Vacanze scacciapensieri 5 - Il fantasma di Canterville

INGL ESE

Allegato omaggio a Vacanze scacciapensieri 5 Non vendibile separatamente

Il fantasma di Canterville Oscar Wilde

Lewis Carroll

Alice’s Adventures in Wonderland

Allegato omaggio a Vacanze scacciapensieri 5 Non vendibile separatamente

IL MULINO A VENTO

IL MULINO A VENTO Per volare con la fantasia

IL MULINO A VENTO

IL MULINO A VENTO Collana di narrativa per ragazzi

Coordinamento di redazione: Emanuele Ramini Team grafico: Benedetta Boccadoro

© 2017 Raffaello Libri S.p.A. Via dell’Industria, 21 60037 - Monte San Vito (AN) www.grupporaffaello.it - info@grupporaffaello.it www.ilmulinoavento.it - info@ilmulinoavento.it Printed in Italy 1a Edizione 2017 Ristampa: 5 4 3 2 1

2021 2020 2019 2018 2017

www.facebook.com/GruppoRaffaello È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.

Oscar Wilde

Il fantasma di Canterville Racconto sacro e profano Narrazione di

Alessia Racci Chini

Nuovi proprietari per l’antico castello

Quando il signor Hiram B. Otis, ambasciatore

degli Stati Uniti, acquistò Canterville Chase, un’antica tenuta di caccia immersa nella campagna britannica, tutti gli dissero che stava commettendo un’enorme sciocchezza perché non vi era alcun dubbio che l’intera dimora fosse infestata dai fantasmi.

Lo stesso Lord Canterville, che era una persona scrupolosa e corretta, nel momento di trattare le condizioni di vendita, si era sentito in dovere di far presente la realtà delle cose: – Neppure noi, che abbiamo ereditato il castello dai nostri antenati, abbiamo più avuto il coraggio di abitarvi da quando la mia prozia, la vecchia duchessa di Bolton, si spaventò a tal punto da avere un attacco di nervi dal quale non si riprese mai del tutto. La colpa fu di quelle due mani scheletriche posate sulle sue spalle! Già, mani bianche e ossute come quelle di uno spettro… – aveva spiegato lord Canterville. Poi aggiunse: – Mi sento in dovere di precisarle, signor Otis, che il fantasma è stato visto da diversi membri della mia famiglia tuttora viventi, come pure dal reverendo Augustus Dampier, che è uno stimatissimo professore del

5

King’s College di Cambridge. Anzi, le confido che dopo il disgraziato incidente toccato alla duchessa mia zia, nessuna delle domestiche più giovani è voluta restare al nostro servizio. Persino mia moglie, lady Canterville, quando ancora abitavamo in questo castello, faceva fatica a prendere sonno la notte a causa dei misteriosi rumori che provenivano dal corridoio e dalla biblioteca.

– Mio egregio signore – aveva allora risposto l’ambasciatore Otis, – sono disposto a comprare in un solo blocco mobili e fantasma! Vengo dall’America, un paese moderno, dove con il denaro si può acquistare tutto. I nostri intraprendenti giovani stanno mettendo sottosopra il vostro Vecchio Mondo1, portando via tante cose degne di meraviglia, come le vostre migliori attrici. Sono certo, quindi, che se in Europa esistesse davvero uno spettro, ce lo saremmo già portato a casa nostra da un pezzo, per esporlo in bella mostra in qualche museo o in qualche baraccone da fiera.

– Temo che il fantasma esista per davvero – aveva replicato lord Canterville con un sorriso amaro. – Ha resistito alle offerte dei vostri dinamici impresari che vorrebbero esporlo in America e preferisce restare Chanterville Chase. È conosciuto da tre secoli, anzi dal 1584 per essere esatti, e appare puntualmente prima della morte di un membro della nostra famiglia.

1– L’Europa era conosciuta anche come “Vecchio Mondo” o “Vecchio Continente”, mentre

6

l’America era detta “Nuovo Mondo”.

– Interessante. Più o meno come fa un medico di famiglia, Lord Canterville. Ma io le dico che cose simili, come spettri e fantasmi, non esistono, e credo che le leggi della natura non facciano eccezioni nemmeno per l’aristocrazia britannica.

– Certo, in America siete tutti molto pratici – aveva concluso Lord Canterville, che non aveva del tutto afferrato il senso della battuta del signor Otis, – e se non la preoccupa avere uno spettro in casa, si figuri, per me fa lo stesso. Però poi non venga a dire che non gliel’avevo detto.

Poche settimane dopo questo colloquio, la compravendita del castello fu messa a punto del tutto e, al termine della stagione, l’ambasciatore e la sua famiglia poterono finalmente stabilirsi a Canterville Chase.

La signora Otis, quando era ancora conosciuta come la signorina Lucrezia R. Tappan della Cinquantatreesima Strada Ovest di New York, era una famosa bellezza della città; ora invece era un’avvenente signora di mezza età, con due occhi magnifici e un profilo mozzafiato.

Dovete sapere che molte donne americane, non appena abbandonano il loro paese natale, per sembrare più eleganti assumono l’aspetto di ammalate croniche: si rendono pallide e silenziose, pensando che questa sia una forma di raffinatezza tutta europea.

7

La signora Otis però non era mai caduta in questo errore! Godeva di ottima salute e possedeva un’invidiabile vitalità, anche se in effetti da molti punti di vista poteva essere scambiata per una vera lady inglese, e costituiva un esempio lampante del fatto che gli inglesi, in realtà, hanno molte cose in comune con gli americani… ad eccezione naturalmente della lingua.2 Il figlio maggiore dei signori Otis, un bel ragazzo biondo, di buona costituzione, era stato battezzato con il nome Washington, in onore di George Washington, il primo presidente degli Stati Uniti. Ma il ragazzo non smise mai di dispiacersi del nome affibbiatogli dai genitori in un momento di patriottismo. Il giovane si era fatto strada nella diplomazia americana ballando il valzer per tre stagioni consecutive al Casinò di Newport. Anche a Londra era ben noto come ottimo ballerino. Le sue uniche debolezze erano le gardenie e i titoli nobiliari, mentre per il resto era un ragazzo di grande buon senso.

La signorina Virginia era la secondogenita di casa Otis ed aveva quindici anni. Era una fanciulla graziosa e dall’aria fragile come una cerbiatta, con grandi occhi azzurri che comunicavano un senso di libertà, sicurezza ed indipendenza.

Era una bravissima cavallerizza, e aveva gareggiato per due volte attorno al parco della tenuta con l’an2– È una battuta ironica del narratore. Il popolo britannico, infatti, considera l’inglese

8

parlato dagli americani come una degenerazione involgarita della loro lingua pura.

ziano duca di Bolton, superandolo di una bella spanna parecchio prima del traguardo. Questa sua dote aveva suscitato grande entusiasmo nel giovane duca di Cheshire che, dopo aver assistito all’evento, chiese subito in sposa la fanciulla, ma senza alcun successo perché quella sera stessa il ragazzo venne rispedito dai suoi tutori ad Eton, nel prestigioso college dove studiava, tra torrenti di lacrime.

Dopo Virginia, nella famiglia Otis venivano i gemelli, soprannominati di solito “stelle e strisce” a causa della loro terribile vivacità.

Il castello di Canterville era distante circa sette miglia dalla stazione più vicina, quella di Ascot, così, quando la famiglia arrivò per trasferirsi al castello, il signor Otis telegrafò perché qualcuno dalla dimora venisse a prenderli con una carrozza.

Durante il tragitto, si accomodarono allegramente sui sedili come per una breve gita: era una bella sera di giugno con l’aria fresca che profumava di pini. Ogni tanto si udiva fra gli alberi il dolce richiamo del colombo selvatico o si poteva scorgere, affondato tra le felci fruscianti, il petto dorato di un fagiano. Anche gli scoiattoli, dall’alto dei faggi, ogni tanto facevano capolino per sbirciare il passaggio di quei nuovi arrivati, e i conigli zampettavano per il sottobosco muovendo veloci le loro piccole codine.

9

Non appena gli Otis imboccarono il viale di Canterville Chase, il cielo si coprì all’improvviso di nuvole grigie e cupe. L’aria si fece immobile e stranamente silenziosa, ad eccezione di un grande stormo di corvi che volò sopra la carrozza come un funesto benvenuto; prima che i nuovi proprietari raggiungessero la dimora cominciarono a cadere grosse gocce di pioggia.

Gli Otis vennero accolti sulla soglia del castello da una vecchia donna che indossava un abito nero di seta molto semplice, una cuffia e un grembiule bianco. Era la signora Umney, la governante, che il signor Otis aveva acconsentito di tenere al proprio servizio per espressa richiesta di lady Canterville.

La signora Umney fece a ognuno un profondo inchino mentre scendevano dalla carrozza e disse loro con cortesia d’altri tempi: – Vi auguro il benvenuto a Canterville Chase, signori.

Seguendo i suoi passi, i membri della famiglia Otis attraversarono l’ingresso in stile Tudor della dimora, per ritrovarsi nella biblioteca, una sala lunga con il soffitto basso, tutta rivestita di quercia nera, all’estremità della quale si trovava una grande finestra di vetro decorato.

La domestica aveva apparecchiato un tavolino per servire il tè, e gli Otis, dopo essersi tolti il soprabito da viaggio, cominciarono a guardarsi intorno.

10

Quel che notò la signora Otis davanti al camino, fu piuttosto curioso: c’era una macchia di colore rosso opaco che imbrattava il legno del pavimento e, senza rendersi minimamente conto di cosa fosse in realtà, la indicò alla governante: – Signora Umney, credo che laggiù sia stato versato qualcosa.

– È vero, signora – rispose la domestica sottovoce, – in quel punto è stato versato del sangue.

– Che orrore! – gridò la signora Otis. – Non mi piace affatto che ci siano macchie di sangue in giro per casa!

Bisogna farle togliere immediatamente.

La vecchia governante fece un sorriso cupo e con un tono di voce funesto, disse: – Non è possibile rimuovere quella macchia, signora. È il sangue di lady Eleonore di Canterville, che fu assassinata in quel punto preciso dal proprio marito, sir Simon di Canterville, nel 1575. Sir Simon sopravvisse nove anni, poi scomparve all’improvviso in circostanze assai misteriose. Il suo corpo non è mai stato ritrovato, ma il suo spirito peccatore vaga ancora per il castello. La macchia di sangue colpisce ogni visitatore del castello e non c’è verso di farla sparire.

– Come sarebbe a dire? – intervenne il figlio maggiore degli Otis, il giovane Washington. – Sono certo che non avete provato i rimedi giusti: il Super Smacchia-

11

tore e il Detersivo Paragon della Pinkerton la faranno sparire in un attimo!

Prima che la governante, terrorizzata, avesse il tempo di aprire bocca, il giovanotto era già per terra e sfregava energicamente il pavimento con una spugnetta lustra-tutto, simile ad una specie di lucido. Ed effettivamente, in pochi istanti, sparì ogni traccia della macchia plurisecolare.

– Ed ecco qua! Ero sicuro che il Super Smacchiatore Pinkerton non ci avrebbe delusi – esclamò con voce trionfante il giovane, scambiando con i familiari occhiate colme di soddisfazione.

Non fece in tempo a concludere la frase che un tremendo lampo, come il luccichio di un fulmine accompagnato dal fragore di un tuono, scoppiò paurosamente nella sala facendo sobbalzare tutti in piedi.

La governante svenne.

– Che clima terribile. Sta forse scoppiando una tempesta? – chiese senza perdere un filo di calma l’ambasciatore Otis, mentre si accendeva un lungo sigaro.

– Credo dipenda dall’eccesso di popolazione che affligge il Vecchio Continente – proseguì, – e non permette una distribuzione uniforme di tutti i fenomeni atmosferici. Resto convinto della mia idea: soltanto l’emigrazione di massa potrà rimettere in sesto l’Inghilterra.

– Mio caro Hiram – disse la moglie, osservando la

12

governante ancora stesa a terra – credo ci sarà poco utile una domestica che sviene per ogni minima sciocchezza.

– Vorrà dire che le ridurremo ogni volta una parte dello stipendio, proprio come accade quando si compie un danno – rispose il signor Otis. – Vedrai, cara, che la prossima volta ci penserà bene prima di svenire.

E infatti, in pochi istanti, la signora Umney si riprese completamente alzandosi di colpo. La poveretta, che appariva molto turbata, con voce tremante supplicò il signor Otis di stare in guardia, poiché qualche grosso guaio si preparava a colpire il castello.

– Ho visto cose terribili con questi miei poveri occhi, signore! Cose che farebbero rizzare i capelli in testa ad ogni buon cristiano. E quante notti insonni ho passato per colpa di tutte le cose strane accadute in questo castello! State in guardia… non dite che non ve l’avevo detto.

Nessuno prese molto sul serio l’avvertimento della povera donna. Il signor Otis e sua moglie rassicurarono la domestica sul fatto che essi non avevano nulla da temere, tantomeno sarebbero stati spaventati da uno spettro, qualora fosse comparso loro innanzi.

Allora la signora Umney invocò la benedizione della Provvidenza sui nuovi padroni e, dopo essersi accordata per un aumento di salario, si ritirò nella propria camera ancora tutta tremante.

13

Un vero fantasma Quella notte tutta la dimora venne scossa da un

grosso temporale, ma per il resto non accadde nulla di straordinario.

Il mattino successivo, però, quando la famiglia Otis scese per fare colazione, tutti si accorsero che la macchia di sangue era ricomparsa nel pavimento accanto al camino, nello stesso punto dove si trovava da secoli.

– Caspita... – osservò perplesso Washington. – Non credo che la colpa sia del Super Detersivo, perché ha sempre funzionato alla perfezione su ogni superficie.

Allora... Dev’essere proprio stato il fantasma!

Riuscì a cancellare la macchia una seconda volta, ma la mattina dopo il lugubre alone di sangue era di nuovo lì. E così anche la terza mattina, nonostante la porta della stanza fosse stata chiusa con più mandate e lo stesso signor Otis avesse poi portato via la chiave con sé.

Tutta la famiglia cominciò quindi ad interessarsi alla questione del fantasma.

Il signor Otis riconobbe di essere stato forse un po’ troppo scettico e frettoloso nel negare l’esistenza degli spettri, mentre la moglie espresse la volontà di di-

14

ventare membro di un’Associazione di Parapsicologia; quanto al figlio Washington, questi stilò una lunga lettera per i signori Myers & Pomodore per capire come potevano essere trattate le macchie di sangue, specie quand’erano particolarmente resistenti perché collegate a un delitto.

Quella notte, comunque, accadde una cosa che dissipò per sempre ogni dubbio sull’effettiva esistenza dei fantasmi.

La giornata era stata calda e soleggiata, così, verso sera, con l’aria finalmente fresca, la famiglia Otis decise di uscire per fare un giro in carrozza.

Rincasarono verso le nove e la domestica preparò per cena un pasto leggero.

Sia ben chiaro che a tavola non si parlò minimamente di spettri e fantasmi, per cui non si creò alcun clima di attesa e di mistero, che invece è il tipico stato d’animo che più frequentemente precede il verificarsi dei certi fenomeni paranormali.

Anzi, la conversazione tra i commensali fu del tutto normale, incentrata sulle solite questioni di cui parlano gli americani di buona cultura appartenenti alle classi sociali superiori. Argomenti quali: l’enorme superiorità dell’attrice anglo-americana Fanny Davenport al confronto dell’attrice francese Sarah Bernhardt. O la difficoltà di trovare, anche nelle migliori case inglesi,

15

del granoturco non troppo maturo, focacce di grano saraceno, o pannocchie bollite nel latte. O ancora, il contributo di Boston sullo sviluppo dell’anima universale. Oppure l’importanza di assicurare il bagaglio nei viaggi in treno. O la dolcezza dell’accento di New York rispetto alla pronuncia strascicata tipica dei londinesi, e via dicendo. Insomma, cose così. Non si parlò neppure lontanamente di argomenti sovrannaturali e tanto meno fu fatta alcuna allusione a sir Simon di Canterville, il responsabile del delitto davanti al camino.

Alle undici, ogni membro della famiglia era nella rispettiva camera e alle undici e mezzo tutte le luci erano già spente.

Accadde che, poco dopo aver preso sonno, il signor Otis venne risvegliato da un curioso rumore che proveniva dal corridoio, proprio davanti alla porta della sua stanza. Era un suono sinistro, come lo stridere e il cigolare del metallo, e sembrava farsi sempre più vicino.

L’ambasciatore si alzò senza indugi, accese una candela e guardò l’orologio: era l’una esatta. Si sentiva del tutto tranquillo, ma per scrupolo tastò il polso per essere certo di non avere un attacco di febbre che, si sa, a volte procura deliri.

Nel frattempo, nel corridoio, lo strano rumore di ganci metallici e arrugginiti era aumentato e sembrava essere accompagnato da uno strascicare di passi.

16

Il signor Otis s’infilò quindi le pantofole per andare a controllare, ma prima di avviarsi prese dal cassetto del comodino una piccola ampolla di forma allungata; poi, andò dritto verso la porta e la aprì senza tentennare nemmeno un attimo.

Fu allora che vide davanti a sé, in piedi tra la pallida luce lunare, un uomo dall’aspetto spaventoso: aveva gli occhi rossi come due carboni ardenti; lunghi capelli grigi che gli ricadevano per le spalle in ciocche incolte, e le vesti di foggia antica tutte lacere e imbrattate. Dai polsi e dalle caviglie, infine, gli pendevano ceppi di ferro pesanti e arrugginiti.

– Egregio signore – disse il signor Otis – mi vedo costretto a pregarla di oliare un po’ quelle sue catene, perché così fanno davvero troppo rumore. A questo proposito, vorrà gradire una bottiglietta di Lubrificante Solare Tammany. Dicono che sia efficace fin dalla prima applicazione, e potrà leggere sul foglio delle istruzioni parecchie testimonianze favorevoli. Glielo lascio qui per suo uso accanto alle candele della camera da letto, ecco, prenda pure. E sarò felicissimo di fornirgliene dell’altro, qualora ne avesse bisogno.

Con queste parole, l’ambasciatore degli Stati Uniti posò la bottiglietta su un tavolo di marmo, chiuse la porta e tornò a dormire.

Nel buio del corridoio, per un attimo, il fantasma

17

di Canterville rimase letteralmente paralizzato dallo sdegno. Come osava quel signore americano rivolgersi a lui, l’antico proprietario della dimora, con quel tono saccente e sbrigativo? Come osava, soprattutto, non essere spaventato? Gettò con violenza l’ampolla sul pavimento e svolazzò via per il corridoio gemendo cupamente, emanando uno strascico di luce verde e spettrale.

Ecco però che, proprio mentre stava arrivando in cima alla grande scalinata di quercia, la porta di un’altra camera si spalancò, lasciando intravedere sulla soglia due figure vestite di bianco che lanciarono, veloce come un proiettile, un grosso cuscino verso la testa del fantasma, lo spettro capì che non c’era tempo da perdere, così, come unica via di scampo, adottò la quarta dimensione, quella più immateriale, e in tutta fretta svanì attraverso il rivestimento di legno della parete, lasciando la casa avvolta nel silenzio.

Il fantasma raggiunse quindi la sua piccola stanza segreta, quella nell’ala sinistra del castello, dove, stanco e sconsolato, si appoggiò ad un raggio di luna per riprendere fiato e meditare sul da farsi.

Nel corso della sua brillante e spaventosa carriera di spirito, lunga più di trecento anni, non gli era mai successo, proprio mai, di essere così grossolanamente denigrato.

18

Gli tornarono in mente alcuni grandi successi del passato, ossia quelle volte in cui gli era riuscito particolarmente bene spaventare la gente.

Ah, di quanti episodi terrificanti era stato il protagonista!

Che dire di quella volta in cui fece piombare la vecchia duchessa in un attacco isterico mentre si ammirava davanti allo specchio, tutta avvolta nei suoi diamanti e merletti? Oppure quando fece diventare pazze le quattro cameriere sghignazzando alle loro spalle da dietro le tendine dell’armadio? Ripensò inoltre al Rettore della parrocchia, al quale aveva spento la candela una notte che si era attardato in biblioteca, e che da quella volta aveva dovuto affidarsi alle cure di un dottore per colpa delle gravissime turbe nervose che lo affliggevano. O ancora… Era bello per lui ricordare la vecchia signora De Trémouillac che, un mattino, appena sveglia, vide uno scheletro sulla poltrona intento a leggere il suo diario. Che numero! Quella poveretta fu costretta a letto per ben sei settimane da un attacco di febbre isterica e, una volta ristabilita, si riconciliò con la Chiesa. Non solo! Ruppe anche ogni rapporto di amicizia con quel noto scettico del signor Voltaire3 .

Lui che non credeva ai fantasmi!

3– Voltaire (pseudonimo di Francois-Marie Arouet), un filosofo francese del ‘700, fu un grande esponente dell’Illuminismo. Sollevò molte polemiche nei confronti di tutti i pregiudizi culturali e religiosi che impediscono all’uomo di pensare con la sua testa, di usare la propria ragione. Per questo è considerato uno “scettico”, ossia una persona con molti dubbi, che si pone tante domande per cercare la verità delle cose.

19

Lo spettro ripensò anche alla tremenda notte in cui un altro malvagio antenato dei Canterville fu trovato rantolante nel proprio spogliatoio, mezzo strozzato da una carta da gioco infilata in gola. Si trattava del fante di quadri, per la precisione, e giurò che era stato il fantasma a fargliela ingoiare. Quel disonesto confessò sul punto di morire di aver barato al gioco per sottrarre, proprio grazie a quella carta che teneva nella manica, cinquantamila sterline al Casinò di Crockford.

Quante grandi imprese gli tornarono in mente! Pensò ancora al maggiordomo che aveva sparato un colpo di pistola dopo aver visto una mano verde battere contro i vetri della finestra, o alla bellissima lady Stutfield, costretta a portare sempre annodato al collo un nastro di velluto nero per nascondere l’impronta che cinque dita di fuoco le avevano lasciato sulla candida pelle e che, alla fine, per la disperazione si era annegata nello stagno delle carpe, in fondo al Viale del Re. Il fantasma, con la vanità che contraddistingue ogni artista alle prese con una grande opera, ritornò col pensiero alle sue trasformazioni più famose e sorrise amaramente tra sé, ricordando la sua ultima apparizione sotto le spoglie di “Ruben il Rosso”, detto anche “L’Infante Strangolato”; oppure il suo esordio nel ruolo di “Gibeone l’Allampanato”, ossia “Il Vampiro della Palude di Bexley” e il furore che aveva scatenato quella

20

sera in cui semplicemente era comparso innanzi agli ospiti del castello giocando a birilli con le proprie ossa sul terreno del campo di tennis.

E adesso? Come poteva essere che, dopo tutte queste grandiose gesta, arrivassero quattro miserabili americani moderni a offrirgli del Lubrificante Solare e a lanciargli dei cuscini in testa?

Era un vero affronto, una situazione assolutamente inaccettabile!

Mai nessun fantasma, nel corso della storia, era stato trattato a quel modo. Mai! Men che meno lui.

Decise quindi di vendicarsi a dovere e, per mettere a punto un piano, rimase a meditare tutta la notte, fino all’alba.

21

La dura vita del fantasma Il mattino successivo all’apparizione del fantasma,

la famiglia Otis si riunì attorno al tavolo della prima colazione, dove la questione dello spettro venne discussa a lungo e in maniera dettagliata.

L’ambasciatore degli Stati Uniti, com’era naturale, era piuttosto seccato che il suo dono fosse stato accolto con tanta maleducazione. Che screanzato quel fantasma a far volare via l’ampolla di Lubrificante Solare Tammany!

– Non avevo intenzione – disse il signor Otis – di offenderlo in alcun modo. A maggior ragione se si considera che egli è ospite in questa casa da moltissimo tempo. Anzi, trovo che non sia stato affatto educato da parte vostra, ragazzi, lanciargli addosso raffiche di cuscini.

Era un’osservazione molto saggia, la sua, ma i gemelli seppero solo rispondere con delle risate sguaiate.

– D’altro canto – proseguì l’ambasciatore, – bisogna proprio ammettere che se il fantasma si ostina a non adoperare il Lubrificante Solare che gli abbiamo offerto, ci vedremo costretti a strappargli di dosso le catene, perché sarebbe impossibile per noi dormire con

22

quel baccano nel corridoio, a due passi dalle nostre camere da letto.

Nei giorni successivi il castello rimase in uno stato di quiete apparente perché per tutta la settimana il fantasma non si fece vedere. L’unico fatto degno di nota riguardava la macchia di sangue davanti al camino della biblioteca che, tutte le mattine, puntuale, compariva di nuovo. Una cosa di certo inspiegabile perché ogni giorno Washington strofinava via la macchia col potente Detersivo Insuperabile, e la sera il signor Otis in persona si accertava di aver chiuso a chiave la porta della stanza e di aver sbarrato ermeticamente ogni finestra.

La cosa ancor più strana era che la macchia aveva un colore camaleontico, e il suo mutare di tonalità suscitava i più svariati commenti tra gli Otis: alcune mattine, ad esempio, appariva di un rosso cupo, mentre altre volte sembrava più brillante, oppure scoloriva in un rosso porpora. Per non parlare di quella volta in cui la famiglia, riunita in biblioteca per recitare una preghiera secondo il semplice rito della Libera Chiesa Episcopale Americana Riformata, scoprì che la macchia era diventata di un bel verde smeraldo.

Questi mutamenti caleidoscopici, com’era logico, incuriosivano moltissimo tutti quanti, e ogni sera davano luogo a scommesse.

23

L’unica persona che non sembrava affatto divertita dalla cosa era la giovane Virginia che, per qualche oscuro motivo, appariva sempre molto turbata alla vista della macchia di sangue e il mattino in cui la trovò color verde smeraldo per poco non si mise a piangere.

La tranquillità non durò a lungo nel castello perché il fantasma di Canterville fece la sua seconda comparsa la notte della domenica.

Gli Otis erano da poco andati a letto quando sentirono un terribile fracasso nell’ingresso. Si precipitarono in fondo alle scale e videro che un’enorme, antichissima armatura, era precipitata sul pavimento di pietra.

Poco distante, in una poltrona dallo schienale alto, era seduto lo spettro, tutto intento a massaggiarsi le ginocchia con la faccia contorta in una smorfia di dolore.

I gemelli, per sicurezza, erano scesi dalla loro stanza armati di pistola spara-palline, e non tentennarono nemmeno un istante di fronte a quella vista: presero la mira e svuotarono sul fantasma ben due cartucce di pallottole, con una tale precisione da rivelare quanto a lungo si fossero allenati scaricando proiettili-giocattolo sul loro maestro di calligrafia.

L’ambasciatore Otis, d’altro canto, puntò addosso al fantasma addirittura il revolver e, in perfetto stile californiano, gli ordinò di alzare le mani.

24

Che affronto! Il fantasma balzò in piedi tuonando urla disumane, piene di rabbia, poi svolazzando tra loro si dileguò in una nebbiolina, spegnendo al suo passaggio la candela che Washington reggeva in mano.

Mentre tutto il castello sembrava precipitare nell’oscurità, solo lo spettro brillava di una luce evanescente e quando arrivò in cima al grande scalone, decise di giocare uno dei suoi cavalli da battaglia, ossia un numero di sicuro successo: fece rombare la sua celebre risata demoniaca, un’arma che si era dimostrata utilissima in molte occasioni. Si dice addirittura che proprio quella risata avesse fatto ingrigire dal terrore in una sola notte la parrucca di lord Raker e che, dopo averla sentita, ben tre governanti francesi di lady Canterville si licenziarono senza nemmeno aspettare la fine del mese di prova.

La terribile risata del fantasma risuonò più volte in ogni angolo dell’antica volta, ma appena l’eco si spense, ecco che da una porta si affacciò la signora Otis, avvolta in una veste da camera azzurrina: – Ho timore che lei non stia affatto bene – disse allo spettro. – Perciò le ho portato una bottiglia di Tintura del Dottor Dobell. Se si tratta d’indigestione, vedrà che il rimedio le sembrerà eccezionale!

Il fantasma sgranò sbigottito gli enormi occhi di fuoco, poi lanciò uno sguardo demoniaco pieno di in-

25

dignazione e cominciò i preparativi per potersi trasformare in un enorme cane nero, un’altra delle bravure che lo avevano reso famoso, per colpa della quale uno zio di lord Canterville divenne pazzo.

Tuttavia, lo spettro dovette desistere dal suo intento perché distratto da un rumore di passi. Si accontentò allora di farsi appena fosforescente prima di dissolversi nel nulla con un gemito profondo e cimiteriale, proprio nel momento in cui i gemelli Otis stavano per piombargli addosso.

Il fantasma di Canterville si rintanò quindi nella sua stanzetta, dove cadde in preda ad una profonda agitazione. Che volgarità, quei gemelli! E che rozzezza la signora Otis! Ma la ragione più dolorosa della sua disperazione era un’altra: non era stato capace d’indossare l’armatura. Aveva sperato d’impressionare quegli americani moderni con un numero di sicuro effetto: un fantasma in veste da battaglia, perbacco! Nella sua armatura, per giunta, la corazza che lui, sir Simon di Canterville, aveva indossato al torneo di Kenilworth, quando ricevette i complimenti dalla Regina Elisabetta in persona.

Invece, quando poco prima aveva tentato di infilarsi dentro la corazza, tutto il peso del ferro e dell’elmo lo avevano completamente sopraffatto, ed egli non aveva potuto far altro che accasciarsi sulle pietre del pa-

26

vimento, sbucciandosi le ginocchia e le nocche della mano destra.

A seguito di questo incidente, il fantasma si ammalò in modo grave e per diversi giorni non abbandonò la propria stanza se non per far ricomparire ogni giorno la macchia di sangue.

Quando alla fine riuscì a riprendere forza, decise che valeva la pena tentare per la terza volta di terrorizzare l’ambasciatore americano e tutta la sua strafottente famiglia.

Per la nuova apparizione scelse una data speciale: il 17 agosto, che cadeva proprio di venerdì. Trascorse quasi l’intera giornata a cercare nel proprio guardaroba l’abito più adatto, il più spaventoso. Alla fine decise che avrebbe indossato il grande cappello con la tesa all’ingiù e la piuma rossa, l’ampio lenzuolo sfrangiato nei polsi e sul collo, e il pugnale arrugginito.

Verso sera scoppiò un violento temporale. L’atmosfera era perfetta: il vento furibondo faceva tremare tutte le porte e le finestre del vecchio castello con paurosi scricchiolii. Era una meravigliosa notte infernale, proprio come piaceva a lui.

Il piano d’azione prevedeva questo: entrare pian piano nella camera di Washington per borbottargli parole sconnesse dai piedi del letto, poi pugnalarsi per tre volte alla gola al suono di una musica lugubre in

27

sottofondo. Dovete sapere, infatti, che lo spettro nutriva contro Washington un rancore particolare, perché era lui che ogni giorno toglieva la macchia di sangue con quel maledetto Detersivo Insuperabile Pinkerton.

Dopo aver terrorizzato quel giovane arrogante, sarebbe quindi passato nella stanza dell’ambasciatore e di sua moglie, dove avrebbe posato una mano fredda e umida sulla fronte della signora Otis, per poi sibilare nelle orecchie del marito alcuni degli orrendi segreti della cappella mortuaria.

Quanto a Virginia, non aveva ancora deciso cosa fare. In fondo lei non lo aveva mai né offeso né insultato, ed era graziosa e gentile. Nel suo caso, forse, sarebbero bastati pochi lamenti cavernosi dall’armadio; tutt’al più, se proprio non si fosse svegliata, le avrebbe tirato la trapunta del letto con le dita ossute e tremanti.

Ai gemelli, invece, doveva impartire una lezione coi fiocchi, di quelle molto educative. Per prima cosa si sarebbe seduto sulla loro pancia, in modo da provocare la sensazione di un soffocante incubo. Poi, dato che dormivano in un grande letto doppio, si sarebbe messo in mezzo a loro assumendo l’aspetto di un cadavere verde e freddo come il ghiaccio; una volta immobilizzati dal terrore, avrebbe quindi fatto svolazzare il suo abito a lenzuolo, e poi strisciato per la stanza sottoforma di teschio bianco pallido con un’unica pupilla

28

roteante, nella famosa personificazione di “Daniel il Muto”, ovvero lo “Scheletro del Suicida”, un altro ruolo di grande successo.

Giunta la sera, verso le dieci e mezzo, udì la famiglia ritirarsi nelle camere. Fu disturbato per un certo tempo dalle solita urla sguaiate e volgari dei gemelli che se la ridevano per qualcosa di sciocco, ma alle undici e un quarto tutta la casa era finalmente immersa nell’oscurità e nel silenzio.

Allo scoccare della mezzanotte, il fantasma uscì dal suo rifugio.

La dimora sembrava echeggiare di tetri rumori di accompagnamento: il gufo picchiava il becco contro le vetrate, il corvo gracchiava appollaiato in cima a un vecchio albero, il vento gemeva come un’anima in pena attorno al castello. La famiglia Otis dormiva inconsapevole, e il fantasma poté distinguere il sonoro russare dell’ambasciatore.

Lo spettro attraversò cautamente il pannello di legno che rivestiva la parete in cima allo scalone, con un sorriso malvagio sulla bocca avvizzita e crudele; anche la luna, che era coperta dalle nuvole, sembrò risplendere per un istante di una luce speciale, fioca e azzurrina, proprio mentre il fantasma procedeva nel corridoio borbottando strane maledizioni del sedicesimo secolo, diretto verso la camera di Washington.

29

Attese un istante: il vento gli faceva svolazzare intorno alla testa le lunghe ciocche di capelli grigi e scompigliava il suo abito a sudario in pieghe orrorifiche, molto teatrali.

Quando la pendola suonò la mezzanotte e un quarto, egli comprese che l’ora era venuta. Ridacchiò tra sé lugubremente e svoltò l’angolo, ma… subito cadde all’indietro emettendo un gemito di spavento e affondando la faccia tra le mani ossute per nasconderla.

Proprio di fronte a lui si ergeva uno spettro gigantesco e mostruoso, immobile come una statua e allucinante come il sogno di un pazzo: aveva il cranio calvo e lucido, il ghigno squarciato in una risata oscena, dagli occhi uscivano bagliori di luce infuocata, la bocca stessa pareva un gorgo di fuoco, mentre un lenzuolo lurido, simile al suo, gli avvolgeva le membra come neve silenziosa. Sul petto recava una scritta in caratteri antichi che sembrava uno spaventoso calendario di tutti i delitti commessi. Infine, nella mano destra, troneggiava una scimitarra d’acciaio scintillante.

Il povero fantasma di Canterville non aveva mai visto uno spettro in vita sua, o meglio, un altro spettro oltre a se stesso, e di fronte a quella visione sentì raggelare ancora di più ogni cristallo del suo cuore di ghiaccio. Terribilmente spaventato, lanciò un’ultima veloce occhiata alla terribile apparizione, poi fuggì

30

lungo il corridoio verso la propria stanzetta così precipitosamente che inciampò più volte nel lungo lenzuolo che con tanta cura aveva scelto di indossare, perdendo persino il pugnale arrugginito, che venne ritrovato il giorno dopo dal maggiordomo niente meno che negli stivali dell’ambasciatore.

Giunto nel suo rifugio sicuro, il fantasma si lasciò cadere sul letto, ch’era poco più di un modesto pagliericcio, e nascose la faccia ancora tremante sotto le coperte.

Quando si risvegliò era ancora notte fonda, ma in lui si era già riacceso l’antico coraggio dei Canterville.

Decise pertanto che non appena fosse spuntata l’alba, sarebbe andato a discutere con l’altro fantasma.

Mentre fuori nasceva l’aurora con i suoi bagliori d’argento, lo spettro di sir Simon di Cantervile tornò nel punto dove qualche ora prima era avvenuta la truce visione.

Dopotutto, due fantasmi valgono più di uno solo e, forse, con l’aiuto del suo nuovo amico, egli avrebbe potuto agire con maggiore efficacia contro gli Otis, specie i gemelli. Ecco però che, come fu giunto all’angolo del corridoio, un ulteriore orribile spettacolo si mostrò ai suoi occhi.

Caspita! Che fine aveva fatto quel temibile fantasma?

Qualcosa doveva certamente essergli accaduto perché

31

l’essere che si trovava innanzi era assai diverso dalla creatura spaventosa incontrata nella notte: svanito il bagliore, gli occhi apparivano solo come due fessure vuote. La scimitarra argentata era caduta a terra e il corpo intero appariva come crollato, sorretto in parte dal muro in una posizione assai innaturale e certamente scomoda.

Il fantasma di Canterville sobbalzò e nel tentativo di afferrare tra le braccia l’altro fantasma, ne fece rotolare a terra la testa, mentre il corpo cominciò a precipitare in avanti, così che egli si trovò a stringere niente di più che una tenda da letto di cotone bianco e un manico di scopa, mentre ai suoi piedi c’erano solo un coltellaccio da cucina e una zucca vuota.

Confuso e incapace di comprendere questa strana trasformazione, sir Simon impugnò il cartello con la scritta misteriosa che tanto l’aveva spaventato la notte prima e nel chiarore del mattino poté finalmente leggere le poche, semplici ed inquietanti parole che vi erano scritte:

SPETTRO DEGLI OTIS L’Unico Fantasma Autentico e Originale Diffidate delle imitazioni!

Tutti gli altri sono dei falsi

32

Tutto fu chiaro: gli Otis si erano presi gioco di lui.

L’avevano messo alla berlina.

Un lampo gli balenò negli occhi e lo sguardo fiero dei Canterville ricomparve nel suo viso. Con un profondo moto di orgoglio, lo spettro digrignò le gengive sdentate e con le mani ossute alzate fin sopra la testa in un gesto d’invocazione, pronunciò il giuramento solenne secondo l’antica formula dei suoi antenati: quando il gallo avrebbe cantato per la seconda volta, la vendetta di Canterville sarebbe stata compiuta e sanguinose imprese avrebbero avuto luogo in tutta la Contea.

Lo spettro aveva appena terminato di pronunciare la terribile promessa, che dal tetto di una cascina lontana sentì il gallo cantare.

Emise allora la sua lunga, sommessa e amara risata, nell’attesa che il gallo cantasse per la seconda volta: allora tutto sarebbe stato compiuto.

Attese.

Attese. Attese per un tempo infinito, ma il pennuto, chissà per quale oscuro motivo, non cantò mai per la seconda volta.

Fattosi giorno del tutto, intorno alle sette e mezzo, il fantasma udì nel corridoio i passi delle cameriere.

Decise allora di abbandonare per il momento ogni minaccioso proposito e tornò con passo incerto, colmo di stanchezza, nel suo rifugio.

33

Rimuginando su quel tentativo miseramente fallito, volle capire meglio l’accaduto: perché il pennuto non aveva cantato per la seconda volta?

Iniziò quindi a consultare vari libri di cavalleria e scoprì che ogni volta in cui era stato pronunciato il solenne giuramento, davvero ogni volta, il gallo aveva sempre cantato una seconda volta.

– Al diavolo quel maledetto volatile! – borbottò il fantasma. – Ahimé, sono ormai passati i bei giorni in cui avrei trapassato la gola del pollastro con la mia lancia acuminata per farlo cantare a tutti i costi, anche mezzo moribondo! – disse sconsolato. Ma si sentiva troppo stanco e umiliato per inventare un nuovo piano; così, si ritirò in un antico sarcofago di piombo, dove cadde in un sonno profondissimo fino a notte fonda.

34

Meglio sparire Per tutto il giorno successivo il fantasma lamentò

una deprimente spossatezza. Si sentiva debole, stanco, provato.

Nelle ultime quattro settimane era stato messo alla prova come mai era accaduto nella storia plurisecolare del castello, ed egli iniziava ad accusare il colpo seriamente. Bastava un minimo rumore per farlo sobbalzare, tanto che alla fine decise di sparire dalla circolazione per un po’. Non si preoccupò nemmeno della macchia di sangue davanti al camino e preferÏ starsene barricato per ben cinque giorni di seguito nel suo rifugio segreto.

Se la famiglia Otis proprio non ne voleva sapere di lui, dopotutto erano affari loro! Del resto, non erano altro che individui appartenenti a un livello di esistenza basso e materiale, del tutto incapaci di apprezzare il valore simbolico dei fenomeni sensoriali. La questione delle apparizioni spiritiche erano faccende troppo complicate per loro. Insomma, erano dei veri ignoranti in materia.

Certo, il suo dovere di spettro gli imponeva di apparire nel corridoio come minimo una volta la settima-

35

na, e di borbottare parole sconnesse nei pressi della grande finestra della biblioteca almeno il primo e il terzo mercoledì di ogni mese. Non vedeva come avrebbe potuto sottrarsi a questi obblighi, dopotutto, dato che era pur sempre il fantasma del castello.

Se rifletteva sulla sua esistenza, ammetteva di aver condotto una vita certamente malvagia, ma quella ormai era acqua passata, mentre adesso era molto ligio al suo dovere in materia di soprannaturale. Così, nei tre sabati successivi, continuò come sempre ad attraversare il corridoio tra la mezzanotte e le tre del mattino, ma prestando grande attenzione per non farsi né vedere, né sentire.

Prese anche alcuni accorgimenti: si tolse gli stivali, cercò di camminare con passo lieve per far scricchiolare meno il vecchio pavimento tarlato, si avvolse in un ampio mantello di velluto nero per meglio mimetizzarsi con il buio, e fece uso del Lubrificante Solare per oliare le sue catene.

Non che la cosa gli piacesse. Anzi, arrivò ad oliare le catene solo dopo una lunga meditazione. Così, una notte, entrò nella camera dell’ambasciatore e trafugò dal comodino la piccola ampolla. La cosa all’inizio lo fece sentire umiliato, ma poi fu costretto ad ammettere che quel prodotto era davvero eccezionale e gli permetteva di aggirarsi tra le stanze del castello in manie-

36

ra piuttosto silenziosa. L’ideale, per chi vuole restare nell’ombra.

Nonostante tutti questi accorgimenti, però, lo spettro incappava sempre in qualche tormentoso fastidio: spesso rimaneva impigliato nelle trappole tese dai gemelli lungo il corridoio, invisibili al buio. Come quella volta che si era travestito da “Isacco il Nero”, detto anche “Il Cacciatore della Foresta di Hogley”, in cui scivolò rovinosamente su una tavola cosparsa di burro che i gemelli Otis avevano sistemato all’ingresso della Sala delle Tappezzerie.

Fu un vero affronto, quello. Lo spettro si sentì talmente ferito nell’orgoglio da decidere di compiere un ultimo estremissimo sforzo per tentare di ribadire la propria dignità e la propria posizione sociale all’interno del castello: avrebbe visitato i due impertinenti gemelli la notte successiva, indossando le terribili vesti di un altro suo celebre personaggio, “Rupert il Temerario”, conosciuto anche come “Il Conte Decapitato”.

Il fantasma ricordò che erano trascorsi più di settant’anni dalla sua ultima apparizione in quel travestimento, da quando cioè aveva talmente spaventato la sublime lady Barbara Modish da farle rompere il fidanzamento con il nonno dell’attuale lord Canterville.

Esatto! Fu quella volta in cui la fanciulla scappò con il bellissimo Jack Castleton, dichiarando che per nulla

37

al mondo si sarebbe imparentata a una famiglia che permetteva ad un fantasma tanto spaventoso di passeggiare su e giù per la terrazza all’ora del crepuscolo.

Che colpaccio! Che numero! E la faccenda non si esaurì mica con la fuga della ragazza. No, no! Il bellissimo Jack fu poi ucciso in duello, poveretto, proprio da lord Canterville, e lady Barbara, che non sopravvisse a quel dolore, morì di crepacuore prima della fine dell’anno.

Insomma, furono talmente tanti i danni, che la vicenda nel complesso segnò uno dei maggiori successi di tutti i tempi da parte del fantasma.

Era quindi giunta l’ora di rispolverare quel personaggio. La cosa prevedeva un “trucco” estremamente complicato, come si usa dire nel mondo del teatro, e gli ci vollero tre ore buone per i preparativi. Ma quando tutto fu pronto, il fantasma si sentì molto soddisfatto del risultato, anche se, in effetti, i grossi stivali di cuoio, perfettamente intonati al vestito, erano un po’ troppo grandi, e aveva trovato solo una pistola invece che due.

Attese con cura il momento più propizio della notte, poi verso l’una e un quarto attraversò silenziosamente il rivestimento di legno della parete per strisciare lungo il corridoio. Arrivato di fronte alla camera da letto dei gemelli, detta la Stanza Azzurra per il colore dei tendaggi, trovò la porta socchiusa.

38

Poiché lo spettro voleva fare un ingresso trionfale, non si accontentò di attraversare l’uscio sotto forma di nebbiolina. Spalancò invece la porta con impeto, ma nello stesso momento una grande brocca d’acqua freddissima gli si rovesciò addosso, bagnandolo fino alle ossa, e sfiorando nella caduta la sua spalla sinistra.

Dal grande letto a due piazze dei gemelli si levarono sbruffi di risate, soffocate a stento tra le coperte.

Fu un terribile shock per il fantasma. L’affronto lo provò a tal punto che il poveretto poté solo volare in fretta e furia verso il proprio rifugio per ripararsi al calduccio nel letto, dove rimase raffreddato e tremante per tutto il giorno successivo. E per fortuna che durante l’agguato nelle vesti de “Il Conte Decapitato”, non si era portato dietro anche la testa, altrimenti sarebbe andata molto, molto peggio.

Il fantasma di Canterville, da quella notte, disse basta. Basta, sì, non ne poteva più!

Rinunciò ad ogni ulteriore tentativo di spaventare quella volgare e sguaiata famiglia americana. Preferì accontentarsi di strisciare nei corridoi indossando silenziose pantofole di feltro, ben coperto da una grossa sciarpa di lana rossa al collo per paura delle correnti d’aria, e sempre bene armato di un piccolo archibugio, così da potersi difendere qualora i gemelli Otis lo avessero attaccato.

39

Ma le disavventure per lui non erano affatto finite.

Il colpo di grazia, per la precisione, lo ricevette la notte del 19 settembre.

Lo spettro era sceso di soppiatto nell’atrio del grande ingresso, pensando almeno lì di non essere molestato, e si stava divertendo non poco a fare battutine velenose guardando le grandi fotografie di famiglia che l’ambasciatore Otis e sua moglie avevano appeso alle pareti, al posto degli antichi dipinti della dinastia dei Canterville.

Indossava solo un semplice lenzuolo, alla maniera dei fantasmi, una sorta di sudario sobrio e pulito, reso lugubre solo da un po’ di terra di cimitero sparsa qua e là, che faceva sempre un bell’effetto.

Aveva fasciato la mandibola con una garza di lino ingiallito, e portava con sé una piccola lanterna e una vanga da becchino. Non si trattava di indumenti qualunque, ma era travestito da “Jack il Tombarolo”, detto anche “Il Ladro di Cadaveri”, un’altra celebre interpretazione delle sue, che i Canterville ricordavano bene perché era il vero motivo della lite con il loro vicino Lord Rufford.

Erano circa le due e un quarto del mattino e nella casa regnava un silenzio assoluto. Mentre si stava avviando in tranquillità verso la biblioteca per vedere se vi era rimasta qualche traccia della vecchia macchia

40

di sangue, ecco che nel buio sbucarono improvvisamente due pallide figure. Queste agitavano le braccia come due ossessi proprio sopra la testa del fantasma, gridandogli nell’orecchio orrorifici “Buuuuuuuuuu!”.

Lo spirito trasalì. Spaventato come se dovesse morire di nuovo, corse a precipizio su per le scale, ma si ritrovò davanti il giovane Washington Otis, che lo aspettava reggendo in mano una pompa per annaffiare il giardino. Lo spettro si voltò ora in basso, ora in alto: era completamente circondato dai propri nemici.

Quasi sul punto di soccombere, nell’ultimo estremo tentativo di mettersi in salvo, riuscì a nascondesi appena in tempo nella grande stufa di ferro, che almeno era spenta fortunatamente, e di lì, passando per comignoli e tetti, raggiunse finalmente il proprio rifugio, tutto sporco di fuliggine, disordinato e in preda alla disperazione.

Per lui era davvero giunto il momento di sparire.

Fu così che, in seguito a questo episodio, si perse ogni traccia del fantasma, anche quelle delle sue passeggiate notturne.

A nulla servirono gli agguati che i gemelli continuarono a tendere per molto tempo. Non portarono a niente le subdole trappole tese negli angoli più impensabili della dimora, o i gusci di noce sparsi ogni notte nel corridoio nel tentativo di sentirli almeno calpestare,

41

uno scherzetto che, tra l’altro, suscitò l’ira dei familiari e dei domestici.

Nulla. Il fantasma era stato così ferito nell’orgoglio, che il suo unico desiderio era sprofondare nell’oblio, nella dimenticanza.

Non farsi più vedere.

Passarono quindi diversi giorni e la famiglia Otis, senza più distrazioni, non poté fare altro che buttarsi a capofitto nelle reciproche attività: l’ambasciatore riprese a scrivere il suo libro sulla Storia del Partito Democratico negli Stati Uniti, un’opera ambiziosa alla quale lavorava da anni; la signora Otis organizzò una meravigliosa festa in campagna che stupì l’intera Contea; i ragazzi si dedicarono ad alcuni giochi tipicamente americani, quali il Lacrosse, una sorta di hockey con le racchette sul prato, oppure quelli con le carte, come il Poker e l’Euchre.

Virginia invece preferiva trascorrere le giornate cavalcando per i prati della proprietà con il suo puledro, accompagnata dal giovane duca di Cheshire, quello che l’aveva già sognata in sposa, tornato a Canterville Chase per trascorrervi l’ultima settimana di vacanza.

Insomma, l’estate volgeva al termine nella maniera più tranquilla per la famiglia e tutti erano ormai convinti che il fantasma fosse scomparso, tanto che il signor Otis scrisse una lettera a lord Canterville per

42

comunicargli la notizia, alla quale l’ex proprietario del castello rispose congratulandosi.

Tutti però si sbagliavano.

Il fantasma non era affatto scomparso: si trovava sempre lì, nella tenuta, e nonostante fosse ridotto a una sorta di straccetto privo di forze, il risentimento non smetteva di ribollire in lui.

Niente e nessuno avrebbe mai potuto fargli accettare quella situazione. A maggior ragione adesso che aveva saputo che tra gli ospiti del castello c’era anche il giovane duca di Cheshire, il cui prozio era una vecchia conoscenza del fantasma, al tempo in cui aveva scommesso pubblicamente cento ghinee4 che avrebbe giocato a dadi con lo spettro. Una provocazione che il fantasma si divertì a punire severamente, perché il giorno successivo l’uomo fu trovato riverso sul pavimento della sala da gioco, folle e semi paralizzato: una condizione dalla quale non si riprese mai più, tanto che fino alla vecchiaia non seppe pronunciare più alcuna parola se non: “Doppio sei! Doppio sei!”.

Anche quella volta fu proprio un bel colpo e la notizia si sparse sulla bocca di tutti. E ora il duca di Cheshire, un discendente di quella vittima così ben riuscita, era di nuovo al castello… Che tentazione irresistibile.

Il fantasma bramava di mostrare a tutti quanta influenza esercitasse ancora sui membri della nobiltà 4– La ghinea era una moneta britannica d’oro, la prima ad essere coniata meccanicamente nel 1663.

43

inglese, assai più sensibili e meno rozzi delle moderne famiglie americane, così organizzò accuratamente la sua apparizione al giovane pretendente di Virginia Otis.

Per questa nuova avventura, avrebbe rivestito i panni del “Monaco Vampiro”, che qualcuno preferiva chiamare “Il Frate Dissanguato”, la stessa orribile visione che fece spegnere il cervello della vecchia lady Sartup, proprio la notte di Capodanno del 1764.

L’occasione forse gli avrebbe permesso di rientrare in scena in grande stile. Ma lo spettro era così intimorito dal pensiero di incontrare i gemelli che all’ultimo momento cambiò idea e non pensò nemmeno lontanamente di mettere il naso fuori dal suo rifugio segreto nell’ala sinistra del castello.

Così, il giovane duca di Cheshire poté dormire sonni comodi e tranquilli nel letto regale, tra cuscini piumati e baldacchini di velluto. E soprattutto, poté sognare indisturbato la bella Virginia tutte le notti.

44

Uno spiraglio di salvezza Qualche giorno dopo, Virginia e il ricciuto duca

di Cheshire uscirono per fare una passeggiata a cavallo sui prati della proprietà, ma la ragazza, nel saltare una siepe, strappò la divisa da amazzone. Il danno fu notevole, tanto che, tornando a casa, preferì passare dall’entrata di servizio per non essere vista in quelle condizioni. Ecco però che, mentre attraversava in fretta e furia il tratto di corridoio davanti alla Sala degli Arazzi, ebbe come l’impressione di notare qualcuno oltre la porta aperta.

Lì per lì pensò che fosse la cameriera di sua madre, che ogni tanto si metteva a lavorare in quella stanza, così si affacciò per chiederle di rattoppare la veste strappata. Ma con sua immensa sorpresa al posto della domestica trovò il fantasma di Canterville.

Era seduto accanto alla finestra, molto pensieroso, con lo sguardo perso verso il giardino, dove contemplava gli alberi ingialliti dall’autunno ormai alle porte e la danza delle foglie cadute lungo il viale. Teneva la testa appoggiata ad una mano e sembrava vinto da una grande tristezza.

A Virginia lo spettro parve talmente malinconico

45

che non poté fare a meno di provare compassione per lui.

Decise quindi di avvicinarsi per consolarlo, e lo fece con passo così lieve che lo spettro non si accorse di lei finché non la sentì parlare.

– Signore, sono davvero molto dispiaciuta per lei – disse la ragazza. – Vorrei però rassicurarla sul fatto che i miei fratelli, domani, torneranno in collegio a Eton. Credo che nessuno in casa la disturberà più, se lei si comporterà come si deve. Si tratta solo di aver pazienza.

– Comportarmi come si deve!? – replicò il fantasma, volgendo uno sguardo stupito verso la graziosa fanciulla che aveva avuto il coraggio di parlargli. – Cosa significa? Io ho i miei doveri di fantasma. Devo far risuonare le mie catene, sospirare attraverso i buchi delle serrature e passeggiare di notte per la casa, se è a questo che ti riferisci. Sarebbe ridicolo chiedermi di smettere. È la mia unica ragione di esistere!

– Sarà pure la sua unica ragione, ma questo non basta a renderla una buona ragione! – rispose Virginia.

– Lei sa bene di essere stato molto cattivo, soprattutto in vita. Ce l’ha rivelato la nostra domestica, la signora Umney, proprio il giorno del nostro arrivo, che lei ha assassinato sua moglie.

– Uhm… Ammetto di aver compiuto qualche azione

46

disdicevole – disse il fantasma, – ma la cosa non vi riguarda. È una questione privata.

– Ma ammazzare qualcuno è sempre un peccato mortale! – osservò Virginia, che a volte era in grado di inchiodare le persone di fronte alle loro colpe assumendo un tono molto bacchettone.

– Mi spiace fanciulla, ma la tua lezioncina morale è del tutto campata per aria e vale come due spiccioli per me: ossia niente. Tu non conosci i fatti. Mia moglie era una donna orrenda e incapace di assecondare i miei gusti. Per di più non sapeva stirare i colletti come piaceva a me e anche in cucina era un vero disastro.

Caspita! Vuoi sapere come decise di portare in tavola il bellissimo esemplare di daino che avevo catturato nella foresta di Hogley? Lasciamo perdere. Ormai la cosa non ha più importanza, sono passati secoli. Comunque la famiglia di mia moglie non fu da meno in fatto di brutte azioni, perché i suoi fratelli mi fecero morire di fame. Una storiaccia.

– L’hanno fatta morire di fame, signor fantasma? Mi scusi, volevo dire sir Simon… –. Allora Virginia rifletté un istante per trovare un gesto pacificatore. Poi gli chiese: – Gradisce qualcosa da mangiare? Magari posso offrirle il panino che ho nella borsetta…

– Non serve, grazie. Ho dimenticato cosa significhi mangiare. Non lo faccio più da centinaia di anni, or-

47

mai. Comunque è un gesto molto cortese, il tuo, e sei di gran lunga la più gentile della tua maleducata, orribile e volgare famiglia.

Di fronte a quelle parole, Virginia se la prese non poco. – La smetta! – gridò sbattendo i piedi a terra.

– Come osa parlare della mia famiglia in questi termini? Maleducato, orribile e volgare sarà lei! E anche disonesto, per di più.

– Disonesto? – domandò lo spirito.

– Sì, disonesto. Vorrei sapere chi ha rubato tutti i colori della mia scatola di pittura per ravvivare la ridicola macchia di sangue sul pavimento della biblioteca!

Lo so benissimo che è stato lei. Ha iniziato prendendo prima tutti i rossi: il rosso chiaro, il rosso scuro, il porpora… Così non ho più potuto dipingere alcun tramonto. Poi è stata la volta del verde smeraldo e del giallo oro, e così via, tanto che alla fine nella mia scatola sono rimasti solo l’indaco e il bianco di Cina, con i quali ho potuto eseguire solo paesaggi notturni e lunari, che oltre ad essere tristissimi da guardare sono anche difficili da fare! Vede sir Simon, io ho preferito non smascherarla di fronte alla mia famiglia e stare zitta, anche se la faccenda dei colori mi ha seccato parecchio. Anche perché, diciamolo pure, ma dove mai si è vista una macchia di sangue color verde smeraldo?

La cosa è semplicemente assurda.

48

– Guarda, fanciulla, che la responsabilità è soprattutto di tuo fratello Washington! – balbettò il fantasma tentando una discolpa. – Lui e quel maledetto Detersivo Incomparabile. Che altro potevo fare per ravvivare la macchia, se non prendere i tuoi colori? È una cosa complicatissima, al giorno d’oggi, trovare del sangue vero. In quanto alla tonalità, poi, credo sia questione di gusti. Rosso… verde… Che vuoi che sia? La stirpe di noi Canterville, ad esempio, vanta sangue blu, perché siamo nobili. Anzi, la nostra dinastia ha il sangue più blu di tutta l’Inghilterra, ma so bene che voi americani non potete comprendere il senso profondo di queste differenze cromatiche.

– Lei non sa niente di noi americani! Anzi, le consiglio di farci un bel viaggio in America per scoprire un sacco di cose che forse le aprirebbero la mente. Guardi, mio padre sarà ben lieto di procurarle un passaggio gratuito, nonostante sia prevista una tassa molto alta sul traffico di spiriti ed alcolici in genere. E una volta arrivato a New York, sono sicura che avrà un successo formidabile. Conosco un sacco di gente disposta a pagare centomila dollari per avere un nonno, figurarsi per avere un fantasma in famiglia!

– Uhm… Non penso che l’America mi piacerebbe.

– Già, forse noi siamo troppo moderni per lei! Non abbiamo antichi castelli da abitare… né rovine, né cu-

49

riosità artistiche – osservò Virginia con una punta di velenosa ripicca.

– Non avrete né rovine, né curiosità… – replicò il fantasma. – In compenso avete la vostra flotta e le vostre sguaiate maniere!

– La saluto – rispose Virginia definitivamente piccata. – Proporrò a mio padre di far restare i gemelli qui a Canterville Chase per una settimana di vacanza in più.

– No, ti prego, non te ne andare Virginia! – gridò lo spettro. – La verità è che mi sento così solo e triste da temere ogni nuovo giorno. Che ne sarà del mio futuro?

Me lo domando sempre. L’unica cosa che so è che avrei tanta voglia di dormire… ma non posso.

– Non può dormire? Ma questo è ridicolo! Deve solo mettersi a letto e spegnere la candela. Semmai qualche volta è più difficile restare svegli, soprattutto in chiesa quando le prediche non finiscono mai, ma addormentarsi non è affatto difficile. Persino i neonati sanno come si fa, e di certo non sono ancora dei luminari!

– Già, dormire… io non dormo da trecento anni – mormorò triste il fantasma.

I graziosi occhi celesti di Virginia si spalancarono dallo stupore.

– Da trecento anni vago in cerca di riposo, e sono tanto, tanto stanco.

Allora la fanciulla si fece seria e le sue dolci labbra

50

iniziarono a tremare come petali di rosa, nel tentativo di trattenere le lacrime. Si avvicinò allo spettro e, inginocchiandosi al suo fianco, senza togliere lo sguardo dal volto grigio e rugoso, disse con tenerezza: – Povero, povero fantasma. Non esiste proprio alcun luogo dove potete riposare in pace?

– Forse sì. Lontano di qua, oltre il bosco – rispose il fantasma con una voce sognante e sottile. – C’è un piccolo giardino, laggiù, dove l’erba cresce folta tra le grandi stelle candide del fiore della cicuta. Lì si sente l’usignolo cantare tutta la notte. Per tutta la notte canta, e la fredda luna di cristallo sembra farsi più vicina per guardare quel giardino, dove l’albero del tasso tende le sue grandi braccia su coloro che vi dormono…

Gli occhi di Virginia s’inumidirono di lacrime e la ragazza nascose il viso tra le mani.

– Ma lei sta parlando del Giardino della Morte – sussurrò.

– Oh, sì, la Morte. Come dev’esser bella la Morte… poter giacere nell’abbraccio della terra morbida e scura, sentire i fiori che dondolano leggeri sopra la testa, e ascoltare il silenzio. Non avere né ieri, né domani.

Dimenticare il tempo, perdonare la vita, riposare in pace. E tu, gentile fanciulla, potresti aiutarmi. Potresti aprire per me le porte della Casa della Morte, perché l’Amore ti accompagna sempre, e il tuo Amore è più forte della Morte.

51

Virginia ebbe paura e sentì un brivido di ghiaccio scendere giù nella schiena. Il silenzio tra i due si fece di tomba e alla ragazza sembrò di precipitare in un incubo.

Poi il fantasma riprese a parlare, flebile come un sospiro del vento: – Hai mai letto l’antica profezia scritta sulla finestra della biblioteca?

– Oh, sì! – esclamò Virginia, sollevando la testa come in un risveglio. – L’ho letta molte volte! Sono solo sei versi, ma difficili da capire perché dipinti con lettere strane. Il loro significato è del tutto misterioso per me...

Quando una fanciulla dal cuore d’oro Attrarrà una preghiera dalle labbra del peccato Quando il mandorlo sterile e spoglio partorirà nuova vita E una piccola creatura spargerà lacrime innocenti Tutta la dimora si farà quieta e silenziosa E la pace regnerà su Canterville

– La profezia dice che… – spiegò il fantasma con voce triste, – che se una fanciulla gentile piangerà per i miei peccati, perché io non ho lacrime, e pregherà

52

per la mia anima, perché io non ho fede, l’Angelo della Morte avrà pietà di me e allora anche il vecchio mandorlo secco tornerà a fiorire. Ma questa creatura dovrà essere molto coraggiosa perché per liberarmi sarà costretta ad attraversare l’Inferno, con le sue ombre temibili e i sussurri delle voci malvagie. Queste ombre, però, non potranno farle alcun male perché le forze oscure non possono vincere contro la purezza di una creatura innocente.

Virginia non rispose, ma capì che era di lei che lo spettro stava parlando. In un istante sospeso pieno di attesa, il fantasma restò col capo chino a guardare i capelli dorati della ragazza inginocchiata accanto a lui, torcendosi le mani dalla disperazione. Sapevano entrambi che la cosa necessaria era una grande prova di Amore.

All’improvviso Virginia balzò in piedi, con un’espressione luminosa e determinata.

– Io non ho paura – disse con fermezza. – Io non ho paura, e chiederò all’Angelo della Morte di avere pietà.

Allora il fantasma si alzò emettendo un grido sottile pieno di gioia e, presa la mano della fanciulla, gliela baciò con una grazia d’altri tempi. Le sue dita erano gelide come il ghiaccio, ma le labbra bruciavano come fiamme ardenti, e Virginia sentì di non provare alcun timore.

53

Nella sala piena di arazzi, scurita dalla luce del crepuscolo, tutte le figure ricamate su quei tessuti parvero prendere vita per dissuadere la ragazza: – Ferma! Non andare, Virginia! – gridarono.

Il fantasma le strinse con più forza la mano e lei chiuse gli occhi per non vedere.

Anche gli animali scolpiti nella cornice di pietra del caminetto si animarono: – Attenta, Virginia! Attenta! Potresti non tornare mai più!

Ma Virginia non volle ascoltare le voci e il fantasma accelerò il passo per trascinarla in fondo alla sala, dove sarebbe avvenuto il passaggio.

Il fantasma allora pronunciò una formula incomprensibile e il muro della stanza si dissolse come nebbia per far comparire innanzi a loro l’ingresso di una grande, oscura caverna.

Furono investiti da un vento freddo che gelava l’anima.

– Presto Virginia, dobbiamo attraversare il varco, prima che sia troppo tardi!

I due fecero un passo in avanti mentre alle loro spalle si richiudeva la parete del castello. Se qualcuno fosse entrato in quel momento nella Sala degli Arazzi, l’avrebbe trovata vuota.

54

La sparizione di Virginia Dieci minuti più tardi, la campana dell’orologio di

Canterville Chase annunciò l’ora del tè, ma Virginia non si presentò nel salottino apparecchiato.

La signora Otis mandò allora un domestico a cercarla, ma poco dopo questi tornò dal giro di perlustrazione senza alcuna notizia sulla ragazza.

In un primo momento la signora Otis non diede peso alla cosa, perché sapeva bene che la figlia, nel pomeriggio, aveva l’abitudine di scendere in giardino a raccogliere fiori per la tavola.

Tuttavia, allo scoccare delle sei, la madre cominciò a preoccuparsi. Mandò allora i ragazzi a cercarla nel parco, mentre lei e il signor Otis avrebbero perlustrato ogni angolo della casa; ma quando alle sei e mezzo rientrarono i fratelli, nessuno aveva idea di fosse finita la fanciulla.

Tutta la famiglia sprofondò allora in uno stato di agitazione.

Il signor Otis si ricordò di aver concesso, solo pochi giorni prima, il permesso a una carovana di zingari di sostare in un parco della proprietà. Ebbe allora il timore che fosse stata trattenuta da loro, così si recò

55

verso l’accampamento assieme al figlio Washington e a due garzoni.

Anche il giovane duca di Cheshire, lo spasimante di Virginia, in preda all’angoscia, si offrì volontario per la spedizione, ma l’ambasciatore Otis gli ordinò di rimanere al castello perché temeva che con i gitani ci scappasse fuori qualche tafferuglio.

Appena giunto sul campo dei nomadi però, si accorse che gli zingari erano già andati via e, a giudicare dalla confusione che regnava, dagli avanzi di cibo e dal fuoco ancora acceso, la partenza era stata veloce e improvvisa. Un segnale che alimentò in loro terribili sospetti. Decise di mandare Washington e i due garzoni a battere in perlustrazione tutta la zona, mentre lui sarebbe tornato al castello per spedire telegrammi agli ispettori di polizia della Contea, supplicandoli di cercare una fanciulla bionda ch’era stata probabilmente rapita da una banda di zingari o di vagabondi. Decise poi di partire alla volta di Ascot, dove c’era la stazione dei treni più vicina, così dopo aver fatto sellare di nuovo il cavallo e aver insistito perché sua moglie e i figli si mettessero a tavola, si avviò lungo la strada con uno stalliere.

A nemmeno due miglia di distanza dal castello, alle sue spalle sentì scalpitare precipitosamente gli zoccoli di un cavallo, come se qualcuno lo stesse inseguendo.

56

Vide allora che il giovane duca di Cheshire era venuto meno agli ordini e li aveva raggiunti in groppa al suo puledro. Tutto rosso in viso, ansimava dalla fatica e, per di più, era senza berretto. Si capiva che aveva lasciato il castello in fretta e furia, perché un gentiluomo inglese non andava mai a cavallo senza berretto.

– La supplico, Mister Otis – lo implorò il ragazzo, – mi faccia venire con lei a cercare Virginia! E la prego, non sia arrabbiato con me. Se lei ci avesse permesso di fidanzarci lo scorso anno questa disgrazia non sarebbe mai successa. Non mi farà tornare indietro, vero? Non voglio rientrare al castello! Non posso!

L’ambasciatore fu commosso da quella devozione e di fronte a quel giovane coraggioso non riuscì a trattenere un sorriso: – E va bene, Cecil. Immagino che dovrò proprio lasciarti venire con me. Appena saremo ad Ascot, però, dovremo trovare un cappello…

– Io voglio trovare Virginia, altro che cappello! – rispose il duca. E i tre uomini presero a galoppare verso la stazione ferroviaria.

Arrivati sul posto, il signor Otis chiese al capostazione se qualcuno avesse notato sulla banchina una ragazza corrispondente alla descrizione di Virginia, ma nessuno aveva visto niente. Il capostazione, però, si prodigò per avvisare tutti i posti di servizio dell’in-

57

tera linea, e assicurò che si sarebbe fatto l’impossibile per trovarla.

In compenso ad Ascot riuscirono ad acquistare un cappello per il giovane duca presso un mercante che vendeva di tutto, e che a quell’ora stava proprio per chiudere i battenti; proseguirono quindi la corsa a cavallo verso il villaggio di Bexley, distante circa quattro miglia, che qualcuno aveva detto essere una delle località preferite dagli zingari, dal momento che lì nei pressi c’era un grosso terreno incolto molto adatto per l’accampamento.

Giunsero in paese che era già tardi e per prima cosa andarono a svegliare la guardia campestre, senza però riuscire ad ottenere informazioni utili. Perlustrarono comunque l’intera contrada, prima di capire che ormai per quel giorno era rimasto ben poco da fare. Si avviarono così verso Canterville Chase verso le undici di sera, stanchi morti e col cuore a pezzi.

La spedizione però non era stata completamente vana: avevano almeno raggiunto gli zingari e scoperto che, in effetti, questi non c’entravano nulla con la sparizione della ragazza. Essi semplicemente erano dovuti ripartire in fretta e furia perché diretti alla fiera di Chorton, e poiché si erano confusi con la data, temevano di arrivare troppo tardi.

Si mostrarono però assai addolorati per Virginia, a

58

maggior ragione perché il signor Otis era stato molto gentile a permettere loro di sostare sul parco della proprietà, tanto che alcuni di loro si attardarono per aiutare la famiglia nelle ricerche.

Ad ogni modo, per quella sera era stato fatto tutto il possibile. Così, stanchi, preoccupati e rattristati, il signor Otis e tutti i suoi ragazzi non poterono far altro che rientrare al castello.

Ad attenderli alla cancellata c’erano Washington e i gemelli, muniti di lanterne per illuminare il viale completamente buio. Neanche loro avevano raccolto tracce utili per ritrovare la ragazza. Oltre a mettere a soqquadro l’intera dimora, non avevano dimenticato nemmeno di perlustrare lo stagno delle carpe, caso mai la ragazza vi fosse caduta dentro accidentalmente… ma nulla.

La signora Otis attendeva in preda all’angoscia sul divano del salotto, facendosi inumidire di continuo la fronte dalla vecchia governante con un impacco di acqua di colonia.

Il signor Otis insistette perché la moglie mangiasse almeno qualcosa e volle che fosse servito un pasto. Fu una cena malinconica e silenziosa per tutti, compresi i gemelli che erano davvero molto affezionati alla sorella.

Finito di mangiare, l’ambasciatore Otis ordinò a

59

tutti di ritirarsi nelle proprie camere, nonostante le suppliche del giovane duca che proprio non ci poteva pensare di interrompere le ricerche, ma il padrone di casa disse che ormai era stato fatto il possibile, e che l’indomani, per prima cosa, avrebbe telegrafato a Scotland Yard perché mandassero quanto prima degli agenti per investigare sulla scomparsa.

Nel momento in cui uscirono dalla sala da pranzo, il grande orologio della torre batté i dodici rintocchi della mezzanotte: Don… Don… Don… E proprio durante l’ultimo colpo, si udì nel castello un frastuono spettrale, seguito da un grido acuto e terribile. Tutte le mura tremarono e una melodia celeste, che sembrava cantata dagli angeli, echeggiò nel cielo: cosa stava accadendo?!

Una delle pareti di legno in cima alla scalinata si spalancò con rumorosa violenza, e Virginia venne come sbalzata fuori da quell’anfratto.

Tutti accorsero in direzione del forte colpo e, guardando in cima alla scala, trovarono la fanciulla accasciata nel pianerottolo, pallida e tremante, con le mani strette attorno ad un piccolo scrigno.

– Virginia!? – disse la famiglia all’unisono, sconvolta dalla sorpresa. Poi si precipitarono addosso alla ragazza.

La signora Otis l’abbracciò con tanta tenerezza, così

60

come il giovane duca, che quasi la soffocò di baci, mentre i gemelli, dalla gioia, zampettavano attorno al gruppo come due guerrieri una specie di danza selvaggia.

– In nome di Dio, bambina mia, dove sei stata? – urlò con rabbia il signor Otis, pensando che la figlia si fosse nascosta per fare uno scherzo. – Cecil ed io ti abbiamo cercato per tutta la contea, e tua madre è quasi morta di paura. Non provare mai più a fare un giochetto del genere!

– Solo al fantasma si possono fare gli scherzi! Solo al fantasma! – canticchiarono i gemelli continuando a saltellare, come avessero già recuperato la parte più atroce della loro ironia.

– Tesoro mio! Grazie al cielo sei di nuovo qui con noi! – sussurrò la signora Otis, baciando la ragazza e accarezzandogli i capelli biondi arruffati.

– Papà, non è stato uno scherzo! – tentò di spiegare Virginia. Poi disse con calma: – Ero con il fantasma, io. Sì, ero con lui, ma ora è morto. Morto per davvero, intendo. E voi tutti adesso dovete vederlo. È vero, ha commesso molte cattiverie, ma si è pentito con cuore sincero di tutto il male che ha fatto, e prima di morire mi ha donato questo scrigno pieno di… di gioielli.

Allora tutti fissarono la ragazza con gli occhi spalancati dalla sorpresa. Virginia appariva incredibilmente seria e tranquilla. Era chiaro che non si trattava di uno

61

scherzo. La fanciulla si alzò da terra e, voltandosi verso l’apertura nella parete di legno dalla quale era sbalzata fuori, fece segno alla famiglia di seguirla. Penetrarono in una sorta di corridoio segreto, lungo e angusto; era tutto molto buio e solo la candela di Washington permetteva di illuminare un poco la via. Giunti in fondo, trovarono la strada sbarrata da una pesante porta di legno di quercia, rafforzata da borchie ormai arrugginite. Virginia vi poggiò una mano e la porta ruotò sui pesanti cardini, così riuscirono ad entrare in una stanzetta bassa con il soffitto a volta, dove filtrava una luce fioca dalla finestrella chiusa da una grata. Alle pareti era fissato un anello di ferro dal quale pendeva una catena arrugginita… e legato alla catena, accasciato nel pavimento di pietra, c’era lo scheletro fragile e rattrappito di sir Simon.

Dalla posizione, sembrava volesse afferrare con la mano libera una brocca e un antico vassoio collocati poco distante, ma comunque troppo lontani da lui.

Un tempo quella brocca doveva essere stata colma d’acqua perché al suo interno c’era uno strato verdognolo di muffa, mentre il vassoio era ormai ricoperto solo da un fitto strato di polvere.

Virginia si inginocchiò accanto allo scheletro e cominciò a pregare in silenzio, con le mani giunte davanti al cuore. Gli altri rimasero in silenzio, tutti impietriti

62

di fronte a quella terribile tragedia finalmente svelata.

Il momento di raccoglimento venne interrotto da uno dei gemelli: – Ehi! Venite tutti! – esclamò all’improvviso, guardando oltre la grata della finestrella per capire in quale ala del castello si trovasse esattamente quella stanza.

– Là nel giardino il vecchio mandorlo secco è di nuovo sbocciato! Il chiarore della luna illumina tutti i fiori!

Allora Virginia disse solennemente: – Dio lo ha perdonato!

Quando si alzò in piedi, tutti scorsero per un istante nel viso della fanciulla un chiarore celestiale, come fosse illuminata dalla luce di un altro mondo.

L’unico che prese alla lettera questa faccenda fu il giovane duca di Cheshire che, gettandole le braccia al collo, prima di baciarla ancora, disse: – Virginia, ma tu sei un angelo!

63

Un segreto mai svelato Il fantasma di Canterville era dunque morto: mor-

to a tutti gli effetti.

Quattro giorni dopo il ritrovamento dello scheletro nella stanza segreta, dal castello partĂŹ un insolito corteo funebre, poco prima della mezzanotte.

Il funerale venne celebrato in pompa magna: il sarcofago di piombo, coperto da un drappo color porpora sul quale erano state ricamate con fili d’oro le iniziali dei Canterville, fu trasportato verso il camposanto su un carro trainato da otto cavalli neri, ciascuno addobbato sulla testa da un gran ciuffo svolazzante di piume di struzzo.

Che suggestiva processione! Tutti i domestici della tenuta avanzavano ai lati del carro, reggendo delle fiaccole accese; il corteo era poi composto dalla carrozza di lord Canterville, giunto apposta dal Galles per onorare il suo antenato, nel cui cocchio sedeva anche la piccola Virginia.

Seguivano poi il signore e la signora Otis, assieme ai loro tre ragazzi e infine, nell’ultimo carro, la signora Umney, la vecchia governante, che lo spettro aveva spaventato per oltre cinquant’anni, in perfetto diritto,

64

quindi, di accompagnarlo per l’ultimo saluto.

Nel piccolo cimitero della proprietà era stata scavata una grande fossa proprio sotto i rami dell’albero di tasso, protesi in avanti come in un abbraccio.

Il rito funebre fu celebrato con grande solennità e, terminata la cerimonia, seguì l’antica tradizione dei Canterville secondo la quale la bara doveva essere seppellita sotto la sola luce della luna: i domestici spensero quindi le fiaccole e Virginia volle posare nella fossa una croce intrecciata coi rami bianchi e rosa del mandorlo.

La luna fece capolino da dietro una nuvola e il piccolo camposanto brillò silenzioso di una luce d’argento. In quel momento, da un boschetto lontano tutti sentirono cantare un usignolo e a Virginia tornarono in mente le parole con cui il fantasma di sir Simon le aveva descritto il Giardino della Morte:

… C’è un piccolo giardino, laggiù, dove l’erba cresce folta tra le grandi stelle candide del fiore della cicuta.

Lì si sente l’usignolo cantare tutta la notte.

Per tutta la notte canta, e la fredda luna di cristallo sembra farsi più vicina per guardare quel giardino, dove l’albero del tasso tende le sue grandi braccia su coloro che vi dormono…

65

Gli occhi della fanciulla si riempirono di lacrime, e nel cammino verso casa non pronunciò quasi parola.

Il mattino successivo, prima della partenza di lord Canterville, il signor Otis volle parlare con lui dei doni che Virginia aveva ricevuto dallo spettro.

Poiché si trattava di gioielli assai preziosi, specie una collana di rubini con una montatura alla maniera veneziana, un esemplare di alta oreficeria del sedicesimo secolo, il signor Otis non sapeva bene cosa fare, se permettere o meno a sua figlia di accettare quel regalo.

– Mio carissimo lord Canterville – disse l’ambasciatore al vecchio proprietario del castello – mi rendo perfettamente conto che questi gioielli, in quanto eredità di famiglia, dovrebbero appartenere a voi. Mi sento quindi obbligato a restituirli: può considerarli semplicemente un bene di sua proprietà, scappato fuori in maniera tardiva e in circostanze inusuali!

Poi proseguì il discorso: – Mia figlia è poco più che una bambina e non mostra ancora interesse per gli oggetti di lusso, mentre mia moglie, che invece è un’esperta di arte, considera queste gemme di grande valore e potrebbero rendere molto se vendute ad un intenditore. Per questo motivo ci sembra opportuno restituire ai Canterville questi gioielli: non vorremmo impossessarci di beni su cui non vantiamo alcun diritto.

66

L’ambasciatore inoltre riconobbe che, se per loro americani quei gioielli rappresentavano solo di un bene di grande valore materiale, sapeva bene quanto invece fossero importanti per la dignità delle nobili casate britanniche. Che tornassero pure in mano all’aristocrazia, quindi.

Solo una cosa Virginia desiderava tenere di tutto quel tesoro: lo scrigno, per conservarlo come ricordo dell’infelice sir Simon.

– Mi creda – aggiunse il signor Otis, – sono stupito anch’io, perché non pensavo che mia figlia potesse sentirsi attratta da quella scatola, un oggetto così vecchio e malandato, ma a maggior ragione spero che la cosa, caro lord Canterville, non vi dispiaccia e possiate accontentare la sua richiesta.

Lord Canterville ascoltò con grande attenzione tutto il discorso dell’ambasciatore, lisciandosi di tanto in tanto i baffi grigi per nascondere un sorrisetto involontario. Quando il signor Otis ebbe terminato, gli strinse cordialmente la mano e disse: – Gentile signor Otis, la sua graziosa figliola ha reso al mio sfortunato antenato, sir Simon di Canterville, un servigio di valore inestimabile e tutta la mia famiglia vi è debitrice per il coraggio e l’audacia dimostrata dalla fanciulla. Per questo motivo, è fuori dubbio che i gioielli appartengano a lei. Caspita, se fossi tanto

67

crudele da portarglieli via, credo che il mio vecchio antenato uscirebbe dalla tomba per dirmene quattro e darmi tormento per tutta la vita! Insisto: questi gioielli sono della ragazza, e vedrà che, una volta cresciuta, la signorina Virginia sarà felice di indossarli.

Il signor Otis tentò di convincere lord Canterville di tornare sui suoi passi, ma alla fine la determinazione del nobiluomo inglese la vinse e l’ambasciatore americano accettò finalmente il dono fatto dal fantasma a sua figlia. Nella primavera del 1890, venne celebrato il matrimonio tra il duca di Cheshire e Virginia: quando la giovane duchessa fece il suo ingresso a Corte, tutti ammirarono estasiati i suoi gioielli.

La fanciulla, sposando il giovane fidanzato non appena questi era diventato maggiorenne, aveva anche ricevuto il titolo nobiliare, che in fondo è il sogno più ambito di tutte le ragazze americane. Erano entrambi deliziosi e si volevano un gran bene, così che tutti furono felici di quel matrimonio; tutti ad eccezione della vecchia marchesa di Dunbleton, che aveva tanto cercato di far maritare una delle sue sette figlie proprio con il giovane duca.

Pure l’ambasciatore si era affezionato a Cecil di Cheshire, anche se temeva che quel titolo nobiliare che ora pesava sulla testa della figlia potesse in qualche modo comprometterne i sani principi e la sobrietà.

68

Il suo scetticismo, tuttavia, scomparve a poco a poco, e quando il giorno delle nozze percorse la navata della chiesa di San Giorgio a braccetto con la figlia, non c’era un uomo più orgoglioso di lui in tutta l’Inghilterra.

Al rientro dalla luna di miele, Virginia e suo marito tornarono a Canterville Chase e per prima cosa si recarono al piccolo cimitero vicino alla pineta per portare un saluto a sir Simon.

In un primo momento, non erano mancate le difficoltà per trovare la frase giusta da scrivere nella tomba, dato che il vecchio gentiluomo aveva condotto un’esistenza molto controversa, anche da morto! Così, alla fine decisero di apporvi solo le iniziali, insieme ai versi della profezia dipinti sulla finestra della biblioteca.

Virginia quel giorno portò delle rose fresche e bellissime. Le posò sulla tomba e poi s’inginocchiò in silenzioso raccoglimento. Terminata la preghiera, i due giovani sposi passeggiarono lentamente verso le rovine di un’antica abbazia.

La duchessa sedette sul tronco mozzo di una colonna caduta, mentre suo marito si accomodò ai suoi piedi per fumare una sigaretta, senza smettere di guardarla con occhi colmi di amore.

Ad un tratto il duca prese la mano candida della fanciulla e disse: – Virginia, una moglie forse non dovrebbe celare segreti al proprio marito.

69

– Certo, caro Cecil. Io infatti per te non serbo alcun segreto.

– Sei sicura? – domandò il ragazzo sorridendo. – A dirla tutta, non mi hai mai rivelato cosa è accaduto quando sei scomparsa con il fantasma...

– Oh, ma... non l’ho mai detto a nessuno, Cecil… – rispose Virginia con un po’ di greve imbarazzo.

– Certo, lo so. Ma a me potresti dirlo, no?

– Ti prego, caro, non chiedermi questo. Non posso!

Cosa penserebbe sir Simon di me? Poveretto, gli devo molto! E non ridere, Cecil. Accontentati di sapere che in quegli istanti mi ha fatto comprendere il segreto della Vita e della Morte. E perché l’Amore vince su tutto.

Allora il giovane duca si alzò e baciò con dolcezza la moglie.

– Non ti preoccupare – sussurrò il ragazzo. – Puoi conservare il tuo segreto. A me basta avere il tuo cuore.

– Il mio cuore l’hai sempre avuto e lo avrai per sempre, Cecil.

– Ma un giorno, magari, il tuo segreto lo confiderai ai nostri bambini, vero?

Virginia rispose con un sorriso pieno di luce e di mistero allo stesso tempo. Poi, i due sposi s’incamminarono verso il castello, tenendosi per mano.

70

PER COMPRENDERE MEGLIO Approfondimenti a cura di Paola Valente 71

OSCAR WILDE Nato in Irlanda, a Dublino, nel 1854 e morto a Parigi nel 1900, Oscar Wilde fu uno scrittore famoso che si cimentò in vari generi letterari, dal teatro al romanzo, dagli aforismi alla poesia.

Suo padre era un medico e sua madre una poetessa. La sua famiglia visse una serie di alti e bassi con periodi di difficoltà economica e altri di stabilità. Oscar studiò dapprima a casa sua, fino ai nove anni, quindi frequentò due scuole prestigiose: la Portora Royal Scool e il Trinity college di Dublino. In seguito si iscrisse all’università di Oxford dove si dedicò agli studi classici. Era uno studente brillante ma la sua incostanza e i suoi viaggi, il suo tenore di vita troppo dispendioso ostacolavano la regolarità dei suoi studi.

Oscar Wilde viaggiò in Italia e in Grecia. Nel 1876 pubblicò le sue prime poesie.

Nel 1884 si sposò. Nel 1888 pubblicò la sua prima raccolta di racconti per ragazzi intitolata “Il principe felice e altre storie”. Tre anni dopo pubblicò il romanzo che lo rese famoso: “Il ritratto di Dorian Gray”. La storia racconta di un giovane bellissimo che fa un patto con

72

il demonio: egli non invecchierà mai, il tempo e una vita dissipata non lasceranno tracce sul suo volto e sul suo corpo ma sarà il suo ritratto a subire le ingiurie del tempo.

Lo scrittore pubblicò anche opere teatrali che fecero molto scalpore e irritarono la società perché la penna di Oscar Wilde era feroce e satirica, denunciava tutte le ipocrisie e i mali dell’epoca.

Trascinato in tribunale per debiti e per il suo modo di vivere, Oscar Wilde fu condannato a due anni di lavori forzati.

La sua carriera e la sua vita furono così distrutte. Raccontò la sua esperienza di prigioniero ne “La ballata del carcere di Reading”.

Uscito di prigione, soggiornò a Napoli, quindi a Parigi, dove morì di meningite a quarantasei anni.

Statua di Oscar Wilde - Dublino

Casa di Oscar Wilde - Dublino

73

L’epoca vittoriana Oscar Wilde visse durante quella che fu definita Epoca Vittoriana, dal nome della regina Victoria di Hannover. Ella regnò a lungo e garantì al suo Stato un periodo di stabilità. Salita al trono quando aveva solo diciotto anni, si fece amare e rispettare dal popolo perché la sua vita privata era irreprensibile: un marito, il Principe Alberto, e nove figli. Il suo modo di vivere, improntato sul duro lavoro e sulla rigidità dei comportamenti, fu di esempio a tutta la società dell’epoca. Basato sulla rispettabilità, il modello vittoriano però nascondeva l’ipocrisia e il conformismo delle persone che giudicavano i comportamenti in base all’apparenza e praticavano una compassione finta e superficiale. La società vittoriana fu definita perciò “dell’apparire e non dell’essere”. Sotto un velo di rispettabilità e di regole, si celavano infatti egoismo e sfruttamento.

74

Regina Victoria di Hannover

Principe Alberto

Oscar Wilde, che ebbe una vita al di fuori degli schemi dell’epoca, diventò ben presto vittima di questa mentalità e ne subì le conseguenze con un processo che lo distrusse come persona e come scrittore. Eppure, fu proprio durante il regno della regina Vittoria che la letteratura si sviluppò con grandi scrittori e grandi opere e che il teatro si rinnovò consentendo la nascita e la diffusione di nuove idee. Wilde fu appunto uno dei più importanti scrittori teatrali e i suoi lavori riscossero sia grande successo che grande riprovazione.

A quell’epoca l’Inghilterra era una grande potenza coloniale: la regina fu Imperatrice dell’India ed estese i suoi domini in diverse altre parti del mondo. Morì nel 1902 e suo figlio Edoardo, erede al trono, cercò di seguire le sue orme.

75

Altri racconti di Oscar Wilde Uno dei racconti più famosi di Oscar Wilde è “Il fantasma di Canterville”. Opera giovanile dell’autore, narra la storia di una famiglia americana che si stabilisce in un antico castello che sorge nella campagna inglese.

Con lieve umorismo, lo scrittore presenta la famiglia Otis alle prese con uno spettro dal quale non si lascia assolutamente spaventare.

Il povero fantasma deve subire invece le angherie dei due figli minori, due terribili gemelli e la razionalità del capo famiglia che non crede al soprannaturale. Sarà però con l’aiuto di Virginia, la figlia maggiore, che lo spirito riuscirà a trovare finalmente la pace.

La storia denota le differenze tra la mentalità chiusa della vecchia Europa e le idee innovative che provenivano dall’America: parodiando le storie di fantasmi, molto amate dagli inglesi, Oscar Wilde racconta due società a confronto, due stili di vita diversi a volte contrapposti, a volte con dei valori comuni.

76

Un altro racconto divertente s’intitola “Il delitto di Lord Arthur Savile”. Un chiromante predice al protagonista che compirà un assassinio.

Lord Arthur crede fermamente a questa profezia perciò decide di uccidere con una pasticca avvelenata un’anziana parente in modo da limitare il danno. La vecchia però muore di morte naturale perciò lord Arthur deve trovare un’altra vittima. Invia quindi a uno zio un ordigno esplosivo.

La bomba fa cilecca, esplode come un petardo, senza fare danni e lo zio si diverte pure.

Lord Arthur, piuttosto scocciato, incontra il chiromante lungo le rive del Tamigi. Lo afferra e lo getta nel fiume, compiendo finalmente, con grande sollievo la profezia che lo riguardava.

Un racconto che deride la superbia e la smania di apparire s’intitola “Il razzo eccezionale”.

77

La storia si svolge durante la festa di nozze del figlio del re, in cui è previsto uno spettacolo pirotecnico al quale avrebbe preso parte un razzo molto particolare.

Nell’attesa di essere sparati, i fuochi artificiali parlano fra loro. Il razzo eccezionale si vanta delle sue grandi qualità e crede di essere l’attrazione più importante della serata. Per mostrare le proprie virtù e la propria sensibilità, si mette a piangere davanti ai compagni. È così che il razzo, umido per le lacrime versate, non si accende.

Il giorno dopo è buttato in un laghetto dal quale due ragazzini lo raccolgono scambiandolo per un bastone.

Quando i ragazzi decidono di bruciarlo, il razzo pensa che sia venuto il momento di mostrare tutta la sua magnificenza.

Aspettando che la fiamma prenda vita, si addormentano.

Poiché è ancora molto umido, il razzo non parte subito e ci vuole del tempo prima che esploda.

Quando prende fuoco dando vita a un incredibile spettacolo pirotecnico, nessuno lo vede.

78

INDICE Nuovi proprietari per l’antico castello

5

Un vero fantasma

14

La dura vita del fantasma

22

Meglio sparire

35

Uno spiraglio di salvezza

45

La sparizione di Virginia

55

Un segreto mai svelato

64

Per comprendere meglio

71

79

Scopri gli altri titoli della collana sul sito www.ilmulinoavento.it Il nt fa a

m as di nt Ca e

ill

v er