Radici Cristiane n. 187

Radici Cristiane N. 187 - GEN/FEBB 2025

Periodico trimestrale - Sped. A.P. D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 N°46) Art.1 comma1 DCB Roma - anno XX- € 15,00

I SACRI MONTI TRA CIELO E TERRA EUROPA

ISLAMIZZAZIONE CRESCENTE

EUTANASIA

REGIONI ITALIANE ALL’ATTACCO

WITTELSBACH

STORIA DI UNA FAMIGLIA REALE

LATERANO

CUORE DELLA CHIESA

Proponiamo qualche buon libro ricordandovi che il tempo dedicato alla lettura e alla riflessione è meglio speso di quello dedicato alla televisione e a internet Dom Francesco Pollien CRISTIANESIMO VISSUTO A che altezza si sono innalzati i Santi!

Non tutti, senza dubbio, hanno compiuto quaggiù il lavoro completo della loro purificazione. In certuni può esser rimasta qualche parte da compiere in purgatorio. Ma parecchi raggiunsero fin da questa vita l’ultima vetta e sono entrati in cielo fin dall’istante della loro morte. E quanto a quelli nei quali restava da compiersi ancora una piccola parte del lavoro, essi avevano tuttavia percorso il cammino nella sua maggiore estensione. Non occorre dire ch’essi avevano attuato per intero la prima parte della vita cristiana: Dio il primo, e che erano già molto innanzi anche nella seconda: Dio solo. E’ per questo ch’essi sono così grandi!

Furono uomini come te, con le stesse passioni e la stessa natura, nonché con la stessa ragione e la identica fede. E seppero passare al di sopra delle loro passioni, per vivere secondo la loro ragione e secondo la loro fede. Furono uomini!… Pilato, mostrando Gesù Cristo al popolo, diceva: Ecco l’uomo. E la Chiesa mostrando al mondo i suoi Santi, dice: Ecco gli uomini!…

E tu sarai un uomo?… un cristiano?… un Santo?… Hai la fede?… la ragione?…

Edizioni Fiducia ha ristampato il capolavoro di Pollien, pubblicato da Marietti nel 1958, uno dei testi spirituali fondamentali del XX secolo.

Autore: Dom Francesco Pollien Anno edizione: 2023 Pagine: 167 - € 13,00

Padre Frédéric Rouvier SAPER SOFFRIRE San Francesco di Sales, il Dottore per eccellenza della pietà, volendo condurre un’anima ad un’alta perfezione le scriveva: “Pensiamo solamente a far bene oggi; quando l’indomani sarà arrivato si chiamerà oggi ed allora ci penseremo”.

C’è in queste parole un mirabile programma, un segreto meraviglioso di santità. È la pratica della santificazione del momento presente. Questa pratica, d’una saggezza, d’una semplicità, d’una efficacia incomparabili, è allo stesso tempo della più grande, della massima importanza. A che cosa infatti ci servirebbe il possesso di tutti i metodi della spiritualità, se non ci applichiamo a santificare bene il momento presente?

Non assomiglieremo forse a chi conoscesse molte città e poi si sbagliasse ad entrare in casa sua?

Per informazioni e ordini:

www.edizionifiducia.it emial: info@edizionifiducia.it telefono: 06 3235417

Autore: Canonico Pierre Feige Anno edizione: 2021 Pagine: 175 - € 12,00

N. 187 - GEN/FEBB 2025

Radici Cristiane Periodico trimestrale - Sped. A.P. D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 N°46) Art.1 comma1 DCB Roma - anno XX- € 15,00

MONTI I SACRI TRA CIELO E TERRA EUROPA

ISLAMIZZAZIONE CRESCENTE

EUTANASIA

REGIONI ITALIANE ALL’ATTACCO

WITTELSBACH

STORIA DI UNA FAMIGLIA REALE

sommario Editoriale Come giudicare la situazione internazionale del nostro tempo? di Roberto de Mattei

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Attualità Islamizzazione in corso di Mauro Faverzani Le Regioni all’assalto della vita di Riccardo Pedrizzi News dal Mondo in cui viviamo

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DOSSIER - La dinastia dei Wittelsbach Le origini della dinastia di Giulio Ginnetti Argine al Protestantesimo in Baviera di Mathias von Gersdorff Il fiabesco castello di Neuschwanstein di Cristina Siccardi In Baviera il castello pià lungo del mondo di Veronica Rasponi Altötting. Il “Cuore della Bavira” di Augusto de Izcue

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L’Arte Racconta Soirée d’été di Francesca Bonadonna

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Religione San Giuseppe immagine della Paternità Divina del card. Raymond Leo Burke

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Storia Yalta 1945: il tradimento occidentale di Roberto de Mattei

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Tesori d’Italia I Sacri Monti: tra cielo e terra di Veronica Rasponi Il Palazzo del Laterano e i suoi Musei di Giulio Ginnetti San Giovanni in Laterano. La Basilica d’oro di Louis Veuillot

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Tesori d’Europa Gli “Enclos” luoghi sacri della Bretagna di Anne Bernet

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Arte e Letture Sant’Agata visitata in carcere da san Pietro e un angelo di Sara Magister Labirinti nelle Chiese o nelle Cattedrali di Domenico Lalli La Giordania. L’alba del Cristianesimo di Domenico Lalli Una grande mostra sull’arte religiosa senese di Veronica Rasponi

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Disciplina Maiorum L’esame di coscienza del prof. don Roberto Spataro

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Letture consigliate Come al centro del cerchio risponde Corrado Gnerre L’Agenda di gennaio/febbraio a cura di Emanuele Pressacco

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LATERANO

CUORE DELLA CHIESA

Radici Cristiane Bimestrale di informazione e cultura Anno XX - 2025 Numero 187 Gennaio/Febbraio 2025 Direttore responsabile Roberto de Mattei Grafica e impaginazione Maurizio Bagliani

Corrispondenza Piazza Santa Balbina, 8 00153 Roma - tel. 06.3235417 e-mail: redazione@radicicristiane.it Bimestrale on-line Abbonamento annuale: 35,00 euro

Conto Corrente Postale: 60849007 Associazione Fiducia Radici Cristiane Piazza Santa Balbina 8 00153 Roma Coordinate Bancarie: Intesa San Paolo IBAN: IT 95 Y030 6909 6061 0000 0112 782 BIC: BCITITMM

Reg. Tribunale di Roma n. 49 del 20/04/2021 Sped. A.P. D.L. 353/2003 (conv. L.27/02/2004 N°46) Art.1 comma1 DCB Roma La responsabilità degli articoli è dei singoli autori. Salvo specifica richiesta, i materiali inviati in redazione non vengono restituiti. È vietata la riproduzione totale o parziale.

Editoriale

Come giudicare la situazione internazionale del nostro tempo?

Il magistero della Chiesa è la migliore chiave di lettura dei complessi eventi internazionali del nostro tempo. Un radiomessaggio di Pio XII del 1951 ci aiuta giudicare sempre questi eventi «sub specie aeternitatis», «nella luce della legge divina, del suo ordine, dei suoi valori, delle sue norme».

di Roberto de Mattei

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a situazione del mondo oggi è talmente intricata da richiedere una grande tranquillità d’animo e lucidità di mente a chiunque voglia orientarsi. La pandemia, la guerra russo-ucraina e l’elezione di Donald Trump hanno sconvolto un falso equilibrio internazionale. La classe politica e intellettuale che governa il mondo dall’epoca della Rivoluzione francese vede oggi sgretolarsi il suo potere e le sue illusioni. I cattolici non possono che rallegrarsi del crollo della pseudociviltà nata dalla Rivoluzione francese, ricordando che c’è una sola civiltà degna di questo nome: la Civiltà cristiana. Oggi però l’ordine naturale e cristiano è minacciato da un caos globale a cui contribuiscono tutte quelle posizioni che si allontanino dagli insegnamenti immutabili della Chiesa. Ed alla luce di questi insegnamenti che bisogna giudicare anche la complessa situazione internazionale. Lo sforzo che i cattolici sono chiamati a fare in questo momento è quello di risalire da una lettura puramente politica degli eventi a una lettura soprannaturale, che tenga conto in primo luogo degli interessi di Dio e della Chiesa.

IL RADIOMESSAGGIO DI PIO XII DEL 1951 Per comprenderlo bisogna rileggere con attenzione gli insegnamenti pontifici raccolti dai Monaci di Solesmes, nei due volumi dedicati alla Pace internazionale, tradotti in italiano nel 1962 dalle Edizioni Paoline, e, in par-

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ticolare, il Radiomessaggio rivolto da Pio XII al mondo intero il 24 dicembre 1951, vigilia del Santo Natale. In questo importante documento il Papa affronta il tema del contributo della Chiesa alla causa della pace per spiegare in che cosa realmente consiste.

L’errore che il Papa vuole dissipare è quello di coloro che «considerano la Chiesa quasi come una qualsiasi potenza terrena, come una sorta d’impero mondiale» e chiedono ad essa o di prendere partito politico, in favore di una parte o dell’altra o, al contrario, di assumere una posizione di neutralità politica, dimenticando che la

Chiesa non può mettersi al servizio di interessi puramente politici. La Chiesa non contribuisce alla pace con scelte politiche, ma ricordando al mondo le grandi verità che trascendono la politica. «Chi dunque volesse staccare la Chiesa dalla sua supposta neutralità, o premere su di lei nella questione della pace, o menomare il suo diritto di determinare liberamente se e quando e come voglia prendere partito nei vari conflitti, non faciliterebbe la sua cooperazione all’opera della pace, perché una tale presa di partito da parte della Chiesa, anche nelle cose politiche, non può mai essere puraR A D I C I

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mente politica, ma deve essere sempre “sub specie aeternitatis”, nella luce della legge divina, del suo ordine, dei suoi valori, delle sue norme».

Il Papa aggiunge: «Non è raro il caso, in cui potenze e istituti puramente terreni si vedono uscire dalla loro neutralità, per schierarsi oggi in un campo, domani forse nell’altro. È un giuoco di combinazioni, che può spiegarsi col fluttuare incessante de-

Radiomessaggio di Pio XII del 1951.

gl’interessi temporali. Ma la Chiesa si tiene lontana da simili mutevoli combinazioni. Se giudica, non è per essa uscire da una neutralità fino allora osservata, perché Dio non è mai neutrale verso le cose umane, dinanzi al corso della storia, e perciò non può esser tale neppure la sua Chiesa. Se parla, è in virtù della sua divina missione voluta da Dio. Se parla e giudica sui problemi del giorno, è con la chiara coscienza di anticipare, nella virtù dello Spirito Santo, la sentenza che alla fine dei tempi il suo Signore e N ° 1 8 7

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Capo, Giudice dell’universo, confermerà e sanzionerà».

DIO NON È MAI “NEUTRALE” Il Papa sottolinea che Dio non è mai neutrale nelle cose umane e tanto meno può esserlo la Chiesa. Essa non è mai “neutrale”, prende parte alle lotte del mondo, ma i suoi criteri non sono politici, perché hanno di vista non gli interessi mondani. di nazioni o individui, ma la gloria di Dio e il bene delle anime. La Chiesa, ammonisce Pio XII, «non può consentire a giudicare secondo criteri esclusivamente politici; non può legare gl’interessi della religione a indirizzi determinati da scopi puramente terreni; non può esporsi al pericolo che si dubiti fondatamente del suo carattere religioso; non può dimenticare, neppure per un momento, che la sua qualità di rappresentante di Dio sulla terra non le permette di rimanere indifferente, anche un solo istante, fra il “bene” e il “male” nelle cose umane».

«Il Bambino, che giace nella culla di Betlemme – sottolinea – è il Figlio eterno di Dio fatto Uomo, e il suo nome è “Princeps pacis”, Principe della pace». Ma, «quando dalla dolce intimità, pacifica e calda al cuore, del Bambino di Betlemme la Chiesa e il suo supremo Pastore passano al mondo che vive lontano da Cristo, si sentono come colpiti da una corrente di aria glaciale. Quel mondo non parla che di pace, ma pace non ha; rivendica a sé tutti i possibili ed impossibili titoli giuridici per stabilire la pace, ma non conosce o non riconosce quella missione pacificatrice che emana immediatamente da Dio, la missione di pace dell’autorità religiosa della Chiesa. Poveri miopi, il cui ristretto campo visivo non si estende oltre le possibilità riscontrabili dell’ora presente, oltre le cifre delle potenzialità militari ed economiche! Come potrebbero essi farsi la minima idea del peso e della importanza dell’autorità 2 0 2 5

religiosa per la soluzione del problema della pace? Spiriti superficiali, incapaci di vedere in tutta la sua verità ed ampiezza il valore e la forza creatrice del Cristianesimo, come potrebbero non rimanere scettici e sprezzanti verso la potenza pacificatrice della Chiesa?».

IL NODO DEL PROBLEMA È indispensabile dunque, conclude Pio XII, «fissare lo sguardo sull’ordine cristiano, oggi da troppi perduto di vista, se si vuol vedere il nodo del problema quale ora si presenta, se si vuole non solo teoricamente, ma anche praticamente, rendersi conto del contributo che tutti, e in primo luogo la Chiesa, possono veramente prestare, anche in circostanze sfavorevoli e a dispetto degli scettici e dei pessimisti. (…) Il nodo del problema della pace è al presente di ordine spirituale, è manchevolezza o difetto spirituale. Troppo scarso è nel mondo di oggi il senso profondamente cristiano, troppo pochi sono i veri e perfetti cristiani. In tal maniera gli uomini stessi mettono ostacolo all’attuazione dell’ordine voluto da Dio. Bisogna che ciascuno si persuada di questo carattere spirituale inerente al pericolo di guerra. Ispirare tale persuasione è in primo luogo ufficio della Chiesa, è oggi il suo primo contributo alla pace».

Ne siamo persuasi e di fronte al conflitto russo-ucraino e a tutte le crisi del nostro tempo, riassumiamo la nostra posizione in questi termini: le vicende politiche nazionali e internazionali devono essere giudicate sempre e solo «sub specie aeternitatis»,«nella luce della legge divina, del suo ordine, dei suoi valori, delle sue norme», perché solo l’ordine voluto da Dio in Cristo allontana le guerre e garantisce quella pace reale e durevole, che non ha niente a che fare con la falsa pace invocata dai politici e dai mondani. g

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Attualità

Islamizzazione in corso Chi accusa di “complottismo” l’idea della «sostituzione etnica» viene smentito da numeri e fatti. Dagli uffici dell’anagrafe, dove spopola il nome Mohammed, alle scuole ed allo sport, dove si invoca l’uso del velo islamico; dalla politica, con la costituzione di partiti musulmani, alle manifestazioni di piazza per chiedere il “califfato”: in Europa la Mezzaluna avanza.

di Mauro Faverzani

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n una recente intervista al periodico Valeurs Actuelles l’ex-primo ministro francese François Fillon ha indicato nell’ascesa del totalitarismo islamico una delle due principali minacce alla pace mondiale, assieme allo scontro Cina-Stati Uniti.

A preoccuparlo è, in particolare, il fatto che un crescente numero di europei si stia adeguando al processo di islamizzazione in corso, benché rappresenti «una minaccia reale e immediata ai nostri valori ed al nostro stile di vita». Lo considera «un progetto politico, che nulla ha da invidiare al nazionalsocialismo o allo stalinismo, che hanno sfigurato il XX secolo».

Secondo il filosofo francese Rémi Bra-

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gue, recentemente intervistato dal Corriere della Sera, «l’islamismo è solo un islam che ha fretta».

IN FRANCIA L’ISLAM AVANZA Ciò è tanto più vero in Paesi come la Francia, dove, secondo un recente sondaggio, si è passati dal 2% della popolazione, che nel 1985 rispettava il Ramadan, all’attuale 23%. Di questo passo tra soli trent’anni si ritiene che il 50% dei giovani tra i 18 ed i 35 anni pratichi il Ramadan.

Sigle come quella dei Fratelli Musulmani mostrano una strategia chiara, quella d’islamizzare l’Europa dall’interno. Nessuna lotta armata, solo una presa graduale del potere R A D I C I

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di sostituzione etnica, culturale, sociale e religiosa.

Una dinamica, che oltralpe passa anche attraverso lo sport. Il collettivo «Les Hijabeuses» lo scorso ottobre ha manifestato per chiedere che le calciatrici musulmane possano indossare in campo il velo islamico. Un loro precedente ricorso in merito al Consiglio di Stato era già stato respinto il 29 giugno 2023: il regolamento della Fédération Française de Footbal non prevede, infatti, tale possibilità. L’agguerrita formazione musulmana si è allora rivolta alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando una violazione della propria libertà religiosa. La Corte ha delegato la questione al Centro europeo per il Diritto e la Giustizia, che ha osservato come le divise da calcio femminili non prevedano il velo islamico nella maggior parte dei Paesi musulmani: solo Arabia Saudita ed Iran richiedono l’hijab, nessun altro.

Per venire comunque incontro alle richieste del collettivo, la Federazione francese di football ha consentito l’uso di bandane o cuffie in deroga all’abbigliamento regolamentare ed obbligatorio, ma «Les Hijabeuses» hanno escluso tale possibilità, mostrando come il loro obiettivo non sia, alla fin fine, solo morale o religioso, ma soprattutto politico.

attraverso le strutture democratiche, i partiti politici e le organizzazioni della società civile.

L’obiettivo consiste nel rimpiazzare, prima o poi, le nostre leggi con la sharia islamica.

La demografia illustra in modo chiaro e lampante la situazione. In Francia nessuno chiama più Marie la propria figlia: la percentuale di neonate con questo nome è precipitata dal 20% del 1900 a meno dell’1% nel 2018. Secondo l’Insee, che è l’Istituto Nazionale di Statistica e Studi Economici francesi, il 10% della popolazione, quella immigrata, è responsabile del 23% delle nascite totali contro l’1% degli Anni Sessanta: il che rivela come quella in corso sia una chiara dinamica N ° 1 8 7

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In Spagna il “diritto” all’uso dell’hijab in classe è stato rivendicato addirittura dalle femministe dell’«Unione degli Studenti», tacciando chiunque lo avversi di razzismo.

L’ISLAM DOMINA L’ANAGRAFE Nel Regno Unito il nome Muhammad è il più popolare fra i nuovi nati, anche senza tener conto delle sue varianti, dovute al Paese di provenienza. È il primo nome a Manchester, Nottingham, Leicester, Luton e Bradford. Nel censimento del 2011, del resto, i musulmani presenti erano 2,7 milioni pari al 4,9% della popolazione totale; nel 2021 erano invece 3,9 milioni pari al 6,5%. Il che significa che sono aumentati del 44% in soli dieci anni. L’islam raddoppia ad ogni nuovo censimento.

Lo stesso sta avvenendo nelle maggiori città europee, dove è prevista una maggioranza islamica entro il 2050. Secondo una ricerca europea, condotta dai vari dipartimenti di statistica, entro il 2100 1 europeo su 4 sarà musulmano. A Bruxelles l’islam è la prima religione, a Marsiglia il 40% della po-

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Attualità

polazione è islamico, a Birmingham il 30%.

Non è un caso se Mohammed Hijab, filosofo delle religioni e co-fondatore dell’Istituto Sapienza, ha scritto sui social: «Se noi aumentiamo il nostro tasso di natalità, si può garantire che i musulmani rappresentino il 10% dell’intera popolazione britannica ed il 20% di quella francese entro il 2050, al netto di qualsiasi cambiamento politico in materia migratoria. La nostra forza sta nei numeri».

UN “CALIFFATO” IN GERMANIA In Inghilterra gli inglesi bianchi rappresentano già oggi soltanto il 55,7% delle nascite, mentre a Londra sono il 20%. Le minoranze etniche stanno diventando maggioranze.

Allo stesso modo Mohammed è il secondo nome più popolare tra i neonati in Catalogna ed in Olanda, il primo a Berlino, Amburgo, Brema, Duisburg, Essen, Oslo, Göteborg, Bruxelles, Anversa, Vienna, in molti Dipartimenti francesi, nella cittadina

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In Francia si è passati dal 2% della popolazione, che nel 1985 rispettava il Ramadan, all’attuale 23%.

irlandese di Galway ed anche a Malmö, in Svezia, dove, secondo Yasir Qadhi, teologo americano di origine pachistana, nel giro di una generazione la maggioranza dovrebbe essere musulmana. Ma Mohammed figura tra i nomi più diffusi anche a Milano, Torino ed in diverse regioni della Germania, dallo Schleswig-Holstein alla Renania Settentrionale-Vestfalia, come accertato dalla Società per la lingua tedesca.

Restando in Germania lo scorso ottobre il gruppo islamista Muslim Interaktiv ha organizzato una grande mobilitazione di piazza ad Amburgo, per chiedere la creazione di un califfato: vi hanno partecipato più di 2.000 persone. Non poche per una richiesta tanto esplicita ed ardita.

Nelle scuole delle grandi città tedesche, come Berlino, Francoforte, Offenbach, Duisburg, Essen, la percentuale degli studenti musulmani supera ampiamente l’80%.

In Belgio ed in Francia è stato chiesto di introdurre l’arabo come materia scolastica obbligatoria, in nome dell’inclusione. In R A D I C I

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Olanda il partito politico Denk difende quasi esclusivamente gli interessi musulmani, tacciando di islamofobia chiunque sollevi critiche dopo un attentato jihadistico.

«ROMA CAPUT ISLAM» In Italia la situazione non è molto diversa. Secondo l’inchiesta «Roma caput islam» condotta dal quotidiano Il Tempo, l’anno scorso sono state contate dal ministero dell’Interno ben 53 moschee abusive solo nella Capitale rispetto alle 30 censite dieci anni fa dall’Antiterrorismo. Vengono costantemente monitorate: almeno la metà sono considerate a medio ed alto rischio di radicalizzazione terroristica.

Ma anche nelle scuole l’islam alza la testa: presso l’istituto superiore “Sandro Pertini” di Monfalcone, nel Goriziano, 5 studentesse bengalesi hanno ottenuto il permesso di portare in classe il velo totale, il niqab islamico. Per ragioni di sicurezza, prima di entrare in aula, i docenti devono controllare che si tratti effettivamente delle giovani iscritte. Non solo: nell’ora di educazione fisica sono state esonerate dalla corsa ed è stato loro permesso di indossare abiti meno “occidentali”.

La preside, Carmela Piraino, ha giustificato tutto questo dalle colonne del giornale Il Piccolo, dicendo ch’è necessario per evitare d’indurre «le ragazze a lasciare la scuola».

Ma l’europarlamentare Silvia Sardone della Lega ha presentato un’interrogazione alla Commissione europea per chiedere che il velo venga vietato nelle scuole e negli uffici pubblici, questione peraltro affrontata di recente anche dal consiglio regionale lombardo. Ancora più forte la reazione dell’assessore all’Istruzione ed alla Formazione del Friuli-Venezia Giulia, Alessia RoN ° 1 8 7

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L’anno scorso sono state contate dal Ministero dell’Interno ben 53 moschee abusive a Roma rispetto alle 30 censite dieci anni fa dall’Antiterrorismo.

solen, che, a proposito dell’Istituto “Sandro Pertini”, ha negato che il velo integrale sia «espressione di una cultura», ritenendo ancora più grave il ricorso a «programmi “diversificati” e all’adozione di prassi speciali».

Il consigliere regionale di Forza Italia, Roberto Novelli, ha rincarato la dose: «Il niqab a scuola è incompatibile con la nostra cultura. Non possono esserci negoziazioni, trattative, soluzioni intermedie. Chi sceglie di trasferirsi in Occidente deve accettare le nostre regole».

Da notare che sempre a Monfalcone Bou Konate, leader delle comunità musulmana

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Attualità

locale, si è candidato sindaco in una lista composta interamente da stranieri, il che non rappresenta solo un gesto politico, bensì il chiaro segno di un processo di islamizzazione in atto.

Un altro passo in questa direzione è stato recentemente compiuto a Torino, dove è stato creato il primo sportello anti-islamofobia con tanto di raccolta di dati e segnalazioni. L’iniziativa è stata decisa dal sindaco, Stefano Lo Russo, già noto per le sue politiche di apertura verso il centro sociale Askatasuna. Ma a chi intenda chiedere come si intendano gestire concretamente le denunce, specie se infondate o strumentali, si risponde solo con slogan e buonismo di facciata.

LE FEMMINISTE PRO-HIJAB In Spagna a fine febbraio il “diritto” all’uso dell’hijab in classe è stato rivendicato addirittura dalle femministe dell’«Unione degli Studenti» durante una manifestazione svoltasi nella cittadina madrilena di Parla, tacciando chiunque lo avversi di razzismo discriminatorio e di islamofobia. E qui la vicenda assume toni grotteschi: stupisce che proprio le Sinistre inneggino al velo islamico,

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Anche nelle scuole l’islam alza la testa: presso l’istituto superiore “Sandro Pertini” di Monfalcone 5 studentesse bengalesi hanno ottenuto il permesso di portare in classe il niqab islamico.

certamente simbolo della sottomissione della donna al patriarcato, per usare il loro linguaggio.

Il filosofo francese Alain Finkielkraut, in un’intervista rilasciata a Vanity Fair, ha dichiarato: «Sono molto preoccupato. Siamo sfidati da un’immigrazione incontrollata e stiamo attraversando un cambiamento demografico senza precedenti nella nostra storia. Di fronte a questa grande sfida, gran parte dell’élite sta reagendo con un’autoflagellazione sistematica e delirante. E quando una parte di un popolo perde il desiderio di rimanere fedele a sé stessa, la situazione è gravissima».

Lo stesso ha dichiarato Pierre Martinet, ex-agente del Dgse ovvero dei servizi segreti francesi, a lungo tenuto ostaggio in Libia: «Alcuni parlano di Grande Sostituzione, io preferisco definirla un progetto islamista.

In cinquanta, settant’anni al massimo tutta l’Europa sarà islamizzata».

C’è chi bolla di “complottismo” il timore di un’islamizzazione dell’Occidente o di una “sostituzione etnica”. Ma i fatti ed i numeri mostrano il contrario. g R A D I C I

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Attualità

Le Regioni all’assalto della vita Il senatore Riccardo Pedrizzi, Presidente Nazionale del Comitato Tecnico Scientifico dell’UCID, ci mette in guardia in quest’articolo sulle nefaste conseguenze della legge sul suicidio assistito recentemente approvata dalla Regione Toscana.

di Riccardo Pedrizzi

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a recente legge nr.5/2025 “modalità organizzative per la procedura medicalizzata di assistenza al suicidio” della Regione Toscana apre una falla pericolosa per l’introduzione del suicidio assistito e dell’eutanasia anche in altre regioni italiane se non su tutto il territorio nazionale.

Si apre così una nuova breccia nel muro del fine vita in Italia. La Toscana, con l’approvazione della sua legge, diventa la prima Regione italiana a garantire ai malati N ° 1 8 7

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tempi e modalità certi per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, ma presto potrebbe essere seguita da altre Regioni - come il Veneto guidato dal governatore leghista Luca Zaia da sempre favorevole e forse dalla Lombardia.

Finisce così di fatto la tutela del diritto alla vita, fino ad oggi costituzionalmente garantito e protetto. In pratica la Toscana ha accettato il principio che non va combattuto il dolore, ma eliminato il sofferente che

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Attualità a questo punto si sentirà un peso per tutti: per lo Stato, per la famiglia, per gli amici.

Essa comunque è il frutto e la conclusione drei logica, se non fosse aberrante, di modi di pensare e concezioni del mondo e della vita, che si sono affermate, soprattutto nell’era contemporanea.

Esse vanno ricercate, al di là delle situazioni contingenti e dei singoli casi concreti, in atteggiamenti e comportamenti culturali che si sono andati diffondendo con e dopo la Rivoluzione francese attraverso modelli di vita, ideologie e dottrine libertarie e radicali, che hanno come suprema istanza la libertà. Secondo i quali è lecito ed è eticamente accettabile tutto ciò che è liberamente voluto.

Si tratta, evidentemente, in questi casi di una rivendicazione di una libertà senza vincoli e senza responsabilità che arriva ad un vero e proprio nichilismo, come nel caso del pensatore Herbert Marcuse, e che fa inaridire la stessa radice della libertà, allorquando si pone contro la vita, che è il presupposto ed il fondamento stesso della libertà. Una libertà assoluta, ma solo per chi è in grado di farla valere.

Certamente non per il nascituro, né per il malato terminale, che sono i più deboli ed i più esposti alla volontà, alle disposizioni, alle volte al dispotismo, del più forte. Ovvero vanno ricercate, quelle cause, in mentalità e culture che attraverso la deriva scientista e tecnologica stanno assecondando sempre più il sogno faustiano di poter controllare, dopo averne individuato i meccanismi, la vita e la morte dell’uomo, fino a sfiorare la vertigine di creare artificialmente la vita, sostituendosi a Dio. Anche qui va facendosi strada, sulla scorta del galileano “sapere e potere”, la convinzione che tutto quello che è scientificamente e tecnicamente possibile è anche automaticamente morale ed eticamente lecito.

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Il governatore leghista Luca Zaia da sempre favorevole al suicidio assistito.

L’OCCULTAMENTO DELLA MORTE Nell’ambito di questo scenario, noi assistiamo a fenomeni mai registrati prima nella storia dell’umanità, come quello dell’“occultamento della morte”.

Per millenni, il rapporto con la morte è rimasto fondamentalmente immutato: essa era al tempo stesso familiare, vicina e presente nella quotidianità. Nel nostro tempo, invece, la morte fa paura al punto che non vogliamo più pronunciarne il nome.

Per questo anche, ai nostri giorni, si tace la verità a chi viene colpito da una malattia incurabile, senza capire che è proprio il silenzio a rendere la morte più terribile, a farne un evento innaturale, scisso dalla vita, cui invece è legata, come l’ombra alla figura.

Una volta invecchiare, ammalarsi, avvicinarsi alla morte era una naturale “ars moriendi”, una preparazione fisiologica al distacco. Oggi è un evento da rimuovere o da gestire direttamente.

Questo è avvenuto ed avviene perché la società del benessere e, soprattutto, una cultura consumistica ed edonistica è incapace di cogliere il senso della vita nelle situazioni di vecchiaia, di inabilità, di sofferenza, di difficoltà e di limitazione, che accompagnano l’uomo alla morte.

La vita non può non essere che quella che ci viene presentata dai mezzi di comunicazione: bella, senza problemi, tutta rose e fiori, con belle donne e uomini superman. E non riuscendo a cogliere il senso profondo della vita, si sente e si avverte la morte come un non senso.

Per questo si propone a volte la sua anticipazione indolore, facendo appello all’autonomia assoluta dell’uomo, quasi egli fosse il padrone della sua vita.

GLI EQUIVOCI DELL’AUTODETERMINAZIONE In questa ottica si fa leva sul principio di autodeterminazione e si giunge ad R A D I C I

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esaltare il suicidio e l’eutanasia come forme paradossali di affermazione ed insieme di distruzione del proprio io.

Dall’altro canto, nella nostra società va sempre più affermandosi una sorta di “etica utilitaristica”, in base alla quale il malato grave e il morente, che non è più utile per una società efficentista e produttivistica, bisognoso di cure costose e sofisticate, viene considerato un peso per la collettività e quindi, nell’ottica di una fredda ed impersonale logica di costiricavi, non degno di essere curato ed assistito.

In un contesto culturale ed ideologico di questo tipo, si spiegano le sempre più frequenti campagne di opinione per introdurre nel nostro ordinamento giuridico l’eutanasia ed il suicidio assistito. E’ evidente che l’accettazione culturale e giuridica dell’eutanasia o del suicidio assistito è un messaggio pericoloso non solo per la nostra società, ma anche per le future generazioni e per N ° 1 8 7

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Herbert Marcuse, teorico del nichilismo del ‘68.

l’umanità intera, perché si tratterebbe di contribuire alla diffusione di quella che san Giovanni Paolo II definiva “la cultura della morte”, che si manifesta anche in tanti altri ambiti come la morte per fame, per guerre, per violenze, ma che tutti sono riconducibili ad una scarsa valutazione della dignità della persona.

Al di là delle convinzioni religiose personali, infatti, non v’è dubbio che la vita debba terminare così come iniziata: naturalmente.

Non può l’uomo impadronirsene. Non sta a lui decretarne la fine, per nessun motivo, fosse anche il più nobile. La vita è un bene indisponibile e intangibile, che non appartiene a nessuno di noi. Essa è un valore in sé, ha un significato ontologico che la rende indipendente dalla sua qualità e mai “inutile”. La vita è sempre degna di essere vissuta e non soltanto se è “sana”. Per questo lo Stato deve tutelarla sempre e comunque, e non a seconda dei casi. g

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News dal mondo in cui viviamo

SANTA SEDE

Il documento sull’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale non ha nulla a che vedere con l’intelligenza umana, che è fatta anche ragione e di cuore.

Per questo l’IA non va divinizzata, non deve sostituire le relazioni umane, ma deve essere utilizzata “solo come strumento complementare all’intelligenza umana”. È l’assunto fondamentale della nota Antiqua et Nova sul rapporto tra IA e intelligenza umana, del 28 gennaio 2025. Il documento è il frutto della riflessione a due voci del Dicastero per la Dottrina della Fede e del Dicastero per la Cultura e l’Educazione (con l’approvazione del Pontefice. Il testo, che conta di 117 paragrafi, è rivolto principalmente a genitori, insegnanti, preti, vescovi e quanti sono chiamati a educare e trasmettere la fede, ma è anche offerto anche a tutti coloro che condividono l’esigenza di uno sviluppo scientifico e tecnologico «al servizio della persona e del bene comune».

La sua lettura dunque, può essere importante, oltre che come prontuario rispetto a diversi temi (l’IA e la guerra, ad esempio),

anche e soprattutto per fissare alcuni punti fermi. Il primo riguarda la natura dell’IA, che era e resta una macchina.

Il secondo, diretta conseguenza del primo, è che, come macchina, non ha e non può avere una responsabilità morale. Quest’ultima è sempre in capo all’essere umano.

E perciò non può essere scaricata sulla macchina in quanto tale. Di qui l’appello conclusivo del testo a coltivare una saggezza del cuore e la vita spirituale. Elementi imprescindibili anche e soprattutto in una società in cui le macchine hanno ed avranno sempre più un ruolo importante. «Questa saggezza - si legge infatti nel documento - può illuminare e guidare un uso di tale tecnologia che sia centrato sull’essere umano, che come tale può aiutare a promuovere il bene comune, ad aver cura della “casa comune”, ad avanzare nella ricerca della verità, a sostenere lo sviluppo umano integrale, a favorire la solidarietà e la fraternità umana, per poicondurre l’umanità al suo fine ultimo: la felice e piena comunione con Dio».

GIAPPONE Shigemi Fukahori, cattolico e sopravvissuto a Nagasaki, è morto a 93 anni Shigemi Fukahori, sopravvissuto al bombardamento atomico di Nagasaki del 1945, è morto il 3 gennaio. Frequentava quasi ogni giorno la cattedrale di Nostra Signora di Urakami, rasa al suolo dalla bomba atomica e poi ricostruita nel 1959. Aveva solo 14 anni quando, il 9 agosto 1945, gli Stati Uniti sganciarono la bomba sulla città, provocando la morte di decine di migliaia di persone, tra cui la sua stessa famiglia. Quel giorno, si trovava a circa 3 km dall’epicentro, lavorando in un cantiere navale. L’attacco avvenne tre giorni dopo quello di Hiroshima e portò alla resa del Giappone e alla fine della Seconda guerra mondiale.

Negli anni successivi, Fukahori si fece portavoce della memoria e della pace, parlando spesso agli studenti e affidando loro quello che chiamava “il testimone della pace”. Nel 2020, prese la parola durante una commemorazione ufficiale, ribadendo il suo impegno a fare di Nagasaki «l’ultimo luogo dove una bomba atomica sia stata mai sganciata».

Un’altra figura emblematica di quel

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dramma fu il medico radiologo Paul Nagai, convertito al cristianesimo, che sopravvisse all’esplosione ma fu contaminato dalle radiazioni. Sua moglie morì nell’impatto, lasciando solo alcuni frammenti ossei e il rosario che teneva tra le mani. Colpito da leucemia, morì nel 1951. Fu sepolto accanto alla moglie, e ai suoi funerali parteciparono 20.000 persone.

Nel novembre 1945, fu chiesto a Nagai di offrire una testimonianza in una messa in memoria delle vittime: le sue parole ebbero un’eco profonda. Egli interpretò la tragedia come un sacrificio cristiano: il quartiere di Urakami, unico nucleo cattolico del Giappone, non fu scelto intenzionalmente dagli americani, ma colpito per volontà divina, come espiazione per i peccati dell’umanità. Nagai vide in questa distruzione il prezzo da pagare per il ritorno della pace nel mondo e per la libertà di fede in Giappone. «Ringraziamo Dio – scrisse – perché, attraverso questo sacrificio, la pace è tornata e la libertà religiosa è rinata».

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News dal mondo in cui viviamo

CANADA

Preoccupazioni per il futuro delle organizzazioni religiose

Nel progetto di bilancio 2025 del governo canadese, due proposte suscitano forti preoccupazioni tra le organizzazioni religiose e pro-vita. La raccomandazione 429 prevede di revocare lo status di ente benefico alle organizzazioni anti-aborto, mentre la 430 propone di ridefinire legalmente il concetto di ente benefico, eliminando la “promozione della religione” come finalità caritativa.

Secondo molti osservatori, queste misure rischiano di limitare gravemente la libertà religiosa e la sopravvivenza di numerose realtà che operano nel sociale. L’ex ministro dell’Interno slovacco Vladimir Palko aveva già denunciato in un suo libro del 2012 (I leoni stanno arrivando) il pericolo di una nuova forma di persecuzione verso i cristiani in Europa e in America. Quanto sta accadendo in Canada sembra confermarne le previsioni.

La Conferenza Episcopale del Canada (CECC) ha espresso la sua opposizione scrivendo due lettere ufficiali al governo, il 10 e il 18 marzo, chiedendo di non procedere

CANADA

L’epidemia di Fentanyl

Il Canada sta affrontando una delle crisi sanitarie più gravi degli ultimi decenni: l’epidemia di Fentanyl.

Questo potente oppioide sintetico, inizialmente sviluppato per trattare il dolore grave, è diventato protagonista di una drammatica escalation di decessi per overdose in tutto il paese.

Il Fentanyl è circa 100 volte più potente della morfina e 50 volte più potente dell’eroina, il che lo rende estremamente pericoloso, anche in piccole quantità.

Dal 2016, il Fentanyl ha preso piede nelle strade canadesi, alimentando un’ondata di overdose fatali. Le statistiche sono allarmanti: nel 2020, il numero di decessi per overdose ha raggiunto livelli record, con il Fentanyl responsabile di una parte significativa di queste tragedie.

La sua diffusione è stata alimentata dalla crescente disponibilità di questo farmaco nelle reti illecite, spesso mescolato con altre sostanze, come cocaina ed eroina, senza che gli utenti ne siano consapevoli.

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con l’adozione delle raccomandazioni 429 e 430. Secondo i vescovi, il 40% degli enti benefici in Canada è di ispirazione religiosa e togliere loro il riconoscimento fiscale comprometterebbe la raccolta fondi, riducendo i servizi offerti alla collettività.

Il Ministero delle Finanze non ha fornito risposte dirette alle preoccupazioni espresse, limitandosi a dichiarazioni generiche sull’importanza degli enti benefici e sulla volontà di mantenere un sistema fiscale equo.

Anche Laura Lewis, direttrice di Pregnancy Care Canada, ha sottolineato che questa mossa potrebbe dare seguito ad una promessa elettorale del Partito Liberale del 2021, che intendeva penalizzare le organizzazioni che fornivano “consigli fuorvianti” sulla gravidanza.

Il governo non ha ancora chiarito se queste raccomandazioni saranno incluse nel bilancio finale, lasciando molte realtà religiose e pro-vita in una situazione di incertezza.

Uno degli aspetti più inquietanti della crisi è il fatto che il Fentanyl è spesso venduto sotto forma di pillole che sembrano simili a farmaci legittimi. Questo inganno aumenta il rischio di overdose, poiché gli utenti potrebbero non rendersi conto che stanno consumando una sostanza mortale. La potenza del Fentanyl è tale che anche una piccola quantità può causare un’overdose fatale, rendendo difficile per le persone riconoscere i segnali in tempo utile.

Il sistema sanitario canadese è stato messo a dura prova dalla crisi, con ospedali e cliniche sovraccarichi e le risorse per il trattamento delle dipendenze messe sotto pressione. Inoltre, la pandemia di COVID-19 ha peggiorato la situazione, con un aumento dei consumi di sostanze e delle difficoltà di accesso ai servizi di supporto.

Il Canada deve affrontare questa crisi con urgenza, per evitare che il numero di vittime continui a crescere in modo incontrollato.

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Dossier

La dinastia dei Wittelsbach

Una delle Famiglie Reali più celebri d’Europa La storia dei Wittelsbach si estende per oltre 800 anni ed è caratterizzata da alleanze strategiche, guerre, e una tradizione cattolica che ha plasmato la Germania e gran parte dell’Europa centrale.

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Dossier

Le origini della dinastia La dinastia dei Wittelsbach ha le sue radici nel XII secolo. Il primo membro noto della famiglia fu Ottone I, che nel 1180 divenne Duca di Baviera

di Giulio Ginnetti

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riginaria della regione dell’Alta Svevia, la famiglia si affermò come una delle più influenti nel Sacro Romano Impero, grazie alle alleanze politiche e alle abilità dinastiche. La famiglia prese il nome dal castello di Wittelsbach, situato nella regione dell’Alta Baviera, che divenne il simbolo della potenza della

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casata.

Nel 1255, la Baviera venne divisa tra i figli di Ottone II, creando due linee principali della famiglia: la linea di BavieraIngolstadt e la linea di Baviera-Landshut.

Queste divisioni segnarono il corso della dinastia per secoli, con i vari rami dei Wittelsbach che si susseguirono sul trono R A D I C I

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della Baviera, mentre mantennero contatti stretti con altre casate europee.

LA BAVIERA E IL SACRO ROMANO IMPERO Nel corso dei secoli successivi, i Wittelsbach riuscirono a consolidare il loro potere sia a livello locale che internazioN ° 1 8 7

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nale. Nel 1328, la dinastia ottenne il titolo di Re di Germania, con Ludovico IV, detto il Bavaro, che venne eletto imperatore del Sacro Romano Impero. Questo periodo segnò l’inizio di una nuova era per i Wittelsbach, poiché la loro influenza non era più limitata alla Baviera, ma si estendeva a tutta l’Europa centrale.

Ludovico IV, Imperatore del Sacro Romano Impero nel XIV secolo.

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Dossier Ludovico IV fu un imperatore carismatico che combatté contro il papato di Avignone, rivendicando l’indipendenza dell’impero dalle interferenze papali. Nonostante le sfide politiche, i Wittelsbach rimasero una delle dinastie più potenti dell’Europa medievale, intrecciando matrimoni strategici con altre famiglie imperiali e reali.

Nel XV secolo, il ramo bavarese dei Wittelsbach consolidò ulteriormente la sua posizione, nonostante

Ludwig II, il “Re delle Favole”, famoso per la sua passione per l’arte e l’architettura.

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le difficoltà interne, come le divisioni politiche tra i vari rami della famiglia e le guerre civili. Tuttavia, la famiglia riuscì a mantenere la sua influenza politica e la stabilità interna, rafforzando il suo potere.

ASCESA E DECLINO DELLA DINASTIA Nel XVI secolo, la dinastia dei Wittelsbach continuò ad affermarsi.

Nel 1506, sotto il governo di Giovanni II, i Wittelsbach riunificarono la Baviera, segnando l’inizio di una nuova fase nella storia del ducato. Il periodo successivo vide anche una stretta alleanza con la casa dei Medici e i Borgogna, che portò a matrimoni importanti e a un consolidamento delle posizioni politiche e territoriali.

Un momento decisivo per i Wittelsbach fu la Guerra dei Trent’Anni (16181648), un conflitto devastante che travolse l’Europa centrale. Durante questo periodo, i Wittelsbach della Baviera sostennero le forze imperiali cattoliche, consolidando la loro alleanza con la Casa degli Asburgo. Questa alleanza politica non solo preservò il potere della famiglia durante il conflitto, ma la portò anche a un rafforzamento del proprio dominio in Europa.

Nel 1682, i Wittelsbach divennero definitivamente una delle case reali europee più influenti, con l’ascesa di Massimiliano II al trono di Baviera. Sotto il suo regno, la Baviera divenne una potenza significativa in Europa, sebbene la sua alleanza con la Francia, durante R A D I C I

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la Guerra di Successione Spagnola, lo portò a scontri con altre potenze europee.

Durante il periodo napoleonico, la dinastia dei Wittelsbach perse temporaneamente il potere, ma nel 1806, con la fine dell’Impero Sacro Romano, la Baviera divenne un regno indipendente sotto il governo di Massimiliano I. Questo segnò un periodo di rinnovamento e modernizzazione per la dinastia, con la creazione di una nuova struttura statale e il rafforzamento del potere monarchico.

Nel XIX secolo, uno dei più noti sovrani dei Wittelsbach fu Ludwig II, noto anche come “Il Re Cigno”. Ludwig II ascese al trono di Baviera nel 1864, ma divenne famoso per la sua eccentricità, il suo amore per l’arte e la musica, e per la costruzione di castelli favolosi, tra cui il famoso castello di Neuschwanstein. Ludwig II era un grande ammiratore di Richard Wagner, e la sua corte divenne un centro di mecenatismo per il compositore.

Il re fu accusato di follia e di dissipare le risorse del regno in modo irresponsabile. La sua morte misteriosa nel 1886, avvenuta nel lago di Starnberg, segnò la fine della sua reggenza e portò alla fine del periodo d’oro della dinastia dei Wittelsbach. g

Ludovico IV, Imperatore del Sacro Romano Impero nel XIV secolo.

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I Wittelsbach

Argine al Protestantesimo in Baviera La prestigiosa famiglia dei duchi di Baviera mai si piegò all’ondata protestante che aveva colpito la Germania dopo lo scisma di Lutero che s’infranse alle frontiere dei loro territori. di Mathias von Gersdorff

Il duca Guglielmo IV di Baviera (1493-1550)

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a sfida lanciata nel 1517 da Lutero alla Chiesa vide dappertutto una grande reazione del cattolicesimo, un moltiplicarsi di nuove fondazioni e istituzioni, una lunga schiera di grandi santi come Teresa d’Avila, Ignazio di Loyola, Carlo Borromeo e molti altri. Il Concilio di Trento svoltosi dal 1545 al 1563 fu un’opera immensa di rinnovamento della fede e di affermazione della verità cattolica contro le eresie.

Anche in Germania, il Paese più colpito, la reazione fu grande. La dura controversia fra il Protestantesimo e i fedeli del Papa di Roma si estende almeno dalla Dieta di Worms del 1521 alla Pace di Westfalia del 1648. E se la Pace di Westfalia risolse il problema politico e militare non impedì certo che continuassero le polemiche intellettuali e teologiche.

Il Protestantesimo conobbe una grande espansione fino al 1546, quando è fermato dalla Guerra di Smalcalda. Rimasero quasi interamente cattoliche la Baviera, la Svevia del sud, il Tirolo, Magonza

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e alcune enclaves nel nord come Erfurt e Eichsfeld. Il resto divenne prevalentemente protestante: persino l’Austria fino al 70 % della sua popolazione e la Boemia fino al 90%.

DRAMMATICA CRISI NELLA CHIESA Il Cattolicesimo doveva ritrovare strade e mezzi per riguadagnare posizioni fra le popolazioni andate via dalle sue file e per consolidare quelle rimaste nel suo seno. Ma come? Lo stato del clero era deplorevole. Il Duca di Baviera si lamenterà in una lettera al Concilio di Trento della pratica generalizzata del concubinato fra i sacerdoti. Altrettanto denuncia il più importante teologo tedesco dell’epoca, padre Johann Eyck, che stimmatizza non solo i costumi ma anche la ignoranza e la mancanza di ortodossia del clero. Quando i gesuiti arrivarono nel 1549 a Ingolstadt, in Baviera, la facoltà teologica contava appena uno studente. L’Università di Vienna che prima contava 8000 studenti, nel 1528 si è ridotta a soli 28.

Mappa religiosa dell’Europa del XVI secolo con la divisione tra territori cattolici e protestanti.

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Dossier

Il 13 dicembre 1545 si aprì a Trento, nella cattedrale di San Vigilio, il XIX concilio ecumenico della Chiesa cattolica.

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UN PANORAMA NON SEMPRE CHIARO Questo stato di cose rendeva possibile l’avanzata protestante. Ma è sbagliato pensare a popolazioni e regioni intere che passarono da una parte all’altra bruscamente. Per qualche tempo ci sono zone grigie, situazioni poco chiare. Ci furono cattolici con simpatie per le dottrine nuove. Ci furono ovviamente protestanti espliciti dall’inizio. Ma le maggioranze non si definivano né in un senso né nell’altro.

Una situazione durata almeno fino alla Pace di Augusta quando nasce per la prima volta la formula “Cuius regio eius religio”: vale a dire, i sudditi dovevano seguire la religione del sovrano, altrimenti dovevano emigrare. La sua applicazione non fu comunque totale, a volte c’erano difficoltà insuperabili per partire e si chiudeva un occhio.

Anche i sovrani cambiavano campo con tutte le conseguenze sociali che ciò

comportava. Nel Palatinato, Federico II del ramo primogenito dei Wittelsbach diventò luterano, Federico III calvinista, Luigi VI fece tornare il Palatinato luterano e il Reggente Johann Casimir ancora una volta lo rese calvinista.

I WITTELSBACH, CAMPIONI DEL CATTOLICESIMO Cattolici dichiarati rimasero invece i duchi bavaresi del secondo ramo dei Wittelsbach. Lo tsunami protestante s’infranse nelle frontiere della Baviera, che rimase sempre cattolica. La scelta cattolica di Guglielmo IV e Luigi IX, di Alberto V e Guglielmo V non era dovuta a interessi politici, ma a convinzione religiosa. Guglielmo IV di Baviera scrisse poco prima della morte: «Siamo testimoni davanti a Dio e alla nazione tedesca che se i chierici fossero vissuti d’accordo con la dottrina e l’ordine della Chiesa cristiana, in genere la nazione tedesca non avrebbe subito questa spaventosa apostasia della nostra santa fede».

Coerenti con essa, i Wittelsbach si opposero al Protestantesimo e presero misure per arginare la sua penetrazione nel loro territorio, con azioni anche militari, le quali ebbero inizio dopo che il Concilio di Worms mise Lutero al bando. Guglielmo IV fece un trattato col Papa per trasformare la Baviera nella fortezza cattolica tedesca.

Roma non si fidava dei vescovi ma del Duca. Nel 1523 Papa Adriano III emise ben tre bolle per rafforzare il suo potere; egli poté prendere il controllo delle finanze ecclesiastiche e diventare garante della buona formazione del clero. Il Duca promulgò un RA AD D II C C II R

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nuovo ordinamento scolastico e chiamò i gesuiti al fine di formare i giovani. Non di rado i Duchi dovevano intervenire per alzare il livello educativo dei novizi, vigilare sui costumi dei chierici e sul rispetto del celibato sacerdotale. La Baviera così rimase cattolica, al punto che gli stessi contadini si organizzarono per contrattaccare i contadini protestanti svevi nel 1525.

IL RUOLO CHIAVE DEI GESUITI Il Duca bavarese fece a Ratisbona nel 1524 una lega anti-protestante, alla quale aderirono l’arciduca Ferdinando d’Austria e i vescovi di Salisburgo, Trento, Ratisbona, Bamberga, Spira, Strasburgo, Augusta, Costanza, Basilea, Freisingen, Passau e Bolzano. Essi si impegnavano a lottare contro le dottrine di Lutero, opponendosi ai cambiamenti nel culto, all’accesso ad esso dei preti sposati e a favorire il ritorno degli studenti a Wittenberg.

A Guglielmo IV successe Alberto V che governò dal 1550. Questi era stato educato dai gesuiti a Ingolstadt e ne divenne il grande promotore, immunizzando la Baviera contro il Protestantesimo in un momento in cui perN ° 1 8 7

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sino l’Austria si lasciava sedurre.

I gesuiti fecero della Baviera la loro roccaforte nel mondo tedesco. Nel 1553 i primi padri giunsero ad Ingolstadt e con essi san Pietro Canisio. Sant’Ignazio autorizzò formalmente nel ‘56, prima di morire, la creazione di una scuola in questa città. Tre anni dopo se ne aprì una seconda a Monaco e una terza venne fondata a Dillingen nel ‘64.

Collegio gesuita di Ingolstadt.

SANTO O DIAVOLO? Nel 1576 il Duca Alberto V e suo figlio più giovane, vescovo di Freisingen, ottennero dalla Santa Sede autorizzazione per indire un anno santo e portare le reliquie di san Benno, vescovo di Meissen e apostolo degli slavi. Un fatto significativo giacché Adriano VI aveva canonizzato questo santo proprio in polemica col Protestantesimo in Sassonia.

I protestanti manifestarono subito “contro l’idolo e il diavolo che cercano di innalzare a Meissen”. Le reliquie furono portate a Monaco e d’allora è patrono della città figurando sul suo stemma. Il

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Dossier

successore di Alberto, il primogenito primogenito Guglielmo, come detto, educato dai gesuiti, fu ammirato dal popolo e dagli Imperatori Ferdinando II e Leopoldo I come modello di pietà. Anche sua moglie ebbe fama di santità e gli diede 10 figli.

Guglielmo abdicò in favore del figlio, Massimiliano I, e passò a vivere in un modesto palazzo accanto alla scuola dei gesuiti. Egli, la consorte, i figli e i servitori vestivano di nero come canonici e monache. La Baviera diveniva in Germania quello che la Spagna era in Europa. L’ex sovrano mangiava in piatti di terracotta, serviva la mensa ogni giorno a 12 poveri, vestiva ogni anno 72 poveri in memoria dei discepoli di Gesù Cristo.

LA CHIESA DI SAN MICHELE A MONACO Guglielmo fondò una casa per pellegrini a Monaco dove egli riceveva, lavando-

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Festeggiamenti mariani ad Altötting nel mese di maggio.

gli i piedi. Donò anche un orfanotrofio, un lebbrosario e un ospedale per bambini. Pregava e faceva penitenza continuamente e, ogni tanto, partiva a piedi sorretto da un ruvido bastone di legno alla volta di Altötting, Ingolstadt o Tuntenhausen. Ma la sua opera principale fu la costruzione della Chiesa di San Michele a Monaco con l’annesso collegio dei gesuiti. Si tratta del primo complesso monumentale fatto in Germania dall’inizio del Protestantesimo. Era il più grande della città, più grande persino del Palazzo Ducale. Questa chiesa, intitolata non a caso all’arcangelo Michele vincitore delle eresie, fu il centro spirituale della Controriforma tridentina in Germania e servì da modello per molte altre chiese nel mondo tedesco. Tutto in essa, dalla rappresentazione del Salvatore sul frontespizio alla statua del principe delle celesti milizie, alla decorazione degli interni, vuole essere un inno di gloria al trionfo della Chiesa.

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MASSIMILIANO I Anche suo figlio Massimiliano I fu educato dai gesuiti a Ingolstadt, assieme a quello che più tardi sarebbe divenuto l’Imperatore Ferdinando II. Massimiliano diede inizio al suo governo pellegrinando a piedi al santuario mariano di Altötting, dove fece voto alla Madonna di servirla con i suoi beni e fino al versamento del sangue se necessario. Vi lasciò una scatoletta di oro chiusa ermeticamente con una pergamena dentro, il cui contenuto fu noto più tardi. Esso conteneva la sua consacrazione a Maria come “primo dei peccatori e schiavo” firmata col suo sangue.

Anch’egli come suo padre era noto per le penitenze, i digiuni e le lunghe preghiere. Quando morì furono trovati una frusta e i cilici che teneva a portata di mano. Massimiliano fu il prefetto di tutte le congregazioni mariane della Germania e chiamò nel suo territorio prima i cappuccini e dopo i carmelitani scalzi. Verso la fine della sua vita, considerando che erano già guarite in buona parte le ferite del suo Paese, si dedicò quasi esclusivamente agli esercizi di pietà. Il 27 settembre 1651 moriva nel corso di un pellegrinaggio a Ingolstadt. Grande devoto della Madonna, ad egli si deve la celeberrima colonna con la Madonna sopra nella Marienplatz a Monaco, la “Patrona Bavariæ”.

SUB TUUM PRÆSIDIUM Nella Guerra dei Trent’Anni il Principe elettore Massimiliano I fece voto di erigere N ° 1 8 7

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Ludovico III, ultimo re di Baviera dal 1918 al 1921.

“un opera gradevole a Dio” nel caso Monaco e Landshut non fossero distrutte.

Monaco fu occupata dagli svedesi e i loro generali esigevano la sua distruzione in vendetta per la distruzione di Magdeburgo.

Tuttavia il Re Gustavo Adolfo decise contro il parere dei suoi generali. Si parlò di miracolo e dopo la ritirata delle truppe svedesi Massimiliano eresse nel 1638 la suddetta colonna con la statua della Madonna, che reca come iscrizione la preghiera del “Sub tuum præsidium”: «A vostra protezione ricorriamo, Santa Madre di Dio, non disprezzate le nostre suppliche nelle necessità ma liberateci da ogni pericolo, O Vergine gloriosa e benedetta».

Questa preghiera si accompagna alle bellissime parole che «l’ultimo dei vostri servitori» il Duca e Principe elettore Massimiliano dedicarono alla Madonna in ringraziamento per la conservazione «delle città, della patria, dell’esercito» La Colonna Mariensäule era il centro della Baviera e il chilometro zero delle strade che partivano dalla sua capitale. L’idea fu poi imitata a Vienna nel 1645, a Praga nel 1650, a Frisinga nel 1674 e Treviri nel 1866.

Il Re bavarese Luigi III che governò dal 1913 al 1918 chiese alla Santa Sede di dichiarare Maria Patrona della Baviera e di promulgare una festa mariana bavarese. Il Papa Benedetto XV esaudì nel 1916 entrambe le richieste e stabilì la festa per le diocesi bavaresi il 14 maggio di ogni anno. g

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Il fiabesco castello di Neuschwanstein Al centro di un superbo panorama montuoso, il castello costruito nell’Ottocento in omaggio al musicista Richard Wagner dal Re Ludwig II di Baviera, è una delle meraviglie della Germania. di Cristina Siccardi

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l castello di Neuschwanstein, l’edificio monumentale più visitato della Germania, è considerato un omaggio al geniale compositore Richard Wagner (1813-1883) da parte del suo grande e generoso ammiratore, Ludwig II, nato nel 1845, che rimase sul trono di Baviera dal 1864 al 1886, anno in cui morì annegato in circostanze misteriose.

Il fiabesco castello, affacciato, a strapiombo, sulla cima di un picco roccioso delle Alpi bavaresi, domina il lago Alpesee ed è al centro di un superbo panorama montuoso. Guglie, torri sottili, decori, delicate merlature, sculture, la sequenza di bifore e trifore su ogni facciata… concorrono a far pensare che l’ideatore di tutto questo sia stato un illustratore romantico, amante della bellezza, delle leggende dei Nibelunghi e delle atmosfere magiche e antiche, dove rientra lo spirito medioevale e la religiosità di una figura mitica come Parsifal. Questo straordinario maniero è uno dei tre castelli voluti dalla fantasia onirica, dalle velleità eroiche, di Ludwig II. Qualcuno lo chiama Swan King (Re cigno), altri il Re pazzo, un’etichetta contestata in quanto venne arrestato per problemi mentali, senza aver verificato il suo stato di salute, nel castello di Berg, per poi trovare la morte il 13 giugno 1886 con il suo medico, Bernhard von Gudden, nel lago di Starnberg, una morte avvolta nel più completo mistero. Nei pressi del punto in cui venne ritrovato il cadavere del sovrano fu costruita una piccola cappella, nella quale ogni anno, il 13 giugno, si tiene una cerimonia commemorativa.

LE RESIDENZE DI LUDWIG II Ludwig II condusse quasi alla bancarotta la famiglia reale bavarese per costruire le sue maestose e lussuosissime residenze, che oggi sono diventate attrazioni turistiche, fonte di incredibili profitti per lo Stato: si pensi che già nel 1899 i profitti ricavati dal turismo nel solo Castello di Neuschwanstein risanarono l’elevato costo per la sua edificazione, ispirata alle opere di Wagner, che è stato una sorta di mentore per l’eccentrico Ludwig II di Wittelsbach.

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I turisti rimangono ammagliati nell’ammirare la ricchissima Sala del Trono, che ricorda una chiesa in stile bizantino; la Camera da letto del sovrano in stile neogotico; la Sala dei Cantori, decorata con scene tratte dal Parsifal di Richard Wagner e che offre una suggestiva sequenza di lampadari; il Salotto del Cigno, l’animale simbolo di tutto il castello, e, al terzo piano, la grande Sala trapezoidale, coronata da una volta romanica e con un superbo pavimento a mosaico – formato da ben due milioni di tessere – che rappresenta i regni animale e vegetale.

Con i castelli di Neuschwanstein, Linderhof e Herrenchiemsee, re Ludwig costruì uno scenario teatrale del passato in un regno che, sul finire dell’Ottocento, era già proiettato nell’era della tecnica. Per questa ragione egli è stato considerato l’ultimo costruttore feudale della Storia europea, un cavaliere del Santo Graal fuori dal suo tempo, fuori dall’era delle scienze, delle fab-

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La sala dei cantori.

briche e del liberalismo che aveva già occupato intellettuali e politici europei, dai quali fu additato come un folle, che si isolava in un mondo che non esisteva più, ma che veniva, comunque, riproposto in musica attraverso il celebre Wagner.

UN OMAGGIO A RICHARD WAGNER La costruzione di Neuschwanstein fu un vero e proprio omaggio al musicista, fu progettata proprio per ricreare lo scenario delle opere, dei versi e dei personaggi dell’eroica opera wagneriana. Ludwig strinse un sodalizio impressionante con Wagner: il musicista si compiaceva di essere venerato dal sovrano, mentre quest’ultimo si compiaceva di finanziarlo perché nella sua musica riconosceva le sue passioni e la sua immaginazione. Di questa singolare amicizia è rimasta testimonianza nell’epico epistolario, composto da oltre 600 lettere, scambiate dal 1864 al 1883, che vennero raccolte in quattro volumi da Otto Strobel e pubblicate dalla R A D I C I

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Dossier Casa editrice Braun fra il 1936 e il 1939.

La prima pietra dell’elegante maniero in stile neogotico venne posta il 5 settembre 1869 nel sud-ovest della Baviera nei pressi di Füssen, nella località di Schwangau, di fronte al castello, pure in stile fiabesco, di Hohenschwangau, sorto come fortezza medioevale nel XII secolo. Il sovrano convocò lo scenografo monacense Christian Jank e gli ordinò di tradurre la sua idea architettonica e artistica in un progetto, tenendo presente la fortezza di Norimberga e la Wartburg della Turingia. Alla direzione dei lavori e della progettazione della decora-

zione degli interni chiamò Julius Hoffman, dandogli precise disposizioni perché gli affreschi alle pareti rappresentassero i temi wagneriani; poi furono ingaggiati i migliori rappresentanti dell’arte applicata di Monaco, dai pittori agli scultori, dagli intagliatori ai rifinitori.

Richard Wagner. il famoso compositore tedesco, grande amico del Re Ludwig.

LA FOLLIA DEL SOVRANO Per finanziare i lavori del Castello di Neuschwanstein, che proseguirono fino al 1884, e degli altri due castelli, di cui si è accennato, Ludwig dilapidò il patrimonio dei Wittelsbach e si indebitò oltre misura, anche perché continuò a sostenere il suo inseparabile amico Wagner. Nonostante nel governo bavarese e negli ambienti politici ci fosse malumore e grande preoccupazione per le casse dello Stato, che comunque non vennero intaccate dalle spese del sovrano, il popolo continuò ad amarlo, tributandogli pubblicamente il proprio consenso.

Con il fratello Ottone, malato di mente e la morte di Wagner nel 1883, Ludwig cadde in una profonda depressione e il governo, per liberarsi di questo scomodo re, lo fece dichiarare incapace di intendere e di volere.

L’effetto del castello di Neuschwanstein è quello di un grande apparato scenografico, sia all’esterno sia all’interno, con il risultato che il visitatore entra di fatto in uno spazio incantato. La costruzione presenta 200 stanze interne, incluse aree per gli ospiti e per la servitù; ma alla morte del re, solo 15 stanze erano ultimate completamente. La stanza più grande è la Sala dei Cantori, seguita per estensione dalla Sala del Trono. La Sala dei Cantori, che misura 27 x 10 metri, è collocata a est, al quarto piano, sopra gli appartamenti reali: è di forma rettangolare, decorata con scene tratte dalle storie di Lohengrin e Parsifal. Il lato più lungo termina con una galleria coronata da una tribuna, sempre sul modello di quella di Wartburg.

LA SALA DEL TRONO La Sala del Trono, 20 x 12 metri, è situata nell’ala ovest del Castello; alta 13 metri, occupa il terzo e parte del quarto piano; su tre lati è circondata da arcate co-

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La sala del Trono.

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lorate che culminano in un’abside, ospitante il trono regale, tale abside è decorata con le figure di Gesù, dei dodici Apostoli e di sei re canonizzati, ovvero san Luigi IX di Francia, santo Stefano d’Ungheria, sant’Edoardo il Confessore d’Inghilterra, san Venceslao di Boemia, sant’Olav di Norvegia e l’imperatore sant’Enrico II, a dimostrazione che per Ludwig II la regalità era sacra. Gli affreschi vennero realizzati da Wilhelm Hauschild. Il mosaico del pavimento fu completato dopo la morte del sovrano e nella Sala si trovano candelieri in ottone e cristalli di Boemia, che riprendono forme bizantine, così da conferire ulteriore valore sacrale all’ambiente.

LA CAMERA DA LETTO DEL RE La Camera da letto del re, adiacente alla Sala da Pranzo e alla Cappella del Castello, è interamente progettata, come quest’ultime, in stile neogotico. È dominata da un grande letto adorno di un complesso baldacchino a intaglio che richiese la perizia di N ° 1 8 7

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oltre quattordici ebanisti per realizzare i numerosi pinnacoli che lo abbelliscono. La leggenda di Tristano e Isotta rappresenta il motivo conduttore della stanza, accanto alle pitture murali anche gli intagli della porta e le figure in terracotta sulla stufa di maiolica rappresentano i due personaggi principali.

Il sontuoso letto e le tappezzerie delle sedie sono in seta blu, su di essi sono ricamati e applicati leoni, cigni, stemmi a losanghe, corone e gigli. Il rubinetto del lavabo è lavorato in forma di cigno argentato e piccoli cigni decorano il servizio da toilette con brocca, il contenitore per la spugna e il portasapone di Eduard Wollenweber. Fu in questa camera che Ludwig II venne deposto nella notte fra l’11 e il 12 giugno 1886. La Cappella è intitolata a san Luigi IX, le cui pitture murali, le vetrate e la pala centrale dell’altare rievocano il santo sovrano di Francia, santo patrono del padrone del Castello.

La stanza da letto di Re Ludwig.

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Burghausen

In Baviera il castello più lungo del mondo Conosciuto come il castello più lungo del mondo, Burghausen sorge nella parte più orientale della Baviera, al confine con l’Austria, sulla cresta di una dorsale rocciosa a picco sul fiume Salzach. Le sue mura, i suoi merli e le sue torri sembrano estendersi senza fine.

di Veronica Rasponi

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l primo documento ufficiale riguardante la cittadina di Burghausen è del 1025 ma sembrerebbe che già i celti vi fossero insediati nel VII-VIII secolo. È intorno al 1090 che il conte Sieghart X inizia la costruzione di un piccolo castello che diventa la sede dei conti di Burghausen fino al 1164. Gli ampliamenti del castello avvennero a più riprese fino al XVIII secolo, ma il periodo più impor-

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tante per la sua edificazione fu il XV secolo sotto gli ultimi Duchi della Baviera meridionale.

Fu Giorgio il Ricco, sposato con Edvige, figlia del Re polacco Casimiro IV, che diede l’impulso maggiore alla fortificazione del borgo al quale lavorarono, nel corso di dieci anni, oltre 4.000 operai.

Tutta l’Europa cristiana era infatti preoccupata per la minacciata crescente dei R A D I C I

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turchi: nel 1453 Costantinopoli era caduta nelle loro mani; nel 1456, Maometto II aveva annesso la Serbia meridionale e, solo grazie al generale Hunyadi, Belgrado aveva potuto resistere all’assedio; in pochi anni erano riusciti a conquistare la Bosnia, l’Erzegovina e parte dell’Albania; nel 1480 avevano occupato Otranto in Italia.

La strategia di conquista era chiara e il Duca Giorgio, come tanti altri regnanti, decisero di prepararsi perché il pericolo poteva essere imminente. Quando i lavori terminarono a Burghausen era il 1489 e la N ° 1 8 7

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roccaforte roccaforte si ergeva imponente, pronta ad affrontare e a respingere qualsiasi attacco nemico. Il borgo, fino al 1891, venne utilizzato per fini militari prima di essere trasformato in museo e sede del Comune.

1034 METRI DI LUNGHEZZA La sua caratteristica principale è la lunghezza, ben 1034 metri, raggiunta grazie a sei distinte corti collegate fra loro da porte, torri, ponti e bastioni. La visita inizia dalla sesta corte, ai confini con la città

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moderna, dove si può ammirare il pozzo con la torre dell’orologio.

La quinta corte è dominata dalla Äußere Schloßkapelle, cappella esterna alla residenza ducale, splendore dell’arte tardo gotica tedesca, fatta costruire dal Duca Giorgio il Ricco in seguito all’ingrandimento del borgo fortificato e così fruibile da tutti gli abitanti.

Nella quarta, con la bella porta di accesso, troviamo la Torre delle Streghe, quella delle Torture e il granaio. Dalla terza corte in poi iniziano le difese più importanti, con l’arsenale e gli edifici degli armaioli. Attraverso la Georgestor entriamo nella seconda corte e finalmente, attraversando un ponte di legno su un fossato profondo 8 metri, giungiamo al vero e proprio castello cinto ancora da mura merlate, con il possente mastio (Bergfried) a sette piani, la Camera del Tesoro e la Kemenate, antica residenza ducale oggi museo cittadino. g

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Altötting

Il “Cuore della Baviera” Altötting è un santuario che custodisce, in preziose urne d’argento di fronte all’altare della Madonna, i cuori di tutti i Re di Baviera ed è diventato uno dei cosiddetti “cinque santuari di Europa”. di Augusto de Izcue

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ltötting si snoda attorno della Kapellplatz, al centro della quale si alza maestosa la Gnadenkapelle, Cappella delle grazie, ovvero il santuario della Madonna Nera, meta dei pellegrinaggi che, soprattutto fra primavera e autunno, giungono da ogni angolo della Germania e anche dall’estero. Tantissimi i giovani che arrivano a piedi.

Originariamente, questo santuario a pianta ottagonale era una piccola cappella edificata intorno all’anno 700. Consacrata ufficialmente nel 1244, dobbiamo aspettare il 1263 per trovare un primo documento accennante alla “Capella Sanctæ Mariæ Oetinga”.

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SANTUARIO D’EUROPA I pellegrinaggi ad Altötting iniziano nel 1489, al seguito del racconto della guarigione miracolosa di due bambini dati per morti. Insieme a Lourdes, Fatima, Czestochowa e Loreto, Altötting è diventato uno dei cosiddetti “cinque santuari di Europa”.

La statua della Madonna è in legno di tiglio, scolpita da un artista probabilmente proveniente dall’Alto Reno e annerita col tempo, principalmente dal fumo delle candele.

Anche tutto l’interno della cappella è di colore scuro, ricoperto da innumerevoli adorni in oro ed argento. Sulle mura esterne, più di 2000 ex voto in argento teR A D I C I

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stimoniano alla straordinaria efficacia dell’intercessione di Maria Santissima. Oltre al carattere religioso, Altötting ha anche una forte valenza nazionale. Domicilio ducale e punto centrale della politica bavarese fin dalla metà del secolo VIII, Altötting custodisce, in preziose urne d’argento di fronte all’altare della Madonna, i cuori di tutti i Re di Baviera e di altri esponenti della famiglia Wittelsbach.

Oltre al Santuario, Altötting si fregia di altre bellissime chiese: S. Magdalena, chiesa barocca officiata dai gesuiti fino alla soppressione dell’ordine nel 1773; S. Konrad, che conserva la tomba del frate cappuccino S. Konrad von Parzham, canonizzato nel 1934; la basilica di S. Anna, consacrata nel 1912; la gotica Stiftspfarrkirche, edificata tra il 1499 e 1511, con annessa Schatzkammer (Camera del tesoro).

IL SANTUARIO DI BENEDETTO XVI È interessante far presente che Marktl am Inn, il paese dove Joseph Ratzinger nacque, il 16 aprile 1928, si trova ad appena una decina di chilometri dal Santuario. Più di uno ha fatto notare che forse non è un caso che il luogo di nascita di Benedetto XVI si trovi così vicino alla fonte della devozione mariana del popolo tedesco e, in particolare, bavarese.

Nell’introduzione ad un libretto illustrativo, lo stesso Papa Benedeto racN ° 1 8 7

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Cappella dell'Immagine Miracolosa di Frate Konrad, Altötting.

conta: «Ho avuto la fortuna di nascere nelle vicinanze di Altötting. I pellegrinaggi con i miei familiari fanno parte dei ricordi più belli della mia infanzia. Il punto più interessante per me era, naturalmente, la Cappella delle Grazie con il suo buio misterioso, con la Santissima Madonna Nera, nel suo vestito prezioso circondato da doni. Poi mi impressionavano le silenziose preghiere dei fedeli, e il modo di devozione in cui i pellegrini portavano la croce di legno».

Da cardinale, e poi da Papa, Benedetto XVI vi si è recato diverse volte. Nel 1989, in occasione delle celebrazioni giubilari per il 500° delle apparizioni della Madonnaad Altötting, egli ha celebrato la Messa solenne di apertura nella Basilica di S. Anna; 10 anni dopo, nel 1999, è venuto ad Altötting come predicatore in occasione del IV centenario della fondazione della congregazione mariana maschile; nel 2001 ha accompagnato migliaia di pellegrini giunti a piedi da Regensburg nell’ultima tappa fino al santuario mariano; infine, a gennaio 2005 – pochi mesi prima della sua elezione – Benedetto XVI ha compiuto un pellegrinaggio privato ad Altötting, con il fratello mons. Georg Ratzinger. Finalmente, come Benedetto XVI, egli ha incluso Altötting nel suo viaggio in Germania, nel settembre 2006. g

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L’Arte Racconta

Soirée d’été di Émile Clause

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mile Claus (Vive-Saint-Éloi, 27 settembre 1849 – Astene, 14 gennaio 1924) è stato un pittore belga. Nacque in un piccolo villaggio delle Fiandre occidentali, sulle rive della Lys, sedicesimo figlio di una famiglia di commercianti rurali. Sin da piccolo si appassionò al disegno e la domenica faceva tre chilometri a piedi per andare all’Accademia di Waregem per imparare a disegnare. Ma il padre Alessandro e la madre Celestine Verbauwhede non erano affatto contenti ch’egli intraprendesse la carriera d’artista e lo inviarono come apprendista in Francia, in una panetteria di Lilla. Per lettera, il giovane Claus si appellò al famoso compositore Peter Benoit, affinché convincesse suo padre. E così avvenne. Claus poté iscriversi all’Accademia di Belle arti di Anversa. Conseguito il diploma, egli restò a vivere ad Anversa e decise di dedicarsi interamente alla pittura. Espose per la prima volta nel 1875 a Bruxelles, nel 1879, s’imbarcò per il Nordafrica. La luminosità della terra africana lo colpì profondamente, al punto che, al suo rientro, la luce divenne la vita delle sue tele e il centro della sua stessa vita. Iniziò allora a dipingere, fondando le sue composizioni e le sue atmosfere sulla luce, scomponendo l’iride e utilizzando le tonalità cromatiche della rifrazione. La sua pittura, venata di realismo, divenne luminosa, satura di luce. E ad Astene Claus morì il 14 giugno del 1924, all’età di 75 anni, fedele alla sua visione assolata della natura, meritandosi così l’appellativo di “pittore del sole”. Le sue ultime parole furono: «..bloemen, bloemen, bloemen..» (..fiori, fiori, fiori..). Il giorno prima di morire aveva ritratto a pastello un mazzo di fiori che gli era stato inviato dalla regina Elisabetta del Belgio. Fu sepolto nel giardino della sua villa di Astene. A Bruxelles gli è stata intitolata una strada. (Tratto da wikipedia.org)

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In questo dipinto di genere, olio su tela, l’autore belga, Emile Claus, dipinge una sera d’estate (Soirée d’été) en plein air. Nello sfondo paesaggistico in cui cielo e terra si incontrano, due dame del tempo ritratte in primo piano, finemente vestite, sostano sulle rive di un lago, sorseggiando un tè. Alle loro spalle, il bacino naturale dagli ampi contorni fa da specchio ai filari alberati. All’orizzonte i riflessi rosati del tramonto salutano il dì oramai giunto alla fine; un quarto di luna domina lo scenario, mentre le ombre della sera si distendono, per lasciare spazio alla notte che da lì a poco scenderà. Tutto è quiete. Le giovani dame dai tratti gentili e dalle pose signorili, rilassate intorno ad un tavolo quasi improvvisato, sorseggiano un tè caldo e nella frescura serale che le accompagna, contemplano l’immensità del creato che le circonda di armonia e di bellezza. Le pennellate morbide e brillanti si mescolano tra loro e vanno dai diversi toni di verde fino ai colori più caldi del giallo con punte di rosso, dipingendo mirabilmente la rigogliosa vegetazione del lago, e i toni tenui e sfocati del rosa dipingono il tramonto che si riflette sulle acque. Gli elementi della composizione ben distribuiti all’interno di questo magnifico scenario, calati in una prospettiva spazio-temporale profonda, invitano al silenzio ed alla riflessione. «Il Creato è il canto di Dio» (Santa Ildegarda di Bingen). Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?

Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità. (Romani 1:20) Francesca Bonadonna

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San Giuseppe immagine della Paternità Divina Dopo Maria Santissima non c’è devozione più sicura che quella per san Giuseppe scelto da Dio Padre per rappresentarlo su questa terra e posto a capo della Sacra Famiglia. In lui rifulgono tutte le virtù e a lui possiamo ricorrere in tutte le nostre necessità.

del card. Raymond Leo Burke

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l titolo di Sposo della Beata Vergine Maria è il titolo più antico di san Giuseppe ed esprime, in modo meraviglioso, la sua vocazione e missione nel mistero dell’Incarnazione Redentrice. San Giuseppe è lo Sposo di Maria, che è insieme Vergine e Madre. Sebbene Maria sia rimasta sempre vergine, consacrata totalmente al Signore, Giuseppe è veramente suo sposo, poiché si donò incondizionatamente a Maria come suo sposo e al Bambino concepito divinamente come suo Padre Verginale. Offrendo una preghiera a san Giuseppe nel giorno della sua festa, il 19 marzo, Dom Prosper Guéranger esclama: «Il Figlio di Dio discende su questa terra affinché possa vivere la vita dell’uomo; Egli viene per santificare i legami e gli affetti familiari. Ti chiama padre; obbedisce ai tuoi ordini. Quali strani sentimenti devono aver riempito il tuo cuore, o Giuseppe! Quando, conoscendo i privilegi della tua sposa e la divinità del tuo Figlio adottivo, dovesti essere il capo di questa famiglia che univa il cielo e la terra in una cosa sola! Che amore rispettoso e tenero per Maria, tua beata sposa! Che gratitudine e profonda adorazione per Gesù, che ti obbediva come tuo Figlio! Oh misteri di Nazaret! Un Dio dimora tra gli uomini, e si permette di essere chiamato Fi-

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L'abate dom Prosper Guéranger (1805-1875).

glio di Giuseppe!» (Prosper Guéranger, L’année liturgique, Le Carême, 16° edizione, Librairie Religieuse Oudin, Paris 1903, p. 534).

Chiamando san Giuseppe con il titolo di Sposo della Beata Vergine Maria, contempliamo il Mistero della Fede all’opera nella famiglia, culla della vita umana e prima cellula della nostra vita nella Chiesa e nella società, che, fin dal momento dell’Incarnazione, è stata restaurata alla sua dignità originaria di partecipazione all’Amore Divino della Santissima Trinità.

RAPPRESENTANTE DI DIO PADRE San Giuseppe, in modo unico, rappresenta Dio Padre nella Sacra Famiglia ed è un modello per tutti i padri di famiglia. Il beato Ildefonso Schuster, nel suo commento per la festa odierna, scrive: «Il Vangelo (Mt 1, 18-21) è come quello della Vigilia di Natale. In esso si deve notare che, secondo il comando dell’Angelo, Giuseppe, come rappresentante del Padre Eterno e come segno della sua patria potestas [autorità paterna] sul Verbo Incarnato, gli conferisce il nome di Gesù e, insieme al nome, gli affida anche la missione di redimere il genere umano con l’obbedienza fino al sacrificio del Calvario. Così san Giuseppe entra nei disegni di R A D I C I

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Dio Onnipotente per la nostra salvezza e partecipa al meraviglioso piano dell’Incarnazione del Verbo» (I. Schuster, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale romano, vol. VII, Marietti, Torino-Roma 1930, p. 65).

La vocazione e la missione di san GiuN ° 1 8 7

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seppe nel mistero della nostra salvezza sono espresse dalle parole dell’«angelo del Signore» a lui rivolte, quando scoprì la gravidanza di Maria e pensò di «congedarla in segreto» (Mt 1, 19-20): «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché

San Giuseppe con Gesù Bambino, di Guido Reni, 1635 c.a.

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Religione

Infanzia di Gesù, di Gerrit van Honthorst, 1620 ca.

quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 20-21).

Nel piano d’amore di Dio per la nostra salvezza, Egli scelse san Giuseppe come protettore e provveditore per Maria, la Madre del Redentore, affinché non fosse esposta alla vergogna, e affinché il Figlio, la Seconda Persona Incarnata della Santissima Trinità, avesse un padre putativo, un custode, e quindi una vera casa nella famiglia di Giuseppe e Maria.

FIGLIO DELLA CASA DEL RE DAVIDE San Giuseppe è l’ultimo nella lunga linea dei patriarchi, a partire da Abramo, che con la loro fede e giustizia prepararono la casa, la famiglia, in cui il Salvatore Divino sarebbe stato accolto come Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo. In particolare, san Giuseppe apparteneva alla famiglia del Re Davide, la famiglia scelta da Dio per essere la radice da cui sarebbe sbocciato il fiore della nostra salvezza. Così,

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Nostro Signore Gesù Cristo è il compimento della Parola del Signore rivolta al Re Davide per mezzo del profeta Natan: «Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu riposerai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno... La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2 Sam 7, 12, 16).

La genealogia di Gesù nel Vangelo secondo Matteo, il cui ultimo versetto è il primo del Vangelo odierno, inizia con: «Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1).

San Giuseppe, secondo le parole della Lettera ai Romani, partecipò alla fede del patriarca Abramo e seguì la via della giustizia di Abramo, rispondendo con obbedienza e purezza di cuore a ogni parola che gli veniva da Dio (cfr. Rom 4, 16-18).

PADRE DI MOLTE NAZIONI Con l’accettazione obbediente della parola di Dio, ricevuta dall’«angelo del SiR A D I C I

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gnore», san Giuseppe, in compimento della promessa fatta ad Abramo e rinnovata a Davide, divenne «padre di molte nazioni» (Rom 4, 17; cfr. Gen 17, 5). Il beato Ildefonso Schuster commenta la cura paterna di san Giuseppe verso la Chiesa universale: «Come nella Santa Casa di Nazaret, sotto l’autorità paterna di Giuseppe, Dio si compiacque di benedire i primi inizi della Chiesa, così essa lo riconosce e venera giustamente come suo speciale patrono, san Giuseppe, primo capo di questa famiglia, la casa di Dio sulla terra» (Liber Sacramentorum, cit., pp. 63-64).

Nel corso dei secoli cristiani e nel nostro tempo, san Giuseppe è invocato come nostro padre spirituale provvidente che intercede per noi in tutte le nostre necessità, specialmente nell’ora della morte. Il patriarca Giuseppe, figlio di Giacobbe, prefigurava la cura paterna che san Giuseppe ha per tutti i cristiani, specialmente nei momenti di dolore e afflizione, perché egli è il vero sposo della Vergine Madre di Dio e il Padre Verginale di Gesù. Nell’iconografia classica, le parole rivolte dal faraone al popolo affamato d’Egitto riguardo al patriarca Giuseppe sono applicate a san Giuseppe: «Ite ad Ioseph» («Andate da Giuseppe; quello che vi dirà, fatelo» (Gen 41, 55).

deve essere il fondamento della nostra conversione. È l’orgoglio che ci ha condotti al peccato, e ci ha fatti preferire la nostra volontà a quella di Dio: eppure Egli ci perdonerà, se gli offriremo il sacrificio di un cuore contrito e umiliato» (Le Carême, cit., p. 535).

San Giuseppe, con il suo Cuore purissimo, ci unisce al Cuore Immacolato di Maria, sua sposa, che a sua volta porta i nostri cuori al Cuore trafitto e glorioso del suo Divino Figlio, nel quale i nostri cuori trovano la loro vera dimora, una sorgente incessante di Misericordia e Amore Divino.

Andiamo da Giuseppe. Imitiamo la sua umiltà, la sua fede e la sua giustizia, unendo i nostri cuori, insieme al Cuore Immacolato di Maria, al Cuore Eucaristico di Gesù. Possa san Giuseppe intercedere per noi, affinché confidiamo sempre nella promessa di vita eterna, facendo qualunque cosa Dio ci chieda nei giorni fugaci del nostro pellegrinaggio terreno.

l beato Alfredo Ildefonso Schuster (1880-1954), Cardinale arcivescovo di Milano del 1929 al 1954.

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MODELLO DI PUREZZA E DI UMILTÀ San Giuseppe, come nostro intercessore paterno, è anche nostro modello di fede e giustizia nel rispondere alla parola di Dio, in particolare alla chiamata divina, alla nostra vocazione. San Giuseppe ci insegna la purezza di cuore che ci dispone ad ascoltare la chiamata di Dio e la giustizia che ci dona l’umiltà e il coraggio per fare ciò che Dio ci chiede. Preghiamo san Giuseppe con Dom Prosper Guéranger: «O sublime ministro del più grande dei beni, intercedi per noi presso Dio fatto Uomo. Chiedigli di concederci l’umiltà, quella santa virtù che ti elevò a così alta dignità e che N ° 1 8 7

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Storia

Yalta 1945: il tradimento occidentale Nel febbraio del 1945 Franklin D. Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin si incontrarono a Yalta per definire il futuro post-bellico. I leader occidentali cedettero alle richieste, di Stalin e l’accordo di Yalta divenne il simbolo della politica di resa dell’Occidente. di Roberto de Mattei

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ttanta anni fa, dal 4 all’11 febbraio 1945 i capi delle tre potenze alleate contro il nazismo, Franklin D. Roosevelt, Winston Churchill, e Iosif Stalin, si ritrovarono a Yalta, in Crimea, per discutere il futuro post-bellico. I tre uomini politici si erano già incontrati a Teheran nel novembre 1943, ma allora l’Armata Rossa era ancora lontana dal suolo tedesco, le forze inglesi ed americane non erano sbarcate in Francia e si erano arenate in Italia.

Ora le grandi potenze che essi rappresentavano, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica, si avviavano alla vittoria

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Foto ufficiale di Yalta con Churchill, Roosvelt e Stalin.

e a Yalta si parlò della pace che avrebbe dovuto seguire alla conclusione della guerra.

Yalta era una zona balneare sul Mar Nero, uno dei pochi posti risparmiati dalla furia della guerra, dove tutto era stato organizzato per impressionare i tre grandi.

Roosevelt era alloggiato a Livada, una costruzione marmorea dell’epoca zarista, Curchill al palazzo Vorontzov, e Stalin a Koreis Villa, un tempo appartenuta al principe Yussupof. I tre leaders si incontravano solo nelle riunioni e nei banchetti ufficiali, senza avere la possibilità di colloqui privati tra di loro.

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LE PRETESE DI STALIN Dopo il patto Molotv-Ribentropp dell’agosto 1939 e l’invasione tedesca della Russia, nel 1941, le alleanze internazionali erano cambiate, ma le pretese di Stalin erano immutate. Nel 1939 e nel 1940 il capo del Cremlino aveva ottenuto da Hitler un vasto insieme di territori in Europa orientale. Al vertice di Teheran del 28 novembre-1° dicembre 1943, sia Churchill che Roosevelt avevano accettato come frontiera orientale della Polonia la cosiddetta linea Curzon, un ipotetico confine, favorevole alla Russia, tracciato nel 1920 da Lord Curzon per porre fine alla guerra polacco -sovietica. In un successivo incontro a Mosca, il 9 ottobre 1944, Churchill aveva passato al dittatore sovietico un foglietto di carta con le percentuali delle rispettive zone di influenza nel centro-Europa.

A Yalta, nel 1945, il capo del Cremlino manifestò l’intenzione, non solo di conservare i territori ottenuti dal Terzo Reich, ma di allargare le sue frontiere ad Ovest.

Inoltre i governi polacchi e jugoslavi in esilio a Londra, fino ad allora riconosciuti come legittimi dagli Alleati, avrebbero doN ° 1 8 7

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vuto essere sostituiti da governi comunisti. A Yalta fu anche segnata la sorte dei russi che avevano osato ribellarsi a Stalin.

La loro storia è stata documentata da molti libri, tra i quali il fondamentale testo del conte Nikolai Tolstoy Victims of Yalta (Hodder and Stoughton, London 1977), che denuncia il ruolo della Gran Bretagna e degli Alleati nella consegna forzata dei prigionieri di guerra e dei rifugiati sovietici all’URSS. Secondo l’accordo segreto di Mosca del 1944, confermato a Yalta nel 1945, tutti i cittadini dell’Unione Sovietica, tra cui cosacchi, ucraini e cittadini delle Repubbliche baltiche, che avevano appoggiato la Wehrmacht, dovevano essere rimpatriati senza possibilità di scelta. Li attendeva la morte o il Gulag.

Roosevelt si batté anche per la costituzione di un’organizzazione internazionale destinata ad assicurare la pace perpetua al mondo, la futura ONU, che nacque il 24 ottobre dello stesso anno, sotto il controllo di

Firma del patto Molotov-Ribentropp. Sotto il dittatore comunista Iosif Stalin (morto nel 1953).

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Storia polacchi, fatti massacrare da Stalin nella primavera del 1940. Inoltre, quando a Yalta Churchill propose uno sbarco alleato nei Balcani tentando di contenervi l’influenza sovietica, Stalin si oppose decisamente e bloccò il piano. «Qui veniamo all’ interrogativo cruciale», ha scritto lo storico tedesco Joachim Fest: «perché quel no di Stalin non chiarì agli occhi delle potenze occidentali i piani egemonici del dittatore sovietico? I leader occidentali furono ciechi» (“La Repubblica”, 28 gennaio 2005).

“quattro poliziotti” a cui era assicurato il diritto di “veto” nelle decisioni: Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica e Repubblica di Cina. A Yalta non era stato invitato il “quinto poliziotto”, la Francia, suscitando l’ira del suo nuovo leader il generale Charles De Gaulle.

Come osserva François Furet, Stalin nelle sue richieste incontrò meno difficoltà con i responsabili delle democrazie di quante non ne avesse avute con il dittatore nazista (Il passato di un’illusione, tr. it., Mondadori, Milano 1995, p. 392). Eppure nel 1943 erano state scoperte le fosse di Katyn, presso Smolensk, dove i tedeschi avevano ritrovato i corpi di circa 22.000 tra ufficiali e civili

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Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) Presidente degli Stati Uniti del 1933 al 1945.

LE ILLUSIONI DI ROOSEVELT Se Churchill era consapevole della volontà di espansione della Russia comunista, Roosevelt era gonfio di illusioni. A Yalta, l’8 febbraio 1945, brindando alla salute dell’alleanza tripartita, Stalin disse: «In un’alleanza gli alleati non dovrebbero mai ingannarsi a vicenda. Forse questo è ingenuo? I diplomatici esperti potranno dire: “E perché non ingannare il mio alleato?”. Ma io, da uomo ingenuo, penso che sia bene non ingannare il mio alleato anche se è uno sciocco» (Winston Churchill, La II Guerra mondiale, vol.

VI: Trionfo e tragedia, tr. it., Mondadori, Milano 1953, p. 47). Stalin si limitò a concedere ai suoi alleati una dichiarazione congiunta sull’Europa liberata che prometteva libere elezioni e l’istituzione della democrazia nell’Europa orientale, ovviamente secondo il concetto che egli aveva della democrazia. Di ritorno negli Stati Uniti, Roosevelt espresse al Congresso la sua convinzione che fossero state poste le basi di un’era di “pace permanente” che avrebbe superato definitivamente il classico concetto diplomatico dell’equilibrio delle forze. Il presidente americano espresse un giudizio benevolo su Stalin, attribuendo le sue qualità all’educazione che egli aveva ricevuto in seminario: «Credo gli sia stato instillato come deve comportarsi un gentiluomo cristiano» (Henry Kissinger, L’arte della diplomazia, tr. it.

Sperling, Milano 2004, pp. 319-320).

Fin dall’aprile del 1945, due mesi dopo R A D I C I

C R I S T I A N E

Yalta le violazioni della Dichiarazione divennero flagranti soprattutto nei confronti della Polonia. Dopo la guerra gli americani ammisero di essere stati ingannati a Yalta, ma essi erano disposti ad essere ingannati e i russi non potevano fare altro che ingannarli. Eppure, come osserva Joachim Fest, Washington e Londra non erano obbligate dalla situazione a cedere al Cremlino l’intera Europa orientale. A guerra in corso, esse avevano ancora in pugno un formidabile strumento di pressione: le forniture militari soprattutto americane, senza cui l’Armata rossa non avrebbe potuto combattere e avanzare. Se solo avessero minacciato il blocco di quelle forniture, la storia forse avrebbe preso un corso diverso. Fest ricorda quanto diceva Pietro il Grande quando mandava la sua élite a studiare a Potsdam, a Stoccolma o a Londra: la Russia doveva imparare dall’Occidente per poi voltare le spalle ai suoi valori. Questo insegnamento dovrebbe essere sempre tenuto presente da chi si lascia sedurre troppo facilmente dagli Zar del Cremlino.

IL TRADIMENTO OCCIDENTALE La Seconda guerra mondiale era scoppiata per difendere la libertà e l’indipendenza della Polonia, ma a Yalta i leader N ° 1 8 7

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Pietro il Grande, imperatore di Russia, mandava la sua élite a studiare a Potsdam, a Stoccolma o a Londra.

La Russia doveva imparare dall’Occidente per poi voltare le spalle ai suoi valori.

alleati sacrificarono i confini della Polonia, il suo governo legittimo e le elezioni libere per garantire una illusoria pace con l’Unione Sovietica. L’incontro in Crimea, che avrebbe dovuto assicurare un futuro di pace all’umanità, gettò invece le fondamenta di quella cortina di ferro che avrebbe diviso l’Europa fino al crollo del Muro di Berlino nel 1989.

Gli accordi di Yalta consacrarono l’espansione imperialista della Russia e divennero, come la pace di Monaco del 1938, il simbolo di quella politica della resa che gli europei centro-orientali definiscono il «Western betrayal», il tradimento occidentale. Questa disponibilità ad essere ingannati, che combina un ottimismo fuori misura con un cinico realismo, è un rischio che ancora incombe e che va ricordato nel momento in cui il presidente americano Donald Trump annuncia di essere in grado di imporre all’Ucraina la pace con il suo aggressore russo. Quali saranno le condizioni di un accordo, che non vede i più diretti interessati, gli ucraini, al tavolo delle trattative?

La pace è un bene, ma la storia dimostra che perdere la pace è peggio che perdere una guerra. g

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Tesori d’Italia

I Sacri Monti: tra cielo e terra I Sacri Monti dell’Italia, situati in Piemonte e Lombardia, rappresentano un patrimonio unico che unisce la bellezza paesaggistica alla devozione religiosa. Ogni Sacro Monte racconta la storia sacra di Cristo e della Madonna, offrendo un’opportunità di riflessione spirituale immersa nella quiete montana.

di Veronica Rasponi

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Sacri Monti rappresentano una delle espressioni più significative della devozione religiosa e del patrimonio culturale dell’Italia. Unici nel loro genere, sono diffusi principalmente nelle regioni del Piemonte e della Lombardia. Questi luoghi di culto, si-

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Il Santuario di Oropa in Piemonte, uno dei Sacri Monti più belli d'Italia.

tuati su alte colline o montagne, si caratterizzano per la presenza di complessi religiosi, formati da cappelle, statuti, affreschi e sculture, che raccontano la storia sacra e la spiritualità attraverso un percorso di preghiera, meditazione e contemplazione.

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sacra di Gerusalemme. Nacque così l’idea di costruire dei “piccoli Gerusalemme” in Italia, attraverso la realizzazione di un percorso devozionale che riproducesse simbolicamente i luoghi santi della Terra Santa.

Questi luoghi sacri non erano solo spazi di preghiera, ma anche di incontro per la comunità locale, che si riuniva in occasioni speciali per celebrare feste religiose e per svolgere pellegrinaggi. I Sacri Monti, dunque, avevano una doppia funzione: spirituale e sociale, e si inserivano in un più ampio contesto di rinnovamento religioso che caratterizzava il periodo.

La nascita dei Sacri Monti risale al tardo Medioevo e al Rinascimento, in un periodo in cui la Chiesa, in particolare gli ordini dei francescani e dei gesuiti, cercava di rendere i pellegrinaggi più accessibili anche a chi non poteva permettersi di raggiungere la città N ° 1 8 7

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Statua polcroma di Gesù che sale le scale del Pretorio di Pelato (1510 c.a.) posta nella 31a cappella del Sacro Monte di Varallo.

CARATTERISTICHE ARCHITETTONICHE E ARTISTICHE I Sacri Monti si distinguono per la particolare architettura delle cappelle che compongono il percorso. Ogni cappella è dedicata a un momento particolare della vita di Cristo o della Vergine Maria, e spesso ospita affreschi, sculture e altari che rappresentano episodi biblici. Il percorso devozionale è concepito in modo che il fedele possa immergersi in un’esperienza mistica e contemplativa, avanzando lungo un cammino che porta dalla base della montagna fino alla cima.

Ogni Sacro Monte ha una sua specificità, ma in generale si caratterizzano per la presenza di cappelle che si susseguono lungo un sentiero che può essere anche lungo e impe-

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Veduta del Sacro Monte di Varese.

gnativo. Le cappelle, costruite tra il XV e il XVII secolo, sono realizzate in uno stile che si rifà al Rinascimento e al Barocco, con una forte componente simbolica e allegorica. Gli affreschi che decorano le pareti raccontano episodi biblici come la Passione di Cristo, la vita della Madonna, i Misteri del Rosario, e in alcuni casi anche scene di martirio.

Le sculture che adornano i Sacri Monti sono particolarmente rilevanti, in quanto realizzate da alcuni tra i più importanti artisti dell’epoca, come il lombardo Giovanni d’Alemagna e il piemontese Bernardino Lanino.

Queste opere d’arte rappresentano non solo un elemento decorativo, ma anche un veicolo per la trasmissione dei messaggi religiosi e morali.

I PIÙ IMPORTANTI SACRI MONTI IN ITALIA Esistono nove Sacri Monti ufficiali in Italia: Belmonte, Crea, Domodossola, Ghiffa, Oropa, Orta e Varallo in Piemonte e Ossuccio e Varese in Lombardia. Ognuno di essi è patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, riconosciuti per la loro eccezionale importanza storica, culturale e spirituale. Ma la costellazione dei Sacri Monti comprende anche luoghi come la Nuova Gerusalemme di San Vivaldo, in Toscana e la Via Crucis du Cerveno in Val Camonica.

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Il più antico e forse il più conosciuto è il Sacro Monte di Varallo, in Piemonte. Costruito tra il 1491 e il 1504, il Sacro Monte di Varallo ospita un lungo percorso devozionale che si snoda tra cappelle, sculture e affreschi che ripercorrono la Passione di Cristo. Le cappelle sono disposte su una collina che domina la valle, offrendo al visitatore una vista panoramica mozzafiato. Il Sacro Monte è noto anche per il suo grande valore artistico, con opere di autori come Gaudenzio Ferrari.

Il Sacro Monte di Orta è dedicato alla Madonna Assunta e si trova sopra il pittoreN ° 1 8 7

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sco Lago d’Orta. La sua caratteristica principale è il suo paesaggio naturale, che si integra perfettamente con l’architettura religiosa. Le cappelle del Sacro Monte raccontano episodi della vita di Maria e sono decorate con splendidi affreschi e sculture.

Situato nel Monferrato, il Sacro Monte di Crea è uno dei più importanti in Piemonte.

Completato nel XVII secolo, si sviluppa su una collina che offre una vista panoramica sul territorio circostante. Le 23 cappelle del percorso sono dedicate alla Madonna e alla Il Sacro Monte di Griffa si trova sulle rive

Sacro Monte di Varallo, la "piazza del Tempio"

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Una delle Cappelle del Sacro Monte di Orta.

Il Sacro Monte di Ossuccio.

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del Lago Maggiore e rappresenta una delle tappe più suggestive del cammino devozionale. Il percorso è caratterizzato da un’architettura semplice e raffinata, e le cappelle sono decorate con dipinti e sculture che narrano le scene della vita di Cristo.

In Lombardia, il Sacro Monte di Domodossola, con le sue 15 cappelle, racconta la storia della vita di San Francesco d’Assisi. Si trova sulla cima di una collina da cui si può ammirare la Valle Ossola e le Alpi. Il secondo Sacro Monte della Lombardia si trova nella provincia di Varese ed è famoso per la sua grande bellezza paesaggistica. Il cammino

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La rappresntazione della Crocifissione al Sacro Monte di Varese.

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che porta alla cima è ricco di cappelle e scenografie artistiche che ripercorrono la vita di Cristo. Il secondo Sacro Monte, quello di Laveno è situato sulla sponda del Lago Maggiore. Il percorso che porta alla cima è costituito da numerose cappelle che raccontano la vita di Maria.

IL SIGNIFICATO SPIRITUALE E CULTURALE Oltre al loro valore artistico, i Sacri Monti rappresentano un luogo di riflessione e di ricerca spirituale. La scelta di costruirli in luoghi elevati e isolati simboleggia la separazione dal mondo materiale e il desiderio di un incontro più intimo con il divino.

Percorrere il cammino che conduce al Sacro Monte è un atto di meditazione e di preN ° 1 8 7

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Il Sacro Monte di Ghiffa.

ghiera, un modo per avvicinarsi a Dio attraverso l’arte e la natura.

Dal punto di vista culturale, i Sacri Monti sono testimoni di un’epoca in cui l’arte e la religione si fondono per raccontare la sacralità della vita cristiana. Inoltre, rappresentano anche un patrimonio paesaggistico e architettonico di grande importanza, che attira ogni anno migliaia di turisti e pellegrini.

I Sacri Monti sono un tesoro di fede, arte e storia che ha attraversato i secoli, mantenendo intatta la loro funzione di luoghi di devozione e di incontro con il divino. Grazie alla loro bellezza e al loro significato profondo, questi luoghi continuano a essere una meta di pellegrinaggio e un patrimonio da preservare per le future generazioni g

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Il Palazzo del Laterano e i suoi Musei I pellegrini e i turisti che visitano Roma per il Giubileo si concentrano spesso sul Vaticano, trascurando la Basilica del Laterano e i Musei Lateranensi ad essa annessi. Eppure, i Musei Lateranensi, che si trovano all’interno di un complesso architettonico che affonda le radici nei secoli più antichi della storia, sono una delle istituzioni culturali più affascinanti della Città sacra.

di Giulio Ginnetti

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Musei Lateranensi hanno una storia che risale al periodo del rinascimento e sono tra i più antichi musei di Roma. La loro nascita si deve al desiderio di Papa Gregorio XIII, che nel 1577 creò una raccolta di opere d’arte da custodire nei locali del Palazzo Laterano. Sin dall’inizio, la collezione fu pensata per essere non solo una testimonianza di arte, ma anche un luogo di cultura che avrebbe permesso di divulgare la storia

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Il Palazzo del Laterano nell’omonima piazza a Roma e l’ingresso laterale della Basilica di San Giovanni.

della Chiesa e della città di Roma.

Il complesso che ospita i musei, il Palazzo Laterano, è uno dei più significativi edifici della storia della capitale. Situato nell’omonima piazza, il palazzo è stato la residenza dei papi fino al XV secolo. Oggi, accanto al Palazzo Laterano, si trovano la Basilica di San Giovanni in Laterano e altri edifici che fanno parte di un contesto storico unico.

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L’architettura del Palazzo Laterano riflette la maestosità della sua storia. Sebbene abbia subito danni a causa di incendi e terremoti, numerosi interventi architettonici hanno restaurato e valorizzato il palazzo, conferendo ad esso una bellezza che unisce stili medievali, rinascimentali e barocchi.

LA COLLEZIONE ARCHEOLOGICA: TESORI DELL’ANTICA ROMA Una delle sezioni più affascinanti dei Musei Lateranensi è quella dedicata all’archeologia. La collezione archeologica raccoglie numerosi reperti provenienti da scavi effettuati in vari luoghi di Roma e

Reliquario con la testa di S.Zaccaria (Manifattura romana - XVII secolo).

L PALAZZO LATERANO: STORIA E ARCHITETTURA Il Palazzo Laterano, sede dei Musei, ha un passato secolare che risale ai tempi di Costantino. Fu infatti la residenza papale per circa sette secoli, prima che i papi si trasferissero nel Vaticano. Il palazzo subì numerose modifiche nel corso dei secoli, ma ha sempre mantenuto un ruolo centrale nel contesto della Chiesa cattolica.

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Ingresso al Museo del Tesoro Lateranense accanto al monumento ad Innocenzo III.

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nelle vicinanze. Tra le opere più significative spiccano le statue antiche, i busti di imperatori romani e altri oggetti che testimoniano la grandezza della Roma imperiale.

Molti di questi reperti provengono da scavi effettuati nelle vicinanze del Colosseo, del Foro Romano e del Palatino, e sono testimoni di un’epoca che affonda le sue radici nella mitologia e nella storia politica di Roma. Questi pezzi sono fondamentali per comprendere la transizione dall’arte pagana a quella cristiana e il modo in cui la Chiesa ha saputo raccogliere e preservare la memoria di Roma antica.

LA PINACOTECA: UN VIAGGIO NELL’ARTE SACRA Un’altra sezione di grande rilievo dei Musei Lateranensi è la Pinacoteca, che ospita numerosi dipinti di maestri italiani e europei, tra cui opere di artisti come Giotto, Pietro Cavallini e Melozzo da Forlì. Le opere esposte coprono un ampio arco temporale che va dal medioevo al rinascimento, passando per il periodo barocco.

Molti dei dipinti esposti nella Pinacoteca sono di grande importanza per la storia dell’arte sacra, in quanto rappresentano episodi biblici e momenti significativi della vita di Cristo, della Vergine Maria e dei santi. L’arte N ° 1 8 7

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Piviale di papa Clemente XII Corsini con "Razionale" dello Spirito Santo (Manifattura romana - XVIII secolo)

sacra ha sempre avuto un ruolo fondamentale all’interno dei musei ecclesiastici, non solo come testimonianza artistica, ma anche come strumento di trasmissione del messaggio cristiano.

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Tesori d’Italia LA SCULTURA MEDIEVALE E RINASCIMENTALE La sezione dedicata alla scultura medievale e rinascimentale dei Musei Lateranensi offre una panoramica unica sull’evoluzione della scultura in relazione alla religiosità.

Tra le opere più notevoli ci sono sculture in marmo e in legno, che raffigurano scene sacre e figure bibliche, molte delle quali provenienti da chiese e monasteri di Roma e dintorni.

Un aspetto interessante della scultura medievale esposta è la sua capacità di fondere la tradizione greco-romana con gli ideali cristiani, dando vita a opere che non solo erano oggetti di devozione, ma anche di straordinario valore artistico. La scultura rinascimentale, inoltre, si distingue per la sua ricerca di realismo e di proporzioni perfette, influenzata dall’arte greca e romana, ma sempre in un contesto religioso.

IL MUSEO DELLA STORIA DELLA CHIESA Un aspetto fondamentale dei Musei Lateranensi è il Museo della Storia della Chiesa, che esplora l’evoluzione della Chiesa cattolica nel corso dei secoli. Qui sono raccolti numerosi oggetti liturgici, codici miniati, paramenti sacri, reliquie e strumenti che raccontano la storia della Chiesa e del Papato.

Reliquiario che contiene il cilicio di santa Maria Maddalena (XV sec.).

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Attraverso queste opere, i visitatori possono comprendere meglio come la religiosità e l’arte si siano intrecciate nel corso della storia. Oggetti liturgici di grande pregio, come calici, croci e ostensorii, sono testimonianze non solo dell’evoluzione delle pratiche liturgiche, ma anche della raffinatezza dell’artigianato religioso. Anche se i Musei Lateranensi sono principalmente noti per le loro collezioni d’arte antica e medievale, negli ultimi anni si è assistito a un’apertura verso l’arte contemporanea.

In alcune sale del museo sono esposte opere moderne e contemporanee che dialogano con le collezioni storiche, creando un interessante contrasto tra la tradizione e l’innovazione.

I Musei Lateranensi non sono solo una raccolta di opere d’arte, ma anche un luogo che invita alla riflessione sulla storia della Chiesa, sull’evoluzione dell’arte sacra e sul rapporto tra religione e cultura. Con le sue collezioni variegate e il contesto storico unico, i Musei Lateranensi rappresentano un percorso straordinario per chiunque voglia scoprire la bellezza e la spiritualità che permeano la storia di Roma e della Chiesa cattolica g

Vetrina dedicata a san Giovanni Evangelista (statua, Stauroteca e Reliquario delle catene di san Giovanni Evangelista)

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San Giovanni in Laterano

La Basilica d’0r0 Louis Veuillot (1813-1883), fu uno dei più grandi scrittori cattolici del secolo XIX. Questa sua folgorante visione di San Giovanni in Laterano è tratta da Il profumo di Roma, un’apologia della Roma cattolica che ne esprime tutta la personalità. L’opera, che uscì nel 1861, è stata ristampata dalle Edizioni Fiducia.

di Louis Veuillot

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al Colosseo a San Giovanni in Laterano, dal grande teatro della carneficina alla grande Basilica. La via larga e diritta che unisce codesti due edifici porta il nome di San Giovanni Battista, il precursore del Divino Amore. Passando, noi salutiamo la chiesa di San Clemente, monumento intatto dell’antichità cristiana. In codesta chiesa predicò San Gregorio Magno, e si

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vede la cattedra dov’egli si assise. Fra le insigni reliquie vi si venera l’unico osso di Sant’Ignazio, vescovo d’Antiochia, che i leoni hanno rispettato.

Ecco quest’alto Laterano, dono di Costantino e dell’Impero convertito. Costantino, vincitore dello stupido Massenzio, mandò a cercare Papa Silvestro, fuggiasco. Il Papa pensò che fosse giunta per lui l’ora del martirio, invece l’imperatore

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vittorioso lo ristabilì nella sua propria dimora.

C’è anche un ricordo di Nerone. Nerone uccise il console Plauzio Laterano, fondatore di questo palazzo, che doveva rendere immortale il suo nome. Sul medesimo posto si levò rapidamente una chiesa, vasta e degna dell’impero. La chiamarono la Basilica d’oro.

Soggiorno primitivo dei Papi, ultimo soggiorno degli Imperatori, questo è veramente il luogo nel quale Pietro, uscendo dalle Catacombe, prese possesso della sua regalità, il luogo ove finì l’impero pagano. Qui Cesare, che ormai non era più Cesare, partendo per Bisanzio, arrotolò fra i suoi bagagli il palladio, ormai privo di valore. Qui Carlo Magno verrà ad inginocchiarsi, prima di ricevere dalla

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Il chiostro interno della Basilica di San Giovanni.

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mano del successore di Pietro, un’altra corona imperiale che sarà la consacrazione senza la quale ormai gli imperi non avranno più né forza feconda, né vera gloria, né stabilità.

Luogo augusto in Roma e nel mondo!

Durante undici secoli il Laterano fu la dimora dei Vicari di Cristo. Essi vi furono assediati, ne furono cacciati, vi ritornarono, ne furono nuovamente allontanati per subire la prigionia e l’esilio, ma questa dimora appartiene ancora ad essi. A tutto quello che toccano, i Papi conferiscono un carattere d’eternità. La chiesa del Laterano ha veduto trentatré Concili.

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MADRE E SIGNORA DI TUTTE LE CHIESE Essa fu devastata, saccheggiata, bruciata: l’Inferno si è abbattuto sopra di essa, a parecchie riprese della Basilica d’oro non rimasero che ceneri. Essa è ancora in piedi, più ornata del suo nome e della sua esistenza secolare che di tutti i tesori dei quali l’ha arricchita l’amore vincitore. Essa è la chiesa particolare del Papa, Madre e Signora di tutte le chiese. Le sue mura proclamano la sua dignità con quel linguaggio regale che non si parla se non qui:

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SACROSANCTA LATERANENSIS ECCLESIA, OMNIUM URBIS ET ORBIS ECCLESIARUM MATER ET CAPUT. E queste parole avrebbero il medesimo valore quand’anche fossero tracciate col gesso sopra una capanna di tavole e di canne.

Noi entrammo. La stessa solitudine che a San Pietro, lo stesso fremito nei nostri cuori. Lo splendore dei ricordi ingrandisce ancor più codeste mura grandiose.

Presso l’altare, in un angolo appartato, due sacerdoti recitavano fraternamente l’Ufficio. C’informammo di quale Santo ricorresse N ° 1 8 7

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Veduta interna della Basilica.

la festa quel giorno. Era il 16 di gennaio, festa di san Marcello, papa e martire, la cui chiesa avevamo veduta il giorno innanzi sul Corso. Ne rileggemmo la gloriosa leggenda: «Per la legge del suo Dio, questo Santo combatté fino alla morte: la voce degli empi non lo fece tremare, perché egli era assiso sulla solidità della pietra. E Voi, o Signore, lo avete coronato di gloria, e l’avete eletto principe per regnare sulle opere delle vostre mani!» g

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Tesori d’Europa

Gli “Enclos”, luoghi sacri della Bretagna In Bretagna, sui Monti d’Arrée, nel cuore di una regione selvaggia, vennero costruiti, tra la fine del XVI e l’inizio del XVIII secolo, attorno alle chiese dei paesi, alcuni complessi chiamati Enclos, recinti.

Luoghi sacri, passaggi simbolici tra questo mondo e l’Altro, esaltano la vita e la Passione di Cristo ed incoraggiano a meditare sui fini ultimi.

di Anne Bernet

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l ricongiungimento definitivo del ducato di Bretagna al Regno di Francia, grazie al trattato d’unione del 1532, pose fine ad un lungo periodo di instabilità politica, dovuto alle sanguinose lotte di successione attorno alla corona ducale,

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L’Enclos di LampaulGuimiliau.

quindi ai conflitti armati tra i duchi, difensori dell’indipendenza nazionale, ed i re francesi.

Con la pace, la prosperità tornò nelle campagne bretoni. La regione mai fu tanto ricca. La coltura del lino permette ovunque R A D I C I

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sul ducato. Il commercio marittimo era in piena espansione, aperto ai nuovi Continenti, e navi giunsero da tutta Europa.

Agricoltori, tessili, mercanti, marinai bretoni, erano agiati e ci tenevano ai tesori, che celavano le loro terre. Erano anche pii e, se la loro fortuna si manifestò sulle magnifiche facciate delle loro nuove dimore, tennero conto, da buoni celti, di quanto gli investimenti più redditizi fossero quelli fatti per l’Aldilà, non per l’aldiqua. Per questo motivo la Cornovaglia, il Trégor e soprattutto il Léon sono ancora oggi impreziositi da strutture cultuali uniche nel loro genere: gli enclos parrocchiali.

lo sviluppo dell’industria tessile con risultati tanto apprezzati da consentire di rifornire non soltanto la marina francese, bellica e commerciale, bensì anche l’Inghilterra e la Spagna, principali importatrici. L’oro delle Americhe scorse a fiumi N ° 1 8 7

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«DIO ABBIA PIETÀ!»

Recinti realizzati per proteggere tali aree dalle bestie selvagge, separate dal mondo presente e profano tramite una scala, che bisogna attraversare prima di farvi ingresso, passando attraverso archi ispirati allo stile antico, detti in bretone Pors ar maro, “porta della morte”, questi spazi sacri concentrano attorno ad una chiesa di proporzioni smisurate, se comparate alle dimensioni effettive della parrocchia, un cimitero, un ossario – dove, secondo le usanze, ogni trent’anni circa si trasferiscono i defunti, per far spazio agli ultimi giunti –, un battistero ed un calvario, la cui croce, la sola permessa, domina sulle tombe.

Dopo il grande massacro del 1914, che comporterà per la Bretagna un prezzo di sangue altissimo, pari a 300 mila uomini, vi si sono aggiunti infiniti monumenti ai defunti sormontati non da considerazioni patriottiche, bensì dall’iscrizione tradizionale: «Dio abbia pietà di chi è trapassato!».

In una forma di pia “rivalità”, i villaggi vogliono, per i propri enclos, i migliori architetti, scultori, artisti e non badano per questo a spese.

Questi cantieri attirano tanto professionalità che giungono da tutta Europa quanto artigiani locali, specialmente i carpentieri di marina dei cantieri navali di Brest, abituati a scolpire le figure di prua

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Tesori d’Europa delle navi e le prodigiose pale d’altare dei santuari, sintesi di arte virtuosa ed innocente in una profusione di oro e colori vivi.

Niente di più sorprendente, di primo acchito, di questa commistione di generi.

Certi complessi, come quello di Sizun, riescono a metter insieme, senza mai offender l’occhio, le ricercatezze del gotico aguzzo e gli adattamenti locali del barocco, architetture che non sfigurerebbero nemmeno a Parigi ed antichi motivi celtici. Lo stesso dicasi per le chiese, ricche di splendori decorativi, la cui trama è difficile da seguirsi.

In effetti, ai temi obbligati della fede cattolica, esaltati dalla controriforma e dalle missioni, molto sentiti in queste campagne, temi che raffigurano scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, la vita di Nostra Signora, quella di sua madre, sant’Anna – da tempi immemorabili venerata in un paese, di cui lei è patrona –, agli apostoli ed ai martiri della Chiesa universale, s’aggiunge la moltitudine dei Santi bretoni, raramente iscritti nel calendario ufficiale.

Occorre una grande familiarità con la loro leggenda aurea, per riconoscere i sette fondatori, questi Vescovi per la maggior parte venuti dalla Gran Bretagna nel V secolo, Vescovi che evangelizzarono un Paese resistente al Cristianesimo per il fiero rifiuto opposto alla dominazione romana: allo stesso modo, serve familiarità per ritrovarvisi attraverso gli eremiti e gli abati, che “affollarono” la regione di abbazie e cappelle, destinate a far dimenticare un antico santuario druidico.

Le pale d’altare, offerte dalle confraternite del Rosario o della Buona Morte, seguono una tematica più familiare. Nella chiesa di Commana, quella dedicata a sant’Anna è di una ricchezza non comune.

I parrocchiani l’offrirono nel 1862, per farsi perdonare d’avere, durante la grande rivolta dei Berretti rossi diretta contro la fiscalità implacabile del ministro Colbert, aggredito il loro rettore, così come si chiama il parroco in Bretagna…

Pertanto, malgrado la loro esuberante bellezza ed il numero di opere preziose accumulatesi all’interno delle chiese, imma-

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Il complesso parrocchiale di Plougonven.

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Tesori d’Europa gini del Paradiso, il significato profondo degli enclos si esprime all’esterno. Se l’ingresso nel santuario è un ingresso al Cielo, è il percorso che vi conduce a meritare la beatitudine eterna. Per l’accettazione delle sofferenze di questo mondo e la morte.

L’ANKOU In latino, in bretone, più raramente in francese, le iscrizioni si succedono, iscrizioni che richiamano ai fedeli la vanità delle ricchezze mondane, la fragilità di questa esistenza, la certezza della morte. Ai crani, che sogghignanti dicono «oggi io, domani te», si aggiunge una rappresentazione tipicamente bretone, quella dell’Ankou, la morte personificata con la sua falce, nota mentre conduce, la notte, una carriola cigolante per le strade, in cerca delle sue prossime vittime. Incrociarla sul far della sera, sentirla passare sono presagi dell’imminente trapasso.

La sua raffigurazione realistica ricorda come nulla possa scapparle e che solo i folli non si preparano per l’incontro, col rischio d’esser precipitati per sempre nell’«inferno freddo», in quanto – retaggio delle credenze celtiche – i Bretoni pensano che da Satana ci si geli…

Ciò nonostante, il mezzo per evitare tale sorte è presto detto: partecipare delle sofferenze di Cristo. I calvari non hanno altro significato.

Quello di Guimiliau è il più ragguardevole della Bretagna. Sul basamento è indicata la data della sua costruzione: 1581-1588. Costruito possente, con contrafforti d’angolo portanti le statue dei quattro evangelisti, serve da base per una croce, la cui traversa è ornata da statue della Vergine e di san Giovanni, san Pietro

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L’ Enclos di Saint-Thégonnec.

e san Ivo, mentre alcuni angeli raccolgono nei calici il sangue del Crocifisso.

Sulla facciata, l’immagine di San Pol Aurélien, primo vescovo della Diocesi di Léon. Come sempre, ma qui con una ricchezza di dettagli senza eguali, ecco, sovrapposte su due livelli, 25 scene raffiguranti i misteri gioiosi e dolorosi del Rosario. Centinaia di volti si fondono in queste sculture in tondi ricavati dal granito R A D I C I

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di Kersanton, quasi tutte diverse, ciascuna con la propria espressione: la gioia dei pastori a Natale, le facce odiose dei carnefici durante la flagellazione, il dolore delle donne sante. Tra queste, spicca, splendida in eleganza e grazia, santa Maria Maddalena.

L’immagine della peccatrice si ritrova anche nelle sontuose Deposizioni in pietra policroma o in legno dipinto, che ornano N ° 1 8 7

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gli ossari di Lampaul-Guimiliau e SaintThégonnec. Fermarsi a contemplarle offre una meditazione potente sulle sofferenze del Salvatore e di Sua Madre, ma ciò che maggiormente colpisce è sicuramente l’espressione calma, serena quasi raggiante, di questi volti, in cui il dolore del lutto sfuma già nella certezza della Resurrezione. g

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Sant’Agata visitata in carcere da san Pietro e un angelo Il capolavoro di Giovanni Lanfranco ci mostra l’eroica virtù di sant’Agata che non si piega ai desideri peccaminosi di Quinziano ma afferma, con il suo martirio, l’appartenenza esclusiva a Nostro Signore Gesù Cristo.

di Sara Magister

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na vicenda tragica ed eroica, quella di sant’Agata. La sua nascita di nobili natali deve risalire attorno al 235 d.C., presumibilmente a Catania, e fin da giovanissima manifesta la sua volontà di consacrarsi al Signore. Il suo vescovo le consegna quindi il velo rosso delle vergini consacrate – che la contraddistingue anche in questo dipinto – e con questo ruolo si prende cura della comunità cristiana. Ma nel 250 d.C. l’editto dell’imperatore Decio mette Catania al centro di una pesante persecuzione contro i cristiani, il cui esecutore principale è il proconsole Quinziano. Proprio costui si invaghisce della giovane fanciulla, che rifiuta le profferte, dichiarando apertamente e coraggiosamente la sua consacrazione a Gesù. Sottoposta alla carcerazione e alla tortura dell’amputazione delle mammelle, tornata dolorante e sanguinante in cella, ecco avvenire il miracolo: nella notte le appare san Pietro, che utilizzando un balsamo prodigioso la risana dalle sue ferite. Riportata

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Giovanni Lanfranco, Sant’Agata visitata in carcere da san Pietro e un angelo, Parma, Galleria Nazionale

in tribunale, verrà quindi condannata al supplizio dei carboni ardenti, e tra altri prodigi, tra cui anche il fatto che il suo velo virginale rimarrà intatto, renderà la sua anima al Signore il 5 febbraio dell’anno 251. È sepolta nel duomo di Catania e di quella città ne è la venerata patrona.

Giovanni Lanfranco era giunto a Roma da Parma, sua città natale, insieme al gruppo di artisti facenti parte della scuola di Annibale Carracci. E proprio durante uno dei suoi soggiorni romani realizza questo dipinto, per un ignoto committente, attorno al 1613-1614.

In quest’opera l’influsso dell’arte di Caravaggio è evidente, nell’essenzialità della composizione, giocata su pochissimi personaggi stagliati su uno sfondo scuro; nel taglio orizzontale della tela che avvicina le figure al primo piano, coinvolgendo nella scena anche lo spettatore. Ancor più perché la figura di san Pietro è completamente in controluce, e ci invita ad aguzzare gli occhi per poterne riconoscere le fattezze, privilegio in realtà riservato solo ed esclusivamente alla R A D I C I

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Arte e Letture Santa. Più di stampo classicista è invece l’aspetto della giovane fanciulla, la cui provenienza aristocratica è segnalata dalla pelle bianchissima, e dalle movenze delicate ed eleganti.

La luce poi è divina e reale al contempo: trae origine dalla torcia tenuta stretta e sollevata dall’angelo, ma che la guardia fuori dalla cella non riesce a vedere, eppure al

contempo rende evidente e letterale la funzione della creatura angelica come il vero “portatore di luce”. Una luce che, a questo punto, è anche chiaramente divina.

San Pietro tiene nella mano sinistra la coppetta del balsamo miracoloso, e con

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l’altra appena sfiora la pelle inviolata della giovanissima Santa. L’angelo lo guida, per indicargli il punto esatto ove la ferita deve essere risanata, ma l’atteggiamento di entrambi verso di lei è di profondo rispetto, quello stesso che invece il proconsole che la voleva per sé a tutti i costi, non aveva affatto mantenuto.

Quella di Pietro è una vera apparizione, tanto che per denotarla come tale l’artista ha voluto rendere il suo panneggio come mosso da un vento che va contro la forza di gravità, e che fa capire che è appena giunto di fronte a lei, come in un balzo. Ben diverso è il panneggio della Santa. Più dettagliato nelle sue pieghe, ed evidenziato nel rosso del suo manto simbolico.

Agata reclina il capo, in segno di riconoscimento e di totale affidamento verso l’apparizione inaspettata. La ferita è ancora sanguinante, il senso drammatico della scena è ribadito dai forti contrasti luce e ombra che la caratterizzano, e dallo spazio ristretto della prigione in cui la fanciulla è costretta, ma la redenzione è già annunciata proprio dalla luce che taglia lo spazio, e che trasfigura quasi la pelle chiarissima della ragazza.

Agata è giovanissima, il suo corpo non è ancora quello maturo di una donna pienamente formata, ma è proprio per questo che sorprende e commuove ancor più il suo coraggio, che non consiste nel ribellarsi con rabbia all’ingiustizia umana che sta subendo, ma nell’affidamento totale e fiducioso alla volontà di Colui al quale da subito si era donata.

Perché la forza dei Santi non sta nell’aggressività fisica, o nella sfrontatezza, ma nella tenacia granitica della loro fede. g R A D I C I

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Labirinti nelle Chiese o nelle Cattedrali Nel labirinto non ci si perde, nel labirinto ci si trova (Hermann Kern)

di Domenico Lalli

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l termine “labirinto” è registrato per la prima volta in Erototo. L’origine del nome sembra da riportare alla parola greca, di origine preellenica, labrys, indicante la doppia ascia bipenne, di cui numerosi esemplari sono stati ritrovati, incisi o dipinti, nel palazzo di Crosso, “palazzo della scure”.

L’etimologia tedesca è affascinante, infatti dal termine “Irrweg”, che significa “labirinto” proviene “Irre” e cioè equivoco, inganno, follia. La parola inglese “maze” ha generato un verbo in uso quotidiano oltremanica e quasi ovunque, ormai: “to amaze”, in italiano “stupire”. La parola inglese “labirinto” ha dunque creato il verbo inglese “stupire” o “meravigliare”.

Ha un valore di iniziazione ed un significato N ° 1 8 7

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Labirinto chiesa romanica di San Giorgio a Petrella Tifernina, caerdroia tipico del Galles

essenzialmente simbolico. E’ un percorso che obbliga a una scelta, a imboccare una direzione per trovare una via d’uscita. Il fatto che sia un segno primordiale ce lo dice la sua presenza in tutte le culture del pianeta. Nell’antichità il labirinto simboleggiava il caos primordiale e lo sforzo di imporgli un ordine: il suo disegno spiraliforme ricorda un serpente arrotolato. I labirinti compaiono in civiltà ed epoche diverse e in luoghi lontani come il Perù, Creta, l’Egitto, l’India, la Grecia, la Cina e l’Europa.

E’ strettamente collegato al mito di Crosso.

Apollodoro, scrittore del I sec. a.C. ci descrive la storia di Teseo, il quale, grazie alla complicità di Arianna, riesce ad uccidere il terribile Mi-

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Arte e Letture

notauro (mostro metà uomo e metà toro), nascosto al centro del dedalo di Crosso, a Creta, e a trovare poi la via d’uscita.

Nel mondo romano, il labirinto, realizzato con la tecnica musiva, diventa una sorte di percorso mistico, in senso pagano naturalmente. A Calvatone, in provincia di Cremona, è stata rinvenuta la Domus del labirinto, costruita nel 14-54 d.C. emblema a mosaico con raffigurazione del labirinto.

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Labirinto di Chartres.

A Pompei esiste il mosaico romano più antico che si conosca, nella Casa del labirinto.

NEL CRISTIANESIMO In ambito cristiano è il simbolo del percorso che porta a Dio, richiamato nella parte centrale dall’immagine della Gerusalemme celeste. In epoca paleocristiana questa figurazione ha come punto di arrivo il centro e differisce notevolmente da quella medievale, R A D I C I

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dove il punto di arrivo è l’uscita che conduce verso la luce, essendo il labirinto orientato, con l’ingresso ad ovest, dove tramonta il sole, e l’uscita ad est, dove sorge il sole. I laboriosi copisti medievali hanno lasciato molti disegni labirintici sui manoscritti, mantenendo, almeno all’inizio, inalterato il numero dei rigiri rispetto alla classicità (il numero sacro per eccellenza era il 7, proprio come il numero dei rigiri del labirinto di Crosso).

Il tipo rotondo è attestato solo dalla fine del VII sec. Il tipo quadrato è il più antico, almeno per ora: la prima rappresentazione è sul retro di una tabella di Pilo (1287) e non ha alcun rapporto con il testo dell’altra faccia in caratteri della “lineare B”; ne abbiamo un’altra su una tegola dell’acropoli di Atene del VI secolo, numerose e varie sui tipi monetali di Cnosso indipendente e dell’Attica, del IV secolo. Il labirinto quadrato è un tipo che si incontra con più frequenza (i Micenei preferirono rendere quadrata anziché circolare la figura del labirinto) certamente per la maggior facilità di esecuzione rispetto al tipo circolare che deve essere sempre inscritto in un quadrato. Assai spesso una decorazione di mura con torrioni circonda il labirinto: lo troviamo già a Pompei nella Villa di Diomede, e diviene un abbinamento caratteristico nel II sec. d.C. Si vedano i mosaici di Italica, Conimbriga e Pamplona in Spagna; Taormina, Ostia e Brindisi in Italia; Orbe, Vaud, Cormerod nelle Gallie.

Caratteristico è quello di Salisburgo dove la schematizzazione della muraglia con i merli è rivolta all’interno anziché verso l’esterno come di consueto.

I labirinti, indissolubilmente legati agli dei e ai mostri, appartengono solo al mondo paN ° 1 8 7

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Labirinto De Rerum Naturis. dI Rabano Mauro.

gano, almeno fino al 324, anno in cui in Nord Africa venne edificata la Basilica di Santa Reparata. Il mosaico pavimentale, di stile romano ma contenuto cristiano, è un vero e proprio ibrido e costituisce il primo labirinto conosciuto realizzato in una chiesa.

Qui troviamo i quattro quadranti e anche il filo di Arianna che non riconduce però all’antico scenario della lotta dell’uomo contro il mostro, ma a un nuovo concetto: Sancta Eclesia (la Santa Chiesa). L’entrata del labirinto

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era rivolta verso l’ingresso della chiesa in modo che lo sguardo dei fedeli fosse guidato verso il centro. Nella tradizione medievale l’ingresso dei labirinti era sempre sulla direttrice che conduceva all’altare. La Basilica era stata fondata una decina di anni dopo l’Editto di Milano (313), con cui gli imperatori romani di Oriente e d’Occidente, Licinio e Costantino, sottoscrissero un accordo che

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Labirinto di Creta con al centro il Minotauro, da Lambert of Saint-Omer, 1121.

sanciva la libertà di culto per i cristiani.

Il labirinto è per eccellenza l’emblema universale della ricerca dell’infinito.

LABIRINTI NEL MEDIOEVO Nel Medioevo per i devoti percorrere il labirinto significa compiere un viaggio intensamente spirituale, un cammino di penitenza ed espiazione verso la fede salvifica.

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L’uomo medievale pensava che rappresentasse la via di un pellegrinaggio; si ritrova spesso raffigurato sui pavimenti delle navate di alcune cattedrali gotiche e viene denominato comunemente Nodo di Salomone. Erano posti in genere nel punto di intersezione della navata con il transetto. I labirinti medievali conducono sempre ad un centro, proprio come il labirinto di Dedalo. Dal IV secolo in poi il labirinto entra nel repertorio dei motivi musivi cristiani: l’esempio più antico è quello della basilica di S. Reparatus, ad Orleansville in Tunisia, del 328 circa: al centro un’iscrizione crittografica, Sancta Eclesia, raddoppia la tortuosità del percorso (il labirinto è qui costruito con quattro quadrati) per giungere al centro. Nell’Alto Medioevo il labirinto si sposa con la simbologia cristiana allegorica e sta a significare le prove molteplici cui deve sottostare l’anima del vero credente prima di giungere alla Gerusalemme Celeste.

La realizzazione dei labirinti nelle cattedrali (a volte non era neppure un vero e proprio labirinto, ma un tracciato spiraliforme e tortuoso) erano di tre tipi: a pianta circolare, ottagonale e quadrata. Un labirinto tracciato sul pavimento di pietra era quasi sempre disposto tra la terza e la quarta campata della navata centrale. La forma del cerchio corrisponde all’infinito e alla perfezione. L’ottagono, invece, con i suoi otto lati, rappresenta la trasformazione e la rinascita. Nelle chiese cattoliche la maggior parte dei fonti battesimali e gli stessi battisteri venivano costruiti con forma ottagonale. Il quadrato, invece, è simbolo della terra. Quando i cristiani adottarono questo segno non posero l’uomo al centro del labirinto, ma all’esterno; il simbolo doveva ricordare ai fedeli che lo scopo della loro vita era quello di giungere alla salvezza con una vita santa, rappresentata al centro dalla Gerusalemme celeste. I labirinti furono costruiti tutti nel XII secolo, proprio quando i Templari tornarono dalla Terra Santa. I percorsi del labirinto delle cattedrali, chiamati anche Chemins a Jerusalem, erano sostituti del pellegrinaggio in Terra Santa; bisognava percorrerli in ginocchio, con un rosario al collo, pregando per la salvezza della propria anima.

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IN ITALIA In Italia sono celebri quello di San Vitale a Ravenna, il più antico labirinto europeo che risale al VI secolo; il pavimento ha sette anelli ed è chiaro che i punto di partenza è il centro, dal momento che le frecce puntano inequivocabilmente verso l’uscita. Il percorso unicursale si dirige diritto fuori dal labirinto verso il punto focale dell’ottagono, come se fosse la meta di un gioco da tavolo. Lo scopo è raggiungere il centro e guardare in alto.

Quello pavimentale di Santa Maria in Trastevere a Roma; quello posizionato verticalmente all’ingresso nel nartecete della Cattedrale di San Martino a Lucca (fine XII sec.), che riporta sulla destra, ancora ben visibile un’iscrizione in latino: «hic quem creticus edit deda-lus est labirint hus dequ-o-nullu-s vader-e quivit qui fuit

Labirinto-Cavaliere di Bartolomeo Veneto, labirinto broccato in filo d'oro, XV sec

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Arte e Letture del labirinto di Chartres; la mano sinistra del Cristo regge un libro chiuso, forse il Libro della Vita o le Sacre Scritture, mentre con la mano destra indica l’ingresso al labirinto; è stata ipotizzata un’origine legata ad una presenza templare all’interno delle mura fortificate della città. Accanto all’affresco ci sono tralci vegetali come “Fiori della Vita” ed altre simbologie riconducibili ai Templari.

In Molise, nella chiesa romanica di San Giorgio a Petrella Tifernina, si può vedere un antico graffito con l’immagine di un singolare labirinto: è un caerdroia, un labirinto tipico del Galles. E’ l’unico presente nell’area del Mediterraneo.

intus ni these-us grat-is adrian-e stami-ne iutus», tradotto: «questo è il labirinto costruito da Dedalo cretese dal quale nessuno che vi entrò potè uscire eccetto Teseo aiutato dal filo di Arianna»; a Pavia sul pavimento della Basilica di San Michele Maggiore (XIXII sec.) è visibile parte di un mosaico raffigurante un labirinto corredato dalle personificazioni dei dodici mesi e del Re seduto in trono; quello presso il chiostro di San Francesco ad Alatri, fine XIII-inizio XIV sec., dimensioni 140x140 cm, con il volto di Cristo (pantocratore) barbuto al centro, un volto simile ad un leone, un volto trinitario, con indosso una tunica e un mantello dorato, formato da 12 circonferenze nere e 12 bianche, e un percorso identico a quello

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Alatri-Cristo nel labirinto

IN EUROPA Una particolarità delle raffigurazioni delle chiese di Chartres e di Alatri (FR), nel Chiostro di san Francesco, consiste nel fatto che entrata ed uscita dal labirinto coincidono, quasi si tratti di un percorso dovuto, ossia, ad esempio, il percorso della Fede. In molte cattedrali gotiche, spesso nel punto di intersezione della navata con il transetto, era tracciato un vasto labirinto. In Francia notevoli esempi sono a Chartres, l’unico in Francia a risalire al periodo di costruzione della cattedrale, iniziata il 1194 e terminata il 1220: di forma circolare, diametro di 12,87 metri e 200 di lunghezza; al centro c’era una placca di bronzo, rimossa e fusa nel 1702, durante le guerre napoleoniche, che avrebbe rappresentato Teseo che combatteva contro il Minotauro e, alle spalle dei combattenti, Arianna con in mano il famoso gomitolo di filo. Poi ad Amiens, Rheims, Sens, Arras, San Quentin, Bayeux e Tolosa, per citarne alcune.

La Cattedrale di Amiens è considerata un esempio di stile gotico classico senza uguali. Nel 1288, quando la pavimentazione fu completata, l’architetto responsabile e R A D I C I

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il vescovo furono immortalati in una lastra posta al centro di un labirinto bianco e nero, che campeggiava tra le stupefacenti decorazioni geometriche della pavimentazione della navata centrale. Il labirinto, noto anche come Maison Dedalus, fu distrutto nel 1827 dai rivoluzionari francesi.

I labirinti francesi hanno tutti 12 cerchi concentrici; sembrano evocare e scandire il tempo umano, con la rappresentazione dei 12 segni zodiacali. Il numero 6 compare nella cattedrale di Chartres al centro del labirinto: una rosa a 6 petali.

In Germania, a Colonia, i più antichi labi-

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Sopra, il Labirinto di Lucca, Duomo di San Martino.

Sotto, il Labirinto di San Vitale, Ravenna.

rinti si trovano nelle chiese di San Severino e San Gerone. Il labirinto è un archetipo, simbolo di rigenerazione.

Le più antiche iscrizioni nella pietra dei labirinti sono state trovate nelle chiese irlandesi e scandinave, come quella di Hablingbo in Svezia, Telemark e Geringe in Norvegia e Skive in Danimarca.

I labirinti nel XVII e XVIII secolo furono quasi tutti tolti dalle cattedrali perché i dignitari ecclesiastici non attribuivano ad essi un significato cristiano.

Da un labirinto si esce. Da una linea retta no. Borges dice che bastano due specchi contrapposti per creare un labirinto. g

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La Giordania

L’alba del Cristianesimo Presso il Palazzo della Cancelleria a Roma, si è svolta, dal 1 al 28 febbraio 2025, una mostra di eccezionale rilevanza che espone alcune testimonianze sulla profonda eredità spirituale, storica e artistica della Giordania come luogo di nascita del cristianesimo. Sono passati in rassegna circa 90 manufatti, tratti da vari siti archeologici, che mostrano e svelano vari aspetti della vita, dell’arte e delle tradizioni sacre praticate dai cristiani.

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n Giordania, Giovanni Battista battezzò il figlio di Dio nel fiume Giordano, evento che segna l’inizio stesso del cristianesimo. In Giordania si trova il Monte Nebo, da dove Mosè potè contemplare la Terra Promessa. Il Macheronte, dove fu imprigionato e decapitato san Giovanni Battista per opera del re Erode, come riportato dallo storico Giuseppe Flavio nelle Guerre Giudaiche. Gerasa, città greco-romana, dove furono erette ben sette chiese sotto l’imperatore bizantino Giustinian. I siti di Petra e Wadi Rum che riportano alla mente le storie del Libro dell’Esodo e degli antichi patriarchi.

Tel Mar Elias, il luogo di nascita del profeta Elia, che richiama fedeli delle tre religioni abramitiche.

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In Giordania il cristianesimo è la seconda religione più diffusa dopo l’Islam sunnita. La comunità cristiana giordana è una delle più antiche comunità cristiane al mondo. Qui i primi cristiani vennero a rifugiarsi per sfuggire alle persecuzioni. I Bizantini favorirono lo sviluppo del Cristianesimo specialmente nelle città come Madaba e nella fertile zona della valle del Giordano, ma questo sviluppo non ci fu nelle campagne, dove viveva la maggior parte della popolazione. Grande impulso fu dato alla costruzione di chiese. Nel VI secolo, periodo cui appartengono molti degli oggetti esposti nella mostra, l’imperatore d’Oriente Giustiniano I delegò il controllo della Giordania, della Palestina

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e della Siria ai Ghassanidi, arabi cristiani fedeli ai sovrani d’Oriente giunti nelle terre di Costantinopoli nel 250. A Madaba questi si facevano mecenati delle arti, favorendo la produzione dei celebri mosaici, tra cui la famosa seppure mutila Mappa di Terrasanta (in origine lungo dai 15 ai 25 metri e largo 6), che raffigura l’itinerario per raggiungere Gerusalemme attraverso oltre centocinquanta località. Il mosaico qui presente una copia perfetta - è corredato di 157 didascalie in greco, che segnano i principali siti biblici del Medio Oriente, dall’Egitto alla Palestina.

OGGETTI ESPOSTI Ogni oggetto, anche quelli di uso più comune, evidenzia la presenza di simboli cristiani: un timbro per il pane con un motivo a croci, utilizzato per imprimere disegni simbolici sulla superficie; una bottiglia in vetro a forma di pesce del VI secolo

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d.C.; un tavolo da gioco in pietra arenaria del V-VI secolo; un battente da porta in bronzo a forma di croce del VI-VII secolo; un reliquiario del VI secolo decorato con una croce; un panello a mosaico con la figura di Maria; lapidi in calcare risalenti al VI secolo; una lampada ad olio in metallo, con manico a forma di croce del VI-VII secolo; suggestivi e variopinti mosaici, uno con il simbolo del pesce (ichthys); un candeliere cilindrico risalente al VI-VII secolo; frammenti e fregi in marmo con croci incise; il rilievo in arenaria di un agnello, circondato da volute d’acanto, del VI secolo; una fiasca in argilla da pellegrino; croci metalliche e pendenti in bronzo con catene, indossati come simbolo di fede durante il periodo bizantino; due colonne di corpo quasi cubico con sommità conica che ricorda una pigna (simbolo di forza vitale e di immortalità funeraria) e la lastra della balaustra del R A D I C I

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presbiterio con croci scolpite in bassorilievo all’interno di cerchi intrecciati: il presbiterio ha la funzione di separare il coro – l’area sacra intorno all’altare – dal resto della chiesa; la sua costruzione è in pietra di Mosè, materiale comunemente utilizzato per realizzare le barriere delle chiese in quelle zone. La pietra è simbolo di stabilità e durata; le Tavole della Legge su cui Dio fece incidere a Mosè i Dieci Comandamenti erano due ed erano in pietra.

Nel deserto di Wadi Rum, Lawrence N ° 1 8 7

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d’Arabia aveva scritto: «Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. Quelli che di notte sognano nei polverosi angoli della propria mente, scoprono, di giorno, che era solo vanità». Ma sognare ad occhi aperti rende la realtà possibile. Come quegli archeologi che hanno frugato tra la polvere per scoprire il mistero dell’arte e il segreto della vita. E lo hanno trasmesso a noi. g

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Una grande mostra sull’arte religiosa senese Dopo la tappa a New York giunge a Londra la mostra Siena: The Rise of Painting, 1300-1350, che illustra la grande stagione della pittura senese attraverso oltre 100 opere di alcuni tra i massimi protagonisti della storia pittorica europea, tra i quali Duccio di Buoninsegna, Pietro e Ambrogio Lorenzetti e Simone Martini. La tesi di fondo della mostra è che l’arte religiosa europea nacque a Siena nel XIV secolo.

di Veronica Rasponi

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el XIV secolo, Siena era una delle città più influenti d’Italia, nota per la sua ricchezza economica e il fervore religioso.

La sua posizione strategica la rese un crocevia di culture, favorendo lo sviluppo di un’arte distintiva che combinava tradizione bizantina e innovazioni gotiche. Gli artisti senesi erano rinomati per la loro capacità di fondere elementi spirituali e mondani, creando opere di straordinaria bellezza e profondità emotiva. Oltre cento opere di questi artisti, tra i quali Duccio di Buoninsegna (circa 1255-1319), Simone Martini (1284-1344) e i fratelli Pietro (1285-1348) e Ambrogio Lorenzetti (1290-1348), saranno ospitate alla National Gallery di Londra, dall’8 marzo al 22 giugno 2025, dopo essere state esposte a New York dal 13 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025.

LA MAESTÀ DI DUCCIO DI BUONINSEGNA Duccio di Boninsegna fu il principale protagonista della scuola pittorica senese.

La sua arte è un punto di incontro tra il tradizionalismo bizantino e le prime influenze gotiche, combinando una straordinaria raffinatezza formale con una profonda espressione emotiva. Uno dei pezzi centrali della mostra è il suo spettacolare polittico Maestà, un’opera di straordinaria innovazione, originariamente realizzato per il Duomo di Siena. Il polittico, smembrato nel XVIII secolo, viene parzialmente ricomposto per l’occasione, permettendo ai visitatori di ammirare, uno accanto all’altro, gli otto pannelli N ° 1 8 7

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L’Annunciazione di Duccio di Boninsegna.

della base posteriore e i due dell’anteriore.

Le scene raffigurano la Madonna in trono con il Bambino e vari episodi della vita di Cristo, come le tre Tentazioni di Cristo, le Nozze di Cana e la Resurrezione di Lazzaro, offrendo preziosi spunti di riflessione teologica ed artistica.

LE OPERE DEI FRATELLI LORENZETTI Di Pietro Lorenzetti sono in mostra il Polittico della Pieve, la Crocifissione di Cortona e la celebre la Madonna del Latte, del 1330 circa, che rappresenta la Vergine che allatta il Bambino Gesù. Questa rappresentazione intima enfatizza l’umanità e la tenerezza della figura materna, invitando i fedeli a meditare sulla natura divina e umana di Cristo.

Del medesimo artista sono esposte le due sinopie (1334-1336 ca.) dell’affresco

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dell’Annunciazione, provenienti dall’Eremo di San Galgano a Montesiepi, nei pressi dell’Abbazia. L’Opera della Metropolitana di Siena ha prestato inoltre il Pastorale di San Galgano, proveniente dall’omonima Abbazia, eseguito intorno agli anni Venti del Trecento da un maestro, detto appunto “Maestro del pastorale di San Galgano”, influenzato dalla raffinata produzione di Simone Martini. Il ricciolo termina con la figura a tutto tondo del santo inginocchiato nell’atto di pregare, dinanzi alla spada conficcata nella roccia, simbolo della croce.

Di Ambrogio Lorenzetti si ammirano le Storie della vita di San Nicola. Le opere dei fratelli Lorenzetti sono note per la loro sofisticatezza tecnica e innovazione. Le loro pitture murali e tavole offrono rappresenN ° 1 8 7

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tazioni dettagliate della vita quotidiana, della giustizia e della moralità, riflettendo le preoccupazioni sociali e religiose dell’epoca.

L’IMPORTANZA DELLA SCUOLA SENESE La riunione di questi capolavori offre una rara opportunità di comprendere l’importanza della scuola senese nel panorama artistico europeo. Le opere esposte non solo mostrano l’evoluzione stilistica e tecnica degli artisti senesi, ma anche il loro ruolo nel plasmare la percezione religiosa e culturale del tempo. L’arte religiosa europea forse non nacque, ma certamente toccò il suo apice a Siena nel Trecento.

Polittico della Pieve di Arezzo, di Pietro Lorenzetti, 1320 ca. Pagina precedente: Storie della vita di san Nicola, di Ambrogio Lorenzetti, 1332 ca.

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Disciplina Maiorum

L’esame di coscienza del prof. don Roberto Spataro ORIGINE: Omnes sensus perducendi sunt ad firmitatem; natura patientes sunt, si animus illos desit corrumpere, qui cotidie ad rationem reddendam vocandus est. Faciebat hoc Sextius, ut consummato die, cum se ad nocturnam quietem recepisset,

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interrogaret animum suum: «Quod hodie malum tuum sanasti? Cui vitio obstitisti? Qua parte melior es?». Desinet ira et moderatior erit quae sciet sibi cotidie ad iudicem esse veniendum. Quicquam ergo pulchrius hac consuetudine excutiendi totum diem? Qualis ille somnus

post recognitionem sui sequitur: quam tranquillus, quam altus ac liber, cum aut laudatus est animus aut admonitus et speculator sui censorque secretus cognovit de moribus suis. Utor hac potestate et cotide apud me causam dico. Cum sublatum e conspectu lumen est et conti-

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cuit uxor moris iam mei conscia, totum diem meum scrutor factaque ac dicta remetior; nihil mihi ipse abscondo, nihil transeo. Quare enim quicquam ex erroribus meis timeam, cum possim dicere: «Vide ne istud amplius facias, nunc tibi ignosco.

In illa disputatione pugnacius locutus es: noli postea congredi cum imperitis; nolunt discere qui numquam didicerunt. Illum liberius admonuisti quam debebas, itaque non emendasti, sed offendisti: de cetero vide, non tantum an verum sit quod dicis, sed an ille cui dicitur veri patiens sit: admoneri bonus gaudet, pessimus quisque rectorem asperrime patitur».

(SENECA, De Ira III,36).

TRADUZIONE: Il nostro organisimo sensoriale deve essere accompagnato con sicurezza fino a raggiungere una ferma stabilità; per loro natura, le nostre sensazioni sono dotate di resistenza, purché cessi di sgretolarle l’animo che ogni giorno deve essere convocato a fare un bel rendiconto. Lo faceva Sestio: alla fine della giornata, dopo essersi ritirato per il riposo notturno, poneva domande all’anima sua: «Quale delle tue malattie morali hai oggi guarito?

A quale vizio ti sei opposto? In quale aspetto sei migliorato?». Quella tendenza alla collera, consapevole che ogni giorno dovrà presentarsi dinanzi a un giudice, si esaurirà, sarà riequilibrata. Che cosa dunque di più bello di questa pratica abituale, quella di analizzare fino in fondo l’intera giornata trascorsa? E che sonno segue a questa esplorazione interiore!

Quanto sarà sereno, quanto profondo e quanto libero, quando l’anima o è stata elogiata o rimproverata e, osservatrice e giudice di se stessa, opera una ricognizione del proprio modo di comportarsi. Personalmente mi avvalgo di questo potere e ogni giorno N ° 1 8 7

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intento causa a me stesso. Una volta che la lampada è stata portata via dalla vista e mia moglie, informata della mia pratica abituale, ha fatto silenzio, io scruto la mia intera giornata e giudico le azioni e le parole.

Nulla nascondo a me stesso e su nulla sorvolo. Per quale motivo infatti dovrei avere paura di qualcuno dei miei errori? Infatti posso dire: «Sta attento a non ripetere più quell’azione, per ora ti perdono. In quella discussione hai parlato con eccessiva ostilità: per il futuro non metterti a litigare con gli ignoranti; non vogliono imparare nulla quelli che mai hanno appreso qualcosa. Hai richiamato quel tale con eccessiva schiettezza di quanto si sarebbe dovuto, finendo per offenderlo e non per correggerlo: d’altra parte considera non solo la verità delle tue parole ma anche la capacità di intenderla da parte del tuo interlocutore: una persona onesta è contenta di essere corretta, una persona disonesta invece sopporta molto malvolentieri chi cerca di guidarlo».

(Trad. di Roberto Spataro) COMMENTO Tra le pratiche religiose che la spiritualità cristiana raccomanda ai fedeli figura anche l’esame di coscienza.

Sant’Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi spirituali insegna come e quando svolgerlo. Anche la Liturgia delle ore, a conclusione della giornata, lo propone agli oranti che celebrano l’ora di compieta. Con questo atto quotidiano quante anime sono progredite nella via della perfezione!

Quanti santi sono avanzati verso la pienezza della vita di grazia! E quanti peccatori si sono convertiti! L’esame di coscienza trova le sue radici nella cultura che ha preceduto la nascita del Cristianesimo e ne ha accompagnato lo sviluppo dei primi secoli.

Pierre Hadot, un ottimo studioso

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francese del secolo scorso, ha composto un libretto molto utile, intitolato Exercises spirituels et philosophie antique. In questo saggio mostra che gli insegnamenti religiosi e morali degli antichi filosofi, appartenenti a varie scuole di pensiero, soprattutto allo Stoicismo, scorrono nei secoli come un fiume carsico e riemergono limpidamente purificati nella storia della spiritualità cristiana. Per Seneca, autore del trattato De ira, da cui è ricavato il brano che stiamo commentando, l’anima, come il corpo, può contrarre delle malattie – ossia le cattive abitudini e i vizi – che la corrompono. Una medicina efficace per guarirla è esattamente l’esame di coscienza che egli afferma di aver appreso sin da giovane da un maestro di saggezza, di nome Sestio, di orientamento neopitagorico: l’importanza di raccogliersi alla sera, dopo aver completato tutte le attività quotidiane, e di farsi fondamentalmente due domande, ossia quale vizio è stato combattuto durante il giorno e in quale virtù si è registrato un avanzamento.

Seneca, oramai anziano, non solo ricorda l’insegnamento del suo “direttore spirituale”, ma dichiara anche di essere costantemente e regolarmente fedele alla pratica appresa.

Paragona la propria coscienza a un giudice dinanzi al quale sono passate in rassegna le parole pronunziate e le azioni compiute nel giorno trascorso. In particolare, nelle relazioni sono esaminati la capacità di equilibrio acquisita e mostrata e il rispetto che si deve a ciascuno, evitando offese e scorrettezze nelle conversazioni, soppesando con cura le disposizioni interiori degli interlocutori.

La pratica dell’esame di coscienza dona serenità all’anima non solo nel momento in cui esso viene praticato ma anche prima, in attesa di questo tempo sacro in cui avviene una purificazione interiore. Occorre grande sincerità e attenzione per non ri-

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muovere quanto di sgradevole si è sperimentato e per non sorvolare superficialmente anche sui dettagli: nihil mihi ipse abscondo nihil transeo. Leggendo il testo latino si è colpiti dall’uso dei verbi adoperati per indicare la serietà dell’esame di coscienza. Ed eccone alcuni: excutio, ossia “scuotere” il ricordo del giorno trascorso per una minuziosa verifica dell’operato; scrutor e remetior, ossia frugare nelle memoria e passarla al setaccio più volte adoperando un “metro” che misuri la consistenza morale delle parole e delle azioni.

Proprio quest’ultimo verbo, remetior, è una spia importante per comprendere che, per Seneca, esiste una norma oggettiva di misurazione e valutazione alla quale si attiene il soggetto che si autogiudica. La legge morale, infatti, già per i pagani non è mai confinata nei limiti angusti del soggettivismo che apre la strada al relativismo, all’indifferentismo, al nichilismo. Non esiste insomma un’ “etica della situazione”, come sostenevano

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alcuni moralisti negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso ritornati pericolosamente in auge negli ultimi anni, nonostante l’insegnamento chiaro e solenne dell’enciclica Veritatis Splendor (1993) di San Giovanni Paolo II. Nella pagina senecana si ravvisa comunque un limite: la coscienza, pur nobilmente giudice del soggetto morale, instaura un monologo solo con se stessa e non intesse un dialogo con Chi può esserne la luce aprendola a un orizzonte più ampio che ne dilati la libertà e la capacità di scelta.

Seneca, da filosofo stoico, infatti, non ha maturato, pur aspirandovi, la nozione di un Dio personale la cui identità trascende sempre l’immanenza dell’interiorità anche se la inabita con la sua grazia. Un altro tratto attira la nostra attenzione leggendo questa splendida pagina della letteratura latina: la mitezza, persino, l’indulgenza della coscienza che, senza abdicare al suo ruolo di giudice retto e imparziale, finisce sempre per incoraggiare il soggetto morale

ad avere fiducia in sé in vista del miglioramento. Anche la coscienza cristiana, proprio perché in dialogo con Dio giudice misericordioso, conserva un sublime equilibrio: da una parte vi è un forte senso di responsabilità di fronte alla legge morale, dall’altra una serena accettazione dei limiti creaturali e un potente affidamento all’azione della grazia divina, in modo che siano esclusi sia il pressappochismo del lassismo sia l’angoscioso rigorismo calvinista e gianseinista, l’uno e l’altro caricatura dell’autentica teologia morale che ha trovato in Sant’Alfonso un eccellente teorizzatore e in San Giovanni Bosco un eminente pedagogo. E, infatti, sia l’uno che l’altro hanno consigliato a fedeli, lettori, penitenti di praticare l’esame di coscienza sicché le parole di Seneca riecheggiano nel magistero dei santi: «Quale delle tue malattie morali hai oggi guarito? A quale vizio ti sei opposto? In quale aspetto sei migliorato?». g R A D I C I

C R I S T I A N E

Proponiamo qualche buon libro ricordandovi che il tempo dedicato alla lettura e alla riflessione è meglio speso di quello dedicato alla televisione e a internet Pier Carlo Landucci - LA VERITÀ SULL'EVOLUZIONE E L'ORIGINE DELL'UOMO Nella grande Esposizione internazionale di Parigi, dopo la prima guerra europea, un vasto salone fu dedicato al radicale evoluzionismo. Una enorme scritta lo additava all'ammirazione del pubblico, ammonendo che riallacciare l'uomo a tutta la catena degli animali inferiori, mentre sconvolgeva la fantasia, era l'unica ipotesi che appagava la ragione. Dopo circa mezzo secolo di insistenza e divulgazione sull'origine totalmente evolutiva delle specie e dell'uomo, la fantasia non è più sconvolta e trova, in genere, la cosa assolutamente naturale.

Pag. 95 - € 10,00 Padre Frédéric Rouvier - SAPER SOFFRIRE Pochi sanno soffrire cristianamente, perché pochi conoscono il profondo valore della sofferenza. Padre Rouvier, in questo piccolo tesoro della spiritualità cristiana, apre la nostra anima al mistero del dolore, ma soprattutto allo straordinario mezzo che ci è dato di renderlo strumento di santificazione a immagine del perfetto sofferente, Gesù Cristo. In tal modo, il dolore, che accompagna necessariamente la nostra vita, diviene meritorio, unito alla preghiera assidua e alla conformità alla volontà di Dio. “Saper soffrire” è una scienza delle anime che tutti devono conoscere.

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NOVITÀ!

Henri Delassus LO SPIRITO FAMILIARE NELLA SOCIETÀ E NELLO STATO Lo spirito familiare nello Stato e nella società apparso nel 1910 a Lille con il titolo L'Esprit Familial dans la Maison, dans la Cité et dans l'Etat, è tratto dal secondo volume de Il problema dell'ora presente: Antagonismo di due civiltà, una grande opera che espone la teologia della storia di mons.

Delassus, pubblicata nel 1904, con una lettera di elogio del cardinale Rafael Merry del Val. Nel quadro dell'attacco crescente alla famiglia e alla società intera, le Edizioni Fiducia propongono un'edizione critica dell'opera di mons. Delassus, curata da Fabio Fuiano e preceduta da un'introduzione di Roberto de Mattei, per mettere a disposizione dei lettori un vero e proprio tesoro della letteratura cattolica del XX secolo.

Pag. 175 - € 15,00

Card. Alfredo Ottaviani - LUCE DI ROMA CRISTIANA NEL DIRITTO Alfredo Ottaviani, nato a Roma il 29 ottobre 1890 fu tra il 1935 e il 1965, assessore, segretario e poi prefetto del Sant’Uffizio. Fu creato cardinale da Pio XII il 12 gennaio 1953. Insegnò per diversi anni Diritto pubblico ecclesiastico all’Apollinare e Filosofia a Propaganda Fide e partecipò attivamente al dibattito teologico all’interno del Concilio Vaticano II distinguendosi per le sue posizioni di ferma difesa della Tradizione della Chiesa. Morì nella Città del Vaticano il 3 agosto 1979.

Pag. 68 - € 10,00

Letture consigliate a cura di Francesco Motto

Le più belle lettere di don Bosco Elledici, Torino 2025, pp. 496, € 22,00

Il libro ci offre una scelta delle “più belle” lettere di don Bosco, selezionate tra le quasi cinquemila lettere che compongono l’epistolario di don Bosco. Queste lettere ci presentano la passione educativa e pastorale, l’intelligenza vivace e pratica, soprattutto l’amore di Dio e della Chiesa del grande santo ed educatore.

Duecentocinquanta sono le lettere che l’autore ha selezionato per questa raccolta. Ne emerge l’ampiezza di una missione universale accolta dalle mani di Dio e sviluppata con ardore e intraprendenza da colui che l’ha ricevuta con fede. È il don Bosco della dura fatica quotidiana, il Don Bosco che progetta, che apre orizzonti, che opera, che soffre, che lotta, che supplica, che vive per i giovani, sta con loro, ne intercetta i problemi e senza alcun timore si mette a scrivere a tavolino per contattare chiunque potrebbe aiutarlo a risolverli.

San Giovanni Bosco (1815-1888), conosciuto anche

semplicemente come Don Bosco, è una delle figure religiose più conosciute e più amate. Fondatore dell’ordine dei Salesiani, fu canonizzato nel 1934 da Papa Pio XI. Oggi è riconosciuto come una figura di riferimento importantissima soprattutto per l’educazione, tant’è vero che è il patrono degli educatori, degli studenti e degli editori.

La Prefazione del libro è di don Rossano Sala, Salesiano.

Réginald Garrigou-Lagrange

Fiducia e abbandono in Dio. Provvidenza e confidenza Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2024, pp. 345, € 23,00

Questo saggio di teologia ha un raro pregio: mette in luce la stretta relazione tra le verità centrali della fede cristiana e la vita spirituale. Non sono verità astratte e speculative, ma sono verità capaci di illuminare l’intelligenza umana e orientare il cuore. Considerare attentamente e contemplare con amore l’esistenza di Dio, la sua provvidenza, le perfezioni divine come la semplicità, la bontà, la sapienza e la misericordia di Dio, sono azioni decisive per orientare la nostra esistenza e condurla verso la felicità e verso l’eternità beata.

Padre Réginald Garrigou-Lagrange (1877-1964) è un celebre teologo domenicano, professore aall’Angelicum dal 1909 al 1960 e protagonista della rinascita del tomismo nel XX se-

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colo. Pioniere nel proporre a tutti i cristiani i vertici della vita contemplativa, in questo libro si propone di liberarci dalla schiavitù del relativo e dalla sua perpetua instabilità.

Le sue pagine, scrive nella prefazione, hanno per scopo soprattutto di insistere sul carattere assoluto e sommamente vivificante della verità pienamente rivelata da Nostro Signore Gesù Cristo e infallibilmente proposta dalla Chiesa. Il libro è diviso in cinque parti in cui si tratta: L’esistenza di Dio e della Provvidenza; le perfezioni di Dio che la sua Provvidenza suppone; la Provvidenza secondo la Rivelazione; l’abbandono fiducioso alla Provvidenza; Provvidenza, Giustizia e Misericordia di Dio. La traduzione e di Giuseppe Silvio Nivoli O. P. e la revisione di Andrea De Cecco O. P.

R A D I C I

C R I S T I A N E

Claude Barthe

Troverà ancora la fede sulla terra? La crisi della Chiesa dopo il Vaticano II, prefazione di Marco Sgroi Fede e Cultura, Verona 2024, pp. 165, € 19,00

Don Claude Barthe è un teologo francese autore di opere di spiritualità e di difesa e divulgazione della liturgia tradizionale. In questo nuovo libro analizza le radici della profonda crisi che ha scosso la Chiesa Cattolica dopo il Concilio Vaticano II. Se il Vaticano II non è l’unica spiegazione di questa crisi senza precedenti, è infatti innegabile che esso sia all’origine di un terremoto teologico, liturgico e pastorale che ha avuto conseguenze disastrose sulla fede cattolica e la vita religiosa. Come osserva Marco Sgroi nella sua attenta prefazione, l’ottica in cui si colloca Barthe è prevalentemente espressiva dell’esperienza francese ed è ca-

ratterizzata da una particolare attenzione alla dimensione “politica”, sviluppata da un lato come disamina dell’atteggiamento assunto dalla Chiesa nei confronti dello Stato moderno; dall’altro come analisi delle dinamiche innescatesi all’interno stesso della Chiesa tra i portatori di visioni teologiche ed ecclesiologiche diverse. Il piano in cui si incontrano le varie prospettive di indagine della crisi, specie per integrare quella politica con quella teologica è costituito dalla liturgia, cui l’autore dedica un ampio capitolo, offrendo degli spunti di riflessione su cui tutti dovrebbero meditare.

Corrado Gnerre

Illuminismo e Rivoluzione. Dal razionalismo al delirio Edizioni Piane, Casale Monferrato 2024, pp. 162, € 17,00

Corrado Gnerre è uno dei più noti e apprezzati apologeti contemporanei. La storia dell’illuminismo si è talmente sviluppata negli ultimi secoli da costituire addirittura oggetto di una disciplina universitaria. Ciò che costituisce il maggior pregio del libro del prof. Gnerre è la presentazione, sintetica ed efficace, dell’Illuminismo, come epoca storica e come categoria concettuale, per arrivare ad una comprensione in profondità del fenomeno che squarcia il velo di tanti miti e luoghi comuni. La tesi dell’autore che la filosofia come causa del fatto storico debba intendersi non solo come pura formulazione teoretica, bensì anche come pensiero incarnato, cioè

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come pensiero che, vissuto, causa un tipo di esistenza particolare, anche contraddittoria con le sue premesse. In questo senso, le sue pagine debbono essere lette come contributo ad una “teoria integrale”, intendendo con questo termine una storia in cui possa essere compresa buona parte dell’umano: il pensiero dell’uomo, la sua esistenza, il suo agire politico.

Il libro, che ha una prefazione del prof. Roberto de Mattei, è significativa espressione di una nuova storiografia che nasce sulle rovine della cultura moderna e riscopre i principi perennemente fecondi del pensiero cristiano.

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I lettori ci scrivono

COME AL CENTRO DEL CERCHIO Cari amici di Radici Cristiane, recentemente sono stato ad un convegno organizzato da un istituto teologico cattolico. Ho ascoltato una relazione sulla categoria di “moderno”. Il teologo che faceva da relatore ha insistito sulla necessaria compatibilità tra pensiero cattolico e pensiero moderno. Ovviamente ha fatto anche riferimento al fatto che in passato la cultura cattolica avrebbe sbagliato ad assumere una posizione sostanzialmente critica nei confronti della modernità. Avendo un po’ le idee confuse e non sapendo esprimere un giudizio nel merito, gradirei conoscere il vostro parere.

(FRAnCO MORETTI – VEROnA )

come in quel “punto” a cui fa riferimento il filosofo Hani, cioè quel “punto” dove tutta la conoscenza si riassume. Ecco perché molte di queste anime hanno l’eubulia, cioè la capacità di consigliare, pur avendo alcune di queste delle scarse conoscenze sul piano della natura e della cultura del mondo.

Ma c’è da dire ancora un’altra cosa: la sapienza non va confusa con la conoscenza nozionista.

Quanti intellettuali ci sono oggi, San Tommaso d'Aquino

RISPONDE CORRADO GNERRE Gentile amico, le rispondo con delle parole di un filosofo dell’arte, Jean Hani (1917-2012). Lei giustamente penserà: cosa c’entra un filosofo dell’arte con ciò che ho chiesto? C’entra ... e adesso capirà.

Jean Hani ha scritto: «Come al centro del cerchio c’è quel punto unico dove sono indivise tutte le rette che da lì dipartono, così in Dio, colui che è stato giudicato degno di giungere a Lui conosce con una scienza semplice e senza concetti tutte le idee delle cose create».

Gentile amico, come può ben capire, queste parole ben rappresentano le anime che perseguono la santità e che fanno di tutto per piacere a Dio. Esse, proprio perché conformate alla volontà di Dio, sono più vicine a Lui; e, proprio perché sono più vicine a Dio, sono 98

che, pur avendo letto biblioteche intere, affermano delle emerite sciocchezze che potrebbero essere facilmente confutate anche da un bambino di scuola elementare?

Tantissimi. L’intellettualismo può

certo albergare con il disordine mentale, ma non certo può albergare con tale disordine la sapienza.

La sapienza ha bisogno dell’esercizio della virtù della temperanza. La sapienza ha bisogno della santità.

Prendiamo il titolo di “dottore della chiesa”, esso può essere conferito a chi è già stato proclamato santo.

Insomma, prima si deve diventare santi, poi eventualmente si può ricevere tale titolo. Si può essere santi senza essere dottori della chiesa, ma non si può essere dottori della chiesa senza essere santi. E tutto ciò, gentile amico, proprio per il motivo che abbiamo detto prima: non può esserci vera sapienza se non nella santità.

A questo poi si aggiunge anche la pratica dell’umiltà.

San Tommaso d’Aquino era quel genio che era, eppure studiava dinanzi al Santissimo Sacramento per invocare dall’Altissimo la luce per poter capire, convinto che da solo non ce l’avrebbe mai fatta. Egli soleva dire di aver appreso più dalla preghiera che dallo studio. Insomma, gentile amico, i libri servono fino ad un certo punto; per essere sapienti serve molto di più l’adorazione.

Cordialmente. g R A D I C I

C R I S T I A N E

L’AGENDA DI GENNAIO/FEBBRAIO Appuntamenti tradizionali italiani consigliati da Radici Cristiane

a cura di Emanuele Pressacco

Lombardia

PONTOGLIO (BS) SAGRA DEL CASONCELLO 4 al 17 gennaio

Antichissima e particolarmente profonda è la tradizione dei casoncelli a Pontoglio, ai quali viene dedicata anche quest’anno la caratteristica Sagra che si svolge in concomitanza con la Festa di Sant’Antonio Abate. Durante tutto il periodo della manifestazione saranno tanti i punti vendita dove poter acquistare il piccolo raviolo tipico dei pontogliesi chiamato casoncello. Inoltre è possibile assistere alla realizzazione dei casoncelli dalle esperte mani delle ristoratrici, i quali dopo pochi minuti di cottura sono proposti in prelibate e particolari ricette locali.

Comune di Pontoglio, Piazza XXVI Aprile, 16. 25037 Pontoglio (BS). Tel. 030/7479200.tero (TO). Tel. 0122/622323.

Lazio

VILLA SAN STEFANO (FR) SAGRA DELLA POLENTA DI SAN SEBASTIANO 26 gennaio

L’intramontabile sagra della polenta ha un’antica tradizione che prevede l’inizio della preparazione del paiolo di rame dal mattino. La ricetta del prodotto a base di mais, prevede degli ingredienti segreti tramandati di generazione in generazione. La sagra è legata alla festività di San Sebastiano, in onore del quale è celebrata la S. Messa alle 11,30 nella Chiesa parrocchiale. Alla conclusione della celebrazione è distribuita a tutti i partecipanti la celebre polenta accompagnata da sugo e prelibate salsicce. Non può mancare la degustazione del vino locale.

Comune di Villa Santo Stefano, Piazza Cardinale Domenico

Iorio. 03020 Villa Santo Stefano (FR). Tel. 0775/632125.

Proloco Villa santo Stefano, Viale Guglielmo Marconi, 2.

03020 Villa Santo Stefano (FR). Tel.0775/632698.

Campania

PUGLIANELLO (BN) ‘A FEST’ DU PUORC’ 7 - 9 febbraio

Il Nuovo Centro Studi Puglianello, in collaborazione con il Comune di Puglianello e Liverini Sp.a., presenta la 16° edizione de 'A fest' du Puorc' (la festa del maiale). Nella zona di puglianello era tipico sin dal Medioevo che le famiglie allevassero un maiale sino al mese di febbraio, periodo nel quale veniva macellato. Gran festa si faceva poiché la stagionatura della carne assicurava cibo per i mesi successivi. La sagra celebra quest’antica tradizione, pertanto oggi si propongono salumi, sughi e pietanze a base di suino. Contorna la kermes la consueta musica popolare accompagnata da balli di gruppo tradizionali.

La domenica è caratterizzata dalla rappresentazione storica della corte del Castello Baronale di Puglianello, figuranti in co-

stumi Medievali sfila per le vie del paese.

Comune di Puglianello, Via G. Pitò 15 - 82030 Puglianello.

Tel. 0824/946588. Nuovo Centro Studi Puglianello, Piazza Giacomo Mongillo 5. 82030 Puglianello (BN) Tel. 349/0794414.

Giordania: l'alba del cristianesimo, Palazzo della Cancelleria, Roma

Radici Cristiane «Il Cristianesimo ha profondamente modellato questo Continente: l'Europa non può e non deve rinnegare le sue radici cristiane» Benedetto XVI