Q2 2011

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Aifos è un’associazione senza scopo di lucro costituita da formatori, docenti, professionisti, consulenti ed aziende che operano nel campo della sicurezza sul lavoro. La formazione è strumento di prevenzione per la salute e la sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro. La rivista scientifica trimestrale “Quaderni della Sicurezza Aifos” presenta studi, ricerche, analisi e commenti di carattere monografico.

AiFOS - Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro c/o CSMT Università degli Studi di Brescia via Branze, 45 - 25123 Brescia tel. 030.6595031 fax 030.6595040 www.aifos.it info@aifos.it

QUADERNi DELLA SiCUREZZA AiFOS - Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro

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QUADERNi DELLA SiCUREZZA AiFOS Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro

Rivista monografica trimestrale - Salute e Sicurezza nei Luoghi di Vita e di Lavoro

La conoscenza dello stress lavoro-correlato Una strada verso l’azienda No-Stress

A cura di: Francesco Naviglio

ASPETTI GIURIDICI Marco Masi Michele Tiraboschi Maria Giovannone Fabio Pontrandolfi ASPETTI VALUTATIVI Massimo Servadio Andrea Cirincione Priscilla Dusi Luigi Dal Cason Giuseppe Bonifaci ASPETTI ORGANIZZATIVI Francesco Naviglio Annalisa Guercio Vito Volpe Andrea Volpe

n. 2 - Anno II Trimestrale Aprile - Giugno 2011

AiFOS Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro c/o CSMT Università degli Studi di Brescia via Branze, 45 - 25123 Brescia tel. 030.6595031 fax 030.6595040 www.aifos.it info@aifos.it


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Sommario PRIMA PARTE: ASPETTI GIURIDICI 1 Marco Masi Lo stress legato all’attività lavorativa: un problema sociale e i modelli di prevenzione Michele Tiraboschi – Maria Giovannone 16 La gestione dello stress lavoro‐correlato dopo le indicazioni metodologiche della Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro Fabio Pontrandolfi 27 Le indicazioni metodologiche della Commissione consultiva permanente per la valutazione dello stress lavoro‐correlato

SECONDA PARTE: ASPETTI VALUTATIVI 35 Massimo Servadio La valutazione del rischio da stress lavoro correlato: l’analisi organizzativa e le risposte del management aziendale Andrea Cirincione 45 La valutazione soggettiva del rischio da stress lavoro‐correlato Priscilla Dusi 56 Rischio da stress lavoro correlato: metodi e strumenti di valutazione Luigi Dal Cason 68 Lo stress lavoro correlato, la salute e la tutela dei lavoratori 71 Giuseppe Bonifaci La tutela dell'Inail dei rischi psico‐sociali lavoro‐correlati: sempre al passo coi tempi nonostante le difficoltà

TERZA PARTE: ASPETTI ORGANIZZATIVI Francesco Naviglio 81 La valutazione dello stress da lavoro correlato. Verso una azienda NO‐STRESS 95 Annalisa Guercio Gestione del rischio da stress lavoro correlato: aspetti organizzativi Vito Volpe ‐ Andrea Volpe 106 La formazione al benessere organizzativo come strategia contro lo stress lavoro correlato APPENDICE Accordo europeo dell´8 ottobre 2004 121

Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008

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Indicazioni della Commissione consultiva per la valutazione dello stress lavoro‐correlato del 18 novembre 2010 132


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Quaderni della Sicurezza AiFOS n. 2, 2011

PRIMA PARTE: ASPETTI GIURIDICI

Marco Masi Michele Tiraboschi – Maria Giovannone Fabio Pontrandolfi


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Marco Masi

Lo stress legato all’attività lavorativa: un problema sociale e i modelli di prevenzione di Marco Masi1

L’art. 2 comma 1 lett. o) del d.lgs. n. 81/08, riprendendo la definizione data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, considera la salute come uno “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità”. È da questa definizione che bisogna partire per capire appieno i nuovi obblighi posti a carico del datore di lavoro dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. In particolare, l’art. 28 ha previsto che la valutazione dei rischi “... deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004”. Già l’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 – nella versione successiva all’entrata in vigore della legge 01 marzo 2002, n. 39 – imponeva al datore di lavoro di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza presenti sul luogo di lavoro, inclusi i rischi psicosociali (stress, mobbing, burn-out, molestie a carattere sessuale, razziale o discriminatorio). La formula contenuta nel d.lgs. n. 81/08 chiede qualcosa di più. L’Accordo europeo è il risultato della ricerca condotta nel 2002 che aveva sottolineato come “I cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, in particolare le modalità più flessibili dell’organizzazione dell’orario di lavoro e una gestione delle risorse umane più individuale e 1

Direttore Area di Coordinamento “Ricerca” - Regione Toscana. Coordinamento Interregionale” Istruzione, Lavoro, Innovazione e Ricerca”.

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maggiormente orientata al risultato hanno un’incidenza profonda sui problemi legati alla salute sul luogo di lavoro o, più in generale, sul benessere sul luogo di lavoro”. La Commissione Europea - Direzione Generale Occupazione e Affari Sociali definisce lo stress una “reazione emotiva, cognitiva, comportamentale e fisiologica ad aspetti avversi e nocivi del contenuto, dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro. È uno stato caratterizzato da elevati livelli di eccitazione ed ansia, spesso accompagnati da senso di inadeguatezza”. Secondo l’Accordo europeo, lo stress può potenzialmente colpire qualsiasi posto di lavoro e qualunque lavoratore, indipendentemente dalla grandezza dell’impresa, dal settore di attività o dal tipo di relazione contrattuale o di lavoro ma, in pratica, non tutti i posti di lavoro e non tutti i lavoratori ne debbono essere necessariamente colpiti. Lo stress viene definito nel Documento come una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative; può essere causato da fattori diversi, come ad esempio il contenuto del lavoro, la sua organizzazione, l’ambiente, la scarsa comunicazione. Gli studi condotti dall’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza del Lavoro dimostrano che gli effetti dello stress negativo possono dare origine o aggravare tutta una serie di patologie, così come esistono alcuni studi che dimostrano un legame tra l’esperienza di stress ed i cambiamenti del sistema immunitario. Tra le patologie la cui insorgenza è riconducibile a prolungate esposizioni di stress rientrano: • Disturbi gastroenterici (ad esempio ulcera e colite) • Disturbi cardiocircolatori (ipertensione, ischemia) • Disturbi respiratori (asma bronchiale) • Disturbi urogenitali (alterazioni mestruali, incontinenza) • Disturbi sessuali (impotenza) • Disturbi locomotori (dolori lombari, reumatismo psicogeno, cefalee da contrazione muscolare) • Disturbi dermatologici (sudore, pallore, arrossamento) • Disturbi del sonno. 2


Marco Masi

Oltre a queste patologie, lo stress può manifestarsi anche con l’insorgere di alcuni comportamenti: • Alterazioni dei comportamenti alimentari (anoressia, bulimia) • Tabagismo • Alcolismo • Consumo di droghe • Eccessivo consumo di farmaci (es. antidolorifici, tranquillanti, ansiolitici, antidepressivi) • Eccessiva irritabilità • Stanchezza cronica • Depressione e insoddisfazione. L’Agenzia Europea, nelle conclusioni generali alla Ricerca, evidenzia che i dati disponibili indicano come gli interventi, in particolare quelli organizzativi, giovino alla salute sia individuale che dell’organizzazione e che ci sarebbe bisogno di ulteriori e più approfondite indagini. Attilio Pagano, direttore dell’Istituto Ambiente Europa, ha elencato i fattori di stress che nell’ambiente di lavoro possono favorire le risposte dei lavoratori in termini di patologie e alterazioni dei comportamenti, ossia: - condizioni microclimatiche disagevoli - presenza di fattori chimici e fisici con intensità disturbante - isolamento e sovraffollamento - non trasparenza del modello organizzativo - ambiguità e conflitto di ruolo - mancanza di formazione - aspettative disattese o irrealistiche - squilibrio tra responsabilità e competenze - stile di leadership inadeguato alle aspettative o al livello di maturità dei collaboratori - pressione del gruppo - rapporti interpersonali insoddisfacenti - pressioni di carriera - clima e struttura dell’organizzazione - minaccia per la libertà e l’autonomia - modalità dei processi decisionali - qualità degli scambi tra vita lavorativa e non lavorativa.

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L’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul lavoro, ha riassunto dieci differenti aspetti del lavoro che si sono rivelati stressanti e dannosi per la salute e sono stati riconosciuti determinanti nel contesto lavorativo per poter elaborare una diagnosi di clima. Categoria

Condizioni di rischio

Contesto lavorativo Cultura organizzativa e funzioni

Scarsa comunicazione, bassi livelli di sostegno nella risoluzione di problemi e sviluppo personale, carenza di definizione degli obiettivi organizzativi. Comunicazione, disponibilità e chiarezza delle informazioni.

Ruolo nell’organizzazione

Ambiguità di ruolo, conflitti responsabilità per le persone.

Sviluppo di carriera

Blocco della carriera e incertezza, mancanza o eccesso di promozioni, scarsa retribuzione, insicurezza del lavoro, basso valore sociale al lavoro.

Ampiezza delle decisioni/controllo

Bassa partecipazione al processo decisionale, carenza di controllo sul lavoro (il controllo, in particolare nella forma partecipativa, è anche il risultato di un contesto e di una organizzazione in senso lato).

Relazioni interpersonali sul lavoro

Isolamento sociale o fisico, scarse relazioni con i superiori, conflitti interpersonali, carenza di sostegno sociale.

di

ruolo,

Contesto lavorativo Livello decisionale

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Scarsa possibilità di organizzare il proprio lavoro. Assenza di autonomia decisionale anche nell’individuare le priorità del proprio agire.


Marco Masi

Interfaccia famiglialavoro

Richieste conflittuali da parte del lavoro e della famiglia, scarso sostegno in famiglia, problemi dovuti alle doppie carriere.

Contenuti lavorativi Ambiente di lavoro e attrezzature

Problemi riguardanti affidabilità, disponibilità, appropriatezza, manutenzione o riparazione di attrezzature ed impianti.

Compito

Carenza di varietà o cicli di lavoro brevi, lavori frammentati o privi di senso, incertezza elevata.

Carico/ritmi di lavoro

Sovraccarico o sottocarico di lavoro, carenza di controllo sui tempi, alti livelli di pressione temporale.

Programmazione del lavoro

Lavoro a turni, programmazione rigida del lavoro, orari imprevedibili, orari lunghi o che alterano i ritmi sociali.

Dopo una serie di proroghe, il d.lgs. n. 106/09 ha corretto il secondo comma dell’articolo 28 del d.lgs. n. 81/08, stabilendo che l’obbligo della valutazione dovesse decorrere dall’elaborazione delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro o, comunque, a decorrere dal 31 dicembre 2010. Con la lettera circolare del 18 novembre 2011, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha diramato le indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato, approvate nella riunione del 17 novembre dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro, di cui all’art. 6 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Le Indicazioni, muovendo dalle considerazioni fin qui esposte, indicano un percorso di valutazione articolato attraverso due fasi, la valutazione preliminare, indispensabile per tutte le aziende, che consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili e la valutazione eventuale, da attivare solo nel caso in cui la valutazione preliminare dovesse rivelare elementi di rischio da stress lavoro-correlato e le misure di correzione adottate dal datore di lavoro si rilevino inefficaci. 5


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La valutazione preliminare consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili: • eventi sentinella, quali ad esempio indici infortunistici, assenze per malattia, turnover, procedimenti e sanzioni, segnalazioni del medico competente, specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori, da valutarsi sulla base di parametri omogenei individuati internamente all’azienda; • fattori di contenuto del lavoro, quali ad esempio ambiente di lavoro e attrezzature, carichi e ritmi di lavoro, orario di lavoro a turni, corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti; • fattori di contesto del lavoro, quali ad esempio ruolo nell’ambito dell’organizzazione, autonomia decisionale e controllo, conflitti interpersonali al lavoro, evoluzione e sviluppo di carriera, comunicazione. La valutazione si interromperà qualora dalla prima fase non dovessero emergere elementi di rischio da stress lavoro-correlato, con l’unico impegno per il datore di lavoro di darne atto nel relativo documento e di prevedere un piano di monitoraggio. Nel caso contrario, in cui dalla valutazione preventiva dovessero emergere elementi di rischio, il datore di lavoro dovrà preliminarmente adottare azioni correttive, quali interventi organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, formativi e, solo in caso di insuccesso, procedere alla valutazione approfondita delle percezioni soggettive dei lavoratori attraverso questionari, focus group, interviste semistrutturate. Il lavoro della Commissione consultiva, senza dubbio apprezzabile se si considerano i tempi ristretti a disposizione e la particolare situazione di crisi che attraversa l’imprenditoria, presenta essenzialmente due punti di debolezza. In primo luogo, si continua nella previsione di una sorta di esonero della valutazione per le piccole aziende, già introdotta dal d.lgs. n. 626/94 con l’autocertificazione. È stato, infatti, previsto che nelle imprese che occupano fino a 5 lavoratori, il datore di lavoro possa evitare di ricorrere agli strumenti di valutazione approfondita e scegliere di utilizzare modalità di valutazione che garantiscano un utopistico coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia, anche attraverso apposite riunioni. 6


Marco Masi

In secondo luogo, non è stato affrontato il “dopo valutazione”. Quale sarà il soggetto in grado di gestire un eventuale rischio stress elevato? Se è vero che lo stress può potenzialmente colpire qualsiasi posto di lavoro, è altrettanto vero che la presenza della figura del medico competente dipende da una chiara previsione normativa. Inoltre, il documento elaborato dalla Commissione consultiva non riesce ad elevarsi a strumento completo al quale i datori di lavoro possono ricorrere per una valutazione effettiva del rischio stress lavorocorrelato, mancando sostanzialmente dei sistemi di misurazione. Sarà, pertanto, inevitabile ricorrere ai documenti che sono stati elaborati da vari interlocutori, pubblici e privati, in particolare le Linee guida elaborate dal Coordinamento tecnico interregionale nel marzo 2010 o dall’ISPESL nel maggio 2010. Il Network Nazionale per la Prevenzione del Disagio Psicosociale nei Luoghi di Lavoro, istituito dall’ISPESL nel 2007, ha elaborato una proposta metodologica che, ispirandosi ai principali modelli scientifici e allo studio pilota degli SPISAL della Provincia di Verona e del Centro clinico della stessa città, rappresenta l’indicazione minima per una corretta valutazione dello stress lavoro-correlato senza imporre oneri aggiuntivi, come raccomandato dal più volte citato Accordo europeo. Nel rispetto di quanto ancora previsto dall’art. 29 comma 5 del d.lgs. n. 81/08, viene confermato che le imprese che occupano fino a dieci lavoratori possano procedere all’autocertificazione, prevedendo per queste aziende un percorso di valutazione semplificato degli aspetti di contesto e contenuto del lavoro. Con riferimento alle aziende che occupano più di dieci lavoratori, la prima fase consiste nella raccolta, in un sistema di check list, delle informazioni relative all’impresa con la rilevazione degli indicatori aziendali, che riguardano gli indici infortunistici, le assenze dal lavoro, le ferie non godute. Segue la fase dell’analisi del contesto e del contenuto del lavoro, che raggruppano i parametri stressogeni raccomandati dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute del Lavoro. La somma dei punteggi attribuiti alle 3 aree consente di identificare il proprio posizionamento nella tabella dei livelli di rischio. Nel caso di rischio basso (fino al 25%), l’analisi degli indicatori non evidenzia la presenza di stress correlato al lavoro e l’unico obbligo per il datore di lavoro sarà ripetere la valutazione ogni due anni. 7


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Nel caso di rischio medio (maggiore del 25% e fino al 50%) l’analisi degli indicatori aziendali evidenzia condizioni organizzative che possono determinare la presenza di stress correlato al lavoro. Il primo obbligo sarà l’adozione di azioni di miglioramento mirate in modo specifico agli indicatori aziendali, di contesto e di contenuto sperando in un risultato positivo entro un anno; in caso contrario, sarà necessario procedere al secondo livello di approfondimento. Infine, nel caso in cui emerga un rischio alto (maggiore del 50%) di presenza di stress correlato al lavoro, si dovrà effettuare il secondo livello di approfondimento con la valutazione della percezione dello stress dei lavoratori, che permetterà di ottenere un numero statisticamente significativo di questionari/interviste o di strutturare focus group. La metodologia ISPESL – HSE, basata sui Management Standards britannici pubblicati, validati e implementati con successo su alcune centinaia di migliaia di lavoratori, provenienti da aziende di vari settori produttivi pubblici e privati nel Regno Unito e nella Repubblica d’Irlanda, è stata tradotta e contestualizzata alla luce del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i.. Il modello si propone di fornire a tutti i soggetti della prevenzione, i quali dovranno necessariamente essere coinvolti nella procedura di valutazione del rischio stress lavoro-correlato, un valido sostegno, basato su principi supportati dalla letteratura scientifica ed in linea con quanto previsto dal citato Accordo europeo dell’8 ottobre 2004. Il modello consiste in un approccio per fasi al processo di valutazione, basato sulle sei dimensioni organizzative chiave, riconosciute in letteratura scientifica come potenziali fattori di rischio stress lavorocorrelato, che sono: 1. Domanda; 2. Controllo; 3. Supporto; 4. Relazioni; 5. Ruolo; 6. Cambiamento. Di seguito si riportano le fasi salienti della procedura. Fase 1. Preparazione dell’organizzazione: In questa fase è necessario, prima di iniziare la valutazione del rischio stress lavoro-correlato, che il datore di lavoro garantisca anche il 8


Marco Masi

coinvolgimento dei dirigenti, dei preposti, del medico competente ove previsto, del responsabile e degli addetti al servizio di prevenzione e protezione, dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei lavoratori anche attraverso la costituzione di: - gruppo di coordinamento; - sviluppo di un piano di progetto, con garanzia sia di risorse adeguate, sia della disponibilità temporale del personale; - sviluppo di una strategia comunicativa e di coinvolgimento del personale. Fase 2. Identificazione dei fattori di rischio stress: conoscenza dei Management Standards I Management Standards fanno riferimento alle sei dimensioni organizzative chiave: Domanda, Controllo, Supporto, Relazioni, Ruolo e Cambiamento. É importante che i membri del gruppo di coordinamento, unitamente a tutti i soggetti coinvolti nel processo di valutazione del rischio, siano a conoscenza, anche attraverso percorsi informativi/formativi ad hoc, delle modalità della procedura valutativa. Fase 3. Raccolta dati: valutazione oggettiva e soggettiva Questa fase di raccolta dati avviene mediante: - tecniche di valutazione oggettiva, basate su fonti di informazioni e dati già disponibili all’interno dell’azienda, ad esempio i dati su assenze, infortuni, turnover, indicatori emergenti dal contributo del medico competente alla valutazione del rischio, etc; - tecniche di valutazione soggettiva dello stress lavoro-correlato da parte dei lavoratori, attraverso la somministrazione del questionario di valutazione della percezione soggettiva dello stress lavoro-correlato modello ISPESL-HSE – questionario indicatore – per la valutazione soggettiva dello stress lavoro-correlato, riportato in Appendice 1 alla guida, nella doppia versione in lingua italiana e tedesca, per le minoranze linguistiche della provincia autonoma di Bolzano. Punti di forza del questionario indicatore sono rappresentati da: - facile somministrabilità; - validazione effettuata, nella versione originale inglese, su oltre 26.000 lavoratori ed in corso di completamento in Italia; - autosufficienza delle figure della prevenzione presenti in azienda; 9


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- capacità di fornire informazioni di confronto con gruppi omogenei nella stessa azienda, nel corso di valutazioni successive o in aziende analoghe per dimensione o settore produttivo. In alternativa o in aggiunta al questionario indicatore, possono essere utilizzate altre tecniche per la raccolta di informazioni tra cui focus group, interviste e altri questionari (Deitinger et al, 2009). Indipendentemente dal modello di valutazione scelto, è importante avvalersi di varie fonti di informazioni, al fine di avere un quadro più preciso e completo della propria azienda. Fase 4. Valutazione del rischio: esplorare problemi e sviluppare soluzioni Una volta raccolte le informazioni iniziali, il datore di lavoro deve confermare i risultati ottenuti dalle fasi precedenti, analizzandone il significato anche in relazione a gruppi omogenei di lavoratori/specifici settori produttivi/reparti e sviluppare possibili soluzioni tramite costituzione di un focus group ad hoc con il coinvolgimento di un gruppo di lavoratori. Fase 5. Formalizzazione dei risultati: sviluppare ed implementare piano/i d’azione Giunti a questa fase del processo valutativo, i lavoratori sono stati già consultati, sono state esplorate le aree di intervento ed è stato individuato un percorso per l’adozione di eventuali misure preventive e correttive, utilizzando anche specifici piani d’azione in settori dell’azienda dove sono emerse criticità dall’analisi delle fasi precedenti. Fase 6. Monitoraggio e controllo del/i piano/i d’azione e valutazione della loro efficacia É essenziale monitorare nel tempo ogni provvedimento adottato per verificarne l’efficacia, con particolare riguardo alle criticità emerse nelle fasi precedenti. Il modello basato sui Management Standards britannici, come qualsiasi altro modello di valutazione dei rischi, è concepito per apportare regolari miglioramenti alla gestione dello stress lavorocorrelato ma viene riconosciuta la possibilità di utilizzare strumenti alternativi a quelli proposti, anche precedentemente utilizzati in azienda e in raccordo con le figure della prevenzione, sebbene non ne indichi nessuno in particolare. In tale ottica è fondamentale che il datore di lavoro si impegni, in maniera continuativa, a confrontarsi con i lavoratori, al fine di 10


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identificare e risolvere ogni problema riscontrato nell’ambiente di lavoro in grado di compromettere lo stato di salute del lavoratore e le prestazioni dell’organizzazione aziendale. Il modello presenta alcune criticità applicative dovute sia alla lunghezza del questionario indicatore che alle obiettive difficoltà di adozione in quanto presuppone un’organizzazione strutturale dell’azienda, senza dubbio auspicabile ma lontana dalla situazione reale delle piccole aziende che operano nel nostro Paese. A seguito delle iniziative di alcune Regioni, Toscana e Lombardia in primis, ma anche di esperti delle aziende sanitarie locali, delle Università e delle Associazioni scientifiche e dei professionisti (in questo senso si è anche orientata l’utile attività della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione), il Comitato tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro ha ritenuto necessario attivare uno specifico gruppo di lavoro. Il Gruppo si è insediato il 16 dicembre 2009 e la guida operativa è stata approvata il 25 marzo 2010. Secondo i suggerimenti dettati dalla guida, la valutazione si articola in due fasi e, ferma restando la facoltà di ogni azienda di condurre la valutazione del rischio tenendo conto sia di elementi oggettivi che soggettivi, la valutazione della percezione dello stress lavoro-correlato da parte dei lavoratori va obbligatoriamente introdotta solo nei casi in cui la valutazione degli indicatori oggettivi determini un’evidenza di rischio. Di seguito si riportano le due fasi del processo di valutazione. 1° fase: indicatori oggettivi di rischio La prima fase prende in esame elementi oggettivi e verificabili quali indicatori di stress lavoro-correlato e fattori di rischio inerenti all’organizzazione aziendale che, in coerenza con le indicazioni dell’accordo quadro e del documento dell’Agenzia Europea 2009, riguardano aree di contesto e di contenuto del lavoro come indicatori di pericolo stress lavoro-correlato e indicatori aziendali come conseguenze dello stress sull’azienda e sui lavoratori. Lista degli elementi da considerare: - indici infortunistici; - assenze per malattia; - ricambio del personale; - procedimenti e sanzioni; 11


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- segnalazioni del medico competente; - funzione e cultura organizzativa; - ruolo nell’ambito dell’organizzazione; - l’evoluzione e lo sviluppo di carriera; - autonomia decisionale e controllo; - rapporti interpersonali al lavoro; - interfaccia casa-lavoro; - ambiente di lavoro ed attrezzature; - pianificazione dei compiti; - carichi, ritmi di lavoro; - orario di lavoro, turni. Gli indicatori vanno analizzati attraverso liste di controllo che permettano una pesatura del rischio, per quanto possibile su indicatori verificabili, in quella azienda o partizione organizzativa o gruppo omogeneo. Possono essere utilizzate liste di controllo, applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione. Alla valutazione deve partecipare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza interno o territoriale. La scelta di chi rileva i dati “oggettivi” e, in particolare, le criticità è cruciale: il soggetto va individuato tra persone esperte conoscitrici della realtà aziendale, riconosciute dal management e dai lavoratori. La valutazione della prima fase deve consentire di quantificare il livello di rischio secondo una scala parametrica basso/medio/alto, ove per rischio basso si intende una condizione in cui non risultano necessari interventi di eliminazione o riduzione del rischio, ma solo una rivalutazione periodica. Il rischio non può essere definito basso quando l’analisi degli indicatori evidenzia condizioni organizzative che possono determinare la presenza di stress correlato al lavoro, tali da richiedere interventi di eliminazione o riduzione del rischio mirati. Nella condizione di rischio basso la valutazione si ferma alla prima fase e va ripetuta in caso di cambiamenti organizzativi aziendali o comunque almeno ogni due anni; quando il rischio non risulta basso si deve procedere ad una seconda fase di valutazione più approfondita. 2° fase: indagine della soggettività Quando dall’esame degli elementi oggettivi il rischio non risulta basso, si deve procedere al coinvolgimento dei lavoratori ed effettuare una valutazione della loro percezione dello stress lavoro-correlato. 12


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La valutazione soggettiva deve consentire di individuare con maggior precisione la natura del rischio da stress lavoro-correlato, al fine di mettere in atto misure per la gestione e la riduzione del rischio stress lavoro-correlato, la cui efficacia deve essere verificata attraverso un monitoraggio nel tempo, la cosiddetta valutazione periodica. Per la rilevazione della soggettività del gruppo di lavoratori, intesa come percezione collettiva dell’organizzazione del lavoro, si ricorre a metodi di indagine che possono comprendere, a seconda della specificità della situazione, questionari, focus group, interviste semistrutturate. L’uso di questi strumenti richiede professionalità specifiche, esperte delle tecniche adottate. Sono da escludere a priori tutti i test-questionari di matrice clinica: questi ultimi sono strumenti esclusivamente mirati a definire profili di personalità e ad individuare aspetti psicopatologici individuali, e non hanno nulla a che vedere con l’investigazione degli aspetti organizzativi di una azienda o istituzione. Vanno utilizzati questionari validi e attendibili; la “validazione” deve essere stata effettuata su un campione italiano e certificata da esperti della ricerca, non ritenendosi sufficiente tradurre questionari da lingue straniere e somministrarli “tout court” a lavoratori italiani, così come va garantito l’anonimato alle persone cui viene somministrato il questionario. La Guida non trascura di adeguare il processo di valutazione alla realtà delle piccole imprese. Viene chiarito, infatti, che nelle aziende con meno di 10 lavoratori, le cosiddette “microaziende” che in Italia costituiscono oltre il 90% delle imprese, l’uso di strumenti per la rilevazione della percezione soggettiva dei lavoratori non è generalmente indicato. Il percorso proposto per queste aziende di minori dimensioni è quello della valutazione oggettiva a cui seguono direttamente, se viene confermato il rischio, gli interventi di eliminazione o riduzione del rischio. Elementi soggettivi possono essere introdotti dalle segnalazioni da parte del medico competente e con modalità che favoriscono la partecipazione dei lavoratori alla discussione sulle soluzioni da attuare in relazione alle criticità percepite. Per ovviare al mancato ricorso agli strumenti per la rilevazione, è previsto che sia alla fase di valutazione che a quella di individuazione 13


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degli interventi correttivi e della loro attuazione debba partecipare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza interno o territoriale. Conclusioni L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) ha stimato che la perdita di PIL globale conseguente a decessi, infortuni e malattie legate al lavoro è circa 20 volte maggiore degli aiuti ufficiali allo sviluppo. In particolare, in Italia, il danno economico degli infortuni e delle malattie professionali, oltre a quello sociale ed umano, è superiore al 3% del PIL. Questo è quanto risulta da una recente analisi svolta dall’INAIL, in base alla quale il costo totale della mancata prevenzione nei luoghi di lavoro è risultato pari a 41,6 miliardi di euro (circa 35 mld per gli infortuni e 6,8 mld per le malattie professionali). L’evoluzione della società e della percezione della salute da parte dei cittadini pone nuove responsabilità alle Istituzioni: in presenza di una più diffusa e avvertita sensibilità per la qualità della vita, ci si interroga sempre più frequentemente sulle condizioni fisiche e di benessere della propria esperienza lavorativa e si avverte con maggior consapevolezza il diritto ad una vita e ad un ambiente qualitativamente migliori. Le forme nuove del lavoro, l’aumento dei ritmi lavorativi, l’ingresso e la rilevanza di nuove categorie di lavoratori, processi di decentramento ed esternalizzazione di interi cicli produttivi, che generano di fatto la diffusione di tipologie di lavoro a rischio di marginalità, richiedono un’opera di costante monitoraggio, nuovi strumenti di analisi e conseguentemente nuove metodologie di intervento coordinato. Sono dunque essenziali iniziative finalizzate alla costruzione di una reale culturale che permei il mondo del lavoro (ma anche della scuola e dell’Università) favorendo il miglioramento dei sistemi di gestione aziendali, anche attraverso lo strumento della certificazione sociale delle imprese e dei processi produttivi, consolidando la sicurezza e la salute nel lavoro come indicatore di “qualità” di impresa. Il primo intervento dovrà essere indirizzato al miglioramento del livello culturale, attraverso azioni di sensibilizzazione e formazione di tutti i soggetti della prevenzione aziendale, volti ad aumentare la consapevolezza sui vantaggi che possono derivare all’azienda, anche in termini economici, dalla diffusione del benessere lavorativo con riflessi anche sulla qualità della prestazione lavorativa. 14


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Il secondo potrà essere quello di fornire un supporto operativo ai lavoratori, alle imprese e alle loro associazioni nell’individuazione di soluzioni tecniche ed organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, come detta l’art. 51 del d.lgs. n. 81/08, oltre che attraverso l’elaborazione di buone prassi, soprattutto con l’attenzione rivolta alle piccole e micro-imprese. La terza direttrice invece delinea tematiche di particolare rilevanza per le Istituzioni che, a vario titolo, si occupano di prevenzione nei luoghi di lavoro, rispondenti al raggiungimento di diversi obiettivi fra cui meritano particolare considerazione:

il consolidamento degli strumenti di sorveglianza epidemiologica dei fenomeni avversi alla salute dei lavoratori che, facendo tesoro delle positive esperienze originate dal Protocollo d’intesa nazionale sottoscritto da Regioni e Province autonome, Ministeri, INAIL e ISPESL, elimini le persistenti dispersioni delle conoscenze;

la predisposizione di piani operativi, attraverso il confronto con le Parti sociali, contestualizzati nelle realtà regionali e territoriali e mirati a specifici comparti, cercando di cogliere e affrontare con efficacia i rischi emergenti per la salute e la sicurezza delle lavoratici e dei lavoratori.

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La gestione dello stress lavoro‐correlato dopo le indicazioni metodologiche della Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro1 di Michele Tiraboschi2 – Maria Giovannone3

1. Lo stress lavoro‐correlato nel d.lgs. n. 81/2008 L’articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevede che «la valutazione dei rischi […] deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004 […]». Tale disposizione, già all’indomani della sua approvazione, ha destato non poche difficoltà interpretative ed applicative, determinate principalmente dal fatto che sia l’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 sia l’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008 che lo ha recepito, forniscono criteri e parametri troppo generici per poter essere utilizzati con la certezza che, al contrario, merita un obbligo sanzionato penalmente. Ciò sia con riferimento alle indicazioni metodologiche operative, ai fini della attività di valutazione dei rischi da stress, sia per quanto concerne le misure finalizzate a prevenire, ridurre ed eliminare i problemi di stress. 1

Il presente contributo riprende con alcune variazioni l’articolo pubblicato dai medesimi autori dal titolo Valutazione stress lavoro-correlato: indicazioni dalla Commissione consultiva, in Guida al Lavoro, Il Sole 24 Ore, n. 42 del 26 Novembre 2010. 2 Direttore Centro Studi Marco Biagi, Università di Modena e Reggio Emilia. 3 Ricercatrice ADAPT – CSMB Università di Modena e Reggio Emilia, Esperta del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, comitato n. 6 per la valutazione dello stress lavoro-correlato (art. 6, co.8, lett. m-quater d.lgs. n. 81/2008).

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Queste sono le ragioni alla base delle ripetute proroghe del termine di entrata in vigore del relativo obbligo, prima al 16 maggio 20094 e successivamente al 1° agosto 20105. Tuttavia, a partire già dalla prima data, la disposizione in oggetto era divenuta vigente ed i datori di lavoro − in mancanza di provvedimenti legislativi o regolamentari che fornissero indicazioni operative chiare ed uniformi in tutto il territorio nazionale − si sono trovati in forte difficoltà sia per quanto concerne l’individuazione delle cosiddette “aree critiche”, secondo i parametri stabiliti dall’accordo interconfederale, sia nel mettere a punto una valida metodologia di valutazione e gestione organizzativa del rischio6. Invero, come rimarcato dagli organismi comunitari e dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, lo stress è un fenomeno allarmante non solo per l’individuo – poiché può comportare disturbi psicologici e fisici – ma anche per le aziende, producendo: assenteismo, frequente avvicendamento del personale, problemi disciplinari, comunicazione aggressiva e, di conseguenza, riduzione della produttività, bassa qualità del prodotto, maggiore frequenza degli infortuni. Dunque, la mancata o inadeguata gestione di tale fenomeno determina elevati costi sia per la salute dei lavoratori e per l’equilibrio delle loro famiglie che per le aziende e la collettività tutta (si pensi, in particolare, all’aumento dei costi legati alle spese mediche ed agli indennizzi). Per fronteggiare tali difficoltà, il correttivo al Testo Unico sicurezza (d. lgs. n. 106/2009) ha espressamente investito la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro (organo consultivo tripartito istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali), di elaborare le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato (art. 6, co. 8, lett. m-quater). Il correttivo ha ribadito e rafforzato il principio in forza del quale la valutazione dei rischi da lavoro, obbligo del datore di lavoro pubblico e 4

La disposizione legislativa che ha procrastinato l’entrata in vigore dell’obbligo in oggetto al 16 maggio 2009 è l’art. 32, comma 2, del d.l. n. 207/2008, convertito in l. n. 14/2009. Tuttavia, rileva che l’art. 4, comma 2-bis, del d.l. n. 97/2008 aveva già rinviato l’entrata in vigore del suddetto obbligo al 1° gennaio 2009. 5 Termine così individuato dall’articolo 28, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008, così come modificato dal decreto legislativo n. 106 del 2009. 6 Si veda A. Antonucci, Il rischio da stress lavoro-correlato, in M. Tiraboschi, M. Fantini (a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro dopo il correttivo (d. lgs. n. 106/2009), Giuffrè, Milano, 2009, pp. 48-51.

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privato e attività pregiudiziale a qualsiasi intervento di tipo organizzativo e gestionale in azienda, deve comprendere “tutti i rischi” per la salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori; non solo, quindi, i fattori di rischio “tradizionali” (come, ad esempio, i rischi relativi all’uso di sostanze pericolose o di macchine), quanto anche rischi di tipo “immateriale”, tra i quali, espressamente, quelli che riguardano lo stress lavoro-correlato, quale definito dal citato accordo europeo. Per effetto dello stesso l’entrata in vigore della valutazione del rischio stress lavoro-correlato decorreva così «dalla elaborazione delle predette indicazioni e comunque, anche in difetto di tale elaborazione, a far data dal 1° agosto 2010» (articolo 28, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008, così come modificato dal decreto legislativo n. 106 del 2009). In verità, instauratosi nel febbraio 2010, il comitato tecnico n. 6 impegnato in seno alla Commissione nella attività istruttoria, dibattimentale e redazionale relativa alla suddette indicazioni metodologiche, tale termine di decorrenza è stato ulteriormente prorogato al 31 Dicembre 20107. 2. Le indicazioni metodologiche per la valutazione dello stress lavoro‐correlato della Commissione Consultiva ex art. 6, d. lgs. n. 81/2008 2.1 Iter di approvazione e finalità In anticipo rispetto al termine di legge (individuato, infine, nel 31 dicembre 2010), dopo ampia e articolata discussione sul tema, la Commissione consultiva ha approvato, alla riunione del 17 novembre 2010, le indicazioni in oggetto provvedendo, in tal modo, a fornire agli operatori indicazioni metodologiche necessarie ad un corretto adempimento dell’obbligo di valutare il rischio da stress lavoro-correlato. Le indicazioni sono state diffuse con lettera circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 18 novembre 2010, sulla scorta del lavoro svolto nel corso dell’anno 2010 dal comitato tecnico n. 6, della 7

Termine così prorogato per effetto del d.l. n. 78/2010 e, successivamente per tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, dalla L. n. 122/2010.

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Commissione Consultiva permanente, composto da rappresentati delle parti sociali, esponenti delle pubbliche istituzioni e professionisti esperti in materia, sotto il coordinamento e la presidenza del Ministero del Lavoro. Come noto l’adozione del documento intende superare le difficoltà operative ripetutamente segnalate in ordine alla individuazione delle corrette modalità di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, resa definitivamente obbligatoria dall’art. 28 del Testo Unico della salute e sicurezza sul lavoro. Esso nel complesso è ispirato ai seguenti principi: 1) brevità e semplicità, in quanto destinato ad un utilizzo ampio e riferito ad imprese non necessariamente munite di strutture di supporto in possesso di specifiche competenze sul tema; 2) individuazione di una metodologia applicabile ad ogni organizzazione di lavoro, indipendentemente dalla sua dimensione, e che permetta una prima ricognizione degli indicatori e dei fattori di rischio da stress lavoro-correlato; 3) applicazione di tale metodologia, in ottemperanza al dettato letterale di cui al citato articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008, e s.m.i., a “gruppi di lavoratori” esposti, in maniera omogenea, allo stress lavoro-correlato e non al “singolo” lavoratore, il quale potrebbe avere una sua peculiare percezione delle condizioni di lavoro; 4) individuazione di una metodologia di maggiore complessità rispetto alla prima ma eventuale, destinata ad essere necessariamente utilizzata ove la precedente fase di analisi e la conseguente azione correttiva non abbia, in sede di successiva verifica, dimostrato un abbattimento del rischio da stress lavoro-correlato; 5) valorizzazione, in un contesto di pieno rispetto delle previsioni di cui ai corrispondenti articoli del “Testo unico”, delle prerogative e delle facoltà dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei medici competenti; 6) individuazione di un periodo “transitorio”, per quanto di durata limitata, per la programmazione ed il completamento delle attività da parte dei soggetti obbligati. La delineazione delle suddette indicazioni metodologiche è stata un risultato tutt’altro che scontato, poiché da tempo posta al centro di un delicato dibattito tra Stato, Regioni, Parti sociali, organi ispettivi, 19


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professionisti ed addetti ai lavori, acuitosi nel corso 2010 a causa della difficoltà di definire in modo unanime le specifiche metodologie attraverso cui si debba pervenire alla valutazione di detto rischio. Più in particolare le difficoltà hanno riguardato in primis l’individuazione delle cosiddette “aree critiche”, secondo i parametri stabiliti dall’accordo interconfederale del 9 giugno 2008, sia la messa a punto di una valida metodologia di valutazione del rischio da stress e la predisposizione di specifici strumenti di indagine, sia, infine, l’attuazione di misure organizzative o formative di prevenzione e protezione dallo stress lavoro-correlato. Al centro della questione, invero, non è stata tanto la obbligatorietà della valutazione del suddetto rischio, quanto la opportunità di introdurre metodologie minime obbligatorie di valutazione scientificamente validate per la rilevazione oggettiva delle incongruenze organizzative dell’attività lavorativa e di definire la natura e tipologia di tali fattori e, in secondo luogo, la necessità di misurare il disagio dei lavoratori e la loro percezione soggettiva del rischio. Dall’altra parte, molto sentita era anche l’esigenza di mettere a punto uno strumento valido scientificamente ma al contempo non troppo oneroso e realisticamente gestibile dai datori di lavoro in prima persona affinché non si rendesse obbligatorio il ricorso alla sorveglianza sanitaria ed al supporto di figure professionali ad hoc extra-aziendali. Altresì acceso è stato il dibattito rivolto all’individuazione degli attori responsabili delle attività di valutazione e gestione dello stress, ritenuto in certi casi un rischio non solo particolare, ma tanto eccentrico rispetto ai rischi cosiddetti classici, da giustificare una deviazione dalla impostazione della valutazione dei rischi di cui agli artt. 17, 28 e 29 del d.lgs. n. 81/2008 ed un coinvolgimento obbligatorio di figure soggettive non previamente previste dal legislatore ed estranee al contesto produttivo standard. Particolarmente problematica, sul punto, da una parte la valutazione del ruolo e del coinvolgimento attivo dei lavoratori direttamente o per il tramite dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza mediante lo strumento della consultazione, dall’altra l’opportunità o meno di “medicalizzare” le attività di valutazione e gestione dello stress, al punto da ritagliare spazi non contemplati ex lege alla sorveglianza sanitaria obbligatoria e nuovi compiti istituzionali per il medico competente. 20


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Alla luce di tale dibattito, in definitiva, le indicazioni metodologiche sono state elaborate nei limiti e per le finalità puntualmente individuati dalla legge tenendo conto dell’ampia produzione scientifica disponibile sul tema e delle proposte pervenute all’interno della Commissione consultiva e sono state redatte secondo criteri di semplicità, brevità e comprensibilità. Va rilevato al riguardo che la letteratura psicosociale ed organizzativa aveva già da tempo sperimentato e validato strumenti di misurazione e rilevazione dello stress lavoro-correlato. Si è trattato nella maggior parte dei casi di questionari da somministrare ai lavoratori, le cui risposte possono fornire elementi conoscitivi sulla eventuale presenza o meno di stress lavoro-correlato8, di progetti regionali e relative linee di indirizzo o ancora di diverse metodologie e strumenti di indagine, quali focus groups o incontri con testimoni privilegiati, quali il medico competente, i responsabili del servizio di prevenzione e protezione, il rappresentante dei lavoratori9. D’altro canto a livello istituzionale, sia regionale che centrale, non è mancata l’elaborazione di linee di indirizzo metodologiche e schemi esemplificativi per la valutazione dello stress lavoro-correlato10. A differenza di questi strumenti, tuttavia, l’obiettivo delle indicazioni metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato della Commissione Consultiva permanente, è quello di indicare a tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, come parte integrante della valutazione dei rischi 8

Si pensi al JCQ (Job Contest Questionnaire) di Karasek del 1998, al questionario Benessere Organizzativo PA-cantieri di Avallone del 2004, il Q-Bo nonché al test di valutazione del rischio stress lavoro-correlato nella prospettiva del benessere organizzativo di De Carlo del 2008. 9 Per una rassegna completa degli strumenti per la valutazione dei rischi psicosociali sui luoghi di lavoro, si legga il contributo di N. Magnavita, Strumenti per la valutazione dei rischi psicosociali sul lavoro, in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, suppl. A, Psicologia, 2008, vol. 30, n. 1. 10 Si allude in particolare a livello regionale alla Guida operativa per la valutazione dello stress lavoro-correlato elaborata dal Coordinamento Tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro del marzo 2010, nonchè a livello centrale ai modelli messi a punto dall’Ispesl, tra cui da ultimo l’Approccio integrato secondo il Modello Management Standard HSE contestualizzato alla luce del d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i., del maggio 2010.

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e protocollo effettuato e gestito direttamente dal datore di lavoro avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. In linea con il pieno rispetto delle previsioni di legge, esse non introducono pertanto nuovi obblighi né un’alterazione del normale impianto della valutazione dei rischi di cui al d.lgs. n. 81/2008. A tale scopo, va chiarito che le necessarie attività devono essere compiute con riferimento a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti. La valutazione prende in esame non singoli ma gruppi omogenei di lavoratori (per esempio, per mansioni o partizioni organizzative) che risultino esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale (potrebbero essere, ad esempio, i turnisti, i dipendenti di un determinato settore oppure chi svolge la medesima mansione, etc.). Il testo così approvato è dunque il frutto di un’operazione di concertazione e condivisione equilibrata volta a dare ai datori di lavoro indicazioni minime obbligatorie, chiare, gestibili direttamente e in ogni caso implementabili in melius su base meramente volontaristica, quindi a discrezione del datore di lavoro e solo in senso più favorevole per i lavoratori. 2.2 I contenuti e la metodologia Per definire i rischi collegati allo stress lavorativo, la Commissione ha guardato senza dubbio all’Europa, richiamando espressamente l’Accordo europeo sullo stress sul lavoro dell’8 ottobre 200411, come recepito dall’Accordo interconfederale del 9 giugno 200812. 11

In Italia, poco prima dell’Accordo Europeo, è stata emanata la Direttiva del 24 marzo 2004 del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri che riporta le “Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni”. Tale direttiva, pur riguardando il solo settore pubblico ha il merito di aver indicato le motivazioni per l’adozione di misure finalizzate ad accrescere il benessere organizzativo, le indicazioni da seguire, le variabili critiche da considerare e il processo per il miglioramento. 12 Il recepimento è avvenuto mediante la traduzione in lingua italiana dell’Accordo europeo.

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Si conferma l’ obiettivo di offrire ai datori di lavoro un modello che consenta di individuare, prevenire e gestire i problemi legati allo stress lavoro-correlato, lasciando fuori da tale attività fenomeni come la violenza sul lavoro, la sopraffazione sul lavoro, lo stress post-traumatico, il mobbing13, lo straining14 e tutte quelle situazioni in cui vi è una volontà soggettiva individuabile di provocare un danno al lavoratore. Oggetto dell’intervento legislativo è, quindi, lo stress lavoro-correlato definitivo come «condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro». Il modello introdotto si ispira al criterio della diretta gestione organizzativa da parte dei soggetti aziendali e della progressività delle azioni di valutazione. Esso, infatti, si articola in due fasi: una necessaria (la valutazione preliminare); l’altra eventuale, da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli elementi di rischio da stress lavorocorrelato e le misure di correzione adottate a seguito della stessa, dal datore di lavoro, si rivelino inefficaci. La prima consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili ove possibile numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno a tre distinte famiglie: Eventi sentinella; Fattori di contenuto del lavoro; Fattori di contesto del lavoro. I primi fanno riferimento a titolo esemplificativo a fattori quali gli indici infortunistici; le assenze per malattia; l’eccessivo turnover; il numero di procedimenti e sanzioni; le segnalazioni formali del medico competente; le specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori, da valutarsi sempre sulla base di parametri omogenei individuati internamente alla azienda. Diversamente, i fattori di contenuto del lavoro si riferiscono all’ ambiente di lavoro e alle attrezzature, all’andamento dei carichi e dei 13

Per mobbing si intendono atti e comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti pubblici o privati da parte di un datore di lavoro o altri dipendenti che costituiscono una forma di persecuzione psicologica o di violenza morale. 14 Per straining si intende una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo; azione che, oltre ad essere stressante, è caratterizzata da una durata costante.

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ritmi di lavoro, nonché all’orario di lavoro e alla corrispondenza tra le competenze dei lavoratori ed i requisiti professionali richiesti. Per fattori di contesto si intendono invece il ruolo ricoperto nell’ambito dell’organizzazione; i livelli di autonomia decisionale e controllo; i conflitti interpersonali sul lavoro; l’evoluzione e sviluppo di carriera; la comunicazione. Nella fase di valutazione preliminare, le indicazioni metodologiche prevedono l’impiego di liste di controllo utilizzabili direttamente dai soggetti aziendali della prevenzione che consentano una valutazione oggettiva, complessiva e, quando possibile, parametrica dei fattori che precedono. In relazione alla valutazione della seconda e terza famiglia di fattori, poi, il documento prevede la necessità di sentire i lavoratori e le lavoratrici e/o il/i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza a discrezione del datore di lavoro. Si chiarisce tuttavia che tale obbligo, nelle aziende di maggiori dimensioni, può essere adempiuto mediante l’audizione di un campione rappresentativo di lavoratori. Ove dalla valutazione preliminare non emergano elementi di rischio da stress lavoro-correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, il datore di lavoro sarà unicamente tenuto a darne conto nel Documento di Valutazione del Rischio ed a prevedere un piano di monitoraggio. Diversamente, nel caso in cui si rilevino elementi di rischio da stress lavoro-correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla pianificazione ed all’adozione degli opportuni interventi correttivi (ad esempio, interventi organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, formativi, etc.). Ove gli interventi correttivi risultino inefficaci, si procede, nei tempi che la stessa impresa definisce nella pianificazione degli interventi, alla fase di valutazione successiva (c.d. valutazione approfondita). La valutazione approfondita prevede la valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori sulle famiglie di fattori/indicatori di cui all’elenco sopra riportato, attraverso differenti strumenti quali questionari, focus group, interviste semi-strutturate. Anche tale fase fa riferimento ovviamente ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche. Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile che tale fase di indagine venga realizzata tramite un campione rappresentativo di lavoratori. 24


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Particolare attenzione è rivolta alle imprese di piccole dimensioni, con la previsione che in quelle che occupano fino a 5 lavoratori, in luogo dei predetti strumenti di valutazione approfondita, il datore di lavoro possa scegliere di utilizzare modalità di valutazione (es. riunioni), che garantiscano il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia. Il testo si presenta così in piena linea di coerenza con il citato Accordo europeo e con l’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008, che ne ha trasposto i contenuti nel nostro ordinamento, poiché ne riproduce la ratio sostanziale. Del resto non avrebbe potuto essere diversamente dato che, proprio l’accordo europeo, è stato sin dall’inizio posto dal legislatore del Testo Unico quale “sintesi dei principi e criteri direttivi” per la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato e per la redazione delle indicazioni della Commissione. 2.3 La messa a regime La decorrenza delle indicazioni e dell’obbligo di valutazione ex art. 28, comma 1-bis, del d.lgs. n. 81/2008, era prevista al 31 Dicembre 2010. Tale data è stata subito intesa come data di avvio delle attività di valutazione non già momento di conclusione dell’espletamento di tale obbligo. A tal riguardo sono molte chiare le disposizioni transitorie e finali delle Indicazioni della Commissione consultiva, nel sottolineare che la programmazione temporale delle suddette attività di valutazione e l’indicazione del termine finale di espletamento delle stesse devono essere riportate nel documento di valutazione dei rischi e che gli organi di vigilanza, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di propria competenza, terranno conto della decorrenza e della programmazione temporale di cui al precedente periodo. A pochi mesi dallo spirare di detto termine, si attendono ora i primi risultati della messa a regime dello strumento in un contesto produttivo in cui si sono moltiplicate nel frattempo pratiche di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, più o meno affidabili. Si ribadisce, infatti, che tali prassi devono necessariamente cedere il passo – quanto meno per le parti non corrispondenti ed al di sotto della soglia minima di tutela affermata dalle Indicazioni della Commissione – alla nuova metodologia 25


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che rappresenta lo standard minimo inderogabile, modificabile esclusivamente a favore di lavoratori. Altrettanto incisivo il periodo di chiusura secondo cui i datori di lavoro che, alla data della approvazione delle indicazioni metodologiche, abbiano già effettuato la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato coerentemente ai contenuti dell’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004 – così come recepito dall’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008 – non debbono ripetere l’indagine, ma sono unicamente tenuti all’aggiornamento della medesima nelle ipotesi previste dall’articolo 29, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008, secondo quanto indicato nel documento stesso. Strategico nel complesso il fatto che, allo scopo di garantire la verifica dell’efficacia della metodologia indicata, anche per valutare l’opportunità di integrazioni alla medesima, la Commissione Consultiva si è opportunamente riservata di elaborare una relazione entro 24 mesi dalla approvazione delle presenti indicazioni metodologiche, a seguito dello svolgimento del monitoraggio sulle attività realizzate.

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Fabio Pontrandolfi

Le indicazioni metodologiche della Commissione consultiva permanente per la valutazione dello stress lavoro‐correlato di Fabio Pontrandolfi1

Con l’elaborazione delle indicazioni metodologiche da parte della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, si è concluso l’iter di attuazione dell’accordo sullo stress lavoro-correlato siglato tra le parti sociali europee BUSINESSEUROPE, UEAPME, ETUC e CEEP l’8 ottobre 2004. L’accordo era volto ad anticipare una decisione della Commissione europea; successivamente, i suoi contenuti sono stati recepiti dal legislatore italiano nell’ambito della valutazione dei rischi (D. Lgs. n. 81/2008) e sono stati trasposti in un accordo interconfederale, concluso tra le parti sociali nel 2008. Un tema complesso, che ha richiesto il ripetuto rinvio della decorrenza dell’obbligo di valutazione ed un maggiore affinamento della metodologia di valutazione, affidato alle indicazioni della Commissione consultiva permanente, appositamente incaricata di elaborare una procedura condivisa e caratterizzata da semplicità, brevità e comprensibilità. Della Commissione fanno parte, secondo quanto previsto dall’art. 6 del D. Lgs. n. 81/2008, dieci rappresentanti dei Ministeri, dieci delle Regioni e venti delle parti sociali. Evidente la scelta delle parti sociali (opportunamente colta dal legislatore): far proprio un tema così delicato e sensibile per le relazioni in azienda. Questo anche perché intorno al tema si erano sviluppati contenziosi e, soprattutto, teorie, congetture, proposte e posizioni, alcune

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Responsabile per le materie di sicurezza e affari sociali nell’Area relazioni industriali, sicurezza e affari sociali di Confindustria.

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delle quali serie e responsabilmente caute, altre più apoditticamente assertive di alcune modalità di valutazione2. Il riferimento della legge alle indicazioni della Commissione pone nel nulla tutte quelle proposte ed interpretazioni, a prescindere dal loro valore scientifico. Da oggi, ogni differente modello o procedura, per quanto scientificamente valido, non ha la stessa valenza giuridica delle indicazioni della Commissione, ossia la presunzione (semplice) del rispetto dell’obbligo di legge e non se ne potrà chiedere l’applicazione al posto delle indicazioni della Commissione. In sintesi, alcuni dei tratti essenziali e delle scelte presenti nel documento. • Le indicazioni sono volutamente strutturate in modo tale da essere utilizzabili direttamente dal datore di lavoro, con il supporto dei soggetti aziendali della sicurezza, senza che occorra alcun sostegno consulenziale esterno, salvo diversa volontà del datore di lavoro stesso. • I lavori si sono svolti nella piena consapevolezza dell’esistenza di una pluralità di modelli scientificamente validi per la valutazione dello stress. La scelta, però, è stata coerente – né poteva essere diversamente – con i contenuti della direttiva europea n. 89/391, del D. Lgs. n. 81/2008 e dell’Accordo interconfederale del 2008: è stata orientata verso un approccio minimale, concreto ed aperto alla logica del miglioramento. • Sul piano metodologico, la scelta della Commissione è caduta sull’esigenza di progettare la valutazione come una procedura. La valutazione avviene, infatti, per fasi successive, alternate da verifiche e monitoraggi e dall’adozione delle eventuali misure necessarie. In questo senso, è particolarmente importante la disciplina intertemporale: la data del 31 dicembre 2010 segna l’inizio della valutazione (in coerenza con la decorrenza di legge dell’obbligo di effettuare la valutazione3), sulla base 2

L’emanazione delle indicazioni metodologiche ha dato spazio a molte critiche, sia sul piano giuridico che dagli specialisti del settore, non tutte supportate, per la verità, da un reale approccio costruttivo, quanto, piuttosto, da interessi di settore. La Commissione per prima ha ritenuto opportuno introdurre un biennio di sperimentazione per evidenziare criticità nell’applicazione delle indicazioni, ben consapevole della difficoltà del tema. 3 Le successive proroghe introdotte dal legislatore con riguardo all’obbligo di valutazione dello stress lavoro-correlato hanno comportato lo slittamento del termine di decorrenza dell’obbligo al 31 dicembre 2010. La novità e le criticità relative alla novità del tema hanno giustamente indotto il legislatore a individuare le più corrette modalità (segue)

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Fabio Pontrandolfi

del relativo programma, che va delineato nel documento di valutazione dei rischi entro la fine del 2010. Il cuore della metodologia individuata dalla Commissione sono, dunque, le valutazioni, le azioni ed i monitoraggi che, distribuiti all’interno di una corretta e chiara programmazione delle attività, prendono avvio dal 31 dicembre 2010. • Il documento rispecchia l’intenzione di mettere a disposizione delle imprese un testo semplice, pienamente gestibile e non configurabile come un adempimento meramente formale e burocratico. La procedura prevede solamente due fasi, delle quali la seconda, di approfondimento, è eventuale e sconta la possibile insufficienza degli interventi adottati nella prima fase obbligatoria. Nella semplicità risiede uno dei maggiori valori delle indicazioni della Commissione, che si dovrà riflettere anche nella redazione del relativo documento di valutazione dei rischi: una scelta condivisa da tutto il tavolo, palese dimostrazione che una vera tutela deve preferire la sostanza alla forma, la semplicità alla complessità, la condivisione all’imposizione. • La procedura rispetta consapevolmente le notevoli differenze che inevitabilmente connotano le diverse imprese, per dimensioni, rischi ed organizzazione. In questo senso, le indicazioni sono flessibili e rivestono un carattere minimale, per cui il datore di lavoro potrà liberamente integrarle secondo approcci più complessi. • Sono stati confermati i criteri di valutazione presenti nell’accordo europeo del 2004: nella piena consapevolezza dell’esistenza di altri parametri scientificamente validi al livello europeo e mondiale, la Commissione ha scelto di adottare quelli già condivisi dalle parti sociali in sede di accordo europeo. • I parametri per la valutazione della presenza di stress (indicatori e fattori) vanno sempre considerati complessivamente, in chiave oggettiva, in relazione alla precedente esperienza aziendale e chiarendone bene le cause, per evitare – sia nella fase obbligatoria che in quella di approfondimento eventuale – giudizi e valutazioni incoerenti con le finalità della norma. Una valutazione coerente con le indicazioni metodologiche e con la legge è orientata alle logiche sostanziali, con le quali sono stati condivisi l’Accordo europeo e quello interconfederale e per consentire una valutazione coerente con la normativa in materia di salute e sicurezza. Le indicazioni, quindi, sono intervenute con anticipo rispetto al termine di legge.

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con cui è stato chiesto al legislatore di assumerne i contenuti nel D. Lgs. n. 81/2008. • Confermato lo svolgimento della valutazione con riferimento ai gruppi omogenei di lavoratori e non all’intera indistinta compagine aziendale. Ciò non vuol dire che non si debbano indagare tutti i lavoratori, ma che la logica seguita dalla Commissione è quella dell’indagine seria e responsabile, non quella dei quiz e dei test indiscriminatamente somministrati in prima battuta. I questionari, infatti, sono indicati solamente in relazione alla seconda fase, eventuale, di approfondimento. • La valutazione del fattore stress si colloca all’interno della normale valutazione dei rischi e non costituisce un fatto eccezionale: questa la precisa scelta operata fra Stato, Regioni e parti sociali. Molte le implicazioni di questa scelta, rispetto a quella diversa, pur astrattamente possibile, di adottare una separata politica sullo stress. In particolare, la conferma del ruolo e delle modalità di coinvolgimento dei soggetti aziendali della prevenzione. Ciò vale anche per i rappresentanti dei lavoratori, il cui contributo è peraltro rafforzato per la valenza che può assumere nella valutazione. Rimane fermo, ovviamente, che le misure sono decise dal datore di lavoro e poi adottate in collaborazione con i lavoratori. • È stato unanimemente escluso che il tema possa essere affrontato in chiave sanitaria: non è stata, quindi, introdotta alcuna ulteriore ipotesi di sorveglianza sanitaria obbligatoria. Il medico competente è, tuttavia, chiamato a dare un contributo essenziale e decisivo nella valutazione. Va però tenuto presente che lo stress non costituisce una malattia, per cui non si configura un’ipotesi di sorveglianza sanitaria obbligatoria. Va infatti ricordato che lo stress rileva non quale rischio in sé (costituisce, infatti, una condizione), ma in quanto incida sui rischi tradizionali presenti in azienda, secondo quanto espressamente recita l’Accordo interconfederale. L’accordo e l’approccio scientifico internazionale sono, su questo punto, chiari: lo stress è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale. Non è una malattia, ma comunque si ritiene che una situazione di prolungata tensione possa ridurre l’efficienza sul lavoro e determinare un cattivo stato di salute. Sul piano scientifico, la teoria oggi più seguita, quella c.d. transazionale, identifica lo stress nel risultato di un processo costante e 30


Fabio Pontrandolfi

continuo di scambio e di interazione tra individuo ed ambiente (Lazarus, 1991). Evidente l’assenza di profili penalistici, conseguenti solamente ad un’eventuale lesione della salute, qui inesistente. • La valutazione deve tener conto dello stress correlato al lavoro e, cioè, agli aspetti di contenuto e di contesto del lavoro, così escludendo opportunamente fattori extralavorativi. Non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato: la dizione dell’accordo rende evidente la netta distinzione. Questa necessaria ed espressa conferma consente di fare anche chiarezza su quanto sempre più spesso si sente affermare in ordine alla rilevanza, quale fattore di stress, della situazione economica mondiale, della flessibilità organizzativa delle imprese, della c.d. precarietà, delle scelte di politica sociale europea in termini di flexicurity. Si tratta di fattori dei quali non può essere onerato direttamente il datore di lavoro e che non possono rientrare nella valutazione dei rischi. Altrettanto è a dirsi con riferimento al tema del benessere organizzativo, spesso identificato come obbligo posto in carico al datore di lavoro. È evidente la palese erroneità della affermazione. Compito del datore di lavoro non è quello di assicurare il benessere, che dipende, invece, da un complesso di fattori non riferibili al singolo imprenditore, ma alla famiglia e, più in particolare, al sistema di welfare nazionale e, quindi, alle politiche previdenziali, lavoristiche, assistenziali e sociali (di qui, anche l’improprietà del recepimento della nozione di salute dell’OMS ai fini della tutela della salute e sicurezza sul lavoro). • Il documento rappresenta un’efficace sintesi tra le posizioni espresse da soggetti diversi, ciascuno portatore di differenti esigenze e punti di vista. Lo Stato, le Regioni e le parti sociali hanno condiviso una integrazione ad una norma penale su espresso rinvio della legge. E lo faranno ancora, viste le competenze della Commissione consultiva permanente. Impossibile negare le positive conseguenze di questa impostazione normativa, una delle principali innovazioni introdotte dal D. Lgs. n. 81/2008, che dovrebbe consentire una maggiore certezza del diritto per le imprese, nel momento in cui, come impone la inattuata giurisprudenza costituzionale, si riduce la discrezionalità dell’interprete che agisce a posteriori. In questo modo, si offre, invece, la chiave di lettura della norma ex ante Ora si tratta di dare attuazione alla procedura individuata nelle indicazioni della Commissione. L’auspicio è che, in questa fase, i 31


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soggetti che in Commissione hanno condiviso criteri e contenuti delle indicazioni metodologiche li confermino anche nella fondamentale fase della vigilanza. In questo senso sarebbe (giuridicamente) improprio pretendere dalle aziende una valutazione utilizzando metodiche e tempi differenti da quelli approvati dalla Commissione o pretendere la nomina del medico competente. Ovviamente, le imprese sono chiamate ad una valutazione che richiede un approccio innovativo, differente da quello tradizionale e dovranno, quindi, dare una piena e corretta attuazione alle indicazioni, che assicurano la coerenza con la normativa vigente e con i contenuti dell’Accordo europeo del 2004. Anche per queste considerazioni, la Commissione ha previsto espressamente la possibilità di integrare le indicazioni dopo due anni dalla loro emanazione. Un auspicio di coerenza con le indicazioni riguarda anche l’eventuale contenzioso. Le indicazioni della Commissione, in prima battuta diffuse con lo strumento della “lettera circolare”, costituiscono una integrazione della noma che le richiama espressamente (“La valutazione è effettuata nel rispetto delle indicazioni” della Commissione). Non si tratta, quindi, di un’interpretazione ma di un elemento costitutivo della fattispecie legale, per cui i relativi contenuti – tutti, comprese le cadenze temporali indicate – sono norma di legge, penale4. Conferma ne sia la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avviso relativo all’emanazione delle indicazioni metodologiche della Commissione consultiva. Lo stesso dicasi per tutti i rinvii contenuti nel D.Lgs n. 81/2008 (ivi compresi quelli alla contrattazione collettiva), destinati, in futuro, ad integrare la fattispecie normativa.

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Questo aspetto è decisivo per negare legittimità alle osservazioni critiche fondate sulla presunta natura amministrativa dell’atto adottato dalla Commissione consultiva ed alla sua portata rispetto alla normativa di livello primario.

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SECONDA PARTE: ASPETTI VALUTATIVI

Massimo Servadio Andrea Cirincione Priscilla Dusi Luigi Dal Cason Giuseppe Bonifaci


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Massimo Servadio

La valutazione del rischio da stress lavoro correlato: l’analisi organizzativa e le risposte del management aziendale di Massimo Servadio1

Il fenomeno del disagio lavorativo è in costante aumento (tra il 50 e il 60% delle giornate lavorative perse in un anno è correlato allo stress lavorativo). Le aree di variabili che rendono emergenti i rischi psicosociali sono: 1) Utilizzo di nuove forme di contratto di lavoro (contratti precari) e l’incertezza e l’insicurezza del lavoro (scarsità di lavoro); 2) Forza lavoro sempre più anziana (poco flessibile e poco adattabile ai cambiamenti) per mancanza di adeguato turn-over; 3) Alti carichi di lavoro (pressione da parte del management); 4) Tensione emotiva elevata (per violenze e conflittualità sistematiche sul lavoro); 5) Interferenze e squilibrio tra lavoro e vita privata. Tra i principali fattori di rischio stress correlato al lavoro vi sono: lavorare a ritmo molto sostenuto e con scadenze strette; interruzioni impreviste sul lavoro; discrepanza tra capacità ed esigenze (richieste/imposte) dal lavoro. Gli studi stimano che lo stress correlato al lavoro costi da solo alle imprese circa 20 miliardi di euro in assenteismo e relativi costi sanitari2. 1

Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, esperto di analisi organizzativa e gestione risorse umane. Referente nazionale AiFOS del Gruppo di Studio “Stress lavoro-correlato”. www.massimoservadio.com - servadio@massimoservadio.com. 2 Note e dati ricavati dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro.

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Distribuzione di alcuni fattori di rischio per lo stress correlato al lavoro

Non vi sono differenze significative di genere nella prevalenza di rischi psicosociali per la salute. Se si esamina l’età come fattore di stress, i lavoratori tra i 40 e i 54 anni sono quelli che segnalano problemi legati allo stress da lavoro più spesso rispetto ad altre fasce di età. 36


Massimo Servadio

L’OMS prevede che, cambiando il rapporto tra popolazione attiva ed in pensione, l’invecchiamento dalla popolazione nell’UE non solo condurrà ad un aumento dell’età media della popolazione attiva, ma anche ad un incremento del carico di lavoro per un numero di lavoratori in graduale riduzione, contribuendo così allo sviluppo dello stress. • La rilevanza del rischio stress lavoro-correlato nasce anche dal fatto che esso agisce come modulatore dei rischi tradizionali (chimici, fisici, ecc..) aggravandone gli effetti. Non solo … • Anche le differenze individuali di genere, di età, di estrazione culturale e di tipologia contrattuale possono ricoprire un ruolo rilevante nella determinazione degli effetti di tali rischi.

STRESS

ESTRAZIONE CULTURALE

GENERE

RISCHI TRADIZIONALI

ETA’

CONTRATTO

L’organizzazione e lo stress lavoro correlato Etimologicamente il vocabolo organizzazione proviene dal latino organum e dal corrispettivo termine greco, che ne rifletteva una visione 37


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come strumento, potenziamento in qualche misura della capacità del singolo. Ai giorni nostri il termine organizzazione è dibattuto fra tre particolari significati: 1. Assetto organizzativo e quindi componente o parte dell’azienda. 2. Specifica attività o funzione, rivolta a costruire, realizzare o modificare l’assetto organizzativo di un’azienda. 3. Riferimento teorico e concettuale, che orienta l’intervento sull’organizzazione e quindi la funzione o attività che consiste nell’organizzare. I tre significati esprimono correlazione: la visione dell’organizzazione (3) orienta gli interventi e le azioni (2) rivolti a costruire o modificare un determinato assetto organizzativo (1). L’analisi organizzativa e la prospettiva sistemica Possiamo evidenziare i punti fondamentali dell’analisi sistemica che hanno rinnovato il concetto tradizionale di organizzazione influenzando in maniera determinante lo sviluppo degli studi successivi: ) le organizzazioni sono sistemi aperti in continua interazione con l’ambiente; ) l’organizzazione è dotata di una molteplicità di scopi e funzioni che implicano a loro volta molteplici interazioni con l’ambiente; ) l’organizzazione esiste in un ambiente a sua volta dinamico, composto da altri sistemi e da questo ambiente provengono alcune esigenze e limitazioni per il funzionamento dell’organizzazione. I legami tra organizzazioni e ambiente rendono difficile l’individuazione dei confini delle stessi, per cui è preferibile parlare di processi di input, trasformazione ed output piuttosto che di dimensioni, forma, struttura.

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Massimo Servadio

L’obiettivo prevenzione, implica l’agire sul miglioramento e quindi la necessità di far evolvere qualitativamente le dinamiche e le interazioni fra: •sistema fisico-tecnico (che definisce l’ambiente di lavoro in termini strutturali); •sistema culturale (che definisce le modalità, le pratiche, le azioni); •sistema psico-sociale (che definisce le caratteristiche di comunicazione, di soddisfazione sul lavoro, il livello di autonomia, la creatività, il coinvolgimento). Le interazioni fra i vari sotto-sistemi infatti ci consentono di verificare la presenza di “costrittività” all’interno del sistema produttivo che possono essere fonte di disagio psico-sociale. In tale contesto organizzativo si colloca la valutazione dello stress correlato al lavoro. 39


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La valutazione del rischio da stress lavoro correlato in “un’organizzazione sistemica” In riferimento a quanto esposto, la valutazione dello stress lavorocorrelato assume una connotazione strategica per il benessere dei lavoratori, ma anche per l’intero sistema produttivo; occorre, di conseguenza, adottare una prospettiva che tenga conto del contesto organizzativo in cui l’individuo è inserito. Nelle aziende a maggiore complessità organizzativa è opportuno condurre la valutazione non considerando l’azienda nella sua interezza, ma analizzando i dati per partizione organizzativa o gruppo omogeneo. Con il termine omogeneità s’intende, la configurazione rispetto al soggetto da cui dipende l’organizzazione del lavoro (una struttura che fa capo ad una figura dirigenziale); sono metodologicamente da evitare ripartizioni/accorpamenti generici per mansione, categoria professionale ecc. . La valutazione, come da indicazioni ministeriali, procederà secondo due livelli, uno preliminare, l’altro approfondito, che rispondono ai criteri o “presunti criteri” caratteristici di una rilevazione oggettiva e di una rilevazione soggettiva. 40


Massimo Servadio

Ma come sta l’organizzazione? In un’azienda spesso ci si preoccupa principalmente di perfomance, efficienza, risultati, budget, costi; non ci si interroga quasi mai sulla salute della stessa. Un’importante e significativa differenza emerge con forza: mentre risultati e costi dipendono anche da molti altri fattori, la salute di un’organizzazione dipende principalmente da come essa stessa è configurata: la sua trasparenza ed equità, la qualità dei sistemi di governo e leadership, il modo in cui le persone vi partecipano e vivono bene o male3. L’analisi organizzativa e il gruppo di lavoro Alla luce della complessità e della variabilità organizzativa, l’approccio più auspicabile è quello dell’intervento di un “team multidisciplinare” che agisca nell’organizzazione, sull’organizzazione, ma soprattutto con l’organizzazione in esame. È ipotizzabile quindi un gruppo di lavoro che come primo e fondamentale atto, osservi l’organizzazione nelle sue manifestazioni (ad esempio, la comprensione del ciclo produttivo nei suoi dettagli, l’analisi dei processi e delle funzioni, l’osservazione dei comportamenti organizzativi, lo svolgimento delle mansioni, la qualità percepita delle relazioni interpersonali, la strategia adottata nella composizione dei compiti, ecc..) e ne comprenda il più possibile le dinamiche di funzionamento sia di tipo formale sia di tipo informale, spesso apparentemente malcelate, ma aventi un alto potenziale euristico informativo, utilissimo ai fini della comprensione del fenomeno organizzativo. Il direttore delle risorse umane, altri dirigenti, il responsabile del servizio prevenzione e protezione, i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, il medico compente, i preposti, il consulente esperto di analisi organizzativa in materia di stress lavoro-correlato, sono tra i principali compenti di questo team. Tra gli strumenti che la letteratura specialista in materia ci offre e che anche la vigente normativa ci propone, rileviamo l’impiego “degli indicatori aziendali”: essi rappresentano veri e propri segnalatori di stress 3

Tratto da “CROMA” Center for Research in Organization and Management.

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in ambito lavorativo in grado di “erogare” informazioni socio tecniche utili ad una valutazione cosiddetta preliminare. Va altresì ricordato che l’estrapolazione degli indicatori e la loro corretta interpretazione necessitano di una formazione adeguata in particolare nella situazione odierna di assenza o quasi, di scale interpretative validate. La composizione del gruppo di lavoro dipenderà dalle peculiarità dell’organizzazione in esame, nello specifico: 1. Caratteristiche dell’organizzazione; 2. Funzioni organizzative presenti. La definizione di un gruppo di lavoro efficiente permetterà: • Individuazione degli indicatori strategici e dei sistemi di rilevazione; • Ottimizzazione nella raccolta dei dati già disponibili; • Professionalità nella successiva interpretazione. Interventi nelle Organizzazioni In questi anni di “operatività di campo” ho ricavato numerosi dati inerenti le “risposte organizzative” sulla tematica analisi e valutazione del rischio stress lavoro-correlato. Le risposte comportamentali del management aziendale sono derivanti dagli atteggiamenti organizzativi assunti in ogni realtà aziendale. Esempio: la Direzione del Personale Circa 50% delle funzioni del personale hanno mostrato: 1. diffidenza generale; 2. difesa dello status aziendale; 3. fastidio per l’invadenza nel proprio “core” (valutazione sulla propria discrezionalità?); 4. insofferenza derivante da un “ulteriore fardello normativo”; 5. timore per le conseguenze dell’indagine, dovuta soprattutto ad una carente conoscenza dell’argomento. Circa 40%: 1. Positività, esame atteso della propria gestione; 42


Massimo Servadio

2. Gradimento per “l’euristica informativa derivante dal processo” arricchente le relazioni industriali e sindacali; 3. Gradito helping: supporto al miglioramento della propria gestione; 4. “Confidenza”: derivante da precedenti esperienze (hanno denotato alcune similitudini con l’indagine di clima). Circa 10% 1. Passività; 2. Attesa; 3. Dovere passivo verso un adempimento normativo obbligato. A livello generale si possono ricavare le seguenti osservazioni: 1) La valutazione va necessariamente a toccare l’organizzazione del lavoro che costituisce il cuore dell’azienda. 2) Non appaiono esaustivi gli strumenti che consentano una valutazione oggettiva. 3) Gli orientamenti culturali necessari per riconoscere tale rischio sono ancora poco diffusi. In particolare la mia attenzione si è focalizzata sull’analisi del fenomeno del “timore” nei riguardi del possibile scenario di cambiamento organizzativo. Come è facile immaginare, gli interventi organizzativi sono ancora poco diffusi sia nelle realtà private sia ancor più nelle realtà pubbliche, proprio per l’impegno che richiedono, sia economico che temporale. Si assiste alla presentazione, spesso da parte di soggetti esterni all’organizzazione stessa, di progetti alquanto intrusivi per l’azienda, progetti che richiedono un investimento notevole, in risorse umane, economiche, temporali, di tutti gli attori coinvolti nel cambiamento organizzativo. Inoltre, spesso per il proprio carattere di novità, di nuovo, tali proposte, sono ostacolate con varie modalità all’interno dell’organizzazione stessa per la tendenza naturale a preservare lo status quo, rigettando i cambiamenti. Ovviamente non è da sottovalutare che a fronte di un impegno economico spesso rilevante, ad oggi non esistono strumenti per valutare con attendibilità e accuratezza gli effetti ed i risultati di progetti organizzativi per la riduzione dello stress nei luoghi di lavoro. 43


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Conclusioni Sembra emergente quindi, la necessità di pensare ad un approccio, in fase soprattutto di post-valutazione, ma non solo, di tipo più sistemicointegrato, inquadrando il fenomeno stress da lavoro-correlato, in una prospettiva più ampia: sarà compito congiunto degli stakeholders interni e delle professionalità esterne chiamate ad offrire supporto competente decidere, attraverso un serio e sistematico processo negoziale, dopo opportune valutazioni preliminari tese ad individuare ad esempio costi e benefici di possibili scelte organizzative, rispetto al micro e macro contesto di riferimento, la scaletta degli interventi di miglioramento, che risponderanno concretamente all’effettiva capacità di sostenere da parte di tutta l’organizzazione, i cambiamenti nella direzione della ricerca del benessere organizzativo.

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Andrea Cirincione

La valutazione soggettiva del rischio da stress lavoro‐ correlato di Andrea Cirincione1

Introduzione Il lavoro negli ultimi anni si è andato trasformando, ed il trend in atto fa pensare ad una società meno industriale e sempre più terziaria. È così in netto aumento la rilevazione di sintomi non chiaramente etichettabili con le classiche categorie diagnostiche. È la “società dello stress”, da sempre connotato in modo negativo e personale; infatti ricorrono frasi tipo: “sono stressato” oppure “lui è stressante”. In termini clinici2 è rilevante la risposta allo stress, ovvero l’adattamento, che può diventare patogeno quando troppo richiestivo e prolungato nel tempo. Le alterazioni somatiche, in particolare quelle del Sistema immunitario, sono però filtrate sia dalla valutazione cognitiva degli stimoli stressogeni, sia dall’attivazione emozionale. Mediante l’approccio psicologico al problema si può lavorare sia sull’aspetto cognitivo e comportamentale legato alle reazioni da stress, sia sull’aspetto emotivo, affinché gli stimoli vengano elaborati in modo meno disadattivo o finanche positivo. Secondo l’OSHA3 (Occupational Safety and Health Administration) “lo stress si manifesta quando le persone percepiscono uno squilibrio tra le richieste avanzate nei loro confronti e le risorse a disposizione per far fronte a tali stimoli. Sebbene la percezione dello stress sia psicologica, esso può influire anche sulla salute fisica delle persone. [...] Le reazioni delle persone alle stesse circostanze variano da individuo a individuo. 1

Psicologo del Lavoro, formatore e consulente aziendale; eclettico, si occupa da molti anni di sicurezza sul lavoro e si qualifica come “Psicologo Competente”; esperto in tecniche di rilassamento, ha un approccio scientifico alla libera professione. 2 Mascetti G.G. (1992), Gli ormoni, i neurotrasmettitori, il sistema immunitario e il comportamento, Upsel Editore, Padova. 3 http://osha.europa.eu/it/topics/stress/definitions_and_causes.

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Alcuni riescono ad affrontare meglio le pressioni rispetto ad altri. Determinante a tal fine è la valutazione soggettiva della propria situazione che ciascun individuo è in grado di fare. Non è possibile quindi stabilire, dalla sola situazione oggettiva, il grado di stress che essa può provocare”. Questa definizione sintetizza il senso di questo articolo. Come noto il termine “stress”, nella definizione più famosa4, è una sindrome generale di adattamento: si tratta della descrizione dell’insieme di risposte non-specifiche a stimoli diversi, che presenta un andamento caratteristico (allarme-resistenza-esaurimento) e coinvolge meccanismi neuroendocrini. Siamo nel campo della psicosomatica, cioè la possibilità che stimoli psicologici abbiano conseguenze a livello organico (soggettive, non uguali per tutti). L’evoluzione scientifica del concetto è andata oltre, verso modelli “interazionali” di stress: possiamo5 quindi definire lo stress come il risultato di variabili ambientali ed individuali, mediate dalla percezione ed elaborazione di ciò che accade. Tali conseguenze possono essere ben-adattive (eustress) o mal-adattive (distress), ed il fatto interessante è che lo stressor non necessariamente deve essere negativo per far male o bene: capitano stress “negativi” a cui si risponde in modo adattivo e resiliente, e stress “positivi” a partire dai quali si entra in crisi. È quindi pacifico che ci si trova di fronte ad un fenomeno che possiamo definire “processuale” ed irrimediabilmente soggettivo. Non ha quindi senso una valutazione esclusivamente “oggettiva” del rischio stress. La lettura delle indicazioni ministeriali6 calamita l’attenzione su cosa sia l’oggetto della valutazione. Innanzitutto non si parla di stress genericamente inteso, bensì di stress lavoro-correlato, che viene descritto quale “condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle 4

Selye H., (1956) The Stress of life. McGraw-Hill (Paperback), New York. Lararus R.S., Folkman S., (1984) Stress, Appraisal, and Coping, Springer Publishing Company. 6 Commissione consultiva per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articoli 6, comma 8, lettera m-quater, e 28, comma 1 bis, d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni e integrazioni), Documento emanato il 17/11/2010. 5

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Andrea Cirincione

richieste o aspettative riposte in loro”. Questa definizione è indicativa del recepimento di quanto scritto nell'Accordo Europeo del 20047. In termini pratici è quindi necessario capire: a) cosa significa “non sentirsi in grado”, concetto alquanto differente dal non essere in grado; b) come si può valutare questa sensazione e calibrarla rispetto alle situazioni di fatto. Parte prima: elementi di psicologia della soggettività Per la prima finalità, è di aiuto il costrutto di human agency8 vale a dire la capacità di agire attivamente nei contesti in cui si opera. L’elemento interessante di questo concetto psicologico è che si fonda sull’intenzione di poter esercitare un controllo attivo su ciò che si fa: “io penso di potercela fare”. Quindi, la sensazione di autoefficacia non si basa solo sull’esito positivo o negativo dell’azione stessa, bensì sul senso che la persona ha di poter fare qualcosa di attivo: infatti una persona convinta della propria capacità, ripeterà il proprio tentativo seppur a fronte di un insuccesso. Il comportamento umano è influenzato da: 9 fattori interni (cognitivi, affettivi, culturali, inconsci, etc.); 9 fattori di comportamento contestuale (vale a dire quanta possibilità ha la persona di regolare i processi lavorativi di cui si occupa); 9 fattori ambientali al contorno (clima organizzativo, ergonomia, stile di leadership, etc.). Una delle leve fondamentali che abbiamo per agire sulla human agency (“agentività”) è la formazione: essa regola il comportamento umano basandolo sulle informazioni, su come agire e su come relazionarsi.

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Accordo europeo sullo stress sul lavoro (8/10/2004) (Accordo siglato da CES sindacato Europeo; UNICE-“confindustria europea”; UEAPME -associazione europea artigianato e PMI; CEEP - associazione europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale). 8 Bandura, A. (1997), Autoefficacia: teoria e applicazioni. Tr. it. Erikson, Trento, 2000.

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Un’altra leva è la dinamica del gruppo, in quanto il supporto sociale è fondamentale per poter ottenere risultati, oppure per superare grandi difficoltà. Una persona ben formata è innanzitutto più “consapevole”, ma soprattutto è più in grado di alimentare il proprio senso di autoefficacia costruttiva. Il paradosso è che l’individuo potrebbe trovarsi in una delle quattro situazioni possibili: 1) Mi sento efficace e lo sono in pratica; 2) Mi sento efficace ma non lo sono in pratica; 3) Non mi sento efficace invece lo sono in pratica; 4) Non mi sento efficace e non lo sono in pratica. A questo proposito è bene spiegare che c’è differenza tra “autoefficacia” ed “autostima”: 9 L’autoefficacia è un giudizio, una valutazione che ciascuno di noi fa (soggettivamente) sulle proprie capacità; 9 L’autostima è un giudizio (sempre soggettivo!) sul valore delle proprie capacità. Ad esempio: un individuo potrebbe percepirsi autoefficace a fare qualche attività, ma giudicare inutili le proprie capacità. Allo stesso modo un altro potrebbe giudicarsi inefficace a fare un certo lavoro, ma non soffrirne di autostima in quanto non gli dà importanza. Nei contesti reali, quale il gruppo di lavoro, possiamo quindi comprendere come una persona, che “non si sente in grado”, possa desumere tale sensazione dalle seguenti fonti: a) l’esperienza diretta, frutto del rapporto tra azioni ed esiti delle stesse; b) l’esperienza indiretta, frutto dell’attenzione agli esiti altrui; c) l’esperienza relazionale, fatta di comunicazione e socialità; d) l’esperienza di sé, la confidenza nella propria forza/vulnerabilità. In definitiva si comprende bene che l’insicurezza9 in termini psicologici è una condizione che solo in parte riferisce a variabili “oggettive”, perché attiene alla percezione che il soggetto ha di essere in grado di controllare una situazione (interna o esterna). L’autoefficacia, 9

Galimberti, U. (1992), Dizionario di psicologia, UTET, Torino.

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Andrea Cirincione

cioè la percezione di controllo delle richieste lavorative, è quindi una variabile prevalentemente soggettiva. Il ruolo dell’autostima non è facile da valutare, per un semplice motivo: l’impatto sul rischio da stress è ben differente nel caso in cui, a parità di altre condizioni, il proprio lavoro venga percepito come integrante o meno del valore percepito di sé. Risulta utile ai fini dell’indagine capire cosa ne pensano delle proprie capacità le persone a cui si è legati affettivamente (ad esempio la famiglia). Una persona infatti potrebbe trovare frustrante un lavoro non per elementi del lavoro in sé, ma per il giudizio che qualcuno a noi vicino attribuisce a tale attività. Questo è uno tanti buoni motivi per cui è necessario distinguere tra stress “imputabile” al Datore di Lavoro e stress che, pur presente, non sia ascrivibile a fattori aziendali. Parte seconda: oggettività e soggettività per la valutazione del rischio Per la seconda finalità, cioè valutare il livello di rischio da stress lavoro-correlato10, l’esperienza consulenziale prevale sulla letteratura attualmente disponibile. Prima del D. Lgs. n. 81/08 la prassi professionale di effettuare “analisi di clima organizzativo” non aveva moventi legislativi, e veniva proposta come strumento di diagnosi al servizio di una migliore gestione delle risorse umane. Per clima organizzativo11 si intende la condizione psicologica prevalente in una organizzazione; il morale determinato in modo particolare dalla politica della Direzione nei confronti del personale, e del grado di soddisfazione che i lavoratori trovano nel lavoro. Il metodo di tale analisi è l’indagine su come viene percepito l’ambiente di lavoro; l’obiettivo è quello di programmare attività di formazione/consulenza sulla base dell’analisi del bisogno. Oggi, visto l’obbligo legislativo sancito dall’art. 28 del D. Lgs. n. 81, è possibile che un’analisi di clima sfoci in un allegato al DVR (Documento di Valutazione dei Rischi). Laddove invece si metta in atto una “semplice” 10 11

D. Lgs. n. 81/08, art. 28. Novaga, M. (1997), Psicologia delle organizzazioni, Maggioli Editore, Rimini.

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valutazione del rischio, in pratica si tratta di realizzare una piccola analisi di clima. A tale scopo, l’analisi dei cosiddetti “indicatori oggettivi” non può che essere una fase preliminare (anamnesi), utile ad inquadrare il contesto nel quale si manifestano le dinamiche che vogliamo misurare. Il modello che utilizziamo opera una distinzione tra: 9 valutazione soggettiva dell'individuo nei riguardi dell’ambiente in cui è inserito e della propria immagine lavorativa; 9 valutazione oggettiva delle caratteristiche intrinseche al lavoro ed alla persona stessa. È quindi a mio avviso da escludere che un’indagine limitata agli indicatori oggettivi sia efficace ed esimente per una valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, essendo questo frutto di fenomeni socio-tecnici12. Va rammentato pertanto che la mission del consulente non dovrebbe limitarsi ad ottemperare un obbligo di legge, bensì a promuovere il benessere organizzativo. A tal proposito rimando ad un’ammirevole definizione di benessere organizzativo rintracciabile nella D.M. 24/3/200413: “Si è soliti designare con il termine di benessere organizzativo: lo stato soggettivo di coloro che lavorano in uno specifico contesto organizzativo; l’insieme dei fattori che determinano o contribuiscono a determinare il benessere di chi lavora.” Potremmo dire che il benessere organizzativo si riferisce alla capacità di un’organizzazione di promuovere e di mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione. Gli aspetti oggettivi sono ben riassunti da Williams14 che illustra la cosiddetta “griglia della salute organizzativa”: 8 Fattori ambientali (rumore, temperatura, spazio); 8 Fattori fisici (alimentazione, fitness, malattie); 8 Fattori mentali (autostima, stress, ansia), 12

Novaga, M. (1984), I sistemi socio-tecnici, Patron, Bologna. Gazzetta Ufficiale n. 80 del 5 Aprile 2004. 14 Williams, S. (1994), “Ways of creating healthy work organizations”. In Cooper, C.L., Williams, S. (a cura di), Creating Healthy Work Organizations. John Wiley & Sons, Chichester, pp. 7-24. 13

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8 Fattori sociali (relazioni, interessi, eventi della vita). La logica è che il livello più alto (sociale) può essere soddisfatto a valle dei precedenti (partendo dall’ambiente). È con Jaffe15 che la prospettiva diventa pienamente organizzativa in senso di responsabilità: 8 la prospettiva stress/burnout, che pone l’attenzione sulle capacità di coping (fronteggiamento); 8 la prospettiva del work design; 8 la politica aziendale; 8 lo stile manageriale. L’interesse aziendale per il “clima organizzativo” ha la funzione non trascurabile di migliorare la produttività. Infatti avrebbe poco senso parlare di “benessere individuale” in azienda, essendo questo funzione del benessere organizzativo e non viceversa (almeno a livello di responsabilità del Datore di Lavoro). L’Accordo interconfederale16 infatti esclude dal campo di applicazione della valutazione del rischio stress lavoro-correlato: la violenza, le molestie e lo stress post-traumatico. Non è facile stabilire confini netti soprattutto nei confronti delle molestie e, ancora di più, del mobbing (non espressamente richiamato dalla normativa). Lo stress, infatti, può essere conseguenza o origine del mobbing. La questione è delicata per tutte le implicazioni che comporta, quindi va trattata con elevata attenzione e professionalità. Parte terza: il questionario quale metodo soggettivo Passando agli aspetti operativi di detta valutazione, è abitudine dei consulenti attuare la buona prassi del “parlare”. Vale a dire che i colloqui, i focus groups ed in generale le metodiche relazionali tipiche e 15

Jaffe, Dennis T. “The healthy company. Research paradigms for personal and organizational health”. In: Sauter S.L., Murphy L.R. (1995). Organizational risk factors for job stress (pp. 13-39). Washington, DC, US: APA. 16 Siglato il 9 giugno 2008 tra: la Confindustria; la Confapi; la Confartigianato; la Casartigiani; la Claai; la Cna; la Confesercenti; la Confcooperative; la Legacooperative; la Agci; la Confservizi; la Confagricoltura; la Coldiretti; e la Cgil; la Cisl; la Uil, l’Accordo interconfederale recepisce l’Accordo quadro europeo sullo stress lavorocorrelato concluso l’8 ottobre 2004 tra Unice-Ueapme, Ceep e Ces.

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peculiari della gestione delle Risorse Umane, sono lo strumento principe della valutazione soggettiva. Spesso però bisogna confrontarsi con la realtà di un approccio che sia attento ai tempi (è difficile “sequestrare” ore all’attività lavorativa) ed ai costi. È per questo che si può a buona ragione considerare il questionario come lo strumento che rappresenta la soluzione ideale. Per “Questionario”17 si intende un insieme strutturato di domande e relative categorie di risposte definite a priori. È uno strumento scientifico, e come tale va realizzato e trattato. È essenziale che sia valido e completo, ma ancora più importante è che venga somministrato con modalità controllate e professionali. Peraltro gli strumenti complessi richiedono una specifica esperienza anche per la decodifica dei dati, l’interpretazione dei risultati e la stesura di un report. È da considerare insufficiente qualsiasi procedura automatica o semplicistica. # Quali vantaggi? Il questionario è uno strumento molto ben dominato dalle conoscenze psicometriche. Molti pensano che sia semplice scrivere domande e risposte, mentre basta accostarsi con serietà alla disciplina per coglierne le complessità ed i rischi di fallacia misurativa. Personalmente ritengo che sia utile ricorrere ad un professionista abilitato, ed avere l’esperienza consulenziale che permetta di interpretare i dati. Il questionario può essere usato a fianco di altre attività di prevenzione, quali analisi ergonomiche, valutazioni tecniche o altro. Questo strumento permette, mediante l’uso della disciplina statistica, la produzione di risultati che possono essere illustrati mediante grafici e tabelle, condivisi, ragionati, utilizzati come spunto di riflessione e miglioramento. L’altro vantaggio, da non sottovalutare, è la possibilità di effettuare confronti tra i dati per genere, età, mansione, unità produttiva, scolarità, nazionalità…; tutto col rigore scientifico del trattamento dei dati misto alla facoltà di leggere i risultati alla luce della conoscenza della realtà aziendale, territoriale, storica.

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Zammuner V.L., 1996, Interviste e questionari. Processi psicologici e qualità dei dati, Borla, Roma.

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# Quali obiettivi? Il questionario permette uno sguardo profondo ma discreto sulle percezioni del gruppo di lavoratori. Questo è importante: riservatezza dei dati, rigore nelle regole di “consegna” per la compilazione, approccio rivolto al gruppo e non al singolo. Va infatti ricordato che lo scopo della valutazione non è misurare lo stress delle persone, ma la presenza di fattori di rischio che siano nella percezione di molti. Come dire, se una rondine non fa primavera, uno stormo mi farà venire qualche sospetto! La forza di questo tipo di analisi soggettiva è che esprime una valenza preventiva, perché in base agli esiti si può capire quali sono i punti deboli del sistema organizzativo a cui stare attenti per il benessere organizzativo; ma esprime anche una valenza correttiva, dal momento che individua eventuali aree a rischio sulle quali intervenire per tempo. A mio avviso questa analisi è utilissima per organizzare eventualmente i focus groups oppure i colloqui individuali, laddove ci fosse la sensibilità di attuare una prevenzione che non sia solo collettiva, ma che pervada anche il livello individuale. # Quali modalità di utilizzo del questionario? La modalità più impegnativa consiste nell’uso dello strumento come supporto, e corollario, del colloquio individuale. Il consulente può ascoltare un gruppo selezionato in rappresentanza della forza-lavoro (di ogni settore aziendale), oppure tutti se l’azienda è piccola, avvalendosi anche delle domande previste nello strumento testistico. La modalità più efficiente, nel rapporto costo/beneficio, consiste invece nell’uso dello strumento in gruppo, autosomministrato da parte dei soggetti coinvolti, sebbene sotto la supervisione del consulente. # Quali difficoltà si possono prevedere? La principale è lo scetticismo del personale, che spesso richiede garanzie sul reale anonimato di quanto scrive, ma soprattutto sull’effettivo ritorno in termini di risultati (in pratica: serve a qualcosa?). Bisogna ribadire con forza che una valutazione fatta solo per “mettersi a norma” è sostanzialmente inutile. Un’altra difficoltà è l’interpretazione degli esiti, che non può essere distinta da una conoscenza del contesto nel quale questi sono stati generati. Infine, la rigidità connaturata nell’uso del questionario è la struttura delle domande che lo costituiscono: può a volte rivelarsi come una “coperta corta”. D’altronde nessun metodo è 53


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perfetto. L’ideale sarebbe avere la possibilità di mettere in atto: osservazione, questionario, interviste e focus group. Va da sé che i costi lievitano. # Quali vantaggi ha la valutazione soggettiva? Innanzitutto è una valutazione del fenomeno stress, a differenza del metodo oggettivo che non misura il costrutto: sarebbe un po' come voler soppesare un sentimento in grammi. Ma il vero vantaggio della valutazione psicologico-organizzativa è che si inserisce perfettamente in un’ottica di sistema di gestione, non solo della sicurezza, ma della stessa azienda nel suo complesso. Poter studiare il lavoro ed i lavoratori è la base per azioni di miglioramento che non siano estemporanee o isolate in compartimenti stagni, bensì organiche e sostenute. Il metodo professionale, basato su una somministrazione controllata nel setting (le condizioni ambientali), consente peraltro un innovativo senso di coinvolgimento del lavoratore che, nella mia esperienza, supera la diffidenza iniziale non appena si accorge che partecipa ad un lavoro serio. Un altro indubbio vantaggio nasce dalla difficile, ma possibile, alleanza col Medico Competente, affinché i risvolti possano anche essere di natura personale e sanitaria. Infine c’è la questione a mio avviso centrale dell’intero processo, ovvero il principio, evidente anche nei riferimenti normativi vigenti, che non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate lavoro-correlate. Lo stress è lavoro-correlato quando causato da vari fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro. È quindi necessario, per inquadrare la profonda natura soggettiva del fenomeno, offrire una visione chiara di come contenere questa tipologia di stress all’interno di un recinto di significato non troppo allargato. Le condizioni oggettive seppure, come detto, non possono rappresentare un parametro sufficiente; tuttavia inquadrano le condizioni al contorno. L’analisi del lavoro, la natura e la cultura organizzativa, gli stessi indicatori18 offrono lo sfondo imprescindibile su cui si staglia la nostra variabile critica. Il contorno influenza in modo notevole due elementi decisivi nel processo di stressogenesi: l’ambiente “percepito” 18

Check List ISPESL.

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dai dipendenti è certamente il risultato della situazione di fatto vista attraverso i filtri soggettivi; questo condiziona le risposte adattive alle situazioni che si vengono a creare, sfociando in esiti soddisfacenti o frustranti. Altrettanto importante è proprio il filtro soggettivo, ovvero quelle caratteristiche individuali (età, sesso, scolarità, nazionalità, etc.) che condizionano la percezione ambientale e le risposte prodotte agli stimoli. Ad esempio, capita che un lavoratore africano proveniente da aree dove la vita è terribile per fame e povertà, si trovi soggettivamente bene in un contesto lavorativo nel quale un pari età italiano faticherebbe ad entrare. Conclusione Lo studio del fenomeno stress è un’occasione affinché le aziende possano guardare alla propria risorsa “intangibile”, ovvero le persone che rappresentano la componente umana del sistema produttivo. Sembra strano pensare che un imprenditore debba valutare il rischio lavorativo considerando non solo la pericolosità per la salute di un macchinario, ma anche di variabili psicosociali. Eppure questa cultura si va formando, anche se la strada è ancora lunga. Ne trarremo molte informazioni su come lavoriamo, e prenderemo migliori consapevolezze. Il trait d'union fra ambiente ed individuo è noto come “fattore regolativo”; esso presiede alla mediazione tra ambiente esterno ed ambiente percepito, ma anche tra personalità e percezione di stress. I due più noti fattori regolativi sono la possibilità di: a) controllare il proprio lavoro; b) ricevere supporto da parte degli altri. Siamo mossi dalla convinzione che attraverso l’analisi dei fattori stressogeni, troveremo nuovi spunti per una formazione più efficace in termini di sicurezza sul lavoro e per una gestione più attenta delle risorse umane. Coltiviamo la concreta speranza che questo possa essere uno spunto in più per un mondo aziendale che sia più sano, ma anche più produttivo.

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Rischio da stress lavoro correlato: metodi e strumenti di valutazione di Priscilla Dusi1

Da quanto ho intrapreso l’attività di consulenza in materia di stress lavoro correlato finalizzata a supportare le aziende ad adempiere alla normativa in materia di sicurezza sul lavoro, circa 4 anni or sono, i quesiti che mi sono sentita porre con maggior frequenza si posso sintetizzare in: “Come possiamo valutare questo rischio? La legge ci dice quali strumenti utilizzare? Bisogna avere delle competenze specifiche per essere dei “valutatori competenti”? “Bisogna possedere titoli o qualifiche per utilizzare i questionari?”. Fin da quando l’Accordo Europeo del 8/10/2004, il successivo Accordo interconfederale del 9/06/2008 ed il D. Lgs. n. 81/08 e s.m.i. hanno introdotto la valutazione di questo rischio come adempimento obbligatorio nel nostro Paese, uno dei “temi mancanti o riduttivi” di molti contributi scientifici ha riguardato proprio i metodi e gli strumenti di valutazione, fenomeno che ha portato ad un proliferare apparentemente infinito, soprattutto tramite il web, di proposte di strumenti e metodologie per la valutazione di qualsiasi tipologia e origine professionale. A partire dall’anno 2009 alcuni importanti contributi scientifici sono arrivati sia da diverse proposte metodologiche, linee guida e guide operative delle Regioni, sia da parte degli Istituti nazionali di Ricerca e Prevenzione (ad esempio ricordiamo la Proposta di metodo del Coordinamento SPISAL della Provincia di Verona, Bussolengo, Legnago, Verona di maggio 2009, la Prima Proposta di Linee di indirizzo della Regione Toscana di Luglio 2009, il Decreto n° 13559 1

Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, consulente aziendale nella gestione del processo di valutazione del rischio stress lavoro-correlato, esperta di metodologia della ricerca sociale.

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della Regione Lombardia del 10/12/2009, la Guida Operativa del Coordinamento Tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro di Maggio 2010, le diverse Proposte Metodologiche dell’exISPESL del 2009-2010, l’Approccio integrato secondo il modello Management Standard HSE alla luce del D .Lgs. n. 81/08 e s.m.i. del Maggio 2010, le diverse Indicazioni Metodologiche di Confindustria 2009-2010, ecc.), ma ancora oggi, nonostante le ultimissime Indicazioni della Commissione Consultiva del 18/11/2010, quest’aspetto della valutazione sembra lasciare nei Datori di Lavoro aziendali (che ricordo essere coloro che per legge devono effettuare la valutazione), e nelle altre figure chiamate a collaborare da questi ultimi (RSPP, RLS, Medici Competenti, HR, Consulenti esterni), ancora molti dubbi, “vuoti metodologici e strumentali” e perplessità a riguardo. Il mio contributo con questo articolo vuole proprio rappresentare una riflessione sulla tematica, apportando spunti tecnici ed esperienziali su quelli che nella mia professione da consulente esterno (ed il confronto con altri colleghi professionisti della materia) sono risultati essere i principali strumenti di valutazione del rischio stress lavoro correlato: • check-list; • intervista (semi strutturate); • focus group; • questionario; • osservazione partecipante. Ciò, in relazione e prendendo come punto di riferimento quanto espresso a livello operativo dalle Indicazioni della Commissione Consultiva del 18/11/2010 e dagli altri contributi scientifici di riferimento di cui si è argomentato in precedenza. Check list Sebbene durante i miei attuali e trascorsi studi in Psicologia del Lavoro e delle organizzazioni e in particolar modo in materia di “Metodologia e tecniche della ricerca psicosociale” non mi sovviene di aver mai letto libri, articoli o approfondimenti sullo strumento “check list” come metodo di rilevazione qualitativo o quantitativo, l’esperienza come consulente in ambito della salute e sicurezza sul lavoro e le principali guide operative/proposte di metodo/proposte metodologiche 57


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sul tema “stress lavoro correlato” evidenziano la “check list” come strumento di valutazione, o supporto alla medesima, sia per il rischio stress sia per molti altri rischi. Secondo la fonte “Wikipedia” il termine “check list” (in italiano “lista di controllo”) si identifica con “qualsiasi elenco esaustivo di cose da fare o da verificare per eseguire una determinata attività. La spunta degli elementi di una check list è il metodo più semplice e sicuro per portare a termine attività che prevedono molti passi e che richiedono particolare attenzione”. La check list è quindi un documento che fa parte di un processo. Più propriamente è lo strumento per la “verifica procedurale” del processo stesso: il processo di valutazione del rischio stress lavoro-correlato. Secondo questa fonte ed altri blog presenti sulla rete, le check list sono elenchi di domande, aspetti dell’organizzazione del lavoro nel nostro caso, talvolta semplici e intuitivi, che ci aiutano a non dimenticare i passaggi fondamentali di un processo di lavoro. Sono costruiti in modo tale che la persona che effettua il lavoro – il valutatore – possa controllare di essersi occupata di tutti gli aspetti, quali gli indicatori aziendali, del contenuto e del contesto del lavoro di cui si compone l’oggetto della nostra valutazione. Sta poi al valutatore scegliere tramite quale strumento di rilevazione (ad esempio intervista singola, osservazione, intervista di gruppo, focus group) raccogliere questo tipo di dati da inserire all’interno della check list. Se infatti da un confronto tra vari esperti, consulenti, associazioni datoriali emerge che la maggioranza delle Aziende stanno approcciando alla valutazione “preliminare” del rischio stress lavoro-correlato tramite il supporto della check list dell’ex ISPESL o similari (ad esempio check list della Guida Operativa del Coordinamento Tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro di Maggio 2010) la differenza sta proprio nella raccolta dei dati che a volta avviene tramite l’osservazione diretta della propria Azienda da parte soprattutto del Datore di Lavoro o del RSPP che compilano la check list in autonomia, a volte tramite un’ intervista individuale al Datore di Lavoro da parte di un consulente esterno, altre volte ancora tramite un consulente esterno che compila la check list a seguito della risultanza di un insieme di interviste singole o di gruppo (o focus group) rivolte alle principali figure interessate: Datore di Lavoro, RSPP, RLS, Medico Competente, HR o loro delegati. 58


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A supporto di quanto espresso nelle righe soprastanti, tengo a sottolineare come queste check list possano rappresentare, anzi rappresentano, importanti strumenti di lavoro per ottemperare alla valutazione del rischio stress lavoro-correlato, ma, a parer mio, non possono essere considerati “strumenti di valutazione” o “unici documenti di riferimento” alla realizzazione di un processo di valutazione, anche perché a volte non esaustivi di tutti quegli elementi che devono essere indagati secondo quanto pubblicato, per esempio, dall’Accordo Europeo del 8/10/2004. In riferimento a quest’ultimo, infatti, è fatto obbligo analizzare aspetti quali ad esempio (si veda il punto 4 dell’Accordo Europeo): “Vi è corrispondenza tra le competenze dei lavoratori ed i requisiti professionali richiesti dal ruolo ricoperto?”, “Vi sono incertezze rispetto alle prestazioni richieste al lavoratore?”, “Vi sono incertezze rispetto alle prospettive di impiego?”, “Vi sono lavoratori che si sentono inadeguati in Azienda?”; tematiche non direttamente o puntualmente trattate dagli indicatori presenti sulle principali check list di riferimento che necessitano quindi di adeguata valutazione tramite altri strumenti di indagine, quali quelli presentati a seguire. Intervista L’intervista è una lista organizzata di informazioni che vogliamo ottenere attraverso un confronto diretto con il soggetto o i soggetti partecipanti (intervista di gruppo). L’intervista consiste nell’interazione tra un intervistato ed un intervistatore (ad esempio Consulente e Datore di lavoro), provocata dall’intervistatore, avente una finalità di tipo conoscitivo su un argomento specifico (ad esempio lo “stress lavorocorrelato in azienda), guidata dall’intervistatore sulla base di uno schema di interrogazione (traccia – domande dell’intervista). L’intervista può avere diversi gradi di strutturazione (diversa modalità di formulazione e sequenza delle domande che compongono l’intervista). Per la valutazione del rischio stress lavoro correlato si utilizza spesso l’intervista semi-strutturata, “in questo caso l’intervistatore dispone di una ‘traccia’ che riporta gli argomenti che deve toccare nel corso dell’intervista. L’ordine con il quale i vari temi sono affrontati e il modo di formulare le domande sono tuttavia lasciati alla libera decisone e valutazione dell’intervistatore” (Corbetta, 2000). 59


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L’intervista semi-strutturata come qualsiasi altro strumento di raccolta dati presenta dei vantaggi e degli svantaggi (visti in relazione sia agli altri tipi di intervista sia agli altri strumenti di rilevazione): Vantaggi: - la flessibilità: la situazione di intervista consente all’intervistatore di scegliere quali domande porre all’intervistato e in che ordine, anche a seconda dell’andamento della medesima (aree di interesse intervistatoredisponibilità intervistato, ecc.); - il comportamento non verbale: l’intervistatore è presente e può osservare il comportamento non verbale di chi risponde (aspetto più difficilmente osservabile tramite la somministrazione di gruppo di questionari); - il controllo sull’ambiente: l’intervistatore può standardizzare l’ambiente garantendo che l’intervista sia sempre condotta in un luogo adeguato; - la possibilità di comprensione e approfondimenti: un bravo intervistatore permette di far rispondere l’intervistato anche a domande, concetti molto complessi, altrimenti di difficile comprensione o passibili di fraintendimenti se le medesime vengono poste tramite questionario (caratteristica a parer mio molto utile rispetto a una tematica così delicata e talvolta poco conosciuta come quella del rischio stress lavorocorrelato). Svantaggi: - il costo e i tempi: la preparazione dell’intervista e degli intervistatori risulta costosa, in aggiunta vi è la realizzazione della stessa, soprattutto se viene rivolta singolarmente a più persone (nella mia esperienza come valutatrice la realizzazione di un’intervista può durare circa 30-90 minuti); - l’influenza dell’intervistatore: l’intervistatore può influenzare le risposte degli utenti, nonché fraintendere ciò che dicono o compiere errori nella raccolta dei dati; - minor garanzia dell’anonimato: conoscendo il nome dell’intervistato, l’intervistatore rappresenta una potenziale minaccia all’anonimato dell’intervistato, specie se le domande riguardano la sfera emotiva e/o personale dell’intervistato.

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L’intervista poi può spostarsi verso un minor grado di strutturazione se a tratti la si conduce in forma libera, costruendo le domande nel corso della conversazione, domande anche di tipo “aperto” o domande “sonda” che permettono all'intervistato di esprimere più istintivamente un parere o sollecitano una risposta più ricca e accurata. L’intervista può essere svolta vis-a-vis con il nostro interlocutore, oppure telefonicamente (nella mia esperienza questo accade spesso nell’intervistare i Medici Competenti consulenti esterni all’Azienda) a seconda dell’approfondimento ricercato e delle caratteristiche della ricerca che stiamo conducendo. Indipendentemente dalla modalità di realizzazione dell’intervista la sua efficacia risentirà della professionalità con cui essa viene condotta dall’intervistatore. Il compito dell’intervistatore è quindi quello di mettere a proprio agio l’interlocutore, ma senza orientare/influenzare le sue risposte: può capitare infatti che il nostro intervistato possa rispondere cercando di intuire la posizione dell’intervistatore o ricercando quello che lui crede essere il consenso sociale. Rispetto alle fasi di valutazione dello stress lavoro-correlato, così come descritte dalla Commissione Consultiva, l’approccio alla popolazione aziendale tramite l’intervista è quello che utilizzo con maggior frequenza e costanza in quanto: • in fase preliminare costituisce lo strumento cardine per la raccolta, tramite colloqui individuali con il Datore di Lavoro, l’RSPP, l’RLS, il Medico Competente, l’HR ed in alcuni casi con alcuni lavoratori rappresentativi delle ripartizioni organizzative presenti in organizzazione (a discrezione del Management aziendale), dei dati necessari alla compilazione della check list dell’ex ISPESL contenete gli indicatori aziendali, del contenuto e del contesto del lavoro; • in fase preliminare rappresenta lo strumento preferenziale per la raccolta di quegli elementi di indagine indicati sull’Accordo Europeo non presenti sulla check list da me utilizzata; • in fase di approfondimento (in caso di necessità post valutazione preliminare o in caso di volontà del Management aziendale indipendentemente dall’esito della valutazione 61


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preliminare) per le aziende di piccole dimensioni dove la tecnica del focus group non possa o non voglia essere applicata. Focus Group Il focus group può essere definito come una tecnica qualitativa di rilevazione dati che si basa sulla discussione di gruppo (Zammuner, 2003), gestita da un moderatore e focalizzata su uno o più argomenti specifici (Corrao, 2000), finalizzata ad ottenere le percezioni dei partecipanti su una definita area d’interesse in un ambiente permissivo e non minaccioso (Krueger, 1994). L’assunto di base per il quale molti ricercatori, me compresa, utilizzano questo strumento è che il processo di gruppo che caratterizza tale strumento può aiutare le persone ad esplorare e chiarire le proprie opinioni in modo più esaustivo ed approfondito di quanto non accada in un’intervista individuale o attraverso la somministrazione di un questionario. I soggetti coinvolti definiscono la propria posizione sul tema “stress lavoro-correlato” confrontandosi con altre persone, appartenenti alla stessa mansione (ad esempio nelle aziende di maggior dimensioni) o a mansioni lavorative diverse (ad esempio nelle aziende di minor dimensioni), mentre il ricercatore può limitare la sua influenza sulle loro risposte e distinguere le opinioni più o meno radicate. Protagonisti del focus group sono il gruppo di partecipanti, la cui ampiezza va da un minimo di 6 ad un massimo di 12, il conduttore (o moderatore) ed un osservatore. La durata di una sessione è di solito contenuta tra una e due ore e mezza. Il conduttore è colui che stimola la discussione ed il confronto tra i diversi punti di vista, mantiene sempre un atteggiamento neutrale, fa attenzione non solo ai contenuti degli scambi comunicativi, ma anche alle dinamiche relazionali che si stabiliscono all’interno del gruppo, favorisce la partecipazione di tutti i partecipanti (garantendo così il coinvolgimento dei lavoratori). Egli, seguendo una traccia (griglia) più o meno strutturata, propone degli “stimoli” ai partecipanti. Gli stimoli possono essere di tipo verbale (domande dirette, frasi, definizioni, associazioni) oppure visivo (fotografie, disegni, vignette, filmati). 62


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L’osservatore ha invece il compito di fare una sintesi dei contenuti emersi (che possano aiutare il conduttore nella successiva rielaborazione di quanto emerso), prendere nota dei principali “snodi” dell’incontro (i momenti di svolta), descriverne le dinamiche relazionali, gestire gli strumenti utilizzati per l’eventuale audioregistrazione degli interventi (la mia esperienza diretta per la valutazione di questo rischio sconsiglia l’ausilio di una videocamera e spesso anche l’ausilio di una registrazione vocale, ma si appoggia spesso sulle capacità del conduttore e dell’osservatore di “prendere appunti” tramite modalità cartacea o informatizzata dei principali elementi emergenti durante il focus group). Rispetto alle fasi di valutazione dello stress lavoro-correlato, la tecnica del focus group, viene da me utilizzata in collaborazione con un mio collega (osservatore) nei seguenti casi: • in fase preliminare rappresenta, anche se non frequentemente, uno strumento di lavoro di gruppo con il quale si conduce/si supporta il team di lavoro aziendale, formato spesso dal Datore di Lavoro, l’RSPP, l’RLS o gli RLS, il Medico Competente, l’HR ed eventuali ulteriori stakeholder aziendali, all’accordo congiunto della compilazione della check list di riferimento; • in fase di approfondimento (in caso di necessità post valutazione preliminare o in caso di volontà del management aziendale indipendentemente dall’esito della valutazione preliminare) per le aziende di piccole-medie dimensioni dove si predilige far esprimere i lavoratori in gruppo piuttosto che singolarmente, o nelle aziende di grandi dimensioni quando l’approfondimento riguarda gruppi di lavoratori, ad esempio solo alcune ripartizioni organizzative o mansioni aziendali e non l’intera popolazione aziendale, o in qualsiasi tipo di azienda quando è presente la volontà di approfondimento tramite un confronto di gruppo; • a seguito di una fase preliminare che ha evidenziato criticità che necessitano di azioni correttive, per individuare con gli stakeholder aziendali quali potrebbero essere le azioni di miglioramento di maggiore efficienza da implementare in azienda nel breve-medio periodo.

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Questionario A differenza dell’intervista, caratterizzata dall’interazione tra intervistatore e rispondente, il questionario è una tecnica ad autosomministrazione che quindi richiede una minor partecipazione (comunque meno diretta, anche se partecipata tramite somministrazione guidata in aula) di colui che conduce lo studio o la valutazione. Nella sua forma più generale è concepito come un colloquio realizzato proponendo per iscritto (di solito su supporto cartaceo, ma è possibile l’utilizzazione di PC) domande o affermazioni a cui il soggetto risponde, scegliendo tra una gamma, più o meno ampia, di risposte previste. Il questionario, qualunque esso sia, deve sempre essere corredato da istruzioni dettagliate e la somministrazione avviene solitamente in gruppo, con evidenti vantaggi in termini di tempi e costi per l’Azienda. Ci tengo a precisare che la somministrazione, soprattutto su un tema così delicato come quello dello “stress lavoro-correlato”, deve essere sempre guidata da un esperto dello strumento e del concetto oggetto di studio, pronto a rispondere ad eventuali domande e/o osservazioni da parte dei rispondenti. Il questionario, in quanto strumento ad alta standardizzazione, offre i seguenti vantaggi: - alta comparabilità tra le risposte dei partecipanti (che solitamente è possibile suddividere per macro-mansione o ripartizione organizzativa); - tempi di rilevazioni modesti con conseguente riduzione dei costi; - maggiore garanzia dell’anonimato. Allo stesso tempo, però, anche il questionario, come gli altri strumenti di raccolta dati, non è esente da svantaggi metodologici, quali la non flessibilità nella scelta e formulazione delle domande nell’andamento della ricerca, la non possibilità immediata di approfondimenti e di chiarimenti rispetto alle risposte date dai lavoratori. Anche in questo caso quindi, grande rilevanza riveste la figura del ricercatore/valutatore, in particolare nella scelta del tipo di questionario, nella presentazione dello stesso, nel garantire un buon grado di coinvolgimento dei partecipanti ed una buona comprensione del fenomeno studiato con l’obiettivo di ridurre al minimo la possibilità di ottenere risposte intenzionalmente falsificate o poco accurate per scarsa 64


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autoconsapevolezza dei rispondenti, distorsioni interpretative sugli obiettivi dell’indagine, non sufficiente conoscenza sull’oggetto di studio. Ulteriori approfondimenti dovrebbero essere dedicati a questioni relative alle diverse possibilità di acquisto/costruzione ad hoc dei questionari, a chi li può costruire/validare/utilizzare e quali sono le competenze ed i requisiti necessari per una corretta elaborazione ed interpretazione dei dati (in questo caso mi riferisco ad esempio alle conoscenze statistiche), ma la tematica necessita di spazi specifici e maggiormente analitici, pertanto mi limito a sottolineare l’importanza della stessa, mentre per ulteriori argomentazioni e dettagli rimando a testi e a contributi specifici. Rispetto alle fasi di valutazione dello stress lavoro correlato, i questionari – di diversa lunghezza, complessità, origine e tipologia a seconda dell’obiettivo della ricerca e delle caratteristiche dell’aziende presso le quali vengono somministrati – vengono da me somministrati (in gruppi da 10-25 persone) nelle seguenti occasioni: • mai in fase preliminare in alcun caso e mai nella fase di approfondimento valutativo in aziende con meno di 10 - 15 lavoratori (in quanto ad esempio l’utilizzo dei principali indici di tendenza centrale come la “media” subirebbero troppo l’influenza di eventuali outlier, e bisognerebbe ricorrere a complesse elaborazioni statistiche; situazione più semplicemente superabile tramite l’utilizzo di altri strumenti di rilevazione quali l’intervista od il focus group); • in fase di approfondimento valutativo (in caso di necessità post valutazione preliminare o in caso di volontà del management aziendale indipendentemente dall’esito della valutazione preliminare) per le aziende di medie-grandi dimensioni dove si è intenzionati a raccogliere le percezioni di un numero significativamente alto di lavoratori, avendo sempre la possibilità di suddividerli in macro-mansioni/ripartizioni organizzative differenti, o volendo interpellare solo parte della popolazione aziendale scegliendone comunque un campione correttamente rappresentativo e numericamente significativo.

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Osservazione partecipante Non è un caso o un eccesso di specificità il fatto di aver denominato questa tecnica “osservazione partecipante” e non più semplicemente “osservazione”. Se infatti con osservazione possiamo intendere la tecnica principale per la raccolta di dati sul comportamento non verbale, con “osservazione partecipante” intendiamo non una semplice osservazione, ma un coinvolgimento diretto del ricercatore/valutatore con l’oggetto di studio (Corbetta, 2000). Questo strumento di raccolta dati comporta un contatto personale e intenso tra soggetto valutante (ad esempio Datore di Lavoro, RSPP, RLS) e soggetto studiato (organizzazione del lavoro aziendale), un’interazione prolungata che può anche durare anni, con un coinvolgimento (partecipazione) del valutatore che osserva la vita e partecipa alla vita dell’oggetto studiato. Tramite l’osservazione partecipante il valutatore condivide ma anche interroga (deve quindi esserci relazione con gli altri lavoratori, si presuppone un confronto tra valutatore/osservatore e lavoratori) le persone che caratterizzano l’oggetto di studio al fine di sviluppare quella “visione dal di dentro” che è il presupposto della comprensione (Corbetta, 2000), ma che non deve essere confusa con un processo di interpretazione soggettiva e personale (a questo proposito ricordo che la prima fase di valutazione del rischio stress lavoro-correlato in diversi apporti scientifici viene nominata valutazione “oggettiva”). Proprio per queste caratteristiche ritengo che l’osservazione partecipante sia lo strumento di raccolta dati privilegiato per tutti i soggetti aziendali che “vivono” tutti i giorni la propria organizzazione del lavoro. I Datori di Lavoro, gli RSPP interni e gli RLS che compilano in autonomia le check list di riferimento, infatti, fanno più o meno volontariamente, consapevolmente e correttamente di questa tecnica il loro strumento di raccolta dati. Più difficile, invece, anche se non impossibile, è l’utilizzo di questa tecnica da parte di consulenti esterni come gli RSPP, i Medici Competenti liberi professionisti, o gli esperti di organizzazione aziendale o Psicologi del lavoro come me, che solo raramente “vivono” la medesima azienda da molti anni e nel contempo avendo piena visibilità 66


Priscilla Dusi

dell’intera organizzazione aziendale. A conclusione di questa personale disamina dei principali strumenti ad oggi riconosciuti dalle principali fonti scientifiche sul tema in oggetto, tengo a sottolineare che tutte le tecniche/strumenti qui presentati, più o meno idonei a essere utilizzati a seconda delle caratteristiche dell’Azienda in oggetto e a seconda della fase di valutazione/processo di valutazione del rischio stress lavoro-correlato in cui ci troviamo, presentano rigide regole e/o buone prassi di conduzione/ somministrazione e relativa elaborazione ed interpretazione dei dati. Pertanto, le stesse, richiedono conoscenze e competenze specifiche che, se non impediscono, quantomeno sconsigliano ai “valutatori non competenti” (che non conoscono tali regole/buone prassi e che non sono in grado di garantirne un “corretto” utilizzo) il loro impiego, per non rischiare di incorrere in quello che Carocci denomina “errore di rilevazione” (Metologia e Tecnica delle Ricerca sociale, 2000) andando a compromettere la “bontà” o esito della valutazione.

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Lo stress lavoro correlato, la salute e la tutela dei lavoratori di Luigi Dal Cason1

Quando nel 1948 l’OMS ha coniato la definizione di Salute che comprende lo “stato di benessere fisico, psichico e sociale indipendente da assenza di malattia o infermità ”, ha indicato la prima e migliore LINEA GUIDA per delineare la necessaria correlazione tra la vita dei singoli e della comunità, di qualsiasi tipologia fossero (scolastica, militare, lavoratori, ecc…). Nel dopoguerra la necessità di “avere” un lavoro era predominante come obiettivo rispetto alla tutela, anche elementare, della propria salute. Con un parallelo forse un po’ forzato, ma non così lontano dalla realtà, oggi si ripete quella stessa situazione, soprattutto sulla spinta della crisi economica e delle migrazioni di popolazioni disperate. Tuttavia, alla apparente incongruenza della richiesta normativa (ora specificata, ma realmente già presente precedentemente seppur “non letta”) corrisponde l’osservazione di molteplici situazioni di “disagio”, di conflitto più o meno palese, di “malessere”, (in contrapposizione al termine “benessere” della definizione di salute), che non possono non essere considerate in un’ottica di continuo miglioramento, quantunque non esteso a più ampie comunità lavorative. Lo stress è ora diffusamente identificato come il non avere lavoro, essere precari, non ricevere quanto necessario a sopravvivere o comunque a garantire i bisogni reali o percepiti. In quest’ottica l’analisi dei richiesti “INDICATORI OGGETTIVI” dei vari Accordi e delle recenti LINEE GUIDA MINISTERIALI, fa dubitare della significatività degli stessi in rapporto alla compliance dei lavoratori con i propri datori di lavoro in un momento ove tutto è incerto ed il 1

Laureato in Medicina e Chirurgia, Specialista in Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale. Master in Ergonomia. Certificato ISO 9001:2008 per Medicina del Lavoro, Igiene Industriale e Formazione. Valutatore Ergocert per l’ergonomia dei Posti di Lavoro.

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Luigi Dal Cason

turnover o l’assenteismo, per esempio, sono calati a valori risibili; questo anche per il condizionamento posto dalle diverse tipologie di lavoro a tempo limitato. Il Medico Competente nelle aziende deve assumere in questa situazione un ruolo molto importante, abbandonando parzialmente il camice del “visitificio” e rivestendo, nelle diverse occasioni, i panni del consulente aziendale, del confessore dei singoli, del recettore/scrematore di quel “malessere” prima adombrato. Se la tutela della salute fisica resta comunque ed evidentemente l’adempimento principe ed il dovere professionale precipuo di un medico, pure la collaborazione con le figure preposte e la partecipazione CONSAPEVOLE alle diverse valutazioni aziendali sono ormai indispensabili connotazioni dell’essere Medico Competente di un’attività lavorativa. In quest’ottica il rapportarsi costantemente alle figure previste aziendali (Datore di Lavoro, Dirigenti, Preposti, Responsabili e Addetti del Servizio di Prevenzione e Protezione), l’avere un rapporto effettivo con il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, sarà assolutamente prioritario rispetto alla sua pur dovuta precisione negli adempimenti periodici. E per la valutazione dello stress lavoro correlato il poter/voler “utilizzare” professionalità non “solite” (psicologo del lavoro, assistenti sociali, rappresentanze sindacali) deve essere per il Medico Competente il valore aggiunto al proprio operato, arricchito da conoscenze trasversali che lo aiuteranno anche nel quotidiano monitoraggio sanitario delle condizioni di salute dei lavoratori. Non può e non deve essere solo un dato statistico bibliografico l’evidenza di sindromi dispeptiche, di disturbi del sonno, di rialzi della pressione arteriosa che accompagnano gli studi di settore. Nella quotidianità delle visite, quante di queste patologie possono essere etichettate solo come organiche e non magari associabili a disturbi neuro-psichici, indotti dalla organizzazione del lavoro? E quante sono le cefalee, le sindromi depressive, gli abusi alcolici e/o di psicofarmaci dovuti a uguali motivi? Non sono dati al momento reali, ma potrebbe essere una frontiera importantissima di PREVENZIONE VERA delle condizioni di salute nei luoghi di lavoro; per questo obiettivo è necessario quindi un impegno aziendale certo, ma sollecitato dalle figure preposte, principalmente il 69


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Medico Competente, e trasversalmente assistito da professionalità diverse (psicologo del lavoro in primis) che “traducano” correttamente i NUMERI e le BANDE COLORATE a cui troppo supinamente norme, adempimenti e richieste degli Enti tutori hanno limitato diverse valutazioni del reale, presente, vivo STRESS LAVORO-CORRELATO.

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Giuseppe Bonifaci

La tutela dell'Inail dei rischi psico‐sociali lavoro‐correlati: sempre al passo coi tempi nonostante le difficoltà di Giuseppe Bonifaci1

Prima della storica sentenza n. 179/88 della Corte Costituzionale, che introdusse in Italia il c.d. “sistema misto” nella tutela delle malattie professionali, potevano essere riconosciute solo le malattie elencate nelle tabelle di cui agli allegati 4 e 5 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124. In nessuna delle voci in elenco erano presenti i rischi psicosociali e/o lo stress come fattori causali di malattia professionale e, pertanto, l’Inail non poteva riconoscere i casi all’epoca eventualmente denunciati, mentre venivano regolarmente indennizzati i disturbi psichici dovuti ad infortuni lavorativi (per causa violenta concentrata nel tempo). L’introduzione del citato “sistema misto” ha consentito di ricondurre alla logica assicurativa tutta una serie di “nuove malattie” che si erano nel contempo prepotentemente affacciate nel mondo della medicina del lavoro, in larga misura ad origine multifattoriale. Tra queste, come noto, un ruolo di rilievo è stato, ed è, rappresentato dalle malattie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori e del rachide lombare ma anche, per l’appunto, dalle malattie da stress lavoro-correlate. Le prime sono state incluse nelle nuove tabelle, come aggiornate con il D.M. 9 aprile 2008, mentre le seconde ne sono restate ancora fuori e pertanto continuano ad essere ammissibili ai sensi della citata sentenza della Corte Costituzionale, con onere della prova a carico dell’assicurato. I rischi psicosociali sul posto di lavoro , secondo la definizione di Cox & Griffith, sono “quegli aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché i loro contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica”. 1

Sovrintendente Medico Generale INAIL.

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Il fenomeno è stato posto negli ultimi anni sempre più all’attenzione dagli addetti ai lavori, trovando ampio rilievo anche in studi internazionali, che ne richiamavano l’inevitabile incremento per le ragioni a tutti ormai ampiamente note (importanti e continui cambiamenti del mondo del lavoro, la globalizzazione economico-finanziaria, l’invecchiamento della forza lavoro e, non ultimo, il deteriorarsi del clima lavorativo con fenomeni di violenza psicologica compreso il mobbing). Parallelamente, per quanto attiene all’assicurazione sociale gestita dall’Inail, si è avuto il progressivo ampliamento delle categorie di lavoratori assicurabili e dell’oggetto della tutela, anche per intervenute sentenze della giurisprudenza di legittimità, che hanno portato a riconoscere l’occasione di lavoro, e/o il rischio lavorativo, in qualsiasi situazione in cui il lavoratore venga a trovarsi e per qualsivoglia ragione connessa ad esigenze lavorative. A coronamento di questo percorso è giunto il D. Lgs. n. 38/2000 che, con l’articolo 13, non solo ha introdotto anche in Inail la tutela del danno biologico, come lesione all’integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico legale della persona, ed il cui ristoro è determinato in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato, ma inoltre ha ribadito al comma 4 dell’articolo 10: “… che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale…”. Da questa indispensabile premessa meglio si comprende la volontà dell’Istituto assicuratore, come la sua ultracentenaria storia insegna, di raccogliere prontamente la sfida per la tutela anche di queste “nuove malattie” riconducibili a particolari condizioni di lavoro e rientranti nell’ambito dei cosiddetti rischi psico-sociali (in particolare la cosiddetta “costrittività organizzativa”). Nuovi rischi e nuove malattie, come sopra ricordato ad origine multifattoriale, che dunque richiedono la massima attenzione nell’individuazione della causalità lavorativa, riconoscendo rilievo a quegli antecedenti che siano dotati di efficienza causale adeguata, non dimenticando che la citata giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che anche nell’ambito dei riconoscimenti di malattia 72


Giuseppe Bonifaci

professionale debba trovare applicazione il principio di equivalenza causale, di cui all’articolo 41 del codice penale. La coerenza agli indirizzi giurisprudenziali e ai nuovi istituiti normativi (ad esempio da ultimo il D. Lgs. n. 38/2000) seguita dall’Inail, non appariva potersi prestare a particolari problematiche, ma quanto accaduto invece a seguito dell’emanazione della circolare Inail n. 71/2003 (da sempre semplice strumento tecnico ad uso interno, che forniva alle sedi territoriali indicazioni omogenee sull’iter istruttorio da seguire) ha scritto una pagina critica sul tema della ricerca e della prevenzione nella sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. È noto infatti che alla circolare Inail (“Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche”) faceva subito seguito il ricorso al TAR Lazio da parte di Confindustria, Confagricoltura e Abi. Le associazioni datoriali chiedevano contestualmente anche l’annullamento del Decreto Ministeriale del 27 aprile 2004 (malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell’articolo 139 del Testo Unico), nella parte in cui le malattie “psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell’organizzazione del lavoro” − malattie la cui origine lavorativa viene ritenuta di limitata probabilità − sono state comunque inserite nella lista delle patologie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia all’organo di vigilanza. Per entrambe le fattispecie la controversia giuridica veniva incentrata sull’opposizione al principio che il mobbing potesse assurgere a malattia tipizzata indennizzabile in assenza di definizioni scientifiche certe. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con la sentenza n. 5454 del 4 luglio 2005, dava parzialmente ragione al fronte imprenditoriale, annullando la circolare dell’Inail, motivando che “Il mobbing non può essere considerato in via automatica come una malattia professionale e in quanto tale indennizzabile dall’INAIL, dovendo sempre essere provata l’esistenza della causa di lavoro”, ma non il Decreto Ministeriale in quanto l’inclusione di tali patologie nella Lista “… non ha altra funzione che quella della raccolta del dato epidemiologico”. 73


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Seguiva il ricorso al Consiglio di Stato da parte dell’Inail, con relativa richiesta di annullamento della sentenza. A parere dell’Istituto il Tar avrebbe travisato i punti fondamentali della circolare, affermando che l’Ente avrebbe trasformato le patologie psichiche determinate da costrittività organizzativa sul lavoro in malattie tabellate, assimilando inoltre le patologie oggetto della circolare al mobbing, confondendo due ambiti radicalmente diversi tra di loro. “La tutela delle malattie professionali causate da disfunzioni organizzative del lavoro costituisce attuazione di diritti costituzionalmente protetti indipendentemente da qualsiasi responsabilità del datore di lavoro”, motivava l’Avvocatura dell’Inail. “Il mobbing invece − che come è noto si manifesta con un ripetuto comportamento persecutorio − determina l’obbligo di risarcire il danno ingiustamente causato al lavoratore anche se quest’ultimo non abbia contratto alcuna malattia per effetto del mobbing”. Il rigetto del Consiglio di Stato. La sentenza (n. 1576/2009) di Palazzo Spada rigettava il ricorso dell’INAIL contro la sentenza del Tar. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, le patologie oggetto della circolare non possono essere considerate come malattie professionali. A suo giudizio, infatti − dopo l’introduzione del sistema misto da parte della sentenza 179/88 della Corte Costituzionale (che rende indennizzabili, da parte dell’INAIL, oltre alle malattie professionali tabellate, anche tutte quelle causate o concausate dall’attività lavorativa del soggetto colpito dalla malattia stessa) − possono essere comunque riconosciute come “non tabellate” solo quelle patologie causate dal rischio specifico delle lavorazioni indicate negli articoli 1 e 4 del decreto n. 1124 del 30 giugno 1965 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali). Veniva accolta anche la richiesta di annullamento del Decreto Ministeriale del 27 aprile 2004 (annullamento che peraltro non ha prodotto effetti essendo lo stesso stato integralmente sostituito dal successivo D.M. 14 gennaio 2008, recante il nuovo elenco delle malattie di probabile o possibile origine professionale, sul quale il Consiglio di Stato nulla ha statuito ed avverso il quale non è stata proposta alcuna impugnativa)2.

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Attualmente è vigente l’ulteriore aggiornamento con D.M. 11.12.2009.

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Giuseppe Bonifaci

La decisione del Consiglio di Stato, che non ha ritenuto di dovere tener conto di quanto accaduto nell’ambito della tutela privilegiata Inail nei quasi cinquant’anni trascorsi dalla scrittura del Testo Unico, non ha di fatto prodotto effetti concreti per quanto riguarda la trattazione ed i relativi riconoscimenti dei casi denunciati. L’Inail, infatti, non può sottrarsi ai propri compiti istituzionali, e ha continuato, e continua, a trattare tutte le singole fattispecie relative a disturbi psichici da stress lavoro-correlato in analogia con quanto accade per le altre tipologie di denunce di malattie professionali non tabellate. Inoltre è di tutta evidenza, in caso di specifico contenzioso sulla valutazione della natura professionale della malattia denunciata all’Istituto, che la stessa viene rimessa alla competenza del giudice ordinario, in particolare quello del lavoro, che è tenuto a rispettare i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione la quale, come ricordato, in materia di occasioni di lavoro e nesso di causalità, ha manifestato nel corso degli anni un orientamento decisamente diverso, con progressivo allargamento del concetto di “occasione di lavoro e nesso di causalità”, riconducendo questo rapporto non solo ai rischi specifici di alcune lavorazioni, ma a tutti i rischi del lavoro considerato in sé e per sé. A suggello della correttezza della posizione dell’Istituto va evidenziato quanto espressamente previsto dal Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro all’art. 28 del D. Lgs. n. 81/2008 e successive integrazioni con D. Lgs. n. 106/2009 − “Oggetto della valutazione dei rischi” − e, quindi, in attuazione dello stesso, dal successivo Documento prodotto dalla Commissione consultiva del Ministero del lavoro, con le “Indicazioni metodologiche” da seguire, stante l’obbligo di valutare tutti i rischi compresi quelli collegati allo stress lavoro-correlato (Lettera Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 18.11.2010). Dunque un rischio che può essere presente nei luoghi di lavoro e che, come per tutti gli altri, ove produca un danno permanente alla salute del lavoratore, vede l’Inail pronto alla relativa tutela, nel rispetto della criteriologia medico-legale previdenziale costantemente applicata.

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In tale ottica momento essenziale, dopo l’acquisizione di tutte le informazioni e la documentazione sulla denunciata situazione lavorativa, e del Documento di valutazione dei rischi (anche tramite incarico ispettivo) è la visita medica legale presso la sede Inail. In tale ambito, raccolta un’accurata anamnesi clinica e lavorativa, esaminata la documentazione sanitaria esibita dal lavoratore, effettuata la visita specialistica neuropsichiatrica, corredata di eventuali test psicodiagnostici, si provvederà a porre la diagnosi conclusiva. Riassumendo in maniera molto essenziale si possono verificare le seguenti due ipotesi: • Presenza di causa lavorativa ed extralavorativa entrambi con idonea efficacia causale: CASO AMMESSO ALL’INDENNIZZO (senza che sia rilevante la maggiore o minore incidenza nel raffronto tra le concause lavorative ed extralavorative); • Presenza di causa lavorativa inidonea ed extralavorativa con idonea efficacia causale: CASO NON AMMESSO ALL’INDENNIZZO. La diagnosi comunemente correlabile ai rischi in argomento è il disturbo dell’adattamento cronico, con le varie manifestazioni cliniche (ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta, disturbi emozionali e disturbi somatoformi). La diagnosi di sindrome (o disturbo) post traumatico da stress, residuale, può riguardare quei casi per i quali l’evento lavorativo, assumendo connotazioni più estreme, può ritenersi paragonabile a quelli citati nelle classificazioni internazionali dell’ICD-10 e DSM-IV. Questi casi vengono definiti come “estremi/eccezionalmente minacciosi o catastrofici” (a tale riguardo giova ricordare la possibilità che fattispecie che configurino un “evento acuto” devono trovare naturale collocazione nell’ambito dell’infortunio lavorativo). Veniamo infine all’analisi del numero delle denunce pervenute all’Inail in questi anni3.

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Rivista degli infortuni e delle malattie professionali -Fascicolo n. 2/2010 - Ed. INAIL.

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Giuseppe Bonifaci

Il dato numerico, relativo ai casi denunciati all’Istituto assicuratore di disturbi psichici lavoro-correlati, evidenzia un fenomeno estremamente contenuto intorno ai 400-500 casi/anno, potendosi peraltro, come per tutte le tecnopatie, ipotizzare che vi sia una sottostima di denunce. Tale sottostima appare ragionevolmente condizionata da un lato dagli intuibili risvolti legati alle dinamiche dell’attuale mercato del lavoro dall’altro dal possibile ricorso ad altri ambiti di tutela (in particolare in responsabilità civile). D’altronde la percentuale dei riconoscimenti dell’Inail di tali malattie, negli ultimi anni attestati intorno al 10-15% del totale dei casi, evidenzia tutta la difficoltà legata alla dimostrazione oggettiva da parte dell’assicurato della presenza del rischio lavorativo denunciato.

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Francesco Naviglio

TERZA PARTE:

ASPETTI ORGANIZZATIVI

Francesco Naviglio Annalisa Guercio Vito Volpe – Andrea Volpe


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Francesco Naviglio

La valutazione dello stress da lavoro correlato Verso una azienda NO‐STRESS di Francesco Naviglio1

Stare attenti vuol dire vivere nel momento presente, non essere imprigionati nel passato e nemmeno anticipare eventi futuri che potrebbero non accadere. Allorché siamo pienamente coscienti del momento presente, la vita si trasforma e l'ansia e lo stress scompaiono. Gran parte della vita se ne va nella febbrile anticipazione delle cose da fare e nella conseguente sospensione d'animo. Dovremmo imparare a fare un passo indietro nella libertà e possibilità del presente. (Bede Griffiths 1906 –1993)

1. Introduzione “Stress lavoro-correlato” è una definizione adottata di recente per indicare una situazione di disagio correlato a situazioni e/o ambienti lavorativi stressanti per i lavoratori. Successivamente all’approvazione del Testo Unico n. 81 del 2008 (articolo 28) e al decreto correttivo n. 106 del 2009 l’argomento “stress lavoro-correlato” è diventato una tematica protagonista dello scenario della Sicurezza sul Lavoro. “Lo stress legato all’attività lavorativa rappresenta una delle sfide principali con cui l’Europa deve confrontarsi nel campo della salute e della sicurezza. Questa condizione interessa quasi un 1

Segretario Generale AiFOS – Sociologo dell’organizzazione.

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lavoratore su quattro e dagli studi condotti emerge che una percentuale compresa tra il 50% e il 60% di tutte le giornate lavorative perse è dovuta allo stress. Ciò comporta costi enormi in termini di disagio umano e pregiudizio del risultato economico”2. L’attenzione al fenomeno dello stress correlato al lavoro ha assunto una notevole rilevanza a seguito dell’Accordo europeo3 del 08/10/2004 e recepito dall’Italia nel 2008, fortemente voluto e sottoscritto dal sindacato europeo e dalle organizzazioni dei datori di lavoro al fine di realizzare delle linee guida comuni europee per la prevenzione e la valutazione del rischio stress da lavoro correlato. A proposito di “stress lavoro-correlato” lo scopo dichiarato dell’Accordo europeo è “…migliorare la consapevolezza e la comprensione dello stress da lavoro da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti, attirando la loro attenzione sui sintomi che possono indicare l’insorgenza dei problemi di stress da lavoro”. Alcuni dati relativi alla crescita di questo fenomeno li fornisce l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA): “lo stress legato all’attività lavorativa è una delle principali sfide dell’Europa nella sfera della salute e della sicurezza sul lavoro (SSL) e il numero di persone che lamentano situazioni di disagio provocate dallo stress o aggravate dal lavoro è destinato ad aumentare nel tempo”. Dalla presa di coscienza della Comunità Europea del 2004 ad oggi sono passati diversi anni ed in Italia si è assistito all’evoluzione della normativa della sicurezza sul lavoro divenuta più attenta agli eventi meccanicistici da cui scaturiscono gli infortuni sul lavoro ed anche agli aspetti psicologici e motivazionali che in larga parte possono considerarsi quali elementi scatenanti dell’evento infortunistico. 2 3

Fonte: Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro. Accordo Europeo sullo stress da lavoro dell’8 ottobre 2004 siglato da CES - sindacato Europeo; UNICE-“confindustria europea”; UEAPME - associazione europea artigianato e PMI; CEEP - associazione europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale.

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Francesco Naviglio

2. L’origine dello studio scientifico del fenomeno L’interesse per gli aspetti sociali delle relazioni umane all’interno dei gruppi ha sempre accompagnato sul nascere lo studio delle organizzazioni e di quelle lavorative in particolare. Sono infatti evidenti i rapporti tra alcuni tratti della formazione del comportamento individuale e la vita comunitaria. Riconoscere le modalità attraverso cui le persone interagiscono, entro una cornice simbolica e culturale come il posto di lavoro, è uno degli interessi delle scienze che mettono l’uomo al centro dell’analisi e che studiano l’interazione uomo-società e, in particolare, uomo-azienda. Occorre tenere conto delle matrici che hanno segnato l’evoluzione delle scienze sociali per comprendere un intreccio non semplice di saperi e visioni fondamento dell’attuale studio dei gruppi e delle relazioni sociali e individuali che si innescano all’interno dei vari aspetti della vita comunitaria. Nel tempo diversi studi si sono sviluppati sulle cause di disturbi psicologici e comportamentali derivanti da motivi lavorativi. In particolare sono state oggetto di analisi situazioni di malessere di origine lavorativa denominate burnout4, mobbing5, straining6 oltre ad alcune 4

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La sindrome da burnout (o più semplicemente burnout) è l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere. Maslach e Leiter (2000) hanno perfezionato le componenti della sindrome attraverso tre dimensioni: deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro, deterioramento delle emozioni originariamente associati al lavoro ed un problema di adattamento tra persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest’ultimo. In tal senso il burnout diventa una sindrome da stress non più esclusiva delle professioni d’aiuto, ma probabile in qualsiasi organizzazione di lavoro. Il mobbing è, nell’accezione più comune in Italia, un insieme di comportamenti violenti (abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, ostracizzazione, etc.) perpetrati da parte di uno o più (segue)

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forme di stalking7. Quest’ultimo, pur se riferito alla sfera intima e privata della vita della vittima, può svilupparsi per l’insorgere del comportamento dell’aggressore anche nell’ambito alla sfera lavorativa. Negli anni si è progressivamente consolidata la certezza che l’attività lavorativa svolta in condizioni ambientali disagiate e nell’ambito di relazioni interpersonali di forte malessere o frustrazione possa determinare patologie gravi fino a configurare condizioni di infermità. Lo stress, come termine indicante una “maladattività” ad uno o più eventi che si succedono nel tempo, fu coniato da Hans Selye che nel 1936 viveva a Montreal dove lavorava come ricercatore alla “McGill University”. I suoi esperimenti consistevano nell’iniettare quotidianamente una sostanza a dei ratti per testarne gli effetti, e su questi animali aveva poi riscontrato ulcere peptiche, atrofia dei tessuti del sistema immunitario e ingrossamento delle ghiandole surrenali. Gli stessi sintomi si potevano

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individui nei confronti di un altro individuo, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale, nonché della salute psicofisica dello stesso. I singoli atteggiamenti molesti (o emulativi) non raggiungono necessariamente la soglia del reato né debbono essere di per sé illegittimi, ma nell’insieme producono danneggiamenti plurioffensivi anche gravi, con conseguenze sul patrimonio della vittima, la sua salute, la sua esistenza. Più in generale, il termine indica i comportamenti violenti che un gruppo (sociale, familiare, animale) rivolge ad un suo membro. Lo straining si differenzia dal Mobbing, per il modo in cui è perpetrata l’azione vessatoria. Nello Straining viene meno il carattere della continuità delle azioni vessatorie, tipica del mobbing. Pensiamo, per esempio, al demansionamento, alla dequalificazione, all’isolamento o alla privazione degli strumenti di lavoro: si tratta di situazioni stressanti che possono anche causare gravi disturbi psicosomatici, ma non di azioni ripetute nel tempo. Lo stalking è una serie di “atti persecutori”, indicati gergalmente con la parola anglosassone stalking (letteralmente significa "fare la posta"), che in termini psicologici indicano un complesso fenomeno relazionale, indicato anche come “sindrome del molestatore assillante”. I comportamenti persecutori sono definiti come “un insieme di condotte vessatorie, sotto forma di minaccia, molestia, atti lesivi continuati che inducono nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore”. Quindi, non sono tanto le singole condotte ad essere considerate persecutorie, ma piuttosto è la modalità ripetuta nel tempo, contro la volontà della vittima, che riassume in sé il principale significato delle condotte persecutorie. Lo stalking può presentare una durata variabile, da un paio di mesi fino a coprire un periodo lungo anche anni.

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Francesco Naviglio

riscontrare anche nei ratti in cui era stata iniettata quotidianamente una soluzione fisiologica (innocua). Questi animali avevano in comune solamente il fatto di aver subito quotidianamente delle iniezioni, quindi i sintomi che presentavano potevano essere una risposta dell’organismo ad un fattore esterno e non direttamente riconducibile all’iniettamento di una sostanza. Selye cercò di dimostrare che l’insorgere di disturbi fisiologici poteva essere direttamente correlato all’ambiente di vita in cui era immerso il soggetto a cui venivano diagnosticati tali disturbi. La sua tesi fu sperimentalmente dimostrata sottoponendo gruppi di topi all’esposizione a temperature molto elevate o molto basse, a tossine, rumori forti e agenti patogeni. Effettivamente furono Figura 1 - Diagramma della Sindrome Generale di riscontrati gli stessi effetti Adattamento di H. Selye rinvenuti nei topi dei primi esperimenti. Il termine usato per descrivere questa situazione (“stress”) venne mutuato dalla fisica (indicava lo sforzo o la tensione a cui era sottoposto un materiale), Selye lo impiegò per indicare la “risposta non specifica dell’organismo a uno stimolo negativo”, noto anche come “stress”. Nacque così la disciplina fisiologica dello stress. Da allora gli studi si sono progressivamente estesi in vari campi collegati con lo studio dei comportamenti umani compresi quelli all’interno dei luoghi di lavoro. Lo stress è oggi inteso come una sindrome di adattamento a qualsiasi evento perturbatore dell’equilibrio di un organismo e può essere, quindi, sia fisiologico (eustress, appunto), sia patologico (“stress” propriamente detto, o distress). Sotto il profilo della scienza dell’organizzazione un altro filone che può collegarsi a quello sullo stress è riferito ai comportamenti aggressivi dell’uomo all’interno dei gruppi. Le scienze sociali, psicologiche e sociologiche, spiegano il comportamento umano in termini di interazione 85


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tra stati mentali e situazioni sociali immediate. Nella famosa formula euristica di Kurt Lewin8, il comportamento (C) viene visto come una funzione (f) dell’interazione tra la persona (P) e l’ambiente (A), concetto sintetizzato da Lewin con C = f (P,A). La persona, quindi, “obbligata” a lavorare in gruppo con altri individui sviluppa comportamenti spesso aggressivi che, in quanto repressi al loro interno, necessariamente sono fonte di stress. È perciò evidente che gli ambienti di lavoro, per concentrazione di persone, territorio di sviluppo di attività relazionali e sistemi gerarchici sono spesso luoghi favorevoli, anche per i loro layout ambientali, alla nascita e al consolidarsi di fattori stressanti nei confronti di chi vi opera, spesso diverse ore al giorno. Luoghi che se progettati e gestiti secondo certe caratteristiche diventano degli incubatori di stress per i lavoratori e per gli stessi datori di lavoro. 3. Consapevolezza del problema Affrontare il problema del rischio da “stress lavoro-correlato”, così come proposto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, necessita prima di tutto una presa di coscienza da parte dei datori di lavoro e dei dirigenti, se presenti, che non li porti a considerare la soluzione del problema come un ulteriore obbligo “inutile e costoso”, ma come un’opportunità di sviluppo e di competitività sul mercato. Gran parte dei datori di lavoro si sono ormai persuasi che garantire l’integrità fisica dei lavoratori, oltre ad essere l’assolvimento di un obbligo morale ed etico, favorisce l’azienda, in quanto le permette di ottenere benefici in termini di aumento della produttività e della competitività.

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Kurt Lewin, psicologo tedesco, pioniere della psicologia sociale, fu tra i primi ricercatori a studiare le dinamiche dei gruppi e lo sviluppo delle organizzazioni (1890 – 1947).

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Francesco Naviglio

Analoga consapevolezza deve essere acquisita per quanto riguarda la tutela degli aspetti psichici (dei lavoratori) e ambientali (dei luoghi di lavoro) che, visti nel loro insieme, concorrono a creare quel “benessere organizzativo” di cui si parla spesso negli ultimi anni. Da qui l’esigenza che la previsione, contenuta nel decreto legislativo n. 81/2008, di effettuare la valutazione del rischio da “stress lavorocorrelato” venga considerata un’opportunità di miglioramento delle condizioni di lavoro e del clima all’interno dei luoghi di lavoro. Di tale consapevolezza e della condivisione degli obiettivi che si è posto il legislatore inserendo l’art. 28 nel Decreto citato, il datore di lavoro e lo staff dirigenziale devono darne evidenza ai lavoratori in modo che le attività di valutazione dello stress lavoro-correlato non appaiano solo come semplice adempimento di un obbligo legislativo e, cosa ancora più dannosa per il clima aziendale, come strumento utilizzato per individuare e discriminare lavoratori portatori di comportamenti critici. Quest’ultimo aspetto appare di notevole importanza ed è da non sottovalutare, allorché si decidesse di utilizzare le metodologie di valutazione soggettiva in cui l’atteggiamento positivo del lavoratore nei confronti dell’indagine è particolarmente importante se si desidera raggiungere risultati ottimali e non falsati. Altro elemento da tenere presente nell’affrontare il problema dello “stress lavoro-correlato” è che si manifesta quando le persone percepiscono uno squilibrio tra le richieste avanzate nei loro confronti e le risorse a loro disposizione per far fronte a tali richieste. Sebbene la percezione dello stress sia di natura e con effetti psicologici, esso può influire anche sulla salute fisica delle persone. Cause di stress legato all’attività lavorativa vanno dalla mancanza di controllo sull’attività svolta, alle richieste inadeguate rivolte ai lavoratori oltre alla mancanza di sostegno da parte dei colleghi e della direzione. Lo stress è provocato anche da una scarsa corrispondenza tra l’attività da svolgere e le caratteristiche del lavoratore, dall’assenza di buoni rapporti interpersonali e dal verificarsi di episodi di violenza psicologica o fisica sul luogo di lavoro nonché, da non sottovalutare, da una conflittualità tra il ruolo svolto sul lavoro e la vita esterna. Dovrebbe essere facilmente comprensibile, anche se spesso non valutato attentamente, che le reazioni di fronte alle stesse circostanze variano da individuo a individuo: alcune persone riescono ad affrontare e reagire meglio alle pressioni ed alle criticità rispetto ad altre. 87


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Al momento di avviare all’interno dell’azienda un processo di valutazione della presenza di fenomeni stressogeni, è necessario essere coscienti che è determinante la valutazione soggettiva della propria situazione da parte di ciascun lavoratore. Non è possibile stabilire a priori, in sede di valutazione, il grado di stress derivante dalla sola situazione oggettiva rilevata ed analizzata. Di tali considerazioni deve essere informato il committente della valutazione in modo da non pervenire a conclusioni inattendibili ed incoerenti, oltre che inutili per l’azienda. Appare evidente come l’approccio al problema debba essere condotto da persone esperte dotate di consolidate professionalità che abbraccino diverse discipline come la psicologia del lavoro e l’analisi organizzativa. Lo scopo dovrà essere di analizzare, valutare e risolvere il problema dello “stress lavoro-correlato”, pervenendo alla definizione e realizzazione di una “Azienda No-Stress”. Sono altamente sconsigliate, dal punto di vista dell’opportunità metodologica, oltre che economica, le soluzioni meramente meccanicistiche, basate su semplici software gestionali, se avulse da una consulenza professionale che entri nel merito analizzando i risultati dei questionari e delle schede di rilevazione. Darebbero solo vita ad un accumulo di documenti, cartacei e non, senza alcuna utilità per i processi produttivi dell’azienda e per la realizzazione di quel “benessere organizzativo” che ormai viene riconosciuto come rilevante strumento di competitività.

4. Il “Day After” della valutazione Veniamo ora ad affrontare un altro punto saliente: una volta realizzata la valutazione e l’analisi del rischio così come prescritto dal Decreto Legislativo n. 81/2008, ci si trova di fronte al dilemma del cosa fare. Una scelta tutta italiana è quella di considerare assolto l’obbligo legislativo e di mettere nel cassetto il risultato della valutazione, pronti a mostrarlo in concomitanza di verifiche ispettive di vario genere. Scelta formalmente corretta tuttavia − mi permetto di osservare − profondamente ottusa se si considera l’impegno economico e di tempo profuso oltre al mancato utilizzo delle opportunità che i risultati della valutazione avrebbero potuto offrire allo sviluppo qualitativo e 88


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quantitativo della produzione e del layout dell’azienda, oltre che al miglioramento delle relazioni interpersonali all’interno del gruppo. Che fare nel caso in cui la valutazione abbia dato risultati che evidenzino ambienti di lavoro poco salubri, capi che ignorano cosa significhi far partecipare agli obiettivi il personale e infondergli motivazioni, anche in considerazione di fattori esterni all’ambiente di lavoro come la malattia di un familiare o una situazione economica difficile, che possono condizionare negativamente i risultati del lavoro? Disconoscere la realtà oppure intervenire per risolvere il problema? La risposta dovrebbe essere univoca e decisa. Eppure non è così e si assiste al continuo proliferare di valutazioni, come si diceva, meccanicistiche, compiute tramite schede e software asettici che senza una analisi preventiva di contesto vengono utilizzati senza criteri scientifici e con dubbie professionalità. Da ciò scaturiscono risultanze ambigue e che non offrono al datore di lavoro soluzioni credibili dal punto di vista organizzativo e gestionale. L’obiettivo del datore di lavoro, per contro, dovrebbe essere proprio quello di indagare a fondo la situazione oggettiva e soggettiva della propria azienda, al fine di apportare al suo interno le opportune modifiche ed implementazioni, nella ricerca continua di un miglioramento della qualità ed efficienza della produzione e del benessere organizzativo interno. Dalle risultanze della valutazione circa l’esistenza o meno di fenomeni derivanti da stress correlato ai fattori produttivi il datore di lavoro e i dirigenti dell’azienda dovrebbero ricevere indicazioni utili per attuare interventi formativi e di riorganizzazione dei processi produttivi e del layout strutturale per migliorare le performance dell’azienda. Spesso ci si domanda perché le strategie ed i progetti messi a punto dalle aziende per il proprio sviluppo, non trovino la strada della realizzazione. Questo accade perché, nonostante l’impegno e le buone idee, le cose tendono ad andare diversamente da come si erano pianificate e le persone solitamente se non adeguatamente motivate tendono a contrapporsi ad ogni cambiamento. Da qui gli insuccessi di molte ristrutturazioni. Controllare, gestire, pianificare, si mostrano attività poco efficaci nella realtà delle organizzazioni e dei contesti in cui l’azienda è inserita, perché sistemi basati sulle persone non possono essere imbrigliati e guidati attraverso un mero controllo. La sensazione di ingovernabilità 89


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dell’azienda può diventare fonte di insicurezza, frustrazione, stress sia per i capi, sia per i loro collaboratori, quando al contrario dovrebbe essere vissuta come un normale stadio della vita evolutiva di qualsiasi sistema organizzativo. Ciò significa che non è possibile gestire l’organizzazione? In realtà non è esattamente così. “Non è possibile fermare il vento o dirigerlo dove noi vogliamo ma è possibile governare le vele per raggiungere la nostra meta”. Un principio oltre che per governare una barca risulta utilissimo nella gestione delle organizzazioni complesse. Gestire i collaboratori, nell’accezione comune del termine, è un abbaglio che molti capi prendono: le stesse persone sono sistemi, i gruppi sono sistemi e come tali non possono essere gestiti. Allo stesso tempo sono le persone che fanno funzionare l’organizzazione, che la costituiscono come suoi sottosistemi. I collaboratori, perciò, non si gestiscono come fossero macchine o utensili da utilizzare alla bisogna, si possono soltanto coinvolgere per poter riuscire, attraverso l’azione comune, a condurre il veliero alla meta. 5. La centralità del coinvolgimento della risorsa umana Trascurare le tecniche della comunicazione, i fondamenti della formazione degli adulti e della trasmissione di cultura, i valori, gli obiettivi, il coinvolgimento e la crescita professionale dei collaboratori non potrà essere colmato da progetti strategici e pianificazioni. La responsabilizzazione e la centralità del datore di lavoro e dei capi nell’attività di coinvolgimento e crescita professionale del capitale umano dell’azienda sono i temi sui quali si sviluppa il progetto di Azienda No-Stress. Quanto sin qui detto, anche se enfatizza la funzione della consulenza nello sviluppo dell’organizzazione, non può non sottolineare l’esigenza di un mandato forte da parte della committenza, ma anche il ruolo dei capi e della comunicazione, intesa come passaggio di informazioni, conoscenze, esperienze e strumento per condividere credenze e significati. L’organizzazione aziendale è un sistema che in quanto tale esprime le proprie potenzialità in osmosi continua con l’ambiente esterno e dove il risultato non è proporzionale alle condizioni iniziali, poiché le interazioni 90


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fra i suoi elementi interni (persone, contesto, tecnologie, ecc.) e con altri sistemi esterni sono molto complesse. Questo è il motivo per cui non è sufficiente dire alle persone cosa fare e come fare per ottenere il risultato auspicato. Gli individui che compongono l’organizzazione devono comunicare, saper definire obiettivi e condividerli insieme a valori, credenze e significati, sviluppare fiducia e motivazione, essere allineati nel proprio ruolo. Se è vero che ai capi sono richieste competenze che vanno oltre quelle strettamente tecniche, è vero anche che essi sono raramente specialisti del cambiamento e del problem solving organizzativo. Da ciò l’esigenza di prevedere adeguati percorsi formativi per datori di lavoro e management finalizzati a implementare e rafforzare le competenze sulla gestione delle risorse umane e sulla reingegnerizzazione dei processi lavorativi anche in una ottica di benessere lavorativo. Tali competenze appaiono imprescindibili per una politica aziendale che sia sensibile alle problematiche scaturenti in ambito lavorativo, come sottolineato dall’Osservatorio Europeo dei Rischi, dai nuovi rischi connessi all’introduzione di nuove tecnologie, di nuovi materiali, di nuovi processi di lavoro e, in particolare, dai rischi psicosociali più importanti come quelli citati in premessa. Alcune situazioni determinanti il disagio psicosociale in ambito lavorativo sono state individuate9: • nel lavoro precario; • nell’intensificazione dei carichi di lavoro; • nella violenza e nel bullismo sul posto di lavoro; • in una elevata pressione emotiva esercitata sui lavoratori; • nello scarso equilibrio tra lavoro e vita privata; • nell’invecchiamento della forza lavoro; • nella disparità di trattamento individuale e di genere. L’analisi di tali situazioni dovranno portare ad una ristrutturazione organizzativa che accompagni l’impresa verso un modello di azienda nostress che nel tempo si spera diventi il modello iniziale su cui costruire 9

Fonte: Osservatorio europeo dei rischi – Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro.

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organizzazioni attente al benessere del proprio capitale più importante: la risorsa umana. Per fare questo occorre introdurre in azienda una nuova cultura imprenditoriale che attraverso una attenta analisi delle proprie necessità, diffonda in azienda una cultura orientata: • al concetto di evoluzione, cambiamento e di sviluppo individuale; • alla teoria della motivazione al lavoro dei propri dipendenti; • alla teoria della tutela e rafforzamento delle differenze individuali; • al riconoscimento della meritocrazia come strumento di valorizzazione dei meriti individuali. Naturalmente nel percorso di avvicinamento a tali obiettivi è importante potersi avvalere anche di un’adeguata funzione consulenziale, interna o esterna, di analisi organizzativa che non consista semplicemente in una preparazione specialistica, ma sia anche portatrice di un’ obiettività che riesca a valutare l’organizzazione in modo distaccato, dall’esterno dei processi produttivi e gestionali, senza essere coinvolto nelle sue dinamiche interne. L’obiettivo dovrà essere, nel medio periodo, quello di aumentare le competenze delle persone e dell’organizzazione, così che essa possa camminare sulle proprie gambe. 6. Verso una “Azienda No‐Stress” Una appropriata analisi organizzativa delle risultanze della valutazione dello “stress lavoro-correlato” può rappresentare l’elemento cardine di unione fra le persone e l’organizzazione, fra gli obiettivi e il cambiamento. L’analisi organizzativa e le soluzioni che ne scaturiranno non saranno finalizzate esclusivamente al buon funzionamento dell’organizzazione, ma aiuteranno anche lo sviluppo professionale del singolo lavoratore favorendo un agire comune (attraverso la condivisione della cultura) che agevola l’instaurazione del benessere organizzativo. 92


Francesco Naviglio

Per garantire che gli interessati si approprino delle risultanze della valutazione e delle azioni organizzative conseguenti, il coinvolgimento e l’impegno dei lavoratori e dei loro rappresentanti, dei dirigenti intermedi e del top management sono determinanti durante tutte le fasi del processo. La dirigenza dovrà accettare la responsabilità ed i dipendenti dovranno essere inclusi in tutte le fasi di valutazione, decisione ed attuazione. I dirigenti ed i dipendenti rappresenteranno motivazioni ed interessi diversi nell’ambito delle attività di prevenzione dello stress, cui si aggiungono quelli di consulenti, ricercatori ed altre parti interessate. È importante trovare un compromesso tra interessi paralleli o sovrapposti, che dovrebbe essere alla base della collaborazione. Non è possibile che vengano attuati grandi cambiamenti a livello dell’intera organizzazione se l’alta direzione non è disposta a cambiare e, almeno in una certa misura, ad effettuare alcuni investimenti per il miglioramento dell’ambiente di lavoro. Inoltre, se si desidera che i miglioramenti vengano mantenuti, è necessario che il top management incorpori attività preventive nella gestione ordinaria dell’azienda, per esempio, nell’ambito di un sistema per la gestione dell’ambiente di lavoro. Come elementi paralleli ai sistemi di garanzia della qualità del prodotto, i sistemi di sicurezza per l’ambiente di lavoro o i codici delle prassi devono essere compresi nella gestione corrente. Le risultanze delle valutazioni e degli interventi organizzativi potranno costituire un bagaglio di conoscenze e nel tempo potranno divenire documentazione idonea alla progettazione e realizzazione di modelli di “Aziende No-Stress” che garantiranno “ab origine”, tramite il benessere organizzativo, la salvaguardia psicofisica dei propri addetti e l’ottimizzazione degli investimenti produttivi. Influenzare e orientare il cambiamento, qualunque sia, è un fatto complesso e la sociologia dell’organizzazione si è chiesta se sia veramente realizzabile. La scienza dell’organizzazione, accogliendo come sfida tale difficoltà, ha proposto nel tempo diverse metodologie per insinuare in profondità il germe del cambiamento ed indirizzare in modo efficace le organizzazioni verso gli obiettivi scelti mediante schemi e percorsi virtuosi. Con la consapevolezza che i sistemi umani sono permeati dall’incertezza e che in essi non esistono né punti di arrivo definitivi, né oggettivi punti di partenza, possiamo sostenere che la progettazione e la 93


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realizzazione di sistemi organizzativi “No-Stress”, incentrati oltre che sulla valorizzazione anche sulla tutela psico-fisica del lavoratore, può determinare l’inizio di una fase in cui l’uomo da strumento in quanto “risorsa” della produzione viene a porsi come fattore propulsivo ed attore del sistema produttivo sia esso imprenditore o lavoratore. © Francesco Naviglio, 2011

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Annalisa Guercio

Gestione del rischio da stress lavoro correlato: aspetti organizzativi di Annalisa Guercio1

Premessa La valutazione degli elementi che possono generare stress sul lavoro e l’individuazione delle adeguate misure di prevenzione e protezione, sono azioni che le aziende dovrebbero realizzare con l’obiettivo di assicurare il migliore livello possibile di salute e sicurezza dei lavoratori in un ambiente organizzativamente sano. La salute è fondamentale diritto dell’individuo, sancito dalla Costituzione Italiana e dai Codici Civile e Penale; la tutela del benessere del lavoratore non solo fisico ma anche mentale e sociale, deve essere garantita dal Datore di Lavoro, quale primo soggetto coinvolto nella gestione della salute e sicurezza dei lavoratori. A livello comunitario2, sono stati stabiliti i principi guida per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato con l’obiettivo di favorire la tutela integrale dei lavoratori, sviluppare le capacità di affrontare i cambiamenti sociali, demografici di comportamento, far fronte a rischi nuovi e sempre più importanti come la violenza, le molestie sul lavoro e lo stress, promuovere la sicurezza e la salute a livello internazionale. Tali concetti sono stati sviluppati e ampliati nell’Accordo Europeo sullo Stress sul Lavoro (8/10/2004) e recepiti in Italia con l’Accordo Interconfederale 9 giugno 2008. 1

Consulente tecnico in sicurezza sul lavoro e prevenzione per INAIL, esperto in Behaviour Based Safety; responsabile di studi su fattore umano e VRSLC; docente INAIL per i Percorsi Formativi per RSPP ex. D. Lgs. n. 81/08 sull’Analisi di Rischio. 2 Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 21/2/2007, dal titolo «Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 20072012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro».

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I punti salienti di questi documenti, di carattere più operativo e finalizzati a fornire un modello per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato sono l’attenzione all’uomo e la centralità dell’ organizzazione, la necessità di valutare i sintomi, quali elementi funzionali alla valutazione del rischio e la responsabilità del datore di lavoro di intraprendere misure di prevenzione dei cosiddetti “stressors”. L’Accordo fornisce, inoltre, la definizione di stress: esso è da intendersi come “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”. Le Indicazioni Operative della Commissione Consultiva Permanente per la valutazione dello stress lavoro correlato del 18 novembre 2010, così come da art. 6, c. 8, del D. Lgs. n. 106/09, riprendendo i concetti precedentemente espressi, introducono un ulteriore rilevante principio secondo il quale è “necessario indicare preliminarmente il percorso metodologico che permetta una corretta identificazione dei fattori di rischio da stress lavoro-correlato, in modo che da tale identificazione discendano la pianificazione e realizzazione di misure di eliminazione o, quando essa non sia possibile, riduzione al minimo di tale fattore di rischio”. Nelle intenzioni del legislatore, vi è dunque la volontà di evidenziare che la valutazione del rischio stress è il primo intervento organizzativo aziendale per la gestione dello stesso, come per tutti gli altri rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Infatti, la gestione del rischio ha lo scopo di garantire il controllo dei principali rischi cui ogni attività è soggetta, contribuendo a renderli riconoscibili e controllabili mediante un processo sistematico di eliminazione, riduzione e controllo. La conoscenza di eventuali situazioni stressogene nell’ambito dell’organizzazione e dei potenziali effetti collettivi è uno dei passi cruciali da compiere per individuare le più adeguate misure preventive e correttive. Il quesito, non completamente risolto dai documenti citati, consiste nel comprendere cosa deve essere misurato e come stabilire l’accettabilità del rischio in assenza di vincoli di confronto. Interpretazione degli eventi sentinella e degli indicatori Un’interpretazione rigorosa degli elementi da rilevare, nonché un uso 96


Annalisa Guercio

scientificamente appropriato degli stessi finalizzato a stabilire l’entità del rischio, passa necessariamente per la comprensione del loro significato. L’Accordo del 2004 (art. 2) definisce, tra gli altri, “segnali…che potrebbero denotare problemi di stress lavoro-correlato”, cui porre attenzione: un alto tasso di assenteismo o una elevata rotazione del personale, frequenti conflitti interpersonali o lamentele; l’individuazione di problemi di stress lavoro-correlato è invece legata all’analisi di fattori quali l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro; condizioni di lavoro e ambientali; comunicazione. La descrizione effettuata con esempi dei due elementi può condurre all’interpretazione secondo la quale i potenziali fattori di stress (definiti “fattori di contesto e contenuto lavorativo” nelle Indicazioni Operative del 18 novembre 2010) rappresentano le cause eventuali di stress, di cui valutare la probabilità di accadimento, ed i suddetti segnali (definiti “eventi sentinella” nelle Indicazioni Operative) sono effetti di cui deve essere misurata la gravità, nel momento in cui si sia concretizzato il rischio. Con tale termine si intende unanimemente la combinazione lineare tra la probabilità di un evento dannoso e la gravità del danno in caso di concretizzazione del suddetto evento, nelle condizioni di lavoro specifiche. Il D. Lgs. n. 81/08 e s.m.i. esprime lo stesso concetto in modo più elaborato ed operativo, evidenziando l’imprescindibilità della presenza del lavoratore, nonché la multifattorialità del rischio. Chiarendo il significato di tutti gli elementi in gioco, il processo di analisi di rischio potrebbe considerarsi iniziato. Il nesso causa-effetto, tuttavia, non è evidente. Le manifestazioni di stress non sono necessariamente legate alla presenza di una situazione stressogena in quanto, come precisato all’art. 3 e ribadito da vasta letteratura in materia, “non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato” Per tale motivo, è di notevole importanza che l’azienda studi le situazioni organizzative che possono provocare stress e, attraverso l’analisi degli eventi sentinella, per gruppo omogeneo, ricercare quel nesso, non facile da rilevare a causa della diversità di reazioni dei singoli e delle dinamiche dei “gruppi sociali”, che leghi le manifestazioni dello stress alle cause che lo hanno indotto. Nelle Indicazioni Operative, gli elementi “eventi sentinella” (sintomi/effetti) e “fattori di contesto e contenuto” (cause) sono 97


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raggruppati sotto l’unico nome di “indicatori oggettivi”. La differenziazione sarebbe stata utile dal punto di vista operativo soprattutto nel momento della misurazione o parametrizzazione degli stessi, richiesta dal documento “ove possibile”. Il legislatore ha invece dato priorità all’esigenza di semplicità e comprensibilità del testo, lasciando ampio spazio alle sperimentazioni di metodo, sulla base delle fasi, necessaria ed eventuale, individuate quali passaggi fondamentali. Il limite di accettabilità del rischio stress lavoro‐correlato A prescindere dalla metodologia utilizzata e comunque si considerino gli indicatori oggettivi di stress, le Indicazioni Operative ne richiedono, come detto, la misurazione. L’analisi di rischio prevede che, una volta calcolato o assegnato un valore all’indice di rischio, esso debba essere confrontato con un valore limite di accettabilità, consistente in un vincolo di legge, obbligatorio, come può essere il valore limite di esposizione a fibre di amianto aerodisperse, o un valore di letteratura, proveniente da studi scientifici e consigliabile. Il confronto è volto a determinare le azioni conseguenti alla valutazione del rischio in base al criterio di priorità. Nel caso dello stress lavoro correlato non è possibile procedere alla cosiddetta “ponderazione”, confronto tra rischio rilevato e valore limite, poiché tale limite non è determinato. Il passaggio dalla valutazione preliminare, necessaria, alla valutazione approfondita, eventuale, è segnato da una “rilevazione di elementi di rischio da stress lavoro correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive e qualora tali azioni siano state inefficaci”. Estrapolando, è necessario che l’azienda si confronti quantomeno con se stessa, se non con un valore assoluto di rischio di riferimento. Solo nel caso degli eventi sentinella viene specificato che “i predetti eventi sono da valutarsi sulla base di parametri omogenei individuati internamente all’azienda (es. andamento nel tempo degli indici infortunistici)”, fornendo così uno strumento alla singola azienda per il confronto ed il monitoraggio nel tempo. A tale riguardo, però, si rilevano una serie di criticità: - le aziende non hanno l’obbligo di operare il monitoraggio nel tempo delle cause dello stress. Ciò è legato all’assenza di un termine di 98


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riferimento al di sopra del quale è possibile affermare la presenza di situazioni stressogene e la conseguente necessità di intraprendere azioni correttive; - il solo andamento nel tempo, quale barriera per affermare che il rischio stress lavoro correlato non richiede interventi, può essere insufficiente: se le situazioni di stress sono estremamente diffuse, infatti, un miglioramento nel tempo potrebbe trarre in inganno sulle reali condizioni di lavoro; - indicare un limite di rischio nel numero dei lavoratori esposti, diverso a seconda delle dimensioni aziendali, potrebbe non essere sufficiente e, in ogni caso, l’Accordo Europeo del 2004 dice che lo stress può essere presente a prescindere dalle dimensioni aziendali. Una corretta ed esaustiva impostazione suggerirebbe, dunque, di effettuare un’analisi degli indicatori oggettivi nel tempo e per numero degli esposti, per gruppo omogeneo e sul totale dei lavoratori; il che non va in contraddizione con la legge, ma aggiunge un valore poiché le Indicazioni forniscono un percorso metodologico che garantisca il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio. L’accettazione di una maggiore complessità di elaborazione dei dati da rilevare, già in numero cospicuo, dipende dalla percezione che l’azienda ha del rischio stress lavoro-correlato. La percezione dei rischi indica un processo cognitivo complesso, singolo o sociale, anche non razionale, mediante il quale l’uomo perviene alla conoscenza dei pericoli e delle persone esposte ai rischi e dipende da molteplici fattori non sempre identificabili e quantificabili, quali contesto culturale, sociale ed ideologico, fattori soggettivi, psicologici ed emotivi. In generale, essa è maggiore per eventi di bassa probabilità ma di magnitudo elevata o “catastrofici” (es.: terremoti, esplosioni, alluvioni), mentre è piuttosto bassa per gli eventi che conducono alla cronicità del danno od alla scarsa visibilità di esso (malattie professionali, inquinamento, etc). Inoltre, essa è condizionata dal “come” si percepiscono le informazioni, sulle quali, in funzione delle esperienze pregresse, si opera un processo selettivo durante il quale si può privilegiare l’una o l’altra informazione. L’accettazione o meno di un rischio è una conseguenza della percezione del rischio; in quanto tale, si può pensare, a maggior ragione, che un rischio possa essere accettato “soggettivamente” o “oggettivamente”. 99


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Il Datore di Lavoro che deve attuare la gestione del rischio la cui prima fase è la valutazione, può quindi essere condizionato dalle sue percezioni soggettive ed inficiare i risultati dell’indagine, modificando l’accettabilità dello stesso. L’approccio al rischio stress lavoro-correlato come “intervento sul singolo” e la tipologia di informazioni diffuse hanno, per ora, condotto i Datori di Lavoro ed i lavoratori ad un’incompleta visione della problematica. Un approccio diverso, ossia basato sull’attenzione all’uomo, inteso come componente dell’organizzazione, così come disciplinato dal D. Lgs. n. 81/08 e s.m.i. potrebbe condurre alla comprensione che l’analisi dei fattori di stress e degli eventi sentinella costituisca un’ottima base per l’analisi dell’efficienza e dell’efficacia dell’organizzazione aziendale e, di conseguenza, della competitività, rendendo maggiormente accettabile ai Datori di Lavoro l’approfondimento delle indagini. Il percorso metodologico della valutazione del rischio L’assegnazione di un valore alla probabilità di accadimento delle situazioni stressogene e alla gravità degli eventi sentinella permette di costruire una matrice di rischio sulla quale l’azienda deve porre il proprio valore limite di rischio accettabile, in relazione al nesso di causa-effetto, anch’esso oggetto di analisi. Il modus operandi proposto, in sintesi, è il seguente: 1) Fase iniziale con incontri di sensibilizzazione: individuazione di gruppi omogenei (per mansione/funzione/reparto ma anche per genere, età, etnia, etc). 2) Fase di valutazione degli indicatori oggettivi: 2.a.1) suddivisione dei fattori oggettivi di contesto e contenuto in sub categorie misurabili e confrontabili ognuno dei quali correlato a documenti aziendali. Attori: DL, RSPP, MC, RLS: utile l’apporto di ufficio Risorse Umane e di Direttori Tecnici. 2.a.2) assegnazione di una “frequenza di accadimento” ad ognuna delle subcategorie a cui si giunge con: - giudizio semiquantitativo; - percentuali di accadimento reali (se esistenti). 100


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2.b.1) rilevazione degli effetti collettivi (eventi sentinella) misurabili e confrontabili ognuno dei quali correlato a documenti aziendali. Attori: DL, RSPP, MC, RLS: utile l’apporto di ufficio Risorse Umane e di Direttori Tecnici. 2.b.2) assegnazione di una “gravità dell’evento” agli eventi sentinella a cui si giunge con: - percentuali di accadimento reali (se esistenti). Il valore di gravità dell’evento può essere assegnato anche agli effetti individuali rilevati in fase di valutazione approfondita eventuale, sempre che si stabilisca il nesso causa-effetto. 3) Fase di costruzione della matrice di rischio e assegnazione di un valore limite al di sopra del quale deve essere attuato quanto previsto dalle Indicazioni Operative. Attori: DL, RSPP, MC, RLS: utile l’apporto di ufficio Risorse Umane e di Direttori Tecnici. La matrice di rischio, realizzata su un’opportuna scala di valori di frequenza e gravità dell’evento, dovrebbe contenere almeno le seguenti indicazioni per gruppo omogeneo e sul totale: I. Rischio basso Assenza di potenziale stressogeno di tipo organizzativo: eventuali eventi sentinella rilevati in individui o in gruppi omogenei di lavoratori non sono ascrivibili a carenze organizzative. Azioni da intraprendere a lungo termine: miglioramento delle capacità delle persone, sensibilizzazione e supporto maggiorato. II. Rischio medio basso Presenza di potenziale stressogeno di tipo organizzativo facilmente risolvibile e circoscritto nel tempo ed a uno o a pochi gruppi omogenei di lavoratori. Gli eventi sentinella individuati nello specifico contesto sono ascrivibili a criticità organizzative diffuse o limitate al gruppo ma di gravità bassa. Azioni da intraprendere a medio termine: eliminazione delle criticità anche attraverso la ristrutturazione organizzativa del lavoro (turni, turnazioni, mansioni, compiti, orari, carichi di lavoro, etc) il più possibile condivisa con i lavoratori, miglioramento delle capacità delle persone, sensibilizzazione e supporto maggiorato. 101


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III. Rischio medio alto Presenza di potenziale stressogeno di tipo organizzativo esteso ad alcuni gruppi omogenei di lavoratori e prolungato nel tempo. Gli eventi sentinella individuati nello specifico contesto, ascrivibili a criticità organizzative diffuse o limitate al gruppo, sono di gravità medio-alta e sono presenti nel tempo. Azioni da intraprendere a breve termine: eliminazione delle criticità anche attraverso la ristrutturazione organizzativa del lavoro (turni, turnazioni, mansioni, compiti, orari, carichi di lavoro, etc) il più possibile condivisa con i lavoratori, miglioramento delle capacità delle persone, sensibilizzazione e supporto maggiorato. IV. Rischio alto Presenza di potenziale stressogeno di tipo organizzativo diffusa in azienda a tutti i livelli di responsabilità e prolungati nel tempo. Gli eventi sentinella individuati nello specifico contesto, ascrivibili a criticità organizzative diffuse, sono di gravità medio-alta e presentano un andamento temporale costante o in aumento. Azioni immediate da intraprendere: eliminazione delle criticità anche attraverso la ristrutturazione organizzativa del lavoro (turni, turnazioni, mansioni, compiti, orari, carichi di lavoro, etc) il più possibile condivisa con i lavoratori, miglioramento delle capacità delle persone, sensibilizzazione e supporto maggiorato. La prevenzione del rischio stress lavoro‐correlato Le misure di prevenzione, ossia il complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire il rischio da stress lavoro correlato, suggerite dall’Accordo Europeo del 2004, sono in sintesi: • forme di comunicazione e di gestione, adeguato coinvolgimento degli individui e dei gruppi di lavoro, responsabilità e controllo del lavoro; • miglioramento di organizzazione, processi di lavoro, condizioni ed ambiente; • aumento di consapevolezza e comprensione di SLC e delle relative cause; • informazione e consultazione; • contratti collettivi e accordi di clima. 102


Annalisa Guercio

Le Indicazioni Operative prescrivono “azioni correttive”, poiché il documento ha la finalità di individuare le sole modalità di valutazione del rischio, lasciando al Testo Unico la disciplina delle misure di prevenzione e protezione. La costruzione della matrice rappresenta già uno strumento operativo poiché detta i tempi, in funzione delle priorità, e la tipologia di azioni da intraprendere, ovviamente contestualizzate al problema da risolvere. È però opportuno rilevare un altro caso, oltre quelli esposti: la presenza di situazioni potenzialmente stressogene in assenza di effetti su gruppi omogenei di lavoratori. Questa circostanza non presuppone interventi immediati, ma il Datore di Lavoro dovrebbe attuare un monitoraggio continuo di tali situazioni per le seguenti motivazioni: - gli effetti/sintomi potrebbero manifestarsi in un tempo successivo e, in ogni caso, il pericolo esiste e devono perciò essere adottate azioni preventive, anche se i lavoratori sono dotati di una forte capacità di adattamento, derivante da sensibilizzazione, competenza e senso di appartenenza all’azienda; - la mancanza di effetti potrebbe essere attribuita al sistema di rilevazione. I questionari potrebbero non offrire uno strumento utile ai lavoratori per evidenziare problemi di stress. Le motivazioni potrebbero risiedere nelle stesse cause di stress (contratti a tempo determinato, incertezza del lavoro, bassa autonomia: in sostanza, senso di precarietà). È quindi responsabilità del Datore di Lavoro attuare azioni correttive, intese come azioni per eliminare la causa di una lacuna organizzativa, ma anche azioni preventive, atte a eliminare la causa di una situazione indesiderabile potenziale. In fase di valutazione approfondita, se necessaria, dovrebbero essere attuate misure tese ad aumentare, nei lavoratori a livello individuale, la capacità di adattamento, le sue competenze per far fronte agli imprevisti, la sua autostima con formazione, informazione e addestramento, la sua capacità di comprendere, il suo senso di appartenenza attraverso la creazione di una rete di comunicazione che possa evitare isolamento. Ciò implica comunque una profonda analisi ed una riorganizzazione dell’azienda. Un diverso approccio parte dalla constatazione che lo stress è una delle principali cause di infortuni e di quasi incidenti, di cui sono i 103


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segnali premonitori. I quasi incidenti sono a loro volta conseguenza di errori umani a livello sia decisionale, sia esecutivo. La letteratura riferisce che la maggior parte degli errori esecutivi prendono origine da decisioni errate, ossia da lacune organizzative. La valutazione del rischio stress lavoro correlato, come visto, impone di analizzare l’organizzazione e le sue lacune al fine di rilevare gli indicatori oggettivi. L’analisi degli errori umani e delle relative cause, ossia dell’affidabilità umana, risulta così utile a tale valutazione, mettendo in moto un meccanismo di monitoraggio continuo che porta alla prevenzione di infortuni e di stress. In tale ambito, l’implementazione di Sistemi di Gestione della Sicurezza, opportunamente contestualizzata all’azienda e rivolta anche ai problemi di stress, favorisce l’attuazione di una forte struttura per il miglioramento continuo, anche considerando che le Indicazioni Operative prevedono che il Datore di Lavoro predisponga, e attui, un Piano di Monitoraggio. Tra le misure di prevenzione degli errori umani, la sicurezza basata sui comportamenti3 consente al lavoratore, a tutti i livelli di responsabilità, di acquisire una maggiore consapevolezza e sensibilità. Essere premiati per un comportamento corretto – e rinforzati a ripeterlo – porta ad un percorso naturale verso un benessere organizzativo diffuso. Alcune tecniche, quali la Behavior Based Safety (BBS), applicate con successo in molti Paesi, si basano infatti sul paradigma del “condizionamento operante” di Skinner, secondo il quale i comportamenti umani sono prevedibili e controllabili attraverso una opportuna gestione di due classi di stimoli dell’ambiente fisico: gli stimoli “antecedenti”, che il soggetto riceve prima di attuare un comportamento, e gli stimoli “conseguenti” che vengono erogati immediatamente dopo che il comportamento è stato attuato. Indossare la cintura di sicurezza alla guida di un carrello elevatore, seguire correttamente una procedura sono comportamenti evocati da stimoli fisici antecedenti (come ad esempio ordini di servizio, cartellonistica, suggerimenti, ecc.) ma sono modificati da stimoli immediatamente conseguenti alla messa in atto di quel comportamento 3

P. Clerici, A. Guercio, N. Todaro “Il fattore umano: tecniche di analisi, soluzioni, prospettive” Atti del 4° seminario dei professionisti Contarp Varese, 2009.

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Annalisa Guercio

(ad esempio: approvazione da parte del collega più anziano, irrisione da parte dei compagni di lavoro, caffè offerto dal capoturno, ecc.), ossia dalle conseguenze del comportamento. Progettare la modifica dei comportamenti significa perciò un’ulteriore progettazione dell’organizzazione aziendale, quale primo intervento di prevenzione per tutelare il benessere psicosociale dei lavoratori. Conclusioni La proposta metodologica descritta è diretta esclusivamente a pensare alla “gestione” del rischio stress lavoro correlato, non alla mera “valutazione” fine a se stessa ed interpretata come l’ennesimo adempimento burocratico. La valutazione del rischio stress è, infatti, solo la prima fase del processo di gestione e, affinché sia veramente efficace, anche – e soprattutto – per la prevenzione degli infortuni da stress, deve essere funzionale all’individuazione dei più idonei interventi.

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La formazione al benessere organizzativo come strategia contro lo stress lavoro correlato di Vito Volpe1 - Andrea Volpe2

L’evoluzione del contesto e del mercato impone alle organizzazioni sfide continue che richiedono una crescente flessibilità e velocità. La complessità organizzativa è entro certi limiti quindi fisiologica, ma rischia di produrre in alcuni casi effetti patologici sulle persone, di essere causa di “stress lavoro correlato”. Dove però le persone si sentono coinvolte nella vita organizzativa, ne comprendono la trasformazione e ne sono attori, dove il cambiamento è compreso ed affrontato insieme ai propri capi ed ai colleghi in un clima di solidarietà, fiducia e rispetto reciproco, lo sforzo di adattamento assume un senso ed un significato che sembrano essere il vero antidoto allo stress. Premessa Il termine inglese stress significa letteralmente “sforzo”, finalizzato a superare un’oppressione, una barriera, un confine, un’incapacità, un cambiamento, una crescita. Il termine deriva infatti dal latino “strictus”, stretto. 1

Psicologo del lavoro, fondatore e Presidente di ISMO. Ha approfondito studi nel campo organizzativo e dei gruppi. Svolge attività di docenza, progettazione, consulenza e ricerca nell’ambito della formazione manageriale e dello sviluppo organizzativo. Ha insegnato psicologia del lavoro e dell’organizzazione in diverse Università ed è direttore del Master MEF presso lo IULM di Milano. È autore di numerose pubblicazioni e saggi. 2 Esperto di economia aziendale, ha approfondito nel tempo gli aspetti antropologici, organizzativi e tecnologici del cambiamento. Sviluppa attività di consulenza in campo strategico ed organizzativo e svolge attività formativa per aziende e Pubblica Amministrazione. Dal 2004 è partner di ISMO. Ha operato in Accenture come manager ed è stato membro del Direttivo nazionale Assoconsult con delega alla formazione. Responsabile pianificazione strategica e sviluppo commerciale di ISMO.

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Lo stress è allora la risposta del nostro organismo di fronte a qualsiasi sollecitazione e stimolo che richieda un adattamento, un’evoluzione, un “andare oltre ciò che già siamo”, un apprendimento. Nulla di negativo ad una prima analisi, è il prezzo che siamo chiamati a pagare per adattarci alle situazioni nuove che via via incontriamo e che mutano continuamente. Qualcosa a cui siamo abituati dalla nascita e che proprio nei primi anni di vita si manifesta ovviamente con maggiore intensità. È l’effetto del processo di adattamento dell’uomo all’ambiente che lo circonda e con il quale interagisce. Talvolta però la natura delle sfide da affrontare, l’evolvere del contesto, le situazioni con cui ci confrontiamo, oppure semplicemente il nostro stato soggettivo, sembrano richiedere uno sforzo di adattamento eccessivo rispetto alle nostre capacità. La nostra reazione può in questi casi arrivare ad essere patologica. L’attivazione dei sistemi psico-neuroendocrini, spiegano gli studiosi del fenomeno dal lato clinico3, è infatti la prima risposta fisiologica del nostro organismo a situazioni di stress. Lo stress non è quindi di per sé una patologia, ma quando diviene troppo intenso o ripetuto e prolungato nel tempo può rappresentare la causa di effettive patologie psichiche e fisiche. La produzione di ormoni quali adrenalina e cortisolo assieme ad altri complessi meccanismi chimici, quando esce da un normale equilibrio, può determinare un’infinità di disagi sul piano fisico e psichico (da eustress a distress): irritabilità, rabbia, stanchezza, scarsa concentrazione e attenzione, disturbi del sonno, patologie dell’apparato digerente, cefalea, disturbi cardiovascolari, iperglicemia, … fino all’eiaculazione precoce. Una reazione fisiologica che ci aiuta a superare momentanee difficoltà diviene quindi patologica se chiediamo troppo a noi stessi4.

3

Enzo Soresi (2005), Il cervello anarchico, UTET. Giuseppe Ferrari, a cura di, (2010), Manuale di valutazione dello stress e dei rischi psicosociali, Ferrari Sinibaldi. 4

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Chiari i nefasti effetti che lo stress può determinare per l’individuo e conseguentemente per le organizzazioni, che di individui si compongono, lasciamo alla medicina la sfida di comprendere i complessi meccanismi del nostro organismo derivanti dallo stress e soprattutto i possibili rimedi a fronte delle complicazioni che ne derivano, e proviamo invece a proporre un contributo sul fronte delle possibili origini dello stress, in particolare quello correlato al lavoro, focalizzando la relazione delle persone con il proprio lavoro, per comprendere come essa possa aiutare o viceversa peggiorare la condizione di stress. Le considerazioni che seguono sono il frutto dello studio e del confronto continuo con esperti di differenti discipline (medici, psicologi, sociologi, storici, sindacalisti, economisti, musicisti, filosofi, architetti, urbanisti, scrittori, manager, amministratori pubblici, sportivi, …) , ma soprattutto dell’osservazione sul campo e del dialogo con persone che vivono quotidianamente l’esperienza dello stress correlato al lavoro: top manager alla guida di importanti aziende italiane e internazionali o di enti pubblici, responsabili e professional del personale, middle manager schiacciati tra i vertici aziendali e i propri collaboratori, operai, operatori di call center e di front office, professionisti, commerciali e buyer che si confrontano quotidianamente con il mercato, … ISMO ha infatti negli ultimi decenni, dal 1972 per la precisione, potuto godere di una prospettiva privilegiata sul mondo del lavoro e sulle organizzazioni, affiancando e supportando importanti imprese ed enti durante il loro cambiamento, rendendole via via partner del proprio studio e della propria ricerca ed intervento. Migliaia di storie professionali raccolte nelle aule o nei meeting, durante attività di coaching o counselling, nei colloqui di selezione, nei momenti di informalità, sono quindi la fonte della nostra riflessione. L’evoluzione del contesto e la complessità: lo stress da complessità e da cambiamento La complessità del mondo in cui viviamo non è una novità. Il fatto nuovo è che la complessità oggi è entrata nelle nostre conoscenze e la sua evoluzione sembra rispondere ad un principio in base al quale essa non può che crescere con il passare del tempo e tale crescita sembra essere non lineare, ma esponenziale. Questa evidenza empirica si manifesta con modalità, tempi ed intensità differenti nei diversi ambiti della 108


Vito Volpe – Andrea Volpe

conoscenza, della produzione, della tecnologia… nei mondi industriali e in differenti realtà sociali e territoriali. Potremmo definire la “complessità” di un mercato/contesto il suo “livello di incertezza”. Esso dipende dal numero di variabili che ne determinano il futuro (es. il numero di prodotti, di Paesi serviti, di fornitori, di competitors, …), ma anche dalla variabilità ovvero la velocità con cui esse mutano e così pure dalla loro eterogeneità e dal livello di interdipendenza tra le stesse. Possiamo immaginare un contesto di elevata complessità come un tavolo da biliardo che cambia inclinazione, su cui si muovono in modo vorticoso decine di biglie, di diversa dimensione, che urtano l’una contro l’altra, … decidere come colpire la biglia bianca diventa veramente difficile per non dire aleatorio. È come il passaggio dai meccanismi della fabbrica di “Tempi moderni” alla realtà doppia e indecifrabile di “Matrix”.

Tra i fattori che inesorabilmente spingono a questo aumento di complessità vi è certamente la tecnologia, motore di continua e fulminea innovazione (si pensi agli effetti che la convergenza digitale ha determinato nella competizione tra differenti settori quali la telefonia, i media, l’intrattenimento, …), e con essa la globalizzazione, i cambiamenti normativi (es. ambiente, sicurezza, …), le spinte della borsa e della finanza in generale, la pressione competitiva all’interno dei settori e tra settori, i clienti sempre più preparati, informati ed esigenti, la 109


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situazione politica instabile. Tutti mutamenti che impattano e modificano la nostra società. Settori come l’Information Technology o le TLC, piuttosto che la Grande Distribuzione e Distribuzione Organizzata convivono da più tempo con tassi elevati di complessità. In modo diverso le grandi Utility dell’energia (gas ed elettricità) stanno vivendo oggi in Italia e in Europa una simile sfida. In una logica darwiniana di “coevoluzione” con l’ambiente esterno, le organizzazioni di successo reagiscono all’aumento di complessità del contesto ricercando maggiore flessibilità e velocità. Se il futuro diviene imprevedibile bisogna essere più rapidi nell’interpretarlo e nel cambiare strada, addirittura nel saper modificare la propria direzione di marcia.

La flessibilità è innanzitutto strategica e quindi organizzativa. Le aziende si sono via via e a fatica spogliate di procedure farraginose e complicate, di meccanismi decisionali accentrati e lenti, di strutture opulente e ridondanti. Hanno messo in cantina parole d’ordine quali “standardizzazione” e “formalizzazione”, confinandole a quegli ambiti organizzativi e quei processi dove ancora le routine sono una logica possibile e conveniente, dove obiettivi e modalità di lavoro non devono essere rivisti e alle volte reinventati quotidianamente (processi amministrativi strutturati e regolamentati, processi realizzativi da catena di montaggio, meccanismi di monitoraggio e controllo ripetitivi, …). È il superamento, non la fine, del taylorismo, la disciplina che per un secolo ha rappresentato il modello organizzativo di riferimento nel mondo. 110


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È il passaggio, per chi ama metafore di tipo geometrico, dall’azienda “quadrata” all’azienda “rotonda”. Tale evoluzione, di fatto sempre in corso perché finalizzata alla ricerca di un equilibrio per sua natura dinamico, si concretizza in cambiamenti organizzativi quali: • flessibilità dei processi e delle strutture; • temporaneità delle unità e delle strutture; • inattualità dei mansionari e job profile; • ridondanza delle competenze adattive; • decentramento decisionale e potenziamento delle relazioni laterali e parallele; • indebolimento dei confini organizzativi; • razionalizzazione dei sistemi informativi e decisionali; • flessibilità strategica; • sperimentazione; • apprendimento continuo; • sussidiarietà, ciascun attore è protagonista con gli altri. Complessità, rapporto con il lavoro e stress correlato Il processo di adattamento dell’organizzazione all’ambiente esterno produce una “tensione verso” e quindi un vero e proprio “stress organizzativo”. Le parole chiave del nuovo paradigma organizzativo, ed i paradossi che esso porta con sé, risuonano in modo diverso nelle persone che abitano l’organizzazione. Flessibilità può quindi significare opportunità di movimento, varietà delle proprie attività, novità, apprendimento, ma anche instabilità incertezza, rischio. Decentramento delle decisioni può richiamare concetti come autonomia, possibilità di espressione, coinvolgimento, ma anche assunzione di responsabilità, maturità, messa in gioco. Velocità è da un lato dinamismo, varietà, eccitazione, ma dall’altro frenesia e rischio di scarsa attenzione alla qualità, pressapochismo. 111


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Il coinvolgimento stesso ha due possibili facce, quella della responsabilità e del riconoscimento, della gratificazione, ma anche quella della presa in carico, del rischio di sbagliare, del “metterci la faccia”. Per quel che appare nella nostra esperienza, la difficoltà nel comprendere le ragioni di questa evoluzione organizzativa, nel leggerla, nel coglierne il senso, sono la principale fonte di stress lavorativo. Essa infatti genera perdita dei riferimenti abituali, resistenza al cambiamento, chiusura, rifiuto, frustrazione, senso di impotenza e di inadeguatezza, spesso di solitudine, di estraneità. Le persone vedono le ricadute sul proprio ruolo e sul proprio lavoro di cambiamenti che le sovrastano, lontani, calati dall’alto, “top-down”, spesso non ne comprendono i benefici per l’organizzazione, mentre sono evidenti i sacrifici che essi determinano per loro nell’operatività quotidiana. Bisogna rendere evidente e trasparente il cambiamento. Non lasciarlo nascosto a chi poi dovrà comunque realizzarlo. È un problema di “sense making”, ovvero di appropriazione del senso del cambiamento organizzativo e delle ricadute sul proprio ruolo e sulla propria persona. Flessibilità e velocità possono assumere soggettivamente un significato positivo se lette come risposta ad un ambiente sempre più turbolento, oppure come insopportabili condizioni di lavoro quando non se ne comprenda la ragione.

Il cambiamento organizzativo, anche quando è una giusta risposta al cambiamento del contesto esterno, rischia quindi di produrre condizioni di lavoro stressanti per le persone che devono agire l’organizzazione stessa. Alcuni semplici esempi possono efficacemente descrivere questa dinamica del rapporto con il lavoro. Operatori di contatto con il cliente, professionisti della relazione e del problem solving rischiano di subire le condizioni di per sé già “stressanti” del loro lavoro, quando non 112


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siano in grado di comprendere le ragioni della trasformazione in atto del loro ruolo: i ritmi di lavoro sempre più elevati, il cambiamento continuo delle procedure, dei contenuti, degli strumenti di lavoro, il pressing dei manager sugli indicatori quantitativi delle proprie performance (KPI ovvero “key performance indicators”) in termini di durata del contatto cliente, del gradimento rilevato, le continue riorganizzazioni e le trasformazioni societarie, la concorrenza con i risponditori automatici (IVR) o con i contact center di Paesi lontani a basso costo del lavoro, … Non è intuitivo comprendere che, nell’arco di pochi anni, la pressione competitiva, la globalizzazione e la conseguente necessità di abbattere i costi per essere competitivi nei prezzo hanno trasformato organizzazioni, il cui stimolante obiettivo era “coccolare” il cliente, in sofisticati meccanismi che rischiano di celare il senso dello sforzo e dell’impegno individuale e privarlo di senso. Ed anche qualora tutto ciò fosse capito non è facile accettarlo. Tecnici iper-specializzati che per anni hanno saputo condurre centrali elettriche di incredibile complessità utili a soddisfare il bisogno di energia di città, ospedali, scuole, reti ferroviarie, vedono i propri impianti spegnersi e funzionare solo occasionalmente, magari per qualche ora, solo quando qualcuno, senza un volto né un nome, esperto di finanza più che di ingegneria, lo sceglie sulla base di ignoti calcoli eseguiti da un computer. Si interrogano senza risposta sul valore della propria professionalità, sulla riconoscenza della propria azienda e della cittadinanza, sul futuro del proprio lavoro. Anche in questo caso faticano a comprendere ed accettare che il mondo dell’energia è stato rivoluzionato dai cambiamenti normativi e di mercato e che sono i prezzi dell’energia a dettare i ritmi produttivi di impianti pensati per non fermarsi mai e che oggi dovrebbero andare a singhiozzo seguendo le fluttuazioni del mercato. Ed ancora manager che hanno fatto la storia dell’informatica e delle telecomunicazioni, che hanno cavalcato le evoluzioni tecnologiche più strabilianti e complesse, si vedono valutati da capi, di cui conoscono la voce filtrata dal telefono e forse il volto filmato da una webcam, sulla base di una casella verde o rossa in un chilometrico foglio di calcolo che confronta dati previsionali e di consuntivo, incrociandoli con i risultati prodotti in Paesi dall’altra parte del globo. Si scervellano su come portare 113


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in verde quelle celle senza poter in alcun modo avvicinarsi alle performance di ignoti colleghi che parlano lingue di Paesi dove l’economia cresce a due cifre e il costo del lavoro resta modesto. Pochi esempi che raccontano della sofferenza di chi rischia di essere vittima dell’evoluzione del proprio mercato, della propria organizzazione e della risposta alla crescente complessità del contesto. La carenza di senso, ovvero la difficoltà nel cogliere le ragioni profonde dell’evoluzione della propria organizzazione e conseguentemente del proprio ruolo, è l’ “aggravante” che rende spesso insopportabili condizioni di lavoro di per sé difficili e frena un’attivazione personale per avviare un processo di adattamento al cambiamento. Ci si irrigidisce, emergono paura e panico nell’affrontare il lavoro, senso di inadeguatezza, si diviene incapaci di leggere il contesto e costruire una risposta coerente, ci si chiude e inviluppa in sé. Emerge quella reazione patologica allo sforzo per il cambiamento che chiamiamo stress. E quando questa diviene una condizione abituale, oltre alle complicanze, anche cliniche, di cui si è accennato, si determina un evidente calo di performance lavorativa: un lavoratore “stressato” è deconcentrato, incapace di innovare, di portare spirito critico e costruttivo, di risolvere problemi, è incerto, poco efficace nelle relazioni, è rigido e poco propenso al cambiamento, è demotivato. Spesso le condizioni oggettive, anche se male intese, diventano precarietà soggettiva, persino colpevolezza. Quali i possibili antidoti Affrontato attraverso una prospettiva organizzativa, il tema dello stress correlato al lavoro diventa una sfida per ogni azienda che voglia “gestire” e non solo “amministrare” le proprie risorse umane, siano essi dipendenti o collaboratori nelle diverse modalità contrattuali previste, e coinvolge l’intero sistema delle variabili che qualificano e caratterizzano l’ambiente di lavoro. Il sistema organizzativo può diventare infatti promotore e nello stesso tempo beneficiario della propria “salute”. Un’essenziale premessa è che lo stress lavoro-correlato non può essere considerato solo un attributo “oggettivo” delle condizioni di lavoro, né tantomeno può essere trattato esclusivamente come una responsabilità dei soggetti. È molto più di un effetto della relazione che intercorre tra i soggetti e le condizioni di lavoro fra cui quelle sociali ed organizzative. 114


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Lo stress attiene infatti alla interazione tra soggetto e lavoro ed è frutto del rapporto tra alcune condizioni dell’organizzazione ed il modo soggettivo di viverla, pensarla, interpretarla. È quindi nella relazione con l’ambiente, ed in particolare nella interpretazione e valutazione che viene fatta dello stesso, che si sviluppa l’esperienza soggettiva di stress. L’idea che l’esperienza dello stress derivi da elementi propri del soggetto, da una sua personale propensione a vedere il “bicchiere mezzo vuoto”, ha certamente qualche fondamento, ma soprattutto rappresenta il principale alibi aziendale. Molto si può fare infatti nell’organizzazione per contrastare l’insorgere di stress correlato al lavoro. Occorre innanzitutto, a parere di chi scrive, mantenere una doppia visione e prospettiva sul tema, attenta ad indagare sia la dimensione organizzativa che quella sociale ed individuale, con l’obiettivo non solo di rimuovere le situazioni che producono stress ma anche di sviluppare la capacità di pensare e realizzare benessere organizzativo5. La maggior parte degli interventi finalizzati al contenimento dello stress correlato al lavoro hanno come obiettivo la gestione delle cause oggettive. Tra gli interventi che possono ridurre la complessità del lavoro, alcuni esempi possono insistere su: • una maggiore razionalizzazione e semplificazione dei processi; • una più chiara definizione dei ruoli e delle responsabilità; • meccanismi decisionali più semplici e limpidi; • piani di lavoro strutturati e di lungo periodo; • obiettivi definiti e stabili nel tempo; • strumenti di lavoro integrati e informatizzati; • … Intervenire sugli artefatti, sugli “hardware” organizzativi, può certamente aiutare a ridare alle persone un maggior “controllo” del proprio lavoro, a ridurne la complessità, ma talvolta rappresenta solo un’illusione, in evidente conflitto con le esigenze di flessibilità e dinamismo dell’organizzazione. Tali interventi risultano allora inevitabilmente inefficaci e poco duraturi, pena un eccessivo 5

Stefano Bartolini (2010), Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere. Donzelli editore

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irrigidimento delle organizzazioni. L’idea di poter mettere sotto controllo la complessità è figlia di un neo-taylorismo alimentato fra l’altro dall’evoluzione dei sistemi informativi aziendali, capaci di rappresentare attraverso semplici ed efficaci monitor realtà articolate e complesse. Migliori artefatti organizzativi possono aiutare a gestire al meglio situazioni “complicate”, ma non ad affrontare la “complessità” delle sfide attuali. Riteniamo invece più utile affrontare il tema dello stress che deriva dalla complessità del lavoro intervenendo sulla relazione che lega gli individui al proprio lavoro ed alla propria organizzazione. Quando le cause oggettive non sono realisticamente rimuovibili l’individuo può e deve apprendere a stare nella complessità, a riconoscerla, comprenderla, maneggiarla per poter attivare le proprie “difese immunitarie”. Aiutare le persone a dare un senso alle sfide della complessità è il più grande aiuto che gli si può offrire6. Il panorama delle leve e degli interventi che possono aiutare questo processo di apprendimento alla gestione della propria relazione con il lavoro è ricco e articolato, anche se spesso inesplorato. Tra questi il coinvolgimento delle persone ricopre certamente un ruolo chiave. Chi subisce passivamente gli eventi che gli accadono attorno, senza comprenderne le ragioni, le dinamiche e gli effetti, non è in grado di decodificarli, di dar loro un significato, l’unica strategia possibile è subirli e sperare che siano transitori. Questo è purtroppo un approccio assai diffuso. Quando invece l’individuo riesce a giocare un ruolo da attore o addirittura viversi come un regista in grado di costruire le risposte organizzative ai cambiamenti del contesto, quando riesce ad “agire” e non solo a “fare”7, la complessità può essere più facilmente metabolizzata ed assumere significati più familiari e meno minaccianti. Partecipare ai processi di diagnosi e di progettazione organizzativa rende l’individuo più consapevole e più capace di affrontare le sfide della complessità.

6

Karl. E. Weick (1997), Senso e significato dell’organizzazione. Alla ricerca delle ambiguità e delle contraddizioni nei processi organizzativi. Raffaello Cortina Editore. 7 Salvatore Natoli (2010), Il buon uso del mondo. Agire nell’età del rischio. Mondadori.

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Sentirsi parte di un progetto a livello aziendale e di un progetto di sviluppo individuale che indirizzi le proprie aspirazioni professionali aiuta a dare un significato ai sacrifici ed ai cambiamenti, gli dà un senso e consente di affrontarli con energia. L’informazione è quindi una leva fondamentale. Le persone chiedono di conoscere le strategie aziendali, ma soprattutto di discuterle con i propri manager, commentarle, esaminarne le ricadute per la propria funzione e per il proprio lavoro, non limitarsi a leggerle su pur utili newsletter o web-TV aziendali. Il dialogo con le persone deve essere a due vie, lasciare spazio al feedback e all’ascolto, essere caldo. Il gruppo è l’altra variabile che può aiutare a vincere la sfida della complessità e dello stress. Solidarietà, climi di fiducia, possibilità di condividere timori, speranze, dubbi, incertezze. Rendere talune emozioni un fatto collettivo non aiuta ad eliminare le difficoltà, ma almeno a gestirle, a riconoscerle come qualcosa di fisiologico e non di patologico. Senso di appartenenza ed una riconosciuta identità possono dare energia e motivazione per superare l’incertezza e lo stress che ne deriva. La formazione può essere il luogo dove tante “leve anti stress” si traducono in azione, dove le persone incontrano l’azienda, dove si confrontano, dove discutono e solidarizzano, dove apprendono le skill per affrontare e non subire la complessità: innovare, prendere decisioni, fare network, comunicare, … Il management può naturalmente avere un ruolo chiave in questo articolato processo di sense making, ma serve innanzitutto una presa in carico responsabile della questione dello stress lavoro correlato ed una preparazione specifica in tal senso, nella valutazione quanto nella gestione. Il “rapporto gerarchico” è infatti un fattore rilevante di stress, è quando è gestito non come una relazione di aiuto, ma come una mera questione di coordinamento e di controllo organizzativo ed assume connotati di autoritarismo. Cercare un’armonia fra i livelli e fra le funzioni è un fattore di efficienza e salute organizzativa fondamentale per i collaboratori ed anche per i capi stessi. In sintesi, l’intervento di aiuto alla gestione dello stress può essere concepito come una vera e propria “educazione/formazione” al benessere, una sorta di palestra del benessere organizzativo che serve ai singoli lavoratori, ma anche all’organizzazione nel suo complesso. Infatti 117


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individui stressati perchĂŠ estraniati dai processi di cambiamento, che pure li riguardano, producono sistemi organizzati poco efficaci o efficaci con costi inutili ed eccessivi. In sostanza lo stress da complessitĂ e cambiamento lo si evita e lo si cura avvicinandosi ai problemi e non fuggendo da essi.

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APPENDICE

Accordo europeo dell´8 ottobre 2004

Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008

Indicazioni della Commissione consultiva per la valutazione dello stress lavoro‐correlato del 18 novembre 2010


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Accordo Europeo 8 ottobre 2004

Accordo europeo dell´8 ottobre 2004 sullo stress sul lavoro (Accordo siglato da CES - sindacato Europeo; UNICE-“confindustria europea”; UEAPME - associazione europea artigianato e PMI; CEEP associazione europea delle imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale) Bruxelles 8 ottobre 2004 1. Introduzione Lo stress da lavoro è considerato, a livello internazionale, europeo e nazionale, un problema sia dai datori di lavoro che dai lavoratori. Avendo individuato l’esigenza di un’azione comune specifica in relazione a questo problema e anticipando una consultazione sullo stress da parte della Commissione, le parti sociali europee hanno inserito questo tema nel programma di lavoro del dialogo sociale 2003-2005. Lo stress, potenzialmente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e qualunque lavoratore, a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro. In pratica non tutti i luoghi di lavoro e non tutti i lavoratori ne sono necessariamente interessati. Considerare il problema dello stress sul lavoro può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i lavoratori e la società nel suo insieme. Nel considerare lo stress da lavoro è essenziale tener conto delle diversità che caratterizzano i lavoratori. 2. Oggetto Lo scopo dell’accordo è migliorare la consapevolezza e la comprensione dello stress da lavoro da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti, attirando la loro attenzione sui sintomi che possono indicare l’insorgenza di problemi di stress da lavoro. L’obiettivo di questo accordo è di offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori un modello che consenta di individuare e di prevenire o gestire i problemi di stress da lavoro. Il suo scopo non è quello di colpevolizzare 121


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(far vergognare) l’individuo rispetto allo stress. Riconoscendo che la sopraffazione e la violenza sul lavoro sono fattori stressogeni potenziali ma che il programma di lavoro 2003-2005 delle parti sociali europee prevede la possibilità di una contrattazione specifica su questi problemi, il presente accordo non riguarda né la violenza sul lavoro, né la sopraffazione sul lavoro, né lo stress post-traumatico. 3. Descrizione dello stress e dello stress da lavoro Lo stress è uno stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti. L’individuo è capace di reagire alle pressioni a cui è sottoposto nel breve termine, e queste possono essere considerate positive (per lo sviluppo dell’individuo stesso –ndt), ma di fronte ad una esposizione prolungata a forti pressioni egli avverte grosse difficoltà di reazione. Inoltre, persone diverse possono reagire in modo diverso a situazioni simili e una stessa persona può, in momenti diversi della propria vita, reagire in maniera diversa a situazioni simili. Lo stress non è una malattia ma una esposizione prolungata allo stress può ridurre l’efficienza sul lavoro e causare problemi di salute. Lo stress indotto da fattori esterni all’ambiente di lavoro può condurre a cambiamenti nel comportamento e ridurre l’efficienza sul lavoro. Tutte le manifestazioni di stress sul lavoro non vanno considerate causate dal lavoro stesso. Lo stress da lavoro può essere causato da vari fattori quali il contenuto e l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, una scarsa comunicazione, ecc.. 4. Individuazione dei problemi di stress da lavoro Data la complessità del fenomeno stress, questo accordo non intende fornire una lista esaustiva dei potenziali indicatori di stress. Tuttavia, un alto assenteismo o un’elevata rotazione del personale, conflitti interpersonali o lamentele frequenti da parte dei lavoratori sono alcuni dei sintomi che possono rivelare la presenza di stress da lavoro. L’individuazione di un problema di stress da lavoro può avvenire attraverso un’analisi di fattori quali l’organizzazione e i processi di lavoro (pianificazione dell’orario di lavoro, grado di autonomia, grado di 122


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coincidenza tra esigenze imposte dal lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro, ecc.), le condizioni e l’ambiente di lavoro (esposizione ad un comportamento illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose, ecc.), la comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro, prospettive di occupazione, un futuro cambiamento, ecc.) e i fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto, ecc.). Se il problema di stress da lavoro è identificato, bisogna agire per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo. La responsabilità di stabilire le misure adeguate da adottare spetta al datore di lavoro. Queste misure saranno attuate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti. 5. Responsabilità dei datori di lavoro e dei lavoratori In base alla direttiva quadro 89/391, tutti i datori di lavoro sono obbligati per legge a tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori. Questo dovere riguarda anche i problemi di stress da lavoro in quanto costituiscono un rischio per la salute e la sicurezza. Tutti i lavoratori hanno il dovere generale di rispettare le misure di protezione decise dal datore di lavoro. I problemi associati allo stress possono essere affrontati nel quadro del processo di valutazione di tutti rischi, programmando una politica aziendale specifica in materia di stress e/o attraverso misure specifiche mirate per ogni fattore di stress individuato. 6. Prevenire, eliminare o ridurre i problemi di stress da lavoro Per prevenire, eliminare o ridurre questi problemi si può ricorrere a varie misure. Queste misure possono essere collettive, individuali o tutte e due insieme. Si possono introdurre misure specifiche per ciascun fattore di stress individuato oppure le misure possono rientrare nel quadro di una politica anti-stress integrata che sia contemporaneamente preventiva e valutabile. Dove l’azienda non può disporre al suo interno di competenze sufficienti, può ricorrere a competenze esterne in conformità alle leggi europee e nazionali, ai contratti collettivi e alle prassi. Una volta definite, le misure anti-stress dovrebbero essere riesaminate regolarmente per valutarne l’efficacia e stabilire se utilizzano in modo ottimale le risorse disponibili 123


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e se sono ancora appropriate o necessarie. Queste misure possono comprendere ad esempio: • misure di gestione e di comunicazione in grado di chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore, di assicurare un sostegno adeguato da parte della direzione ai singoli individui e ai team di lavoro, di portare a coerenza responsabilità e controllo sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro. • la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo in cui affrontarlo, e/o per adattarsi al cambiamento • l’informazione e la consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, in conformità alla legislazione europea e nazionale, ai contratti collettivi e alle prassi. 7. Attuazione e controllo nel tempo In base all’art. 139 del Trattato questo accordo-quadro europeo volontario impegna i membri dell’UNICE/UEAPME, del CEEP e della CES (e del Comitato di Collegamento EUROCADRES/CEC) ad implementarlo in accordo con le procedure e le pratiche proprie delle parti sociali nei vari Stati membri e nei paesi dell’Area Economica Europea. I firmatari invitano anche le loro organizzazioni affiliate nei paesi candidati ad attuare questo accordo. L’implementazione di questo accordo sarà effettuata entro tre anni dalla data della sua firma. Le organizzazioni affiliate notificheranno l’applicazione dell’accordo al Comitato del dialogo sociale. Nel corso dei primi tre anni successivi alla firma dell’accordo il Comitato del dialogo sociale predisporrà una tabella annuale riassuntiva della situazione relativa all’implementazione dell’accordo. Nel corso del quarto anno il Comitato redigerà un rapporto completo sulle azioni intraprese ai fini dell’attuazione dell’accordo. I firmatari valuteranno e riesamineranno l’accordo in qualunque momento su richiesta di uno di loro una volta trascorsi cinque anni dalla data della firma. In caso di domande in merito al contenuto dell’accordo le organizzazioni affiliate interessate possono rivolgersi congiuntamente o separatamente ai firmatari che risponderanno loro congiuntamente o separatamente. Nell’attuare questo accordo i membri delle organizzazioni 124


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firmatarie evitino di imporre oneri inutili alle PMI. L’attuazione di questo accordo non costituisce un valido motivo per ridurre il livello generale di protezione concesso ai lavoratori nell’ambito di questo accordo. Questo accordo non pregiudica il diritto delle partner sociali di concludere, ai livelli adeguati, incluso il livello europeo, accordi che adattino e/o completino questo accordo in modo da prendere in considerazione le esigenze specifiche delle parti sociali interessate.

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Accordo Interconfederale 9 giugno 2008 per il recepimento dell’accordo quadro europeo sullo Stress Lavoro‐ Correlato concluso l’8 Ottobre 2004 tra UNICE/ UEAPME, CEEP E CES Addì 9 giugno 2008 Confindustria, Confapi, Confartigianato, Casartigiani, Claai, Cna, Confesercenti, Confcooperative, Legacooperative, Agci, Confservizi, Confagricoltura, Coldiretti e Cgil, Cisl, Uil visto l’Accordo-quadro europeo sullo stress lavoro-correlato stipulato a Bruxelles l’8 ottobre 2004 tra UNICE/UEAPME, CEEP e CES e realizzato su base volontaria a seguito dell’invito rivolto alle parti sociali dalla Commissione delle Comunità europee ad avviare negoziati in tema di stress lavoro-correlato, concordano il recepimento dell’Accordo quadro mediante la seguente traduzione in lingua italiana del testo redatto in lingua inglese, con la precisazione che tutte le volte in cui nel testo compare la dizione “lavoratori” si deve intendere “lavoratori e lavoratrici”. Art. 1 ‐ Introduzione 1. Lo stress lavoro-correlato è stato individuato a livello internazionale, europeo e nazionale come oggetto di preoccupazione sia per i datori di lavoro che per i lavoratori. Dopo aver individuato la necessità di una specifica azione congiunta in questa materia e anche al fine di anticipare una consultazione della Commissione in ordine allo stress, le parti sociali europee hanno incluso questa materia nel programma di lavoro del dialogo sociale 2003-2005. 2. Potenzialmente lo stress può riguardare ogni luogo di lavoro ed ogni lavoratore, indipendentemente dalle dimensioni dell’azienda, dal settore 126


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di attività o dalla tipologia del contratto o del rapporto di lavoro. Ciò non significa che tutti i luoghi di lavoro e tutti i lavoratori ne sono necessariamente interessati. 3. Affrontare la questione dello stress lavoro-correlato può condurre ad una maggiore efficienza e ad un miglioramento della salute e sicurezza dei lavoratori, con conseguenti benefici economici e sociali per imprese, lavoratori e società nel suo complesso. Quando si affrontano i problemi dello stress lavoro-correlato è essenziale tener conto delle diverse caratteristiche dei lavoratori nel senso specificato dal secondo capoverso dell’articolo 3. Art. 2 – Finalità 1. La finalità del presente accordo è quella di accrescere la consapevolezza e la comprensione dello stress lavoro-correlato da parte dei datori di lavoro, dei lavoratori e dei loro rappresentanti, e attirare la loro attenzione sui segnali che potrebbero denotare problemi di stress lavoro-correlato. 2. L’obiettivo del presente accordo è offrire ai datori di lavoro ed ai lavoratori un quadro di riferimento per individuare e prevenire o gestire problemi di stress lavoro-correlato. Non è invece quello di attribuire la responsabilità dello stress all’individuo. 3. Le parti sociali europee, riconoscendo che le molestie e la violenza sul posto di lavoro sono potenziali fattori di stress lavoro-correlato, verificheranno nel programma di lavoro del dialogo sociale 2003-2005, la possibilità di negoziare uno specifico accordo su tali temi. Pertanto, il presente accordo non concerne la violenza, le molestie e lo stress posttraumatico. Art. 3 ‐ Descrizione dello stress e dello stress lavoro‐correlato 1. Lo stress è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro. 2. L’individuo è assolutamente in grado di sostenere una esposizione di breve durata alla tensione, che può essere considerata positiva, ma ha maggiori difficoltà a sostenere una esposizione prolungata ad una pressione intensa. Inoltre, individui diversi possono reagire differentemente a situazioni simili e lo stesso individuo può reagire 127


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diversamente di fronte a situazioni simili in momenti diversi della propria vita. 3. Lo stress non è una malattia ma una situazione di prolungata tensione può ridurre l’efficienza sul lavoro e può determinare un cattivo stato di salute. 4. Lo stress che ha origine fuori dall’ambito di lavoro può condurre a cambiamenti nel comportamento e ad una ridotta efficienza sul lavoro. Non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato. Lo stress lavoro-correlato può essere causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione, etc.. Art. 4 ‐ Individuazione di problemi di stress lavoro‐correlato 1. Data la complessità del fenomeno stress, il presente accordo non intende fornire una lista esaustiva dei potenziali indicatori di stress. Comunque, un alto tasso di assenteismo o una elevata rotazione del personale, frequenti conflitti interpersonali o lamentele da parte dei lavoratori sono alcuni dei segnali che possono denotare un problema di stress lavoro-correlato. 2. L’individuazione di un eventuale problema di stress lavoro-correlato può implicare una analisi su fattori quali l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro (disciplina dell’orario di lavoro, grado di autonomia, corrispondenza tra le competenze dei lavoratori ed i requisiti professionali richiesti, carichi di lavoro, etc.), condizioni di lavoro e ambientali (esposizione a comportamenti illeciti, rumore, calore, sostanze pericolose, etc.), comunicazione (incertezza in ordine alle prestazioni richieste, alle prospettive di impiego o ai possibili cambiamenti, etc.) e fattori soggettivi (tensioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di mancanza di attenzione nei propri confronti, etc.). 3. Qualora si individui un problema di stress lavoro-correlato, occorre adottare misure per prevenirlo, eliminarlo o ridurlo. Il compito di stabilire le misure appropriate spetta al datore di lavoro. Queste misure saranno adottate con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti.

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Art. 5 ‐ Responsabilità dei datori di lavoro e dei lavoratori 1. Secondo la direttiva-quadro 89/391, tutti i datori di lavoro hanno l’obbligo giuridico di tutelare la salute e sicurezza sul lavoro dei lavoratori. Questo dovere si applica anche in presenza di problemi di stress lavoro-correlato in quanto essi incidano su un fattore di rischio lavorativo rilevante ai fini della tutela della salute e della sicurezza. Tutti i lavoratori hanno un generale dovere di rispettare le misure di protezione determinate dal datore di lavoro. 2. La gestione dei problemi di stress lavoro-correlato può essere condotta sulla scorta del generale processo di valutazione dei rischi ovvero attraverso l’adozione di una separata politica sullo stress e/o con specifiche misure volte a identificare i fattori di stress. Art. 6 ‐ Prevenire, eliminare o ridurre i problemi di stress lavoro‐ correlato 1. La prevenzione, l’eliminazione o la riduzione dei problemi di stress lavoro-correlato può comportare l’adozione di varie misure. Queste misure possono essere collettive, individuali o di entrambi i tipi. Possono essere introdotte sottoforma di specifiche misure mirate a fattori di stress individuati o quale parte di una politica integrata sullo stress che includa misure sia preventive che di risposta. 2. Laddove nel luogo di lavoro non siano presenti professionalità adeguate, possono essere chiamati esperti esterni, secondo la legislazione europea e nazionale, gli accordi collettivi e la prassi. 3. Una volta adottate, le misure anti-stress dovrebbero essere regolarmente riviste per valutare se sono efficaci, se consentono un uso ottimale delle risorse e se sono ancora idonee o necessarie. 4. Tali misure potrebbero includere, per esempio: misure di gestione e comunicazione, chiarendo, ad esempio, gli obiettivi aziendali ed il ruolo di ciascun lavoratore ovvero assicurando un adeguato sostegno da parte della dirigenza ai singoli lavoratori ed ai gruppi o conciliando responsabilità e potere di controllo sul lavoro o, infine, migliorando la gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro, le condizioni lavorative e l’ambiente di lavoro, 129


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la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per accrescere la loro consapevolezza e conoscenza dello stress, delle sue possibili cause e di come affrontarlo e/o adattarsi al cambiamento, l’informazione e la consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti, secondo la legislazione europea e nazionale, gli accordi collettivi e la prassi. Art. 7 ‐ Realizzazione e sviluppo nel tempo 1. Nel contesto dell’articolo 139 del Trattato, il presente accordo quadro volontario europeo impegna i membri dell’UNICE/UEAPME, CEEP e ETUC (e l’unione dei comitati EUROCADRES/CEC) ad applicarlo in conformità alle procedure ed alle specifiche prassi proprie della gestione e del lavoro negli Stati membri e nei Paesi della Area Economica Europea. 2. Inoltre, le parti firmatarie invitano le rispettive organizzazioni affiliate nei Paesi candidati ad applicare il presente accordo. 3. L’applicazione del presente accordo avverrà entro tre anni dalla data della sua sottoscrizione.1 4. Le organizzazioni affiliate forniranno un resoconto sull’applicazione del presente accordo al Comitato per il Dialogo Sociale. Nei primi tre anni dalla data di sottoscrizione del presente accordo, il Comitato per il Dialogo Sociale predisporrà annualmente una tabella riepilogativa sull’evoluzione in corso relativamente all’applicazione dell’accordo. Un rapporto completo sulle misure attuative adottate sarà predisposto dal Comitato per il Dialogo Sociale nel corso del quarto anno. 5. Le parti firmatarie valuteranno e rivedranno l’accordo in qualsiasi momento a decorrere dal quinto anno dalla data della firma, se richiesto da una di esse. 6. In caso di controversie sul contenuto del presente accordo, le organizzazioni affiliate interessate possono congiuntamente o separatamente rivolgersi alle parti firmatarie, che risponderanno congiuntamente o separatamente. 7. Nell’applicazione del presente accordo, le associazioni aderenti alle parti firmatarie eviteranno oneri superflui a carico delle piccole e medie imprese. 1

Il terzo comma è stato cancellato in sede di firma dell’accordo.

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8. L’applicazione del presente accordo non costituisce valida base per ridurre il livello generale di protezione fornito ai lavoratori nell’ambito dello stesso. 9. Il presente accordo non pregiudica il diritto delle parti sociali di concludere, a livello adeguato, incluso quello europeo, accordi che lo adattino e/o lo integrino in modo da tener conto di specifiche necessità delle parti sociali interessate. CONFINDUSTRIA CGIL CONFAPI CONFARTIGIANATO CASARTIGIANI CLAAI CNA CISL CONFESERCENTI CONFCOOPERATIVE LEGACOOPERATIVE AGCI CONFSERVIZI CONFAGRICOLTURA UIL COLDIRETTI Sottoscrivono l’accordo per adesione le organizzazioni di rappresentanza delle imprese.

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Indicazioni della Commissione consultiva per la valutazione dello stress lavoro‐correlato (articoli 6, comma 8, lettera m‐ quater, e 28, comma 1 bis, d.lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni e integrazioni)

Quadro normativo di riferimento, finalità e struttura del documento L’articolo 28, comma 1, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, di seguito d.lgs. n. 81/2008, prevede che la valutazione dei rischi debba essere effettuata tenendo conto, tra l’altro, dei rischi da stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004. In ragione delle difficoltà operative ripetutamente segnalate in ordine alla individuazione delle corrette modalità di attuazione di tale previsione legislativa, in sede di adozione delle disposizioni integrative e correttive al citato d.lgs. n. 81/2008, è stato introdotto all’articolo 28 il comma 1-bis, con il quale si è attribuito alla Commissione consultiva il compito di formulare indicazioni metodologiche in ordine al corretto adempimento dell’obbligo, finalizzate a indirizzare le attività dei datori di lavoro, dei loro consulenti e degli organi di vigilanza. Al fine di rispettare, entro il termine del 31 dicembre 2010, la previsione di cui all’articolo 28, commi 1 e 1-bis, del d.lgs. n. 81/2008, e successive modificazioni e integrazioni, la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ha costituito un proprio comitato a composizione tripartita il quale, a seguito di ampio confronto tra i propri componenti, ha elaborato il presente documento, licenziato dalla Commissione consultiva nella propria riunione del 17 novembre 2010. Le indicazioni metodologiche sono state elaborate nei limiti e per le finalità puntualmente individuati dalla Legge tenendo conto della ampia produzione scientifica disponibile sul tema e delle proposte pervenute all’interno alla Commissione consultiva e sono state redatte secondo criteri di semplicità, brevità e comprensibilità. 132


Indicazioni Commissione Consuntiva

Il documento indica un percorso metodologico che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro pubblici e privati. Definizioni e indicazioni generali Lo stress lavoro-correlato viene descritto all’articolo 3 dell’Accordo Europeo dell’8 ottobre 2004 − così come recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008 − quale “condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro” (art. 3, co. 1). Nell’ambito del lavoro tale squilibrio si può verificare quando il lavoratore non si sente in grado di corrispondere alle richieste lavorative. Tuttavia non tutte le manifestazioni di stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato. Lo stress lavoro-correlato è quello causato da vari fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro. La valutazione del rischio stress lavoro-correlato è parte integrante della valutazione dei rischi e viene effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio) dal datore di lavoro avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS/RLST). È, quindi, necessario preliminarmente indicare il percorso metodologico che permetta una corretta identificazione dei fattori di rischio da stress lavoro-correlato, in modo che da tale identificazione discenda la pianificazione e realizzazione di misure di eliminazione o, quando essa non sia possibile, riduzione al minimo di tale fattore di rischio. A tale scopo, va chiarito che le necessarie attività devono essere compiute con riferimento a tutti i lavoratori, compresi dirigenti e preposti. La valutazione prende in esame non singoli ma gruppi omogenei di lavoratori (per esempio per mansioni o partizioni organizzative) che risultino esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione aziendale (potrebbero essere, ad esempio, i turnisti, i dipendenti di un determinato settore oppure chi svolge la medesima mansione, etc). 133


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Metodologia La valutazione si articola in due fasi: una necessaria (la valutazione preliminare); l’altra eventuale, da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare riveli elementi di rischio da stress lavoro-correlato e le misure di correzione adottate a seguito della stessa, dal datore di lavoro, si rivelino inefficaci. La valutazione preliminare consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili, ove possibile numericamente apprezzabili, appartenenti quanto meno a tre distinte famiglie: I. Eventi sentinella quali ad esempio: indici infortunistici; assenze per malattia; turnover; procedimenti e sanzioni e segnalazioni del medico competente; specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori. I predetti eventi sono da valutarsi sulla base di parametri omogenei individuati internamente alla azienda (es. andamento nel tempo degli indici infortunistici rilevati in azienda). II. Fattori di contenuto del lavoro quali ad esempio: ambiente di lavoro e attrezzature; carichi e ritmi di lavoro; orario di lavoro e turni; corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti. III. Fattori di contesto del lavoro quali ad esempio: ruolo nell’ambito dell’organizzazione, autonomia decisionale e controllo; conflitti interpersonali al lavoro; evoluzione e sviluppo di carriera; comunicazione (es. incertezza in ordine alle prestazioni richieste). In questa prima fase possono essere utilizzate liste di controllo applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione che consentano una valutazione oggettiva, complessiva e, quando possibile, parametrica dei fattori di cui ai punti I, II e III che precedono. In relazione alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto di cui sopra (punti II e III dell’elenco) occorre sentire i lavoratori e/o i RLS/RLST. Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile sentire un campione rappresentativo di lavoratori. La scelta delle modalità tramite cui sentire i lavoratori è rimessa al datore di lavoro anche in relazione alla metodologia di valutazione adottata. Ove dalla valutazione preliminare non emergano elementi di rischio da stress lavoro-correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, il 134


Indicazioni Commissione Consuntiva

datore di lavoro sarà unicamente tenuto a darne conto nel Documento di Valutazione del Rischio (DVR) e a prevedere un piano di monitoraggio. Diversamente, nel caso in cui si rilevino elementi di rischio da stress lavoro-correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla pianificazione ed alla adozione degli opportuni interventi correttivi (ad esempio, interventi organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, formativi, etc). Ove gli interventi correttivi risultino inefficaci, si procede, nei tempi che la stessa impresa definisce nella pianificazione degli interventi, alla fase di valutazione successiva (c.d. valutazione approfondita). La valutazione approfondita prevede la valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori, ad esempio attraverso differenti strumenti quali questionari, focus group, interviste semistrutturate, sulle famiglie di fattori/indicatori di cui all’elenco sopra riportato. Tale fase fa riferimento ovviamente ai gruppi omogenei di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche. Nelle aziende di maggiori dimensioni è possibile che tale fase di indagine venga realizzata tramite un campione rappresentativo di lavoratori. Nelle imprese che occupano fino a 5 lavoratori, in luogo dei predetti strumenti di valutazione approfondita, il datore di lavoro può scegliere di utilizzare modalità di valutazione (es. riunioni) che garantiscano il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica della loro efficacia. Disposizioni transitorie e finali La data del 31 dicembre 2010, di decorrenza dell’obbligo previsto dall’articolo 28, comma 1-bis, del d.lgs. n. 81/2008, deve essere intesa come data di avvio delle attività di valutazione ai sensi delle presenti indicazioni metodologiche. La programmazione temporale delle suddette attività di valutazione e l’indicazione del termine finale di espletamento delle stesse devono essere riportate nel documento di valutazione dei rischi. Gli organi di vigilanza, ai fini dell’adozione dei provvedimenti di propria competenza, terranno conto della decorrenza e della programmazione temporale di cui al precedente periodo. Allo scopo di verificare l’efficacia della metodologia qui indicata, anche per valutare l’opportunità di integrazioni alla medesima, la Commissione Consultiva provvederà ad elaborare una relazione entro 24 mesi dalla pubblicazione delle presenti indicazioni metodologiche, a seguito dello 135


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svolgimento del monitoraggio sulle attività realizzate. Le modalità di effettuazione di tale monitoraggio saranno definite dalla Commissione consultiva. I datori di lavoro che, alla data di approvazione delle presenti indicazioni metodologiche, abbiano già effettuato la valutazione del rischio da stress lavoro-correlato coerentemente ai contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004 − così come recepito dall’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2008 −, non debbono ripetere l’indagine ma sono unicamente tenuti all’aggiornamento della medesima nelle ipotesi previste dall’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008, secondo quanto indicato nel presente documento.

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Se ci scambiamo una moneta avremo entrambi una moneta Se ci scambiamo un’idea avremo entrambi due idee

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QUADERNI DELLA SICUREZZA AiFOS Rivista trimestrale dell’Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro Direttore Responsabile: Rocco Vitale Direzione e Redazione: via Branze, 45 - 25123 Brescia tel. 030.6595031 - fax. 030.6595040 Sito web: www.aifos.it – mail: quaderni@aifos.it AiFOS è partner dell’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (OSHA) di Bilbao. AiFOS figura nell’Albo regionale “Lombardia Eccellente”, costituito con Decreto n. 10678 di Regione Lombardia, per la realizzazione del progetto “Sicurezza sul lavoro e ricerca di nuove tecnologie per la prevenzione”. Registrazione e iscrizione Registrazione al n.10 del registro periodici della cancelleria del Tribunale di Brescia in data 18 febbraio 2010. Progetto grafico: Silvia Toselli Redazione: Maria Frassine Stampa: Tipolitotas, via Ponte Gandovere, 3/5 Gussago (Bs) Prezzo di questo numero: € 15,00 (spese di spedizione comprese) Versamento sul conto corrente postale n. 74894502 intestato a: AiFOS, via Branze, 45 - 25123 Brescia (Bs) Condizioni di abbonamento La rivista viene inviata gratuitamente a tutti i soci AiFOS che risultino in regola con il versamento della quota associativa annuale. Le iscrizioni ad AiFOS si effettuano esclusivamente online dal sito www.aifos.it con il versamento della quota annuale di € 100,00. Hanno collaborato: Giovanni Alibrandi, Alberto Andreani, Chiara Ballarini, Fabrizio Benedetti, Riccardo Bianconi, Elena Bonfiglio, Giuseppe Bonifaci, Silvana Bresciani, Ettore Bussi, Alessandro Cafiero, Pier Sergio Caltabiano, Marina Calabrese, Alberto Cerquaglia, Giuseppe Ciarcelluto, Andrea Cirincione, Luigi Dal Cason, Dario De Andrea, Diego de Merich, Priscilla Dusi, Erick Faita, Lorenzo Fantini, Stefano Farina, Paola Favarano, Rosa Anna Favorito, Giulia Forte, Ermanno Franchini, Cinzia Frascheri, Maria Frassine, Rosita Garcia, Maria Giovannone, Angelo Giuliani, Anna Guardavilla, Annalisa Guercio, Michele Lepore, Fabiola Leuzzi, Alessandra Ligi, Giuseppe Lucibello, Laura Manfrin, Marialaura Manna, Marco Masi, Francesca Morselli, Francesco Naviglio, Paolo Pennesi, Fabio Pontrandolfi, Aldo Preiti, Federico Ruspolini, Luca Saitta, Nirvana Salvi, Massimo Servadio, Costantino Signorini, Giuseppe Spada, Michele Tiraboschi, Filippo Trifiletti, Silvia Toselli, Andrea Volpe, Vito Volpe, Rocco Vitale, Carlo Zamponi. Precisazioni È vietata la riproduzione o la memorizzazione dei “QUADERNI DELLA SICUREZZA AiFOS” anche parziale e su qualsiasi supporto. La Direzione della rivista e l’Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro declinano ogni responsabilità per i possibili errori o imprecisioni, nonché per eventuali danni risultanti dall’uso delle informazioni contenute nella presente pubblicazione.

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QUADERNI DELLA SICUREZZA AiFOS

n. 1 - anno I

n. 2 - anno I

n. 3 - anno I

T.U. n. 81/2008

Valutare i rischi.

Gestione aziendale e salute e sicurezza sul lavoro

coordinato con il D.Lgs. n. 106/2009 e i pi첫 importanti decreti in materia di sicurezza

Nuova normativa, schede e strumenti, esperienze, formazione

n. 1 - anno II

I Sistemi di Gestione della Sicurezza tra Certificazione e Asseverazione Atti del Convegno 27 Gennaio 2011

n. 4 - anno I

La figura del Formatore alla Sicurezza

Rapporto AiFOS 2010


Aifos è un’associazione senza scopo di lucro costituita da formatori, docenti, professionisti, consulenti ed aziende che operano nel campo della sicurezza sul lavoro. La formazione è strumento di prevenzione per la salute e la sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro. La rivista scientifica trimestrale “Quaderni della Sicurezza Aifos” presenta studi, ricerche, analisi e commenti di carattere monografico.

AiFOS - Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro c/o CSMT Università degli Studi di Brescia via Branze, 45 - 25123 Brescia tel. 030.6595031 fax 030.6595040 www.aifos.it info@aifos.it

QUADERNi DELLA SiCUREZZA AiFOS - Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro

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QUADERNi DELLA SiCUREZZA AiFOS Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro

Rivista monografica trimestrale - Salute e Sicurezza nei Luoghi di Vita e di Lavoro

La conoscenza dello stress lavoro-correlato Una strada verso l’azienda No-Stress

A cura di: Francesco Naviglio

ASPETTI GIURIDICI Marco Masi Michele Tiraboschi Maria Giovannone Fabio Pontrandolfi ASPETTI VALUTATIVI Massimo Servadio Andrea Cirincione Priscilla Dusi Luigi Dal Cason Giuseppe Bonifaci ASPETTI ORGANIZZATIVI Francesco Naviglio Annalisa Guercio Vito Volpe Andrea Volpe

n. 2 - Anno II Trimestrale Aprile - Giugno 2011

AiFOS Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro c/o CSMT Università degli Studi di Brescia via Branze, 45 - 25123 Brescia tel. 030.6595031 fax 030.6595040 www.aifos.it info@aifos.it


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