Schio Mese
ci sono più negozi di giocattoli - p.6 ◆ “Un anno difficile, ma le imprese resistono” - p.8

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ci sono più negozi di giocattoli - p.6 ◆ “Un anno difficile, ma le imprese resistono” - p.8

Aldo Munarini
“Il futuro a Schio non potrà essere ancora civico” Carlo Cunegato
centrosinistra ha trovato il suo candidato sindaco


AStefano Tomasoni
ttenti a quei due. Carlo Cunegato e Aldo Munarini. Potrebbero riservare qualche sorpresa. Sono due tipi indubbiamente diversi, sotto vari punti di vista: per età (li separano una buona ventina d’anni), per estrazione politico-amministrativa (uno decisamente di sinistra, l’altro nato civico ma con tendenze verso centrodestra) e per professione (uno insegnante di filosofia, l’altro commerciante), ma al momento ci sembrano avere in comune una caratteristica: potrebbero dare una scossa, nel prossimo futuro, agli equilibri politici locali. Ognuno nel proprio schieramento.
Cunegato candidato sindaco?
Prendiamo Cunegato. È reduce da un successo personale davvero notevole alle Regionali di qualche settimana fa, dove è sta-
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to eletto in carrozza consigliere regionale grazie a più di 9 mila preferenze. Già cinque anni fa era andato vicino all’elezione, ma questa volta ha fatto letteralmente il botto, portando il partito per il quale era candidato, Avs (Alleanza Verdi Sinistra), a raggiungere a Schio la fantascientifica percentuale del 22% di consensi, più di Fratelli d’Italia e del Pd, quando di norma quel partito, qui come altrove, può puntare a portare a casa il 4-5%.
Impegnato in politica da una quindicina d’anni, finora Cunegato aveva sempre ottenuto risultati più che lusinghieri dal punto di vista del consenso personale (alle Amministrative dell’anno scorso ha preso più voti dello stesso ex sindaco Orsi), che però dal punto di vista concreto si erano tradotti soltanto nell’elezione a consigliere comunale di minoranza, rimanendo fuori per un soffio, come detto, alle Regionali del 2020. Adesso è andata diversamente. La costanza dell’impegno, che gli va riconosciuta, ha prodotto effetto. Insieme a quella che è stata, ci sembra di poter dire, la sua arma vincente: la coerenza. Non occorre essere d’accordo con le sue idee per riconoscere che da anni Cunegato batte il chiodo su pochi ma cruciali temi: la sanità pubblica, l’ambiente e la lotta alla cementificazione, l’occupazione e il lavoro. A ben vedere, anche Valter Orsi aveva costruito il successo della sua seconda vita politica, quella da civico, insistendo sul tema sanità e ospedale con il movimento “La Cordata”, a conferma che questo è davvero “il” tema, quello più caldo e capace di far alzare le antenne ai cittadini al momento di andare alle urne e decidere chi votare.
Chi la dura la vince, dice il proverbio. Valido anche per Cunegato, che adesso, se lo volesse, avrebbe davanti a sé un’autostrada per diventare il front-man dello schieramento di centrosinistra alle prossime elezioni Amministrative del 2029. Eh sì,
perché se non fosse che ormai il ruolo acquisito in Regione potrebbe portarlo a fare scelte diverse, Cunegato sarebbe a questo punto il candidato sindaco con le maggiori possibilità di successo per il centrosinistra scledense, quello che potrebbe riuscire nell’impresa di riscattare tre mandati all’opposizione per lo schieramento che fu di Berlato Sella e di Dalla Via. Di sicuro, in ogni caso, la palla nel centrosinistra adesso passa a lui, perché se Cunegato manifestasse l’intenzione di correre come candidato sindaco, quando sarà il momento, sarà difficile che qualcuno possa chiudergli la porta.
Nell’altro campo, quello dell’attuale maggioranza, c’è da fare attenzione all’assessore allo sport, Aldo Munarini. Reduce da dieci anni di buona gestione del suo referato, riconosciuta anche dagli avversari politici, Munarini si è costruito un’immagine politico-amministrativa che fra tre anni potrebbe diventare un tesoretto spendibile in modo diverso e più diretto. Quale sia questo modo lo fa intendere lui stesso nell’intervista alle pagine che seguono: “Un’esperienza politica potrebbe interessarmi, anche entrando in un partito, potrebbe essere una nuova sfida”, ammette. Non si tratta di pensarlo avversario di una Marigo in cerca del secondo mandato, e tuttavia si può già cominciare a pensarlo come soggetto non più civico, ma pienamente politico, organico a un partito - di centrodestra - che potrebbe decidere di puntare su di lui per portare a casa il miglior risultato possibile. E nell’intervista, del resto, Munarini lancia un messaggio politico per certi versi spiazzante: attenzione, dice, perché fra tre anni è probabile che non sarà più tempo di liste civiche, è più facile che la prossima amministrazione di Schio torni a essere di espressione politica. Il civismo è in parabo -
la discendente, sembra dire l’attuale assessore, non perché abbia fatto male, ma perché cambiano i tempi, le sensibilità della gente, le risposte chieste alla politica. Quel che colpisce è che il ragionamento che sviluppa Munarini è simile a quello che fa da tempo Alex Cioni, principale rappresentante politico di Fratelli d’Italia a Schio, ovvero: senza l’appoggio della politica Schio rischia di perdere qualche treno importante, di essere esclusa da certe scelte, di lasciare per strada potenziali risorse. Si può immaginare che una tesi del genere, formulata da uno dei componenti di maggiore visibilità dell’attuale maggioranza civica, possa agitare un tantino il quadro politico locale. Vedremo se lo farà davvero e in che misura. Quel che è certo è che ogni tendenza, in politica, ha il suo ciclo di vita, come tutto. Da anni, per dire, è in atto nel paese una radicalizzazione nell’espressione del consenso che si manifesta poi alle urne, per quelli che ancora ci vanno, con fette consistenti dell’elettorato che si trasformano in tifoserie e in supporter della propria squadra, a prescindere da come gioca le partite. ◆
È capitato di nuovo. Di solito succede prima delle ferie estive, stavolta è capitato prima delle feste di Natale. Uno scontro in pieno centro, sotto il duomo, come esito di manifestazioni contrapposte tra gruppi di estrema destra e di estrema sinistra. Finora era successo sempre con il pretesto dell’anniversario dell’eccidio, mentre adesso l’occasione è nata da una estemporanea “passeggiata per la sicurezza” organizzata da Forza Nuova per “denunciare degrado, microcriminalità e insicurezza”, un’iniziativa alla quale gli attivisti del centro sociale Arcadia, altri gruppi di area e Anpi hanno opposto un “presidio antifascista” in piazza. Due manifestazioni autorizzate dalla questura, con spazi e percorsi definiti. Ma poteva mancare la ricerca dello scontro fisico? No, non poteva. E infatti il casino è scoppiato quando una
parte degli attivisti di estrema sinistra ha provato ad andare oltre gli spazi concessi, per entrare in contatto con i “passeggiatori” di estrema destra, con conseguente reazione della polizia, schierata in mezzo per controllare che ognuno stesse al suo posto. Bilancio degli scontri, sei feriti tra gli agenti e due tra i manifestanti. Insomma, all’edizione estiva delle provocazioni tra opposti estremismi sembra aggiungersi ora anche l’edizione invernale. Un po’ come alla fiera dell’oro di Vicenza.
A questo punto non si può più far finta di niente, servono provvedimenti seri e definitivi. È arrivato il momento che il consiglio comunale si compatti e, all’unanimità, approvi un provvedimento che faccia chiarezza per il futuro: Piazza Rossi diventi Piazza Rossi e Neri. [S.T.]


“Il prossimo mandato amministrativo sarà politico. Non so da che parte, ma sarà politico. Perché ritengo difficile che un’altra civica possa vincere, a Schio. Questi dieci anni hanno portato un cambiamento importante e hanno offerto alla città una visione diversa, però Schio senza l’appoggio politico rischia di essere escluso da determinate strategie, anche da risorse che potremmo trovare grazie alla politica”.
SStefano Tomasoni
e il sindaco più longevo di Schio è (e resterà per chissà quanto) Giuseppe Berlato Sella, adesso si può dire che l’assessore più longevo è (e resterà per chissà quanto) Aldo Munarini. Anzi, siccome non siamo andati a controllare in alcun registro storico e ci affidiamo alla memoria, precisiamo: Munarini è l’assessore rimasto più a lungo in carica nello stesso ruolo. Undici anni e mezzo a occuparsi di sport. Che sia un record ci sentiamo di dirlo con sufficiente certezza, a meno che nel periodo anteguerra non ci sia stato qualche precedente difficile da verificare. E pensare che fino a quando nel 2014 Valter Orsi non gli ha proposto l’ingresso in squadra Munarini sembrava destinato a proseguire il suo impegno nell’associazione commercianti, di cui era vicepresidente, magari per diventarne prima o poi presidente.Adesso c’è chi lo vedrebbe bene anche come futuro candidato sindaco, per quanto anche lui, come tutti i boomer, non sia più un giovincello e da poco sia anche felicemente nonno.
Munarini, undici anni e mezzo filati da assessore allo sport. A scadenza di mandato diventeranno quindici. Non le viene mai voglia di dire basta?
“No, la voglia di mollare in questo momento non c’è. Devo dire che all’inizio ero perplesso all’idea di accettare un altro mandato, per me due erano già sufficienti in un settore impegnativo come lo sport che richiede molta presenza diretta, tra manifestazioni, eventi, incontri con le associazioni… Sono entrato un po’ in crisi quando Cristina mi ha chiesto di rimanere; inizialmente avevo chiesto altri referati, lavorare in ambiti diversi poteva essere un’esperienza nuova anche per me, poi però non è stato possibile e sono rimasto allo sport”. Dove tutti, peraltro, le riconoscono di aver fatto un buon lavoro nei dieci anni precedenti.
“Credo di poter dire che abbiamo alzato l’asticella, soprattutto con l’Anno europeo dello sport, che ha creato anche un volano positivo per la città sia in termini di turismo che di iscrizioni di ragazzi alle associazioni sportive. Nei dieci anni di mandato abbiamo destinato quasi 14 milioni
di euro in interventi sulle infrastrutture sportive, sia per nuovi impianti che per riqualificazioni. Adesso la situazione economica è cambiata e diventa difficile pensare di poter intervenire con le stesse disponibilità nei prossimi cinque anni, ma cercherò di fare ancora crescere lo sport in città. Certo, qualcosa in più mi sarei aspettato di ricevere, dal punto di vista delle risorse disponibili e anche di struttura”. Intanto a gennaio passerà per Schio la fiaccola olimpica di Milano Cortina 2026. Che non è una cosa di tutti i giorni.
“Questo sì. L’Anno europeo dello sport è stato anche un modo per alzare la qualità degli eventi, anche grazie al buon lavoro fatto siamo riusciti a ottenere questo momento importante: sarà l’unica volta nella storia che passerà una fiaccola olimpica a Schio, perché per pensare di rivederlo dovrebbe esserci un’altra olimpiade da queste parti… Sarà un evento molto breve, certo, però lo interpreto in tutti i casi come un riconoscimento di quello che è stato fatto. Devo dire che per me è motivo di orgoglio”. Senta, passiamo a temi più politici. Gli ultimi sei mesi non sono stati privi di fibrillazioni per la maggioranza e adesso c’è da aggiungere il fatto che Valter Orsi dovrebbe ufficializzare la decisione di lasciare l’incarico di presidente del consiglio. Può essere un passaggio critico? “Quando qualcuno ha visto Valter un po’ ai margini sono nate queste illazioni, s’è cominciato a dire che non conta più, che è stato escluso. A me pare che, anche se non sta portando avanti un’attività politica diretta come quando era sindaco, Valter riesca ancora a trovare modi e forme di collaborazione che portano a dare delle visioni nella gestione
della città. In tutti i casi rimane una figura di riferimento. Ha caratterizzato un periodo e scritto una parte di storia, è stato protagonista del passaggio da un governo di centrosinistra solido da decenni a un governo civico che non era mi stato espresso a Schio”. È stato anche quello che le ha aperto la strada dell’impegno amministrativo.
“Certo, gli riconosco anche di essere stato il mio insegnante politico: ho sempre fatto associazionismo all’interno dell’Ascom e mi ero sempre ripromesso di non fare politica, anche adesso peraltro non ho tessere di partito. Ho le mie idee, ma non ho mai seguito gli indirizzi dettati da una segreteria di partito”.
Comunque c’è questa sensazione che Orsi adesso sia quasi un problema, per la maggioranza…
“No, non penso che sia un problema, assolutamente. Va visto piuttosto come una risorsa, per l’esperienza che ha. Valter ha carisma e capacità, è evidente che il passaggio di consegne non sarebbe stato semplice. Del resto Cristina Marigo, nel momento in cui ha preso il testimone, ha pensato di non affiancarsi Valter anche per essere più libera di esprimere le proprie visioni”.
Forse per un’amministrazione nata con un’impronta fortemente e orgogliosamente civica diventa più difficile coinvolgere Orsi nel momento in cui, avendo appoggiato alle Regionali un candidato di FdI, appare in qualche modo più targato.
“Peraltro l’indirizzo che Cristina ha dato in giunta, in occasione delle Regionali, è stato di estrema libertà individuale nell’appoggiare uno o l’altro candidato. È evidente che, con questa linea, sono emerse delle differenze all’interno della coalizione, sia ideologiche che di visione. C’è chi ha seguito un candidato e chi un altro. Devo dire che, secondo me, quella delle Regionali poteva essere proprio l’occasione per darci un’identità più precisa. Perché secondo me il futuro di Schio non potrà essere ancora civico”.
Ah, però, questa è forte. Perché no?
“Questi dieci anni hanno portato un cambiamento importante e hanno offerto alla città una visione diversa, però Schio senza l’appoggio politico rischia di essere escluso da determinate strategie, anche da risorse che potremmo trovare grazie alla politica. Ecco perché dico che in queste Regionali, compattandoci verso un qualche candidato, avremmo potuto contare di più in futuro”.
Eppure all’interno dell’amministrazione c’è chi vede ancora un ruolo ben preciso nel civismo. Uno per tutti l’assessore Gianesini, che lo ha ribadito nella recente intervista su queste pagine.
“Sì, ho letto. La mia visione sul ruolo del civismo è un po’ diversa da quella espressa da Gianesini. Per me il prossimo mandato amministrativo sarà politico. Non so da che parte, ma sarà politico. Perché ritengo difficile che un’altra civica possa vincere, a Schio”.
Insomma, su questo punto la pensa come Cioni, secondo cui il civismo senza la politica resta ai margini.
“Io posso dire qual è la mia visione: quel che penso è che, per avere possibilità di creare situazioni positive per Schio, sarà fondamentale avere la politica a fianco della prossima amministrazione. Se non ce l’hai, diventa più facile essere esclusi da certi giochi. Per certi versi seguo il ragionamento che ha fatto Orsi, che è sempre stato a favore di scelte civiche e che peraltro, in una fase come quella delle elezioni Regionali, si è schierato apertamente con un candidato”.
A proposito di Cioni, le braci accese qualche mese fa con la faccenda della foto in cui si vedeva lei e qualche altro esponente di maggioranza sorridenti insieme ai maggiorenti di FdI di Schio si sono spente o cova ancora qualcosa sotto la cenere?
“Quello che è stato fatto con quelle foto non mi è piaciuto, mi ha messo nelle condizioni di diventare un capro espiatorio. C’è stata della strumentalizzazione, anche all’intero del mio gruppo. Io penso che, proprio perché siamo civici ed esprimiamo una nostra trasversalità, una serata come quella ritratta nella foto non doveva costituire un problema: si trattava di andare ad ascoltare interventi sul tema della sicurezza, che ritengo molto importante anche per Schio. E credo che far politica signifi-
chi anche tessere relazioni. In ogni caso potrei fare tanti altri esempi di consiglieri che sono stati visti con qualche candidato regionale o con altri esponenti politici… Ci sono visioni diverse all’interno della coalizione, questo è ovvio, è evidente che queste diversità qualche volta emergano, ed è giusto prenderne atto”.
Resta il fatto che questa maggioranza è nata rimarcando a ogni passo la sua totale civicità. Nel momento in cui ognuno diventa libero di esternare il suo appoggio politico a chi vuole, questa impronta civica non finisce col perdersi per strada?
“Quello che dico è che oggi diventa fondamentale avere dei canali preferenziali che diano modo di avere dei riferimenti, che siano regionali o nazionali, per evitare di rimanere esclusi. Per questo ho qualche perplessità sul fatto che in futuro una lista civica riuscirà ancora a governare. Il quadro politico è cambiato rispetto al 2014 e la spinta civica rischia di esaurirsi. Il secondo mandato di Cristina dovrebbe vedere la politica entrare un po’ di più in gioco. Le Regionali potevano essere il momento, per Schio, di avvicinarsi a un partito di governo o a rappresentanti che conteranno in Regione.
Dunque con queste premesse, fra tre anni lei cosa farà?
“Posso dire e sottoscrivere che di sicuro non farò l’assessore allo sport. Un’esperienza politica potrebbe interessarmi, anche entrando in un partito, potrei pensarci. Potrebbe essere per me una nuova sfida”. ◆

ACamilla Mantella
ll’inizio dell’anno a Schio ha chiuso l’ultimo negozio di giocattoli del centro. Il “Giocandolo”, spostatosi in via Capitano Sella dopo una vita in via dei Castellani, ha abbassato la saracinesca. Prima era toccato a “Mamas Giochi”, in Galleria Landshut, e ancora prima alla storica “Casa del Giocattolo”, che in piazza Americo aveva accompagnato l’infanzia dei più piccoli dagli anni del boom economico in avanti. È una tendenza diffusa e non riguarda solo Schio: la bottega del gioco, quella che esisteva solo per questo, sta lasciando spazio a forme più ibride. Oggi resistono realtà come la “Cartolibreria Lena” a Magré, in via Roma, che affianca ai giocattoli articoli di cancelleria e materiali scolastici, o le librerie del territorio, che accanto ai libri per bambini propongono sempre più spesso giochi creativi, tattili ed educativi.
I negozi di giocattoli “puri”, quelli dove si entra solo per cercare qualcosa che faccia brillare gli occhi ai bambini, restano pochi. A Santorso c’è “OKO – ninnoli e magia”, con una selezione di giochi sostenibili e montessoriani; a Thiene lo storico “Munari” (che commercia anche casalinghi), i cui magazzini sono stati recentemente colpiti da un rogo imponente; a Malo, infine, rimane proprio “Il Giocandolo”, che dopo la chiusura scledense ha deciso di concentrarsi sulla sede maladense.
«Abbiamo chiuso Schio perché eravamo in affitto, mentre il negozio di Malo è di nostra proprietà, è quello storico, e lì abbiamo meno spese – racconta il titolare, Pierluigi Lanaro –. Inoltre i vari punti vendita che avevamo erano gestiti da persone di fiducia che ora stanno andando in pensione e non abbiamo trovato chi li rilevasse. Non è

Le vetrine spoglie dell’ex negozio Giocandolo in via Capitano Sella, che era l’ultimo rivenditore di soli giocattoli della città e che ha da qualche tempo ha spostato l’attività a Malo

Con la chiusura dell’ultimo punto vendita del centro, la città resta senza botteghe dedicate solo al gioco. Ma intorno nascono nuove forme: librerie, spazi educativi e negozi ibridi che reinterpretano l’infanzia di oggi.
semplice: ormai si compra tanto su Amazon e la grande distribuzione si è messa a vendere giocattoli nei momenti clou, come Natale o il rientro a scuola. È un peccato, perché si perde la magia della scelta e del desiderio per quel giocattolo già visto e sognato».
Dietro la chiusura o lo spostamento di molte botteghe ci sono i cambiamenti nelle abitudini di acquisto, ma anche un nuovo modo di pensare il gioco. Le famiglie alternano gli ordini online alle visite nei negozi “ibridi”, dove i giocattoli convivono con libri, cartoleria e articoli regalo. La sfida è restare riconoscibili in un mercato in cui tutto è disponibile ovunque e subito, ma in cui cresce anche il bisogno di esperienze più lente e relazionali.
Negli ultimi anni è cambiato anche il modo in cui la pedagogia guarda al giocattolo. Se negli anni Novanta dominavano plastica, luci e suoni, oggi educatori e genitori scelgono più spesso giochi aperti, multisensoriali e sostenibili, che stimolano la creatività, l’immaginazione e l’autonomia. Non più il giocattolo-oggetto, ma il giocattolo-esperienza, parte di un percorso di scoperta e apprendimento. In questo sce-
nario chi riesce a proporre giochi selezionati con cura, materiali naturali e attività laboratoriali trova ancora spazio. Il gioco, come il libro, si sposta dal possesso alla relazione, dall’intrattenimento allo sviluppo. Per chi è cresciuto entrando in bottega con qualche moneta in tasca e l’attesa del giocattolo sognato da mesi, la scomparsa del negozio dedicato lascia comunque un piccolo vuoto di memoria. Il giocattolaio era un mediatore tra il bambino e il mondo, qualcuno che sapeva consigliare, raccontare, indirizzare. Oggi quella funzione può essere raccolta in modo diverso, nelle librerie, negli spazi per famiglie, nei negozi che uniscono vendita e laboratorio. Eppure la chiusura di tante botteghe dedicate all’infanzia racconta anche di un tempo, il nostro, in cui i bambini sono sempre meno e il loro spazio simbolico nella comunità tende a restringersi. Mentre gli adulti accelerano, digitalizzano, ottimizzano, il mondo dell’infanzia rischia di passare in secondo piano. Forse proprio da qui, dal gioco e dai luoghi che lo rendono possibile, bisognerebbe ripartire. Restituendo tempo, attenzione e presenza a chi di futuro, letteralmente, è fatto. ◆

L’Camilla Mantella
Alto Vicentino chiude un 2025 di luci e ombre. Il comparto produttivo ha risentito in modo significativo delle tensioni internazionali, del rallentamento tedesco e dei dazi commerciali, mentre la piccola impresa e l’artigianato cercano di adattarsi a un contesto in continua trasformazione. Numeri e testimonianze delineano un quadro complesso, ma non privo di segnali di resilienza.
L’industria rallenta: “Ma il ‘26 parte con ordini in ripresa”
«Il 2025 è stato un anno difficile, ma molte aziende hanno spalle larghe e resistono, nonostante crisi, costi crescenti e lo stop ai finanziamenti per l’Industria 5.0, che doveva sostenere la digitalizzazione e la sostenibilità del comparto - spiega Silvia Marta, presidente del Raggruppamento Alto Vicentino di Confindustria Vicenza -. Si è sofferto, si sta soffrendo, ma una timida crescita si intravede. Certo, il nostro settore è fortemente inserito a livello internazionale e l’incertezza globale non ci aiuta, tra guerre e dazi».
Secondo gli ultimi dati congiunturali dell’associazione, riferiti al terzo trimestre 2025, il fatturato interno è sceso dell’1% rispetto allo stesso periodo del 2024, con un calo dell’8% sul mercato europeo e una flessione media della produzione industriale dello 0,8%. Resiste invece l’export extra UE, in aumento di circa il 5%.
«Il nostro tessuto industriale è variegato –aggiunge Marta – e alcuni comparti hanno beneficiato delle commesse della Difesa, ma si tratta di eccezioni. Il ricorso alla cassa integrazione è stato diffuso e l’anno non si chiude bene. Tuttavia si intravede una timida ripresa con gli ordini di inizio 2026: metalmeccanica e automotive si stanno muovendo grazie al rimbalzo del mercato tedesco».
Le difficoltà strutturali restano, a partire dal costo del lavoro. «Per essere davvero competitivi servono interventi politico-economici sistemici – osserva -. La defiscalizzazione del costo del lavoro è ancora insufficiente: i salari restano fermi, ma per i datori di lavoro il personale costa sempre di più. La transizione generazionale è poi un altro nodo da sciogliere. Gli imprenditori sono sempre più anziani e mancano giovani manager. Abbiamo eccellenze scolastiche, ma non riusciamo a trasmettere

Il mondo industriale e artigiano scledense e alto vicentino chiude un 2025 di luci e ombre, in cui si è risentito inevitabilmente delle tensioni internazionali. E tuttavia le note di fiducia per il ’26 non mancano. Abbiamo sentito i rappresentanti locali degli Industriali, degli Artigiani e di un sindacato.
fino in fondo l’idea che qui si possa costruire una carriera soddisfacente».
La carenza di personale tecnico e specializzato è una delle principali emergenze. Confindustria sta collaborando con enti formativi locali e Confartigianato nel progetto Faberlab Alto Vicentino e sostiene fortemente gli ITS.
“Cassa integrazione in aumento”
Un fronte cruciale resta quello occupazionale. «Mi occupo del comparto metalmeccanico, che è il più diffuso nell’Alto Vicentino – spiega Emanuele Pederzolli della FIM-CISL, la Federazione Italiana Metalmeccanici che fa capo al sindacato in questione -. Nel 2025 la cassa integrazione è in aumento, con una crescita di richieste dopo le ferie estive. C’è molta incertezza, anche se in linea generale si è ricorsi a questo strumento per un solo giorno a settimana, il venerdì. Veniamo da anni turbolenti e stiamo pagando il contraccolpo del boom post-Covid, che aveva spinto aziende a investire e assumere. Ora invece la produzione si è contratta».
La crisi tedesca pesa in modo diretto:
«Esportiamo moltissimo in Germania e il rallentamento industriale tedesco ci ha messi in difficoltà. Il packaging poi, settore forte del territorio, risente dei dazi statunitensi e delle tensioni commerciali USAUE. Le aziende strutturate reagiscono con la cassa integrazione; le più piccole invece si arrangiano con ferie obbligate, permessi, soluzioni meno formali».
Le situazioni di crisi non mancano: «Secondo le nostre stime, si rischia un calo complessivo del 20% del fatturato rispetto al 2024».
Una contrazione che, secondo Pederzolli, riflette una fragilità strutturale: «Una volta le crisi arrivavano ogni 8-10 anni, oggi ne abbiamo una all’anno o al semestre. La velocità dei cambiamenti globali non lascia tempo per riprendersi da una fase critica che già ne arriva un’altra. Le imprese solide resistono, ma il senso di precarietà è diffuso anche tra i lavoratori, che vedono ridursi le prospettive di stabilità e crescita professionale».
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L’artigianato resiste: “Ma serve una nuova legge quadro”
Anche l’artigianato locale registra delle difficoltà. Si tratta di un comparto essenziale per il territorio dell’Alto Vicentino: rappresenta il 32% delle imprese totali e quasi il 20% degli occupati dell’area. «C’è un calo generalizzato dovuto alle dinamiche internazionali – spiega Gaetano Rossi, presidente del Raggruppamento di Confartigianato Schio -. Il clima è di precarietà, ma chi lavora nel business to consumer, vendendo direttamente alle famiglie, ha tenuto un po’ meglio, perché il contraccolpo del mercato arriva con più lentezza rispetto a chi lavora come fornitore delle imprese».
«La piccola dimensione – continua Rossi – dà più flessibilità e capacità di adattamento, ma anche più esposizione alle crisi. Per questo ragioniamo in ottica associata, fornendo servizi condivisi e lavorando insieme a Confindustria e altre categorie economiche per il progetto Faberlab, dedicato alla formazione e all’assunzione di personale qualificato, che oggi scarseggia».

Gli artigiani, per la natura stessa delle loro imprese, ricorrono meno alla cassa integrazione: «Si trovano soluzioni di compromesso, ferie, permessi o corsi di aggiornamento. C’è un rapporto più personale con i collaboratori».
Uno degli appuntamenti attesi è la legge quadro sull’artigianato, che dovrebbe aggiornare la disciplina del settore portando a 49 dipendenti il limite per restare nel contratto artigiano, con vantaggi normativi e fiscali significativi. «È un provvedimento che attendiamo da tempo – spiega Rossi – e che può rafforzare la tenuta delle
La storica compagnia di prosa amatoriale ha trovato ospitalità per le sue produzioni al Teatro di Magré con un rinnovo biennale del contratto d’affitto. Poi si ripresenterà il problema del luogo dove “provare”.
La storica compagnia di prosa amatoriale SchioTeatro80, che da oltre quarant’anni, con passione, costanza e competenza propone in città spettacoli e corsi di teatro, ha trovato ospitalità per le sue produzioni al Teatro di Magré. Per la sede di via Verla è stato ottenuto un rinnovo biennale del contratto d’affitto, ma dopo si ripresenterà comunque il problema del luogo dove “provare”; a Magré, però, il gruppo può almeno esibirsi e proporre le sue attività. Nel contempo, il teatro parrocchiale di quel quartiere diventa una nuova, piccola casa per chi recita con tanto entusiasmo.
“Poter permetterci di restare a provare e recitare a Schio – afferma il regista e presidente di Schio Teatro 80, Paolo Balzani – significa accogliere l’idea stessa che ab -
biamo del teatro: luogo di incontro e partecipazione, che appartiene alle persone, che forma, emoziona e crea legami”. Per la parrocchia, ospitare il gruppo rappresenta un modo per valorizzare un bene
imprese di medie dimensioni, spesso penalizzate da limiti burocratici». Rossi chiude con una nota di fiducia: «Voglio lanciare un messaggio positivo: l’artigianato può essere una delle chiavi per affrontare l’avvento dell’intelligenza artificiale. L’IA è utilissima, ma non potrà mai sostituire il lavoro di “testa e mano” dell’artigiano specializzato. Ai ragazzi dobbiamo dire che investire in questo settore è ancora una garanzia per una vita piena e soddisfacente, professionalmente e umanamente. È un modo per restare sul territorio, costruendo qui il proprio futuro». ◆
comune, aprendolo a nuove esperienze di socialità e crescita culturale.
Di recente la rassegna Fuori Canovaccio, dedicata alla formazione e alla sperimentazione, si è tenuta proprio nel Teatro di Magré e sono stati messi in scena spettacoli a cura di Schio Teatro 80, Kill The Museum (Terni), Aghetti Bruni (Padova); ci sono state conferenze di studiosi come Gerardo Guccini, docente al DAMS di Bologna, e Flavio Cipriani, del centro studi nazionale UILT (Unione Italiana Libero Teatro). Lunga vita al teatro, dunque, dovunque si possa fare. ◆ [M.D.Z.]
Al Famila di SS.Trinità un nigeriano, ma per la verità ne circolava più di uno, con discrezione e gentilezza ci aiutava nel trasporto del carrello con la spesa settimanale. Ora, dall’altra parte della strada, nel nuovo Famila, non ci sono più né lui né i suoi “colleghi”, che offrivano un piccolo servizio prezioso, senza insistere e con un sorriso.
Possono andare a lavorare? Sì, non c’è dubbio, sono giovani e forti. Possono andare alla Charitas in caso di necessità? Sì, non c’è dubbio, verrebbero aiutati. Ma, con regolare permesso di soggiorno, potrebbero stare anche fuori dal nuovo super: non darebbero fastidio a nessuno e il loro sorriso, che ti accompagna caloroso fino alla macchina, avrebbe più valore di tanti altri omaggi. [M.D.Z.]



Elia Cucovaz
he effetto ha avuto la nuova rotonda realizzata su viale Santissima Trinità a servizio del nuovo supermercato Famila? Ha fluidificato il traffico, com’era nelle previsioni della parte privata che ha realizzato l’intersezione a titolo di contributo straordinario per il Comune di Schio? Oppure ha reso più lenta e difficoltosa la circolazione come paventato da coloro che avevano polemizzato contro la realizzazione dell’opera?
Abbiamo chiesto ad alcuni residenti e attività commerciali della zona quali sono gli effetti visibili a poco più di una settimana dall’inaugurazione del nuovo supermercato, che ha sostituito il precedente punto vendita localizzato lungo la stessa strada, 150 metri più avanti.
La proprietaria Unicomm Srl aveva optato per il trasloco del Famila esistente in una nuova struttura per l’impossibilità di adeguare alle più recenti normative la precedente struttura. Avendo individuato e acquisito l’area idonea, ma dovendo comunque richiedere l’approvazione da parte del consiglio comunale per alcune deroghe edilizie, la parte privata aveva messo sul piatto, tra le altre cose, l’intenzione di realizzare a titolo di opera pubblica una nuova rotonda su viale Ss. Trinità per consentire l’accesso all’area commerciale, ma anche per fluidificare un nodo viabilistico considerato passibile di miglioramento, ossia l’intersezione con via Giarette. Il progetto, pur approvato dal consiglio comunale senza alcun voto contrario, aveva generato preoccupazione e polemiche da parte di alcuni residenti, in particolare per l’effetto che avrebbe avuto «la costruzione della terza rotonda in un tratto di 250 metri di un asse viario di grande scorrimento».


nuova rotatoria realizzata su viale Santissima Trinità a servizio del nuovo supermercato Famila ha fluidificato il traffico com’era nelle previsioni del privato che ha realizzato i lavori, oppure ha reso più lenta la circolazione come paventato da coloro che avevano polemizzato contro la sua realizzazione?
Ad oggi le opinioni di coloro che abitano o lavorano in quel tratto del viale sono diverse. È opinione comune che «il traffico sembra aumentato». Tuttavia la causa non sarebbe tanto la rotonda in sé, «quanto l’afflusso di clienti curiosi di provare il nuovo supermercato. Bisognerà aspettare che passi la novità per vedere gli effetti reali». Alcuni rilevano conseguenze positive: «Il collegamento da e per il centro del quartiere tramite via Giarette ora è più agevole». C’è invece chi fa presente che «al mattino il traffico di questo tratto sembra più congestionato», ma non a causa della nuova area commerciale, bensì per la chiusura di quella vecchia: «quel parcheggio, ora non più agibile, consentiva infatti di tagliare, un po’ furbescamente, il passaggio in rotonda, contribuendo a ridurre le code». Infine c’è anche chi lamenta che i nuovi cordoli posti a bordo strada a protezione della

ciclabile rendono meno agevole l’accesso alle attività commerciali, specialmente da parte dei veicoli commerciali.
La rotonda, in definitiva, non pare aver stravolto il traffico né in un senso né nell’altro.
A marzo 2024 il consiglio comunale, che aveva approvato la variante necessaria al nuovo supermercato, aveva già considerato gli effetti che la realizzazione del progetto avrebbe avuto per la collettività. La relazione dell’allora assessore all’urbanistica Sergio Rossi sottolineava che tra i benefici attesi c’erano l’ottimizzazione della viabilità ordinaria con la fluidificazione del traffico e l’incremento della sicurezza delle intersezioni stradali, nonché un miglioramento della viabilità ciclabile e delle connessioni ciclo-pedonali, con particolare riferimento al collegamento con il Campus.
L’assessore faceva presente, inoltre, che la nuova rotonda portava un vantaggio al Comune anche dal punto di vista patrimoniale. Per il privato, infatt, il costo del semplice accesso al supermercato tramite corsie di immissione e di uscita sarebbe stato nettamente inferiore. La proposta della proprietà di incaricarsi totalmente della realizzazione della rotonda, invece, ha generato un beneficio per il Comune stimato in oltre 100 mila euro. Era stato preso in considerazione, infine, anche il fatto che l’intervento avrebbe dotato di accesso stradale e allacciamento ai sottoservizi l’area retrostante il supermercato, che in parte è edificabile e che quindi potrà essere soggetta a futuri progetti di tipo residenziale. ◆

IMirella Dal Zotto
n centro, spesso nel crocicchio tra via Pasini e via Pasubio, capita di vedere e ascoltare un bravo sassofonista, che regala con un sorriso le note a chi passa. La sua è una bella storia, ce la siamo fatta raccontare.
Giovàni (scritto senza la doppia, che nel suo paese di origine non si usa) Tramontin è nato 41 anni fa a Ponta Grossa, nello Stato di Paranà, sud del Brasile. La madre ha origini austriache, il padre italiane. A un certo punto della sua vita, desideroso di cambiamenti, decide di avvalersi del principio dello “ius sanguinis”, in base al quale si acquisisce la cittadinanza per discendenza, avendo almeno un genitore italiano. Possiede una laurea in legge, è appassionato di musica e sa che il mondo non si limita alla terra dove ha vissuto per tutta la sua giovinezza. Nel 2012 incontra e si innamora di Paola, messicana, laureata in scienze dell’educazione, che ha vissuto e lavorato come volontaria in Amazzonia; insieme decidono di migrare in un primo tempo in Portogallo, prestando volontariato in una chiesa che accoglieva migranti angolani. Dopo quell’esperienza tornano per poco tempo in Brasile e poi partono per l’Italia, dove un’amica, che lavorava nel Comune di Malo, pensa a tutte le pratiche burocratiche. “Eravamo carichi solo di speranza – dice Giovàni – non sapevamo l’italiano e non avevamo un posto dove andare. Per poco tempo, consumando un bel po’ di risparmi, abbiamo vissuto in un albergo a Malo, poi in un B&B a Schio. Non era semplice trovare un lavoro, non c’era la possibilità di avere un appartamento in affitto senza una regolare busta paga, ma abbiamo avuto la grande fortuna di trovare persone generose che ci hanno sostenuto: la maestra Lucia che ci seguiva nel corso di italiano che frequentavamo al CPIA di via dei Boldù; il nostro amico peruviano, Lucho, che ci ha ospitati per un mese intero aiutandoci a completare le pratiche per la residenza; Maria e Ugo, una coppia di insegnanti con cui abbiamo convissuto per un anno e mezzo; Luciana, che ha fatto da garante per farci ottenere un piccolo appartamento in via Venezia: 45 metri quadrati interni, ma 150 esterni. Lì ho coltivato il mio orto, donando ciò che non consumavamo, e lì è nato Luigi, il mio primo figlio. Qualche anno dopo è arrivato anche Enzo”.
Giovani Tramontin con la famiglia insieme con il tenore Placido Domingo

Giovàni Tramontin è nato 41 anni fa in Brasile, ma da tempo abita a Schio con la moglie Paola, che ha lavorato come volontaria in Amazzonia, e con i figli. Dopo la laurea in legge ha dato priorità alla sua vera anima, quella di artista, e da tempo fa felicemente l’artista di strada e costruisce con le sue mani bocchini su misura per sassofoni richiesti anche da famosi musicisti.
Ma come riusciva a vivere se né lei né la moglie avevate un impiego?
“Siamo stati aiutati, questo sì, ma io facevo l’artista di strada e suonando in varie città, non solo a Schio, sono sempre riuscito a mantenere i miei cari, con dignità. La mia famiglia d’origine ha sempre avuto una grande passione per la musica: so suonare moltissimi strumenti, tutti a orecchio, ma il sax è il mio preferito, lo considero un’estensione del mio corpo”.
Non le è molto servito studiare legge, allora. “Non era la mia strada, però la tesi che ho presentato in Brasile sul tema dell’abbandono affettivo mi ha molto appassionato. Ma nell’animo sentivo di essere un musicista e suonare nelle strade mi è sempre piaciuto; in Brasile non lo potevo certo fare, c’è troppa criminalità. Qui a Schio a sostenermi è stato uno come me, Gaston, che ha partecipato a X Factor nel 2018, senza però proseguire fino alla fine, perché rifiuta tuttora l’eccessiva commercializzazione della musica”.
Poi ha cominciato a spargersi la voce sulle sue capacità.
“Beh, sì, suonavo in feste private di persone facoltose, in qualche locale, ai mercatini, in occasione di feste popolari… senza mai abbandonare la strada e chiedendomi sempre non tanto quanto avrei guadagnato, ma quanta bella musica sarei stato in grado di donare alle persone. Purtroppo, a un certo punto, ho avuto problemi di microtrombi alle gambe, perché stavo al freddo, in piedi, per tante ore; ciò mi ha fatto un po’ diminuire le presenze, soprattutto ai mercatini di Natale”. Ma si è inventato qualcos’altro per arrotondare. “Esatto. I bocchini su misura per sassofono costano molto, ma io li so fare a mano; un cugino ingegnere mi ha dato delle informazioni su come lavorare bene le resine e ho cominciato a produrli artigianalmente. Non avevo però nessuna idea su come gestire l’attività e nemmeno se questa avrebbe avuto un futuro”.
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Quindi?
“Vede, io sono molto credente e Dio è sempre stato con me. Gli ho semplicemente chiesto di aiutarmi perché non sapevo come partire, come proseguire, come promuovermi al meglio. Un giorno che ricordo come fosse oggi, a Riva del Garda, mi si avvicina un signore per ascoltarmi; capisco subito che se ne intende, sia di musica che di sassofoni. Mi lascia lì proprio una bella offerta e a me viene spontaneo regalargli uno dei miei bocchini, unitamente al mio recapito telefonico. Roba da non credere, ma certe cose accadono perché i miracoli esistono, dopo un po’ di tempo lo stesso signore, presentandosi come un importante gestore di una compagnia telefonica olandese, mi chiama per dirmi che vuole produrre con me i bocchini in resina. Così, nasce la Tramontin (www. tramontinsax.com), la mia piccola ditta!”
Clienti?
“Sono agli inizi, è chiaro, ma i miei bocchini in resina fatti a mano (riesco a produrne un paio alla settimana, perché ci tengo anche a suonare, a comporre musica per orchestra, a seguire la mia famiglia) sono richiesti in Italia da famosi jazzisti come Mimmo Valente, Massimo Mantovani, e da sassofonisti conosciuti internazionalmente come Daniele Vitale. Non posso ancora dire a gran voce “Ce l’ho fatta”, ma grazie a Dio spero di essere sulla buona strada”. Ha fatto altri incontri importanti?
“Certo. A Verona Placido Domingo si è complimentato con me, e Marko Kutlic, cantante croato nella top five del suo paese, mi ha chiesto di suonare con lui. Ad Asiago il primo violino dell’orchestra di Ennio Morricone si è esibito con me. Che soddisfazioni!”.
Cosa scriverebbe oggi nella letterina a Babbo Natale?
“Gli chiederei di poter riuscire ad aiutare gli altri come sono stato aiutato io; di darmi una mano a creare un’associazione che protegga seriamente gli artisti di strada; di
Non ho mai particolarmente amato le cerimonie, i discorsi di circostanza, le adunate, anche se sono stato abbastanza convintamente alpino quasi sessant’anni fa.
Il 4 novembre scorso ero uscito per comperare il pane e mi sono trovato dentro a una cerimonia patriottica. In piazza Statuto si stava formando il corteo: in testa la banda, poi i picchetti d’onore: alpini, carabinieri, guardia di finanza. Seguivano le autorità e gli studenti, non so se costretti a partecipare come ai miei tempi o volonterosi. Mi sono fermato a guardare lo spettacolo e in particolare a osservare i militari, perché mi è venuto subito da pensare a quando ero giovane alpino a Tai di Cadore. A quel tempo non c’era nessun nemico, quanto meno che potesse venire da nord (secondo un’antica consuetudine dei barbari), e praticamente si faceva finta di prepararci alla guerra. Si tirava qualche colpo con il garand, ma con moderazione perché i soldi erano sempre contati. A me, che ero della sanità, nemmeno quello lasciavano tirare. Allora gli ordini alle compagnie schierate erano urlati in maniera maschia: se uno non urlava non era considerato adatto al
ruolo. Io allora pensavo che, se avessi urlato a quel modo, in un attimo sarei rimasto senza voce e quindi anche da quel lato non sarei stato adatto alla carriera militare, che per altro avevo già scartato per altre motivazioni.
Lì in piazza Statuto il 4 novembre scorso gli ordini venivano non dico sussurrati, ma nemmeno urlati. Non so se questo sia un segno di cambiamento all’interno dell’esercito, ma è comunque una cosa diversa da quello che avveniva ai miei tempi. Allora c’era una notevole rigidità nelle forme, mentre la sostanza delle cose valeva fino a un certo punto. Mi ricordo che al Car di Mondovì insegnavano questo: se un comandante di compagnia porta gli uomini davanti a un muro e si dimentica di dire “Compagnia alt,” i soldati non possono andare avanti per la presenza del muro stesso, ma non possono nemmeno fermarsi, in mancanza di un ordine in tal senso e allora devono segnare il passo sul posto e continuare così teoricamente anche all’infinito se non interviene un ordine. Questo mi è sembrato da subito un luminoso esempio di ottusità.
Ma esempi di questo tipo ne potrei elencare molti altri. Si tratta di cose successe molti anni fa, quando nell’esercito ancora

farmi trovare una casetta in collina con un po’ di terreno da coltivare e un posto dove mettere un piccolo pollaio, perché le galline che avevo dietro la chiesa del Sacro Cuore le ho dovute regalare a una famiglia che abita a Santa Caterina, al Tretto; in appartamento non ho posto per loro”. ◆
comandavano uomini che avevano servito sotto il duce e c’era la leva obbligatoria. Mi viene in mente anche la libera uscita all’ospedale militare di Verona (dove ero per un corso infermieri), quando il maresciallo che eseguì l’ispezione ci mandò indietro tutti, impedendoci di uscire, perché avevamo le scarpe lucide: diceva che il regolamento parlava di scarpe nere non lucide (anzi diceva luccide perché veniva dal tacco d’Italia). A quel tempo le angherie gratuite erano sempre incombenti. Dal poco che ho visto il 4 novembre scorso per le strade di Schio, ho avuto l’impressione che tante cose siano cambiate in meglio rispetto agli anni settanta, quando sembrava che si facessero le cose così tanto per scherzare. Ad esempio nella cerimonia del 4 novembre, quando i picchetti sono giunti all’imbocco di via Cap. Sella, il comandante ha detto in modo dimesso “a sinistra” e non “per fila sinis sinis”o una cosa del genere come avrebbe gridato in altri tempi.
Ho visto che uno dei picchetti era comandato da una ragazza e questo per me, che avevo ancora in testa l’esercito anni sessanta \settanta, era cosa di una straordinaria modernità, che da solo valeva il tempo speso nella cerimonia patriottica. ◆

LMirella Dal Zotto
oro l’hanno ben spiegato, chi erano i Draghi, all’affezionato pubblico che li segue da molti anni, da quando erano adolescenti. La Sala Calendoli ha ospitato una serata interamente dedicata proprio ai Draghi, storico complesso cittadino nato negli anni Sessanta all’interno del Dopolavoro Lanerossi.
A presentarli, curando con dovizia l’excursus storico, Gabriele Terragin. I primi concerti del complesso si sono tenuti negli anni del boom al Teatro Jacquard, ma i Draghi sono approdati poi fino al celebre programma televisivo “Sette Voci” con Pippo Baudo, partecipando in seguito pure alla maratona di Telethon. Il gruppo ha una storia tutta da raccontare e nel corso della serata lo si è fatto sia in musica che con le parole, tant’è che è stato presentato un opuscolo autoprodotto, “Un complesso inguaribile”, che raccoglie foto, racconti, memorie. Alla Calendoli, gremita al limite del consentito (e molte persone, purtroppo, non hanno potuto entrare per ragioni di sicurezza), i “fab eight” hanno iniziato a esibirsi puntualissimi, con il maxischermo dietro che faceva scorrere immagini d’epoca, anche con kimono e draghi in bella evidenza: abiti portati dal Giappone dal padre di uno del gruppo, subito indossati a mo’ di divisa e fonte d’ispirazione per il nome del

La Sala Calendoli ha ospitato una serata interamente dedicata ai Draghi, storico complesso cittadino nato negli anni Sessanta all’interno del Dopolavoro Lanerossi. Una serata a suo modo magica per i tanti boomer accorsi allo spettacolo.
complesso. I tanti boomer presenti a volte sorridevano, a volte si commuovevano ascoltando brani ispirati ai Beatles, icone per i Draghi, ricordando sfide con gli Angeli (il loro gruppo antagonista, al tempo) o memorabili feste anni Sessanta nell’allora Chalet di Valli del Pasubio.
I Draghi sono presenti nel docufilm “Passaggio a Schio” del compianto Pit Formento, che li ha voluti anche in un documentario su Buscaglione; su di loro,

Elio, quello delle Storie Tese, è tornato dopo due anni a Schio, complice il successo ottenuto con “Ci vuole orecchio”. La Fondazione l’ha voluto all’Astra con “Quando un musicista ride”, che sta girando l’Italia con buon successo. Anche in questo caso, Elio si è affidato alla regia e alla drammaturgia di Giorgio Gallione, indispensabile soprattutto nelle parti dedicate alla lettura o alla narrazione.
Per noi, l’artista raggiunge il suo apice nell’esecuzione dal vivo dei brani musicali, suoi o di altri; ciò che viene inserito per legare il tutto, cioè il parlato, è di secondaria importanza e ha cali di tono, pur risultando unica la capacità di rendere demenziale un testo, però fino a un certo punto, perché Elio lo cala anche nell’attualità, arrivando a far sì che il pubblico si chieda se sia più demenziale il racconto fantastico o ciò che stiamo vivendo.
chiamandoli bonariamente “capelloni”, ha scritto più volte la stampa locale e sono citati nel libro “I dieci anni che cambiarono Schio”, scritto dal nostro direttore, Stefano Tomasoni.
Il gruppo fa dunque parte della storia musicale, e non solo, della città e ha deciso nel 2017 di riprendere i concerti, proponendo la sua musica e facendosi accompagnare da vocalist di tutto rispetto. I Draghi, insomma, sanno ancora sputare fuoco. ◆
Se in “Ci vuole orecchio” il grande protagonista è stato Jannacci, in “Quando un musicista ride” si trovano anche Cochi e Renato, Giorgio Gaber, Dario Fo… Troppo poco il tempo per affrontarli e renderli al meglio in tutta la loro genialità, in quanto la durata dello spettacolo è piuttosto limitata (un’ora e venti, bis compreso, con il “Vengo anch’io, no tu no” di Jannacci, perché si torna da dove si è cominciato).
Ci sono piaciute la scenografia, che richiamava Chagall; i costumi, coloratissimi, con un Elio svettante, unico in azzurro cielo; l’esecuzione dei vari pezzi, affidata a ottimi musicisti, protagonista compreso. Meno efficace, a nostro avviso perché resa superficialmente, la demenziale ironia che dovrebbe caratterizzare l’intero lavoro: c’è, ma andrebbe potenziata per gustarla appieno. ◆ [M.D.Z.]


“Ma come mai mi avete nascosto questo teatro? Non ero così brava da meritarmelo?”, ha esordito così Lella Costa, al Civico per la Fondazione con “Otello, di precise parole si vive”, testo scritto a quattro mani un quarto di secolo fa con Gabriele Vacis, e tuttora attualissimo. Per precisare,
Due serate e ottocento presenze al Civico per “Otello, di precise parole si vive”, lavoro a quattro mani di Costa e Vacis.
la grande attrice è ben conosciuta dal pubblico scledense, che però l’ha sempre accolta all’Astra; a novembre si è “concessa” una doppia serata nel nostro teatro storico, facendo registrare ben ottocento presenze e partecipando pure al Campus Té in Sala Calendoli.
Si diceva dell’attualità del testo shakespeariano, e della trasposizione operata da Vacis e dalla Costa, ai quali è bastata qualche battuta riferita all’oggi (vedi immigrazione, femminicidi, fake news, tangenti…) per far sì che questo lavoro non dimostri affatto la sua età. Lella Costa, di bianco vestita e sola in scena, è stata tutti i personaggi: Otello, Desdemona, Rodrigo… ma a nostro avviso si è superata con l’ambiguo, maligno, subdolo Jago, sempre
delineato con voce viscida e melliflua, e con losche movenze. Punti di forza, oltre all’interpretazione impeccabile della protagonista, la regia cucita su di lei da Vacis, la scenofonia evocativa di Roberto Tarasco e le scene-luci di Lucio Diana: tre teli bianchi sono diventati via via vele, lenzuola, muri di calli nascoste; luci sapienti contribuivano a sottolineare o suggerire l’ambientazione.
Due sono stati i testi di Shakespeare visti in apertura di stagione, diversi fra loro nella trasposizione, ma entrambi di alta qualità. Ed entrambi hanno dimostrato ancora una volta come la parola “classico”, usata in ambito letterario-teatrale, determina capolavori immortali che insegnano a capire la vita. ◆ [M.D.Z.]
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Gentile redazione, vi contatto per condividere con voi la mia recente esperienza.
Dopo due mesi passati su una carrozzina, per mia fortuna solo temporaneamente, ho scoperto una Schio che fino a oggi non conoscevo: una città che invita alla partecipazione, alla cultura, allo sport… ma, in gran parte, solo se cammini sulle tue gambe. Se invece ti muovi su ruote, preparati a una sorta di gioco a ostacoli con marciapiedi dissestati, rampe da brivido e percorsi impossibili.
Per raggiungere il Faber Box, ad esempio, non esiste un semplice tratto asfaltato che colleghi il grande parcheggio retrostante con l’ingresso principale. Una banalità per chi cammina, un ostacolo insormontabile per chi usa una carrozzina. Oppure, per adempiere a un diritto primario e andare a votare in via Maraschin, poi, serve più l’agilità di uno stuntman che la buona volontà: marciapiedi troppo stretti, sconnessioni ovunque, discese così ripide da obbligarti ad alzarti dalla carrozzina e farla scendere “a mano”, sperando di non ribaltarti. Io ero fortunata-
mente accompagnata, e con una delle due gambe “funzionanti” per poter rimanere in equilibrio e alzarmi. Ma penso a chi è da solo, magari con una carrozzina elettrica: missione impossibile, se non si percorre direttamente la carreggiata, con notevoli rischi.
In centro, infatti, alcune vie (come un tratto di via Pasubio) diventano una roulette russa: auto, pedoni e bici si contendono centimetri, mentre chi sta in carrozzina è costretto a procedere direttamente sulla strada. E non parliamo dell’ospedale: la rampa per disabili è scoperta, inutilizzabile con pioggia e spesso ghiacciata d’inverno. Una contraddizione grottesca proprio nel luogo deputato alla cura! Scrivo perché ciò che per me è stato un disagio temporaneo, per altri è la quotidianità. E non dovrebbe esserlo. Una città che si dice inclusiva deve cominciare dalle basi: marciapiedi percorribili, rampe sicure, percorsi chiari. Non servono grandi opere, basta attenzione. Spero che la mia esperienza, seppur nel suo piccolo, possa smuovere alme-
no un po’ di consapevolezza. Molte volte, infatti, in questo periodo già di per sé non semplice, ho rinunciato a una passeggiata proprio per questi motivi. Nessuno dovrebbe sentirsi escluso dalla propria città.

Vedo giustamente foto di cose brutte sulla nostra Schio, le mando foto di un’opera di un anonimo artista, al sottopassaggio della ferrovia. Ci sono cose belle che meritano di essere viste, a mio parere. Buon Natale. L.C.

