FIRENZE

Un brano della biografia di Svetonio offre una chiave per interpretare la condotta di Caligola: «Rendeva più gravi i suoi già mostruosi delitti con parole atroci. Era solito ripetere che nulla apprezzava e ammirava di più nel proprio carattere che – per usare la sua stessa parola – l’adriatrepsia, cioè la sfrontatezza». Poche righe dopo, Svetonio racconta che quando Caligola ricevette una rimostranza da parte di sua nonna Antonia, invece di inchinarsi alla sua autorità le rispose: «Ricordati che a me è lecito tutto e nei confronti di tutti». Proseguiva Svetonio: «Un giorno, avendo condannato al supplizio un gran numero di galli e di greci, si vantò di aver sottomesso la Gallo-Grecia».

L’orgoglio smisurato di chi sa di essere destinato a regnare si abbinò a una totale mancanza di scrupoli morali per dare vita al «mostro» di cui parlava Svetonio.

L’adriatepsia della quale si vantava Caligola trovò espressione in un fastoso stile di vita. Nel giro di appena un

L’IMPERATORE ARRINGA I SOLDATI Sul piano militare, l’azione di Caligola fu nulla. L’unica spedizione che fu organizzata sotto il suo regno, nel 40 d.C. in Britannia, ebbe esito fallimentare.

Sesterzio. Musei Statali, Berlino.

anno, Caligola dilapidò la fortuna di tremila milioni di sesterzi ereditata da Tiberio: secondo Dione Cassio, in cavalli, gladiatori e divertimenti vari, ma di fatto anche con atti prodigali nei confronti del popolo e dei pretoriani. Bisogna anche dire che le sue iniquità presero avvio dopo che si trovò privo dei fondi necessari all’amministrazione dello Stato: fu allora che usò ogni mezzo per cercare di accumulare denaro.

Palazzi e ponti di barche In merito ai suoi banchetti, si raccontava di cibi ricoperti di lamine d’oro o di preziose perle disciolte nell’aceto (una circostanza simile è narrata da Plinio il Vecchio a proposito di un banchetto offerto da Cleopatra ad Antonio).

Non meno celebri erano le residenze private che Caligola si fece costruire sia a Roma – la sua nuova dimora sul colle Palatino aveva come vestibolo il tempio di Castore e Polluce – sia nei luoghi di villeggiatura

BPK / SCALA, FIRENZE

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’ULTIMA MOGLIE DI CALIGOLA

SACRIFICATA CON L’IMPERATORE

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ilonia Cesonia era una donna povera e di umili origini, secondo alcuni una prostituta, già matura e madre di tre figli avuti da un matrimonio precedente. Caligola si legò a lei per la sua comprovata fertilità, e anche se fu suo amante per quasi un anno – secondo Giovenale grazie a una pozione che lei gli fece bere –, la sposò soltanto quando la donna diede alla luce una bambina, alla quale venne attribuito il nome di Giulia Drusilla in onore dell’amatissima sorella di Caligola.

Cesonia, pur non essendo bella e avendo modi volgari, riuscì a conquistare il cuore dell’imperatore, «a tal punto che spesso la mostrò ai suoi soldati mentre cavalcava al suo fianco con mantello, scudo ed elmo», come racconta Svetonio. La figlia fu portata in tutti i templi e

L’ASSASSINIO DI CALIGOLA. L’IMPERATORE GIACE MORTO A TERRA MENTRE SUA MOGLIE E SUA FIGLIA STANNO PER ESSERE UCCISE. DIPINTO DI LAZZARO BALDI. GALLERIA SPADA.

offerta a Minerva affinché la crescesse e la istruisse.

Subito dopo l’uccisione di Caligola, i suoi assassini si preoccuparono di eliminare anche sua moglie e la sua figlioletta: così il 24 gennaio dell’anno 41 d.C. Giunio Lupo, uno dei tribuni della guardia, fu inviato a palazzo per occuparsi di loro. Cesonia fu pugnalata e la piccola Giulia Drusilla, che non aveva ancora compiuto due anni, morì scagliata contro una parete.

DEA / SCALA, FIRENZE

preferiti: Nemi – dove fece realizzare le sue due famose navi giganti, veri e propri palazzi galleggianti – e la Campania. Diede ordine di costruire un ponte di barche tra Baia e Pozzuoli per potersi pavoneggiare a cavallo indossando la corazza che si diceva fosse appartenuta ad Alessandro Magno, che fece portare per l’occasione da Alessandria.

Anche la sua vita sentimentale fu caratterizzata dalla mancanza di regole e dagli eccessi.

Nei quattro anni di regno ebbe quattro mogli: dopo aver divorziato da Giunia Claudia, si legò con Livia Orestilla, poi con la ricchissima Lollia Paolina – alla quale proibì, dopo il divorzio, di avere relazioni con altri uomini – e infine con Milonia Cesonia. Le sue amanti furono innumerevoli e di tutte le classi sociali, e i suoi metodi erano brutali: possedette Livia Orestilla durante la festa di nozze della donna, la sposò e poco dopo la ripudiò.

Sappiamo inoltre che Caligola nutriva per le sue sorelle un’attrazione malsana e morbosa; specie per Drusilla, che fece divorziare dal marito, il pretore

IL DESTRIERO PREFERITO DI CALIGOLA Caligola nominò senatore il suo cavallo, Incitatus, e gli fece costruire una lussuosa scuderia in marmo dove dormiva su coperte porpora. Testa di cavallo. Museo Archeologico Nazionale, Ancona.

Lucio Cassio Longino, in modo da averla tutta per sé; anche se questa passione depravata non gli impedì di mandare in esilio a Ponza le altre due, Agrippina e Giulia, accusandole di adulterio. Diceva Svetonio: «Quanto ai matrimoni, non è facile stabilire se ci mise più sfrontatezza a contrarli, a romperli o a farli durare». A Caligola sono attribuite anche diverse relazioni omosessuali, per esempio con l’attore Mnestero e con il cugino Marco Emilio Lepido, marito di Drusilla, già suo consigliere e poi accusato di cospirazione e ucciso.

Crudeltà e sadismo Nulla sembra confermare la psicopatia attribuita a Caligola meglio dei suoi atti di crudeltà. L’imperatore si compiaceva della propria fama di sadico, e pare si dicesse certo di essere il padre della figlioletta Giulia Drusilla proprio per via della sua crudeltà: la bambina cercava di mettere le dita negli occhi a chiunque le si avvicinasse.

Un esempio del modo in cui Caligola poteva accanirsi contro coloro che per-

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JANE SWEENEY / AWL-IMAGES

devano i suoi favori per i motivi più futili è dato dal caso di Quinto Nevio Sutorio Macrone. Prefetto del pretorio sotto Tiberio e alleato fondamentale di Caligola nella sua ascesa al potere, Macrone commise l’errore di voler mantenere il proprio ascendente sul nuovo cesare, dispensandogli consigli e suggerimenti non richiesti. Caligola si stancò ben presto di quell’atteggiamento e, secondo lo storico Filone, riteneva che l’ex amico, un ignorante, non fosse degno di dare insegnamenti a lui, che prima ancora di nascere era destinato a essere imperatore.

La congiura e la fine Caligola decise quindi di disfarsi di lui, e lo fece con uno dei suoi stratagemmi: tramò per farlo accusare di lenocinio, ossia di indurre la moglie alla prostituzione, cosa che lo stesso Caligola poteva dimostrare poiché era stato amante di Ennia, moglie di Macrone.

Per evitare la confisca dei beni conseguente alla condanna e poter lasciare un’eredità ai figli, la coppia decise di suicidarsi. Svetonio

sottolinea un altro tratto della personalità ossessiva di Caligola: la sua violenza verbale.

Alla fine, però, questo atteggiamento gli costò caro. Il tribuno di una delle coorti pretorie, Cassio Cherea, era un uomo d’età avanzata e di costituzione robusta, che però aveva una voce acuta, forse per via di una lesione ai genitali.

Caligola era spietato e si prendeva gioco di lui, chiamandolo Priapo o Venere, oppure «gli tendeva la mano da baciare, gli faceva un gesto o un movimento osceno», racconta Svetonio.

Esasperato da quelle offese, Cherea si mise a capo della cospirazione di senatori e cavalieri che nel gennaio del 41 d.C. diede la morte a Caligola, a sua moglie e alla figlia.

Per saperne di più

LE ROVINE SUL PALATINO

Caligola fu assassinato mentre si recava nella sua residenza sul colle Palatino, dove sorgevano i palazzi imperiali, per rinfrescarsi e pranzare prima di tornare ad assistere ai Ludi Palatini.

SAGGI

Caligola o il potere a vent’anni Roland Auguet. Editori Riuniti, Roma, 1975.

TESTI

Vita dei Cesari Svetonio. Garzanti, Milano, 2004.

ROMANZI E TEATRO

Io, Claudio Robert Graves. Corbaccio, Milano, 2012.

Caligola Albert Camus. Bompiani, Milano, 2000.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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I PALAZZI GALLEGGIANTI DI Nell’intento di imitare i monarchi orientali, l’imperatore Caligola fece costruire due

BARCHE PER LO SVAGO E TEMPLI GALLEGGIANTI

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che come ostentazione di lusso e potere con la quale Caligola poteva emulare e persino superare i grandi sovrani ellenistici del passato. Tuttavia, è molto probabile che le navi avessero anche una funzione religiosa. Sulla sponda meridionale del lago si trovavano un bosco sacro e un importante santuario dedicato alla dea Diana, che

SCALA, FIRENZE

el 37 d.C., l’imperatore Caligola diede ordine di costruire due maestose navi sul lago di Nemi, 30 chilometri a sud di Roma. Le imbarcazioni non venivano usate per navigare, ma erano attraccate alla sponda del lago. Si è sempre pensato che i vascelli servissero come casa di villeggiatura dell’imperatore e della sua corte, oltre

Distrutte due volte

Secondo Svetonio, dopo l’assassinio di Caligola le navi furono svuotate e affondate per ordine di Claudio. Tra il 1927 e il 1929 ne furono recuperati gli scheletri, che durante la Seconda Guerra Mondiale furono distrutti da un incendio.

STATUA DELL’IMPERATORE CLAUDIO DIVINIZZATO. MUSEO PIO CLEMENTINO, VATICANO.

era venerata come Diana Nemorensis, Diana dei Boschi. Il lago, a sua volta, era chiamato Speculum Dianae, lo specchio di Diana. Le imbarcazioni erano forse legate a questo culto di Diana e di una divinità equivalente, l’egizia Iside, alla quale era dedicato un tempio fatto costruire sull’imbarcazione più grande.

gigantesche navi, che usò come lussuose ville per lo svago e le cerimonie religiose

CARATTERISTICHE DELLE NAVI

■Una delle imbarcazioni era lunga 75 metri e larga 29, l’altra era lunga 71 metri e larga 25.

■Il ponte era a due livelli e aveva la forma di una grande casa di villeggiatura.

■La chiglia era fatta con legno di cipresso, pino e larice, e impermeabilizzata con pece e bitume.

■A poppa vi erano degli ambienti chiusi, dalle decorazioni lussuose e dotati di riscaldamento.

RIPRODUZIONE DI UNA DELLE NAVI DI CALIGOLA SUL LAGO DI NEMI.

Sulla nave più piccola Caligola fece costruire una grande villa patrizia, dotata anche di lussuose terme.

La nave più grande aveva un tempio dedicato alla dea Iside sul ponte, colonne e spazi dalla lussuosa pavimentazione a mosaico.

ACUARELA DE JEAN-CLAUDE GOLVIN. MUSÉE DÉPARTEMENTAL ARLES ANTIQUE. © ÉDITIONS ERRANCE

CALIGOLA SUL LAGO DI NEMI

CONVENTO DI CRISTO A TOMAR

In Portogallo, dopo la dissoluzione dell’Ordine del Tempio i suoi possedimenti passarono all’Ordine di Cristo. Tra questi vi era il convento di Cristo, a Tomar, la sede portoghese dei Templari.

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I banchieri d’Europa

TEMPLARI L’ORDINE DEL TEMPIO NON FU CELEBRE SOLO PER LA DEVOZIONE E IL CORAGGIO DEI SUOI CAVALIERI IN DIFESA DELLA TERRASANTA: LE SUE RISORSE NE FECERO IL PIÙ IMPORTANTE POTERE FINANZIARIO DELLA CRISTIANITÀ

MARINA MONTESANO

ANXO RIAL

UNIVERSITÀ DI MESSINA

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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IL FULGORE DEL TEMPIO

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

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no dei primi e più gravi problemi che si trovarono a dover affrontare i pellegrini-guerrieri“crociati” che avevano conquistato Gerusalemme nel luglio del 1099 fu il consolidamento delle posizioni e della difesa delle loro conquiste. A uno stabile insediamento in Terrasanta non avevano in realtà pensato. Quindi, molti di essi (armati o no che fossero) ritennero sciolto il loro voto e, dopo aver pregato sulla pietra del Santo Sepolcro, si accinsero a tornare a casa.

In questa difficile situazione un gruppo di milites di varia posizione, ma accomunati da una vocazione al servizio dei pellegrini e affascinati dall’ideale della conversio al servizio alla Chiesa e ai deboli, si erano

Capitolo dell’ordine del Tempio celebrato a Parigi il 22 aprile 1147, davanti a papa Eugenio III e al re Luigi VII di Francia. Dipinto di François-Marius Granet. 1844.

Versailles.

disfatti volontariamente dei loro beni dando vita a sodalizi, fraternitates che si votavano per un certo periodo o per sempre a una vita comune - sul modello dei canonici regolari o addirittura dei monaci - e all’assistenza dei poveri, dei pellegrini, degli ammalati.

La nascita degli Ordini militari Fu allora che nacquero gli ordini religiosi militari, formati da laici che usavano le armi in difesa dei cristiani. Fra tutti gli ordini religioso-militari, quello del Tempio era destinato alla fama maggiore. Nel 1118 un oscuro cavaliere, Ugo di Payns, si era fatto cedere dal re Baldovino I un’ala dell’ex-Moschea di al-Aqsa (situata, come quella della Roccia, sulla spianata del Tempio di Salomone) per

DAGLI ORTI

/ ART ARCHIVE

C R O N O LO G I A

INIZIO E FINE DEL TEMPIO

1119

1129

Hugues de Payns, cavaliere della Champagne, si propone al re Baldovino II di Gerusalemme per difendere i pellegrini in Terrasanta.

Il concilio de Troyes ratifica l’Ordine del Tempio, fondato da Hugues de Payns, e ne approva la regola, scritta con Bernardo di Chiaravalle.

BERNARDO DI CHIARAVALLE IN UNA SCULTURA DEL XIV SECOLO. CAPPELLA DI PONT D’AUBE, FRANCIA.

NEL CUORE DI GERUSALEMME

1291

1307

1312

1314

I mamelucchi prendono San Giovanni d’Acri, ultima grande enclave crociata, difesa fino alla morte dai cavalieri templari.

Su pressione di Filippo IV il Bello, re di Francia, papa Clemente V ordina di arrestare i templari e di confiscare tutti i loro beni.

Clemente V sopprime l’Ordine. In Francia, i suoi beni passano alla corona; in altri Paesi all’ordine dei Cavalieri ospitalieri.

Nel mese di marzo, Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro del Tempio, viene condannato a morte e arso sul rogo a Parigi.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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MICHELE FALZONE / AGE FOTOSTOCK

Il Muro del Pianto delimita la Spianata delle Moschee, dove sorgono la moschea di al-Aqsa, prima sede del Tempio, e la Cupola della Roccia (al centro).

Sedi bancarie e diplomatiche GLI INSEDIAMENTI EUROPEI dei Templari accoglievano a loro volta lasciti e donazioni, privilegi ed esenzioni dalle tasse. Tali insediamenti avevano il compito di rafforzare una presenza attraverso la quale i rapporti diplomatici e politici con le gerarchie ecclesiastiche e laiche d’Occidente sarebbero stati più forti e più stretti; di diffondere nella società civile europea la conoscenza e l’apprezzamento degli ordini in modo da favorire elemosine, donazioni, lasciti.

INOLTRE, DOVEVANO PREPARARE i pellegrini

LUIGI IX DI FRANCIA, SAN LUIGI, SI IMBARCA PER LE CROCIATE. FU L’ULTIMO MONARCA EUROPEO A PRENDERVI PARTE IN PRIMA PERSONA.

europei diretti in Terrasanta a fruire della carità, dell’assistenza e della protezione guerriera messa a disposizione dagli ordini e promuovere la loro gratitudine che – di ritorno dal viaggio – si sarebbe tradotta in gesti concreti; di produrre ricchezze e di ammassare uomini e denaro da usare in Terrasanta.

E. LESSING / ALBUM

UN SIMBOLO DI POVERTÀ SUL SIGILLO Un sigillo templare risalente al XIII secolo raffigura due cavalieri appartenenti all’ordine che montano lo stesso cavallo, in segno di povertà e umiltà.

Bibliothèque Nationale, Parigi.

alloggiarvi i membri di un nuovo gruppo che aveva come scopo il mantenere sgombra dai briganti la strada che dalla costa conduceva a Gerusalemme. Fu il primo nucleo dell’Ordine che dalla sua residenza fu detto Templare.

Gli ordini religioso-militari furono largamente apprezzati e favoriti dai re di Gerusalemme Baldovino I e poi da Baldovino II, che fecero loro conferire terre e decime in denaro, gettando così le basi del loro futuro strapotere politico ed economico nel regno. Al suo nascere l’Ordine del Tempio si era distinto per pietas e per valore, al punto da raccogliere un’ingente messe di nuove vocazioni: nei suoi ranghi entrarono anche personaggi di rilievo dell’aristocrazia europea del tempo.

I primi “banchieri” Inoltre, piovvero da ogni parte sulla nuova istituzione doni e lasciti testamentari che rapidamente lo arricchirono in termini sia di danaro liquido, sia di beni immobiliari e fondiari; mentre la fama di efficienza e di onestà che i Templari avevano saputo in poco tempo costruirsi fece sì che veL E E M AG

E / PRISMA

nissero loro affidate – affinché li custodissero e li gestissero – importanti somme di denaro e perfino pubblici depositi finanziari.

Coloro che entravano nell’ordine o a esso in qualche modo si associavano, nonché laici ed ecclesiastici che ne apprezzavano l’operato, donavano denaro e terre. Proprio il patrimonio terriero fu, almeno all’inizio, la principale fonte di reddito per i Templari; difatti nella seconda metà del XII secolo molto fu fatto per razionalizzare l’insieme delle proprietà che, frutto di lasciti, erano ovviamente sparse: quindi furono necessarie vendite, permute e acquisizioni per meglio garantire la funzionalità di tale patrimonio. Per la maggior parte si trattava di terre che l’ordine gestiva a conduzione diretta, ma non mancavano quelle dirette nella maniera tradizionale al tempo, ossia esercitando la signoria su appezzamenti dati in gestione ai contadini e dai quali si ottenevano prodotti da commercializzare.

Potrebbe sembrare una contraddizione in termini: l’ordine nato con il nome di Militia pauperes Christi era ormai ricco; ma è importante comprendere che“poveri di Cristo”aveva il significato non solo e non tanto di“poveri”in

TEMPLE CHURCH, INGHILTERRA

ALAMY / ACI

Il Tempio ricevette ben presto donazioni a Londra e nelle regioni dello Yorkshire e del Lincolnshire.

Temple Church era la la chiesa del Tempio a Londra.

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chieri” d’Europa e il loro ruolo divenne sempre più importante nella rinascita del commercio dei secoli XII-XIII. Le sedi templari erano considerate sicure sia per i beni, sia per le persone; i privilegi di cui godevano rendevano infatti rari gli attacchi. In una società in cui il denaro non circolava, era naturale che la Chiesa considerasse sospetto e quindi condannabile in quanto frutto d’usura qualunque tipo di guadagno non direttamente acquistato con il sudore della fronte e quindi guardasse con riprovazione al prestito (bandito come “usura”) e ai commerci stessi.

Successo economico

AKG / ALBUM

LA GRANDE CASA DI PARIGI

ORONOZ / ALBUM

L’imponente recinto di mura merlate dei templari dominò la città per quasi sei secoli, dalla costruzione a partire dal 1240 fino alla demolizione nel 1808.

senso economico; voleva significare la totale devozione nei confronti del Cristo e il fatto che la vita di ogni singolo templare era a Lui totalmente dedicata. Il fine ultimo, difatti, non era l’accumulo di danaro, bensì ottenere mezzi per acquistare quanto serviva alla guerra: armi, uomini, cavalli, viveri, navi per l’Oltremare.

Per questa ragione, era soprattutto il campo delle attività finanziarie ad attrarre l’attenzione dell’ordine. Le varie“case”templari, sparse in Europa e in Terrasanta, fungevano da basi per la circolazione di “lettere di credito” che permettevano il trasferimento a distanza di somme di denaro senza correre il rischio dello spostamento materiale di masse di metallo prezioso. I Templari furono così i primi “ban-

I templari reinvestivano un terzo delle loro entrate nella difesa della Terrasanta JACQUES DE MOLAY, ULTIMO GRAN MAESTRO DEL TEMPIO.

Ma ormai, con il Duecento, si era dinanzi a uno sviluppo commerciale dell’Occidente cristiano del tutto nuovo, e anche sotto questo profilo le finanze templari presentavano vantaggi rispetto ai concorrenti laici, cambiatori e mercanti: i guadagni erano volti a un buon fine, cioè alla difesa della Terrasanta, e i tassi di prestito erano cosa ben diversa da quelli commerciali; la banca templare infatti, oltre a non presentare un vero e proprio interesse, basava i propri guadagni sul vantaggio che veniva dal poter reinvestire le somme avute in pegno.

Il loro fine ultimo erano le responsiones, ossia quella terza parte delle somme accumulate in Occidente che venivano reinvestite in Oriente. Si sviluppò così anche la loro straordinaria importanza in quanto mediatori diplomatici.

Soggetti alla diretta autorità del pontefice, ma presenti – oltre che nei territori crociati d’Oltremare – in tutti i Paesi d’Europa proprio nei cruciali decenni nei quali si stavano affermando le monarchie feudali, i Templari assunsero il ruolo di tramite fra autorità ecclesiastica e poteri secolari. Le operazioni finanziarie li condussero a gestire direttamente i conti di molti privati, clienti per i quali effettuavano operazioni bancarie; soprattutto, si occupavano direttamente dei tesori regi, della cui custodia vennero spesso incaricati.

Dall’inizio del XIII secolo, il Tempio di Parigi era anche la tesoreria della Corona francese. La corona inglese ebbe un rapporto meno assiduo con i Templari, ma comunque rilevante. Naturalmente, il loro prestigio e il loro successo li esponevano a pericoli: troviamo così il Tempio immischiato nelle lotte tra il re di Francia e il suo scomodo vassallo, il re d’Inghilterra, e il fatto che vi fossero Templari nel novero dei consiglieri dell’uno e dell’altro poteva creare vantaggi all’ordine, ma anche tensioni ed equivoci.

MATTHIEU COLIN / GTRES

DEVOZIONE PER LA VERGINE

La cappella templare di Metz fu eretta all’inizio del XIII secolo. Dal 1133, l’ordine ebbe una commenda in questa città, da cui i francesi partirono per la seconda crociata.

LA CONCIERGERIE DI PARIGI FINO AL XIV SECOLO FU LA RESIDENZA DEI RE DI FRANCIA, CHE MANTENNERO UNA STRETTA RELAZIONE CON IL TEMPIO.

Da templare a mercenario NONOSTANTE MOLTE DELLE ACCUSE contro

i Templari, anche prima del processo, fossero frutto di propaganda, alcune vicende degli ultimi anni di vita dell’ordine si prestavano a un’interpretazione favorevole ai detrattori. Per esempio quella di Roger de Flor, figlio di un falconiere di Federico II, entrato nell’ordine e poi cacciato in seguito all’accusa di essersi impadronito di alcuni beni durante la confusione che aveva fatto seguito alla presa musulmana di Acri.

PER VOLERE DI FEDERICO II DI SICILIA Roger si mise allora a capo degli almogavari (i catalani che combattevano i musulmani in Spagna); poi entrò a servizio dei bizantini.

Ma nel 1305 lo stesso basileus Michele IX lo fece assassinare ad Adrianopoli, preoccupato dalle crescenti mire di questo templare divenuto mercenario e pirata.

PASCAL DUCEPT / GTRES

IL SOVRANO CHE POSE FINE ALL’ORDINE Scudo d’oro di Filippo IV il Bello, re di Francia dal 1285 al 1314. Fu lui che, sulla base di false accuse, diede il via al processo contro il Tempio. Musée de la Monnaie, Parigi.

La seconda metà del Duecento vide un graduale declino delle finanze templari; man mano che le posizioni dei Latini in Terrasanta si assottigliavano, fino alla caduta di Acri e alla sparizione nel 1291, anche le operazioni dell’ordine diminuivano.

Probabilmente la fine del sogno di riconquista della Terrasanta ebbe un peso, così come la cattiva fama dei Templari, almeno in molti ambienti: se le accuse di avidità erano probabilmente mosse in cattiva fede, è vero che tutti gli ordini religioso-militari avevano sovente condotto una politica di alleanze non proprio specchiata con le forze latine (le città italiane, le Corone europee) che si contendevano le posizioni economiche e territoriali nel Vicino Oriente.

La cupidigia del re Dopo la perdita di Acri nel 1291, i Templari, ultimi difensori della città, si erano trasferiti nell’isola di Cipro, ma ormai il loro ruolo all’interno della Cristianità appariva diminuito. È in tale contesto che il re di Francia Filippo IV il Bello, la cui politica WHIT

E I M AG E S

/ SCALA , FIREN

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era estremamente dispendiosa, pensò fosse giunto il momento di disfarsi di loro per impadronirsi dei loro beni, nonché per eliminare un elemento di indipendenza all’interno del territorio francese. La tattica seguita dal re fu simile a quella che aveva già avuto successo con papa Bonifacio VIII: prima si misero in circolazione, ad arte, gravi dicerie sulla moralità e sull’ortodossia dei Templari; poi, si ottenne dal papa avignonese Clemente V il permesso, nel 1307, di aprire contro di loro un vero e proprio processo.

Nel 1312 il pontefice emanò una bolla che scioglieva l’ordine. Il re di Francia aveva ottenuto quel che voleva: i beni del Tempio furono in parte incamerati dalla corona, mentre quelli situati fuori del regno la Santa Sede li passò all’Ordine dei cavalieri ospedalieri di San Giovanni. Nel marzo 1314 a Parigi i vertici del Tempio furono arsi sul rogo.

Per saperne di più

SAGGI

Vita e morte dell’Ordine dei Templari Alain Demurger. Garzanti, Milano, 1987.

L’ultima battaglia dei Templari.

Dal codice ombra d’obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia Barbara Frale. Il Mulino, Bologna, 2006.

IL GIORNO FATIDICO

AKG / ALBUM

Il 13 ottobre 1307 i Templari di Francia furono rinchiusi in carcere per ordine di Filippo IV. Miniatura tratta dalle Grandi cronache di Francia (XIV secolo). British Library, Londra.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA MAGGIOR BANCA MEDIOEVALE

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’ordine prestò denaro contante a privati e regnanti per affrontare qualsiasi tipo di pagamento, come il riscatto di prigionieri.

Nel 1204 e nel 1206 i Templari anticiparono al re inglese Giovanni Senzaterra il denaro per riscattare due suoi servitori prigionieri di Filippo Augusto di Francia. Nel 1255, il Tempio fornì anche i 30.000 marchi d’argento che Berenguela, figlia di Alfonso X il Saggio, avrebbe dovuto portare in dote se avesse sposato il figlio ed erede di Luigi IX di Francia. Non pagare i crediti in tempo comportava multe o la perdita dei beni lasciati in pegno.

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Nel giugno del 1220, Pierre Sarrasin, un borghese parigino in partenza per un pellegrinaggio a Santiago de Compostela, diede disposizioni per la sua fortuna in caso di morte: il denaro era depositato nel Tempio di Parigi, che doveva conservare la parte destinata agli eredi fino alla loro maggiore età. Sarrasin era fra le migliaia di europei di ogni condizione (mercanti, nobili, re, papi) che affidavano in tutta tranquillità il loro denaro al Tempio, contando sulla sua onestà e sui tanti servizi finanziari che l’ordine offriva.

1. Crediti personali

LE TRUPPE DEL SALADINO DEVASTANO LA TERRASANTA, CATTURANO I CRISTIANI E RUBANO BESTIAME. MINIATURA DA STORIA DELLE IMPRESE D’OLTREMARE DI GUGLIELMO DI TIRO. XIII SECOLO.

4. Banco dei pegni

DUE UFFICIALI RICEVONO MONETE, LE PESANO E TENGONO I CONTI IN UN ÉCHIQUIER, 1130-1174.

LITOGRAFIA TRATTA DA BREVE STORIA DEL POPOLO INGLESE. 1893.

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Per controllare il denaro che entrava, il tesoriere del Tempio usava un échiquier: una tela suddivisa in caselle, simile a una scacchiera (è questo il significato del nome), con valori di decine, centinaia e così via, sulle quali collocava delle tessere via via che riceveva le monete.

ORONOZ / ALBUM

BRIDGEMAN / ACI

a coloro che chiedevano un prestito i Templari esigevano una garanzia, per esempio oggetti preziosi da lasciare in custodia presso le loro sedi. Verso il 1240, Baldovino II di Costantinopoli lasciò un frammento della Vera Croce (la croce di Cristo) come garanzia per un’enorme somma chiesta in prestito ai Templari della Siria. In Francia, gli inventari compilati dopo il sequestro dei beni dell’ordine nel 1307 testimoniano la presenza di vasellame di grande valore e abiti femminili in seta depositati come pegno.

SCRIGNO DETTO “DI SAN LUIGI”, PROVENIENTE DALL’ABBAZIA DI NOTRE DAME DE LYS, DECORATO CON SCENE DI CORTE E STEMMI DELLA FAMIGLIA DEL RE. XIII SECOLO. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

3. Lettere di cambio

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5. Conti correnti

6. Cassette di sicurezza

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e commende templari in Europa e in Terrasanta funzionavano come una gigantesca rete di uffici bancari, che permettevano ai loro “clienti” più importanti di disporre dei fondi che vi avevano depositato, come accade con i conti correnti. Per esempio, potevano ricorrere a un servizio equivalente al nostro bonifico per effettuare pagamenti senza essere costretti a spostare grandi quantità di metallo prezioso. Questo sistema era utilizzato regolarmente da sovrani come Giovanni Senzaterra o Enrico III d’Inghilterra, che trasferivano denaro dal loro Paese alla Francia; allo stesso modo, i papi Innocenzo III e Onorio III mandarono in Terrasanta i fondi destinati alla crociata.

UOMO CHE CONTA LE MONETE, RAPPRESENTAZIONE DI UN USURAIO. MINIATURA DA LE LIVRE DE BONNES MŒURS DI JACQUES LEGRAND. XV SECOLO. MUSEO CONDÉ, CHANTILLY.

PRISMA / ALBUM

SAN LUIGI. SCULTURA DEL SOVRANO FRANCESE NELLA CAPPELLA DEL CASTELLO DI PLESSIS-BOURRÉ. PIETRA POLICROMA. XIV SECOLO.

LA COCCA, TIPICA NAVE DEI MARI DEL NORD, RIPRODOTTA IN UN MODELLINO DEL MUSEO DI STORIA DI RIGA E DELLA NAVIGAZIONE, RIGA.

ltre al denaro, i Templari custodivano beni di qualsiasi tipo, della Corona e di cittadini privati. Nel 1204 e nel 1205, Giovanni Senzaterra depositò al Tempio di Londra le insegne e i gioielli della Corona inglese. Un altro re britannico, Enrico III, minacciato dalla rivolta dei suoi baroni, inviò i gioielli della Corona alla regina Margherita, sposa di San Luigi, che li fece custodire in due scrigni al Tempio di Parigi e consegnò le chiavi a due inviati del re d’Inghilterra. All’epoca il Tempio parigino conservava la bilancia che serviva da modello per i pesi del regno, e nel 1258 vi fu depositata la copia originale del trattato che il re francese aveva firmato con Enrico III d’Inghilterra.

Quanto alle commende templari, divennero depositarie di oggetti di pregio e di documenti come titoli di proprietà di beni immobili.

ENRICO III D’INGHILTERRA CON LA CORONA E LE INSEGNE REALI. VETRATA DELLA CATTEDRALE DI CANTERBURY. XV SECOLO.

BRIDGEMAN / ACI

na delle innovazioni dei Templari fu la lettera di cambio. Quando un pellegrino partiva per la Terrasanta, depositava in una commenda del Tempio la quantità di denaro di cui poteva avere bisogno, per la quale il cambiavalute gli rilasciava una lettera di cambio. Una volta arrivato a destinazione, il pellegrino poteva usare la lettera di cambio per riscuotere in una sede del Tempio in Terrasanta la quantità di denaro equivalente a quella depositata prima della partenza. In questo modo si evitava che chi faceva lunghi viaggi su rotte poco sicure portasse con sé denaro contante che poteva facilmente perdere a causa di un naufragio o di un assalto da parte di banditi.

BRIDGEMAN / ACI

urante il XIII secolo, il Tempio di Parigi era strettamente legato alle finanze del regno. Quando Filippo II Augusto partì per la crociata nel 1190, diede ordine che le entrate reali fossero depositate al Tempio, in casseforti con varie chiavi, delle quali alcune sarebbero state custodite dai Templari e altre dai reggenti. In seguito, San Luigi portò al Tempio il tesoro reale, che prima era conservato nel palazzo del Louvre. Si trasferirono lì anche gli ufficiali che ricevevano e verificavano i conti, e il pagamento delle rendite che il re concedeva ai nobili o quelle di altro tipo, come le 30 libbre parisis (di Parigi) che destinò ai ciechi della capitale.

Di fatto, il thesaurarius o tesoriere del Tempio parigino funse anche da consigliere del regno in fatto di finanze. Filippo il Bello – il re che annientò l’Ordine – riportò di nuovo il tesoro reale al Louvre.

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2. Sede della banca nazionale

Cipro, terra di scontri

L’ISOLA DEI CONFLITTI In posizione strategica nel Mediterraneo orientale, lungo le rotte commerciali, e punto di partenza per le crociate in Terrasanta, Cipro è stata contesa da regni europei, mamelucchi, bizantini, genovesi, veneziani e ordini religiosi FRANCO CARDINI

ALAMY / ACI

PROFESSORE EMERITO DI STORIA MEDIOEVALE, ISTITUTO ITALIANO DI SCIENZE UMANE E SCRITTORE

IL CASTELLO DI KOLOSSI

Roccaforte di grande importanza strategica, nei pressi di Limassol, appartenne agli Ospitalieri, passò poi ai Templari per tornare infine sotto il controllo degli originari proprietari.

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

RICCARDO CUOR DI LEONE

Nel giugno 1191 il sovrano inglese salpa da Cipro alla volta della Terrasanta. È l’inizio della Terza Crociata.

Liedet Loyset (att.), miniatura, Bibliothèque de l’Arsenal, Parigi.

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C R O N O LO G I A

CIPRO, CROCEVIA DI POTERE

sotto la pressione dell’ilkhanato tartaro-persiano, i Lusignano entrarono a far parte di una prospettiva di alleanza che includeva armeni, principi bizantini, ordine degli Ospitalieri di san Giovanni il centro dei quali era ormai Rodi, domenicani e genovesi, e che si misurava con uno schieramento avversario includente angioini, veneziani, pisani, templari stessi fino al dissolvimento del loro ordine nel 1312 e francescani. I primi puntavano sull’amicizia mongola; i secondi preferivano una prospettiva di collaborazione con i sultani mamelucchi d’Egitto proprio per condizionare l’avanzata mongola. Obiettivo era la leadership sul Mediterraneo orientale e il controllo degli itinerari di sud-ovest della Via della Seta.

Il crescere inatteso e inarrestabile della potenza ottomana, dalla fine del XIV secolo, sconvolse tuttavia questo quadro e obbligò la dinastia a rivedere la sua politica di alleanze e i suoi rapporti con i mamelucchi. Si andò così preparando il passaggio alla sovranità veneziana, che avrebbe ridefinito il ruolo dell’isola nel quadro dell’impero marittimo della Serenissima. La vita della Cipro duecentesca, economicamente prospera, fu attraversata dalle incessanti tensioni tra i due Ordini militari

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IL SIGILLO DI RICCARDO I

Noto con il nome di Riccardo Cuor di Leone, fu sovrano d’Inghilterra per un decennio, dal 1189 fino alla sua morte, avvenuta nel 1199.

Sigillo in cera e pergamena. British Museum, Londra.

XII secolo

XIII secolo

XIV secolo

XV secolo

Riccardo Cuor di Leone conquista l’isola e scaccia i bizantini. Da qui salpa alla volta della Terrasanta.

La prosperità di Cipro è minata dagli scontri tra Ospitalieri, Templari, nobili e borghesia.

Il regno di Cipro è sotto il controllo dei Lusignano.

Ugo IV riporta la pace sociale sulla prospera isola.

Giacomo II sposa Caterina Corner.

L’unione segna il passaggio di Cipro alla Serenissima.

CROCE CROCIATA IN PIETRA. CASTELLO DI KOLOSSI.

MARY EVANS / SCALA, FIRENZE

Per situare il ruolo politico della dinastia dei Lusignano bisogna considerare ch’essi erano nominalmente pretendenti alla corona di Gerusalemme in concorrenza con Corrado di Monferrato prima, con gli Svevi e gli Angioini poi; e che per questo i sovrani ciprioti mai cessarono di proporre il loro ruolo nella prospettiva d’una risolutiva crociata che costituì parte non secondaria nella trattatistica politico-militare del XIII-XV secolo, tra il II Concilio di Lione e i progetti su Gerusalemme di Pio II. In particolare, i sovrani ciprioti guardarono con favore alle prospettive d’occupazione dei porti nilotici tenuti dai sultani mamelucchi d’Egitto: anche perché essi erano in concorrenza con Cipro.

Lo specifico ruolo geopolitico dell’isola era di straordinario rilievo: i suoi porti costituivano tappe per i mercanti e le navi di pellegrini sia da e per la Terrasanta, sia da e per il delta nilotico; e, attraverso le rotte del golfo di Alessandretta, l’isola si proponeva come termine di sud-ovest d’una carovaniera centroasiatica – un diverticolo della Via della seta – che attraverso Tabriz e le strade del Caucaso giungeva a Trebisonda sul Mar Nero per condurre poi le merci orientali a Laiazzo. Durante il XIII secolo,

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isola di Cipro, nota per il santuario di Afrodite, le vigne e i vini, le miniere di rame e le piantagioni di canna da zucchero, era stata la perla dell’impero romano d’Oriente fino a quando, alla fine del XII secolo, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone, mentre era impegnato nella III crociata, la strappò ai bizantini per concederla a Enrico, fratello di Guido di Lusignano re di Gerusalemme.

MOSCHEA DI LALA MUSTAFA PASHA

ALDO PAVAN / FOTOTECA 9X12

Edificata a Famagosta come cattedrale e dedicata a San Nicola alla fine del XII secolo, fu convertita al culto islamico all’indomani della conquista turca.

I sogni di gloria di Pietro I Fino dal 1358, a Ugo si era associato al trono il figlio Pietro. Alla sua morte, l’anno successivo, questi gli succedette. Era un temperamento molto diverso dal padre: non era né uno studioso né un uomo di pace, anzi sognava in termini mistici e cavallereschi la gloria crociata.

Attaccò subito gli emirati costieri turchi, occupò nel 1361 Gorigos e Satalia e si dette quindi ai raid sulle coste anatoliche. Fin qui, tutta-

GUIDO DI LUSIGNANO CONQUISTA SAN GIOVANNI D’ACRI TERZA CROCIATA,MUSÉE CONDÉ, CHANTILLY

DEA / SCALA, FIRENZE

rivali, la grande nobiltà riottosa che proveniva dall’ormai perduto regno latino di Gerusalemme e nella quale avevano un ruolo speciale gli Ibelin, le inquiete “borghesie mercantili” di Nicosia e di Famagosta e i coloni latini di Pisa, di Genova e di Venezia cui andavano aggiungendosi anche i catalani di Barcellona. Spettò a Enrico II gestire questo complesso nodo di problemi, in modo energico e anche crudele.

Morto quel sovrano nel 1324, gli succedette il nipote Ugo IV: una personalità forte e colta che seppe pacificare gli animi e ristabilire la collaborazione tra la corona, gli aristocratici e le potenti corporazioni mercantili senza tuttavia rinunciare alle prerogative regie. Sotto il suo regno crebbe però in modo preoccupante la potenza dei nuovi emirati costieri turchi di Anatolia, che avevano approfittato della debolezza del ricostituito impero bizantino e delle contese tra veneziani, genovesi e catalani che turbavano il Mediterraneo orientale. Ugo prese parte alla “Santa Unione” formata dal papa e da Venezia, alla quale si associarono anche gli Ospitalieri di Rodi, e grazie alla quale ebbe felice esito l’impresa per la conquista di Smirne, condotta a buon fine nell’ottobre del 1344. Egli non era tuttavia un re-guerriero: non commise l’imprudenza di cedere alla tentazione di lavorare affinché la fortunata impresa proseguisse come crociata generale, anche perché sapeva bene quale malinconica fine spettasse ai tentativi di realizzare una nuova crociata, cioè quel passagium generale sul quale si versavano fiumi di parole e d’inchiostro fino dal concilio di Lione del 1274. Anzi, Ugo mantenne i buoni rapporti con il sultano mamelucco d’Egitto, che per lui si traducevano in ricchi affari commerciali.

L’ISOLA DEI LUSIGNANO I LUSIGNANO erano una nobilissima dinastia proveniente dal ducato

d’Aquitania, che Riccardo Cuor di Leone teneva in feudo dal suo principale avversario, Filippo II Augusto di Francia. Essi svolsero una serrata attività politica, diplomatica, militare ed economica sul mondo mediterraneoorientale fino alla fine del Quattrocento, quando furono soppiantati dalla famiglia patrizia veneziana dei Corner (o Cornaro).

via, i suoi progetti parevano plausibili: si trattava di prevenire potenziali attacchi dai vicini lidi anatolici e di affermare l’egemonia cipriota sul quadrante settentrionale del Mar di Levante. Ma Pietro I sognava ancora, sulla scorta dei mai realizzati progetti di crociata che si erano susseguiti a partire dal primo Duecento, di riconquistare la Terrasanta per mezzo di un “ricatto geoeconomico”: l’assedio ai porti del Nilo, che avrebbe dovuto indurre il sultano mamelucco cairota a restituire alla Cristianità la città di Gerusalemme. A tale scopo, nell’autunno del 1362, egli fece un lungo viaggio in Europa cercando di convincere i re di Francia e d’Inghilterra (peraltro in conflitto tra loro) e alcuni principi tedeschi. Messa quindi insieme una poderosa flotta, il 10 ottobre del 1365 assalì e saccheggiò il porto di Alessandria.

Ma la prestigiosa conquista si trasformò in un tragico fallimento: i crociati fecero man bassa,

LA CORONA DI GERUSALEMME

Grazie alle nozze con Sibilla, nel 1186 Guido di Lusignano divenne re consorte di Gerusalemme.

Miniatura tratta da Historia, XIII secolo.

TALLANDIER / BRIDGEMAN/ ACI

PALAZZO REALE DI GENOVA

MATTEO CARASSALE / FOTOTECA 9X12

Tra le tante potenze a contendersi l’egemonia su Cipro, Genova giocò un ruolo fondamentale. Fu solo nel corso del XV secolo che il controllo dell’isola passò alla rivale Serenissima.

LA CHIESA MILITANTE E TRIONFANTE ANDREA DI BONAIUTO 1365-1367.

BRIDGEMAN / ACI

LA CONGIURA DI ELEONORA DIETRO LA MORTE DI PIETRO I si celò una trama di palazzo. La regi-

na-madre Eleonora d’Aragona, infatti, mal sopportava l’eventualità di dividere il potere con i cognati Giacomo e Giovanni: per questo si era messa segretamente in contatto con i genovesi chiedendo loro di liberare lei e il figlio, il giovanissimo Pietro II, dalla tutela di essi e di Venezia. In tale impresa sarebbe stata appoggiata dal pontefice.

re di Cipro a Nicosia il 12 gennaio del 1371 e re di Gerusalemme in Famagosta il 12 ottobre del 1372: già nel giorno di questa seconda incoronazione scoppiò un tumulto generato da un’accesa disputa tra il bailo della colonia veneziana e il podestà di quella genovese, che si disputavano l’onore di tenere la briglia del cavallo del sovrano. In gioco era, in realtà, l’egemonia sull’isola.

I rapporti con Genova

L’ARME DEI LUSIGNANO

Fu Riccardo Cuor di Leone a portare il leone durante la Terza Crociata: da lui passò nel blasone del conquistato regno di Cipro e allo stemma della famiglia Lusignano che sull’isola regnò.

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Poiché i genovesi ebbero la peggio nella sanguinosa rissa che seguì, e durante la quale i loro fondachi di Famagosta vennero saccheggiati, essi abbandonarono l’isola giurando vendetta e dichiarando di ritenere la casa reale corresponsabile dell’accaduto. In conseguenza delle preoccupazioni nate da quella vera e propria dichiarazione di guerra, Pietro II dovette TI

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massacrando ma soprattutto rubando; furono saccheggiati anche i fondaci veneziani, genovesi, catalani e marsigliesi. Fu d’altronde subito chiaro che l’opulenta conquista non poteva esser mantenuta; né si poteva sostenere l’urto dei mamelucchi che, passata la sorpresa, si andavano riorganizzando. Alessandria dovette essere dunque evacuata. L’immediata rappresaglia del sultano colpì i mercanti latini con confische di beni e blocco dei commerci.

Venezia inviò in gran fretta al Cairo gli ambasciatori Francesco Bembo e Pietro Soranzo: e con una certa fatica la normalità mercantile venne restaurata l’anno successivo.

A quel punto Pietro era screditato dinanzi agli occidentali che a loro volta, ai suoi occhi, erano dei traditori della Cristianità. Tuttavia non si arrese: continuò gli assalti, che concentrò sulle coste anatolica e siro-libanese; e fra il 1367 e il 1368, con un altro viaggio in Europa, cercò di nuovo di convincere le potenze cristiane d’Occidente a tentar l’alea della crociata.

Non ci riuscì: anzi furono i veneziani e i genovesi a convincerlo ch’era meglio stipulare una nuova pace con i mamelucchi. Il seguito e l’esito finale del regno di Pietro hanno un ritmo quasi shakespeariano: molte vicende della corte dei Lusignano potrebbero dare vita a pagine romanzesche. L’aristocrazia dell’isola era stufa del comportamento tirannico del sovrano, dei suoi protetti poulains (cioè i francesi del continente), degli intrighi, protagonisti dei quali erano sua moglie Eleonora d’Aragona, il di lei amante e le due favorite del sovrano. I numerosi scontenti trovarono alla fine una guida in Giovanni, principe titolare di Antiochia e fratello di Pietro. Nella notte fra il 17 e il 18 gennaio del 1369 il sovrano fu assalito in camera sua e trucidato: una versione dei fatti racconta come la sua testa insanguinata fosse esposta dall’alto del balcone del palazzo di Nicosia alla folla.

Non si osò far ascendere al trono il fratricida Giovanni, che tuttavia, con l’altro fratello Giacomo e con la regina Eleonora, divenne reggente del regno per il piccolo Perrin, l’undicenne Pietro II, figlio del re assassinato. Il giovinetto fu incoronato, secondo la tradizione,

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UNA BORBONE A CIPRO

SCALA, FIRENZE

Giano di Lusignano con la moglie Carlotta di Borbone (nel riquadro) in una vetrata della cattedrale di Chartres.

XV secolo.

LA SCONFITTA DI RE GIANO CON L’ATTACCO DEL SULTANO BARSBAI re Giano di Lusignano fu condot-

to prigioniero al Cairo; si andava intanto dicendo che gli intrighi veneziani avessero facilitato la vittoria del sultano nell’isola. Una rivolta greco-“nazionale” e contadina fu repressa facilmente: ma re Giano, rilasciato dai mamelucchi, dovette accettare la loro egemonia. La corona di Cipro si ritrovò così costretta a pagare tanto il Cairo quanto Genova.

I SIGNORI DI CIPRO

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Piatto decorato con lo stemma dei Lusignano.

Dettaglio, periodo mamelucco, tardo XIV secolo. Lega di argento e rame, Louvre, Parigi.

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così in modo sistematico alla volta di Genova e la guerra economica che gli avversari della città ligure condussero contro l’isola costituirono due formidabili cause congiunte d’impoverimento. A Giacomo I succedette il figlio Giano, che era stato a sua volta ostaggio di Genova. Un tentativo da parte sua di scrollarsi di dosso la pesante tutela genovese, nel 1402, condusse a un peggioramento della situazione: Genova era appoggiata dal regno di Francia e governata, a quel tempo, dal maresciallo Boucicault, per nulla conciliante nel trattare la pace del 1403 successiva alla mossa maldestra di Giano. Ma la pesante tutela genovese finì col condurre al declino il porto di Famagosta, un tempo prospero.

Un po’ la debolezza della corona, un po’ il bisogno continuo di danaro, inducevano i ciprioti che potevano farlo

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cedere il controllo della città di Satalia, conquistata dal padre, all’emiro turco di Teké.

Nell’ottobre del 1373 una potente squadra navale genovese, comandata da Pietro di Campofregoso, conquistò Famagosta, catturò Pietro II e saccheggiò Nicosia. Il giovane sovrano, sottoposto a minacce e umiliazioni, dovette firmare il trattato del 21 ottobre del 1374 che impegnava il regno a pagare alla repubblica di Genova un colossale indennizzo – oltre due milioni di scudi d’oro – e a consentirle di mantenere l’occupazione di Famagosta, mentre Giacomo, zio del re e coreggente, veniva trasferito come ostaggio nella città ligure. Si consumava frattanto la vendetta della perfida Eleonora, che faceva pugnalare il cognato Giovanni accusandolo della morte del marito e agitando dinanzi al morente, con tragico furore, la camicia insanguinata del consorte.

Nel tentativo di bilanciare l’egemonia genovese sull’isola, Pietro II sposò Valentina Visconti, figlia del signore di Milano Barnabò, dal quale si attendeva di ottenere un appoggio contro la Superba; e cercò di approfittare della guerra di Chioggia del 1378-1381 fra essa e Venezia per recuperare Famagosta. Ma invano.

Quando egli morì il suo possibile successore, suo zio Giacomo, era ostaggio dei genovesi: per poter rientrare nell’isola e prenderne regale possesso egli dovette ceder loro Famagosta e fare altre onerose concessioni.

Il pugno della Repubblica di San Giorgio non fu per nulla lieve su Cipro. Tutto il regno di Giacomo I, tra il 1385 e il 1398, fu caratterizzato da un progressivo aggravarsi del peso della fiscalità, reso necessario affinché la corona potesse soddisfare l’insaziabile appetito dei genovesi che avevano finanziato la spedizione pubblica della loro città contro Famagosta.

Essi erano riuniti nella società detta Maona Cypri, la destinataria di tutte le somme che i ciprioti versavano alla repubblica di Genova: inoltre, la dogana genovese di Famagosta aveva il monopolio su tutto il commercio dell’isola, il che naturalmente obbligava i veneziani a boicottare tale commercio, com’essi fecero con gli atti formali del 1374 e del 1375. Il drenaggio delle ricchezze cipriote instradate

ANNA SERRANO / FOTOTECA 9X12

MOSCHEA DEL SULTANO BARQUQ BEIN AL-QASREEN, XIV SECOLO, IL CAIRO, EGITTO.

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PALAZZO CORNER SPINELLI

MARK E. SMITH / SCALA, FIRENZE

Fu durante i viaggi diplomatici di Pietro di Lusignano che si avviarono i rapporti con i Corner. Il re era stato ospite a Venezia di Federico Corner e gli aveva offerto il feudo greco di Piskopi.

a darsi all’attività corsara, esercitata principalmente contro il sultanato mamelucco d’Egitto: e con il solito alibi della crociata.

Ciò finì col provocare la reazione del sultano Barsbai, che tra il 1425 e il 1426 scatenò contro l’isola una campagna avviata con il saccheggio di Limassol e culminata con quello di Nicosia.

Giano dopo la cattura e la prigionia al Cairo, umiliato e stremato, morì nel 1432 lasciando il regno al figlio Giovanni II che nei suoi ventisei anni di governo dovette accettare la supremazia mamelucca e sopportare anche una rinascita d’importanza dell’elemento greco, stretto attorno alla sua consorte, Elena Paleologa, figlia di Teodoro II despota di Morea. Dopo la caduta di Costantinopoli in potere degli ottomani, nel 1453, gli esuli greci in Cipro contribuirono a stabilire una vera e propria egemonia nell’isola.

BRIDGEMAN / ACI

RITRATTO DI CATERINA CORNARO TIZIANO, 1542, GALLERIA DEGLI UFFIZI, FIRENZE.

LA REGINA DI CIPRO CATERINA CORNARO fu costretta alla fine dell’inverno del 1489 ad abdicare, a quanto sembra tutt’altro che di buon volere: Venezia sostenne che l’annessione di Cipro era necessaria per contenere la crescente minaccia ottomana nel Mediterraneo orientale. Si apriva così una nuova fase della vita di Cipro che si sarebbe conclusa nel 1570-72 con la conquista da parte del sultano d’Istanbul Selim II, figlio del grande Solimano il Magnifico.

Da San Giorgio a San Marco Un’insperata risorsa giunse tuttavia da un figlio bastardo di re Giovanni: Giacomo, che divenne arcivescovo di Nicosia e che si distinse per raffinatezza intellettuale, spregiudicatezza morale e abilità politica al punto che in lui si è visto un caratteristico modello di prelato rinascimentale secondo gli schemi interpretativi ispirati, per esempio, ai Borgia. Perseguitato dalla sorella Carlotta che aveva ereditato il trono, fuggì da Cipro nel 1459, ma vi tornò l’anno successivo a capo d’una squadra navale mamelucca. Il sultano d’Egitto lo aveva difatti investito del regno; e con l’appoggio egiziano egli – liberandosi dalla sua condizione ecclesiastica– si proclamò re umiliando i baroni ciprioti, cacciando nel 1464 i genovesi da Famagosta e appoggiandosi a un variopinto seguito di mercenari e avventurieri catalani, aragonesi e siciliani cui si sarebbero uniti più tardi anche i greci.

In questo modo, liberatosi anche (con un massacro) dei suoi tutori mamelucchi, ma senza tuttavia rompere con la corte del Cairo, completò la sua opera diplomatica sposando Caterina, ereditiera delle grandi fortune dei Corner; e in tal modo sostituendo l’alleanza veneziana alla tutela genovese ormai conclusasi con l’episodio del 1464. Dopo la morte di

Giacomo, che si era intanto riconciliato anche con il papato, nel luglio del 1473, Caterina mantenne la corona cipriota dal 1474 al 1489.

Il suo tutore, lo zio Andrea, resse frattanto saldamente il governo per conto della Serenissima e rintuzzò i tentativi dell’aristocrazia siciliana, aragonese e catalana, la quale avrebbe voluto consegnare Cipro a Ferdinando I di Napoli. Andrea Corner fu appunto assassinato dai fautori dell’egemonia aragonese: ma la pronta reazione veneziana fu l’anticamera della completa sottomissione di Cipro alla Repubblica di San Marco.

Per saperne di più

I Lusignan di Cipro Felice Fileti.

Atheneum, Firenze, 2000.

Caterina Cornaro, dal Regno di Cipro alla Signoria di Asolo Francesco Boni De Nobili.

De Bastiani, Godega S.U., 2012.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Alla morte del marito Giacomo II di Cipro, avvenuta nel 1473, Caterina Cornaro continuò a regnare sull’isola come sua legittima sovrana.

La turbolenta e machiavellica lotta che si accese per il controllo del regno non cessò e gli anni che seguirono furono per Caterina un periodo di tradimenti e complotti, umiliazioni e minacce, fino a quando la Repubblica di Venezia non le intimò di abdicare e tornare a Venezia.

Caterina Cornaro lasciò l’isola vestita di nero nel 1489 e raggiunse la città lagunare per eclissarsi dalla storia di Cipro e creare una sua corte ad Asolo.

DEA / SCALA, FIRENZE

GLI ASOLANI DI PIETRO BEMBO. FRONTESPIZIO, EDIZIONE DI ALDO MANUZIO, VENEZIA, 1505, BIBLIOTECA MARCIANA, VENEZIA.

NTPL / SCALA, FIRENZE

LA CORTE DI CATERINA CORNARO

IL MECENATISMO DELLA REGINA:

Il castello della famiglia.

Noto anche con il nome di Palazzo Pretorio, sorge nel centro di Asolo. Tra questa residenza e il “Barco” di Altivole, la regina di Cipro intrattenne la sua corte.

Pseudonimo di Giorgio Barbarella o da Castelfranco (1477 circa-1510), Giorgione fu un pittore di scuola veneta la cui arte avrebbe influenzato negli anni a seguire anche Tiziano e Sebastiano del Piombo. Frequentatore della corte asolana di Caterina Cornaro, intorno al 1503 l’artista dipinse la sua unica pala d’altare e la sola opera la cui attribuzione appare certa.

Si tratta della Madonna in trono GIORGIONE, BARBARELLA O GIORGIO DA CASTELFRANCO (1477-1510), AUTORITRATTO, MUSEO DI BELLE ARTI BUDAPEST, UNGHERIA.

con il Bambino tra i santi Liberale e Francesco, più nota con il nome di Pala di Castelfranco. È la città da cui prende il nome a ospitarla, nel duomo, la stessa che diede i natali all’artista che la dipinse.

SCALA, FIRENZE

FRANCO COGOLI / FOTOTECA 9X12

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DA REGINA DI CIPRO A REGINA DELLE ARTI

LA CORTE DELLA REGINA CATERINA CORNARO AD ASOLO.

XIX secolo, Attingham Park, Shrewsbury. Gran Bretagna.

Rientrata e accolta trionfalmente a Venezia a bordo del Bucintoro, Caterina Cornaro dovette deporre la corona di Cipro senza per questo rinunciare al titolo e al rango di regina. Agli ultimi, turbolenti anni vissuti sull’isola, seguirono anni di pace e di quiete che Caterina condusse come signora di Asolo, nella marca trevigiana. Nel palazzo che qui abitò, circondata da una piccola corte, visse e regnò come regina delle arti. Nel Palazzo Pretorio di Asolo, Caterina invitò pittori e letterati, tra i quali anche Giorgione, Lorenzo Lotto, Pietro Bembo e Luigi da Porto. Sotto la signoria e la protezione della regina, una ristretta e raffinata cerchia di artisti produsse, in un bucolico ritiro tra Asolo e il Barco di Altivole, grandi capolavori della pittura e della letteratura italiana.

INTELLETTUALI E ARTISTI ALLA CORTE DELLA SIGNORA DI ASOLO

RITRATTO DI PIETRO BEMBO (1470-1547), RAFFAELLO, MUSEO DI BELLE ARTI DI BUDAPEST, UNGHERIA.

orenzo Lotto

Manuzio considerato il primo editore di tipo moderno.

Fu proprio nel “Barco”, la barchessa di villa veneta di Altivole, poco distante da Asolo e residenza della Cornaro, che il Bembo operò.

(1480-1556/7) fu uno dei massimi esponenti della pittura rinascimentale veneziana. Frequentatore del vivace circolo artistico che la regina Cornaro intrattenne ad Asolo, Lorenzo Lotto dipinse proprio in quegli anni (1506) l’olio su tavola Assunta, anche chiamata Pala di Asolo. Secondo alcuni, l’artista avrebbe dato al volto della Vergine i tratti di Caterina Cornaro e ancora LORENZO LOTTO (1480-1556), AUTORITRATTO, MUSEO THYSSEN-BORNEMISZA, MADRID, SPAGNA.

oggi si dibatte sull’ipotesi che sia stata proprio lei la committente dell’opera.

Il dipinto, conservato nel duomo di Asolo, è tra gli ultimi realizzati dal maestro veneziano in terra trevigiana.

SCALA, FIRENZE

(1470-1547), letterato, umanista e cardinale, studiò e contribuì a diffondere un modello poetico basato sugli scritti dei maggiori letterati toscani del Trecento. Tra le sue opere principali figurano Gli Asolani, dialoghi sull’amore platonico, ambientati proprio alla corte asolana di Caterina Cornaro. Composti negli anni che vanno dal 1497 al 1502, furono pubblicati per la prima volta nel 1505 da quell’Aldo

SCALA, FIRENZE

ietro Bembo

FINE ART / AGE FOTOSTOCK

IL PRIMO ZAR DI RUSSIA

IVAN IL TERRIBILE Ivan IV, con intelligenza e capacità strategica, e con la forza e la crudeltà che gli sarebbero valse il soprannome, riunificò lo Stato vincendo mongoli e opposizioni interne e avviò l’espansione a Est che avrebbe portato la Russia fino al Pacifico ALDO FERRARI UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI, VENEZIA

BRIDGEMAN / ACI LOREM IPSUM

IL PRIMO “CESARE” DI RUSSIA

Convinto che l’autorità gli venisse da Dio, esercitò il potere in forma assolutista, schiacciando senza pietà i suoi avversari. Ritratto di Viktor Vasnecov (1897).

Galleria Tretyakov, Mosca.

SIGILLO DI IVAN IV

Lo zar era un uomo intelligente e di vasta cultura, acquisita attraverso le letture. Amava impegnarsi in discussioni teologiche, confrontandosi anche con chi aveva una fede diversa dalla sua.

C R O N O LO G I A

Stratega, condottiero, politico 1530

Nasce a Mosca Ivan IV, figlio di Vasilij III e nipote di Ivan III il Grande. Alla morte del padre (1533), il suo regno viene retto dalla madre Elena.

1538

All’improvvisa morte della reggente, il principato è dilaniato da una guerra civile che contrappone due potenti famiglie di boiari (nobili).

1547

Con il sostegno di Makarij, metropolita di Mosca avverso ai boiari, Ivan prende il potere e viene incoronato zar di Russia (16 gennaio).

1550

Ivan combatte la corruzione nell’amministrazione e nel clero, riforma il codice penale, subordina la Chiesa e crea un esercito permanente.

IL FIUME VOLGA A TVER

Situata sulle rotte commerciali che collegavano il nord del Paese all’Oriente bizantino, la città fu data in appannaggio a Ivan IV dal nonno Ivan III il Grande, che l’aveva conquistata nel 1485.

1552-1556

Si pone alla testa di un grande esercito per fermare definitivamente gli attacchi mongoli e conquista i khanati di Kazan’ e Astrachan’.

1565-1572

1582

Annette i khanati di Qasim e di Šibir. Muore nel 1584.

Gli succede il figlio Fëdor, che regnerà fino alla morte, avvenuta nel 1598.

92 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

FINE ART / AGE FOTOSTOCK

Ottiene dal clero, dai boiari e dai mercanti potere illimitato su un terzo del territorio (Opričnina) e con una milizia fedele vi instaura il terrore.

ELENA GLINSKAJA, MADRE DI IVAN IV. CREMLINO, MOSCA.

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iumi di inchiostro sono stati versati per interpretare in tutte le chiavi possibili la personalità umana e politica del sovrano russo che siamo abituati a chiamare – non del tutto correttamente, come avremo modo di vedere – Ivan il Terribile (1533-1584). Nel corso del suo lungo regno, durato quasi un cinquantennio e contraddistinto da alcuni brillanti successi in politica estera e da una drammatica riorganizzazione degli apparati dello Stato in politica interna, egli impose infatti un sigillo formidabile sulla storia russa, divenendone una delle figure principali e più controverse.

Il padre, Vasilij III, morì quando Ivan aveva solo tre anni. Per molti anni il giovane sovrano fu sottoposto alla tutela della famiglia principesca degli Šujskij, in una situazione per lui molto umiliante. Nel 1546 riuscì però a sottrarsi a questa tutela, facendo arrestare e uccidere Andrej Šujskij. Ebbe allora inizio la prima fase del suo regno, che viene solitamente valutata in modo positivo. Nel mese di gennaio del 1547 il quattordicenne Ivan fu

DEA / SCALA, FIRENZE

I MONGOLI ASSEDIANO UNA FORTEZZA. MINIATURA DA UN MANOSCRITTO PERSIANO DEL XIV SEC. BIBLIOTHÈQUE NATIONALE, PARIGI.

L’ORDA D’ORO

UIG / AGE FOTOSTOCK

ERA QUESTO IL NOME di un regno turco-mongolo che nel XIII secolo

incoronato zar, un titolo imperiale che deriva dal latino caesar e che implica la consapevolezza di un potere assoluto all’interno e del tutto indipendente verso l’esterno.

Il primo zar Ivan IV è stato il primo sovrano russo a ricevere ufficialmente questo titolo, che impiegò sia all’interno del Paese sia nei suoi rapporti con l’estero. Il regno di Ivan IV segnò cioè il definitivo consolidamento dell’assolutismo moscovita. La Translatio imperii da Bisanzio a Mosca, che già in precedenza era stata interpretata come «Terza Roma» dall’ideologia politica russa, si era ormai realizzata nella pratica come nella teoria.

Aiutato da un gruppo di consiglieri fidati (tra i quali il metropolita Makarij, l’arciprete Sil’vestr e Aleksej Adašev) e sostenuto dall’amore della prima moglie, Anastasija Romanova, Ivan IV promosse nel 1549 un’assemblea nazionale di rappresentanti dei vari ceti (zemskij sobor) per proporre l’approvazione di varie riforme. Nel 1550 presentò un nuovo

Batu, un nipote di Gengis Khan, costituì, con una politica di espansione, tra il fiume Volga e il Mar Nero, assoggettando i principi di Mosca.

Nel 1552 e nel 1556 Ivan il Terribile riuscì a conquistare i khanati di Kazan’ e Astrachan’, che ne facevano parte, ponendo il controllo su territori strategici per i commerci che si svolgevano lungo il fiume.

codice legale (Sudebnik) e l’anno successivo convocò un importante concilio della Chiesa russa, noto come il Concilio dei Cento Capitoli. Nel 1553 Ivan IV fece costruire una nuova e straordinaria chiesa, San Basilio, divenuta uno dei simboli principali di Mosca e della Russia. In quegli anni egli dedicò anche molta attenzione al rafforzamento dell’esercito, indispensabile per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che il giovane sovrano si proponeva.

I successi militari Poco dopo aver raggiunto la maggior età, Ivan IV si volse infatti contro i mongoli (o tatari) che nel 1240 avevano sottomesso il primo Stato russo, la Rus’di Kiev. L’Orda d’Oro si era dissolta, ma i suoi eredi – i khanati di Kazan’, Astrachan’ e Crimea – continuavano a invadere e razziare i territori russi. Nel 1552 l’esercito di Ivan IV sconfisse e occupò il khanato di Kazan’, e quattro anni dopo la stessa sorte toccò a quello di Astrachan’.

ASTUCCIO PER PIETRA FOCAIA

L’oggetto, in metallo, argento, corallo e pietre dure, era in uso presso i mongoli.

La storia di questo popolo dalle origini all’epoca di Gengis Khan è narrata in una cronaca in mongolo del 1240 trascritta in cinese nel 1380.

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IVAN IV CONQUISTA KAZAN’.

DIPINTO DI PETR MIKHAILOVICH SHAMSHIN (XIX SECOLO).

MUSEO V.V- VERESHCHAGIN, MYKOLAÏV (UCRAINA).

Il terrore Minor fortuna ebbero i tentativi di Ivan IV di ottenere uno sbocco sul Mar Baltico. Tra il 1558 e il 1663 la Russia riportò alcuni successi, ma negli anni successivi la ferma volontà degli Stati europei di non permettere che il temuto“Moscovita”potesse dotarsi di una posizione di rilevo sul Baltico rese vani i suoi ripetuti e dispendiosi sforzi. Queste guerre continue esasperarono le tensioni interne del Paese contribuendo all’instaurarsi del regime terroristico che caratterizzò la seconda parte del regno di Ivan IV. 94 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ELMO DI IVAN IV

La conquista della città di Kazan’, che lo zar pose d’assedio dal 22 agosto al 2 ottobre 1552 con un esercito di 150.000 uomini, fu l’avvenimento conclusivo della guerra contro il khanato.

FINE ART / AGE FOTOSTOCK

Al di là del suo enorme significato storico-culturale come definitiva rivincita sugli antichi dominatori mongoli, questa vittoria diede a Mosca il controllo dell’intero bacino del fiume Volga e quindi delle vie commerciali verso la Persia e l’India. Fu allora, in effetti, che cominciò a costituirsi l’impero russo vero e proprio, caratterizzato non solo da un’enorme estensione, ma anche da un accentuato carattere multietnico.

Indipendentemente dalle sue tendenze psicopatiche, la violenza inusitata dello scontro dello zar russo con la nobiltà ha un significato politico ben preciso. Nei secoli precedenti, durante il processo di unificazione delle terre russe sotto i Gran Principi di Mosca, i principi delle varie città avevano ceduto i propri appannaggi (in russo udel) in cambio di elevate cariche amministrative nella capitale del Paese.

La contrapposizione con i boiari Insieme alla potenza dello Stato moscovita era cresciuto anche il peso dei nobili (i cosiddetti boiari), come lo stesso Ivan IV aveva dovuto constatare durante la sua lunga minorità. Non era dunque impossibile che, come nel vicino Stato polacco-lituano, si giungesse anche in Russia a un ordinamento di carattere aristocratico che limitava drasticamente il potere del sovrano.

Un’avvisaglia di questa possibilità si ebbe già nel 1553, quando Ivan IV si ammalò gravemente e riuscì solo con grande difficoltà

MASSIMO RIPANI / FOTOTECA 9X12

VELIKIJ NOVGOROD. FIORENTE CITTÀ DELLA LEGA ANSEATICA, NEL 1570 PAGÒ A CARO PREZZO LA SUA RIBELLIONE CONTRO IVAN IV.

L’ORIGINE DELL’OPRIČNINA

Un’astuta strategia Molti nobili russi cominciarono allora a trovare rifugio nel vicino Stato polacco-lituano.

Il momento principale della svolta politica di Ivan IV si ebbe nel 1564, quando egli si allontanò da Mosca e scrisse delle lettere al metropolita nelle quali rimproverava la nobiltà di essere responsabile della divisione del Paese e minacciava di abdicare. Allora i boiari e il popolo si recarono da lui pregandolo di tornare a Mosca e rimanere al potere. Ivan accondiscese, ma pose condizioni quanto mai singolari e destinate a rivelarsi micidiali.

La Russia fu divisa in due parti, la zemščina e l’opričnina. Il primo termine viene dalla parola zeml’ja,“terra”, la seconda da oprič, che signifi-

ca invece“a parte”. Nella zemščina continuava a vigere il precedente sistema politico-sociale, mentre l’opričnina venne sottoposta al controllo diretto e totale del sovrano. Questa politica fu realizzata con l’aiuto da una guardia del corpo divenuta tristemente famosa – i cosiddetti opričniki, capitanati dal famigerato Maljuta Skuratov – che infieriva su tutti gli avversari, o supposti tali, del nuovo ordine. Il Paese conobbe allora una devastante ondata di terrore. La resistenza dei boiari venne repressa nel sangue, le loro proprietà furono depredate o confiscate dallo Stato, intere città considerate ribelli furono devastate, e i loro abitanti vennero deportati o massacrati.

Per un decennio la milizia dello zar Ivan seminò il terrore fra gli oppositori KAZAN’ IN FIAMME, ICONA DEL 1550. GALLERIA TRETYAKOV, MOSCA.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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FINE ART / AGE FOTOSTOCK

a ottenere dalla nobiltà un giuramento di fedeltà nei confronti di suo figlio Dmitrij. Il contrasto con i boiari crebbe negli anni successivi e quando, nel 1560, l’amata moglie Anastasija morì, Ivan IV diede inizio a una violenta repressione che colpì per primi i suoi antichi consiglieri, Sil’vestr e Adašev.

i boiardi di essere responsabili del disfacimento del Paese e annunciando l’abdicazione. Spaventati da una guerra civile, il metropolita, i boiari e i mercanti (rappresentanti del popolo, che sosteneva Ivan) invocarono il ritorno dello zar, che pretese di poter esercitare un potere assoluto sull’Opričnina, pari a un terzo del principato.

LOREM IPSUM

CULTURE IMAGES / ALBUM

NEL 1564 Ivan IV lasciò Mosca e si trasferì ad Aleksandrov, accusando

MONASTERO DELLA TRINITÀ DI SAN SERGIO

Fondato nel XIV secolo, comprende la cattedrale dell’Assunzione, voluta da Ivan IV. È il principale monastero e centro spirituale ortodosso russo.

Situato a circa 70 km da Mosca, è Patrimonio dell’Umanità Unesco.

GÜNTER GRÄFENHAIN / FOTOTECA 9X12

96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

97

LA TRANSLATIO IMPERII

È una visione storica secondo la quale l’Impero romano d’Occidente si sarebbe traslato prima in quello di Oriente, poi nel Sacro romano Impero e infine in quello russo

BRID GEM

AN /A CI

Con la morte di Teodosio I l’Impero romano si divide definitivamente nella pars Orientis e nella pars Occidentis.

Costantinopoli, come aveva stabilito Costantino, si conferma come “seconda Roma”.

RITRATTO DELL’IMPERATORE SU UN SOLIDO DEL IV SECOLO.

Teodosio I SCALA, FIRENZE

395

476

Dopo la fine dell’Impero romano d’Occidente, quello d’Oriente si ritiene unico e solo erede dell’intero “Impero dei romani”.

Giustiniano cerca di riannettergli Africa e Italia ma sarà un tentativo che non andrà a buon fine.

MOSAICO BIZANTINO DELLA BASILICA DI SAN VITALE A RAVENNA. VI SECOLO.

BRIDGEMAN / ACI

Giustiniano

800

Carlo Magno

RELIQUIARIO IN FORMA DI BUSTO DI CARLO MAGNO. ARTE ORAFA TEDESCA, XIV SECOLO. BRIDGEMAN / ACI

Con Carlo Magno e soprattutto nel 962 con Ottone I nasce ciò che sarà detto Sacro romano Impero, quale erede di quello romano d’Occidente. Ma Bisanzio non lo riconosce continuandosi a ritenere l’unico “Impero dei romani”.

1547

Un secolo dopo la fine dell’Impero d’Oriente Ivan IV sale al trono con il titolo di zar, cioè “cesare”.

Si compie così una nuova Translatio imperii, già teorizzata in precedenza dai russi. Mosca viene definita la “terza Roma”.

FRANCESCO GIUSEPPE IN ABITI IMPERIALI. MUSEO DELLA GUERRA, ROVERETO.

BRIDGEMAN/ ACI

Entrambi gli imperi si dissolvono per sempre con la fine della prima guerra mondiale: quello austroungarico, che si riteneva erede del Sacro romano Impero, e quello russo con l’eliminazione della dinastia imperiale dei Romanov.

Ivan IV

LO ZAR NICOLA IN UN RITRATTO NEL 1911, COLLEZIONE PRIVATA.

Nicola II

Francesco Giuseppe

DEA / SCALA, FIRENZE

1918

RITRATTO DI IVAN IV. INCISIONE DEL XVI SECOLO.. MUSEO STORICO, MOSCA.

RELIGIOSITÀ E CREDENZE DELLO ZAR

CHIESA ORTODOSSA. IVAN IV PROMULGÒ UNA SERIE DI LEGGI CHE LIMITAVANO IL POTERE DELLA CHIESA RUSSA.

L

Con particolare durezza venne colpita Novgorod, una ricca e potente città-Stato mercantile a nord-ovest di Mosca, collegata alla Lega Anseatica ed espressione di un modello politico ed economico che molti russi continuano a rimpiangere. In effetti, il trionfo dell’autocrazia moscovita sulla“democrazia” di Novgorod ha impresso una svolta decisiva alla storia russa. In questi anni Ivan IV, che ebbe in rapida successione sei altre mogli, soffriva di incontrollabili scatti d’ira.

Il metropolita Filipp, che osò rimproverare il sovrano per i suoi crimini, venne assassinato nel 1568. Nel 1572 lo zar dichiarò l’abolizione dell’opričnina, che però continuò a esistere ancora per tre anni. Il momento culminante del terrore scatenato da Ivan IV si colloca tra il 1564 e il 1572, ma ancora nel 1581 egli uccise il suo primogenito in un accesso d’ira.

Oltre che da queste violenze interne, gli ultimi anni del suo regno furono caratterizzati anche da numerose sconfitte militari. Nel 1582-83 la Russia dovette rinunciare a tutte le conquiste sul Baltico a favore di polacchi

e svedesi. La potenza svedese, che sbarrava ai russi la via del Baltico costringendoli in questo modo a un’umiliante e svantaggiosa posizione commerciale, sarebbe stata infranta solo da Pietro il Grande, un secolo e mezzo dopo. Soltanto verso Oriente vi furono ancora dei successi durante il regno di Ivan IV.

La conquista della Siberia Nel 1582 un piccolo esercito russo comandato dal cosacco Ermak,“il conquistatore della Siberia”, sconfisse e occupò un altro Stato erede dell’Orda d’Oro, il khanato di Sibir’, situato poco al di là degli Urali e dal quale ricevettero il nome le immense distese siberiane.

Ebbe allora inizio l’epica e inarrestabile penetrazione negli spazi della Siberia di mercanti, cacciatori e coloni russi che nel giro di pochi decenni arrivarono sino al Pacifico. Poco avvertito all’epoca, questo successo fu in effetti uno dei più notevoli del regno di Ivan IV, che morì improvvisamente nel 1584, forse avvelenato, come un’autopsia eseguita in epoca sovietica

TRONO DEL MONOMACH

Realizzato in legno e ricoperto di placche d’avorio, si trova nella cattedrale della Dormizione di Mosca, luogo in cui Ivan IV era solito raccogliersi in preghiera.

SCALA, FIRENZE

AGE FOTOSTOCK

a biografia di Ivan è costellata di episodi che ne rivelano una tendenza al misticismo non di rado rasente la superstizione. Egli venerava le reliquie, che riteneva potessero proteggerlo, e ne conosceva bene il valore di persuasione: per questo le portò con sé quando da Mosca si trasferì ad Aleksandrov, sfruttando il potere che il loro possesso gli permetteva di esercitare sui boiari. Rispettava alcune figure ascetiche della Chiesa ortodossa: proprio il timore reverenziale che nutriva per Nicola di Pskov, uno “stolto in Cristo” (figure ascetiche che vivono pellegrinando in estrema povertà), salvò gli abitanti della città, che come Novgorod aveva tentato di ribellarsi allo zar, dalla sua vendetta e dalle efferatezze dei suoi uomini.

PALAZZO D’INVERNO DI SAN PIETROBURGO. L’EDIFICIO, PARTE DELLA REGGIA IMPERIALE , OGGI OSPITA UNASEZOINE DEL MUSEO DELL’ERMITAGE.

avrebbe dimostrato, ritrovando ingenti tracce di mercurio nei suoi resti.

Il suo regno è stato oggetto di interpretazioni varie e contrastanti, simbolo per gli uni della ferocia “asiatica” dello Stato russo, per gli altri dell’inflessibile (e benefica per l’intera nazione) volontà di coesione e unità. Entro certi limiti, peraltro, nella politica di Ivan IV si può vedere l’equivalente russo dello scontro che sovrani europei a lui contemporanei, quali Enrico VIII d’Inghilterra o Luigi XI di Francia, dovettero affrontare per vincere le residue velleità delle loro aristocrazie e instaurare una monarchia assoluta.

Del resto, come mostra la sua celebre corrispondenza con il principe Andrej Kurbskij, emigrato nello Stato polacco-lituano ed esponente della tradizionale visione politica della nobiltà russa, lo stesso Ivan ebbe piena coscienza del significato politico della sua azione repressiva.

Non a caso la storiografia sovietica (M. Pokrovskij, S. Platonov e altri) ha insistito sul carattere“progressivo”del 100 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA CORONA DI PIETRO I

Nel 1712 Pietro il Grande proclamò San Pietroburgo capitale.

Nella città che aveva fatto edificare morì nel 1725, dopo 43 anni di regno e dopo aver assistito alla morte di tutti i suoi 16 figli. Gli succedette la moglie Caterina, che governò fino al 1727.

FINE ART / AGE FOTOSTOCK

governo di Ivan IV, tanto per i suoi successi in politica estera quanto per il definitivo superamento dell’anarchia “feudale”.

Il suo terrore fu in effetti rivolto essenzialmente contro i membri dell’antica nobiltà, in parte con il favore del popolo. Lo stesso appellativo con cui è passato alla storia, groznyj, che viene impropriamente tradotto con “terribile”, significa in realtà “minaccioso” ed esprime più ammirazione e consenso che timore, come se la“minaccia”del sovrano fosse legittima e sostanzialmente benefica per l’insieme della nazione.

In questo senso la crudeltà politica di Ivan IV, al di là delle sue possibili patologie, sancì il consolidamento di un potere centrale assoluto in maniera molto più radicale e duratura di quanto stava avvenendo nell’Europa occidentale. Il significato storico del terrore di Ivan IV è quindi da vedere nella sostituzione – più o meno completa – dell’antica aristocrazia del sangue con una nuova, piccola, nobiltà strettamente dipendente dal sovrano che la

FINE ART / AGE FOTOSTOCK

PIETRO IL GRANDE. RITRATTO DI PAUL HIPPOLYTE DELAROCHE (XIX SECOLO).

SAN PIETROBURGO JOHANNA HUBER / FOTOTECA 9X12

L’ESIGENZA di disporre di uno sbocco sul Mar Baltico e di una “fine-

dotava di terre in cambio di un servizio permanente. Questo sistema (in russo pomest’e) era assai simile a quello dei timar allora in vigore nell’Impero ottomano, che alcuni – in particolare il pubblicista Ivan Peresvetov – esaltavano quale modello per l’impero russo tanto nella sfera politica quanto in quella militare.

Il rafforzamento dello Stato Sotto Ivan IV, inoltre, la Russia si rafforzò sensibilmente verso Oriente ed entrò di slancio nell’ambito della grande politica europea, ma in una posizione ancora insufficientemente forte, come gli eventi dei successivi decenni, in particolare gli Anni dei Torbidi (1598-1613), avrebbero dimostrato. Solo l’azione di un altro sovrano, non meno terribile, vale a dire Pietro il Grande, avrebbe consentito la definitiva ascesa della Russia tra le grandi potenze europee e mondiali.

A prescindere dalle pur importanti conseguenze interne ed esterne del suo regno, Ivan IV costituisce nella storia russa un modello politico imprescindibile, proprio per il

stra” verso l’Occidente, avvertita da Ivan IV, fu trasformata in realtà solo da Pietro il Grande, che nel 1703 fondò San Pietroburgo sul Golfo di Finlandia per poter disporre di un porto commerciale e di una base per la flotta militare più agibile di quella di Arcangelsk, sul Mar Bianco, che restava bloccata dai ghiacci per molti mesi all’anno.

suo essere “terribile”. Sotto di lui si è infatti manifestata per la prima volta in modo assolutamente chiara la natura autocratica del potere statale russo, destinata a perpetuarsi nei secoli pur nel mutamento delle strutture politiche e ideologiche. Un potere assoluto, sostanzialmente privo di contrappesi, rivolto soprattutto al rafforzamento dello Stato e incarnato nei secoli successivi soprattutto dalle figure di Pietro il Grande e Stalin.

Non a caso quest’ultimo commissionò nel 1944 a Ejzenštejn un film su Ivan il Terribile nel quale è evidente il parallelo storico tra le due figure. E, secondo alcuni, anche chi oggi regge dal Cremlino le sorti della Russia deve essere inserito in questa linea politica, pur restando ben lontano dagli estremismi “terribili” dei suoi predecessori.

Per saperne di più

SAGGI

Ivan il Terribile Isabel de Madariaga. Einaudi, Torino, 2006.

La Russia. Potere e società dal Medioevo alla dissoluzione dell’Ancien Régime Richard Pipes. Leonardo Editore, Milano, 1992.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

101

Nel X secolo i prìncipi della Rus’ di Kiev furono attratti, anche per motivi commerciali, dal mondo bizantino e dalla religione ortodossa. Tale legame tra Bisanzio e la Russia creò una divisione religiosa e culturale del mondo slavo che sarebbe continuata fino a oggi, fra gli Stati ortodossi e di alfabeto cirillico (Russia, Ucraina, Bulgaria, ecc.) e quelli cattolici e di lingua latina (Polonia, Croazia, Slovacchia e altri).

GÜNTER GRÄFENHAIN / FOTOTECA 9X12

IL CULTO ORTODOSSO IN RUSSIA

La cattedrale di San Basilio La cattedrale di San Basilio fu voluta da Ivan il Terribile per commemorare la conquista di Kazan’ e Astrachan’. La costruzione iniziò nel 1555 e si concluse nel 1561. L’edificio originale constava di otto chiese laterali distribuite intorno a una al centro.

La chiesa di San Basilio fu costruita nel 1588.

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1 7

10

Chiesa della Santissima Trinità

2

Chiesa dei santi Alessandro, Giovanni e Paolo, patriarchi di Costantinopoli.

Si ritiene che sia stata costruita sulla struttura originaria dell’intero complesso

3

Chiesa dei santi Cipriano e Giustinia.

Con la sua altezza di oltre 20 m, è dedicata ai due santi che vissero nel IV secolo

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Chiesa di San Gregorio d’Armenia

5

Chiesa di San Basilio il Benedetto.

Questo piccolo tempio è stato aggiunto alla fine del XVI secolo, dopo la morte del santo

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2 6

1

8

Un simbolo per ogni immagine Il numero di cupole di una chiesa ortodossa può rappresentare Dio se è una sola, la Santissima Trinità se le cupole sono tre o Gesù se sono 33. La forma a bulbo ricorda la fiamma di una candela a ricordare le parole di Cristo (“Voi siete la luce del mondo”).

Anche la colorazione delle cupole cela una simbologia: il dorato, per esempio, allude alla gloria celeste, l’azzurro alla Vergine Maria, mentre il verde allude alla Santissima Trinità.

La cattedrale di San Basilio

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Chiesa del Velo Protettore della Madre di Dio

Nota anche con il nome di cattedrale dell’Intercessione della Madre di Gesù sul Fossato, grazie ai suoi pregevoli ornamenti e colori è uno dei templi cristiani più belli e sgargianti. Si tratta di un insieme di chiese, ciascuna custode dei propri tesori e dedicata a una diversa venerazione.

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Chiesa di Sant’Alessandro Svirsky

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Chiesa dell’icona Velikoretskaya di San Nicola, artefice di miracoli. È tra le più antiche del complesso e vanta 28 m di altezza Campanile Risalente al XVII secolo, fu costruito su una struttura precedente, più antica, della quale si conservano pochi dati

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Chiesa dell’Entrata del Signore a Gerusalemme È tra quelle che conservano più vestigia del passato, inclusi i segni di un proiettile che la colpì durante la rivoluzione d’ottobre del 1917

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Chiesa di San Barlaam da Chutyn

SOL 90 / ALBUM

Torre centrale Con un’altezza di 46 m, genera la sensazione di unità dell’intero complesso

GRANDI SCOPERTE

Il colossale Olimpo ellenistico sul monte Nemrut Nel 1881 venne scoperto su questa vetta della Turchia il mausoleo di Antioco I di Commagene, sovrano di un piccolo regno ellenistico

MÜLLER / AGE FOTOSTOCK

1881

MAR NERO

I STA N BU L ANKARA

TURCHIA

Nemrut MAR MEDITERRANEO

to, da queste teste, alcune adorne di diademi persiani e altre a forma di aquila e leone.

Immediatamente si mise in contatto con il console tedesco a Smirne, che comunicò la scoperta alla Reale Accademia Prussiana delle Scienze.

Una grande sorpresa All’inizio dell’estate del 1882, gli archeologi Carl Humann e Otto Puchstein salirono sul munte Nemrut guidati dallo stesso Karl Sester.

Quando raggiunsero la cima non credettero a i propri occhi: fra quelle che ritenevano

Karl Sester, un ingegnere tedesco, dà notizia dell’esistenza di antiche rovine sul monte Nemrut.

1882

essere delle rovine persiane, trovarono un’iscrizione greca incisa ai piedi delle statue della terrazza orientale, una delle tre che compone il monumento, e in essa lessero che queste rovine costituivano il pantheon di Antioco I di Commagene (69-39 a.C.), sovrano di un piccolo regno ellenistico che finì nell’orbita di Roma. Antioco I costruì la sua tomba nel punto più alto dei suoi domini.

«Io, Antioco, ho fatto costruire questo recinto in mio onore e in onore dei miei dei». Così proclama l’iscrizione che identifica ognuna delle statue con gli Apollo, Zeus ed Eracle, associati con gli dei persiani Mitra, Ahura Mazda e Artagnes.

Antioco aveva deciso di costruire la propria tomba sotto un gigantesco tumulo conico di 50 metri di altezza per 150 metri di diametro,

Carl Humann e Otto Puchstein identificano le rovine con il mausoleo di Antioco I di Commagene.

ANTIOCO I SALUTA IL DIO ERCOLE. RILIEVO DI NEMRUT DAGI.

1883

Osmán Hamdi effettua ricerche sul monte e pubblica i risultati del suo lavoro in un libro.

COLOSSALI teste

FUNKYSTOCK / AGE FOTOSTOCK

S

ulla cima del monte Nemrut, in Turchia, un’arida vetta a 2150 metri di altezza, si elevano rovine solitarie che dominano la vasta cordigliera del Tauro Orientale. Lo sguardo si perde fra le terrazze adorne di balaustre dai suggestivi altorilievi e le colossali teste scolpite che sembrano emergere dal suolo roccioso, e che raffigurano gli dei di un’antica civiltà.

Questo luogo inospitale non venne scoperto fino al 1881, e quasi per caso. Karl Sester, un ingegnere tedesco impegnato nella costruzione di strade nell’est della Turchia, salì sul monte su indicazione degli abitanti del posto e rimase colpito dalla bellezza del luogo e, soprattut-

raffiguranti divinità – tra cui Zeus, Apollo e una dea dell’abbondanza –si trovano sulla cima del monte Nemrut, accanto al mausoleo di Antioco I, re di Commagene.

in cima al monte Nemrut; era un modo per essere più vicino agli dei e vegliare sul suo popolo per l’eternità. Ai suoi piedi si trovavano i tumuli di suo padre, Mitridate I Callinico, e di altri com-

1953

L’archeologa Theresa Goell inizia scavi a Nemrut Dagi, che condurrà fino alla morte (1985).

OROSCOPO DEL LEONE SULLA TERRAZZA OVEST, il bassorilievo di un leo-

L’archeologo turco Nel 1883, giunse sul sito Osmán Hamdi, direttore del Museo Archeologico Imperiale di Istanbul. Dovette affrontare una lunga e faticosa salita verso la cima della montagna lungo una mulattiera stretta e sinuo-

sa, che nell’ultimo tratto era possibile percorrere esclusivamente a piedi.

«Sorprende che un uomo che ha innalzato sulla cima più alta di queste montagne questo monumento, tanto costoso da esaurire probabilmente le risorse del suo regno, non si sia preoccupato di creare un percorso migliore per accedervi», osservò Hamdi nella sua dettagliata relazione. L’archeologo turco esplorò la regione, prelevò campioni di numerosi rilie-

AKG / ALBUM

ponenti della famiglia; non molto lontano erano ubicate le tombe delle spose reali, vegliate da aquile scolpite in pietra calcarea e appoggiate su colonne doriche.

ne circondato da stelle, con una mezzaluna sul collo e la stella Regolo, associata alla regalità, che brilla su di essa, è stato identificato con una congiunzione di pianeti: alcuni pensano che si tratti del 14 luglio del 109 a.C., anno dell’incoronazione di Mitridate I, e altri del 7 giugno del 62 a.C., anno dell’incoronazione di Antioco I.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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GRANDI SCOPERTE

Il colossale mausoleo del re Antioco IL MAUSOLEO DI ANTIOCO I DI COMMAGENE sul monte Nemrut è formato da tre terrazze ornate da statue

e rilievi che mostrano il monarca in compagnia degli dei e dei suoi antenati, fra cui il sovrano annoverava Alessandro Magno e Dario I. Nell’immagine, ricostruzione della terrazza ovest.

Un’aquila e un leone proteggono i due estremi del podio su cui siedono gli dei.

Tumulo funerario di Antioco I, di 50 m di altezza. Probabilmente cela la tomba del re.

Antenati persiani di Antioco.

Quattro bassorilievi mostrano Antioco che saluta diversi dei. Il quinto bassorilievo è l’oroscopo del leone.

Altare del fuoco, di forma piramidale, destinato ai sacrifici.

Bassorilievi che mostrano gli antenati greci di Antioco; davanti a essi si trovano piccoli altari.

vi e ne portò alcune parti al Museo di Istanbul. Poi curò e commentò le iscrizioni del complesso monumentale in un importante libro.

I segreti di Nemrut Alcune relazioni degli archeologi turchi e tedeschi entusiasmarono anni più tardi la studiosa Theresa Goell. Dopo quattordici anni di preparazione e due visite preliminari, nel 1953 l’archeologa statunitense potè finalmente organizzare una spedizione, e da allora fino alla sua morte (1985) si dedicò allo studio di questa affascinante testimonianza del periodo tardo-ellenisti106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

co. Stabilì l’accampamento proprio sul monte Nemrut e lavorò in condizioni climatiche estreme, sotto un forte vento, tempeste torrenziali e temperature che oscillavano fra zero e 50 gradi.

La spedizione fece scoperte importanti, come il primo oroscopo greco, rinvenuto sulla terrazza occidentale: un bassorilievo di 1,75 metri di larghezza per 2,40 metri di altezza con 19 stelle incise intorno al corpo di un leone, a simboleggiare la costellazione che in quel momento si trovava nella congiunzione di Giove, Mercurio e Marte.

Fra le teste degli dei e dei loro animali protettori, che sono

disseminate sulla terrazza occidentale, Goell ha anche identificato la testa della statua di Antioco I. Il volto del sovrano, di grande serenità e bellezza, mostra una notevole somiglianza nei suoi tratti con Alessandro Magno, di cui Antioco affermava essere discendente per parte materna (era infatti figlio di una principessa seleucide).

I segreti di Nemrut Dalla sua dichiarazione come Patrimonio Mondiale nel 1987, sempre più persone visitano questo complesso monumentale, che illustra in modo magnifico la fusio-

LEARNING SITES, INC.

Gli dei Apollo, Commagene, Zeus, lo stesso Antioco ed Ercole si susseguono da sinistra a destra. Le statue misurano da 8 a 10 m.

ne artistica fra le culture di Grecia, Persia e Anatolia in quello che fu un prospero regno di frontiera. Ancora oggi ci affascinano la perizia degli artigiani che scolpirono le gigantesche statue e la sapiente opera di ingegneria effettuata dagli architetti per portarle a tale considerevole altezza.

I resti di Antioco I non sono però ancora stati individuati: il principale enigma del monte Nemrut resta dunque ancora irrisolto.

JUAN PABLO SÁNCHEZ DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA

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DVD 3. Roma Imperiale - Cartagine - L’Impero Bizantino.

DVD 4. L’Impero Cinese - I Maya - Gli Aztechi.

IL MISTERO DEI TEMPLARI

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D&B6300 - 100 minuti Lingue e sottotitoli: italiano I templari erano monaci e guerrieri. Divennero, negli anni, anche una potentissima istituzione finanziaria, ma, dopo duecento anni dalla nascita dell’ Ordine, i capi dei Templari vennero condannati al rogo. Avvincenti ricostruzioni in costume e interviste ci portano alla scoperta di un’epoca cruenta e sanguinosa, avvolta in un’aura di mistero.

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Durata: 50 minuti - Lingue: ita, ingl Sottotitoli: ita, fra, ted, spa Il filmato, sfruttando la forza del 3D, con efficaci ricostruzioni, ci riporta indietro nel tempo, all’inaugurazione del Colosseo, per svelarci i suoi segreti. Una visita unica e irripetibile, alla scoperta della storia e dei retroscena legati alla costruzione dell’anfiteatro più famoso di tutti i tempi e dei segreti che hanno reso memorabili i giochi nell’arena.

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L A S T O R I A N E L L ’A R T E

Teodolinda, una storia tra due mondi

Q

DEA / SCALA, FIRENZE

uarantacinque scene, su cinque registri sovrapposti, a occupare interamente le pareti della cappella nel duomo di Monza, narrano la storia di colei che dal 589 al 624 fu regina dei longobardi, prima in qualità di consorte di Autari e Agilulfo, poi di reggente del figlio Adaloaldo.

Fu, come spesso accadeva, per ragioni politiche che il re longobardo Autari chiese in sposa la giovane e bella Teodolinda, figlia di Garibaldo I di Baviera. Nel tentativo di rafforzare il regno

longobardo, Autari si era infatti dovuto scontrare con quello dei franchi e, mancato un primo tentativo di alleanza tramite un fidanzamento con una sorella del re franco Childeberto II, il sovrano aveva deciso di cambiare tattica e di rivolgere la propria attenzione ai bavari, minacciati dagli stessi franchi e loro nemici.

Così, la principessa bavara divenne regina longobarda e d’Italia. La sua storia, le sue doppie nozze, il suo ruolo culturale e politico, la sua influenza sulla corte e i suoi rapporti con papa Gregorio Magno che la videro fare da ponte tra la cattolica Roma e l’ariano mondo longobardo, otto secoli più tardi sarebbero stati narrati dalla bottega milanese degli Zavattari in un ciclo pittorico il cui valore storico e artistico gli hanno valso il soprannome di “Cappella Sistina del Nord”.

EVANGELIARIO DELLA REGINA TEODOLINDA COPERTA IN ORO, CAMMEI E PIETRE, VII SECOLO, TESORO DEL DUOMO DI MONZA.

108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DEA / SCALA, FIRENZE

Di recente restaurata, la splendida cappella della sovrana longobarda a Monza presenta analogie con l’età viscontea

1 Gli ambasciatori

2 La partenza

Sfumata l’alleanza con il regno dei franchi, gli ambasciatori longobardi chiedono per il re Autari la mano di Teodolinda.

Accettata la proposta, Teodolinda e il suo seguito lasciano la Baviera verso una nuova casa: l’Italia.

Oltre il tempo «Aprire la porta della cappella è come sollevare il coperchio di un cofanetto prezioso»: con queste parole Renata Negri, autrice de La cappella di Teodolinda a Monza, descrive uno dei capolavori dell’arte tardo-gotico lombarda del XV secolo. E il riferimento allo

scrigno di preziosi non potrebbe essere più calzante visto il tripudio di oro che risplende in ogni dettaglio di questo ciclo di pitture murali. Ma forse, più che aprire un cofanetto, la cappella permette di immergersi in questo trionfo di affreschi, tempere e dorature a foglia.

AUTARI CHIEDE IN SPOSA TEODOLINDA. Fratelli Zavattari,

XV secolo, Duomo di Monza.

3 La corte “cortese”

4 Il nuovo re

5 Il banchetto

6 La nuova chiesa

Dopo la morte di re Autari (590), narra la leggenda, Teodolinda scelse Agilulfo come suo nuovo consorte.

Il ciclo presenta numerose scene di vita di corte, tra le quali il banchetto di nozze di Teodolinda e Agilulfo.

La cattolica Teodolinda fa fondere gli ori per la nuova chiesa: su quello stesso sito sorgerà il duomo di Monza.

IMMAGINI: SCALA, FIRENZE

I sovrani longobardi Autari e Teodolinda sono circondati da personaggi presentati secondo il tipico stile di corte.

Ispirandosi alla Historia Langobardorum di Paolo Diacono e alle cronache di Bonincontro Morigia, gli Zavattari ricreano un momento storico che sembra superare i limiti della Storia stessa. Molte scene raffigurano infatti soggetti cortesi in cui abbondano banchetti,

feste e battute di caccia. Rafforza questo “sfasamento” temporale ogni dettaglio relativo ai costumi, agli abiti e alle acconciature che, lungi dal presentare storicamente un mondo medioevale, ne descrive uno rinascimentale, in particolare visconteo.

Non a caso, oltre la metà del-

le scene del ciclo si incentra sulle nozze di Teodolinda, scelta che, secondo alcuni esperti, creerebbe un parallelo tra la regina longobarda e Bianca Maria Visconti, andata in sposa, proprio negli anni di realizzazione del ciclo (1441), a Francesco Sforza.

Con il recente restauro, Teo-

dolinda, già “rinata” nel Quattrocento, lo fa anche nel nostro tempo.

ANGELA G. GANGI ESPERTA IN STORIA

Per saperne di più SAGGIO

Teodolinda. Una regina per l’Europa. Felice Bonalumi, Torino, San Paolo, 2006

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

109

L I B R I E A P P U N TA M E N T I

STORIA ROMANA

Tempo libero, otium e negotium nell’Urbe

C Federica Guidi

VACANZE ROMANE Mondadori, 2015, 300 pp., 16 ¤

i sono biblioteche intere sulla storia romana, sull’impero e sulla repubblica, sui condottieri e gli eserciti, sulle istituzioni e i commerci, ma il popolo di Roma, come ogni altro, non viveva solo di guerra e politica: viveva. Attingendo a fonti letterarie, archeologiche e artistiche, Federica Guidi – archeologa e autrice di libri specialistici – apre uno spaccato sulla quotidianità dell’antica Roma, analizzando i momenti di svago della società, la sua ri-

cerca del piacere e le sue tante passioni. Ne emerge un quadro variopinto in cui trovano posto gli svaghi più diversi, tutti atti a soddisfare esigenze di evasione tra le più disparate, da quelle più istintive a quelle più mistiche. Nel tempo libero, i romani si dividono tra la passione per i giochi nell’arena e il raffinato teatro, tra il piacere per le terme e i giochi da tavolo, tra i sontuosi banchetti e il collezionismo, tra gli incontri amorosi e l’amore a pagamento, tra il gusto per i viaggi e la

buona lettura. L’uomo dell’antica Roma, indagato nella sua manifestazione di homo ludens, soddisfa quindi la propria ricerca edonistica non molto diversamente dall’uomo contemporaneo, oscillando tra piaceri materiali e spirituali, divertendosi con il tifo sportivo e la dissertazione filosofica. Partendo dall’analisi di come venisse inteso nell’antica Roma il concetto di otium contrapposto al negotium, il volume indaga uno degli aspetti apparentemente meno produttivi della società romana, ricordando quanto l’ozio, nella sua accezione anche di stimolante e produttivo tempo libero, fosse appannaggio di pochi. Otto capitoli in cui l’autrice propone un’inedita panoramica sull’antica società romana. (A. Gangi)

SAGGI

L’HÔTEL DE GALLIFFET: BIOGRAFIA DI UN LUOGO CHE COSA LEGA Talleyrand e Napoleone alle odalische

e alle spie, le nozze del vescovo al duca di Richelieu?

Un luogo, un palazzo del potere: l’Hôtel de Galliffet.

Oggi sede dell’Istituto Italiano di Cultura, nel cuore del faubourg Saint-Germain di Parigi, le mura di questo settecentesco palazzo sono state testimoni di decisioni ed eventi storici che hanno visto la Francia vivere la Rivoluzione e la Restaurazione, passando dal Direttorio al Consolato fino all’Impero. Descrive questi luoghi di politica e diplomazia, ma anche di amori, complotti, tradimenti e segreti Marina Valensise, oggi direttrice dell’Istituto, che dedica al palazzo una biografia per «tener viva la memoria del passato, senza la quale non esiste futuro».

Marina Valensise

L’HÔTEL DE GALLIFFET

Skira Editore (ed. bilingue) 2015, 176 pp., 35 ¤

110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA GUERRA CIVILE AMERICANA Bruce Levine Einaudi, 2015, 464 pp., 32 ¤

LE NAVI DELLA MEZZALUNA Bruno Cianci Odoya, 2015, 400 pp., 22 ¤

UNA GUERRA di mondi, quel-

CAICCHI, GALEE e galeotte ot-

lo dell’Unione contro quello degli Stati confederati, una guerra ideologica, culturale, economica e sociale che ridisegnò il volto del Nuovo Mondo creandone a sua volta uno nuovo. Lettere, articoli, proclami con cui l’autore descrive uno scontro umano quanto mai contemporaneo.

tomane furono protagonisti di un’espansione, commerciale, militare e culturale, che ha fatto dell’impero ottomano una delle grandi potenze marittime della storia. Un saggio in cui grazie a una romanzesca narrazione si salpa alla volta dell’avventura sui mari della conquista.

CIVILTÀ DELL’ORIENTE

I tesori dell’impero cinese per scoprirne la storia

MUSEO PROVINCIALE DELLO HENAN

Q

STATUETTA DEL “RE DEL CIELO” (particolare),

dinastia Tang, 618-907 d.C.

uando lungo la Via della Seta l’Oriente e l’Occidente si incontrarono, due civiltà si scambiarono merci, tradizioni e culture lungo un rotta capace di compenetrare due mondi.

Come una nuova Via, il progetto posto in essere nell’ambito del Memorandum d’Intesa sul Partenariato per la Promozione del Patrimonio Culturale tra il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo della Repubblica Italiana e la State Administration of Cultural Heri-

tage della Repubblica Popolare Cinese, si pone come obiettivo la promozione dello scambio culturale tra Cina e Italia tramite uno scambio di spazi museali. Ed è così che nelle sale del refettorio di Palazzo Venezia a Roma è nata la mostra Tesori della Cina imperiale. L’età della Rinascita tra gli Han e i Tang (206 a.C.907 d.C), oltre mille anni di storia presentati con oltre 100 capolavori del“gigante”asiatico. Le opere, provenienti dal Museo Provinciale dello Henan, narrano la storia dell’im-

pero dalla dinastia che per prima ne creò le basi culturali a quella che lo fece assurgere a “centro del mondo”. Le quattro sezioni presentano un passato reale quanto fantastico in cui animali antropomorfi si mescolano a brocche a forma di fenice e dove gli antichi guerrieri dell’impero testimoniano di quella che è considerata l’età d’oro cinese. Da non perdere la splendida veste funeraria in giada e fili d’oro. Un’occasione unica per scoprire la sempre meno lontana Cina. (A.G.) Tesori della Cina imperiale LUOGO Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, via del Plebiscito, Roma TELEFONO 06 6780131 WEB www.tesoridellacinaimperiale.it DATE Fino al 28 febbraio 2016

ARTE GRECO-ROMANA

La natura alle radici della civiltà d.C. e gli affreschi della Casa del Bracciale d’oro da Pompei – quasi a creare un ponte con la mostra che a Napoli, fino al 2 novembre, proprio a Pompei è dedicata. Le sette sezioni dell’esposizione raccontano il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda, tra la natura e il suo evolversi in mito, in un percorso alla scoperta del mondo classico e del nostro. (A.G.) Mito e Natura.

Dalla Grecia a Pompei.

LUOGO Palazzo Reale, Piazza del Duomo, Milano TELEFONO 02 92800821 WEB www.mostramitonatura.it DATE Fino al 10 gennaio 2016

ARCHIVIO FOTOGRAFICO DELLA SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHEOLOGICI DI NAPOLI

N

atura: questo il tema dal quale prende origine la mostra allestita nelle sale di Palazzo Reale a Milano. Natura come ispirazione, ma anche come oggetto di intervento dell’uomo e, in ultima analisi, come radice della cultura occidentale. L’esposizione raccoglie in ordine cronologico oltre duecento opere tra affreschi, statue, vasi e monili di origine greca, magnogreca e romana, risalenti ai secoli che vanno dall’VIII a.C. al II d.C. Particolare attenzione viene data ai reperti di origine vesuviana – in esposizione anche il celebre Vaso blu del I secolo

ANFORA CON EROTI VENDEMMIANTI (C.D. VASO BLU)

Vetro cammeo, età claudia, Museo Archeologico Nazionale, Napoli.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

111

ITINERARI

3 CONVENTO DI CRISTO Tomar, Portogallo; www.conventocristo.pt

I percorsi di Storica

Un convento che sembra un castello, una chiesa protetta da mura e torri difensive, un luogo in cui la templare unione tra fede e spada ha dato vita a un’imponente fortezza.

Santa Maria Capua Vetere (CE); www.cir.campania. beniculturali.it

Un toro, uno scorpione, un cane, un serpente, un dio e i suoi adepti per addentrarsi negli antichi riti di iniziazione del misterico culto mitraico.

le magnifiche fortezze di Sesostri, salvate dalle acque del deserto, due colossi in granito qui traslati dal tempio di Argo eretto a Tabo, nonché una ricca raccolta che comprende reperti archeologici risalenti al regno dei Kush e al periodo della Nubia cristiana: vasellame, statue e affreschi dall’VIII al XV secolo. pagina 22

sesostri III

112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Santa Maria Capua Vetere

2 MITREO

Dove e come visitare i luoghi storici e i musei legati ai servizi e ai personaggi di questo numero di Storica

L’antica Nubia, storica regione che comprende l’attuale Egitto meridionale e il Sudan settentrionale, fu oggetto di grande interesse da parte di Sesostri III. Lungo il Nilo, all’incirca tra la prima e la quarta cateratta, i faraoni fecero infatti erigere una serie di fortezze a protezione di una via commerciale fondamentale per il regno. Come millenari guardiani, i forti di Buhen e di Semna hanno resistito al tempo fino a quando la costruzione dell’alta diga di Assuan e la conseguente formazione del lago di Nasser non hanno minacciato di sommergerli. Ci è voluto lo sforzo dell’UNESCO perché questi storici reperti non venissero distrutti: grazie a una titanica opera, i forti sono stati sistematicamente smontati e ricollocati nei giardini del Museo archeologico nazionale del Sudan, a Khartoum. Qui, in una sede museale allestita agli inizi degli anni Settanta, si possono quindi ammirare

Tomar

le città che si sono sovrapposte nel corso dei millenni sul medesimo sito e, tra queste, Troia VII, considerata quella narrata da Omero. Cessati i clangori di battaglia e divenuto oggi patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, il sito consente di ammirare porzioni delle mura del decennale assedio nonché i resti delle porte e delle torri difensive dell’antica Ilion. Gli scavi hanno inoltre permesso di ricostruire l’impianto urbanistico degli insediamenti che si sono succeduti gli uni sugli altri. Per penetrare a Troia, non serve ormai l’imponente ricostruzione del cavallo che accoglie i visitatori del sito.

pagina 32

troia

«Ed io di Troia L’alta cittade edificai, di belle ampie mura la cinsi, e di securi baluardi» (Iliade, Libro XXI). Non hanno resistito agli achei le mura di Ilion, ma hanno resistito al tempo.

Nell’odierna Turchia, nei pressi dello stretto dei Dardanelli è infatti possibile visitare uno dei siti archeologici più leggendari della storia, un luogo in cui epos e mito intridono ogni pietra che gli archeologici hanno riportato alla luce.

Dell’antica, Troia 1 – anche se sarebbe più corretto parlarne al plurale – restano infatti numerose tracce. Sono ben nove

pagina 42

mitra Sono una cinquantina i mitrei rinvenuti solo in Italia, con una diffusione che copre l’intera penisola, dal Friuli alla Sicilia. Tra questi, viste le caratteristiche e lo stato di conservazione, merita una visita in particolare il mitreo di Santa Maria Capua Vetere 2 nel Casertano.

Troia

Aleksandrov

4 ALEKSANDROV

Vladimir Oblast, Russia; www.russia-turismo.com

Sulle tracce del tesoro perduto di Ivan il Terribile che nelle segrete della sua residenza di Aleksandrov, tappa dell’“Anello d’Oro” russo, ha celato per secoli un prezioso mistero.

1 TROIA

Provincia di Çanakkale, Turchia; http://whc.unesco.org

Nella mitica città di Ilio sulle orme di Ettore e Achille, dove ammirare le mura che resistettero alle armi, ma non agli stratagemmi dell’uomo.

Scoperto, come molti, per puro caso durante dei lavori di escavazione, il mitreo si presenta come una camera sotterranea di circa 12 m di lunghezza e 3 di larghezza con una volta a botte.

Lungo le pareti laterali, oltre ai praesepia su cui sedevano gli adepti, si trova una serie di decorazioni che illustrano i riti di iniziazione, mentre sul fondo del sacello troneggia la caratteristica tauroctonia.

Vi si ammira il dio Mitra, raffigurato con abiti di foggia orientale dai colori vivaci e berretto frigio, nell’atto di colpire alla gola il tradizionale toro bianco. Non è certo un caso che proprio qui, sede un tempo di un attivo anfiteatro da cui passavano schiavi e gladiatori, si sia diffuso questo antico culto orientale.

lasciato nella storia tracce che si sono spesso confuse con l’arcano e l’occulto, il mistero e la leggenda. Hanno anche lasciato però tangibili testimonianze del potere e del prestigio di cui godettero: tra queste vi è il Convento dell’Ordine di Cristo 3 di Tomar, in Portogallo, il cui aspetto è quello di un imponente castello. Eretto agli inizi del XII secolo come parte di un sistema difensivo volto ad arginare l’aggressione dei mori, divenne presto il quartier generale del ramo portoghese dell’ordine. Oltre le possenti mura munite di torri rotonde si erge la cittadella (alcáçova) – anch’essa dotata di torre difensiva – nella quale si aprono otto chiostri. Nonostante gli ampliamenti postumi, la struttura ruota ancora attorno alla chiesa rotonda, la cui pianta si ispira, come spesso negli edifici templari, alla Cupola della Roccia e alla Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Ai sedici lati dell’esterno corrisponde una struttura ottagonale interna che tramite degli archi la collega a una galleria. Magnifica commistione di stili architettonici diversi, nel complesso si sommano armoniosamente romanico, gotico e ovviamente manuelino. Fu solo dopo la soppressione dell’ordine del Tempio, avvenuta nel 1312, che la struttura passò nelle mani dell’ordine di Cristo di cui il convento prende oggi il nome.

pagina 76 pagina 64

i templari Ordine di monaci-soldati, di cavalieri e gran maestri, di protettori della Cristianità, ma anche di depositari di tesori e segreti, i Templari hanno

cipro Non poteva che essere quest’isola le cui verdi montagne digradano nelle acque cristalline del Mediterraneo a vedere la nascita di Afrodite, dea della bellezza. Fu dal mare di fronte

a Pafos, sulla costa occidentale di Cipro che, narra la leggenda, la dea emerse, e proprio qui sembra aver lasciato impronta della sua mitica bellezza. Protetta dall’UNESCO, l’area archeologica di Pafos conserva mirabili mosaici che dalla casa di Dioniso a quella di Teseo passando per quelle di Orfeo e di Eone raffigurano scene mitologiche quanto quotidiane in cui, ancora una volta, il mito sembra confondersi con la storia. Nell’area è possibile inoltre ammirare l’antico Odeon, un teatro risalente al II secolo che ancora oggi è impiegato per ospitare eventi culturali, nonché l’agora e i resti del tempio di Asclepio.

pagina 90

ivan il terribile Era il 1564 e Ivan IV di Russia lasciava Mosca per mettere in atto quello stratagemma che gli avrebbe conferito i poteri che desiderava. Con corte e tesori si trasferì ad Aleksandrov 4 , un centinaio di chilometri a nord est di Mosca. In questo centro, residenza dei principi russi sin dal Medioevo, lo zar trasferì la capitale. Della residenza imperiale, Ivan fece un vero centro politico e culturale, vestendo anche i panni del mecenate e fondando qui la prima tipografia di Russia. Il Cremlino di Aleksandrov si è conservato nella sua planimetria originaria al cui centro sorge oggi la cattedrale della Trinità che custodisce una delle porte qui trasportate da Novgorod durante l’attacco del 1570. Nel locale museo è inoltre esposto il trono d’avorio di Ivan IV, mentre ancora si cercano i tesori che si racconta siano celati nei sotterranei dell’antico palazzo...

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

113

Prossimo numero I VICHINGHI CONQUISTANO LA GROENLANDIA IL TERRITORIO della

CULTURE-IMAGES / ALBUM

Groenlandia, la più grande isola del globo terrestre dopo l’Australia, è ricoperto per l’83 per cento dai ghiacci. La sua inospitalità non impedì ai vichinghi – un popolo di abili navigatori che si sarebbe fatto temere in tutta l’Europa medioevale – di insediarsi in questo luogo desolato, incolto e freddo e di viverci per cinque secoli. Sui motivi per cui essi finirono per abbandonarlo, gli studiosi di storia si interrogano ancora ai giorni nostri.

Gudea, il grande legislatore sumero

LAS MÉDULAS, LA RISERVA AUREA DI ROMA

Quattromila anni fa, il sovrano della città di Lagash diede prova della sua attenzione per le questioni sociali varando leggi a beneficio di vedove, orfani e schiavi.

NELLA SPAGNA NORD-OCCIDENTALE,

in un’area ricca di vegetazione, si innalzano curiosi rilievi rossastri: sono i resti dei monti che i romani trasformarono in cumuli d’argilla estraendo l’oro che essi custodivano. Las Médulas fu il principale giacimento d’oro di Roma, che portava alla luce il prezioso minerale scavando gallerie nella montagna e iniettandovi acqua ad alta pressione per provocarne il crollo. Un lavoro durissimo che occupò complessivamente 60.000 persone.

AS F

114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Teodosio I il Grande Vincente contro barbari e usurpatori, fu l’ultimo imperatore a trovarsi solo al comando dei domini romani, nei quali promosse attivamente il culto cristiano.

Sainte-Chapelle, la luce del gotico Nel XIII secolo Luigi IX fece erigere questa cappella nel cuore di Parigi per custodirvi una delle sue più preziose reliquie: la corona di spine di Cristo.

Il trattato di Utrecht L’articolato accordo che nel 1713 pose fine alla Guerra di successione spagnola ridisegnò non solo gli equilibri europei, ma anche quelli dei dominatori dell’Italia. /A

LBU

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