Storica National Geographic - maggio 2015

N. 75 • MAGGIO 2015 • 4,50 E

PERSEPOLI

LA GRANDE CAPITALE DELL’IMPERO PERSIANO

PICO DELLA MIRANDOLA

LA SAPIENZA UNIVERSALE DEL RINASCIMENTO

LA TRATTA DEGLI SCHIAVI

772035 878008 9

DAI PRIMI INSEDIAMENTI IN LAGUNA AL SUO GRANDE SPLENDORE

50075

LA NASCITA DI VENEZIA

periodicità mensile

LA STORIA DRAMMATICA DI UN COMMERCIO INFAME

germania

- poste italiane s.p.a spedizione in abbonamento postale d.l. 353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, ne/vr 11,00 € - svizzera c. ticino CHF. 9,50- svizzera CHF. 9,90

ANNIBALE CONQUISTA SAGUNTO

EDITORIALE

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Il Rinascimento

non ebbe esattamente le caratteristiche che molta storiografia dei secoli successivi ci ha tramandato, vale a dire quelle di un’epoca rivolta unicamente alla riscoperta dell’uomo, l’epoca della razionalità e della coscienza moderne. Questa è infatti l’interpretazione nata con gli illuministi e poi potenziata a metà Ottocento dagli storici Jules Michelet e Jacob Burckhardt, i veri “inventori” di questo periodo storico-culturale.

In realtà, il Rinascimento si alimentò anche del pensiero degli antichi rivisitato in chiave moderna, in primo luogo con l’obiettivo di offrire all’uomo –messo sempre al centro della visuale, ma in simbiosi con la natura e il trascendente– un modello di vita completo e universale.

Si riscoprirono anche i testi orientali; si studiarono l’ebraico, l’arabo e il caldeo; si introdussero nel pensiero occidentale discipline magiche, alchemiche e astrologiche, ma non più in senso antitetico alla filosofia naturale, quanto come una dimensione aggiuntiva, che percorreva e impregnava di sé il mondo fisico creando un legame tra naturale e soprannaturale, con evidenti richiami all’«anima del mondo» di Platone. Di questo sincretismo, l’esponente forse più audace fu Giovanni Pico della Mirandola, che cercò di distillare e unificare la storia del pensiero e dei suoi diversi “linguaggi” per renderli strumento di elevazione dell’umano verso il divino.

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Pubblicazione periodica mensile - Anno VI - n. 75

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PERSEPOLI La Porta delle Nazioni e, sullo

sfondo, la sala delle udienze della capitale persiana fatta edificare da Dario I.

Grandi storie

Rubriche

22 Il faraone che conquistò Gerusalemme L’impresa di Sheshonq I, che governò l’Egitto mille anni prima dell’era cristiana, è narrata sulle mura del tempio di Karnak. DI NÚRIA CASTELLANO

32 Persepoli, la capitale mai finita La città concepita da Dario I già come un luogo-monumento, con i suoi sfarzosi palazzi e i giardini lussureggianti. DI ALBERTO CANTERA

42 L’astrologia greca Eredi del sapere dei Caldei, i Greci credevano che scrutando le stelle fosse possibile prevedere il futuro. DI PALOMA ORTIZ GARCÍA

54 La drammatica fine di Sagunto La città ispanica che, attaccata da Annibale, preferì immolarsi piuttosto che cadere schiava dei Cartaginesi. DI ANTONIO PÉNADES

64 Le origini di Venezia La nascita e lo sviluppo della Serenissima, dai primi insediamenti al suo grande splendore. DI FRANCO CARDINI

80 Pico della Mirandola Figura chiave del Rinascimento, creò un pensiero universale tra umano e divino. DI ELISABETTA SCAPPARONE

92 La tratta degli schiavi Il tragico commercio degli africani, che per tre secoli furono deportati dall’Africa all’America. DI GABRIEL PAQUETTE MASCHERA AFRICANA YORUBA. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

6 ATTUALITÀ 10 PERSONAGGI STRAORDINARI Pedro de Valdivia Il conquistador che fondò Santiago del Cile e la sua tragica fine.

14 L’EVENTO STORICO L’abdicazione di Diocleziano La rinuncia al potere e il caos politico che ne seguì.

18 VITA QUOTIDIANA La corruzione nel ‘600 All’epoca delle grandi monarchie europee era una pratica comune.

104 GRANDI SCOPERTE La tomba di Tuya e Yuya Il ritrovamento del sepolcro dei suoceri di Amenhotep II.

108 LA STORIA NELL’ARTE Il ritratto del Re Sole Il suo vero significato, al di là delle apparenze.

110 LIBRI E MOSTRE 112 ITINERARI STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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AT T UA L I T À UNA DELLE CARIATIDI

POLARIS / CONTACTO

della tomba di Anfipoli viene ripulita dagli archeologi.

RITROVAMENTI

HELLENISTIC MINISTRY OF CULTURE AND SPORTS

La tomba di Anfipoli, la più grande della Grecia Gli scavi in corso nel monumentale sepolcro macedone non sciolgono gli interrogativi sulla sua attribuzione, ma ne confermano l’importanza

LO SCAVO della tomba

di Anfipoli, complice la suggestiva ipotesi che essa potesse custodire i resti di Alessandro Magno, si è trasformato in un evento mediatico accompagnato da polemiche da parte degli esperti, fino a quando il ministero della cultura greco, «per evitare errori», ha “regolamentato” la diffusione di notizie.

6 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

R

isale al 2012 l’inizio degli scavi archeologici di un gigantesco tumulo funerario della fine del IV secolo a.C., sulla collina di Kasta, a breve distanza dal sito di Anfipoli, antica città-Stato ricca di giacimenti d’oro e d’argento e snodo sulle vie che dal nord della Grecia portavano all’Ellesponto (oggi nella regione della Macedonia centrale).

Contesa tra Atene e Sparta durante la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), nel 357 a.C. Anfipoli fu oc-

cupata da Filippo II, il padre di Alessandro Magno. La tomba è il più monumentale sepolcro finora scoperto in Grecia ed è circa dieci volte più grande della tomba di Vergina, attribuita al sovrano macedone.

Chi giace ad Anfipoli?

Le ricerche non hanno ancora accertato quale personaggio vi sia sepolto, ma le sue dimensioni e il suo sfarzo confermano che essa doveva appartenere a una figura importante. Seppur suggestiva,

l’ipotesi iniziale che potesse trattarsi della tomba di Alessandro Magno sembra essere smentita dalle testimonianze storiche, secondo le quali i resti di Alessandro furono tumulati ad Alessandria, la città che egli stesso aveva fondato in Egitto, per ordine di Tolomeo, successore del condottiero ad Alessandria e primo sovrano dell’Egitto ellenistico (e, secondo alcune fonti storiografiche, fratellastro di Alessandro).

Assai più verosimile è che essa custodisca le spoglie

POLARIS / CONTACTO

LA STRUTTURA DEL SEPOLCRO LA TOMBA DI ANFIPOLI

è costruita secondo lo stile macedone: è circondata da un muro e sormontata da un tumulo di terra.

Le mura sono lunghe 498 metri e alte 3 metri.

Un corridoio lungo circa 5 metri e una scala di 13 gradini conducono a una porta, sul cui architrave poggiano due sfingi. Di qui si entra in una stanza con due cariatidi, dalla quale si accede a un altro ambiente dove si trova il mosaico e che dà accesso alla camera sepolcrale.

Blocchi di marmo di Taso

Camera del mosaico

HELLENISTIC MINISTRY OF CULTURE AND SPORTS

L’INGRESSO della tomba è sorvegliato da due sfingi affrontate, con poderosi artigli e corpi robusti; testa e ali sono stati ritrovati altrove nel corso degli scavi. I capitelli che sostengono l’architrave, in stile ionico, conservano ancora alcune tracce della policromia originale. Sotto, il mosaico della seconda stanza.

AP IMAGES / GTRES

Cariatidi

di un familiare o di uno dei generali successori del conquistatore macedone.

I risultati a oggi Gli archeologi sono riusciti ad accedere all’interno della tomba alla fine di agosto del 2014, dopo aver rimosso la

terra e le pietre che nascondevano l’ingresso principale, superato il quale si accede a una stanza a cupola con pavimento in marmo, sulla cui parete posteriore si apre un secondo ingresso affiancato da due cariatidi che fungono da colonne. Le due figure,

sorrette da piedistalli, misurano 2,27 metri di altezza, sfoggiano tuniche con elaborati drappeggi e calzano sandali; una è priva del volto. Nella stanza successiva il pavimento è decorato da un grande mosaico (4,5 x 3 metri) che raffigura il rapimento di Persefone (la Proserpina latina). La fanciulla, che indossa una candida tunica, si trova su un carro trainato da due cavalli e condotto da Plutone, il dio degli inferi, con un folta barba e con una corona d’alloro. Davanti al

carro si riconosce il dio Hermes (Mercurio), messaggero degli dei e incaricato di introdurre i defunti dell’Ade. Sulla parete di fondo di questo ambiente si apre una porta in marmo finemente decorata che dà accesso a una camera sepolcrale nella quale sono state ritrovate ossa umane: il disordine in cui esse si trovano, che ne rende difficile l’attribuzione, è secondo gli esperti conseguenza della violazione della tomba da parte di trafugatori e dei terremoti.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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PERSONAGGI STRAORDINARI

Pedro de Valdivia il conquistador del Cile Con un manipolo di soldati, nel 1540 il capitano dell’Estramadura si impossessò del territorio sudamericano, ma tre anni dopo dovette soccombere in un’imboscata degli indios

C

ompiuti i 40 anni, Pedro de Valdivia, originario dell’Estremadura, aveva già intrapreso una lunga serie di imprese per la corona spagnola. La sua precoce carriera di soldato lo aveva portato a partecipare nel 1525 alla battaglia di Pavia (episodio chiave delle Guerre d’Italia, nella quale il re di Francia Francesco I fu fatto prigioniero dagli Spagnoli dell’Imperatore Carlo V), e al Sacco di Roma, avvenuto nel 1527. Più tardi andò in America, inizialmente in Venezuela e poi in Perú, dove si unì a Francisco Pizarro nelle sue campagne contro l’Impero inca.

Nominato capitano, Valdivia affiancò Pizarro nella guerra civile che scoppiò in Perú fra i conquistadores. Nel 1538 fu lui a portare lo stendardo reale nella battaglia di Las Salinas, dove fu sconfitto il grande rivale di Pizarro, Diego de Almagro, che venne giustiziato immediatamente.

Completamente dedito al servizio del re, leale ai suoi capi e molto rispettato dagli uomini che comandava, Valdivia aveva grandi ambizioni, come molti altri conquistadores dell’epoca.

Egli stesso scrisse che era

Un soldato fra due continenti 1497 Valdivia nasce nella cittadina dell’Estremadura Villanueva de la Serena, da una famiglia di uomini al servizio della monarchia.

1540 Pizarro concede a Valdivia di intraprendere la conquista del Cile.

Questi fonda Santiago a valle del fiume Mapocho.

1546-1547 Valdivia viene attaccato dai Mapuche nel golfo di Arauco. L’anno seguente viene nominato governatore.

1550 Il governatore organizza una spedizione nel sud per fortificare e colonizzare il territorio dei Mapuche.

LOREM IPSUM

Nel corso di un attacco dei Mapuche, Valdivia viene catturato. Gli indios lo torturano e infine lo decapitano.

PHOTOAISA

1553

suo desiderio«lasciare memoria e fama» con una grande scoperta. Fu appunto la cattura e la morte di Almagro che gliene offrì l’opportunità. Nel 1535, questi aveva intrapreso una spedizione a sud di Cuzco, attraverso il deserto di Atacama.

La storia lo ricorda perciò come lo “scopritore” del Cile, ma la sua impresa risultò un fallimento, poiché gli uomini della spedizione tornarono dimezzati e senza aver trovato l’oro che cercavano. Lungi dallo scoraggiarsi, Valdivia ottenne da Pizarro l’autorizzazione per intraprendere la conquista del territorio a sud del Perú.

Cospirazioni e ribellioni Valdivia stesso dovette finanziare l’impresa. «Mi assunsi l’incarico e i costi per trovare la gente, sostenni le spese necessarie alla spedizione e mi indebitai», dirà più avanti. Nel gennaio del 1540 lasciò Cuzco con dodici spagnoli e cento indios yanaconas.

Lo accompagnava anche la sua amante, Inés Suárez, donna agguerrita e astuta che fingeva di essere la sua cameriera.

Durante il viaggio si unirono a loro diverse decine di conquistadores, fra cui Pedro Sancho de la Hoz, un ricco

Inés Suárez, l’amante di Valdivia, tagliò la testa di sette cacicchi catturati dopo un attacco a Santiago STATUETTA MAPUCHE DI ANDESITE. MUSEO REGIONALE DI ARAUCANIA, TEMUCO.

10 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

UN UOMO IMPLACABILE IN GUERRA GLI STORICI affermano che Val-

divia era di media statura, dai modi affabili e di carattere deciso. Aveva una buona cultura, come rivelano le lettere che inviava al monarca spagnolo.

Non fu né il più avaro né il più sanguinario fra i conquistadores spagnoli del XVI secolo. Evitava volentieri le situazioni in cui avrebbe dovuto imporre con la forza la propria autorità, come per esempio contro gli Spagnoli cospiratori. Ma sul campo di battaglia agiva senza indugio, come i Mapuche provarono sulla propria pelle.

INCISIONE RAFFIGURANTE IL FONDATORE DI SANTIAGO DEL CILE, PEDRO DE VALDIVIA, CON L’ARMATURA DA CAPITANO GENERALE (1892).

PERE ROTGER / ACI

colono che aspirava al comando dell’impresa e presto iniziò a cospirare contro Valdivia, progettandone anche l’uccisione. Informato di questi intrighi, Valdivia arrestò Sancho e i suoi seguaci e lo portò con sé tenendolo sotto stretta vigilanza. Nel 1548 Sancho organizzò una ribellione e un luogotentente di Valdivia, in sua assenza, lo arrestò e lo giustiziò.

Una nuova città Dopo la durissima traversata del deserto di Atacama, nel dicembre del 1540 Valdivia e i suoi compagni, circa

150 in tutto, giunsero nella valle del fiume Mapocho, 2.400 chilometri a sud di Lima. Lì decisero di fondare una nuova città che chiamarono, in onore del patrono di Spagna, Santiago del Nuevo Extremo, l’attuale Santiago del Cile. L’esordio della nuova fondazione non fu dei più semplici.

Per potersi alimentare i coloni dovettero trasformarsi in contadini: «Tutti abbiamo scavato, arato e seminato quando dovevamo farlo», ricorderà Valdivia, ma non fu abbastanza per evitare la fame. La prima causa delle loro difficoltà erano gli indigeni

della regione, che fecero sparire il bestiame e i raccolti per privare gli invasori dei mezzi di sostentamento. Inoltre si verificarono anche diversi attacchi da parte degli abitanti del luogo.

In breve tempo Santiago venne assaltata e saccheggiata dagli indios picunche. «Uccisero 23 cavalli e quattro cristiani e bruciarono tutta la città, il cibo, i vestiti e ogni tenuta. Ci sono rimasti gli stracci che avevamo in guerra e le armi che portavamo con noi», scrisse il conquistador.

Gli Spagnoli ricostruirono la città, questa volta usando mattoni invece STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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CHRISTIAN HANDL / AGE FOTOSTOCK

PERSONAGGI STRAORDINARI

LA CATTEDRALE DI SANTIAGO

del Cile. Dopo aver fondato la città, Valdivia ordinò la costruzione di una basilica nella Plaza de Armas. Quella attuale risale al XVIII secolo.

che legno e paglia. Quando gli indios ritornarono ad attaccarla, Inés Suárez decapitò sette cacicchi catturati da Valdivia e ne espose le teste per spaventare gli assalitori.

L’arrivo di viveri e rinforzi da Cuzco migliorò la situazione a Santiago, e Valdivia potè proseguire la sua esplorazione verso sud con l’obiettivo di

raggiungere lo stretto di Magellano.

Nel 1546 organizzò una spedizione con 60 uomini a cavallo e 150 portatori indios raggiungendo il golfo di Arauco, 500 chilometri a sud di Santiago. Lì furono attaccati a sorpresa da migliaia di indios che si dimostrarono particolarmente temibili. «Ci vennero addosso tre squadroni di indios, più

UN POPOLO GUERRIERO SPESSO i Mapuche sono stati paragonati agli Spartani per il loro spirito guerriero. Sin da bambini imparavano a usare lance e bolas (fionde) e in battaglia dimostrarono notevoli capacità strategiche. Un secolo prima dell’arrivo degli Spagnoli, combatterono con i potenti Inca e li obbligarono a ritirarsi a nord del fiume Bio-Bio.

12 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Governatore di Santiago

PHOTOAISA

PEDRO DE AVENDAÑO E IL CAPO MAPUCHE CAUPOLICÁN. NEL 1558.

di ventimila, con tanto strepito e tanto slancio da sembrar sprofondare nella terra, e iniziarono a combattere strenuamente. In trent’anni di guerre con diverse nazioni, mai vidi una tale tenacia in battaglia come quella che loro ebbero contro di noi», ricorderà in seguito Valdivia.

Nonostante avessero respinto l’attacco, gli Spagnoli decisero di ritirarsi a Santiago. Erano arrivati al fiume Bio-Bio, la frontiera del territorio degli indios mapuche, che gli Spagnoli chiamarono Araucanos (Araucani).

Fu il primo scontro con un popolo che per tre secoli opporrà una resistenza feroce contro i coloni europei.

Nel 1547, Pedro de Valdivia intraprese un viaggio in Perú in cui ottenne di essere riconfermato come governatore e Capitano Generale del Cile, anche se i suoi nemici convinsero il vicerè

FONDATORE DI CITTÀ

MAPPA DI LA SERENA,

città fondata nel 1543 da Juan Bohón su mandato del governatore Pedro de Valdivia. Inizi del 1713.

DURANTE LE SUE CAMPAGNE,

Valdivia fondò diverse città oggi ancora esistenti in Cile: Concepción, La Serena (in ricordo della sua regione natale in EstremaCUZCO dura), La Imperial, Valdivia. Santiago ARICA venne fondata il 12 febbraio 1541, in seguito a ciò il nuovo municipio nominò Valdivia COPIAPÓ capitano generale LA SERENA e governatore.

SANTIAGO

Tucapel 1553

PRISMA / ALBUM

CARTOGRAFÍA: EOSGIS

CONCEPCIÓN

INGRANDIMENTO

La Gasca affinché gli imponesse una dolorosa condizione: separarsi dalla sua “emancipata” Inés Suárez, che di lì a poco si sposò con un altro conquistador. Nuovamente a Santiago, nel 1550 il fiero governatore organizzò una nuova spedizione verso sud, al fine di fortificare e colonizzare il territorio dei Mapuche.

Questi ultimi cercarono di respingere con la forza gli invasori, riunendo un gran numero di uomini, ma la superiorità dell’armamento europeo era palese; a corazze, archibugi e cavalli (sconosciuti in America), gli indigeni opponevano lunghe lance, mazze e frecce con punte di pietra.

Così il primo grande scontro, ad Andalien (1550), si concluse con la morte di circa 1500-2000 indios contro un solo spagnolo; ai 200 prigionieri per rappresaglia fu tagliato il naso.

Mentre la situazione per i Mapuche sembrava volgere al peggio, alla loro

guida si pose un combattente che riuscì a conseguire importanti vittorie.

Si chiamava Lautaro, aveva appena vent’anni e aveva trascorso gran parte della propria vita come paggio a servizio di Valdivia dopo essere stato catturato dagli Spagnoli. Ciò gli aveva permesso di apprendere le tecniche di guerra europee, inclusa la monta a cavallo. Stanco delle brutalità commesse sul suo popolo, Lautaro era fuggito ed era stato eletto capo.

Una terribile fine Nel 1553, i Mapuche distrussero un forte spagnolo a sud del Bio-Bio, dopo aver messo in fuga le guardie. Valdivia raggiunse il luogo, Tucapel, con 42 soldati e un contingente di indios yanacona, con l’intenzione di ricostruire la fortezza, ma mentre attraversava un bosco si ritrovò circondato da migliaia di Mapuche. Lautaro li aveva organizzati in gruppi compat-

ti e li spinse a diverse riprese contro i conquistatori. Impossibilitati a recuperare fra un assalto e l’altro, tutti gli Spagnoli furono massacrati: solamente Valdivia e un frate vennero catturati vivi.

Gli storici affermano che Valdivia venne giustiziato solo dopo aver subito terribili torture. Secondo il conquistador e cronachista Alonso de Góngora Marmolejo, gli indios lo condussero sulle sponde di un lago, con delle conchiglie gli tagliarono i muscoli delle braccia dal gomito al polso, poi li fecero cuocere e li mangiarono. Infine, lo decapitarono.

SERGIO PINTO STORICO

Per saperne di più

TESTI

Cartas de Valdivia J. T. Medina. Siviglia ,1929.

ROMANZI

Inés dell’anima mia I. Allende. Feltrinelli, Milano, 2006.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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SAN GIORGIO E DIOCLEZIANO.

Questo affresco nell’oratorio di San Giorgio, a Padova, mostra il santo di fronte all’imperatore, che lo fece giustiziare poiché si rifiutò di perseguitare i cristiani. XIV secolo.

DEA / GETTY IMAGES

Anno 305: Diocleziano rinuncia all’impero Dopo più di vent’anni di governo, Diocleziano abdicò solennemente a Nicomedia da tutti i suoi poteri e si ritirò nel suo palazzo-fortezza di Spalato, nell’attuale Croazia

L

’abdicazione di Diocleziano nell’anno 305 è un evento unico nella storia dell’Impero romano. Nessun altro imperatore prima di lui aveva abbandonato il potere di propria volontà, per riposare nei suoi ultimi anni e morire in pace. Successivamente, solo l’abdicazione di un altro imperatore, Carlo V, nel 1556, avrà conseguenze simili. Come sarebbe accaduto al sovrano spagnolo, anche Diocleziano rinunciando all’incarico pose fine a un lungo regno –22 an-

14 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ni– che aveva portato grandi cambiamenti. Acclamato imperatore a 40 anni, questo soldato dalle origini oscure, nato nella città illirica di Salona, aveva dovuto fronteggiare una situazione assai critica: nei dieci anni precedenti, sul trono imperiale si erano avvicendati numerosi imperatori che erano stati eliminati con congiure di palazzo; all’interno, l’impero era minato dall’instabilità politica e da una grave crisi economica; ai confini orientale e occidentale premevano le popolazioni barbariche, e numerosi

tentativi di rivolta minacciavano l’unità dell’Impero. Diocleziano conseguì importanti risultati militari: i suoi trionfi sui campi di battaglia in Persia, Britannia, Africa, Egitto e sui confini tracciati dal Danubio erano soggetto di molte celebrazioni.

Inoltre intraprese riforme fondamentali nell’obiettivo di dare stabilità all’Impero: fra queste, una riorganizzazione amministrativa delle province, una riforma monetaria e un nuovo sistema fiscale. Alla fine del 303, Diocleziano, che come imperatore

L’EVENTO STORICO

L’Impero romano all’epoca di Diocleziano (284-305 d.C.)

Eboracum (York)

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Territori governati da:

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Diocleziano ASIA Diocesi (province) Massimiano Capitali: Galerio dei tetrarchi Costanzo Cloro delle diocesi

Treviri

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CARTOGRAFIA: STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC / BLAUSET

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d’Oriente risiedeva abitualmente a Nicomedia –l’attuale Izmit, sulla costa del mar di Marmara, in Turchia–, assistette a Roma alle celebrazioni del suo ventesimo anno di reggenza: dai tempi di Marco Aurelio, nessun altro imperatore era riuscito a mantenere il potere per un così lungo periodo e con esiti tanto favorevoli. A Roma aveva fatto costruire le più grandi terme mai edificate nella città, estese su una superficie di 13 ettari e con una piscina di 3500 metri quadrati. L’imperatore appariva sempre in pubblico in un contesto di grande sfarzo, che creava una distanza incolmabile fra lui e i sudditi. Vestito con tuniche di seta ricamate in oro e di splendidi gioielli, si presentava come discendente di Giove, una remota e quasi intangibile figura paragonabile a una divinità. Lo accompagnava una legione di burocrati e soldati, e per avvicinare la sua persona era necessario rispettare un elaborato protocollo, che comprendeva la genuflessione.

LA DIVISIONE DELL’IMPERO DIOCLEZIANO CREÒ nel 293 la tetrarchia, che avrebbe dovuto re-

golamentare la successione imperiale. L’Impero venne diviso in quattro parti, ognuna delle quali era governata da un Augusto e un Cesare. Diocleziano era l’Augusto d’Oriente, e Galerio il Cesare dei Balcani; Massimiano era l’Augusto d’Occidente, e Costanzo Cloro il Cesare in Gallia e Gran Bretagna.

L’abbandono del potere L’imperatore non amava Roma. Il popolo dell’Urbe godeva di una grande libertà di parola e indirizzava ai governanti canzoni e invettive. Diocleziano ne fu oggetto e, temendo una rivolta, decise di abbandonare la città e di fare ritorno a Nicomedia. Si mise in viaggio nel periodo più rigido dell’inverno, e il freddo e le piogge aggravarono i problemi di salute di cui già soffriva.

Al suo arrivo si chiuse nel suo palazzo, mentre il popolo pregava per una rapida guarigione e si diffondeva il panico

di fronte alla possibilità che potesse morire. Quando alla fine si presentò di fronte alla sua corte, era quasi irriconoscibile. Alcuni interpretarono la malattia dell’imperatore come un castigo divino, poiché un anno prima aveva promulgato un editto contro i cristiani e aveva ordinato che venissero perseguitati.

Diocleziano si era reso conto che l’Impero romano era troppo grande per essere governato da un solo uomo, perciò affidò il controllo della parte occidentale dell’Impero a uno dei suoi generali, Massimiano, che prese il titolo di Augusto e pose la sua residenza a Treviri. Poi cercò di risolvere il

problema della successione stabilendo che i due Augusti scegliessero la persona che avrebbe dovuto succedergli, che prendeva il titolo di Cesare: perciò, nel 293, Diocleziano scelse come Cesare Galerio, mentre Massimiano scelse Costanzo Cloro. Convinto di aver introdotto le misure necessarie per assicurare la pace, l’imperatore prese la decisione di abbandonare il potere, e costrinse Massimiano a fare altrettanto. La cerimonia di abdicazione venne formalmente celebrata nell’anno 305 in una grande piazza a Nicomedia. Diocleziano si alzò dal suo trono di fronte alla folla, manifestò il desiderio di ritirarsi, si spogliò della

Diocleziano appariva sempre in un contesto di grande sfarzo e amava presentarsi quale “discendente di Giove”, come una divinità SC

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MONETA D’ARGENTO CON L’IMMAGINE DI DIOCLEZIANO CHE SACRIFICA AGLI DEI. IV SECOLO. A,

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STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’EVENTO STORICO

BERTRAND RIEGER / GTRES

VISTA DELL’INTERNO del palazzo di Diocleziano a Spalato.

Il complesso era completamente fortificato e poteva arrivare a ospitare fino a 9000 persone.

toga imperiale e, salito su una sem- sull’Adriatico: camminando sotto una plice carrozza coperta, lasciò la città. lunga galleria porticata, l’imperatore Non sarebbe più apparso in pubblico. poteva scorgere in lontananza qualsiasi nave si avvicinasse. Al suo interIl palazzo dell’imperatore no, il complesso palaziale combinava la Nei pressi di Salona, Diocleziano stava grandiosità di una prospera città meda tempo facendo costruire un palazzo diterranea, con grandi strade porticate difeso da grosse mura e con impo- ed edifici patrizi, con l’eleganza di una nenti torri a custodire l’ingresso del fastosa villa imperiale adorna di mecomplesso, che su un lato si affacciava ravigliosi mosaici. Operai e artigiani

CONTRO I CRISTIANI DIOCLEZIANO perseguitò il cristianesimo, consideran-

dolo un pericolo per lo Stato. Nel 302, ad Antiochia, fece tagliare la lingua e giustiziare il diacono Romano, colpevole di essersi pubblicamente espresso contro la pratica dei sacrifici. Fra il 302 e il 304, Diocleziano promulgherà quattro editti contro i cristiani.

BUSTO DI DIOCLEZIANO. MUSEO DELLE ANTICHITÀ, ISTANBUL. E. LESSING / ALBUM

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provenienti da ogni parte dell’impero avevano lavorato affinché tutto fosse pronto per l’arrivo dell’imperatore.

Diocleziano non aveva badato a spese: la maggior parte degli edifici più prestigiosi del palazzo era rivestita con la pietra calcarea delle cave della vicina isola di Brazza, di un bianco abbagliante e puro, ed erano state importate numerose colonne strappate ai templi egizi, marmi greci del Proconneso e di Caristo, oltre a lastre di porfido e di granito che arrivavano dalle cave di Assuan e dai giacimenti sulle coste del mar Rosso. Tutti questi materiali vennero a costituire la decorazione dei peristili e dei portici monumentali del complesso palaziale. Per custodire quello che sarebbe poi diventato il Mausoleo di Diocleziano, vennero collocate tre sfingi

Il palazzo-città di Diocleziano a Spalato CONCEPITO come un accampamento militare, il palazzo di Spalato misura 180 per 215 metri.

Era attraversato da due vie protette da tre porte fortificate e aveva una torre su ogni angolo.

Porta Aurea

Tempio di Giove Mausoleo dell’imperatore. È un ottagono a cupola con nicchie al suo interno, circondato da un colonnato esterno.

Sezione nord.

Qui si trovavano la guarnigione militare, le botteghe e gli uffici.

poggiate su basamenti incisi con testi in scrittura geroglifica che ricordavano le vittoriose campagne condotte dai faraoni. Il villaggio fortificato che era intorno al palazzo sarebbe poi divenuto la città di Spalato.

Fronte marittimo.

Il lato affacciato sul mare era percorso da una lunga galleria di colonne coperta.

e Galerio, divenuti Augusti, avevano nominato i due nuovi Cesari, Flavio Valerio Severo e Massimino Daia. Nel 306, morto Costanzo Cloro, Galerio non riconobbe l’autorità di Flavio Valerio Severo, mentre nel frattempo Massenzio, figlio di Massimiano, si Una fine amara proclamò imperatore a Roma. Ne deNonostante fosse circondato dal lusso, rivò un lungo periodo di guerre civili Diocleziano amava vivere in sempli- che si concluse con la vittoria del figlio cità. Come riferisce lo storico romano di Costanzo Cloro, Costantino. del IV secolo Sesto Aurelio Vittore, Tutte queste vicende amareggiaquando uno dei suoi successori lo rono Diocleziano, che, pur sollecitapregò di tornare al potere, gli rispose: to, non si lasciò coinvolgere. La data «Vorrei che potessi vedere gli ortaggi della sua morte, avvenuta per malattia che crescono nel mio palazzo e che all’età di 70 anni circa, non è certa e curo con le mie stesse mani! Non mi oscilla tra il 313 e il 316. Intorno alla avresti sicuramente fatto una simile sua fine sono fiorite molte leggende: proposta». Gli anni a venire furono secondo alcuni autori, spaventato dalla però contrassegnati da disordini e successione degli eventi si sarebbe da un’aspra lotta per la successione: lasciato morire di fame o si sarebbe dopo l’abdicazione di Diocleziano e tolto la vita; secondo la storiografia Massimiano, in base al sistema della cristiana, sarebbe morto fra grandi softetrarchia i due Cesari, Costanzo Cloro ferenze, convertendosi. E proprio nel

Residenza imperiale.

Situata nella parte sud del palazzo, era la zona privata. Vi si accedeva attraverso un ampio vestibolo con cupola.

AKG / ALBUM

Porta di Ferro.

Era la porta d’ingresso a ovest.

Dal lato opposto, la Porta d’Argento; era l’ingresso est.

313 l’imperatore Costantino, divenuto cristiano, avrebbe emanato l’editto che concedeva la libertà di culto.

Per ironia del destino, il mausoleo dell’ultimo grande persecutore dei cristiani è ora la cattedrale di Spalato; e la stessa città si è ampliata fino a nascondere le vaste strutture palaziali fra case, mercati e chiese.

Rimane ancora però il ricordo di questo imperatore, grande conoscitore dell’animo umano e delle sue debolezze, e che forse per questo preferì prendersi cura del suo giardino piuttosto che tornare al potere.

JUAN PABLO SÁNCHEZ DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA

Per saperne di più

SAGGI

Diocleziano Umberto Roberto. Roma, Salerno Editrice, 2014.

Declino e caduta dell’Impero romano Edward Gibbon. Mondadori, Milano, 2012.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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V I TA Q U OT I D I A N A

Corruzione e malversazione nel XVII secolo Nell’Europa dell’Ancien Régime, favoriti, segretari e funzionari si suddivisero favori e lucrarono tramite le loro cariche soffocasse la tentazione di appropriarsi dei denari pubblici. Solo a partire dal XIX secolo, con il consolidamento dei regimi liberali, prese forma un ambito giuridico che perseguì tali pratiche in modo sistematico.

Vite di lusso e opulenza

La ragione per la quale la corruzione non era particolarmente mal vista è da ricercare nelle caratteristiche delle società e degli Stati dell’Ancien Régime.

Da un lato, nelle monarchie assolute i re non rendevano conto a nessuno e disponevano liberamente dei fondi LOREM IPSUM dccus PIERRE SEGUIER, nominato pubblici per retribuire i servizi della et quis est as cancelliere nelandis 1635,ut fu uno burocrazia crescente o ricompensafugitatur asgpiù quipotenti dempost degli uomini re generosamente i loro fedelissimi, experovit ipitinverum di Francia all’epoca di Luigi XIII. harume duntiusam aut 1660.

Dipinto di Charles LeetBrun. specie i favoriti e i ministri, uomini di fiducia dei re che si incaricavano del governo e che ricevevano in cambio ingenti elargizioni.

Qualsiasi personaggio influente, dioso. Le classi sociali più ricche e priinoltre, era costretto a mantenere un vilegiate –l’aristocrazia, la borghesia tenore di vita estremamente dispen- nobilitata o l’alto clero– dovevano sostenere spese enormi per conservare il loro prestigio sociale. Quando qualche appartenente a questi ceti raggiungeva una carica politica elevata era costretto a condurre una vita lussuosa, e allo NEL 1609 FILIPPO III condannò il suo ministro stesso tempo era obbligato a retriPedro Franqueza «a essere privato per sempre buire familiari e amici per dare anche della carica di Segretario di Stato e a perdere a loro uno status sociale adeguato. qualsiasi altra ricompensa e favore abbia da me Tutto ciò rende estremamente comricevuto, ricompense che deve ora restituire alla plicato distinguere, nel comportaReal Hacienda e alla Camera». mento di un ministro, la cupidigia PEDRO FRANQUEZA, SEGRETARIO DI STATO DI FILIPPO III. INCISIONE. 1655. personale dalla necessità sociale che la sua carica implicava.

ORONOZ / ALBUM

FINE DI UN CORROTTO

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FINE ART IMAGES / AGE FOTOSTOCK

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el corso dell’Età Moderna, quando un politico cadeva in disgrazia in genere accadeva perché aveva perduto il favore del monarca o l’influenza politica; raramente per le irregolarità economiche che poteva aver commesso, ciò che oggi chiamiamo corruzione. In Europa ci volle molto tempo perché si consolidassero i principi minimi di onestà nell’amministrazione del denaro pubblico. Di certo già nel Medioevo, all’interno dei grandi monasteri si stabilirono regole sulla corretta gestione del patrimonio degli ordini religiosi, e la dilapidazione da parte dell’amministratore iniziò a essere stigmatizzata come comportamento non virtuoso, che causava danno alla comunità. Queste obiezioni morali alla cattiva amministrazione economica si trasferirono a poco a poco sugli ufficiali dell’erario delle monarchie, ma non venne creata una codificazione legale minuziosa che

V I TA Q U OT I D I A N A

La giustizia, quindi, interveniva raramente nei casi di corruzione, ma in cambio non mancavano critiche e denunce per gli scandali ricorrenti.

Gli esempi sono innumerevoli. Nella Spagna del Siglo de Oro fece scalpore il malcostume di Francisco de Sandoval y Rojas (1552-1623), duca di Lerma, ministro di Filippo III. L’uomo più potente del regno ammassò un’ingente fortuna personale grazie a malversazioni, frodi contabili, nepotismo e con le speculazioni urbanistiche che portò a compimento approfittando del traferimento della corte da Madrid a Valladolid.

Molto celebri furono anche i casi di

La piaga dei giudici prevaricatori NELL’ANCIEN RÉGIME, la corruzione non riguardava soltanto i po-

litici, ma anche i giudici, che si prestavano con grande facilità ad accettare denari sottobanco per emettere sentenze favorevoli all’una o all’altra parte nei processi. Un giureconsulto spagnolo, Jerónimo Castillo de Bovadilla, non nascondeva la propria INDIGNAZIONE: «Non si ritiene brutto nella funzione pubblica propendere per volontà verso gli uni o gli altri; e non si considera che, con questa propensione della VOLONTÀ, si perdono ragione e libero arbitrio per poi non fare

giustizia, perché la ragione rimane cieca e obbligata a consigliare sempre quello che vede la volontà comprata». E concludeva: «Abbiamo visto più DEVASTAZIONE in una terra dove sia stato uno di questi giudici che dopo un’invasione di cavallette o di eserciti nemici».

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V I TA Q U OT I D I A N A

ALLA LUCE DEL SOLE

GOVERNATORE E COMMENDATORE SI DIVIDONO IL DENARO IN PERÚ. CRONACA DI POMA DE AYALA.

altri seguaci di Lerma, come Rodrigo Calderón, marchese di Siete Iglesias, sul quale il duca riuscì a far ricadere le proprie colpe e che fu decapitato dopo un processo nel 1621, o il catalano Pedro Franqueza, conte di Vilallonga. Anche il figlio di Lerma, il duca di Uceda, che succedette al padre come favorito del re, fu coinvolto in scandali di questo genere. Tutto ciò finì quando i Sandoval persero influenza a corte con la salita al trono di Filippo IV. Il nuovo favorito, il conte di Olivares, appoggiò un processo che condannò il duca di Lerma a pagare all’erario

LEEMAGE / PRISMA

ARNAUD CHICUREL / GTRES

ORONOZ / ALBUM

IN SPAGNA E AMERICA giudici e governatori, alla fine del loro mandato, erano sottoposti al “giudizio di residenza”. Un magistrato si trasferiva sul posto e pubblicava un bando nel quale invitava a presentare lamentele e denunce contro l’ufficiale per abusi o atti di corruzione. L’indagine durava 30 giorni.

IL PALAZZO DI VAUX-LE-VICOMTE, DI PROPRIETÀ DI NICOLAS FOUQUET, INTENDENTE DI LUIGI XIV, CHE FU ARRESTATO NEL 1661 CON L’ACCUSA DI MALVERSAZIONE DI FONDI PUBBLICI.

reale 72.000 ducati all’anno, a cui si ag- mediante la creazione di nuovi tributi giungevano gli arretrati per i vent’anni e la vendita di franchigie, oltre a racdurante i quali era stato il favorito del re. cogliere denaro sottobanco. Nel 1621, il Parlamento inglese aprì un’indaCorruzione senza confini gine su di lui, dopo numerosissime In Inghilterra, un uomo potente im- denunce, ma il duca ne uscì indenne. plicato in casi di corruzione fu George Le responsabilità ricaddero su un altro Villiers (1592-1628), primo duca di protetto del re, il filosofo Francesco Buckingham. Ebbe una carriera fol- Bacone, all’epoca Lord cancelliere del gorante alla corte di Giacomo I, con Tesoro, che fu immolato al posto di il quale si diceva avesse una relazione Buckingham. Bacone perse i propri sentimentale, e si rese indispensabile incarichi, fu messo al bando e dovette anche per il successore di Giacomo, versare pesanti somme. Vittima degli Carlo I. Il duca accumulò un patri- intrighi di corte, Buckingham finì per monio personale enorme approfit- essere assassinato nel 1628, ma poiché tando delle proprie responsabilità, era molto abile a poroteggere il proprio nome, la sua onorabilità non fu scalfita ed egli fu il primo inglese non La regina Anna d’Austria appartenente alla famiglia reale a essere sepolto nell’abbazia di Westminster, si lamentava della «sordida accanto a Giacomo I. avarizia» di Mazzarino L’esempio per eccellenza delle relazioni pericolose fra ricchezza e potere, MAZZARINO PERDE MONETE MENTRE FUGGE. INCISIONE DEL 1651. tuttavia, è la Francia del XVII secolo.

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Ministri senza mani affinché non rubino I MORALISTI DEL XVII SECOLO parlarono spesso del problema della corruzione. Diego Saavedra Fajardo

dedicò al tema il capitolo 53 della sua popolare opera Empresas políticas (1640), in cui commenta un tipico emblema barocco con l’immagine di un giardino e il motto «Custodiscono e non prendono». appresentavano così, i tebani, l’integrità dei ministri, principalmente di quelli di giustizia: con una statua senza mani, perché queste sono simbolo di avarizia quando sono chiuse e di essa strumenti quando sono sempre aperte per ricevere. Lo stesso è rappresentato in codesto giardino, ove sono poste agli inizi dei viali statue senza braccia. Non vi sono guardie migliori di queste, con occhi per vigilare su fiori e frutti e senza braccia per non toccarli. Se i ministri fossero come codeste statue, più ricchi sarebbero gli erari pubblici e meglio governati gli Stati. [...] Non può essere ben governato uno Stato i cui ministri siano avari e bramosi, poiché come potrebbe essere giustiziere colui che spoglia i suoi simili? Come riuscirà a meritare i premi per i suoi servigi colui che si paga con le proprie mani? [...]

Nulla inquieta e agita maggiormente i sudditi che le ruberie e la corruzione dei ministri [...].

Il «tiranno in rosso», come lo chiamavano per il colore della veste cardinalizia, fu il privato più ricco mai esistito in tutto l’Ancien Régime europeo. Il suo patrimonio era pari ai fondi della Banca di Amsterdam e a quasi il sei per cento delle entrate annuali della Francia tra il 1651 e il 1660.

S può affermare che 300.000 sudditi Il potente Mazzarino francesi vissero e lavorarono soltanto Il politico di spicco dell’epoca, il car- per arricchire il cardinale. Mazzarino dinale Giulio Mazzarino (1602-1661), fece del patrimonio del regno la propria primo ministro di Francia, è passato alla fortuna, a dispetto di tutte le critiche storia per la sua proverbiale cupidigia. verso la sua persona e dei sospetti sulla Secondo la regina Anna d’Austria, l’a- sua gestione. Accumulò un’immensa vidità del favorito sembrava non avere fortuna, ma anche una biblioteca che limiti: «Non abbandonerà mai questa vantava 50.000 volumi e una splendida sordida avarizia? Sarà sempre insod- collezione di opere d’arte. disfatto e mai sazio di oro e denaro?».

«Era così attaccato al denaro che si Un secolo corrotto macchiò di bassezze indegne del suo In questi stessi anni, a Roma la corrurango. Vendeva tutto, cariche e benefici, zione dilagante in città e nella Chiesa e di tutto faceva commercio», scrisse ispira al pittore e poeta Salvator Rosa la satira Babilonia, dove sotto il nome un memorialista dell’epoca.

I sontuosi castelli della Loira, gioielli del patrimonio architettonico francese, furono costruiti in gran parte da potenti uomini di governo, amministratori dei tributi e del patrimonio della corona, le cui fortune nacquero dalle manovre torbide con cui gestivano cariche e benefici della monarchia.

dell’antica città biblica si cela quello dell’Urbe. Che il Seicento sia un secolo di corruzione morale e materiale è ben raccontato anche da Alessandro Manzoni nel primo capitolo dei Promessi sposi, che, narrando della dominazione spagnola a Milano, spiega come premessa di ogni sopruso siano la corruzione dei funzionari e l’inefficacia dell’apparato giudiziario, gravato da una pletora di leggi (“gride”) ridondanti e inapplicabili: «L’impunità era organizzata, e aveva radici che le gride non toccavano, o non potevano smovere».

BERNAT HERNÁNDEZ UNIVERSITÀ AUTONOMA DI BARCELLONA

Per saperne di più

SAGGI

Il malaffare: breve storia della corruzione Carlo Alberto Brioschi.

Longanesi, 2010.

Ungere le ruote - Storia della corruzione politica dal 3000 a.C. alla Rivoluzione francese J.T. Noonan jr.

Sugarco, Milano, 1987.

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TEMPIO DI AMON A KARNAK

Negli ultimi anni del suo regno, il faraone Sheshonq I portò a termine un ambizioso programma di nuove costruzioni nel tempio di Karnak.

Nell’immagine, sala ipostila, eretta da Ramses II.

Il conquistatore di Gerusalemme

SHESHONQ Nella campagna del 925 a.C. contro i regni di Israele e Giuda, il faraone di origine libica Sheshonq I conquistò e saccheggiò Gerusalemme, e inscrisse la sua grande vittoria nei muri del tempio di Karnak NÚRIA CASTELLANO

P. FRILET / CORBIS / CORDON PRESS

DOTTORE IN STORIA. MEMBRO DELLA SOCIETÀ CATALANA DI EGITTOLOGIA

DUBY TAL / ALBATROSS / AGE FOTOSTOCK

UNA CITTÀ ALLEATA

Megiddo, una cittadella cananea conquistata da Tutmosi III, fu il luogo dove, di ritorno in Egitto dopo la campagna, Sheshonq e il suo esercito fecero tappa. Lì, Sheshonq eresse una stele commemorativa.

T

C R O N O LO G I A

IL RE LIBICO D’EGITTO

perfetta per inserirsi nella successione, e fu quel che accadde. Non siamo a conoscenza delle circostanze precise, ma pare che vi fossero dei dubbi sulla legittimità del nuovo faraone, almeno a giudicare dall’insistenza dello stesso Sheshonq nel proclamare la continuità del suo regno con quello della XXI dinastia, adottando, per esempio, parte dei titoli del suo fondatore, il faraone Smendes, che ostentò, tuttavia, solo dal secondo anno del suo regno. Per via delle sue origini straniere, invece, non era ben visto dai sommi sacerdoti del dio Amon a Tebe, che lo chiamavano «gran capo dei ma» (abbreviazione di mashuash), alludendo alla sua ascendenza libica.

Da capo libico a faraone

LE CITTÀ CONQUISTATE

Durante la sua campagna in terra di Canaan, Sheshonq occupò numerose città, e fece incidere i loro nomi nel Tempio di Amon a Karnak.

Nell’immagine qui sopra, una delle incisioni.

Per porre fine a questa sotterranea resistenza del clero di Tebe, Sheshonq vi si recò immediatamente con l’esercito. Si fermò ad Abido per interrogare l’oracolo di quel luogo sacro, che lo confermò sul trono. Di questa visita si conserva parte di una stele nella quale Sheshonq è raffigurato come faraone secondo i tipici canoni estetici egizi. Solamente l’abitudine di indossare un copricapo con piume e il

945 a.C.

925 a.C.

924 a.C.

923 a.C.

Sheshonq I succede a Psusennes II sul trono d’Egitto. È il fondatore della XXII dinastia.

Il re inizia la sua campagna contro Israele. Conquista Gerusalemme e saccheggia i tesori del Tempio.

Sheshonq abbellisce il tempio di Karnak, dove incide un rilievo sulla sua vittoria.

Il faraone muore due anni dopo la sua grande conquista.

Gli succede il figlio Osorkon I.

AKG / ALBUM

Due secoli dopo l’insediamento, uno di questi capi approfittò di una crisi nella successione al trono per diventare faraone.

Sheshonq I inaugurò una nuova dinastia egizia, la XXII, e si propose l’obiettivo di riportare l’Egitto al ruolo di potenza dominante nel Vicino Oriente.

L’ascesa al trono di Sheshonq non avvenne casualmente. La sua famiglia, originaria di Bubasti, nella zona orientale del Delta, godeva di molta influenza e potere grazie, da un lato, alle relazioni che aveva intessuto con i sacerdoti di Ptah a Menfi e, dall’altro, all’accurata politica matrimoniale che la portò a imparentarsi con i faraoni.

Lo stesso Sheshonq era nipote (o forse figlio) del faraone Osorkon il Vecchio, e suo figlio, anch’egli di nome Osorkon, sposò la principessa Maatkara, figlia di Psusennes II. Questa vicinanza alla corte dei faraoni consentì a Sheshonq di diventare consigliere di fiducia di Psusennes II, l’ultimo faraone della XXI dinastia. Tutto ciò è testimoniato da una stele nella quale Psusennes lo menziona con il titolo di «il mio grande», che significava «il favorito».

Fu così che, quando Psusennes morì senza discendenti, Sheshonq si trovò nella posizione

E. LESSING / ALBUM

ra il 1180 e il 1174 a.C., il faraone Ramses III insediò nel delta del Nilo un contingente di soldati di origine libica. Questi mercenari, chiamati mashuash nei testi, erano incaricati di proteggere l’area orientale del Paese da possibili invasioni asiatiche. A poco a poco, questi gruppi formarono veri e propri principati libici attorno ai dirigenti locali, i cosiddetti «capi dei mashuash».

BRACCIALE CON L’OCCHIO UDJAT E IL NOME DI SHESHONQ I, RINVENUTO SULLA MUMMIA DI SHESHONQ II. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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YVES GELLIE / CORBIS / CORDON PRESS

PORTA MONUMENTALE DEL GRANDE TEMPIO DI AMON A TANIS, CAPITALE DELL’EGITTO DURANTE LA XXII DINASTIA, COSTRUITA DA SHESHONQ III.

a tanis, sul delta del nilo, sono state scoperte le tombe di vari faraoni della XXI e della XXII dinastia, tra le quali quelle di Psusennes I, Osorkon II e Sheshonq II, tutte individuate da Pierre Montet nel 1939. Di quella di Sheshonq I, invece, non si è trovata traccia. Del suo corredo funerario si conserva soltanto un cofanetto canopico con il suo nome, donato al Museo Egizio di Berlino nel 1891 da un privato; si pensa tuttavia che alcuni oggetti funerari di Sheshonq II appartenessero a Sheshonq I. Se la sua tomba non si trova a Tanis, potrebbe essere a Bubasti, la sua città natale, oppure a Menfi, dove, nel tempio di Ptah, il culto funerario del faraone si protrasse per qualche tempo dopo la sua morte.

PETTORALE DI SHESHONQ I RITROVATO NELLA TOMBA DI SHESHONQ II A TANIS. DUE FALCHI CON LA DOPPIA CORONA SI POSANO SU UN CIELO STELLATO SOTTO IL QUALE SI VEDE LA BARCA SOLARE PROTETTA DALLE DEE HATHOR (A SINISTRA) E MAAT (A DESTRA). ORO E LAPISLAZZULI. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.

BRIDGEMAN / ACI

LA TOMBA PERDUTA

Anche la politica estera di Sheshonq I fu piuttosto energica. Il suo obiettivo era recuperare il prestigio internazionale e l’influenza politica ed economica che l’Egitto aveva avuto nel Vicino Oriente durante il Nuovo Regno, e a tale scopo si servì sia della diplomazia sia della forza. Esempio della prima è l’alleanza che strinse con il re Abibaal di Biblos, città in cui è stata ritrovata una statua di Sheshonq alla quale il re fenicio aggiunse il suo nome.

Al contrario, in Nubia –Stato indipendente dalla metà dell’XI secolo a.C.– il faraone intraprese una campagna militare, documentata dalle iscrizioni rinvenute nel Tempio di Amon a Karnak, per assicurare il rifornimento di oro, mirra e altri prodotti esotici.

L’avvenimento che segnò il regno di Sheshonq, però, fu indubbiamente la spedizione

UN LIBICO, UN NUBIANO E UN SIRIANO. MATTONELLE DEL TEMPIO DI MEDINET HABU.

DALLA LIBIA ALL’EGITTO GLI ANTENATI LIBICI di Sheshonq I, i cosiddetti mashuash, si stabilirono in una serie di fortezze del Delta del Nilo e del Medio Egitto. Ben presto gli individui di questa popolazione persero la loro identità originaria e divennero in tutto e per tutto simili agli Egizi, come spiega un passaggio del Papiro Harris: «[Ramses III] li insediò nelle sue fortezze in modo che essi udissero la lingua egizia. Egli fece scomparire il loro linguaggio».

condotta contro i regni di Israele e Giuda. Il fatto è narrato nella Bibbia ebraica, nei libri delle Cronache e dei Re, e su una stele conservata nel Tempio di Amon a Karnak. Secondo quest’ultima fonte, l’assassinio di alcuni egizi per mano di stranieri scatenò la campagna di rappresaglia contro gli Ebrei da parte del faraone. La Bibbia, invece, ci mostra le cause del conflitto dal punto di vista ebraico. Il primo libro dei Re narra di come il profeta Achia avesse vaticinato che Geroboamo, un alto funzionario al servizio del re ebreo Salomone, avrebbe rovesciato il sovrano e regnato su Israele. Geroboamo, allora, organizzò una rivolta che fu soffocata. Per salvarsi la vita, si rifugiò in Egitto. «Salomone cercò di far uccidere Geroboamo –dice il libro–, ma egli fuggì in Egitto, dal re Sisach [Sheshonq]. Rimase là fino alla morte di Salomone» (I Re, 11:40). Dopo

IL VASO DELLE VISCERE REALI

Questo cofanetto canopico appartenente a Sheshonq I, scoperto aTanis, è l’unico oggetto che si conosca della misteriosa tomba del faraone.

BPK / SCALA, FIRENZE

Il faraone conquistatore

DE AGOSTINI

titolo di “gran capo dei ma” rendono evidenti le sue origini non egizie.

Seguendo una politica che era piuttosto consueta nella XXI dinastia, Sheshonq nominò sommo sacerdote di Amon uno dei suoi figli, Iuput, con l’intenzione di controllare la regione di Tebe. Il principe si fregiava, inoltre, dei titoli di generale in capo degli eserciti e governatore dell’Alto Egitto, riunendo nella sua persona il potere politico, religioso e militare del sud del Paese. Con il proposito di controllare le posizioni religiose e politiche più importanti, Sheshonq nominò un altro dei suoi figli, Dyedptahiuefanj, terzo profeta di Amon, e il capo di una tribù alleata chiamato Nesy quarto profeta di Amon.

All’interno di questa politica che mirava a riaffermare il suo dominio su tutto l’Egitto, Sheshonq prestò particolare attenzione a una delle zone più conflittuali del Paese, il Medio Egitto. Per governare questo territorio, ordinò la costruzione di una fortezza a Taiu-djayet (el-Hiba) e nominò comandante militare di Eracleopoli il figlio Nimlot. Suddivise gran parte delle posizioni di rilievo fra altri membri della famiglia reale e suoi uomini di fiducia, con molti dei quali strinse alleanze tramite matrimoni con principesse di sangue reale.

LA SFINGE DI SHESHONQ

CHRISTIAN DECAMPS / RMN-GRAND PALAIS

Una delle poche vestigia del regno di Sheshonq I è questa sfinge ritrovata a Tanis. In realtà, era appartenuta ad Amenemhet II, poi Merenptah e Sheshonq vi apposero i loro nomi.

IL RE SALOMONE DAVANTI ALL’ARCA DELL’ALLEANZA. DIPINTO DI NICOLAS BLAISE LE SUEUR. 1747.

la scomparsa di Salomone, Geroboamo fece ritorno nella sua terra pronto a salire al trono, ma riuscì soltanto a dividere il Paese: dieci delle dodici tribù di Israele lo accettarono come re e fondarono il regno di Israele, mentre le altre due riconobbero come re il figlio di Salomone, Roboamo, che governava nel regno di Giuda, con capitale a Gerusalemme.

Sheshonq decise di intervenire nella zona con il pretesto di portare aiuto al suo vecchio alleato Geroboamo, ma in realtà con l’intento di indebolire definitivamente gli Ebrei, che rappresentavano una forte concorrenza commerciale per l’Egitto. Attorno al 925 a.C., il faraone riunì un esercito che la Bibbia stima in circa 1.200 carri da guerra e 6.000 fanti libici e nubiani. Con questo spiegamento di forze riuscì a conquistare rapidamente le principali città del territorio ebraico.

In un’iscrizione del tempio di Karnak, realizzata per commemorare la campagna, si elencano in totale 150 città ebraiche conquistate da Sheshonq, un numero così elevato che alcuni ricercatori hanno pensato trattarsi di un’esagerazione funzionale alla propaganda politica. Tuttavia, la scoperta di nuove iscrizioni nel territorio di Israele, nelle quali è menzionata la conquista di Megiddo e di altre città, ha confermato i dati di Karnak e della Bibbia.

La stessa Gerusalemme fu posta sotto assedio, episodio del quale sappiamo solo quanto narra il secondo libro delle Cronache: «Sisach, re d’Egitto, venne a Gerusalemme e prese i tesori del tempio e i tesori della reggia, li vuotò.

Prese anche gli scudi d’oro fatti da Salomone».

In seguito, il faraone Sheshonq si diresse verso la città di Megiddo, dove fece erigere una stele commemorativa e poi tornò attraverso il monte Carmelo verso sud.

Al ritorno dalla vittoriosa campagna di Gerusalemme, Sheshonq poté dedicarsi interamente a un’altra attività che caratterizzò il suo regno: le costruzioni monumentali. Fece erigere edifici religiosi a Bubasti, sua città natale, e nel Tempio di Ptah a Menfi, ma su tutte spiccano le sue costruzioni a Karnak, dirette

BRIDGEMAN / ACI

L’attacco a Gerusalemme

IL DESTINO DELL’ARCA SECONDO IL LIBRO DEI RE, NELLA BIBBIA, nel suo attacco a Gerusalemme Sheshonq saccheggiò il Tempio e ne sottrasse i tesori, tra i quali l’Arca dell’Alleanza, il più importante per gli Ebrei. Alcune fonti sostengono che l’Arca fu nascosta a Tanis, e che Sheshonq volle che fosse sepolta con lui.

Secondo altre ipotesi, l’Arca fu distrutta durante il saccheggio di Gerusalemme a opera di Sennacherib (701 a.C.) o di Nabucodonosor ( 586 a.C.).

dal figlio Iuput. Su un portale del Tempio di Amon, il cosiddetto portico Bubastida, fece incidere i famosi rilievi della campagna di Gerusalemme, eresse una stele in prossimità del tempio costruito nel periodo del Medio Regno e allo stesso tempo fece edificare una “sala delle feste” simile a quella di Tutmosi III. Quest’ultimo, il faraone conquistatore per eccellenza, era stato probabilmente il modello che Sheshonq aveva tentato di eguagliare: le sue vittorie erano ancora vive nella memoria degli Egizi, e proprio questo Sheshonq aveva cercato di ottenere con la sua sensazionale campagna di Gerusalemme.

Per saperne di più

SAGGI

Oltre la Bibbia: storia antica di Israele Mario Liverani. Laterza, Bari, 2007.

Storia dell’antico Egitto Pierre Grimal. Laterza, Bari, 2007.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

29

LA CAMPAGNA DEL FARAONE Sul lato sud del II pilone del tempio di Karnak si trova il rilievo commemorativo

Il dio Amon domina

la scena. Sul capo ha la caratteristica corona con due lunghe piume di falco e indossa un gonnellino.

Amon offre una spada

al faraone con la mano destra e nella sinistra stringe lo scettro uas, simbolo delle divinità.

Sulla sinistra, Amon

regge anche cinque corde che proseguono dietro di lui fino a cinque file di asiatici legati per il collo e con le mani dietro la schiena, che rappresentano le città sottomesse da Sheshonq.

I nomi delle

popolazioni sottomessse sono iscritti in un ovale che accompagna le figure dei prigionieri. Tra di essi compare anche il nome della città di Gezer.

Il registro è costituito

da dieci file in cui sono stati iscritti oltre 150 nomi di città.

Sotto i piedi di Amon si trova la dea di una provincia dell’Alto Egitto, il IV nomo (Tebe), che sottomette le rimanenti cinque file di prigionieri.

NEL RILIEVO DI KARNAK

della trionfale missione condotta da Sheshonq I contro gli Ebrei

La dea avvoltoio Nekhbet, divinità tutelare dell’Alto Egitto, con l’anello shen fra gli artigli, protegge il faraone.

Sheshonq I è qui

Il faraone porta

sul capo soltanto la corona bianca dell’Alto Egitto.

rappresentato nella tipica postura del faraone che sottomette i suoi nemici, che afferra per i capelli mentre brandisce una mazza, sul punto di colpirli.

IL MISTERO DEL FARAONE ASSENTE IN QUESTA DOPPIA PAGINA si può vedere un prospetto del rilievo di

I nemici del faraone,

numerosi e dai tratti asiatici, sono raffigurati in ginocchio davanti a lui, in segno di sottomissione.

Sheshonq I a Karnak elaborato dai ricercatori dell’Istituto Orientale dell’Università di Chicago verso il 1950. Fatto piuttosto insolito, la figura del faraone è a malapena abbozzata. Alcuni hanno ipotizzato che la sua immagine sia stata cancellata da un successore o che il rilievo sia incompiuto, ma secondo gli archeologi di Chicago la figura fu modellata su qualche tipo di gesso applicato alla parete e poi colorata in modo che risaltasse sul resto della composizione.

COURTESY OF THE ORIENTAL INSTITUTE OF THE UNIVERSITY OF CHICAGO

Il re è vestito con un semplice gonnellino (shendyit) dal quale doveva pendere una coda di toro, simbolo di potenza.

LA CAPITALE MAI FINITA DELL’IMPERO PERSIANO

PERSEPOLI Palazzi sconfinati, giardini lussureggianti, porte monumentali: la nuova capitale costruita da Dario I costituì soprattutto una sede cerimonale di alta rappresentanza dei re persiani, e non fu mai terminata ALBERTO CANTERA UNIVERSITÀ DI SALAMANCA

SIMON NORFOLK / NB PICTURES / CONTACTO

L’INGRESSO DI PERSEPOLI

La Porta delle Nazioni, sulla destra della foto, fiancheggiata dai tori alati o lamassu.

Sullo sfondo si scorge la grandiosa sala delle udienze di Persepoli: l’Apadana (in fondo), con la doppia scalinata sul lato nord.

C R O N O LO G I A

La città nata come monumento 522 a.C. Dario I diventa il nuovo re di Persia dopo aver eliminato l’usurpatore del trono. Decide di costruire una nuova capitale dell’Impero: Persepoli.

513 a.C. Dario ordina di edificare l’Apadana, una grandiosa sala per le udienze nella quale il sovrano riceverà tutte le delegazioni dell’Impero.

489 a.C. Dario muore a Persepoli mentre prepara una nuova spedizione per la conquista della Grecia. Sul trono di Persia gli succede il figlio Serse I.

475 a.C. Serse prosegue i lavori di costruzione di Persepoli.

Erige la monumentale Porta delle Nazioni e l’enorme palazzo noto come Hadish.

460 a.C. Artaserse I, figlio di Serse, continua i lavori di Persepoli con nuovi edifici e completa la Sala delle Cento Colonne, iniziata dal padre.

REGALI PER IL GRANDE RE

Questo rilievo di Persepoli raffigura dignitari medi che, con i loro berretti di feltro, si recano in processione a rendere omaggio al Grande Re.

Q

358-338 a.C. BRIDGEMAN / ACI

Artaserse III sale al trono dopo la morte, in circostanze diverse, di tutti i suoi fratelli.

A lui si deve il rinnovamento architettonico di Persepoli.

330 a.C. Conquistata la città nel 331 a.C., Alessandro Magno e i suoi uomini saccheggiano e incendiano i palazzi di Persepoli.

34 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

DARIO I SUL ROVESCIO DI UN DARICO D’ORO.

uando, attorno all’anno 515 a.C., le delegazioni dei popoli sottomessi dai Persiani giunsero per la prima volta a Persepoli per rendere omaggio a Dario I nel corso delle celebrazioni per l’Anno Nuovo, la loro sorpresa dovette essere enorme. Già in altre occasioni, recandosi alla corte persiana a Pasargade o a Susa, avevano potuto ammirare edifici di straordinaria grandezza e ricchezza, ma nessuna eguagliava la nuova capitale che Dario iniziò a costruire tra il 518 e il 516 a.C. nel cuore della regione di Fars.

Il Grande Re la battezzò Parsa, dal nome del popolo persiano; in seguito, i Greci la chiamarono Persepoli, “la città di Parsa”.

Alcuni secoli dopo, quando il legame di questo complesso monumentale con i sovrani achemenidi cadde nell’oblio, la città fu associata al grande e mitico re dell’Iran, ğamšid, e ricevette il nome di Taxt-e ğamšid, “il Trono di ğamšid”, nome che si impiega ancora oggi. Nel Medioevo era chiamata sad stun, “le Cento Colonne”.

JAMES P. BLAIR / NGS

Avvicinandosi da ovest attraverso la pianura, le delegazioni potevano vedere elevarsi, dietro gli edifici di una città, un’ampia piattaforma di pietra alta 15 metri, sulla quale si innalzava il sensazionale portico dell’Apadana, la sala delle udienze dei grandi re persiani. Grazie alle sue colonne alte 20 metri, la costruzione raggiungeva in totale i 40 metri di altezza. Questo metodo ingegnoso per ottenere uno spettacolare colpo d’occhio, mai utilizzato prima, sarebbe stato replicato in seguito per alcuni templi greci sull’Acropoli di Atene e in Asia Minore. La piattaforma, che si estendeva lungo il pendio sudoccidentale del monte Kuh-e Rahmat, o monte della Misericordia, aveva dimensioni imponenti, 300 metri per 455, e ospitava monumentali edifici e splendidi giardini. Successivamente, con l’aggiunta di nuove costruzioni, i giardini diminuirono gradualmente la loro estensione, ma all’epoca di Dario I occupavano ancora la maggior parte della superficie della piattaforma. Un complesso sistema di canalizzazioni

LUSSO PERSIANO Questo rhyton (calice cerimoniale) d’oro per il vino, è un esempio del raffinato stile di vita della corte achemenide.

Metropolitan Museum, New York.

PRIS

MA

e tubi di scarico assicurava l’irrigazione, e allo stesso tempo evitava che le acque provenienti dalla montagna potessero rovinare o inondare la terrazza e le sue fondamenta.

L’arrivo delle delegazioni Alla piattaforma sopraelevata si accedeva dal lato sud. Avvicinandosi, le delegazioni vedevano una grande iscrizione in tre lingue, persiano, elamita e accadico, nella quale il Grande Re affermava i fondamenti del suo potere e ricordava alle delegazioni in arrivo che erano state sottomesse dal sovrano dopo un periodo convulso al principio del suo regno, e che dovevano rendere omaggio. Il testo diceva:«Io sono Darayavahu [Dario], il Grande Re, Re dei Re, re di molte nazioni, figlio di Vištaspa [Istaspe], discendente di Haxamaniš [Achemene]. Per la volontà di Ahura Mazda [il dio più importante dei Persiani] queste sono le nazioni di cui mi sono impossessato con l’esercito persiano, che mi temono e mi rendono tributo: Elam, Media, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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1 ENTRATA

All’epoca di Serse, si entrava a Persepoli tramite un’ampia scalinata a doppia rampa che conduceva a un piccolo cortile aperto.

9 2 PORTA DELLE NAZIONI

Questo ingresso monumentale fu eretto da Serse nel 475 a.C. Fiancheggiato da due tori alati, o lamassu, si apre sull’Apadana e sulla via processionale.

7 8

3 SCALINATA NORD

Fu aggiunta da Serse per facilitare l’accesso all’Apadana. I rilievi riprendono quelli della facciata est, raffiguranti i sudditi che recano tributi al sovrano.

4 APADANA

Dario I ne ordinò la costruzione nel 513 a.C. La grande sala delle udienze misurava 60,5 metri di lato, e il tetto era sorretto da 36 colonne alte 20 metri.

3 2 5 PALAZZO DI DARIO

L’edificio si trova accanto all’Apadana ed era per così dire l’ufficio del Grande Re (tacara).

La sala principale era sorretta da dodici colonne.

1

I MATERIALI DI PERSEPOLI

ORO E LAPISLAZZULI

P

BRITISH MU

SEUM / SCAL

A, FIRENZE

er costruire Persepoli, Dario diede ordine di reclutare i migliori specialisti di tutto l’Impero. Le tavolette in lingua elamita scoperte nel Tesoro testimoniano la presenza di lavoratori provenienti dalle regioni più remote dei domini del Grande Re: scultori egizi, fabbri cari, decoratori arrivati da Susa... Le tavolette

rivelano, inoltre, che i lavori di costruzione furono eseguiti da operai salariati e non da schiavi, e la documentazione sui pagamenti effettuati è molto abbondante.

Anche i materiali furono trasportati da grandi distanze, come era stato fatto per la costruzione del palazzo di Susa. Secondo un’iscrizione: «Il legno di cedro

venne importato da un monte chiamato Libano; gli assiri lo portarono a Babilonia, e da Babilonia i cari e gli ioni lo portarono a Susa. [...] L’oro che venne impiegato qui fu importato da Sardi e dalla Battriana. La pietra –lapislazzuli e corniola– fu importata dalla Sogdiana. Il turchese fu importato dalla Corasmia.

L’argento e il rame furono importati dall’Egitto. [...] Le colonne di pietra furono importate da una località dell’Elam chiamata Abiradush».

UN SERVO IN UN RILIEVO DI PERSEPOLI. IV SECOLO A.C. BRITISH MUSEUM.

Babilonia, Arabia, Assiria, Egitto, Armenia, Cappadocia, Lidia, gli ioni del continente e quelli del mare e le nazioni che si trovano al di là del mare: Sagartia, Partia, Drangiana, Areia, Bactriana, Sogdiana, Corasmia, Sattagidia, Aracosia, India, Gandara, gli sciti e Maka».

In un’altra iscrizione, Dario il Grande continua: «La nazione persiana che mi è stata data da Ahura Mazda, che è bella e ricca di uomini valorosi e di cavalli, non avverte timore dinanzi ad alcuno per volontà di Ahura Mazda e per volontà mia, il re Darayavahu. Che Ahura Mazda mi conceda l’appoggio suo e di tutti gli dèi. Che Ahura Mazda protegga questa nazione dall’esercito nemico, dalla fame e dalla menzogna. Che questa nazione non sia toccata né dall’esercito nemico né dalla fame né dalla menzogna. Questa richiesta io avanzo ad Ahura Mazda e a tutti gli dèi. Che Ahura Mazda con tutti gli dèi mi dia ascolto».

Atterrite e impressionate, le diverse delegazioni salivano, con i loro tributi, attraverso un’imponente scalinata che, seguendo un corridoio murato, conduceva alla Porta

I Persiani non costruirono grandi templi (il culto di Zoroastro si praticava all’aria aperta) e le loro tombe erano molto semplici. I palazzi, invece, come quello di Persepoli, erano imponenti e con caratteristiche singolari. Si prediligevano gli spazi rettangolari (come a Pasargade) o quadrati, il modello seguito a Persepoli, e si usavano molto i colonnati. Allo stesso tempo, le costruzioni si adattavano alla geografia; a Persepoli, il complesso, eretto sul pendio di un monte, si apriva a ovest, verso la pianura e il sole calante.

6 5

RICOSTRUZIONE DI PERSEPOLI ALL’EPOCA DI DARIO I, BASATA SUI DISEGNI DELLA CITTÀ E DEI SUOI PALAZZI ESEGUITI DA CHARLES CHIPIEZ ALLA FINE DEL XIX SECOLO.

4 6 IL TESORO

8 SALA DELLE 32 COLONNE

7 LE CENTO COLONNE

9 TOMBA DI ARTASERSE

Questo edificio composto da due grandi sale custodiva le immense ricchezze inviate da tutti i popoli sudditi dell’Impero.

SOL

90

/

U ALB

È il più grande dei palazzi di Persepoli ed è noto anche come Sala del Trono di Serse. È a pianta quadrata e ogni lato misura 70 metri.

M

delle Nazioni, un edificio quadrangolare di quasi 25 metri di lato sorretto da quattro colonne alte 16,5 metri e che aveva un portico d’ingresso e uno di uscita. Entrambi i portici erano adornati con enormi lamassu, divinità protettrici assire che in genere erano raffigurate con corpo di toro o leone, ali di aquila e testa umana.

Al cospetto del Grande Re

DEA / A

L B UM

Uscendo dal lato nord della Porta delle Nazioni, i delegati si trovavano di fronte alla scalinata monumentale che conduceva alla maestosa sala delle udienze, l’Apadana, l’edificio più alto fra tutti quelli della piattaforma. A Pasargade, Ciro I aveva fatto costruire una sala simile, e lo stesso aveva fatto Dario a Susa, ma la sala di Persepoli era più impressionante. È probabile che in occasione della prima visita delle delegazioni questo imponente edificio non fosse ancora stato completato, e rimase incompiuto ancora per qualche tempo.

I GIOIELLI DEL RE Nelle udienze, il re portava la kitarís o copricapo reale, lo scettro d’oro e un fiore di loto, oltre a numerosi gioielli come questo bracciale in oro con grifoni alati. British Museum, Londra.

Vi si giungeva attraversando una porta incompiuta e un cortile. Di fianco si ergevano la cancelleria e le stanze dei funzionari del re.

Artaserse III fece scavare la propria tomba sui contrafforti della montagna oltre la terrazza di Persepoli, accanto a quella del padre Artaserse II.

Sulla facciata orientale dell’Apadana si dispiegava un fregio nel quale era raffigurata con bassorilievi proprio la scena della consegna dei tributi al sovrano. Al centro, Dario I appare sotto un baldacchino, seduto in trono, con lo scettro nella mano destra e un fiore con due boccioli nella sinistra. Alle sue spalle si vede il principe ereditario, seguito dal ciambellano e dal portatore delle armi reali. Separato dal re da due incensieri, si avvicina un personaggio che gli rende omaggio, alla testa di una lunga sfilata di delegazioni di tutte le nazioni sottomesse da Dario, in totale 23, raffigurate in tre file sul lato sinistro della scalinata centrale. Ciascuna delegazione è separata da quella che la precede da un cipresso, il tipo di albero scelto per adornare i giardini della terrazza. Sul lato destro della facciata, a proteggere il re e a garantirne la sicurezza, compare l’esercito che lo sostiene sul trono e assicura la pace nell’Impero, e sono presenti anche i funzionari incaricati della sua amministrazione.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

37

VEDUTA AEREA DEL SITO ARCHEOLOGICO DI PERSEPOLI. TRA IL 1935 E IL 1936 L’ARCHEOLOGO ERICH SCHMIDT SCATTÒ DIVERSE FOTO AEREE DA UN PICCOLO BIPLANO AL FINE DI CARTOGRAFARE IL SITO.

DEPOSITO DI FONDAZIONE RINVENUTO DA KREFTER NELL’APADANA: UNO SCRIGNO DI PIETRA CONTENENTE DUE TAVOLETTE, UNA IN ORO E UNA IN ARGENTO, CON ISCRIZIONI IN PERSIANO, ELAMITA E BABILONESE.

L’ARRIVO DEGLI ARCHEOLOGI

OPERAZIONE RECUPERO

N

el 330 a.C., un incendio attribuito ad Alessandro Magno distrusse gran parte di Persepoli, ma rimasero in piedi colonne, portali, rilievi, sculture e le pareti in mattoni dei palazzi. In Europa, la prima descrizione del sito giunse nel 1473 grazie all’ambasciatore veneziano Giosaphat Barbaro. Tempeste di sabbia e ter-

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

remoti causarono nel tempo gravi danni, e il sito archeologico fu ricoperto da strati di polvere e sabbia in alcuni punti spessi anche otto metri. Si dovette attendere l’inizio del XX secolo affinché

prendessero il via gli scavi.

Nel 1931, dopo aver ottenuto il permesso del governo persiano, l’archeologo tedesco Ernst Herzfeld, già docente a Berlino della cattedra di archeologia del Vicino e Medio Oriente, iniziò gli scavi per conto dell’Istituto Orientale dell’Università di Chicago. Nel 1935, Erich Schmidt prese in carico i lavori ed effettuò il primo sopralluogo aereo su vasta scala del sito, sorvolandolo con un biplano.

TESTA DI PRINCIPE RINVENUTA A PERSEPOLI. MUSEO DI TEHERAN. 38 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Da lì, le delegazioni si dirigevano verso la grande sala delle udienze, salendo le due scalinate sul lato sud-est della facciata e accedendo poi a un portico con piastrelle decorate in modo che l’insieme sembrasse un grande tappeto di pietra. Poi, attraversando una monumentale porta in metallo, entravano nella grande sala; al centro di questa, sotto un baldacchino, si trovava il trono, sul quale il grande re sedeva, esattamente come l’avevano visto poco prima, raffigurato nei rilievi del fregio ornamentale. Tutte le delegazioni, con i loro variopinti e variegati tributi –cammelli, cavalli, oggetti d’oro, d’argento e d’avorio–, potevano essere contenute in questa enorme sala di 3.600 metri quadrati, il cui tetto era sorretto da 36 enormi colonne alte 20 metri.

Una volta presentati i tributi al re e concluse le cerimonie, alcuni dei delegati accedevano a un edificio amministrativo: il Tesoro. Questo aveva un unico ingresso, e prima di entrare ogni delegato veniva registrato in spazi destinati a questa procedura. In seguito attraversavano un lungo corridoio senza porte ai cui lati si tro-

FOTOGRAFÍAS: COURTESY OF THE ORIENTAL INSTITUTE OF THE UNIVERSITY OF CHICAGO

L’INTERNO DEL RICOSTRUITO HAREM DI SERSE FU USATO COME LABORATORIO DI RESTAURO. SUI TAVOLI SONO DISTRIBUITI NUMEROSI FRAMMENTI DI CERAMICA IN ATTESA DI ESSERE RESTAURATI.

LA SQUADRA DI HERZFELD SCAVA NEL 1933 DAVANTI ALL’HAREM DI SERSE, EDIFICIO RICOSTRUITO DALL’ARCHITETTO FRIEDRICH KREFTER E USATO COME LABORATORIO E ALLOGGIO DELLA SPEDIZIONE.

vavano i magazzini reali, dove si custodivano i tributi portati dalle delegazioni e le tavolette di creta sulle quali si registrava tutto. Alla fine del corridoio i delegati venivano ricevuti in una grande sala dai più alti funzionari dello Stato, che ritiravano e consegnavano i tributi.

I delegati di rango più elevato si dirigevano nello studio reale, o tacara, al cospetto del re.

L’ufficio era costruito su un basamento alto circa 2,5 metri, e le cornici di porte e finestre erano costituite da enormi blocchi di pietra lavorati con grande maestria; una finestra, per esempio, fu costruita usando un solo blocco di pietra di 18 tonnellate.

Il declino di Persepoli Con l’edificazione di Persepoli, che soppiantò Pasargade, la capitale in cui risiedevano i suoi predecessori, Dario aveva voluto dare lustro alla propria dinastia. Nella città morì, mentre si preparava a muovere guerra alla Grecia.

Il figlio Serse, che gli succedette, proseguì l’ampliamento di Persepoli, come pure fecero i successori, fino ad Artaserse III.

Le sorti di Persepoli mutarono nel 331 a.C., quando Alessandro Magno conquistò l’impero persiano. Mentre Dario III, l’ultimo sovrano achemenide, ripetutamente sconfitto dal condottiero macedone, si rifugiava a Ecbatana, Alessandro conquistava le altre capitali dell’impero: Babilonia, Susa e Persepoli.

Secondo una versione leggendaria dello storico Diodoro Siculo, mentre, ebbri, celebravano una processione bacchica, Alessandro Magno e i suoi compagni lanciarono delle torce sui sontuosi arazzi appesi alle enormi pareti del palazzo reale, che andò distrutto.

Persepoli sarebbe stata comunque abitata fino alla caduta dell’ultima dinastia locale, quella dei Sassanidi (651 d.C.): con la conquista islamica, la città che era l’orgoglio di Dario sarebbe stata definitivamente abbandonata.

Per saperne di più

GLI SCAVI DI PERSEPOLI

Le fotografie di queste pagine mostrano diversi momenti delle spedizioni archeologiche effettuate negli anni Trenta da Ernst Herzfeld e in seguito da Erich Schmidt.

SAGGI

Storia della Persia antica Roman Ghirshman. Einaudi, Torino, 1972.

La Persia antica Josef Wiesehöfer. Bologna, Il Mulino, 2003.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Il portico d’ingresso dell’Apadana, o sala delle udienze, di Persepoli impressionava non soltanto per le sue dimensioni, ma anche per la sontuosa decorazione.

Grazie ai resti rinvenuti durante gli scavi degli anni Trenta sappiamo che il portico vantava sgargianti decorazioni policrome.

I rilievi furono eseguiti da scultori greci provenienti dalla Ionia, ma sempre nel rispetto delle convenzioni e dello stile dell’arte persiana.

3 VEGETAZIONE

La scalinata presenta una varipinta decorazione a rilievi con palmette, fiori e alberi da frutto, che evocano i lussureggianti giardini del palazzo reale.

3

BRIDGEMAN / ACI

Nell’Apadana si innalzavano 36 colonne di 20 metri. Il fusto era scanalato o liscio e il capitello, che poteva misurare 5 metri, era diviso in tre parti: foglie, doppie volute e, alla fine, due teste di toro.

BALAGE BALOGH / ART RESOURCE, NY

1 COLONNA TAURIFORME

BRIDGEMAN / ACI

BRIDGEMAN / ACI

LA SALA DELLE UDIENZE DEL GRANDE RE

UBICAZIONE DEI PEZZI: 1 museo del louvre, parigi. 2 museo nazionale dell’iran, teheran. 3 5 e 6 persepoli.

4 british museum, londra.

2 UDIENZA REALE

Rilievo sulla facciata nord della scalinata dell’Apadana che raffigura Dario con Serse, principe ereditario, alle sue spalle, mentre ricevono il ciambellano che annuncia l’arrivo degli ambasciatori.

40 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

IL TORO E IL LEONE 4

I triangoli del pannello centrale della scalinata sono decorati con rilievi che si crede simboleggino l’Anno Nuovo: un leone che divora un toro.

Il nuovo anno persiano iniziava quando la costellazione del Leone era allo zenit e quella del Toro scompariva dietro l’orizzonte verso sud.

1 5

6 2

T. BOGNÁR / AGE FOTOSTOCK

4

PRISMA

5 PROTEZIONE DIVINA

All’ingresso dell’Apadana, come in molti altri edifici di Persepoli, si può vedere questo simbolo, forse il dio supremo Ahura Mazda o l’anima immortale del profeta Zoroastro.

GLI IMMORTALI 6

I membri del corpo d’élite dell’esercito persiano sembrano custodire la sala delle udienze. Vestivano con una lunga tunica e un copricapo scanalato e portavano come armi una lunga lancia, un arco e una faretra con le frecce.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC DEA / SCALA, FIRENZE

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ATLANTE FARNESE

il titano Atlante sostiene la sfera celeste con le costellazioni zodiacali. Copia romana di un originale greco.

II secolo d.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli.

CALENDARIO ASTROLOGICO

Calendario romano inciso su una tavoletta di marmo con i mesi rappresentati dai segni dello Zodiaco e i giorni dalle divinità corrispondenti ai pianeti. I secolo d.C.

LA CAPILLA PALATINA

El plan octogonal del templo edificado por Carlomagno en Aquisgrán recuerda el de la basílica de San Vital, erigida en el siglo VI en Ravena, capital de los dominios bizantinos en la Europa Occidental.

FOGLIA / SCALA, FIRENZE

Durante el llamado Renacimiento carolingio, entre 790 y 900, las artes vivieron un gran auge.

A la derecha, broche con perlas y piedras preciosas. Tesoro de la catedral de Aquisgrán.

DANIEL SCHOENEN / GTRES

LOS ORFEBRES CAROLINGIOS

AKG / ALBUM

La lettura delle stelle

ASTROLOGIA IN GRECIA I GRECI CREDEVANO CHE GLI ASTRI ESERCITASSERO UN’INFLUENZA DECISIVA SUGLI INDIVIDUI, E TRASMISERO QUESTA SUPERSTIZIONE AI ROMANI PALOMA ORTIZ GARCÍA DOTTORE IN FILOLOGIA CLASSICA

S

e un uomo conosce con precisione tutti i movimenti di tutte le stelle, del Sole e della Luna, così che non gli sfuggano né il momento né il luogo del loro evento [...] e se conosce la natura degli astri in conseguenza di continue osservazioni […], come non potrà prevedere in ogni occasione le caratteristiche che l’aria presenterà in base alla reciproca relazione degli astri in quel momento, se sarà più calda o più umida? E perché dunque non potrebbe stabilire le qualità del temperamento di un uomo in base alla posizione degli astri al momento della sua nascita, per esempio se è fatto nella stessa misura di materia e di spirito, e prevedere gli eventi che potranno accadergli osservando una certa configurazione degli astri, che predispongono alla prosperità, in armonia con questo temperamento, o al contrario osservandone una che causa sventure?».

ORONOZ / ALBUM

IL CIELO DI SALAMANCA

verso la fine del XV secolo, il pittore spagnolo Fernando Gallego dipinse in una sala dell’Università di Salamanca una volta stellata in cui sono rappresentati i temi astrologici.

ASTRI E DIVINITÀ

Nell’antica Side (Anatolia meridionale), sulle sponde del mar Egeo, si trovava il tempio di Apollo, che nella tarda epoca greca fu considerato il dio del Sole.

WHITE IMAGES / SCALA, FIRENZE

Sorprendentemente, chi riflette in questo modo sulle virtù dell’arte della predizione attraverso l’osservazione degli astri non è un astrologo, ma un illustre astronomo dell’antichità, Claudio Tolomeo. Ancora alla sua epoca, a metà del II d.C., a Roma, nel cuore del potere politico ed economico, e ad Alessandria, fulcro della ricerca matematica, astronomica e medica, l’astrologia e l’astronomia erano tutt’uno.

Questa scienza comprendeva la predizione sia dei movimenti degli astri, sia dei cambiamenti «nel mondo in cui gli astri girano», cioè corrispondeva a ciò che noi chiamiamo astrologia. Per questo i termini astronomia (“studio delle leggi che governano gli astri”) e astrologia (“studio degli

astri”) sono stati indistintamente usati per riferirsi allo studio dei corpi celesti. Questa scienza ha origini antichissime: era praticata almeno duemila anni prima di Cristo in Mesopotamia, poi in Egitto, e giunse in Europa attraverso i Greci.

Le radici mesopotamiche I Caldei, gli antichi abitanti di Babilonia, credevano che gli astri, così come influenzavano il tempo atmosferico e la crescita della vegetazione, esercitassero un’azione anche sugli esseri umani, e nei fenomeni celesti ricercavano indizi sull’esito delle azioni intraprese.

Mancando loro conoscenze precise sull’evoluzione dei pianeti, per i loro pronostici i Caldei osservavano le eclissi di Luna, il suo co-

LOREM IPSUM

C R O N O LO G I A

IL POTERE DEGLI ASTRI

III SECOLO A.C.

61 A.C.

Manetone ad Alessandria e Berosso presso la corte dei Seleucidi diffondono le tradizioni astrologiche orientali.

Nella sua tomba-santuario sul Nimrud-dagh, Antioco I Commagene fa rappresentare la posizione degli astri al momento dell’ascesa al trono.

CLAUDIO TOLOMEO. RITRATTO DI JUSTUS VAN GENT. XV SECOLO. MUSEO DEL LOUVRE, PARIGI.

DIGITAL COMPOSITE : AGE FOTOSTOCK

5-20 D.C.

17 D.C.

147-160 D.C.

152-162 D.C.

Marco Manilio compone gli Astronomica, un poema in cui afferma che gli astri influenzano comportamento e destino degli uomini.

In seguito a una congiura contro di lui, Tiberio ordina l’esilio degli astrologi da Roma, a eccezione di Trasillo, indovino di corte.

L’astronomo greco Claudio Tolomeo compone il Tetrabiblos, il principale trattato di astrologia dell’antichità.

Vettio Valente scrive l’Antologia, un ampio compendio delle conoscenze astrologiche della sua epoca.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

45

Relazioni sfavorevoli Due pianeti sono in quadratura quando formano un angolo di 90o e sono in opposizione quando disegnano un angolo di 180o.

Sestile, trigono, quadratura

opposizione

quadratura

PER CONOSCERE il destino non è sufficiente

congiunzione

Relazioni favorevoli Due pianeti sono in congiunzione quando la loro distanza angolare è di 0o. Sono in sestile quando formano un angolo di 60o e in trigono quando la loro distanza angolare è di 120o.

trigono

BRIDGEMAN / ACI

sestile

UN MODELLO DEL SISTEMA TOLEMAICO Una sfera armillare realizzata da Adam Heroldt nel 1648.

Secondo il sistema ideato da Tolomeo, la Terra doveva trovarsi al centro del cosmo.

46 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

lore al tramonto e quello dei pianeti che l’accompagnavano. I pronostici dei sacerdoti riguardavano in genere l’intera popolazione o i sovrani. Così, per esempio, all’osservazione «la Luna si muove e Mercurio resta fisso nella sua posizione» si dava la seguente interpretazione: «il re della Fenicia cade e il suo nemico saccheggia la sua terra».

Tolomeo spiega come a ogni Paese corrispondessero determinate influenze in base al quadrante celeste che le governava: «Britannia, Germania, Galazia [in Anatolia] e Bastarnia [attuali Moldavia e Ucraina] si apparentano a Marte, e per questo sono selvagge, arroganti e fiere… mentre l’Italia e l’Apulia, la Gallia e la Sicilia si collegano con il Leone e il Sole, e per questo sono cordiali, benefiche e cooperative… di fronte a loro, l’Etruria, il paese dei Celti e la Spagna si apparentano al Sagittario e a Giove: per questo sono indipendenti e semplici e amano la chiarezza».

I progressi nelle osservazioni astronomiche permisero ai Greci predizioni assai più ampie e diversificate. Esse attribuivano grande importanza ai pianeti e alle loro posizioni reciproche e rispetto al Sole, alla

considerare le specifiche qualità del Sole, della Luna e di ogni pianeta in relazione con il segno che occupano al momento della nascita. È necessario considerare anche le loro reciproche relazioni: gli “aspetti”, definiti dagli angoli formati all’interno del cerchio zodiacale. In questa prospettiva, il Sole, la Luna o quel dato pianeta non si trovano solo in una casa o in un segno zodiacale che gli è favorevole o sfavorevole, ma si presentano anche in aspetto favorevole (congiunzione, trigono, sestile) o sfavorevole (opposizione, quadratura) con i pianeti che si trovano in altri segni. Per gli antichi bisognava tenere in considerazione sia il significato di ciascun astro, sia la sua posizione nel sistema delle “case” e l’influenza degli “aspetti”, che potevano favorire amicizie o inimicizie tra i corpi celesti.

Luna e alle costellazioni dello Zodiaco. La più importante differenza era però che nel mondo greco le predizioni non erano riservate ai regnanti, ma venivano anche realizzate per persone comuni con la pratica della genetlialogia, che si sarebbe diffusa anche nel mondo romano.

I pianeti e lo Zodiaco Per i Greci, la Terra e il genere umano erano soggetti all’influenza degli astri: il Sole e la Luna (che erano chiamati luminarie), i cinque pianeti fino a quel momento noti (Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio) e i segni zodiacali. Questa influenza era proporzionale al loro potere, derivava dalla loro natura ed era esercitata mediante effluvi che dipendevano dalle loro posizioni rispetto allo Zodiaco e agli altri astri. I pianeti, quindi, avevano carattere e personalità peculiari, provavano simpatie e antipatie reciproche e –in base alla posizione all’interno dello Zodiaco– potevano trovarsi nella propria casa o in un territorio ostile, ciò che rafforzava o indeboliva i loro benefici o nefasti effetti e il loro potere.

G. DUPRAT / CIEL ET ESPACE / CONTACTO

L’UNIVERSO SECONDO I GRECI: LA TERRA È AL CENTRO DELLA SFERA DELLE STELLE FISSE, CON LO ZODIACO NELL’ECLITTICA.

1 . La suddivisione dello Zodiaco Furono gli astronomi babilonesi a graduare l’eclittica da 0 a 360o.

Successivamente fu fissato il punto zero nel punto vernale, corrispondente all’equinozio di primavera, e assegnati 30o dell’eclittica a ciascun segno.

Leone

Cancro

Vergine

Gemelli

Bilancia Scorpione

Sagittario Toro

Ariete Capricorno 2. La traiettoria del Sole Dal punto vernale, dove si trova il segno dell’Ariete, il Sole segue il suo percorso passando davanti agli altri segni: Toro, Gemelli, Cancro…

Posizione del Sole nello Zodiaco durante gli equinozi di primavera e autunno TO

questa inclinazione, l’eclittica e il piano equatoriale si incontrano in due soli punti, chiamati equinozi.

Quando il Sole si trova nei pressi del punto vernale si verifica l’equinozio di primavera, che segna il ritorno di questa stagione; l’altro punto equinoziale indica l’inizio dell’autunno. Ai lati dell’eclittica si estende una fascia di 12o, lo Zodiaco, dove si incontrano i dodici segni zodiacali, ciascuno dei quali corrisponde a una costellazione.

All’interno di questa fascia si muovono i pianeti.

TAC

‘astronomia dei Greci concepiva l’universo come una serie di sfere in rotazione intorno alla Terra immobile; la più esterna di queste sfere era quella delle stelle fisse. Queste stelle mantenevano la propria posizione le une rispetto alle altre, per cui le costellazioni non cambiavano forma, mentre i pianeti si spostavano. I Greci già conoscevano il moto apparente compiuto dal Sole nel corso di un anno attorno alla Terra, un cerchio con un’inclinazione di 23,44o rispetto al piano dell’equatore chiamato eclittica. Data

Eclittica (traiettoria apparente del Sole)

ON

LO ZODIACO DEI GRECI

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Pesci

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Acquario

G. DU

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NEI PUNTI EQUINOZIALI, IL SOLE INCONTRA L’EQUATORE; IN QUESTI PERIODI GIORNO E NOTTE HANNO LA STESSA DURATA.

IEL

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ma alla cosiddetta “carta astrale”. Alle volte danno notizie sul postulante, come in questo caso: «Anno 27 di Cesare, 5 [del mese egizio di] Faofi nel calendario di Augusto[2 ottobre dell’anno 3 a.C.], alla terza ora del giorno: Sole in Bilancia, Luna in Pesci, Saturno in Toro, Giove in Cancro, Marte in Vergine, Venere in Scorpione, Mercurio in Vergine, Scorpione all’ascendente, Leone allo zenit, poi Toro al discendente; Acquario al nadir. Pericolo. A causa di Marte, sii cauto per quaranta giorni».

Oltre a consigli di questo tipo, è raro che gli oroscopi contengano predizioni: così infatti si riducevano le possibilità di equivoci, una saggia precauzione che permetteva all’astrologo di conservare la clientela.

Il pronostico più lungo presente negli «oroscopi dei papiri» è quello realizzato su un bambino nato il 27 giugno 345 d.C. a Ossirinco, località dell’Alto Egitto. In questo testo, l’astrologo scrive: «Marte causerà un’anomalia, ma se non sono presenti altri pianeti, poiché non ha grossi effetti, non provocherà grande danno e, anzi, se trova Venere in opposizione porterà vantaggi e successi al padre».

Negli astri il segreto dell’esistenza AKG / ALBUM

FANES, IL DIO DEL TEMPO

Nella tarda antichità, il dio Fanes era associato al tempo cosmico, rappresentato dal movimento circolare dello Zodiaco.

Sopra, Fanes con i segni dello Zodiaco.

III secolo d.C. Galleria Estense, Modena.

In particolari momenti le influenze astrali erano molto importanti, per esempio quando si stava per avviare un progetto o alla nascita. Gli astrologi, chiamati “caldei” dai Greci e “matematici” dai Romani, determinavano la posizione degli astri nel momento della consultazione e interpretavano i segni che essi offrivano. Il ricorso all’astrologia divenne una pratica comune fra le classi che se lo potevano permettere, e rafforzò antiche credenze popolari quali, per esempio, quelle che interpretavano le eclissi come segni funesti.

I più antichi oroscopi a noi noti sono scritti su papiro ed enumerano la posizione degli astri nel momento corrispondente alla consultazione o alla nascita, corrispondono insom-

Si credeva che le posizioni degli astri determinassero il corso dell’esistenza ME

T RO

L’IMPERATORE AUGUSTO E IL SUO ASCENDENTE, IL CAPRICORNO. CAMMEO.

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SCALA

, FIRENZE

48 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Altri oroscopi giunti sino a noi sono quelli di Vettio Valente, che nel II secolo d.C. ad Alessandria scrisse un testo di astrologia. Essi corrispondono a persone già defunte, e servono a esemplificare le influenze teoriche dei pianeti e i loro aspetti, vale a dire gli angoli che i pianeti formano tra loro (opposizione, congiunzione, sestile, trigono, quadratura…) all’interno del cerchio zodiacale.

Così, in un oroscopo corrispondente all’1 aprile dell’anno 78, Vettio Valente spiega: «Il Sole, la Luna, Giove e l’ascendente in Ariete; Saturno e Venere in Acquario; Marte nei Gemelli, Mercurio nei Pesci. Questa persona fu autoritaria e dispotica, perché i vertici del trigono erano centrali e ascendenti, e nello stesso luogo stavano la Parte di Fortuna e il Demone, la calma e l’esaltazione. Ma Marte, che governa questi luoghi, era situato sfavorevolmente e in dissonanza con questa casa e ha avuto opposti effetti, l’esilio e la morte violenta».

Valente illustra anche gli oroscopi di persone che soffrirono di gravi malattie: «Il Sole e Mercurio in Toro, la Luna in Acquario, Saturno e Venere in Ariete, Giove nella Vergine, Marte nei Pesci e l’ascendente nel Leone; la

XI

IX

XII

VIII

X

I

OCCASUS

HOROSCOPUS

BRITISH LIBRARY / SCALA, FIRENZE

MEDIUM CAELUM

VII

III

IV

V

II

XXXXXXXXX

VI IMUM CAELUM

LE DODICI CASE ASTROLOGICHE o Zodiaco è una fascia della sfera celeste suddivisa in dodici parti corrispondenti alle dodici costellazioni zodiacali.

Anche l’orbita tracciata dalla sfera celeste nel suo moto quotidiano apparente attorno alla Terra è suddivisa in dodici parti, chiamate case o templi, ciascuna corrispondente a due ore. L’horoscopus o ascendens (oroscopo o ascendente) è il punto dello Zodiaco che sorge all’orizzonte al momento della nascita. Esso è uno dei quattro punti cardinali dello Zodiaco, quello che corrisponde all’oriente; il suo punto opposto è l’occasus (discendente, che

corrisponde all’occidente), gli altri sono il medium caelum (medio cielo o zenith, il punto più a nord) e l’imum caelum (fondo cielo o nadir, in punto più a sud). Stabilito l’horoscopus, bisogna considerare l’insieme delle dodici case, che presiedono distinti ambiti dell’attività umana, e gli intervalli tra i punti cardinali: quello tra l’horoscopus e il medium caelum governa sull’infanzia; quello tra il medium caelum e l’occasus, la giovane età; quello tra l’occasus e l’imum caelum, l’età adulta, e l’ultimo la vecchiaia. Lo schema delle dodici case (dodekatopos), di origine ellenistica, fu ripreso in epoca rinascimentale.

OROSCOPO OFFERTO DA WILLIAM PARRON A ENRICO VII D’INGHILTERRA. LIBER DE OPTIMO FATO HENRICI EBORACI DUCIS. 1502-1503.

GLI AMBITI DI UNA CARTA NATALE I La vita II I guadagni III I fratelli IV I genitori V I figli VI La salute VII Il matrimonio VIII La morte IX I viaggi X Gli umori XI Gli amici XII I nemici

Le predizioni di Ascletarione A ROMA, L’ASTROLOGIA aveva insieme seguaci e avversari: maghi e matematici furono ripetutamente espulsi dall’Urbe e la divinazione fu proibita, ma ciò non bastò a estirparla, visto che era molto popolare.

Inoltre questo stato di cose era utile agli imperatori, che accusandoli di praticarla si liberavano degli avversari politici.

Racconta Svetonio nelle Vite dei Cesari che l’astrologo Ascletarione, su richiesta di Domiziano, ne predisse la morte per mano di congiurati. L’imperatore allora gli chiese se poteva predire anche la propria sorte. Ascletarione rispose che sarebbe stato divorato dai cani. Domiziano ordinò che l’astrologo fosse ucciso e che il suo corpo venisse bruciato, per smentirne le predizioni, ma un nubifragio spense le fiamme e i resti dell’astrologo finirono davvero in pasto ai cani.

L’ASTRONOMIA SECONDO RAFFAELLO. STANZA DELLA SEGNATURA, VATICANO, 1508.

LA CONFIGURAZIONE DEL CIELO È QUELLA DEL 31 OTTOBRE 1503, GIORNO DELL’ASCESA AL SOGLIO PONTIFICIO DI GIULIO II.

BRIDGEMAN / ACI

SCALA, FIRENZE

STRUMENTO PER CALCOLARE L’OROSCOPO Astrolabio in bronzo utilizzato per il calcolo dell’oroscopo.

I bracci rappresentano i pianeti e si possono muovere per riprodurne la posizione sullo Zodiaco.

XV secolo.

50 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Parte di Fortuna nel Toro; la sua reggente, Venere, in Ariete con Saturno. Questo individuo era calvo e soffrì di herpes e di lebbra, perché il reggente del Buon Genio era nei Pesci». Offre anche oroscopi di persone che perirono di morte violenta: «Sole, Marte e Venere nel Cancro, Saturno e Mercurio nel Leone, Giove in Acquario, la Luna nei Pesci; Scorpione all’ascendente; la Parte di Fortuna nel Leone, la casa della morte nei Pesci. La Luna e Saturno erano presenti nella Parte; il reggente, il Sole, nel Cancro, segno d’acqua.

Morì in bagno, affogando nell’acqua. Marte stava in opposizione con la Luna piena, e Saturno che governava era assente. Così morì di morte violenta».

Sebbene per praticare l’astrologia fossero necessarie solide conoscenze di astronomia, non mancarono i truffatori che abusavano della buonafede dei più ingenui, tanto che Giovenale, che visse ai tempi dell’imperatore Antonino Pio, affermò che «nessun astrologo che non vanti condanne avrà fortuna, ma solo chi ha rischiato la forca». Nonostante ciò, il ricorso alla divinazione era così radicato che

non fu abbandonato neppure con l’avvento del cristianesimo che di fatto, riconoscendolo attività del demonio, ne ammette in modo implicito l’efficacia.

Il declino degli astrologi L’astrologia ebbe molto seguito nel Rinascimento, quando gli astrologi vivevano presso le corti di signori e principi e i palazzi furono decorati con i soggetti dello zodiaco. A sancirne il declino non fu la religione, la filosofia o la teologia, bensì la scienza. Se la Terra era soggetta alle influenze astrali, si doveva alla sua posizione centrale nell’Universo; quando la Terra smise di essere al centro del mondo, svanirono i fondamenti che davano all’astrologia il suo carattere scientifico.

Per saperne di più

SAGGI

L’astrologie grecque Auguste Bouché-Leclercq, 1899 http://www.archive.org/details/ lastrologiegrecq00boucuoft L’astrologia Paul Couderc. Garzanti, Milano, 1954.

TESTI

Astronomica Marco Manilio (a cura di D. Liuzzi).

Milella, 1990.

LO ZODIACO E IL CORPO UMANO

GRECI IMMAGINAVANO l’uomo come un

microcosmo, una replica in miniatura del macrocosmo, il quale a sua volta era considerato come un grande essere umano le cui parti costitutive –pianeti, costellazioni, Zodiaco– possedevano equivalenti anatomici e psicologici nel corpo umano; pertanto, a ogni segno dello Zodiaco collegavano una parte concreta del corpo. Inoltre, ai segni veniva attribuito uno specifico carattere: per esempio, quelli corrispondenti alla fine di una stagione (Gemelli, Vergine, Sagittario, Pesci) erano considerati instabili, capricciosi e astuti. La corrispondenza tra microcosmi e macrocosmo legò la medicina con l’astrologia, condizionandola: così, bisognava fare attenzione a non somministrare un farmaco o a non praticare un intervento se la configurazione astrale non era favorevole.

ARIETE governa la testa

TORO è associato al collo

RELAZIONI TRA LE PARTI DEL CORPO E I SEGNI DELLO ZODIACO. XILOGRAFIA TRATTA DALL’ENCICLOPEDIA LA PERLA FILOSOFICA, DI GREGOR REISCH. BASILEA, 1508.

GEMELLI sono legati

alle braccia

LEONE protegge la gabbia

SAGITTARIO

toracica e la schiena

governa i muscoli

VERGINE collegata al

ventre e ai visceri

CAPRICORNO

è collegato alle ginocchia

BILANCIA protegge

i glutei

CANCRO si associa

al petto

ACQUARIO governa le gambe

SCORPIONE corrisponde

ai genitali

ALBUM

PESCI governano i piedi

SEGNI ZODIACALI, PIANETI E L’astrologia dell’antichità classica tornò a essere al centro dell’attenzione in età

Ariete 1 Maschile, diurno e di natura violenta, come Marte, è la casa solare di questo pianeta. È in quadratura con le case delle luminarie (il Sole e la Luna), aspetto che ne enfatizza il carattere distruttivo.

Si associa ai temporali.

Toro 2

3 4

5

Segno fertile e femminile, è la casa lunare di Venere, pianeta temperato. Si associa al clima mite e caldo. Corrispondendo a un quadrupede (come il Leone e il Sagittario), protegge l’attività mineraria, il commercio e l’edilizia.

6

7

Gemelli 3

8

Maschile e solare, è la casa lunare di Mercurio; con l’Acquario e la Bilancia forma un trigono maschile governato da Saturno di giorno e Mercurio di notte. Di norma temperato, può diventare umido e distruttivo.

Cancro 4

Leone 5

Vergine 6

È la casa della Luna, alla quale corrispondono i segni dall’Acquario al Cancro. Può portare terremoti e nebbia.

Come il Capricorno, è un segno anfibio, che esercita la sua influenza sulle creature del mare e la navigazione.

Maschile e solare, portatore di calore e siccità, è la casa del Sole, cui corrispondono i segni compresi tra il Leone e il Capricorno. Come il Toro e lo Scorpione, esercita un’influenza sugli animali selvatici pericolosi per l’uomo.

È la casa solare di Mercurio.

I nati sotto questo segno, come quelli della Bilancia e del Sagittario, sono ben proporzionati e graziosi. Segno antropomorfico (con Gemelli, Bilancia e, in parte, Sagittario), favorisce la ricerca.

INFLUENZE ASTRALI

rinascimentale, come dimostra l’affresco della volta della sala Bologna, in Vaticano

2

Pesci

Segno moderato, fertile e ventoso, è la casa lunare di Giove, in trigono con il Cancro, la casa della Luna, che porta armonia e benefici. I suoi nativi, come quelli del Toro e dello Scorpione, possono essere brutti e sproporzionati.

Acquario

1 2 2

Maschile e solare, freddo e ventoso, è la casa lunare di Saturno e si oppone al Leone, casa del Sole. Dal punto di vista meteorologico porta freddo e acqua. Segno d’acqua, come i Pesci, influenza le creature dei fiumi e delle sorgenti.

0 0

Capricorno

9

7 Bilancia

8 Scorpione

9 Sagittario

Maschile e solare, segno di grande fertilità, è la casa solare di Venere; in sestile con il Leone, casa del Sole, ne riceve una benefica influenza.

Meteorologicamente è legato alla variabilità.

Casa solare di Marte, pianeta secco, ne condivide la natura e le caratteristiche distruttive; è in quadratura con il Leone, la casa del Sole.

Dal punto di vista meteorologico si associa al fulmine e al fuoco.

Maschile e solare, moderato, fecondo e ventoso, è la casa solare di Giove; presenta un aspetto benefico in trigono con il Leone, la casa del Sole. Dal punto di vista meteorologico è ventoso e può portare febbri.

BPK / SCALA, FIRENZE

Freddo e ventoso, come l’Acquario, è la casa solare di Saturno; con il Toro e la Vergine forma un trigono di segni femminili correlato alla Luna, che lo governa di notte, e a Venere, che lo governa di giorno. Porta umidità.

IL SACRIFICIO DI UNA CITTÀ

SAGUNTO Nel 219 a.C., l’insediamento ispanico fu attaccato da Annibale. Dopo un lungo assedio, i Cartaginesi sferrarono l’attacco finale che si concluse con il massacro di gran parte della popolazione ANTONIO PENADÉS

ORONOZ / ALBUM

STORICO E SCRITTORE

54 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LA DISTRUZIONE DI SAGUNTO

Quest’olio di Francisco Domingo Marqués, realizzato nel 1869, mostra Annibale (a destra, sopra un carro) guidare i suoi uomini all’assalto finale della città di Sagunto. Palazzo della Generalitat, Valencia.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

55

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Cantabri co

L

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Massalia (Marsiglia)

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Carthago Nova (Cartagena)

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Gadir (Cadice)

Cartagine I M I D N U

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Popolazioni

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I

Percorso di Annibale Sbarco romano Trattato dell’Ebro (225 a.C.)

DUE POTENZE CONTRAPPOSTE

La mappa ricostruisce il percorso seguito da Amilcare per invadere la Penisola iberica, e da Annibale per raggiungere e mettere sotto assedio Sagunto, e l’arrivo dei Romani nella penisola nel 218 a.C., anno d’inizio della seconda guerra punica.

L

a prima guerra punica (264-241 a.C.), il lungo conflitto durante il quale Roma e Cartagine si scontrarono per la prima volta contendendosi l’egemonia nel Mediterraneo, si concluse con la piena sconfitta dei Cartaginesi, che non solo persero le loro basi in Sicilia e Sardegna, ma dovettero anche versare ingenti indennità di guerra. Per compensare queste perdite e recuperare risorse per pagare i Romani, i Barcidi, la famiglia dominante nella capitale punica, si rivolsero verso la Penisola iberica e le sue ingenti risorse minerarie. Dal 237 a.C., Amilcare Barca intraprese l’occupazione del territorio e la sottomissione delle popolazioni locali, non esitando per ciò a ricorrere alle peggiori violenze. L’espansione cartaginese , che dopo la morte di Amilcare fu proseguita dal genero Asdrubale (270-221 a.C.), sembrava inarresta-

237 a.C. C R O N O LO G I A

CARTAGINE SBARCA IN IBERIA 56 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Amilcare Barca, proveniente da Cartagine, sbarca a Gadir (Cadice) e comincia l’occupazione della Penisola iberica soggiogando le popolazioni del sud.

NATALIYA HORA / AGE FOTOSTOCK

CARTOGRAFIA: EOSGIS

Invasione cartaginese (237 a.C.)

bile e finì per mettere in allarme Roma, che pure aspirava a dominare la penisola. All’inizio del 225 a.C., una delegazione romana giunse all’accampamento di Asdrubale per concordare una suddivisione delle aree d’influenza, il cui limite sarebbe stato segnato dal corso del fiume Ebro.

Per consolidare le loro conquiste, i Cartaginesi avevano stretto accordi con le popolazioni locali, ma una città iberica, Sagunto (o Arse, secondo il nome iberico), aveva rifiutato qualsiasi transazione. La città è situata presso l’attuale Valencia, vicino alla costa. Nonostante si trovasse

SCALA, FIRENZE

227-225 a.c.

Lungo la costa sud-est spagnola Asdrubale fonda Carthago Nova.

Nel 225 a.C. i Romani, allarmati per l’espansione cartaginese, mandano una delegazione per concordare le aree d’influenza: si firma il trattato dell’Ebro.

BUSTO DI ANNIBALE. MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI.

IL TRATTATO DELL’EBRO

ANNIBALE ROMPE IL PATTO

S

econdo lo storico Polibio, i Romani «mandarono degli ambasciatori da Asdrubale e stipularono un accordo, nel quale si taceva di tutto il resto della Iberia e si diceva soltanto che i Cartaginesi non dovevano attraversare il fiume Ebro in assetto di guerra». Successivamente, l’Ebro divenne il limite invalicabile delle aree d’influenza di Roma e Cartagine: in base a esso Sagunto si trovava in teoria sotto il dominio cartaginese.

Per questo risulta difficile giustificare “giuridicamente” l’alleanza della città edetana con Roma, se si prescinde da motivi economici e di convenienza per ambo le parti. Alcuni storici, con solidi argomenti, sostengono che quello che Polibio chiama con tale nome non sarebbe in realtà l’Ebro, ma il Júcar o il Segura, che scorrono a sud di Sagunto. D’altra parte, Annibale giustificò la sua offensiva contro Sagunto con la necessità di difendere dagli Edetani i Turdetani, una popolazione locale alleata, per cui respinse le offerte di pace degli ambasciatori romani.

nell’area d’influenza cartaginese, si era alleata con Roma perché aveva fruttuose relazioni commerciali con due suoi alleati, Massalia (Marsiglia) e Ampurias. Inoltre, i Saguntini puntavano al possesso delle miniere di ferro dei Torboleti, una tribù alleata con Cartagine stanziata nel nord-est della penisola. Sagunto costituiva quindi una sfida al dominio cartaginese su quella parte della penisola iberica che le era stata assegnata dal trattato dell’Ebro. Si era creata dunque una situazione che Annibale, figlio di Amilcare e successore di suo cognato Asdrubale dopo l’assassinio di quest’ultimo da parte di uno schiavo, avvenuto nel 221 a.C.,

considerò intollerabile. Non solo perché violava i termini dell’accordo, ma perché il generale cartaginese progettava la campagna in Italia e non poteva lasciarsi nemici alle spalle.

I DEBITI DI CARTAGINE

Le terme di Antonino (II secolo), a Cartagine.

Dopo la prima guerra punica, la città africana dovette pagare un pesante indennizzo a Roma.

Perciò invase la Spagna, puntando alle sue ingenti risorse minerarie.

Annibale contro Sagunto A metà del mese di maggio del 219 a.C., Annibale penetrò nel territorio saguntino.

Dopo aver devastato i campi coltivati attorno alla città, giunse sotto le sue mura con un esercito di 50.000 combattenti, per la maggior parte mercenari. Non intendeva conquistare la città per fame, ma prenderla d’assalto con un attacco simultaneo da tre punti: la pianura, il

221-220 a.c.

219 a.c.

Annibale sottomette gli Olcadi, i Vaccei e i Carpetani.

Intanto la città di Sagunto, situata a sud del territorio romano, firma un’alleanza con Roma, contrapponendosi di fatto al trattato dell’Ebro.

I Cartaginesi, guidati da Annibale, penetrano nel territorio di Sagunto e devastano le coltivazioni intorno alla città.

Con 50.000 uomini, Annibale pone Sagunto sotto assedio.

218 a.c.

I Saguntini chiedono a Roma un aiuto che non arriverà mai.

Annibale sottopone la città a un duro assedio e l’attacca con le sue macchine da guerra. Quando riuscirà a espugnarla, non avrà alcuna pietà dei suoi abitanti.

AS

TORO ANDROCEFALO SUL ROVESCIO DI UNA DRACMA D’ARGENTO DI SAGUNTO. 219 A.C. MAN, MADRID. STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

57

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ORONOZ

/ ALBUM

LA TEMIBILE FALCATA DEGLI IBERI L’esercito cartaginese comprendeva anche mercenari iberici.

La sua arma principale, come quella dei difensori di Sagunto, era la falcata, una letale spada corta (non più di 60 cm di lunghezza), ricurva e a un filo.

58 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

fiume Palancia e l’estremità occidentale, che era il punto più debole della fortificazione perché si trovava in uno spazio aperto, adatto per la movimentazione delle macchine da guerra .

Annibale ordinò che in questa zona fossero ammassati gli arieti e organizzò la protezione dei suoi uomini ricorrendo all’uso di vinee (parapetti). I Saguntini avevano rinforzato le fortificazioni con una torre enorme, accrescendo in questo tratto l’altezza delle mura rispetto al resto della recinzione, rendendo più difficile l’accesso e nel contempo aumentando la stabilità alla struttura.

I giovani appartenenti alle famiglie più illustri di Sagunto si dedicarono con grande determinazione alla difesa della città, ricorrendo ad armi da lancio e assalendo le macchine d’assedio dei Cartaginesi.

Lo stesso Annibale fu ferito a un polpaccio da un dardo a doppia punta, e nei giorni in cui il generale fu costretto a ritirarsi per curarsi, i Saguntini effettuarono incursioni nell’accampamento nemico, facendo molte vittime. Poi la lotta riprese ancora più ardua. I Saguntini si distribuirono lungo tutto il perimetro delle mura, ma non riuscirono a difenderle di fronte all’impeto degli arieti cartaginesi.

Quando tre torri e la sezione del muro che le collegava crollarono, i Cartaginesi credettero di avere conquistato la città, ma, come racconta Livio, «i Saguntini, facendo scudo

INFORMACIÓN: MANUEL CIVERA ; DIBUJO: SENTO

CASTELLO DI SAGUNTO. LA FORMA ATTUALE DEL SISTEMA DIFENSIVO, LUNGO PIÙ DI UN KM, È IL RISULTATO DI AMPLIAMENTI EFFETTUATI NEL XIX SECOLO.

JOSÉ FUSTE RAGA / AGE FOTOSTOCK

Mura

dei propri corpi in difesa della patria ormai priva delle mura, non cedevano di un passo, perché i nemici non irrompessero in uno spazio abbandonato da loro». Bloccati in tale posizione, gli attaccanti erano raggiunti da dardi e falariche che provocarono un gran numero di morti. Così i difensori riuscirono a ricacciare i Cartaginesi oltre le macerie e Annibale fu costretto a ordinare il ritiro.

Una città sotto assedio Nei giorni successivi all’attacco, il generale punico arringò i suoi uomini, che stavano riposando nel campo, promettendo loro gran parte del bottino se avessero preso la città.

Nel frattempo, gli assediati avevano costruito un nuovo muro in corrispondenza del tratto crollato e resistevano, fiduciosi nell’imminente arrivo di quell’aiuto che attraverso emissari avevano sollecitato agli alleati romani.

Concluso il periodo di tregua, Annibale ordinò di avvicinare alle mura una torre mobile dalla quale i Cartaginesi scagliavano frecce, dardi e lance. Allo stesso tempo, un corpo di ge-

Acquedotto LA CITTÀ RISORTA

LA SAGUNTO ROMANA

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ochi anni dopo l’assedio di Annibale, i Saguntini poterono tornare alla loro città grazie a Scipione, che la riconquistò nel 212 a.C. Da allora la Sagunto iberica fu teatro di un rapido processo di romanizzazione che ebbe ampi riflessi sulla sua struttura urbana. In una prima fase la città si estese sulle colline, dove fu edificato un primo Foro 1, che a metà del II secolo a.C. fu spostato in pianura.

Le vestigia oggi visibili corrispondono al Foro di epoca augustea 2, quando Sagunto, colonia di diritto latino nel 55 a.C., divenne municipio romano. In epoca imperiale furono eretti i grandi edifici pubblici tipici delle città romane: un teatro 3 in grado di accogliere fino a 6.000 persone, un circo 4 di 354 metri di lunghezza per 73 di larghezza, con una capacità di 20.000 persone, e un anfiteatro 5. Fu edificato anche un ponte 6 sul fiume Palancia che metteva in collegamento la città con la via Augusta, una strada lunga 1500 km che attraversava la Spagna dai Pirenei fino alla costa meridionale.

LE ARMI DEI SAGUNTINI

LANCE INCENDIARIE

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IL VASO DEI GUERRIERI DI SAN MIGUEL DE LIRIA MOSTRA UNA FILA DI COMBATTENTI PROVVISTI DI SCUDI E LANCE. MUSEO DE LLA PREISTORIA, VALENCIA.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

ORONOZ / ALBUM

e principali armi impiegate dai Saguntini durante l’assedio del 218 a.C. furono i giavellotti e le falcate.

Nel mondo iberico, infatti, l’arco e le frecce non erano molto utilizzati. Nelle fasi più delicate della battaglia i Saguntini utilizzarono una nuova arma, la falarica, consistente in un giavellotto lungo tre piedi (90 cm) provvisto di un puntale di ferro che si riempiva di stoppa impregnata di pece o di altre sostanze infiammabili. Oltre a poter trapassare il corpo di un uomo, spargendo pece bollente sugli scudi (in cuoio) e sugli indumenti, la falarica seminava il terrore fra i nemici, che abbandonavano le armi e arretravano, rendendosi così vulnerabili a un successivo attacco.

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nieri, costituito da cinquecento africani armati di piccone, minavano la base delle mura: nuovi varchi permisero ai Cartaginesi di entrare nella città, di occupare una posizione elevata e di erigere un muro per creare un fortino difeso con balestre e piccole catapulte.

Dalla loro, nel tentativo di difendersi i Saguntini si ritiravano via via in un’area sempre più ristretta, creando barriere di protezione con le macerie. Resistettero così a una sempre più grave carenza di cibo e acqua, al punto che, secondo quanto narra Silio Italico, si ridussero a mangiare il cuoio degli scudi e la corteccia degli alberi. Quando Annibale si allontanò per guidare una rapida incursione contro popolazioni limitrofe, affidò il comando al luogotenente Maarbale, che conquistò altre posizioni militari e riuscì a creare nuovi varchi nelle mura.

Nel frattempo, Annibale decise di inviare a Sagunto un soldato di origine iberica chiamato Alorco, affinché presentasse ai Saguntini una proposta di pace. Dopo aver consegnato SCULTURA DI AGUSTÍ QUEROL SUBIRATS (1886) RAFFIGURANTE UNA DONNA SAGUNTINA CHE SI TOGLIE LA VITA DOPO AVER SOPPRESSO IL FIGLIO PER IMPEDIRE CHE CADA PRIGIONIERO DI ANNIBALE. GIARDINO BOTANICO, BUENOS AIRES.

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DAGLI ORTI / ART ARCHIVE MUSEO NACIONAL DEL PRADO

ANNIBALE MUOVE GUERRA ALL’ITALIA Distrutta Sagunto, Annibale affidò la Spagna al fratello Asdrubale e, alla testa di un grande esercito e con 37 elefanti, compì la traversata delle Alpi. Affresco nella sala di Annibale dell’Appartamento dei Conservatori.

1513. Musei Capitolini, Roma.

le sue armi alle sentinelle, Alorco chiese di essere condotto dinanzi al capo dei Saguntini. Al cospetto dei membri del consiglio della città, circondato da molti cittadini, illustrò i termini dell’offerta del generale cartaginese: Sagunto doveva essere abbandonata, e tutto l’oro e l’argento della città e dei suoi abitanti doveva essere consegnato ai Cartaginesi. In cambio, i Saguntini sarebbero stati risparmiati e avrebbero potuto costruire una nuova città in pianura. Livio riporta le parole di Alorco: «Questo ordina il nemico vincitore; questo, sebbene sia pesante e funesto, vi consiglia la vostra sorte. Tuttavia io non dispero che, quando tutto sia venuto in suo potere, Annibale possa attenuare qualcuna di queste dure condizioni; ritengo, pertanto, che da parte vostra sia meglio sopportare quanto vi è imposto, piuttosto che lasciarvi trucidare e consentire che, per diritto di guerra, le vostre mogli e i vostri figli dinanzi ai vostri occhi siano presi con la forza e trascinati via».

Senza dare alla popolazione il tempo di discutere la proposta, i cittadini più illustri

MORIRE CON ONORE

GLI EROI DI SAGUNTO

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ella memoria storica spagnola, Sagunto e Numanzia sono simboli del sacrificio del popolo di fronte a un conquistatore straniero, perciò furono celebrate da poeti e romanzieri. Durante la Guerra d’indipendenza contro le truppe napoleoniche (1808-1814), il poeta patriota Alberto Lista scrisse un’Oda a las ruinas de Sagunto che comincia così: «Salve, fortezza dell’Edetania, / esempio per il mondo della fermezza iberica».

Il caso saguntino aveva però un aspetto critico, perché si trattava di una città alleata con una potenza straniera, Roma, che aveva spinto gli abitanti di Numanzia a distruggere la propria città pur di non perdere la libertà. Il letterato Benito Feijoo nel XVIII secolo superò questa criticità puntando l’attenzione sul comportamento dei Romani: «La strenua resistenza opposta per otto mesi a 150.000 combattenti ne dimostrò la costanza, il valore e la distanza dai Romani, che non esitarono a privare alleati tanto generosi di qualsiasi sostegno».

decisero di rispondere con i fatti: raccoltisi nel Foro con una grande quantità d’oro e d’argento, invece di consegnarla all’invasore, la diedero alle fiamme insieme con gli altri oggetti di valore, gli indumenti, i gioielli e i vasi sacri dei templi. Perché tutto si fondesse insieme, gettarono sulle fiamme anche piombo e bronzo. Proprio in quel momento un enorme boato accompagnò il crollo di una torre, indebolita dall’azione di un ariete e dei picconi dei genieri cartaginesi. Avuto il segnale che Sagunto era espugnata, Annibale attaccò con tutti gli effettivi e in breve tempo penetrò nella città.

Strage e rovina Entrati nella città, i Cartaginesi compirono un massacro. Sapendo che gli aggressori avevano l’ordine di uccidere tutti gli uomini in grado di combattere, una parte dei Saguntini, con la propria famiglia, scelse di chiudersi nella propria casa e morirvi dandola alle fiamme. Molti altri preferirono togliersi la vita combattendo contro gli invasori.

Nel frattempo, alcune donne si gettavano dalle mura dopo aver ucciso i propri figli. I Cartaginesi riuscirono però a catturare un certo numero di donne e bambini che vendettero come schiavi e ad accumulare un notevole bottino, che Annibale distribuì in parte tra i suoi uomini, assegnandolo in base ai meriti, e in parte inviò a Cartagine.

Vinta Sagunto, l’esercito cartaginese trascorse l’inverno a Carthago Nova, mentre i mercenari iberici tornavano ai propri paesi.

Ma la pace non ebbe lunga durata: nella primavera seguente tutti si ritrovarono agli ordini di Annibale, per intraprendere la marcia verso i Pirenei e di qui raggiungere le Alpi, pronti a vendicarsi di Roma.

Per saperne di più

IL TEATRO DI SAGUNTO

Usato a lungo come struttura militare, nel XX secolo il teatro era molto deteriorato.

Negli anni Novanta fu avviato un restauro, oggetto di accese polemiche, che aggiunse una nuova tribuna in lastre di marmo e ricostruì il fronte scenico.

SAGGI

Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma Giovanni Brizzi. Laterza, Bari-Roma, 2007.

TESTI

Storia di Roma dalla sua fondazione (Libro XXI) Tito Livio. BUR, Milano, 1999.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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BRITISH MUSEUM / SCALA, FIRENZE

MAESTRI NELL’ARTE DELL’ASSEDIO

TORRE MOBILE ASSIRA USATA DA SENNACHERIB PER ASSEDIARE LAKISH. BRITISH MUSEUM, LONDRA.

I Cartaginesi erano veri specialisti della guerra d’assedio, che realizzavano seguendo tattiche e usando macchine sviluppate dai loro antenati fenici, che a loro volta le avevano apprese dagli Assiri. Le cronache dell’epoca descrivono in dettaglio le armi e le tecniche che Annibale e il suo esercito impiegarono nel corso dell’assedio della città di Sagunto.

1 Torre d’assedio

4 Vinea o vigna

Le torri mobili erano costituite da vari piani collegati da una scala interna. Sulla cima era montata una passerella grazie alla quale si accedeva alle mura.

Parapetto che proteggeva dai proiettili nemici i soldati che si avvicinavano alle mura con arieti o con altre macchine da guerra, o per cercare di creare un varco nelle strutture difensive.

2 Ariete

5 Circonvallazione

Si impiegava contro porte e mura. Non fu propriamente inventato dai Fenici, ma furono loro a introdurre questa macchina da guerra nel bacino mediterraneo.

Non è certo che i Cartaginesi usassero questa tecnica, che consiste nel circondare la città con una recinzione in legno per impedire al nemico di uscire dalla città.

3 Balestra gigante

6 Truppe cartaginesi

Questa macchina da guerra di origine greca (políntonon) poteva scagliare con un solo tiro diversi proiettili lunghi e appuntiti a una notevole distanza.

L’esercito cartaginese era composito: ne facevano parte uomini di origine diversa, quasi esclusivamente mercenari che combattevano con le proprie armi personali.

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ANNIBALE ASSEDIA SAGUNTO, 219 A.C. INCISIONE TRATTA DA UNA STORIA DEI CARTAGINESI.

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PRISMA ARCHIVO; COLOR: SANTI PÉREZ

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LUCA DA ROS / FOTOTECA 9X12

PIAZZA SAN MARCO

Creata nel XII secolo, è l’area più rappresentativa di Venezia.

Su di essa si trovano il Palazzo Ducale, con i suoi portici, la basilica e la colonna con il leone alato, simbolo di San Marco.

IL SANTO PATRONO DI VENEZIA

La devozione dedicata a San Marco è avvertibile ovunque nella città.

Rappresentazione del leone di San Marco con il vangelo presente sulla facciata di una casa risalente a metà del XV secolo.

B UM

/ AL AKG

La nascita della città sulle acque

VENEZIA Le origini della più straordinaria città del mondo, laboriosamente edificata prima ancora del V secolo su oltre cento isolette in una laguna dell’Adriatico, e divenuta nei secoli una grande potenza FRANCO CARDINI PROFESSORE EMERITO DI STORIA MEDIOEVALE, ISTITUTO ITALIANO DI SCIENZE UMANE E SCRITTORE

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he alcune popolazioni rivierasche del golfo adriatico a nord della foce del Brenta e a ovest di quella dell’Isonzo si fossero rifugiate tra le isolette e la laguna di quel paludoso litorale per tenersi al riparo delle incursioni gote e unne, è già Cassiodoro a narrarlo fra il 537 e il 538 nelle sue Variae, che ne fornisce un ritratto idillico: beati pescatori-cacciatori-agricoltori che con una mano raccoglievano i frutti della terra e con l’altra ritiravano le reti dal mare pescoso. In realtà i primi insediamenti lagunari erano assai più antichi, ma s’intensificarono nel corso dei secoli V-VI fino a raggiungere l’acme all’inizio del VII secolo, sotto l’incalzare delle ondate longobarde. Il toponimo latino Venetia, collegato alla popolazione indoeuropea dei Veneti, indicava l’area lagunare che verso nordest terminava con Altino e il Sile.

BRIDGEMAN / ACI

Nel VI secolo i Venetici si sarebbero insediati sfuggendo ai Longobardi tra le isole impaludate della laguna dove avrebbero svolto attività di barcaioli, pescatori e raccoglitori di sale. Oscure sono le origini sia dei vari centri demici che poi si sarebbero uniti in seguito a un lento fenomeno di sinecismo (da qui il plurale del nome della città: Venetiae), sia delle radici della pretesa di una diocesi autonoma e di un dux, un magistrato imperiale dipendente dal basileus di Costantinopoli e non –o non più– da un magister militar agli ordini dell’esarca di Ravenna e con centro amministrativo in Cittanova Eraclea: tutti questi elementi si sarebbero concretizzati all’inizio del IX secolo nel luogo detto“Rivoalto”(Rialto), mentre nella vicina Equilum (Jesolo) s’insediava un centro episcopale con chiesa cattedrale. Nei pressi dell’odierna Fusina esistevano invece i possessi della famiglia aristocratica dei Particiaci, che tra VIII e IX secolo detenevano anche una cappella poi passata ai monaci benedettini di San Servolo. La prima cattedrale cittadina di Venezia può essere considerata San Pietro in Castello, fondata nella seconda metà del secolo IX. Una tenace tradizione vuole che sia stato il dux Agnello

Particiaco o Partecipazio, appunto ai primi del IX secolo, a trasferire a Rialto la sua sede: in quell’occasione accanto alla sede ducale sarebbe stata fondata una prima basilica dedicata a San Marco e si sarebbe poi consolidata la leggenda dell’avventurosa translatio delle reliquie dell’evangelista –cui si attribuiva la primissima cristianizzazione delle isole lagunari– da Alessandria. La rivendicazione dell’origine apostolica della Chiesa veneziana (Marco, in quanto evangelista, veniva equiparato agli apostoli), base per la stessa legittimazione del titolo patriarcale, sarebbe stata una mossa dei Veneziani per opporsi alle pretese del patriarca di Aquileia il quale, nel sinodo di Mantova dell’827, aveva preteso l’unificazione diocesana mediante l’eliminazione della diocesi di Grado. Il trafugamento del corpo dell’apostolo da Alessandria avrebbe appunto avuto luogo, significativamente, nell’828; e un anno ancora più tardi, nell’829, il testamento del “doge” Giustiniano Particiaco avrebbe coinciso con la prima fondazione della basilica al santo dedicata, con la quale a lungo convisse un altro edificio sacro, dedicato a san Teodoro.

La basilica fu quindi totalmente ricostruita, anzi si può dire rifondata, dal doge Domenico Contarini verso il 1063. All’iniziativa del Contarini si deve anche la costruzione del monastero di San Nicolò di Lido, di cui restano elementi

Nell’810, Pipino, figlio di Carlo Magno, cercò di conquistare la laguna, ma fu respinto CARLO MAGNO CON LA CORONA IMPERIALE. 1349. RELIQUIARIO DEL TESORO DELLA CATTEDRALE DI AQUISGRANA. 66 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SUSANNE KREMER / FOTOTECA 9X12

BPK / SCALA, FIRENZE

VENEZIA NEL ‘500.

RAPPRESENTAZIONE DELLA CITTÀ NELLA GALLERIA DELLE CARTE GEOGRAFICHE DI EGNAZIO DANTI. 15801583. MUSEI VATICANI.

L’ultima parte della grande arteria vista dal Ponte dell’Accademia.

A destra, la cupola della chiesa di Santa Maria della Salute, progettata dal Longhena e costruita come ex voto dopo la peste del 1630-1631.

In fondo, la punta della Dogana.

C R O N O LO G I A

NASCITA DI UNA LEGGENDA 452 La minaccia rappresentata dai Goti e dagli Unni spinge popolazioni del golfo adriatico a trovare rifugio sulle isolette della laguna veneziana.

VI-VIII SECOLO Fra i centri lagunari fondati dai profughi, Cittanova Eraclea, grazie all’alleanza con i Longobardi, ha il ruolo di centro politico e amministrativo.

810 L’isola di Rialto respinge il tentativo di conquista della laguna veneta da parte del franco Pipino, figlio di Carlo Magno, e diventa sede del dux.

828 Arrivo delle reliquie di San Marco da Alessandria.

Il dux ordina l’edificazione di una basilica accanto alla sede ducale per dare loro la giusta accoglienza.

864-899 Piccoli nuclei autonomi si uniscono per realizzare opere di bonifica sul territorio e recuperare spazi per l’edificazione di nuove costruzioni.

1204 E. LESSING / ALBUM

IL CANAL GRANDE

Venezia è il centro di uno Stato sempre più ricco. Con la caduta di Costantinopoli la sua influenza e il suo potere crescono ulteriormente.

IL DOGE FRANCESCO FOSCARI IN UNA MONETA VENEZIANA DEL XV SECOLO. MUSEO CORRER, VENEZIA.

PIPINO CONTRO VENEZIA

sia strutturali sia pittorici (affreschi) e musivi dell’XI secolo. Altri edifici importanti dell’epoca sono la chiesa di San Giacomo di Rialto (“San Giacometto”), che appare ispirata alla struttura di San Marco, e il duomo di Murano dedicato a Santa Maria e a San Donato, il cui pavimento musivo porta un’iscrizione dalla quale si ricava la data del 1141.

Attorno ai due nuclei isolani più consistenti, di Rialto e di Castello, si andò pertanto formando tra i secoli VI e XI un complesso territoriale caratterizzato da isole collegate tra loro da passerelle o da bassi punti guadabili; i bracci acquei più bassi vennero progressivamente interrati, mentre lo spazio calpestabile a disposizione degli abitanti era progressivamente ampliato per mezzo di dighe, di“colmate”di terra di riporto o di piattaforme costruite su palafitte.

Gli stessi edifici più importanti, che furono con grande fatica provvisti di fondamenta, poggiarono molto spesso su palafitte: il che rendeva necessari complessi restauri e interventi

di manutenzione, obbligava a convivere con i problemi dei venti e delle maree (l’“acqua alta”) e imponeva agli abitanti l’acquisizione di singolari abitudini“anfibie”. Mentre il cordone sabbioso che separava la laguna dal mare aperto (il “lido”) e le isole a sud e a est dei due nuclei di Castello e di Rialto –rispettivamente considerati il“patriarcale”e il“dogale”– venivano insediati principalmente dagli appartenenti ai ceti subalterni occupati nella pesca, nella cantieristica e nelle saline (l’arsenale si andò difatti organizzando a levante rispetto all’isola sulla quale sorgeva San Marco), i nuclei abitativi distribuiti attorno ai due centri si andavano strutturando gradualmente in due forme affrontate, a doppia “esse”, congiunte dal grande ponte a schiena d’asino, detto “di Rialto”, che varcava la via d’acqua principale, poi detta “Canal Grande”, sulla quale si sarebbero gradualmente affacciate le chiese e le dimore aristocratiche principali.

La necessità di convivere con la laguna e con i suoi ritmi idrologici presiedette fin dal principio al crescere di una“forma urbana”del tutto sui generis e conferì all’urbanistica, all’architet-

Nell’828 alcuni mercanti portarono le reliquie di San Marco da Alessandria a Venezia DETTAGLIO DELLA PALA D’ORO. TESORO DELLA BASILICA DI SAN MARCO. 1105.

68 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

MAPA: EOSGIS.COM / ILLUSTRAZIONE: SANTI PÉREZ

AKG / ALBUM

SCALA, FIRENZE

La tela, di Andrea Vicentino (XVI secolo), rievoca la vittoria dei lagunari contro Pipino che li aveva assediati.

Palazzo Ducale, Venezia.

PALUDE MAGGIORE

CITTANOVA ERACLEA

2 TORCELLO Canale di Burano

1

Canale di San Felice

1 CITTANOVA ERACLEA. In epoca bizantina, dal VI secolo fino al 742, è il centro amministrativo e politico della provincia di Venezia. Qui risiede il dux.

Burano

VENEZIA

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Canale della Giudecca

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Treporti

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Canale di San Nicolò

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Sant’Erasmo

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JESOLO

PORTO DI LIDO

La Giudecca

Malamocco Marghera

2 TORCELLO. Nel 639 accolse popolazioni provenienti da Oderzo, vittime di un attacco degli Unni. La sua cattedrale è l’edificio più antico della laguna.

4 MALAMOCCO

PORTO DI MALAMOCCO

San Pietro in Volta

3 RIALTO. La sua colonizzazione cominciò nell’VIII secolo. Dopo aver ricacciato i Carolingi, nell’810, diviene capitale del ducato al posto di Malamocco.

4 MALAMOCCO. Fondata dai Romani, fu sede vescovile e capitale del ducato di Venezia dal 742 all’810. Dal XII secolo cominciò la sua decadenza.

Pellestrina

M a r PALUDE FONDELLO

5 CHIOGGIA

A d r i a t i c o PORTO DI CHIOGGIA

Sottomarina

Brenta

5 CHIOGGIA. Ricco porto di origine romana, nell’810 fu rasa al suolo dai Carolingi.

Mantenne la sua autonomia rispetto a Rialto fino al 1380.

BRICCOLE NELLA LAGUNA VENEZIANA. QUESTI PALI CONTRASSEGNANO I CANALI LAGUNARI.

GEOGRAFIA ALLEATA I Veneziani possono vantarsi del fatto che nel corso della loro millenaria storia nessuno sia mai riuscito a conquistarli. Unni, Longobardi, Carolingi e Ungari fallirono nell’intento. Ciò si deve alla particolare geografia della laguna veneziana, che è il risultato dell’accumulo della sabbia portata dai fiumi, che con il tempo formò i cordoni litorali che la separano dal mare. Per questo fatto gli invasori avevano solo tre vie d’accesso, e una volta penetrati si arenavano sulle secche della laguna, attraversata da un’intricata rete di canali lungo i quali sapevano muoversi solo i locali.

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Lido

L’OBELISCO DI TEODOSIO

SCALA, FIRENZE

tura, alle tecniche costruttive e agli stessi stili artistici quel carattere empirico che gli studiosi hanno sovente rimarcato.

Gli sviluppi politici, economici e commerciali verificatisi tra l’XI e il XII secolo, in coincidenza con la tardiva ma intensa partecipazione veneziana alla colonizzazione del litorale siropalestinese dopo la prima crociata, condussero alla definitiva affermazione di Venezia in stretto rapporto con la politica di Manuele Comneno e di papa Alessandro III. L’ampliamento verso ovest della piazza antistante la basilica di San Marco, dovuto ai dogi Vitale II Michiel e Sabastiano Ziani con l’interramento del canale Batario, il rifacimento del palazzo ducale e l’innalzamento delle due colonne di san “Todaro” (Teodoro) e del leone di San Marco, si accompagnò a un nuovo e definitivo impulso nel senso della razionalizzazione del quadro urbano attraverso la costruzione di nuovi ponti e l’interramento progressivo dei canali secondari.

A partire dall’ultimo quarto del XII secolo si avviò il rivestimento musivo e marmoreo delle pareti esterne della basilica. Frattanto, accanto alla basilica, alla più antica struttura del castello particiaco si aggiunsero il palatium commune e quello ad ius reddendum, sul quale s’innalzò il vero e proprio “palazzo ducale”.

Nel 1202, il fatto che i capi della cosiddetta “quarta crociata” avessero scelto Venezia non solo come porto di partenza per la loro impresa, ma anche come interlocutrice sul piano finanziario, costituisce la riprova del fatto che ormai la città si era guadagnata in Europa, insieme e in concorrenza con la rivale Genova, una fama e un prestigio ormai ben solidi. Gli eventi del biennio 1202-1204, con la conquista di Zara prima, di Costantinopoli poi, e la compartecipazione dei Veneziani all’impresa del governo dell’impero detto“latino d’Oriente”coincisero non soltanto con l’arrivo in città di forti somme di danaro frutto del bottino e quindi dello sfruttamento delle nuove conquiste, ma anche di opere d’arte che determinarono e accompagnarono un“rinascimento veneziano del XIII secolo”fondato sulla riscoperta dell’antico: un“antico”ch’era, in

Nel 1204 i Veneziani si impadronirono del tesoro degli imperatori di Costantinopoli CALICE DI UN IMPERATORE BIZANTINO. TESORO DELLA BASILICA DI SAN MARCO. 70 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

SCALA, FIRENZE

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A Costantinopoli, l’imperatore romano fece innalzare l’obelisco del faraone Thutmosi III nell’ippodromo, dove si trovavano originariamente anche i quattro cavalli del tesoro di San Marco.

I TETRARCHI SONO UN GRUPPO STATUARIO IN PORFIDO (130 CM) RAFFIGURANTE I FIGLI DI COSTANTINO. PIAZZA SAN MARCO, VENEZIA.

nell’aprile del 1204 i crociati entrarono in Costantinopoli. Gli oggetti del tesoro di San Marco, come i quattro celebri cavalli che per secoli hanno ornato la loggia esterna della basilica, hanno in gran parte questa origine. Il capolavoro, attribuito a Lisippo, fu secondo la tradizione portato per volontà di Costantino da Atene a Costantinopoli e sistemato sul frontone d’ingresso delle scuderie dell’Ippodromo, di fronte al Grande Palazzo imperiale. nella sua nuova capitale Costantino aveva disposto lungo il percorso della Via Decumana Trionfale una biforcazione segnata da un monumento, il Philadelphion (“Amore fraterno”): un massiccio pilastro in porfido raffigurante i suoi quattro figli Crispo, Costantino, Costanzo e Costante che, in solenne tenuta militare, si abbracciano. Dopo il 1204 i Veneziani s’impadronirono di quel monumento e lo trasportarono nella loro città dove, collocato a lato dell’ingresso di San Marco, è noto come il monumento ai Tetrarchi.

a Venezia fu soggetta a un complesso lavoro di adattamento. Il “rinnovamento” della Pala d’oro risale al 1209 e costituisce un esempio di quel “ritorno all’antico” della cultura artistica comune all’arte euro-occidentale dei secoli XII-XIII ma che, a Venezia, acquisì un tono “bizantino”.

L’edizione dalla Pala nel suo aspetto attuale è quella ordinata da Andrea Dandolo: ciò è attestato dall’iscrizione incisa su due tavolette dorate nella parte inferiore dell’opera. Il complesso della Pala d’oro fu portato a termine nel 1345, con la coperta dipinta Paolo Veneziano, aiutato dai figli Luca e Giovanni.

PALA D’ORO, PARTICOLARE RAFFIGURANTE IL PROFETA ABACUC. LA PALA D’ORO È UN PANNELLO DECORATIVO (140X348CM) IN ORO, ARGENTO, SMALTI E PIETRE PREZIOSE (CIRCA 2000).

DEA / SCALA, FIRENZE

SCALA, FIRENZE

I TRE CAPOLAVORI DEL TESORO DI SAN MARCO

il terzo incomparabile gioiello di San Marco è la Pala d’oro: essa fu ordinata nel 1105 dal doge Ordelaffo Falier ad artigiani orafi di Bisanzio, ma

I QUATTRO CAVALLI DEL TESORO DI SAN MARCO SONO IN BRONZO DI CORINTO, UNA LEGA DI RAME E STAGNO ARRICCHITA CON ORO E ARGENTO.

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IL PONTE SULL’ARSENALE

SCALA, FIRENZE

ORONOZ / ALBUM

ORONOZ / ALBUM

realtà, lo stile tardoromano passato attraverso l’eredità e l’elaborazione bizantine. Ciò influì soprattutto sulle arti musive, contribuendo a determinare una scuola veneziana nella quale il modello bizantino è evidente, ma appare sottoposto a una dinamica nuova e originale.

Tutto ciò non passò inosservato: nel 1218, Onorio III domandò al doge Pietro Ziani di procurargli artisti veneziani per la decorazione musiva della basilica extramuraria di San Paolo in Roma. Ricerche recenti hanno sottolineato come i tratti lineari e cromatici dei mosaici veneziani a partire dal XIII secolo debbano esser posti in rapporto con i modelli bizantini, ma anche con un altro tipo di arte che si andava affermando, quello della miniatura, che accoglieva anche suggerimenti derivati dalle culture iconiche dell’entroterra veneto e padano.

Un elemento rivoluzionario nella struttura urbanistica veneziana non meno che in quella di altri centri urbani fu l’arrivo e l’impianto, a

La tela del Canaletto mostra il cantiere navale al servizio dell’attività mercantile veneziana sin dal XII secolo.

partire da circa il secondo terzo del XIII secolo, dei conventi dei nuovi Ordini mendicanti che preferivano in genere occupare strategicamente le periferie, dove si addensavano, in quel secolo di rapido incremento diocesano, gli insediamenti dei ceti subalterni.

Nel 1231 i frati minori ebbero in dono un’area paludosa nella quale avrebbero fondato la basilica di Santa Maria Gloriosa, detta appunto “dei Frari”. I minori s’insediarono presto anche nell’area nella quale sarebbe più tardi sorto San Francesco alla Vigna, nel sestiere di Castello, mentre risalirebbe a una donazione di Jacopo Michiel, nel 1233, la fondazione di San Francesco del Deserto su un’appunto deserta isola della laguna. Fu invece il doge Jacopo Tiepolo (1229-1249) a donare un anno più tardi, nel 1234, ai domenicani un appezzamento di terreno sul quale essi costruirono la chiesa dedicata ai Santi Giovanni e Paolo (“San Zanipolo”): la chiesa che oggi ammiriamo è più recente, ma sembra seguire l’impianto di quella originale. I Frari e San Zanipolo, entrambe originariamente lontane dai luoghi nevralgici del potere cittadino, significativamente distanti e “opposte”,

Lo stile bizantino influenzò sensibilmente quello veneziano, sia nell’arte musiva sia nell’oreficeria RELIQUIARIO PROVENIENTE DA COSTANTINOPOLI. TESORO DELLA BASILICA DI SAN MARCO.

TRA LEGGENDA E REALTÀ

LA BASILICA E LE SUE FASI COSTRUTTIVE È leggendario il legame stretto tra l’anno dell’arrivo delle reliquie di San Marco a Venezia, nell’828, e l’inizio della costruzione di una cappella-reliquiario-santuario strettamente collegata a un culto segnato dalla volontà e dalla dignità ducale. Il modello di questa “cappella palatina” dovrebbe ricercarsi nel Sacro Palazzo di Costantinopoli, e il suo significato sarebbe pertanto politico: appoggiandosi all’autorità delegata del basileus, mediante il culto marciano, contrapposto a quello petrino della cattedrale episcopale, il dux sottolineava l’autonomia da qualunque altro potere prossimo. Questo carattere politico spiega la contiguità della chiesa con la residenza del dux e il suo incendio avvenuto nel 976 durante una rivolta.

La “rifondazione” di San Marco (1063 circa) voluta dal doge Domenico Contarini avvenne sul modello dell’Apostoleion, edificato da Costantino e destinato ad accogliere i sepolcri degli imperatori. San Marco ebbe difatti anche questa iniziale funzione, che poi passò alle chiese dei Frari e di San Zanipolo. La consacrazione ebbe luogo nel 1094, con Vitale Falier.

AKG / ALBUM

erano destinate a giocare un ruolo culturale e se si vuole addirittura politico fondamentale, attirando non solo la devozione popolare, ma anche quella delle grandi famiglie aristocratiche le quali avrebbero scelto le due chiese come sepolcro, arricchendole di opere d’arte.

La ristrutturazione sia dei Frari sia di San Zanipolo risale agli Anni Trenta del XIV secolo: essa comportò anche importanti modifiche strutturali, perfino nell’orientamento degli edifici. Le due chiese sarebbero servite anche come luogo d’inumazione dei dogi, non appena non fu più possibile seppellirli in San Marco.

Verso la metà del XIV secolo un importante ruolo nell’impulso dell’arte veneziana si dovette al doge Andrea Dandolo, che resse il dogado tra 1343 e 1354 e fu giurista, storico, letterato: egli intervenne sovente nella manutenzione e nel rinnovamento continuo della basilica nonché nelle modifiche del suo tesoro più prezioso, la Pala d’oro.

Agli interessi e ai gusti del Dandolo si attribuisce lo

sviluppo specifico del gotico veneziano, con i suoi elementi di sintesi fra la tradizione eurosettentrionale e il ricorso a elementi tanto strutturali quanto ornamentali di tipo orientale.

Fu durante il suo dogado che si avviò la vera e propria decisa ristrutturazione del nuovo palazzo ducale con l’apertura dell’immensa sala del Maggior Consiglio, che doveva essere in grado di accogliere i consiglieri, il numero dei quali era andato crescendo da trecento a mille.

In tal modo la dinamica politica e costituzionale della città influiva decisamente non solo sull’aspetto propriamente estetico, bensì sulle vere e proprie strutture architettoniche. Doveva avere un carattere simbolico-politico l’affresco del Paradiso che ornava quella medesima sala e al quale avrebbe contribuito Guariento: ce ne resta purtroppo solo un piccolo frammento.

Quanto all’architettura propriamente civile e privata, ai secoli XII-XIII appartengono le dimore in stile cosiddetto veneto-bizantino, con portico centrale e loggia superiore: come esempi si possono citare palazzo Falier, Ca’ Businello, Ca’Lion, Ca’Da Mosto; allo sviluppo propriamente gotico di questa tipologia appartengono

SCALA, FIRENZE

A metà del XIV secolo il doge Dandolo promosse il rinnovamento di San Marco e della Pala d’oro SAN MARCO, PARTICOLARE DELLA PALA D’ORO. TESORO DELLA BASILICA DI SAN MARCO. 1105.

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IL LEONE DI SAN MARCO, SIMBOLO DELL’EVANGELISTA, SULLA FACCIATA DELLA BASILICA. 1512.

R. JÁUREGUI / AGE FOTOSTOCK

GIOVANNI SIMEONE / FOTOTECA 9X12

Due delle cinque cupole della basilica, la cui pianta è a croce greca con bracci diseguali; l’altare, che custodisce le spoglie del santo, è nel presbiterio.

DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

L’INTERNO DI SAN MARCO

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DAGLI ORTI / ART ARCHIVE

SCALA, FIRENZE

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LA LEGGENDA DI S. MARCO Secondo una leggenda, un angelo sotto forma di leone alato avrebbe preannunciato a San Marco, naufrago nella laguna, che le sue spoglie sarebbero state oggetto di venerazione con queste parole: «Pace a te, Marco, mio evangelista. Qui riposerà il tuo corpo».

Nella basilica, la storia dell’evangelista è raccontata da un ciclo musivo.

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Le reliquie

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La sparizione

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L’arrivo a Venezia

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Recupero delle spoglie

Nell’828, due mercanti veneziani riescono a ottenere dai copti le reliquie dell’evangelista Marco, santo e patriarca per la loro Chiesa.

Nell’832 le reliquie sono consegnate al dux veneziano. Il corpo del santo è traslato nella basilica edificata per custodirle.

Nel 976 un grande incendio distrugge la basílica di San Marco e le spoglie del santo spariscono. Nel 1063 si erige la nuova basilica e si prega per il ritrovamento.

Il 25 giugno 1094 durante la messa crolla una colonna e tra le macerie compare il braccio dell’evangelista: le reliquie sono state ritrovate.

MIRACOLO DELLA CROCE

La tela di Gentile Bellini rievoca il ritrovamento della reliquia della Croce caduta nel canale di San Lorenzo.

XV secolo. Gallerie dell’Accademia.

IL PONTE DI RIALTO

E. LESSING / ALBUM

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Fondamentale per lo sviluppo della pittura è inoltre la presenza nella città di Antonello da Messina (1475-1476).

Il Rinascimento in architettura si affermò secondo la consueta tipologia empirica, attraverso compromessi con la precedente tradizione e ora caute, ora più audaci innovazioni: lo si vede nel portale di San Zanipolo, del 1458, e nell’ Arco Foscari del palazzo ducale attribuito ad Antonio Rizzo. Al 1460 circa appartiene la Porta dell’Arsenale, primo vero e proprio attestato di un ormai raggiunto sicuro e caratteristico linguaggio architettonico umanistico.

I due episodi che a Venezia segnano il passaggio dal linguaggio“umanistico”successivo al “rinascimento veneziano” del Duecento e problematicamente collegato alle influenze “gotiche”e“orientali”e il Rinascimento vero e proprio possono essere considerati la risistemazione della piazza San Marco, a ovest della basilica, a opera di Jacopo Sansovino, e l’opera composita ed eclettica di Mauro Codussi, al quale si deve sullo scorcio del secolo il palazzo Vendramin Calergi.

Per saperne di più

SAGGI

Storia di Venezia Frederic C. Lane. Torino, Einaudi, 1978.

Bisanzio e Venezia Giorgio Ravegnani. Il Mulino, Bologna, 2006.

Venezia medioevale Storica NG, n. 51.

LUCA DA ROS / FOTOTECA 9X12

la Ca’ d’oro e le case dei Foscari e dei Pisani.

La particolare struttura urbana di Venezia impedì che i vuoti lasciati dalla “peste nera” del 1347-50 e dalle successive ondate epidemiche le quali si susseguirono fino all’altra grande pandemia del 1630 si traducessero in una vera e propria restrizione del centro urbano, come accadde altrove: tuttavia, anche a Venezia come altrove, il diradamento delle case adibite a residenza per i ceti subalterni lasciò spazio per la costruzione di nuovi edifici pubblici religiosi e civili e per l’ampliamento di quelli che già c’erano, nonché per l’impianto di orti e giardini.

Tra il XIV e il XV secolo si procedette alla definitiva ristrutturazione dello stesso palazzo ducale, con una contaminazione di elementi gotici e orientali; un ampio loggiato s’impostò sopra i portici ad archi acuti su basse robuste colonne. In sostituzione degli affreschi di Guariento, nella sala del Maggior Consiglio, si commissionarono nel 1474 i teleri a Gentile Bellini; la pittura monumentale su tela continuò a venir praticata fra XV e XVI secolo con Giovanni Bellini, Carpaccio, Tiziano, Pordenone, Veronese, Tintoretto, anche se l’incendio del 1577 distrusse molte tele. La tela divenne un supporto consueto anche per la pittura a olio, come si vede nei capolavori del Carpaccio.

Accanto ai Vivarini e a Cima da Conegliano, Giovanni Bellini fu la figura dominante tra la seconda metà del XV e l’inizio del XVI secolo.

L’opera attuale fu realizzata da Antonio da Ponte nel XVI secolo per sostituire quella medioevale in legno, distrutta da un incendio.

INONDAZIONE E INCENDIO

1106: L’ANNUS HORRIBILIS DI VENEZIA La combinazione tra le alte maree, l’abbondanza delle piogge e il vento da sudest provoca regolarmente l’acqua alta nella laguna veneziana. Una delle più catastrofiche si produsse nel gennaio del 1106. Il nucleo abitativo di Malamocco scomparve letteralmente dalle carte e i suoi abitanti si trasferirono a Chioggia.

Solo a distanza di molti anni tornarono al Lido e rifondarono la città in un luogo più protetto.

L’isola di Rialto patì molti danni, ma si salvò. A distanza di pochi giorni scoppiò però un incendio che devastò sei parrocchie, e in aprile un nuovo e più devastante incendio distrusse 24 chiese della città. Le fiamme erano così potenti che l’incendio si propalò da una riva all’altra del Canal Grande, in un’epoca in cui esistevano solo ponti di legno.

Da allora si prese la decisione di costruire tutte le abitazioni in pietra, comprese quelle più popolari.

Per le chiese furono utilizzati particolari mattoni rossi di piccole dimensioni, le altinelle, con così elevate caratteristiche di resistenza da garantire la conservazione degli edifici fino a oggi.

La grande sfida affrontata dai Veneziani fu la creazione di un’area urbana su un territorio prevalentemente paludoso costituito da una costellazione di isole e isolette.

Essi applicarono una particolare tecnica di fondazione, realizzata DUE UOMINI CONFICCANO PALI NELLA con pietra impermeabile, LAGUNA. INCISIONE. zattere di larice e pali in SECOLO XVIII. MUSEO CORRER, VENEZIA. legno di pino. La tecnica si è rivelata efficace, visto che molti di questi edifici sono sopravvissuti allo scorrere del tempo e si possono ammirare ancora oggi.

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L’impianto urbano di Venezia

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LA CITTÀ SOPRA LE ACQUE

era organizzato intorno a campi o campielli, termini risalenti all’epoca in cui queste aree aperte erano campi destinati al pascolo o alle colture agricole. Nel tempo tali aree furono pavimentate per accogliere magazzini e attività commerciali. Ogni campo aveva una chiesa, la cui facciata guardava di solito verso un canale, e un pozzo, in posizione centrale, con il bordo decorato, segno dell’importanza che la comunità riconosceva alla disponibilità di acqua potabile. Leggi dedicate salvaguardavano la purezza dell’acqua e proibivano di avvicinarsi ai pozzi con animali e con mani o recipienti sporchi.

POZZO CON BORDO DECORATO CON RILIEVI IN UN CAMPO DI VENEZIA. FOTOGRAFIA DEL 1875.

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GES

Le fondazioni Il sottosuolo della laguna è costituito dal cosiddetto caranto 1, a strati alterni di sabbia e argilla compattati.

I costruttori piantavano pali 2 di legno di pino molto lunghi (fino a 7,5 m) e vicini l’uno all’altro, fino a conficcarli nel caranto. Essi non erano soggetti a putrefazione per via dell’assenza di ossigeno nella falda freatica (lo strato in cui si accumulano le acque sotterranee). Sopra i pali erano stesi strati di pietra d’Istria 3, che avevano la funzione di rendere impermeabile la costruzione.

I pozzi Fino alla fine del XIX secolo, quando fu costruito un acquedotto sulla terraferma, l’approvvigionamento idrico a Venezia è avvenuto grazie allo sfruttamento dell’acqua piovana, raccolta dal campo o dal campiello grazie a tombini 4 e convogliata in una grande cisterna al centro della piazza 5. Dopo essere stata filtrata dalla sabbia presente sul fondo della cisterna, l’acqua arrivava al pozzo 6, a 5 metri di profondità, le cui pareti d’argilla erano impermeabili.

Canali e ponti Le autorità effettuavano periodici dragaggi del fondo dei canali 7 per evitare che le sostanze di rifiuto lo colmassero. I ponti che li attraversavano erano spesso proprietà privata, e questo comportava che per transitarvi era necessario pagare un pedaggio. Per costruire i ponti in pietra, il canale veniva prosciugato, si rafforzavano le rive con pali 8 e si creava una base di pietra.

RICOSTRUZIONE DI UN CAMPO VENEZIANO CON IL POZZO AL CENTRO, CIRCONDATO DA EDIFICI, E SEZIONE TRASVERSALE CHE MOSTRA LE FONDAZIONI DELLA CITTÀ.

MOLTE FILOSOFIE, UNA SOLA VERITÀ

PICO DELLA MIRANDOLA Figura chiave del Rinascimento, cercò di ricreare una filosofia universale, una comunione delle diverse correnti di pensiero esistenti sin dall’antichità, riunite dall’aspirazione alla conoscenza e al divino, con al centro la “dignità dell’uomo” ELISABETTA SCAPPARONE PROFESSORE DI STORIA DELLA FILOSOFIA, UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

Giovanni Pico della Mirandola, ritratto da Benedetto Crespi detto Il Bustino.

Grande intellettuale, cercò di riunire scienza, religione e magia in una perfetta concordia universale.

Pinacoteca Ambrosiana, Milano.

STEFANO BIANCHETTI / CORBIS / CORDON PRESS

L’UOMO DELLA “CONCORDIA”

SCALA, FIRENZE

L’ELOGIO DEI FILOSOFI “BARBARI”

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A RICERCA DELLA PACE DEL SAPERE

in Pico si coniuga sempre con l’esigenza di prendere in esame sia le dottrine degli antichi, sia l’interpretazione che di esse hanno dato gli autori e commentatori tardoantichi e medioevali.

In una lettera scritta nel 1485 all’umanista Ermolao Barbaro rivendica la sottigliezza e la profondità speculativa dei filosofi scolastici. Lontani da ogni ricerca di eleganza formale –e perciò “barbari” sotto il profilo linguistico, come afferma Ermolao–, essi sono stati tuttavia decisivi per la crescita e la trasmissione del sapere. In filosofia, afferma Pico, non conta la seduzione delle parole, ma il rigore dei concetti. Sottratti alle ossessioni stilistiche che imprigionano i filosofi-oratori, i “barbari” medioevali, con i loro scritti ruvidi e disadorni, hanno scelto di guardare alla sostanza della verità.

TOMMASO D’AQUINO

Esponente della Scolastica, raggiunse un equilibrio tra fede e ragione, due entità viste non più in modo conflittuale.

Affresco di Andrea Bonaiuti in Santa Maria Novella, Firenze.

U

n prodigio non da poco avvenne prima della sua nascita» scrive Giovan Francesco Pico nella biografia dello zio. «Sopra il letto della madre in procinto di partorire si vide apparire una corona circolare di fuoco, poi rapidamente svanita. Forse per suggerirci che chi in quell’ora era destinato a nascere fra i mortali sarebbe stato somigliantissimo alla figura del cerchio per la perfezione dell’intelletto […]. E che la sua mente, al pari del fuoco, si sarebbe sempre rivolta alle cose celesti; e i suoi discorsi infuocati, consoni a una mente infiammata, avrebbero intensamente

celebrato Dio, che è fuoco che arde. Presto però egli si sarebbe sottratto agli sguardi degli uomini, sparendo come quella luce».

Un incipit enfatico, ma che non deve stupire.

Quel giovane ricco, eccentrico, dalla personalità irruenta e ambiziosa, ma indiscutibilmente geniale, appariva già agli occhi dei contemporanei come una delle figure più carismatiche del suo tempo, formidabile per precocità e varietà di esperienze intellettuali. Umanista dalla memoria «tenacissima», poeta latino e volgare, filosofo carico di dottrina, di inquietudine e di istanze innovatrici, Giovanni Pico è, nella suggestiva definizione

C R O N O LO G I A

UNA VITA IN CERCA DI VERITÀ

Nasce (24 febbraio) nel feudo di Mirandola e Concordia, fra Modena e Ferrara. Il padre, Giovan Francesco I, è signore di quelle terre; sua madre, Giulia Boiardo, è zia dell’autore dell’Orlando innamorato.

1485 DEA / AGE FOTOSTOCK

1463

Dopo studi a Bologna e a Padova, a Parigi approfondisce la conoscenza della scolastica medioevale. Alla Sorbona progetta un dibattito di studiosi per approdare a una sintesi condivisa delle più alte verità.

PICO NEL 1494. MIRANDOLA, BIBLIOTECA COMUNALE.

82 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

PASCAL DUCEPT / GTRES

traduttore, il giudeo convertito Flavio Mitridate. Su impulso della madre Giulia Boiardo, che progetta per lui una brillante carriera ecclesiastica, inizia il suo percorso accademico a Bologna, dove si trasferisce nel 1477, per studiare diritto canonico. Due anni più tardi, in seguito alla morte della madre e alla suggestione di prospettive culturali più complesse, si reca a Ferrara, dove perfeziona la conoscenza delle lingue classiche e della retorica. Poi, nel 1480, è la volta di Padova: qui Pico rimane per due anni, decisivi per la sua formazione. In quel celebre Studio, votato alla conoscenza e all’analisi della tradizione peripatetica, approfondisce la

1487-1488

1494

1496

Il dibattito, previsto per l’Epifania del 1487, viene bloccato dal papa, che in agosto ne condanna alcune tesi-guida.

Arrestato in Francia e liberato per intercessione di Lorenzo de’ Medici, si stabilisce a Firenze.

Muore il 17 novembre, forse avvelenato, chiedendo di essere sepolto con il saio dei domenicani, l’ordine religioso di Savonarola: una scelta rivelatrice dell’intensa spiritualità coltivata nell’ultimo tratto della sua vita.

Dopo un arduo lavoro sui manoscritti, il nipote Giovan Francesco ne pubblica l’ultimo scritto, interrotto dalla morte: le Disputationes contro le forme astrologico-magiche di previsione del futuro.

LA SORBONA A PARIGI

Nel 1485 Pico della Mirandola si trova a Parigi dove coglie la possibilità di assistere alle celebri dispute (dibattiti filosofici) ospitate all’Università.

SAN DOMENICO. BEATO ANGELICO, MUSEO DI SAN MARCO, FIRENZE.

FOTO SCALA, FIRENZE SCALA, FIRENZE

di Lorenzo de’ Medici, «istrumento di sapere fare il bene e il male». La sua vita breve, intensa, avventurosa si snoda dalla giovinezza privilegiata da erede di un nobile casato allo scandalo clamoroso della condanna papale, all’approdo finale nella Firenze in cui Savonarola ha appena dato inizio alla sua straordinaria, e tragica, stagione politico-profetica.

La formazione di Pico, onnivora e tumultuosa, intreccia passaggi negli studi universitari più prestigiosi del tempo; rapporti con l’ambiente del platonismo fiorentino e con Marsilio Ficino; incontri decisivi con controversi compagni d’avventura, come il suo maestro di ebraico e

P

ICO VISSE I SUOI ULTIMI ANNI sotto la protezione dei Medici e soggiornò a lungo nella villa che la famiglia aveva fatto costruire sulle colline di Fiesole nel 1450, e dove Lorenzo il Magnifico ospitava gli umanisti che facevano parte della corte medicea. Nella tranquillità della villa di Fiesole Pico scrisse l’Heptaplus (1489), il commento in 7 libri ai primi 27 versetti della Genesi; il De ente et uno (1492); le Epistolae al nipote Giovanni Francesco (1492). La sua ultima fatica sono le Disputationes adversus astrologiam divinatricem, pubblicate postume nel 1496 a cura del nipote. Si tratta di un’opera imponente, con una prospettiva generale articolata, che delinea la genesi della fede negli astri sullo sfondo della storia stessa dell’umanità e delle sue paure. Pico vi distingue l’astrologia matematica (o astronomia), disciplina razionale che sa leggere nel “libro” del cielo e ne conosce l’influenza esercitata sul mondo inferiore attraverso la luce e il calore, dall’astrologia giudiziaria (posta alla base di oroscopi e pronostici), che ignora le cause delle cose e attribuisce erroneamente alle disposizioni celesti la straordinaria varietà dei fenomeni che si producono in natura.

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DEA / GETTY IMAGES

FOTO SCALA/FIRENZE

IL RITIRO FIESOLANO PRESSO I MEDICI

filosofia di Aristotele e dei suoi commentatori tardoantichi, arabi ed ebraici, anche attraverso l’importante mediazione del filosofo ebreo Elia del Medigo. Dopo una breve tappa fiorentina, nel 1485 è a Parigi, dove ha modo di confrontarsi con una forma peculiare di dibattito filosofico: le lunghe disputationes di impostazione scolastica definite, appunto, di “stile parigino”.

Sostenuto da una ricchissima e originale biblioteca privata raccolta negli anni con passione, curiosità e notevole dispendio di denaro, il suo progetto culturale è ben sintetizzato –e su questo gioco di parole lo stesso Pico amava ironizzare– dal titolo nobiliare che lo designa quale princeps Concordiae, a un tempo“signore di Concordia” e “della concordia”. Il suo eccezionale bisogno di conoscenza non è fine a se stesso, ma guarda per più versi nella direzione della pace: la pace del sapere e la pace dello spirito, che l’uomo −ente libero e perciò consapevole− può ottenere con la cultura e con la virtù.

In un’Italia segnata da una profonda crisi istituzionale e politica, vulnerabile alle invasioni degli eserciti stranieri, e perciò alla vigilia

CABALA ARCANA

BRIDGEMAN / ACI

La cabala, complesso di dottrine ebraiche relative al divino e all’universo, si compone di misticismo ed esoterismo, magia e occultismo, conoscenza e interpretazione, iniziazione e rito.

In ambito extragiudaico, fu proprio Pico della Mirandola, che aveva appreso l’ebraico da Flavio Mitridate, il massimo esponente della cabala definita “cristiana”. Per Pico, che vede la cabala come fonte di sapere, un’affinità profonda lega fra loro le parole e le cose in ogni parte dell’universo e, una volta stabilite le analogie fra mondo angelico, celeste, elementare, appare evidente come sia il quarto mondo, l’uomo, a rispecchiare nel modo più limpido questa armonia.

LA SFERA: SIMBOLO DI SAPIENZA La sfera armillare assunse durante il Rinascimento valore simbolico di saggezza.

Incisione tratta da un testo del grande astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601).

un aspetto –legittimo, e tuttavia limitato e parziale– della conoscenza, esprimendo volta per volta in forme diverse e peculiari una verità che è, di per se stessa, unica.

Chi vuole davvero fare filosofia deve perciò proiettare ogni manifestazione particolare del sapere sullo sfondo di una storia comune dalle premesse antichissime e radicate in un solido nucleo di verità. Deve poi affrontare lo studio comparato delle diverse dottrine, per individuare il legame segreto che esse celano, oltre le tensioni e i contrasti apparenti e il velo degli artifici verbali.

La qabbalah: una chiave per l’interpretazione

BRIDGEMAN / ACI

di «guerre horrende», Pico si interroga sulla possibilità di individuare una misura comune fra gli uomini. Attraverso un’elaborazione originale dei concetti, allora molto attuali e urgenti, di renovatio e concordia mundi, egli prova così a gettare le basi per una sintesi delle diverse fonti e forme del sapere. Una sintesi che, a suo parere, deve fondarsi sulla valorizzazione e la celebrazione della potenza intellettuale dell’uomo, considerata nelle sue diverse manifestazioni storiche. A differenza di Ficino, Pico non considera Platone come il vertice assoluto della sapienza e del proprio itinerario filosofico. «Io – dichiara piuttosto– mi sono proposto di frequentare tutti i maestri di filosofia, di esaminare tutte le posizioni, di conoscere tutte le scuole», dal momento che «è proprio di una mentalità ristretta chiudersi nel portico o nell’Accademia».

Nessuna scuola, a suo parere, è in grado di autofondarsi, di trovare in sé la propria giustificazione teorica. Al contrario, tutti i pensatori hanno espresso

CABALA. DUE IMMAGINI DA UN TRATTATO DI CABALA, MANOSCRITTO GRECO RISALENTE AL XVI SECOLO. BIBLIOTECA MARCIANA, VENEZIA. A DESTRA: L’INFLUENZA DELLA LUNA SULLA LETTURA DEI SEGNI CABALISTICI.

Su questi temi egli lavora a fondo, cercando di dissolvere le classiche opposizioni tra Platone e Aristotele, Avicenna e Averroè, Tommaso d’Aquino e Giovanni Duns Scoto. Ma –ed è la prima volta in un autore cristiano della sua epoca e del suo livello– tra le sue fonti occupano un rilievo decisivo pure i testi che rimandaSTORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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L’ACCADEMIA NEOPLATONICA FIORENTINA

F

U COSIMO DE’ MEDICI a incaricare, nel

SCALA, FIRENZE

INTELLETTUALI MEDICEI. DA SINISTRA, MARSILIO FICINO, CRISTOFORO LANDINO, AGNOLO POLIZIANO E DEMETRIO CALCONDILA. AFFRESCO DEL GHIRLANDAIO, SANTA MARIA NOVELLA, FIRENZE.

no alla cultura e alla sapienza ebraica, dai commentari biblici ai trattati del Talmud, a quelli della qabbalah, la dottrina esoterico-mistica frutto, secondo la tradizione, dell’interpretazione spirituale e iniziatica della Legge rivelata (qabbalah significa infatti“ricezione”) da Dio a Mosè (vedi Storica 72).

Della sapienza cabbalistica fanno parte anche particolari tecniche esegetiche in grado di cogliere il significato mistico della Bibbia, andando al di là del senso letterale, attraverso la conversione delle lettere dell’alfabeto ebraico in simboli o numeri. Perciò Pico considera il metodo interpretativo della qabbalah una chiave preziosa per penetrare i segreti dei testi sacri e della formazione del mondo, entrambi frutto della stessa parola eterna di Dio. Così i moduli consueti del conversionismo antigiudaico tuttora presenti nella cultura quattrocentesca lasciano spazio nella sua riflessione a un interesse intenso e reale per la densità simbolica della lingua originaria di Dio.

1462, Marsilio Ficino dell’istituzione a Firenze di un’Accademia. Il momento culturale era particolarmente vivace: con la caduta di Costantinopoli, numerosi intellettuali bizantini erano giunti nella nostra penisola e qui avevano iniziato a insegnare, erano state istituite cattedre di greco e l’umanesimo italiano aveva aperto le porte al platonismo. Fu in questo contesto che si cominciarono a tradurre in latino le opere di Platone e fu a Firenze che un nuovo cenacolo, definitosi Accademia proprio a simboleggiare la rinascita dell’antica Accademia di Atene, si adoperò nello studio e nella divulgazione delle opere di Platone. Oltre a Marsilio Ficino, dell’istituto fecero parte intellettuali quali Pico della Mirandola, Poliziano, Cristoforo Landino nonché gli stessi membri della famiglia medicea, tra cui Lorenzo il Magnifico.

RISCOPERTA DEI DIALOGHI DI PLATONE Si devono a Marsilio Ficino la divulgazione e la traduzione latina delle opere di Platone; qui sotto, pagina miniata di Platonis Dialogi Marsilio Ficino interprete.

Un alfabeto inesauribile, in grado di aprire l’accesso anche ad altri miti sapienziali dell’antichità, riconducendoli alla comune matrice biblica.

Verso Roma L’esperienza parigina del 1485 ispira al giovane filosofo la stesura di novecento tesi (brevi proposizioni riassuntive) presentate come base di discussione per un grande “congresso” di intellettuali di ogni formazione e provenienza progettato per il 6 gennaio 1487 a Roma.

Nei primi mesi del 1486 comincia così a profilarsi e a maturare un disegno di singolare audacia, e perciò destinato a passare alla storia come uno dei momenti più alti ed emblematici del Rinascimento. A maggio Pico decide di raggiungere Roma, per lavorare all’impostazione del dibattito.

Le sue tesi per la disputa, pubblicate nel dicembre 1486 con il titolo di Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae, vanno intese non certo come una spettacolare ma inservibile Wunderkammer (La

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RENÉ MATTES / CORBIS / CORDON PRESS

AREZZO, PIAZZA GRANDE. DA SINISTRA, LA PIEVE DI SANTA MARIA E IL PALAZZO DELLA FRATERNITA DEI LAICI.

cosmico degli uomini, nati“figli di Dio”e a lui riconsegnati da Cristo, supremo principio di mediazione e di pace universale. Nata presso i poeti-teologi dell’antichità e poi sviluppatasi in forme sempre più perfette, la sapienza conduce infatti l’uomo a riconoscere nel cristianesimo la forma di rivelazione più completa e alta.

Ma quel dibattito non avrà mai luogo, immediatamente sospeso dalle autorità ecclesiastiche, irritate dall’arroganza intellettuale del conte della Mirandola e, soprattutto, preoccupate dal potenziale eversivo di un’utopia sapienziale che –proprio a Roma, la città sacra per eccellenza– sembrava voler sottrarre al dominio esclusivo dei teologi la discussione

AMANTI IN FUGA

Ad Arezzo, nel maggio 1486, Pico è protagonista del rapimento di Margherita, moglie di Giuliano di Mariotto de’ Medici. In fuga verso Roma, i due vengono bloccati.

Pico è ferito e fatto prigioniero.

Pico costruisce con tutte le culture una scala che innalza l’umano verso il divino SFERA ARMILLARE E ASTROLABIO, MONTE OLIVETO MAGGIORE SCALA, FIRENZE

“Camera della meraviglie”, ambiente in cui nel Rinascimento intellettuali, scienziati e collezionisti raccoglievano meraviglie e oggetti fuori dal comune), ma come una sorta di compendio della storia del pensiero e dei suoi diversi“linguaggi”. Esse disegnano una topografia del sapere fisico, metafisico, teologico in cui, accanto ai prelievi dalla tradizione pitagorica, ermetica e magica, è dato ampio spazio ai rappresentanti della cultura arabo-ebraica e della teologia scolastica. Agli studiosi sfugge ancora in parte la natura di alcuni dei dispositivi che regolano il collegamento fra i diversi gruppi di tesi, così come dei più riposti significati simbolici sottesi ad alcuni degli enunciati. Ma è evidente come Pico costruisca con gradini presi da tutte le culture una scala che si innalza dall’umano verso il divino. Nel suo disegno la discussione tra i sapienti avrebbe certo dimostrato due assunti basilari. In primo luogo, che le differenze fra le scuole di pensiero non sono sinonimo di contraddizione, ma auspicio di integrazione.

In secondo luogo, che la sintesi delle religioni e filosofie ha al centro l’esaltazione del compito

GIOVANNI PICO IN PURGATORIO

A

UNA SETTIMANA dalla morte di Pico, il 23 novembre

1494, Savonarola predica sul profeta Aggeo nel duomo fiorentino di Santa Maria del Fiore. Al termine del suo sermone ricorda il filosofo appena scomparso con parole di stima. Conclude però il discorso con la rivelazione di un «secreto» non proprio rassicurante: «Ciascuno di voi credo che conoscesse el conte della Mirandola, che stava qui in Firenze […]. Dicovi che l’anima sua […] è nel Purgatorio». E questo perché «lui fu tardo a non venire alla religione in vita sua, come era sperato. Orate pro eo». Il travaglio spirituale che attraversò Pico, specie nei suoi ultimi anni di vita, portandolo a una meditazione sempre più attenta della Bibbia e allo studio dei Salmi, è attestato dalla lettera che egli scrisse al nipote Giovan Francesco il 15 maggio 1492, esortandolo a una vita scandita dalla preghiera, una straordinaria forma di raccoglimento, in grado di unire l’uomo alla tenebrosa profondità di Dio. Nel giudizio di Savonarola però Pico è stato troppo tiepido nel cammino di “conversione”, frenato da resistenze che gli hanno precluso un approdo immediato in Paradiso, nel «grembo di Dio».

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SCALA, FIRENZE

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GRANDE PREDICATORE. STATUA DI GIROLAMO SAVONAROLA. FERRARA.

su temi di forte rilievo religioso e dottrinale.

La commissione istituita da papa Innocenzo VIII per valutare l’ortodossia delle tesi pichiane si concentra su un numero ristrettissimo di proposizioni. Delle tredici esaminate, sette vengono giudicate apertamente eretiche; altre sei in odore di eresia, perché inclini agli errori dei filosofi pagani, compiacenti verso la «pertinacia dei Giudei», favorevoli a pratiche o arti pericolose per la fede (alcune di esse riguardavano la possibilità di provare la divinità di Cristo per mezzo di magia e qabbalah). Questo basta per una condanna complessiva e senza appello, nonostante la difesa affidata da Pico a un’appassionata Apologia. Su di lui si abbattono quindi l’anatema papale e un mandato di cattura. Fuggito in Francia, nel gennaio 1488 viene arrestato a Lione e rinchiuso nella fortezza di Vincennes. Ma nel giro di poche settimane, in virtù di appoggi influenti, riesce a ottenere la liberazione e la sospensione degli effetti del Breve papale di censura. Sceglie infine di fare ritorno a Firenze (già frequentata nei primi anni ’80), in una sorta di libertà sulla parola

che viene garantita da Lorenzo de’ Medici in persona. Sarà in seguito Alessandro VI, il papa Borgia, con un Breve del giugno 1493, a scagionarlo da ogni accusa di eresia.

I misteri della creazione Dolorosamente colpito dalla vicenda romana, vero spartiacque della sua vita, dopo il ritorno a Firenze Pico non rinuncia però al suo percorso sapienziale e alla ricerca di una concordia che può scaturire solo dal confronto. Così, lavora a un trattato volto a mostrare il sostanziale accordo fra Platone e Aristotele sul tema dell’Uno e del suo rapporto con il molteplice (il De ente et uno, del 1492). Compone anche un commento multiplo ai primi versetti della Genesi, basato sulle tecniche esegetiche della qabbalah (l’Heptaplus, del 1489). La lettura cabbalistica rivela, a suo giudizio, come il testo sacro rappresenti il deposito delle verità più profonde sulla creazione del mondo e l’unità originaria di tutti i saperi. Mosè nella Genesi ha infatti esposto in forma cifrata alte verità, «in modo che parole, contesto, ordine convengano pienamente a

raffigurare i segreti di tutti i mondi e di tutta la natura». Così nel termine ebraico bereshit (ossia, nell’«In principio» di Genesi 1,1), in cui «la ragione del mondo e di tutte le cose viene rivelata», Pico vede racchiuso in una sorta di sigillo verbale il nesso fra macrocosmo (l’universo naturale) e microcosmo (l’uomo). Ogni sapere si configura ai suoi occhi come esercizio costante di interpretazione, favorito da una comunità di dotti –e di uomini– fiduciosi nella riconciliazione e nella dignitas propria di ciascun individuo. Una prospettiva mai rinnegata, che nei suoi ultimi anni di vita si aprirà verso altri orizzonti di ricerca, in ragione di un’evoluzione personale e spirituale profondamente segnata anche dal dialogo con Savonarola.

Per saperne di più

LORENZO IL MECENATE

Detto il Magnifico, fece di Firenze la capitale rinascimentale dell’arte. Lorenzo tra gli artisti, affresco di Ottavio Vannini.

Museo degli argenti, Palazzo Pitti, Firenze.

SAGGI

Giovanni Pico della Mirandola.

Vita e dottrina Eugenio Garin. Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2011.

Giovanni Pico della Mirandola.

Mito, magia, qabbalah Giulio Busi-Raphael Ebgi. Einaudi, Torino, 2014.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LE TECNICHE MNEMONICHE E Di Pico della Mirandola, i posteri ricordano la prodigiosa e proverbiale memoria: 1

PHOTOAISA

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GIORDANO BRUNO. ANCHE IL FILOSOFO DI NOLA FU UN GRANDE ESPERTO NELL’ARTE DELLA MNEMOTECNICA.

In un tempo in cui le tecnologie non permettevano come oggi la registrazione del sapere, gli intellettuali si valevano di particolari tecniche mnemoniche, stratagemmi o espedienti che consistevano essenzialmente nell’immaginare uno spazio fisico organizzato all’interno

del quale collocare immagini semplici da ricordare, a loro volta collegate a concetti o parole. Nel Rinascimento, le mnemotecniche evolsero fino a divenire sistemi di catalogazione, metodi di organizzazione dello scibile umano, vere impronte mnemoniche della conoscenza universale.

IL TEATRO DEL MONDO

erano le mnemotecniche a permettere, un tempo, la conservazione del sapere

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ARCHIVIO PRIVATO

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1 IL TEATRO DI DELMINIO

Tra le rappresentazioni più celebri di questo genere di enciclopedie immaginarie vi è il teatro, pensato come teatro della memoria.

L’umanista Giulio Camillo Delminio ne concepì uno che raccogliesse lo scibile.

2 L’UOMO AL CENTRO

Nell’anfiteatro di Delminio, la platea diviene luogo mnemonico in cui le immagini richiamano reti e schemi associativi come un’enciclopedia dispiegata di fronte all’uomo, posto al centro della scena.

3 LO SCIBILE IN PLATEA

Il teatro del mondo di Delminio si articola in sette gradinate associate ciascuna a una distinta immagine; ogni gradinata è inoltre suddivisa in sette settori corrispondenti ai sette pianeti.

4 L’ENCICLOPEDIA

Dall’intersezione tra gradinate e settori risultano quarantanove “finestre” associate ciascuna a un’immagine mnemonica che rimanda a sua volta a una parte della conoscenza universale.

IL VIAGGIO VERSO LA SCHIAVITÙ

I prigionieri africani erano sistemati nell’interponte delle navi e vivevano in pessime condizioni igieniche e di alimentazione fino all’arrivo nel Nuovo Mondo. Litografia a colori di Johann Moritz Rugendas. XIX secolo.

LEGATI E INCATENATI

Il timore di una rivolta dei prigionieri induceva i trafficanti a immobilizzarli nei loro cubicoli mediante ceppi di ferro come quelli nell’immagine in basso. 1850.

Museo di Storia, Chicago.

IL TRAFFICO UMANO ATTRAVERSO L’ATLANTICO

SCHIAVI

Tra il XVI e il XIX secolo, dodici milioni di africani furono deportati in America come manodopera forzata. Ammassati nelle navi negriere, molti perirono durante la traversata GABRIEL PAQUETTE UNIVERSITÀ JOHNS HOPKINS (BALTIMORE, STATI UNITI)

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lla fine del XV secolo, gli esploratori spagnoli e portoghesi che giungevano in Africa non erano in cerca di schiavi: era l’oro l’oggetto del desiderio, tanto è vero che fino al 1700 fu l’oro, e non gli schiavi, il prodotto africano più ambito dagli europei. La situazione, però, cambiò con lo sviluppo delle piantagioni di canna da zucchero. Gli europei iniziarono a cercare schiavi che lavorassero nelle coltivazioni, prima nelle isole atlantiche orientali, come Madeira e Santo Tomé, e poi nel Nuovo Mondo. La coltivazione dello zucchero richiedeva molta manodopera per un’attività incessante e ardua, soprattutto durante il raccolto. Era un lavoro molto duro che la manodopera libera europea rifiutava di svolgere. Fu così che la crescente produzione di zucchero favorì il lavoro forzato.

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C R O N O LO G I A

Le tragiche tappe della tratta 1444 Una spedizione portoghese giunge in patria con un carico di 235 schiavi africani.

Nel 1486 viene fondata la Casa dos Escravos.

1508 I primi schiavi neri giungono in America mediante licenze speciali concesse dalla Corona spagnola.

1619 Una nave negriera olandese approda sulle coste di Jamestown, dando inizio alla schiavitù nelle colonie inglesi del Nordamerica.

1692 Scoppia una rivolta degli schiavi a Barbados, soffocata dalle autorità inglesi. L’isola era conosciuta per le sue piantagioni di canna.

1780-1790 Il commercio di schiavi attraverso l’Atlantico tocca il punto culminante e si superano i 100.000 prigionieri trasferiti ogni anno.

L’ANTICAMERA DEL VIAGGIO

Cape Coast, nell’attuale Ghana, fu un importante centro del traffico di schiavi. Nel suo castello (in alto) i prigionieri venivano rinchiusi prima di essere imbarcati.

1807 Dopo intense campagne di denuncia da parte dei gruppi antischiavisti, il Parlamento britannico decide di abolire la tratta degli schiavi.

1888 Il Brasile è l’ultimo Paese ad abolire la schiavitù.

Il dominio spagnolo di Cuba riceve l’ultimo carico di schiavi nel 1867.

UNO SCHIAVO NERO INCATENATO E IN GINOCCHIO. FIGURA IN FERRO. 1790.

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I salariati europei e i lavoratori forzati impiegati nella produzione dello zucchero solitamente soccombevano alle malattie endemiche dei climi tropicali in cui cresce la canna da zucchero. Inoltre, le infezioni portate dagli europei in America avevano decimato la popolazione indigena, il che privò i colonizzatori della manodopera autoctona di cui avevano bisogno, e che andarono a cercare in Africa. Nel XVIII secolo, il 40 per cento degli schiavi era impiegato nelle piantagioni di canna da zucchero.

La preponderanza degli schiavi africani come manodopera non fu, tuttavia, un fenomeno repentino. Gli schiavi africani o i discendenti di africani divennero la forza lavoro prevalente nelle piantagioni brasiliane solo a partire dal 1600; prima di quella data, la manodopera era costituita principalmente dagli indios d’America. Nel 1690, nelle Indie Occidentali Britanniche (i possedimenti inglesi nei Caraibi) c’erano più lavoratori forzati europei e indiani americani che discendenti di africani. La transizione finale verso una

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UN GRUPPO DI SCHIAVI CONDOTTO DAI TRAFFICANTI. INCISIONE DA L’AFRIQUE. 1814. BIBLIOTECA DELL’ARSENALE, PARIGI.

SPOSTAMENTI COLLETTIVI

forza lavoro costituita in maggior parte da discendenti di africani va attribuita, in parte, al crollo demografico delle popolazioni schiave in America. Ovunque tranne che nell’America del Nord, il numero dei decessi superava quello delle nascite, quindi c’era bisogno di un flusso costante di nuovi prigionieri per assicurare il funzionamento di quello lo storico Philip Curtin chiamò il «sistema delle piantagioni».

L’arte del baratto in Africa Secondo gli Stati europei, il monopolio era il mezzo più efficace per controllare il traffico di schiavi. Per organizzare questo commercio si servirono di compagnie mercantili a cui erano accordati monopoli e privilegi, come la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, che finirono per fare da intermediarie, supervisionando i commercianti privati europei e regolando le loro interazioni con i mercanti africani. Non tutti i Paesi europei, però, ebbero delle postazioni commerciali sulla costa africana. La Spagna, per esempio, rinunciò ad avere basi in Africa in accordo con il

cerca di schiavi, che potevano essere prigionieri di guerra, criminali, persone sequestrate o povera gente che rinunciava alla libertà pur di sopravvivere. Venivano condotti fino alla costa in file, incatenati e legati a una specie di forca chiusa attorno al collo e il cui manico poggiava sulla spalla del prigioniero precedente.

Trattato di Tordesillas (1494), che concedeva ai Portoghesi il dominio sull’emisfero orientale, nel quale si trovava l’Africa. Per questo, al fine di rifornire di schiavi i suoi possedimenti americani, la Spagna fece ricorso, fino al 1640, a commercianti portoghesi e successivamente a inglesi, francesi e olandesi.

I trafficanti europei giungevano sulle coste africane carichi di mercanzie da barattare in cambio di schiavi: in gran parte si trattava di tessuti, molto spesso provenienti dall’Asia meridionale, ma anche alcolici, armi da fuoco, ferramenta e utensili vari erano importanti merci di scambio. Molto usate come moneta erano le conchiglie di un mollusco, il cauri: si calcola che nel XVIII secolo i commercianti olandesi e inglesi arrivarono a importare fino a 40 milioni di conchiglie all’anno.

Raramente gli europei si avventuravano all’interno dell’Africa in cerca di schiavi. Il più delle volte venivano confinati sulla costa per ordine dei sovrani africani, oltre che per la presenza di malattie letali. Gli africani

COMPLICI E BENEFICIARI

Il regno del Benin (parte dell’attuale Nigeria) si arricchì con la vendita di schiavi agli europei. Maschera yoruba. British Museum, Londra.

AKG / ALBUM

GARY COOK / ALAMY / ACI

I TRAFFICANTI, neri o arabi, penetravano all’interno dell’Africa in

LA VENDITA SULLE COSTE DELL’AFRICA

I gruppi di schiavi acquistati dai trafficanti europei sulla costa africana erano condotti in canoa, all’alba, fino alla nave negriera che li avrebbe portati in America. Incisione del XVIII secolo.

controllavano il traffico di schiavi dalla costa verso l’interno, mentre gli europei si limitavano a imbarcarli. In questo modo, i capi africani dominavano le relazioni commerciali, controllavano il destino dei prigionieri ed esigevano dagli europei il pagamento di imposte elevate per l’acquisto e l’esportazione degli schiavi. Gli agenti africani erano responsabili anche della riduzione in schiavitù di tutte le persone catturate fino alla costa.

Gli schiavi erano in gran parte prigionieri di guerra, ma vi erano anche persone accusate di crimini come assassinio, stregoneria, debiti o furto, o che, semplicemente, erano cadute in disgrazia.

La schiavitù era diffusa in Africa anche prima della tratta atlantica (ossia del commercio di schiavi attraverso l’oceano Atlantico), quindi i commercianti europei sfruttarono un traffico che già esisteva. Prima del 1600, soltanto un quarto di tutti gli schiavi usciti dall’Africa faceva parte della tratta atlantica, mentre nel XVII secolo il traffico di schiavi 96 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

MONETA DI SCAMBIO

I commercianti europei pagavano per gli schiavi con collane di perline, fucili o monili in rame come quelli dell’immagine qui sotto, provenienti dal Benin.

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attraverso l’Atlantico raggiunse i due terzi del commercio totale africano di schiavi. In definitiva, gli europei controllavano soltanto la parte atlantica del traffico di schiavi in Africa.

Un trasporto disumano Il viaggio in nave attraverso l’Atlantico, conosciuto come middle passage o “passaggio intermedio”, durava due-tre mesi, a seconda dei porti di partenza e di arrivo. L’abolizionista britannico William Wilberforce (1759-1833) dichiarò che «mai si vide tanta miseria condensata in poco spazio come su una nave negriera durante il middle passage». In una di queste navi potevano essere ammassati oltre quattrocento prigionieri, suddivisi in tre gruppi: uomini, giovani adulti, donne e bambini. Alle donne venivano dati abiti leggeri, e spesso erano costrette a subire violenze e stupri da parte dei marinai e del capitano. Gli uomini rimanevano nudi quando il tempo era buono, e di notte venivano rinchiusi e legati tutti insieme sottocoperta.

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LA DILIGENTE, NAVE NEGRIERA CATTURATA NEL 1838. ACQUERELLO DI HENRY HAWKER.

INGLESI CONTRO SCHIAVISTI

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DOPO AVER ABOLITO il traffico di schiavi nel 1807, i britannici si

Le condizioni del viaggio erano pessime e il tasso di mortalità arrivò al dodici per cento nel corso di quattro secoli, nonostante gli sforzi degli schiavisti per proteggere il valore del loro carico preservando la salute degli schiavi, per esempio attraverso l’esercizio fisico: i prigionieri erano obbligati a salire in coperta a cantare e ballare, e se rifiutavano di prendere parte a queste attività potevano essere picchiati e frustati. Tuttavia, nonostante la pseudoscienza e le superstizioni europee, gli schiavi morivano. La dissenteria e altri disturbi intestinali erano le cause di morte più comuni, ma anche le malattie trasmesse dalle zanzare, come la malaria e la febbre gialla, lo scorbuto e le affezioni respiratorie si portavano via molte vite.

Spesso alcuni prigionieri erano costretti a svolgere lavori come come la pulizia dei cubicoli dei loro compagni di viaggio sottocoperta o lo svuotamento dei secchi usati per raccogliere escrementi e altri fluidi corporali. Le donne si occupavano soprattutto della preparazione dei pasti, a base di riso, igname e cereali, che erano

sentirono autorizzati a catturare qualsiasi nave negriera incrociasse il loro cammino. Nel 1838 presero la Diligente, un’imbarcazione portoghese che trasportava circa 600 schiavi. L’acquerello, opera di un marinaio, mostra un centinaio di prigionieri ammassati in coperta e sorvegliati dai membri dell’equipaggio.

i componenti principali della dieta a bordo.

In qualche occasione, coloro che svolgevano questi compiti potevano essere ricompensati con un po’di liquore o di tabacco, piccoli extra aggiunti alle esigue razioni di cibo.

La “schiavitù” dei marinai Vale la pena sottolineare che anche i marinai europei soffrivano sulle navi negriere. Per loro, la costa occidentale africana era la peggiore fra tutte le possibili destinazioni, e molto spesso si arruolavano a bordo solo per disperazione o per mancanza di altre possibilità. Un commerciante di schiavi del XVIII secolo considerava i membri del suo equipaggio «schiavi bianchi», chiamandoli, con sommo disprezzo, «la feccia della comunità». La metà degli europei che si recarono in Africa occidentale nel XVIII secolo morì, soprattutto di malaria o febbre gialla, e i marinai che riuscirono a sopravvivere collaborarono attivamente al controllo del carico umano. Solitamente si occupavano di mantenere l’ordine tra gli schiavi, soffocando le ribellioni e infliggendo STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Tra il XVI e il XIX secolo furono effettuate quasi 25.000 spedizioni schiaviste nell’Atlantico.

Di queste, 443 naufragarono e altre 148 si dispersero in mare, a dimostrazione che era un viaggio difficile e rischioso per i marinai. Il tributo più pesante, tuttavia, fu pagato dagli africani: si calcola che furono oltre un milione a perdere la vita durante il tragitto, vittime dell’affollamento, di una pessima alimentazione, delle severe punizioni e dei maltrattamenti da COLLANA DI PERLINE DI VETRO CONFEZIONATA A VENEZIA NEL XVIII parte dell’equipaggio SECOLO, USATA COME MONETA DI SCAMBIO delle imbarcazioni.

DAI TRAFFICANTI DI SCHIAVI.

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LA NAVE NEGRIERA BROOKES IN UN’INCISIONE PUBBLICATA A LONDRA ATTORNO AL 1790.

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sistemazione della “mercanzia”. Mentre donne e bambini in genere erano autorizzati a trascorrere le ore diurne in coperta, i maschi erano rinchiusi nell’interponte. In un documento degli inizi del XIX secolo si legge che ogni giorno al calar del sole «il luogotenente e il suo secondo scendono nelle stive con una frusta in mano e sistemano i negri per la notte. Quelli che sono a tribordo vengono disposti come cucchiai, girati in avanti.

Quelli a babordo li girano all’indietro; questa è la posizione migliore, perché permette di respirare liberamente».

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ART ARCHIVE

LA SFIDA DELLA TRAVERSATA ATLANTICA

UN TRAFFICANTE DI SCHIAVI SULL’ISOLA DI GORÉE (SENEGAL) NEGOZIA CON UN CAPO LOCALE LA VENDITA DI UN LOTTO DI PRIGIONIERI. INCISIONE DELLA FINE DEL XVIII SECOLO.

SEZIONE DI UNA NAVE NEGRIERA DEL XVIII SECOLO. ACQUERELLO.

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vigilanza e castighi. Più che una preoccupazione, la sicurezza era un’ossessione per i marinai delle navi negriere. La vigilanza sugli schiavi era strettissima, specialmente nei primi momenti del viaggio, quando i prigionieri, sentendo di essere ancora vicino all’Africa, si mostravano in atteggiamento di sfida e disposti ad azioni disperate. In caso di indisciplina o ammutinamento le punizioni erano severissime. Dopo una rivolta degli schiavi dell’Africain, nel 1737, gli ufficiali presero i quattro capi dei ribelli, li stesero sotto coperta, li frustarono, fecero loro delle incisioni con un coltello e versarono polvere da sparo, succo di limone e pepe nelle ferite sulle natiche, «per impedire che la cancrena si estendesse e perché sentissero bruciore», come raccontò un testimone.

L’Aurore GRAZIE A UNA RICCA DOCUMENTAZIONE, conosciamo

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UNA GIOVANE SCHIAVA CASTIGATA DAL CAPITANO SULLA COPERTA DI UNA NAVE NEGRIERA.

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molto bene le caratteristiche di una nave negriera francese, l’Aurore, varata nel 1784 a Nantes, il principale porto francese per il commercio degli schiavi. Con un peso di quasi 300 tonnellate e tre alberi, aveva un equipaggio di 45 uomini e poteva alloggiare al suo interno fino a 600 schiavi.

L’imbarcazione era divisa in tre parti: il ponte o coperta; l’interponte, dove si ammassavano gli schiavi, e le sentine, che nel viaggio verso l’America erano piene di barili d’acqua e al ritorno in Europa di botti di zucchero.

il cibo. L’alimentazione degli schiavi era costituita da zuppa

IMBARCO DI SCHIAVI SULLA COSTA AFRICANA CON DESTINAZIONE STATI UNITI. XIX SECOLO.

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di riso, tapioca e fave, a volte con l’aggiunta di pesce: una dieta economica, ma che si sperava evitasse la diffusione di epidemie, uno dei timori più grandi di un capitano negriero. Il problema principale era l’acqua; secondo un testimone, «di solito si guasta due o tre volte durante le traversate e diventa spessa e fangosa, a volte piena di larve». Alcuni consigliavano di distribuire di tanto in tanto, se tutti si comportavano bene, un po’ di acquavite, un dolce o addirittura un pezzo di bue bollito.

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In America, gli schiavi erano venduti per cambiali che si riscuotevano in Europa o si barattavano con prodotti tropicali.

PRODOTTI CONTRO SCHIAVI

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A M E R I CA DEL NORD

I VIAGGI DI ESPLORAZIONE di Spagnoli e Portoghesi nel XV secolo collegarono l’Europa con l’Africa equatoriale, l’India e l’America. Si produsse così una prima “globalizzazione” per la quale, tuttavia, si pagò un prezzo enorme: quello di un traffico di schiavi massiccio e mortale. La tratta dei neri divenne il fulcro del cosiddetto “commercio triangolare”, al suo apice nel XVIII secolo. I mercanti europei acquistavano schiavi sulla costa africana in cambio di articoli di scarso valore, e dopo il middle passage (o passaggio intermedio, cioè la traversata dell’Atlantico) li vendevano o li barattavano in America con i prodotti tropicali più richiesti in Europa, soprattutto caffè, tabacco e zucchero.

MARTIN-PIERRE FOÄCHE, GRANDE COMMERCIANTE DI SCHIAVI DEL PORTO FRANCESE DI LE HAVRE. RITRATTO DI ALEXANDRE ROSLIN. XVIII SECOLO.

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La rotta triangolare seguita da Inglesi, Francesi e Olandesi durava circa 18 mesi. I Portoghesi andavano direttamente dall’Angola al Brasile.

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A M E R I CA CENTRALE

A M E R I CA D E L SU D

OCEANO PACIFICO

OCEANO ATLANTICO

Minerali Caffè Tabacco Zucchero Riso Cotone

Inglesi Portoghesi Francesi Spagnoli Olandesi

LE FASI DELLA TRATTA

XVI secolo. In questo periodo furono trasportati in America circa 300.000 africani, in gran parte con imbarcazioni portoghesi, partendo dalle basi della Corona lusitana nell’Africa occidentale. Una parte fu portata in Europa.

XVII secolo. Il numero di prigionieri salì a 1.800.000. I trafficanti erano per oltre la metà portoghesi, e rifornivano il mercato del Brasile; a questi si aggiungevano inglesi e olandesi, con piantagioni nei Caraibi e in Nordamerica.

XVIII secolo. Fu il secolo d’oro della tratta, con 6.200.000 schiavi trasportati.

I trafficanti britannici superarono quelli portoghesi, e i francesi quelli olandesi. Fino al 1850 furono trasportati ancora 3,8 milioni di schiavi.

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Negrieri molto rispettabili Nel XVIII secolo città portuali come Londra e Liverpool in Inghilterra o Nantes e Bordeaux in Francia vissero decenni di prosperità economica grazie al traffico di schiavi e all’importazione di zucchero o tabacco, poi esportati in altri Paesi.

Nacquero così famiglie di armatori e commercianti schiavisti che vivevano in splendide tenute, circondati da lusso e raffinatezze, senza alcun rimorso di coscienza per l’origine della loro fortuna.

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DIPINTO DI FRANÇOIS-AUGUSTE BIARD RAFFIGURANTE LA FINE DELLA SCHIAVITÙ NELLE COLONIE FRANCESI NEL 1848.

LA BATTAGLIA PER ABOLIRE LA SCHIAVITÙ

F ERICH LESSING / ALBUM

u la Gran Bretagna, nel 1807, il primo Paese ad abolire la schiavitù, e le sue colonie la seguirono nel 1834. Gli Stati Uniti posero fine al commercio di schiavi attraverso l’Atlantico nello stesso anno della Gran Bretagna, ma la schiavitù in sé (e il commercio atlantico illegale) continuò fino alla Guerra civile (1861-1865). L’indipendenza degli Stati dell’America Latina implicò la fine del commercio di schiavi ovunque tranne che in Brasile. Tuttavia, anche se la Gran Bretagna attuò una lunga lotta per porre fine all’infame commercio, la tratta continuò, anzi fiorì nel corso del XIX secolo. Alla fine, il Brasile cedette alle pressioni nel 1850, ma la schiavitù perdurò fino al 1888. Spagna e Cuba la mantennero a lungo: nell’arcipelago caraibico il commercio fu abolito nel 1867, e la schiavitù sopravvisse fino al 1886.

punizioni corporali. La minaccia di rivolta era reale, e le misure per prevenire insurrezioni quando le navi negriere dovevano trasportare un carico di prigionieri superiore al solito faceva aumentare il costo totale del viaggio.

I marinai dovevano anche preparare gli schiavi per la vendita. Quando la nave era abbastanza vicina alla propria destinazione, toglievano i ceppi ai prigionieri e curavano le escoriazioni, pulivano e radevano gli uomini, toglievano i capelli bianchi o li tingevano di nero per dare un aspetto più giovane e virile e ungevano i loro corpi con olio di palma.

I riflessi sull’economia I benefici del commercio di schiavi sono stati oggetto di accesi dibattiti. Secondo alcuni storici, come Eric Williams, tali profitti costituirono la base della Rivoluzione industriale. Altri, invece, affermano che l’utile di ciascun viaggio di una singola nave negriera andava in media dal 5 al 10 per cento. Un punto di vista diverso sulla questione potrebbe essere quello di esaminare quante vite e quan-

te attività commerciali si basarono sul traffico di schiavi e sulla schiavitù, a partire dagli agenti delle assicurazioni delle navi, dai capitani e dagli equipaggi, passando per i fornitori di viveri per il viaggio per arrivare infine ai proprietari di schiavi e agli intermediari che vendevano manufatti e prodotti realizzati con il lavoro degli schiavi.

Da questa prospettiva, l’importanza del commercio atlantico di schiavi per l’economia globale fu decisiva e riguardò tutti i settori dell’economia europea, persino nei Paesi che non possedevano colonie né schiavi.

Tuttavia, il prezzo in vite umane e sofferenze fu incalcolabile e terribile, e la sua dannosa eredità ha ripercussioni ancora oggi in gran parte delle società dell’Africa, dell’Europa e del Nuovo Mondo.

Per saperne di più

SAGGI

La tratta degli schiavi.

Saggio di storia globale Olivier Pétré-Grenouilleau.

Il Mulino, Bologna, 2010.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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LA VENDITA DEGLI SCHIAVI AL MERCATO Il traffico di schiavi era regolato dai criteri di costo e beneficio, come qualsiasi impresa capitalista.

Sulla costa africana, i trafficanti contrattavano il prezzo con le autorità locali e i mediatori, non sempre in modo soddisfacente. In America, il capitano cercava di collocare la sua “mercanzia” al miglior prezzo, ricorrendo a tutti gli espedienti di un commerciante. Gli schiavi potevano essere venduti per cifre fino a 800 volte più alte del prezzo d’acquisto, ma erano elevati anche i costi e i rischi del viaggio. In ogni caso, poche spedizioni si conclusero in perdita.

Un carico di uomini e donne robusti, in buona salute e pronti al servizio, è appena giunto dalla Costa d’Avorio a bordo del Two Brothers. Le condizioni [di pagamento] sono le seguenti: metà in contanti o in natura, l’altra metà pagabile il 1° gennaio prossimo, eventualmente con garanzia. La vendita aprirà ogni giorno alle 10 nel magazzino del Sig. Bourdeaux, al numero 48, al porto.

19 maggio 1784 ANNUNCIO DI VENDITA DI SCHIAVI PUBBLICATO SU UN GIORNALE DELLA CAROLINA DEL SUD NEL 1784.

JOHN MITCHELL

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Schiavi in vendita

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trucchi per una buona presentazione del prodotto

pubblicità e vendita a lotti e al dettaglio

POCO PRIMA che la nave negriera giungesse in porto, i marinai prestavano una serie de cure agli schiavi al fine di renderli più attraenti per i venditori: li lavavano, rasavano i capelli e la barba agli uomini, frizionavano il corpo con olio di palma, somministravano un purgante e spalmavano pomate sulle piaghe. In francese l’operazione si chiamava blanchissement, sbiancamento o pulizia. L’imbarcazione doveva rimanere in quarantena, per scongiurare la possibile diffusione di malattie infettive. Dopo l’ispezione di un medico del porto, si poteva procedere alla vendita.

UNA CANNONATA annunciava l’apertura del mercato degli schiavi, insieme con manifesti e annunci sulla stampa locale e avvisi orali. La vendita si effettuava in vari modi. I singoli proprietari di piantagioni compravano “al dettaglio”, in funzione delle loro necessità. Vi erano poi gli intermediari (in francese regrattiers, rivenditori al dettaglio) ,che acquistavano lotti più o meno grandi di schiavi per poi rivenderli ai proprietari delle piantagioni.

Nei lotti, solitamente i venditori mescolavano agli schiavi sani altri malati o di “qualità” inferiore, che sarebbero stati più difficili da “piazzare”.

esame della qualità della mercanzia

pagamento in contanti, a rate e con sconti

AL MOMENTO della vendita, i

raramente avveniva in contanti, anche se era il metodo preferito dai trafficanti, che potevano offrire tra il 10 e il 15 per cento di sconto. Parte del prezzo veniva pagato con cambiali a scadenze diverse –1 mese, 3 mesi, 1 anno…–, che non sempre si potevano riscuotere. Il prezzo dipendeva anche dalle fluttuazioni del mercato e dai cicli alterni di abbondanza e scarsità di merce.

Dopo la vendita, il padrone marchiava a fuoco le sue iniziali sul petto o sulla spalla degli schiavi, ormai sua proprietà, e attribuiva loro un nuovo nome, cristiano.

compratori avevano diritto a esaminare la “qualità” degli schiavi. Nelle Antille, venivano mostrati nudi, in piedi su una botte o una pedana perché si vedessero meglio, mentre nelle colonie nordamericane in genere indossavano indumenti europei. Si esaminavano in particolare gli occhi, i denti e la pelle, oltre alla forza. Gli schiavi venivano scelti anche a seconda della destinazione: i congolesi, per esempio, bassi e nerboruti, erano ideali per le piantagioni di caffè. I bambini robusti, secondo un negriero francese, «sono e saranno sempre più richiesti».

Compratori

IL PAGAMENTO

Schiavi

Termini di pagamento

Negri

Negre Negretti Negrette

In c

Negri

Negre Negretti Negrette In contanti 3 mesi

Totale

12 mesi

Vaillant

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4.005 2.100 2.095

6.200

Viuda Pezzeau

8

4

3.000 2.900 7.900

13.800

Paparel

5

4

4.500

9.600

14.100

Allenet Cuzé

6

1.550 3.725

3.725

9.000

14

11

Laganne

8.000 30.900

38.900

La contabilità di un imprenditore

I

n alto e a destra, il bilancio finale di una spedizione schiavista del 1756 tra la Costa d’Oro (l’attuale Ghana) e la colonia francese di Cap Français, Haiti. La nave L’Aimable, guidata dal capitano Moreau, trasportò 280 prigionieri. La fattura indica i nomi dei compratori, la quantità acquistata da ciascuno per ogni categoria di schiavi (nègres, négresses, négrillons e négrilles, secondo i termini dell’epoca) e l’ammontare dell’operazione, suddiviso secondo le tranches del pagamento.

MERCATO DI SCHIAVI ALL’INIZIO DEL XIX SECOLO. INCISIONE DA UN LIBRO DI J. C. HOBHOUSE PUBBLICATO NEL 1813.

BRIDGEMAN / ACI

4

AKG / ALBUM

3

GRANDI SCOPERTE

Il tesoro della tomba di Tuya e Yuya nella Valle dei Re Il milionario statunitense Theodore Davis scoprì nel 1905 la tomba di questi importanti personaggi nella necropoli reale di Tebe

EG IT TO MAR

Valle dei Re

ROSSO

W. FORMAN / GTRES

I L CA I RO

SUDAN

custodiva comunque un ricchissimo corredo funerario; apparteneva a Yuya e Tuya, una coppia di sposi della XVIII dinastia, genitori di Tiy, Grande Sposa Reale del faraone Amenhotep III e madre di Akhenaton.

Il 5 febbraio 1905 il gruppo guidato da Davis, al lavoro da alcune settimane nella Valle dei Re in un’area compresa fra le tombe di un figlio di Ramses III e l’incompiuta tomba di Ramses XI, portò alla luce il primo gradino di una scala che conduceva alla porta d’ingresso di una

tomba. Fra il 6 e l’11 di febbraio, gli operai egizi finirono di spostare le macerie presenti di fronte all’ingresso, accumulate in seguito allo scavo di alcune tombe di epoca ramesside: ciò aveva contribuito a far sì che l’esistenza di questo sepolcro fosse dimenticata.

Apparve così una porta chiusa da piccoli blocchi di pietra che recava il sigillo della necropoli reale: uno sciacallo e nove prigionieri.

Una porta chiusa La speranza di aver trovato una tomba intatta svanì quando venne scoperta, nella parte superiore destra, un’apertura praticata nell’antichità e che faceva presagire che la tomba fosse stata saccheggiata. Poiché la notte si stava avvicinando, si decise di appostare delle guardie armate all’ingresso.

SARCOFAGO INTERNO

di Yuya. Entrambe le mummie sono state sepolte in tre bare incassate in un grande sarcofago di legno.

Museo Egizio, Il Cairo.

BRIDGEMAN / ACI

N

el 1905, 17 anni prima della sensazionale scoperta della tomba di Tutankhamon da parte dell’archeologo ed egittologo britannico Howard Carter, la Valle dei Re fu lo scenario di un’altra scoperta che suscitò un eccezionale interesse.

La scoperta si dovette al mecenatismo di Theodore M. Davis, un avvocato newyorkese che finanziava le ricerche archeologiche del giovane Carter in Egitto. Il primo notevole risultato dell’impegno di Davis si era avuto nel 1903, quando, sotto la direzione di Carter, erano stati localizzati diversi sepolcri, fra i quali la tomba di Thutmosi IV. Quella ritrovata nel 1905, pur non essendo una tomba reale,

Inoltre, Arthur Weigall, un giovane egittologo di 25 anni da poco nominato ispettore capo delle Antichità dell’Alto Egitto, decise, per maggiore sicurezza, di trascorrere la notte sul luogo.

1903

1905

1907

1908

Theodore Davis e Howard Carter scoprono il sepolcro di Thutmosi IV.

L’équipe di Davis localizza l’ingresso della tomba di Yuya e della moglie Tuya, della XVIII dinastia.

Davis e Edward Ayrton scoprono la misteriosa tomba KV55, la cui attribuzione non è ancora chiara.

Ayrton, patrocinato da Davis, trova nella valle la tomba di Horemheb, ultimo re della dinastia XIX.

TRONO DELLA PRINCIPESSA SATAMON RINVENUTO NELLA TOMBA DEI SUOI NONNI TUYA E YUYA. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.

I SUOCERI DEL FARAONE NELLO SCARABEO commemorativo del matrimonio

CATALOGUE GÉNÉRAL DES ANTIQUITÉS ÉGYPTIENNES DU MUSÉE DU CAIRE.

fra Amenhotep III e la regina Tiy si fa riferimento a Tuya e Yuya, genitori della sovrana che fu Grande Sposa Reale di Amenhotep III e madre di Akhenaton, che attesta la loro importanza. Yuya ricoprì, fra le altre cariche, quella di Comandante dei Carri da Guerra di Sua Maestà, Signore del Cavallo e Sacerdote di Min, e sua moglie fu Capo dell’Harem di Min, Sacerdotessa di Amon e Cantante di Hathor.

MUMMIE DI YUYA E DI SUA MOGLIE TUYA. MUSEO EGIZIO, IL CAIRO.

Il giorno seguente raggiunsero la tomba James Quibell –predecessore di Weigall in questa carica–, il famoso egittologo Gaston Maspero –direttore del Servizio di Antichità egizio– e lo stesso Davis, il quale nel giorno della scoperta non si trovava nella Valle dei Re. Una volta spostati i blocchi di pietra che ostruivano l’ingresso, fu possibile intravedere un corridoio che scendeva. In fondo a esso si trovavano una seconda porta,

sempre chiusa, e un altro varco creato dai trafugatori, che lasciando la tomba precipitosamente avevano perduto alcuni oggetti.

Un favoloso tesoro Weigall descrisse in una lettera alla moglie ciò che era stato rinvenuto nella camera funeraria, una sala semplice, priva di decorazioni: «Per qualche istante», scrisse, «non riuscimmo a vedere nulla, ma quando i nostri occhi si abituarono alla luce

delle torce ci trovammo di fronte a uno spettacolo che posso affermare con sicurezza nessun uomo abbia mai visto. La camera era abbastanza grande, una caverna grezza. Al centro vi erano due enormi bare di legno con decorazioni in oro. I coperchi erano stati spostati da antichi saccheggiatori e le bare interne erano state sfondate, così che le mummie erano rimaste esposte [...] Maspero, Davis e io siamo rimasti a bocca aperta, treman-

ti [...] Davvero scioccati, abbiamo posato lo sguardo sulle reliquie della vita di quasi tremila anni fa».

In un silenzio carico di aspettativa gli archeologi iniziarono a osservare gli oggetti che componevano il corredo funerario: il carro leggero di Yuya, che era stato comandante dei Carri da Guerra del faraone, oltre ad armi, scrigni, mobili di squisita fattura (fra cui tre bellissimi troni), strumenti musicali, oggetti da toilette, STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

105

GRANDI SCOPERTE

Il tesoro della tomba KV46

ARR

ETT / N

GS

Brocche di Tuya per profumi.

Alcune non erano vere e imitavano gli originali.

AN /

ACI

Ba. Yuya appare come ba, immagine dell’anima come uccello con testa umana.

Statuetta giacente di Yuya in un letto funerario, coperto con un’immagine del suo ba.

BRIDGEMAN / ACI

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K. GARRETT / NGS

K. G BRID

K. GARRETT / NGS

ANCHE SE I SACCHEGGIATORI penetrarono nella tomba di Yuya e Tuya appena sigillata, nella fretta la lasciarono praticamente intatta. Il ricco corredo funerario scoperto nel 1905 mostra chiaramente l’alta posizione sociale della coppia di sposi, che si desiderava mantenere nel regno di Osiride.

BRIDGEMAN / ACI

Scrigno. In legno dorato e porcellana.

Reca i nomi di Amenhotep III e della regina Tiy.

indumenti e ornamenti personali. Trovarono anche un papiro di quasi 20 metri recante il Libro dei morti. Alcuni oggetti portavano il nome della principessa Satamon, nipote dei defunti, un dettaglio che suggerisce che la giovane ne avesse curato la sepoltura.

Le mummie di Tuya e Yuya erano in vista. Le loro maschere funerarie erano state spostate e i corpi erano stati spogliati dai saccheggiatori, interessati ad asportare i gioielli incastonati nel lino. Per fortuna però i corpi risultarono in perfetto stato di conservazione. Di fronte alla vista dei titolari della 106 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Carro di Yuya.

Il comandante dell’esercito egizio fu sepolto con un carro leggero.

tomba, l’emozione ebbe il sopravvento su Theodore Davis, che chiese perdono a Tuya per aver interrotto il suo sonno eterno.

Lo svuotamento della tomba Tutti gli oggetti recuperati nella sepoltura della Valle dei Re furono imballati e catalogati rapidamente per evitare possibili furti. Durante questo lavoro gli archeologi aprirono il sigillo di una brocca in alabastro e videro che conteneva una miscela molto spessa, a base di miele, che ancora sprigionava il suo profumo: «Quando la vidi, per poco

Scrigno canopico di Tuya. Conteneva i quattro vasi con le viscere mummificate.

non svenni –scrisse Weigall–. La straordinaria sensazione di ritrovarsi a guardare una brocca di miele liquido e colloso tanto quanto quello che si mangia a colazione e pensare che sia vecchio di 3.500 anni è stata tanto paralizzante da farmi dubitare di essere sano di mente o sveglio». Nella sala si trovavano anche contenitori con della carne, le provviste di Yuya e Tuya per il viaggio verso l’Aldilà.

I lavori di recupero proseguirono per più di una settimana e gli oggetti furono portati all’esterno della tomba per essere trasportati fino al Museo del Cairo.

Il 25 febbraio 1905 la tomba era completamente vuota e Arthur Weigall potè tornare al suo lavoro abituale. Ma il giovane archeologo non poté mai dimenticare la sensazione che lo aveva afferrato quando stava contemplando il contenuto della tomba e la vista dei volti di Tuya e Yuya: «Ci sentimmo tutti di fronte a qualcosa che sembrava cambiare ogni idea del principio umano di tempo e spazio».

ELISA CASTEL EGITTOLOGA

Per saperne di più SAGGI

La Valle dei Re Erik Hornung (trad. Umberto Gandini). Einaudi, Torino, 2004.

M BA O S L I I

V

A IA T N OS A P ’A M D A E C L L A E

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L A S T O R I A N E L L ’A R T E

Il monarca e lo Stato Assoluto Di Luigi XIV, passato alla storia come il “re Sole”, Hyacinthe Rigaud dipinse un affascinante ritratto che è anche un capolavoro politico

HYACINTHE RIGAUD (1659-1743), AUTORITRATTO, GALLERIA DEGLI UFFIZI, FIRENZE.

considerare l’Assolutismo come l’epoca in cui trionfò un potere strettamente personale, quello appunto dei re e dei principi e delle loro dinastie, fondato su basi puramente mistiche. Questo ritratto ci dice però una cosa diversa. Il Re vi è raffigurato già anziano, il corpo quasi soffocato dal pesante mantello, e si scorge addirittura con chiarezza la mancanza dei denti sotto le guance afflosciate. Lo sguardo dello

GIOSUE CARDUCCI. POETA E CRITICO LETTERARIO, TAVOLA PITTORICA.

spettatore è sviato dal fasto e dalla magnificenza dei vestiti, in modo che tutti questi dettagli siano occultati.

Ma a conferma che non vi è modo migliore di nascondere le cose che porle silenziosamente proprio davanti agli occhi, vi è poi il particolare dello scettro, il simbolo stesso dell’autorità regia dal punto di vista giuridico: Luigi lo tiene capovolto, e di fatto lo usa come punto d’appoggio per stare in piedi.

Una nuova lettura Il senso profondo del quadro, dunque, contempla ben più della retorica celebrazione di un regime, ma è un capolavoro di analisi politica. È vero, Luigi è un re assoluto che governa per diritto divino: ma tale assolutezza non è sua, né della dinastia, né della funzione regia, bensì dello Stato. È infatti in virtù

ODE ALL’ASSOLUTISMO

DEA / SCALA, FIRENZE

GIOSUE CARDUCCI, nel 1906, così canterà nell’ode Versaglia (il nome italianizzato di Versailles): «Fu un tempo, ed in Versaglia un proclamava: / – Mio quanto cresce in terra e guizza in mar / E in aër vola…» (Giambi ed epodi, Libro II). Versi che chiaramente alludono all’assolutismo.

108 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

LUIGI XIV RE DI FRANCIA.

SCALA, FIRENZE

SCALA, FIRENZE

Q

uesto splendido e famoso ritratto di Luigi XIV di Borbone, il “Re Sole”, sovrano di Francia e di Navarra, realizzato dal pittore Hyacinthe Rigaud nel 1701 e conservato al museo del Louvre a Parigi, viene solitamente considerato come la massima celebrazione di quella corrente politica che si affermò in Europa tra la seconda metà del Seicento e la fine del Settecento e che prende il nome di Assolutismo. È vero che lo stesso sovrano lo apprezzò a tal punto da farsene fare una copia e portarla alla reggia di Versailles; eppure il dipinto cela un significato più profondo, e in contrasto con l’apparenza celebrativa della monarchia assoluta. Il fraintendimento, in realtà, è solo nostro, perché siamo soliti

Hyacinthe Rigaud, 1701, Musée du Louvre, Parigi.

del potere assoluto detenuto dallo Stato che Luigi può regnare secondo un potere a sua volta assoluto. La riflessione politica settecentesca, proseguita dalla propaganda anti-assolutistica e poi rivoluzionaria, vedrà appunto l’assolutismo regio come l’usurpazione e l’appropriazione della Cosa Pub-

L’UOMO E LA MONARCHIA IN QUESTO DIPINTO Hyacinthe Rigaud mette in mostra

un assolutismo monarchico, che nella Francia di Luigi XIV aveva raggiunto il suo massimo fulgore, come una realtà politica da leggere e interpretare oltre il ritratto.

2. Il fasto La grandeur della monarchia è rappresentata dai fastosi abiti del sovrano coperti dal maestoso manto regale con i gigli di Francia.

3. L’equilibrio Lo scettro capovolto usato da Luigi XIV come punto d’appoggio per stare in piedi allude al delicato equilibrio della monarchia.

4. L’uomo Sotto i regali abiti, Luigi XIV è raffigurato ormai anziano, tanto che la magrezza delle gambe è mostrata senza alcun ritegno.

XXXXXXXXXXXXXX

1. L’ironia Il re accenna a qualcosa di simile a un sorriso sardonico, emblema di un assolutismo monarchico consapevole, ironico e lucido.

blica, di cui la celebre frase da sempre attribuita a Luigi XIV, ma che lui mai pronunciò – «Lo Stato sono io» – sarebbe, assieme a questo solenne e magniloquente ritratto, la celebrazione e quasi l’incarnazione. Ma appunto, se anche Luigi l’avesse pronunciata, ciò avrebbe mostrato il bisogno, per lui,

di identificarsi con lo Stato, riconoscendolo come unica fonte di legittimazione e solo titolare del potere. Proprio come succede in questo dipinto, che mostra bene come l’assolutismo monarchico, nell’epoca del massimo e incontrastato fulgore, fosse consapevole del suo limite intrinseco, e si considerasse

con straordinaria lucidità e quasi con ironia niente più che il prestanome del vero potere assoluto. Lo splendore e il fasto della monarchia sono niente più che un’impalcatura, complicata ed elaborata proprio come le vesti del Re, la quale si mantiene in piedi in un equilibrio delicato e precario, funzionale

al corretto funzionamento di una macchina ben più solida e temibile: quella dello Stato moderno.

CARLO CHIURCO UNIVERSITÀ DI VERONA

Per saperne di più SAGGIO

La fabbrica del Re Sole Peter Burke, Il Saggiatore, 1993.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

109

L I B R I E A P P U N TA M E N T I

STORIA ANTICA

Viaggio in Sicilia sulle tracce dei Greci

A Franco La Cecla

ANDARE PER LA SICILIA DEI GRECI Il Mulino, 2015, 150 pp., 12 ¤

grigento, Siracusa, Palermo, Segesta e Himera: sono soltanto alcune delle tappe che l’antropologo Franco La Cecla presenta di un viaggio alla scoperta della presenza greca in Sicilia. E di presenza vera si tratta, dato che lo stesso autore, nel primo capitolo, scrive: «Sono stati qui, non sono solo passati, ma si sono stanziati qui, ne sono diventati parte integrante e a loro volta sono stati assorbiti dalla fortissima identità dell’isola».

Palermitano di nascita, l’autore esplora le tracce greche nella sua isola andando oltre le rovine conosciute ai più e facendo rivivere invece gli antichi Greci per scoprire quale pensiero abbiano lasciato nell’isola. Nei secoli terra di conquista per genti venute da ogni dove, la Sicilia ha conosciuto svariate invasioni, ma quella greca è forse stata la colonizzazione che più ha influenzato questa terra dove, come lo stesso autore ricorda, la lingua greca è stata la più parlata

fino al XIII secolo. Conquistatori o colonizzatori, di certo i Greci non furono solo di passaggio nell’isola. La Sicilia non fu una delle tante colonie della Magna Grecia, ma divenne terra d’elezione, nuovo centro della civiltà ellenica che dall’isola continuò a irradiare la propria cultura, filosofica, economica, scientifica e sociale. Undici capitoli nella terra di Archimede per scoprire l’affascinante eredità lasciata dagli antichi Greci, per svelare il passato di una terra che Pindaro nelle sue Odi descrisse come «Di Alfeo ultima dimora, Ortigia, gloriose radici della potenza di Siracusa, Culla allora di Artemide, Da te, o sorella di Delos, si innalzi il canto [...]». (Angela Gangi)

SAGGI

L’IMPERO BIZANTINO E LA STORIA DELLE SUE GUERRE IMPERO glorioso e leggendario quello di Bisanzio, le cui

vicende John Haldon, professore di storia europea, specializzato in storia bizantina e tra i massimi esperti del campo, ci racconta facendo luce su otto secoli che hanno visto l’impero fiorire, divenire nuovo centro culturale, commerciale e politico dell’area, espandersi e infine dissolversi con la morte, nel 1453, dell’imperatore Costantino, caduto durante la difesa di Costantinopoli assediata dall’esercito ottomano.

L’autore si concentra in particolare, come il titolo stesso preannuncia, sugli aspetti bellici, analizzando chi, come e perché l’impero combatté, quali fossero la disciplina e l’organizzazione militare, quali le tattiche e le strategie di guerra adottate.

John Haldon

BISANZIO IN GUERRA 600-1453

Leg Edizioni, 2015, 160 pp., 18 ¤

110 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

L’ITALIA NELLO SPECCHIO DEL GRAND TOUR Cesare De Seta Rizzoli, 2014, 480 pp., 25 ¤

IL DELITTO WINCKELMANN Paola Bonifacio Metamorfosi Editore, 2014, 152 pp., 14 ¤

SCRITTORI, pittori e aristocra-

OVVERO La tragica morte del fondatore dell’archeologia moderna. Un volume che getta una nuova luce sullo storico delitto del 1768 che, dalle ricerche dell’autrice, cela forse una verità più complessa di quella normalmente accettata. Un volume che nulla ha da invidiare al più avvincente dei romanzi gialli.

tici di tutta Europa coronavano la loro formazione con un viaggio, il Grand Tour, che li conduceva anche in Italia e che, grazie a loro, diventerà la “Bella Italia”. Quanto la coscienza di una nazione nasce nella nazione stessa e quanto invece è riflesso di ciò che occhi stranieri hanno visto?

STATUARIA

Il potere e la bellezza nei bronzi di età ellenistica

F

ALESSANDRO MAGNO I SECOLO A.C., BRONZO E ARGENTO, CM 49 X 47 X 29, MAN, NAPOLI.

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE, NAPOLI

irenze riscopre un passato che per una volta non è la celebrazione della sua età dell’oro, il rinascimento, con una grande mostra a Palazzo Strozzi, Potere e pathos. Bronzi del mondo ellenistico.

La collaborazione è di quelle d’eccezione: il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, la National Gallery of Art di Washington e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, tre eccellenze

mondiali che hanno saputo creare una mostra che è un viaggio nell’educazione estetica, un avvicinamento alla perfezione e alla bellezza che si apre con il cosiddetto Arringatore, scultura bronzea datata tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C. La statua fa da introduzione e da guida, ricordando che nella storia dell’arte è impossibile slegare bellezza e potere, a questa mostra divisa in numerose sezioni: “Ritratti del potere”, con Alessandro Magno a cavallo; “Corpi ideali, corpi estre-

mi”, che presenta l’Eros dormiente. La sezione“Realismo ed espressività” è dedicata al ritratto formale e politico, mentre “Repliche e mimèsi” indaga sulla versatilità dell’arte statuaria, la sua capacità di durare nel tempo e la sua vittoria sui secoli e sull’oblio. In “Divinità”spiccano la Minerva di Arezzo e la Testa di Afrodite, datate II-I secolo a.C. Si chiude con la sezione“Stili del passato”, per raccontare come la scultura di ogni tempo sia debitrice degli stili del passato. (Flavia Fiocchi) Potere e Pathos.

Bronzi dal mondo ellenistico LUOGO Palazzo Strozzi, piazza Strozzi, Firenze TELEFONO 055 2645155 WEB www.palazzostrozzi.org DATE Fino al 21 giugno 2015

LA MILANO DELLE SIGNORIE

L’arte lombarda tra Visconti e Sforza segnano la centralità che la città meneghina rivestì in quei due secoli. Una centralità che, in concomitanza con l’Esposizione Universale in cui Milano diviene centro del mondo, non può che essere amplificata. Dipinti, sculture, vetrate e manoscritti per scoprire uno dei periodi più floridi che Milano visse con i Visconti e gli Sforza. (A.G.) Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. Milano al centro dell’Europa LUOGO Palazzo Reale, piazza del Duomo 12, Milano TELEFONO 02 88465230 WEB www.comune.milano.it DATE Fino al 28 giugno 2015

VERONA, MUSEO DI CASTELVECCHIO

E

ra il 1958 quando le sale del Palazzo Reale di Milano ospitarono la mostra Arte lombarda dai Visconti agli Sforza. L’evento fu di capitale importanza perché le opere allora riunite rappresentarono per l’arte lombarda l’avvenuto riconoscimento del proprio valore artistico. A quasi sessant’anni di distanza, le medesime sale ospitano un’altra mostra che porta sì lo stesso nome, ma la cui specifica “Milano al centro dell’Europa” vuole affermare anche tutta la sua originalità. Le opere, prodotte tra il Trecento e gli inizi del Cinquecento, nascono in un contesto vivace e

MADONNA DEL ROSETO. MICHELINO DA BESOZZO O STEFANO DI GIOVANNI, TEMPERA SU TAVOLA TRASPORTATA SU TELA, 130 X 95 X 2,4 CM (1420), CIVICI MUSEI D’ARTE, MUSEO DI CASTELVECCHIO, VERONA.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

111

ITINERARI

2 CASTELLO DI SAGUNTO Calle del Castillo, Sagunto; www.turismo.sagunto.es

I percorsi di Storica

A 172 metri s.l.m. questa antica fortezza risalente al V secolo a.C. circa domina l’intero territorio e conserva tra le sue mura la millenaria e travagliata storia di Sagunto.

Sagunto

Firenze e il suo territorio; www.regione.toscana.it/ ville-e-giardini-medicei

Storiche residenze della famiglia Medici, le ville e i giardini furono rifugio di svago o di studio, ma anche centri economici e politici del territorio.

di sfingi criocefale, ovvero aventi corpo leonino e testa di ariete; altrettanto suggestiva e maestosa la sala ipostilia dove 134 colonne con capitello papiriforme –tutte identiche tranne quelle centrali che raggiungono i 26 metri di altezza– allineate in sedici file accolgono il visitatore in una sorta di imponente foresta di pietra. pagina 22

sheshonq a karnak

112 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Venezia

4 VILLE MEDICEE

Dove e come visitare i luoghi storici e i musei legati ai servizi e ai personaggi di questo numero di Storica

Secondo solo all’area archeologica di Giza, almeno in termini di visitatori, Karnak 1 custodisce una delle tante meraviglie che l’arte e la storia egizia ci hanno lasciato. Situato a pochi chilometri da Luxor, sulla sponda orientale del Nilo, il sito ospita un maestoso complesso templare.

La struttura è occupata da costruzioni la cui realizzazione si è sviluppata su oltre mille e cinquecento anni.

Dalla XII alla XXX dinastia, i faraoni si sono succeduti nell’ampliamento, abbellimento e arricchimento di questo imponente museo a cielo aperto che si estende su un’area di circa 300.000 metri quadrati. Anche se nota principalmente per il tempio di Amon, l’area archeologica conserva in realtà altri templi, tra qui quello di Mut e di Khonsu. Di particolare suggestione il dromos che collega il tempio di Amon a quello della sua sposa Mut, costituito da un viale fiancheggiato da una serie

Firenze

A Persepoli, riconosciuta sito patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1979, si possono ancora ammirare la monumentale Porta delle Nazioni, le imponenti scalinate che conducevano all’Apadana, ancora delimitata da tredici delle settantadue colonne originarie, la Sala del Trono e i numerosi rilievi che celebrano la potenza del re. Nel sito archeologico è stato inoltre allestito un museo che raccoglie ed espone quanto gli archeologi hanno rinvenuto durante gli scavi nell’area: tra i reperti spiccano alcune lapidi in argilla su cui sono riportati testi in scrittura cuneiforme, armi, strumenti musicali e ceramiche.

pagina 32

persepoli Nel sud dell’Iran, alle pendici del monte Kuh-e Rahmat, si trovano le rovine di quella che fu la più maestosa capitale persiana: Persepoli. Quel che resta del grande complesso voluto da Dario I, oggi come allora si erge maestoso e spettacolare in questa terra assolata. E la spettacolarità fu proprio uno dei criteri scelti e adottati nella costruzione di Persepoli che, più che residenza, fu progettata per celebrare la grandezza del sovrano di fronte ai propri sudditi che qui si recavano in occasioni cerimoniali.

pagina 54

sagunto Dove, se non sulla cima di un monte, può trovarsi l’antica fortificazione di Sagunto 2 ? Arroccato su una collina della Sierra Calderona, poco più di 20 chilometri a nord-est di Valencia, quello che sul posto viene chiamato Il Castillo rappresenta uno dei nuclei

3 SQUERO SAN TROVASO

Dorsoduro 1097, Venezia; www.squerosantrovaso.com

Un salto nel passato in questo antico squero, dove i vecchi mestieri esistono ancora e si costruiscono le tipiche gondole secondo tecniche tradizionali.

1 COMPLESSO TEMPLARE DI KARNAK

Governatorato di Luxor, Egitto; http://it.egypt.travel

Karnak

Luogo sacro del nuovo regno, a Karnak trenta faraoni hanno lasciato la loro impronta creando uno dei siti archeologici più ricchi d’Egitto.

più antichi della città, imponente testimone, dall’alto della sua posizione, di secoli di storia che hanno visto succedersi arabi e cristiani. Le mura della fortezza, che si estendono per quasi un chilometro di lunghezza, hanno conosciuto la presenza romana e assistito allo storico assedio di Annibale. L’area è articolata in sette piazze che custodiscono il ricco quanto eterogeneo trascorso della città: la plaza de Almenara, l’antica piazza d’armi, conserva resti del foro romano, di colonne e di incisioni nonché una cisterna, mentre la Plaza de la Conejera porta i chiari segni della conquista araba. Nel castello è inoltre stata allestita una delle più ricche collezioni epigrafiche della penisola iberica.

è una sirena che si disfà di una palude dell’Adriatico», ritroviamo tutta l’anima di Venezia: il suo ancestrale legame con l’acqua e la sua inconfondibile aura magica. Sull’acqua la città è sorta e sull’acqua Venezia ha costruito la propria storia e la propria potenza.

In questo vitale e allo stesso tempo conflittuale legame con il mare, non si può non pensare alla navigazione.

Venezia in passato navigava su bragozzi e pupparini, sandoli e inconfondibili gondole la cui costruzione e riparazione avveniva nei tipici “squeri”, sorta di piccoli cantieri navali. Ubicati lungo i canali, gli squeri erano costituiti da uno spazio esterno digradante verso l’acqua e uno interno, coperto, detto teza. Ancora oggi Venezia offre la possibilità di scoprire come venivano costruite le imbarcazioni tipiche della laguna: dei numerosi squeri un tempo in città, infatti, tra i pochi ancora attivi nonché tra i più antichi è lo Squero di san Trovaso 3 , dove sapienti squeraroli o maestri d’ascia lavorano ancora secondo tecniche tradizionali. Ma la vita sull’acqua non può essere assaporata che navigando, costeggiando i marazzi o scivolando lungo i ghebi, destreggiandosi tra bricole e attraccando alle paline, meglio se muniti di un manuale nautico, rigorosamente in veneziano.

pagina 80 pagina 64

pico della mirandola

Nelle parole del poeta francese Jean Cocteau, che definì la città lagunare «metà donna, metà pesce,

Dall’Emilia a Bologna, passando per Ferrara, Padova e Parigi, fu nella Firenze medicea che Pico della Mirandola trovò la sua seconda patria. Grazie al mecenatismo e alla protezione di Lorenzo de’ Medici, Pico a Firenze visse

la nascita di venezia

e lavorò alacremente. Fu per esempio nella villa medicea di Careggi 4 che si riuniva inizialmente l’accademia neoplatonica e fu nella villa Medici di Fiesole che Pico scrisse molte delle sue opere. Le residenze, oltre a essere mirabili esempi architettonici, rivestono anche un valore storico legato alla famiglia che in svariati modi ne venne in possesso. Per questo motivo, assieme ai giardini, nel 2013 le ville medicee sono state dichiarate patrimonio dell’Unesco. Oltre alle due già citate, la lista comprende residenze rurali e cittadine, dalla villa di Poggio Imperiale al palazzo di Seravezza, dal castello del Trebbio ai più celebri giardini di Boboli annessi al fiorentino palazzo Pitti.

pagina 92

il commercio degli schiavi Isola dell’Atlantico, a soli 3 chilometri dalla costa di Dakar, Gorée vive oggi di turismo e commerci, ma, secondo alcuni, in passato viveva di un altro tipo di commercio, quello degli schiavi.

Questo almeno è quanto sostiene il curatore della Casa degli Schiavi, un edificio risalente al XVIII secolo che sarebbe stato uno degli ultimi avamposti schiavisti prima che i prigionieri venissero imbarcati per le Americhe.

Nella residenza, oltre alle anguste celle di prigionia, si apre la porta detta “del viaggio senza ritorno”, un uscio che conduce direttamente al mare. C’è tuttavia chi sostiene l’infondatezza di tale realtà e ne nega la valenza storica.

A dispetto della diatriba, la Casa degli Schiavi resta un luogo dalla profonda portata simbolica, motivo per cui fa parte della lista dei patrimoni mondiali.

STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

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Prossimo numero IL PROCESSO A GIOVANNA D’ARCO

GERARD BLOT / RMN-GRAND PALAIS

IL 30 MAGGIO 1431, con un rogo sulla piazza del mercato di Rouen, si conclude la parabola di una delle figure più enigmatiche della storia d’Occidente, quella della giovane che, durante la Guerra dei Cent’anni, divenne protagonista sui campi di battaglia della riscossa dei Francesi sugli Inglesi.

Le sue professioni di fede, le “voci” che Giovanna dichiarava sostenere i suoi passi, diventeranno le armi con le quali sarà accusata di eresia e condannata a morte.

GLI OBELISCHI, SIMBOLO DELL’ANTICO EGITTO INSIEME CON LE PIRAMIDI, gli obelischi

DEA / AGE FOTOSTOCK

sono l’elemento più caratteristico dell’architettura dell’antico Egitto. Queste altissime colonne di pietra, culminanti in una piramide, si associavano a Ra, il dio del sole, ed erano considerate la raffigurazione dei suoi raggi.

Obelischi furono innalzati presso piramidi e sepolcri in tutto il Paese: la loro edificazione coinvolgeva migliaia di operai, dalla fase di estrazione e di taglio dei blocchi nelle cave di pietra fino al trasporto e alla posa nel luogo di destinazione.

114 STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC

Alessandro Magno assedia Tiro Nel 332 a.C. il condottiero macedone, durante la conquista dell’Impero persiano, ebbe la meglio sulla città fenicia di Tiro solo a prezzo di un lungo assedio.

Ezio, ultimo difensore di Roma Le imprese del generale che, nel corso del V secolo, seppe contenere la pressione delle popolazioni barbare sui confini occidentali delll’Impero, fermando Attila.

Guelfi e ghibellini La storia delle fazioni che nel XII-XIII secolo, riflettendo lo scontro tra sostenitori del papato e sostenitori dell’impero, si affrontarono in Italia e in Germania.

L’esplorazione del Pacifico Le nuove rotte e le conquiste territoriali dei navigatori europei, a partire dalla prima circumnavigazione del globo intrapresa da Magellano nel 1519.

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