La Provincia dei Comuni

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La Provincia dei Comuni

La Provincia dei Comuni Manuale per il cambiamento

Provincia di Grosseto – 2014 Tutti i diritti sono riservati agli autori

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Il problema è conciliare questi contributi con la ricerca strenua del consenso popolare di breve e brevissimo periodo.

Emilio Ubaldino Segretario generale e Direttore generale della Provincia di Grosseto

Cristina Bruni Programmazione e controllo direzione generale della Provincia di Grosseto Si ringrazia per la collaborazione Gaetano Chirico, Tiemme spa


La Provincia dei Comuni


PRESENTAZIONE

La Provincia dei Comuni di Leonardo Marras* La provincia esiste in natura: in tutte le democrazie gli Stati hanno un’organizzazione decentrata per l’esercizio di funzioni amministrative che si basa sulle autonomie municipali e su istituzioni territoriali. Il Legislatore, spinto dalla volontà di semplificare il numero dei decisori, ha di recente trasformato la Provincia in un ente di secondo livello, riducendo la potenziale competitività fra soggetti istituzionali di uno stesso territorio e affidando a sindaci e Comuni il compito di riorganizzarsi per svolgere funzioni di area vasta in una visione cooperativa. La riforma Delrio introduce quindi questa novità confermando la necessità di un ente di area vasta, sia esso la Provincia o la città metropolitana, governato dai Comuni: la Provincia dei Comuni, appunto. Non ci sono dubbi sulla esigenza primaria di un ente intermedio tra i Comuni e la Regione. Esistono funzioni amministrative – pianificazione dei servizi pubblici, infrastrutture, regole e distribuzione solidale di risorse – che hanno una propria intrinseca ragion d’essere e non possono essere ridotte alla sommatoria delle singole istanze locali. Con una dimensione unitaria e sovracomunale, ma che devono essere esercitate in un ambito sub regionale. Non è un caso che la pianificazione di coordinamento territoriale, come la viabilità e i trasporti, siano state individuate dalla riforma come funzioni proprie delle nuove Province. La Provincia dei Comuni, dunque, può essere una grande occasione se la politica inquadrerà il nuovo assetto con la dovuta attenzione, e con la rappresentanza locale esercitata in forma collegiale. I sindaci saranno i primi a dover compiere questo sforzo culturale, impegnandosi oltre il mandato di rappresentanza di chi li ha eletti, perché nel contesto globale solo la dimensione di area vasta può soddisfare appieno molte delle aspettative delle comunità locali. La Provincia dei Comuni può essere anche il supporto amministrativo per le piccole realtà sofferenti sul piano organizzativo, che faticano a corrispondere a obblighi burocratici o alla richiesta crescente di competenze specialistiche, cui non danno risposte adeguate nemmeno le recenti forme di associazione obbligatoria fra Enti locali. Per questo avvalersi della Provincia in molti settori può essere davvero uno strumento innovativo per i Comuni; com’è avvenuto con il SUAP, esempio virtuoso di cosa può significare concentrare le risorse e qualificare l’output del servizio nei confronti del cittadino o dell’impresa. Tuttavia, la Provincia dei Comuni non può essere soltanto un centro servizi. È evidente che deve farsi interprete anche di altre istanze. Essa, a mio avviso, costituisce naturalmente lo strumento di un nuovo patto istituzionale tra i Comuni di un territorio e la Regione, nella definizione delle linee di sviluppo e nella conseguente programmazione economica. Con il 2014 anche la nuova programmazione comunitaria vedrà la Regione Toscana pubblicare i relativi bandi, con profonde novità sulla formazione professionale, il sostegno alle imprese per la ricerca e l’innovazione, le politiche attive sul lavoro, le smart city e le aree urbane, oltre al piano di sviluppo rurale. Tutti strumenti decisivi per stimolare l’economia e uscire dalla crisi favorendo investimenti e innovazione.

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La Provincia dei Comuni I Comuni non hanno mai esercitato, su questo fronte, un ruolo attivo e non possiamo permetterci di starne fuori, pensando che qualcuno, da un’altra parte, svolga questo compito per noi. Non esiste che per lo sviluppo locale ci siano soluzioni imposte dall’alto, ugualmente efficaci per tutti i territori. Tanto più che i documenti comunitari insistono molto sulla capacità di generare progetti dal basso e filiere orizzontali. E che l’Italia è criticata per aver gestito i programmi operativi a livello regionale. La tendenza ad accentrare in Regione la programmazione può essere contrastata solo con una forte soggettività locale, che si riconduca alla dimensione collettiva di un ente come la Provincia. L’Unione Europea ha delineato infatti una strategia di rilancio dell’economia riconoscendo ad ambiti estesi, oltre il limite locale, la funzione di traino. Questi luoghi sono prioritariamente le città metropolitane, che la riforma Delrio con un’interpretazione estensiva ha dilatato in modo eccessivo. Senza dubbio le realtà veramente metropolitane sono un numero limitato, e da lì passano molte relazioni e opportunità economiche perché in quelle realtà i confini amministrativi dei singoli Comuni costituiscono un limite istituzionale al dispiegarsi di politiche efficaci per le aggregazioni di popolazione. Allo stesso modo e per motivi opposti, anche le aree rurali hanno il bisogno di definirsi in ambiti più larghi rispetto ai limiti amministrativi comunali. Partire dagli elementi costitutivi e identitari di un territorio, facendo leva sulle relazioni interne, significa cogliere i vantaggi in termini di sviluppo e superare le condizioni di marginalità. In questo volume non troveremo una lettura esclusivamente giuridica dei nuovi assetti, ma per un verso il tentativo di sostanziare la dimensione di area vasta per la Maremma Toscana, rinnovando la tradizione di oltre due secoli dell’autonomia funzionale della Provincia di Grosseto. Per un altro di rispondere in chiave moderna alla domanda di istituzioni locali credibili e sostenibili secondo i dettati europei e, quindi, trasparenti ed efficienti, adeguate e utili ai cittadini. Per questo, non sarebbe giusto forzare il ragionamento cercando giustificazioni al mantenimento dello status quo, mentre è utile suggerire nuovi orizzonti, anche oltre i confini conosciuti, senza volare troppo alto ma rimanendo con i piedi per terra e partendo da come i cittadini vivono il proprio territorio per lavoro, studio, cura e tempo libero. Il sogno di una Provincia più larga dunque non corrisponde ad una mira espansionistica ma all’esigenza di completare, per mare e per terra, ciò che è già nei fatti. La proposta di considerare dentro alla Maremma Toscana anche la Val di Cornia è questo, e corrisponde alla necessità di consolidare credibilità e sostenibilità di un’istituzione, quella di area vasta, che risponda alle domande della società locale. Per ora, solo un caso di studio. Domani, grazie alla volontà dei cittadini e dei Comuni, chissà? È già chiaro quanto sarà gravoso il compito dei sindaci dei Comuni della Provincia di Grosseto. A loro, insieme, tocca reggere le sorti di una grande comunità come la nostra. Sarà un lavoro difficile e duro che, ne sono convinto, sapranno affrontare con giudizio ed equilibrio. Ma anche con grande entusiasmo. Leonardo Marras *Presidente della Provincia di Grosseto

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PRESENTAZIONE

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La Provincia dei Comuni

Indice Presentazione del lavoro ........................................................................................................................................................................................... 5

Capitolo 1 La normativa in materia di Province e le ipotesi di riordino............................................................................11 Gli interventi normativi dal 2009 ad oggi.........................................................................................................................11 Le contrapposte ipotesi di riforma delle Province............................................................................................................18 Il riordino amministrativo: la legge Delrio........................................................................................................................18 L’ipotesi abrogativa.............................................................................................................................................................24

Capitolo 2 credibilita’ e sostenibilita’ della riforma delle province rispetto ai parametri di sviluppo istituzionale europeo.................................................................................31 I parametri di “credibilità” della Riforma...........................................................................................................................33 1) La riduzione della spesa locale........................................................................................................................................ 33 2) La lotta al fenomeno della corruzione con più adeguati sistemi di controllo centralizzato in determinate materie dell’attività amministrativa locale......................................................................... 33 3) modelli organizzativi di governo e pubblica amministrazione locale “conformi” al progresso ordinamentale e civile europeo...................................................................................................................... 34 I parametri di sostenibilità della Riforma..........................................................................................................................36 1) una organizzazione smart, ossia snella ed informatizzata............................................................................................ 37 2) Funzioni e competenze distribuite tra enti locali in modo esclusivo e non ridondante................................................. 41 3) Un dimensionamento in “area vasta” del perimetro di ricaduta di funzioni e servizi delle Province anche in chiave di sviluppo economico del territorio.................................................................... 44

CAPITOLO 3 IL NUOVO MODELLO DI PROVINCIA IN AREA VASTA. CREDIBILE E SOSTENIBILE...........................................................47 Il modello di area vasta.......................................................................................................................................................48


INDICE

Conclusioni...........................................................................................................................................................................52 L’esperienza di area metropolitana in Europa..................................................................................................................58

Capitolo 4 I drivers del cambiamento e change management in periodo di crisi...........................................................61

Capitolo 5 Il caso della Toscana del Sud......................................................................................................................................................................69 Una proposta di studio territoriale....................................................................................................................................70 Individuazione del territorio su cui improntare lo studio................................................................................................... 70 Morfologia territoriale......................................................................................................................................................... 71 La residenzialità................................................................................................................................................................... 72 L’economia insediata........................................................................................................................................................... 74 Il settore primario...................................................................................................................................................................76 Settore secondario..................................................................................................................................................................81 Settore terziario......................................................................................................................................................................86 Export................................................................................................................................................................................... 91 Dotazione infrastrutturale................................................................................................................................................... 93 Rete stradale ed autostradale..................................................................................................................................................93 Porti.......................................................................................................................................................................................93 Aeroporti................................................................................................................................................................................94 Rete ferroviaria.......................................................................................................................................................................94 ICT..........................................................................................................................................................................................95 I Centri Servizio per il Trasferimento Tecnologico a sostegno delle filiere....................................................................................96 Il pendolarismo..................................................................................................................................................................... 98 Conclusioni.........................................................................................................................................................................101 Dallo studio del territorio all’individuazioni dei confini dell’area metropolitana.......................................................102 L’area metropolitana Grosseto - Siena..............................................................................................................................102 L’ area metropolitana Grosseto – Val di Cornia.................................................................................................................104 L’ area metropolitana Grosseto – Siena - Val di Cornia.....................................................................................................107 Conclusioni.........................................................................................................................................................................108


La Provincia dei Comuni


Capitolo 1

Capitolo 1

La normativa in materia di Province e le ipotesi di riordino Gli interventi normativi dal 2009 ad oggi Dal 2009 ad oggi, numerosi sono stati gli interventi normativi che hanno riguardato le Province. Nel solo anno 2009 sono state in discussione alla Camera dei Deputati ben sei proposte di legge che miravano all’abrogazione. La principale di esse (A.C1. 1694) prevedeva la modifica degli articoli 114, 117, 118, 119, 120, 132 e 133 della Costituzione eliminando ogni riferimento alla Provincia e dell’VIII disposizione transitoria della Costituzione2, al fine di consentire il trasferimento del personale delle disciolte Province alle amministrazioni regionali o a quelle comunali con legge ordinaria. Le altre cinque proposte di legge abbinate all’A.C. 1649 dispongono rispettivamente: –

che il passaggio alle Regioni o ai Comuni delle funzioni già svolte dalle Province, nonché dei beni di tali enti e del personale dipendente dai medesimi, sia disciplinato con legge dello Stato entro un anno dall’entrata in vigore della riforma costituzionale (A.C. 1990)

che modifiche di tenore analogo a quelle apportate per le Province riguardino anche le tre Regioni a statuto speciale: Regione siciliana, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia (A.C. 2010 e 2264)

che le funzioni già esercitate dalle Province siano trasferite alle Regioni, che potranno delegarle ai Comuni con propria legge, e che i comuni possano esercitare tali funzioni anche congiuntamente, in base ad appositi accordi e che secondo criteri analoghi si disporrà il trasferimento del personale, delle risorse strumentali e finanziarie e dei beni delle Province (A.C. 1836 - articolo 9 e A.C. 1989 - articolo 9)

1 - A.C.: Atto della Camera 2 - VIII disposizione transitoria della Costituzione Italiana: Le elezioni dei Consigli regionali e degli organi elettivi delle amministrazioni Provinciali sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione. Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni. Fino a quando non sia provveduto al riordinamento e alla distribuzione delle funzioni amministrative fra gli enti locali restano alle Provincie ed ai Comuni le funzioni che esercitano attualmente e le altre di cui le Regioni deleghino loro l’esercizio. Leggi della Repubblica regolano il passaggio alle Regioni di funzionari e dipendenti dello Stato, anche delle amministrazioni centrali, che sia reso necessario dal nuovo ordinamento. Per la formazione dei loro uffici le Regioni devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali.

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La Provincia dei Comuni –

che gli organi delle Province cessino dalle loro funzioni entro un anno dall’entrata in vigore della riforma costituzionale, e che entro tale termine, Stato e Regioni conferiscano le relative funzioni alle città metropolitane (se costituite) o ai Comuni sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza; il trasferimento dei beni, del personale e delle risorse, nonché la disciplina anche transitoria dei tributi e delle altre entrate già spettanti alle Province dovranno risultare congrui rispetto alle funzioni amministrative conferite (A.C. 2010 - articolo 10, commi 1-3 e A.C. 2264 - articolo 3)

che in caso di inerzia nelle procedure di trasferimento o nel caso in cui gli enti destinatari non siano ancora in grado di provvedere all’esercizio delle funzioni trasferite sono previste forme di esercizio sostitutivo e che le risorse finanziarie rese disponibili dalla soppressione delle Province verranno utilizzate per iniziative di promozione dell’occupazione giovanile (A.C. 2264)

Nella seduta del 13 ottobre 2009, l’Assemblea ha approvato una questione sospensiva rinviando la discussione del provvedimento fino alla presentazione e all’esame del disegno di legge del Governo sulla Carta delle autonomie locali. Da quella data si deve attendere il 18 gennaio 2011 prima che l’Assemblea deliberi di nuovo un rinvio in Commissione della proposta di legge costituzionale ed ha infine respinto il provvedimento in data 05 luglio 2011. Pochi giorni dopo che la Camera aveva respinto la proposta di legge di soppressione delle Province, la I Commissione Affari costituzionali ha iniziato l’esame di alcune proposte di legge costituzionale di iniziativa popolare 3, la maggior parte delle quali finalizzate al trasferimento dallo Stato alle Regioni della competenza in materia di istituzione di nuove Province e di mutamento dei confini delle Province esistenti. Il 07 settembre 2011 viene approvato al Senato e trasmesso alla Camera il disegno di legge 2887 Conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione” . Il D.L. 138/2011 prevedeva la soppressione delle Province con popolazione inferiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva fosse inferiore a 3.000 chilometri quadrati. Tale disposizione è stata tuttavia soppressa nella fase di conversione in legge (L.148/2011). Il 10 gennaio 2012 la I Commissione della Camera ha deliberato l’istituzione di un comitato ristretto per l’esame delle proposte di legge che però non è giunto ad elaborare un testo unificato, né a proporre un testo base, per il proseguimento dell’esame.

3 - A.C. 1242, A.C. 4439, A.C. 4493, A.C. 4499, A.C. 4506, A.C. 4887, nonché A.C. 4682 Fra questi l’A.C. 4506 prevede la soppressione della Provincia quale ente costitutivo dello Stato, dotato di una propria autonomia e stabilisce che le Province possono essere istituite con legge regionale in territori con una popolazione superiore a 500.000 abitanti nei quali non è istituita la città metropolitana, sulla base di criteri fissati dalla legge dello Stato. Nelle regioni in cui non sono istituite Province, si dispone che le relative funzioni siano esercitate dalla regione. Anche l’ A.C. 4682, di iniziativa popolare, e l’ A.C. 4887 ripropongono la soppressione delle Province come enti costitutivi dello Stato. In particolare l’ A.C. 4682 prevede che, entro un anno dalla sua entrata in vigore, termine entro il quale lo Stato e le regioni ad autonomia ordinaria e ad autonomia speciale, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire alle città metropolitane, ove costituite, ai comuni, alle altre articolazioni amministrative e organizzative dello Stato, agli enti pubblici e alle amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, le funzioni amministrative esercitate dalle Province. L’ A.C. 4887, oltre a sopprimere anche le città metropolitane quali enti costitutivi dello Stato, prevede la facoltà per le regioni, con propria legge, sulla base dei criteri stabiliti dalla legge dello Stato, di istituire enti di «area vasta», vale a dire le Province o le città metropolitane, stabilendo una soglia minima di 500.000 abitanti per le prime e di un milione di abitanti per le seconde.

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Capitolo 1 Quasi contemporaneamente veniva approvato il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. decreto Salva Italia) recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici che prevede, tra le diverse misure volte al contenimento delle spesa pubblica, una profonda riforma del sistema delle Province (art. 23, co. 14-21) che vengono relegate ad enti di “mero” coordinamento di secondo grado, non più elettivi e pura emanazione dei Comuni del proprio territorio, con un numero limitato di consiglieri. L’ulteriore elemento di novità introdotto dal D.L. 201/2011 (poi convertito dalla Legge n. 214/2011) era infatti che le Province diventassero organi ad elezione indiretta, con il consiglio eletto dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti sul territorio ed il Presidente dal Consiglio Provinciale stesso fra i suoi componenti. Si prevedeva inoltre che le modalità di elezione del Consiglio Provinciale, che doveva essere composto da non più di dieci membri e dal Presidente della Provincia fossero stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2013. Il relativo disegno di legge del Governo è stato presentato alla Camera il 12 maggio 20124 ma l’esame in sede referente si è limitato alla fase della discussione generale. In attesa della definizione del nuovo sistema elettorale, gli organi Provinciali in scadenza non sono stati rinnovati e al loro posto è stato nominato un commissario di Governo. In opposizione alcune Province hanno presentato ricorso al TAR contro la mancata convocazione dei comizi elettorali, mentre diverse Regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Campania, Molise, Valle d’Aosta e Sardegna) hanno promosso ricorso alla Corte Costituzionale lamentando il contrasto delle disposizioni del Decreto Salva Italia (e più precisamente degli artt. 14-21) con i principi costituzionali sui rapporti tra Stato e autonomie territoriali, e l’incongruenza con i principi generali della disciplina degli enti locali. In attesa della pronuncia da parte della Corte Costituzionale, l’azione dell’esecutivo contro l’istituzione Provincia non ha subito arresti e a luglio 2012 il governo di turno ripropone la riduzione e riorganizzazione delle Province nell’ambito delle disposizioni per la revisione della spesa pubblica di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”. Il D.L. 95/2012 conferma il nuovo sistema elettorale per le Province introdotto dal D.L. 201/2011 con la soppressione della Giunta Provinciale, ridefinisce le funzioni ad esse attribuite prevedendo il conferimento di alcune funzioni aggiuntive rispetto a quelle di solo coordinamento stabilite dal DL 201/2011, fissa al 2014 il periodo per l’istituzione delle città metropolitane e prevede la riduzione del numero di Province esistenti sulla base di criteri di estensione territoriale e popolazione da individuare da parte del Consiglio dei Ministri. I confini delle nuove Province sono individuate con il D.L. 5 novembre 2012, n. 188, con la procedura indicata dal D.L. 95/2012 e sulla base dei requisiti minimi definiti dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 (350 mila abitanti e 2.500 Kmq).

4 - A.C. 5210

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La Provincia dei Comuni La mancata conversione del decreto legge5 ne ha determinato la decadenza. La legge di stabilità per il 2013 (L. 228/2012, art. 1, comma 115) ha infine congelato la riforma per un anno, prorogando i termini per il riordino delle Province (previsti dal D.L. 95/2012 e dal D.L. 201/2011) fino al 31 dicembre 2013. Il disegno delineato dai tre decreti-legge, D.L. 201/2011, D.L. 95/2012 e D.L. 188/2012 è stato inciso dalla sentenza della Corte costituzionale, attesa per il 06 novembre 2012 e pronunciata il 3 luglio 2013, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle pertinenti disposizioni contenute nei decreti-legge n. 201 e n. 95. La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità di nove commi dell’art. 23, (4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 20-bis) del decreto-legge n. 201/2011 e degli artt. 17 e 18 del decreto-legge n. 95/2012, in quanto lo strumento del decreto-legge è individuato dall’art. 77 della Costituzione come “atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza”, e non è quindi “utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate”. A soli due giorni dalla sentenza della Corte Costituzionale, in data 05 luglio 2013, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, del Vicepresidente e Ministro dell’interno, del Ministro per le riforme costituzionali, e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, ha esaminato il DL 93/2013 inserendo, fra le disposizioni in materia di sicurezza, di contrasto alla violenza di genere e di protezione civile anche il commissariamento delle Province. L’art. 12 del decreto-legge n. 93/2013 prevedeva che fossero fatti salvi i provvedimenti di scioglimento degli organi e di nomina dei commissari straordinari delle amministrazioni Provinciali, adottati, in applicazione dell’articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.214, ai sensi dell’articolo 141 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, e che le gestioni commissariali sarebbero cessate il 30 giugno 2014. Ma l’art. 12 è stato soppresso dalla legge di conversione n. 119 del 15 ottobre 2013, anche se, l’art. 2 della medesima legge ha fatto salvi i provvedimenti di scioglimento degli organi e di nomina dei commissari straordinari delle amministrazioni Provinciali nonche’ gli atti e i provvedimenti adottati, alla data di entrata in vigore della presente legge, dai medesimi commissari straordinari. Prima ancora della conversione in legge del decreto-legge n. 93/2013, il Governo ha dato corso all’iter per l’approvazione di un disegno di legge di riordino degli enti locali (AC1542) che si poneva di nuovo l’obiettivo dello svuotamento delle Province e della loro trasformazione in enti di secondo grado in attesa di una loro abolizione dalla Costituzione; e di un disegno di legge costituzionale per l’abolizione delle Province dalla Costituzione (AC 1543). In attesa del compimento dei due disegni di legge, con la legge di stabilità 2014 è stato comunque riproposto il commissariamento per tutte le Province in scadenza fino al 30/06/2014, questo nonostante il TAR Sardegna abbia rimesso alla Corte Costituzionale la valutazione sulla costituzionalità del commissariamento della Provincia di Cagliari e quindi, incidentalmente, di tutti gli altri commissariamenti delle Province.

5 - Disegno di legge di conversione del D.L. 188/2012 presentato al Senato come provvedimento A.S. 3550

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Capitolo 1 Il disegno di legge ordinaria AC 1542 è stato approvato alla Camera il 21 dicembre 2013 ed è stato approvato dal Senato come legge 56/2014 Disposizioni sulle città metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni in data 07/04/2014. La conversione in legge del disegno di legge ordinaria non interrompe l’iter del disegno di legge costituzionale sulle Province, così da alimentare il clima di incertezza sull’ordinamento degli enti locali creatosi negli ultimi anni. Come osservato da UPI in occasione dell’audizione alla Commissione per la Semplificazione della Camera, quello che era allora l’AS1212, la L. 56/2014 “ai quattro livelli di governo previsti dall’articolo 114 della Costituzione sostituisce una stratificazione di enti che invece di semplificare l’ordinamento locale lo complica ulteriormente, come si deduce dalla seguente tabella

Articolo 114 della Costituzione

DDL AS 1212

1. Comuni; 2. Province o Città metropolitane; 3. Regioni; 4. Stato

1. Comuni; 2. Unioni di comuni (obbligatoria per comuni sotto i 5000 abitanti); 3. Unioni di comuni montani (obbligatoria per comuni sotto i 3000 abitanti); 4. Comunità montane (previste ancora nella maggior parte delle Regioni); 5. Città metropolitane; 6. Province; 7. Regioni; 8. Stato.

A questa stratificazione di enti locali si aggiungono le amministrazioni funzionali, l’amministrazione periferica dello Stato che non è semplificata, la moltitudine di enti e agenzie che derivano dalla legislazione6. Con l’approvazione della legge 56/2014, le Province vengono trasformate in enti di secondo livello, governati da organi eletti non dai cittadini, ma dai sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni del territorio. Il base al nuovo ordinamento, gli organi delle Province sono il Presidente (scelto tra i sindaci del territorio), il Consiglio Provinciale (composto da sindaci e consiglieri comunali) e l’Assemblea dei sindaci. In numero dei consiglieri varia in base al numero degli abitanti: 16 per le Province con popolazione superiore a 700.000 abitanti; 6 - Documento UPI:Indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa ed amministrativa – 20/01/2014 consegnato in audizione alla Commissione per la Semplificazione della Camera il 20/01/2014

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La Provincia dei Comuni 12 per le Province con popolazione da 300.000 a 700.000 abitanti; 10 per le Province con popolazione fino a 300.000 abitanti. Il sistema adottato per l’elezione degli organi di governo delle Province prevede un’elezione di secondo grado attraverso il voto da parte degli amministratori comunali in un unico collegio Provinciale. Il voto è ponderato con riferimento alla popolazione dei Comuni del territorio in modo che i Comuni maggiori abbiano una peso maggiore nella decisione. Per il passaggio dalle attuali Province alle nuove Province è prevista, dalla data di scadenza naturale degli organi di governo, la permanenza in carica senza soluzione di continuità ma a titolo gratuito dei Presidenti (che assumono altresì le funzioni dei consigli) e delle giunte uscenti, ovvero dei commissari (in caso di commissariamenti già avviati), “fino all’insediamento del presidente della Provincia eletto” secondo le nuove disposizioni (cfr legge 56/2014 art. 1 comma 82 così come modificato dall’art.23 comma 1 lettera f del D.L. 90/2014). In sede di prima applicazione, inoltre, per le Province in scadenza nel 2014, è prevista anche l’eleggibilità dei consiglieri Provinciali uscenti sia per la carica di consigliere Provinciale, sia per quella di Presidente di Provincia. Le elezioni del nuovo Consiglio Provinciale e del nuovo Presidente devono essere indette e svolte entro il 30 settembre 2014 (L.56/2014 art. 1 comma 79 così come modificato dal D.L. 90/2014, art. 23 comma 1 lettera d). Il nuovo Consiglio Provinciale dovrà inoltre predisporre le modifiche statutarie che dovranno essere approvate dall’assemblea dei sindaci entro il 31 dicembre 2014. Con la legge 56/2014 le Province consolidano la titolarità di alcune competenze che diventano funzioni fondamentali proprie (art. 1 comma 85): a) pianificazione territoriale Provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito Provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade Provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; c) programmazione Provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; e) gestione dell’edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio Provinciale. Inoltre le Province, d’intesa con i Comuni, potranno altresì “esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive” (art.1 comma 86).

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Capitolo 1 Le Province potranno inoltre assumere un ruolo centrale per la gestione unitaria di importanti servizi di rilevanza economica che sono attualmente esercitati da enti o agenzie operanti in ambito Provinciale o sub-Provinciale, che la legislazione statale e regionale dovrebbe ricondurre esplicitamente in capo ad esse. Tale previsione potrebbe determinare la semplificazione del groviglio di enti o agenzie strumentali e un sensibile potenziamento delle funzioni Provinciali. Altre norme specifiche riguardano invece le Province montane che hanno funzioni fondamentali ulteriori riguardanti lo sviluppo strategico del territorio e la gestione in forma associata di servizi tipici dei territori montani e alle quale le Regioni devono riconoscere forme particolari di autonomia. L’emanazione della legge 56/2014 ha, in prima battuta, suscitato alcuni interrogativi alcuni dei quali ancora non risolti riguardanti (per citare solo i principali) la durata in carica degli organi, i loro poteri e le modalità di elezione dei nuovi organi Provinciali. Sin dai giorni precedenti l’approvazione del provvedimento, era emersa infatti l’ipotesi secondo la quale gli amministratori delle Province decadessero sin dal giorno dell’entrata in vigore della legge di riforma. Sia l’UPI che la Camera, negli ordini del giorno approvati, hanno chiarito, supportando la tesi con evidenze, che la voluntas legis non era non è quella di interrompere il mandato elettivo dei Consiglieri prima della scadenza naturale. Il Governo è stato comunque richiamato a fornire chiarimenti a conferma della scadenza naturale degli amministratori locali ed il Ministero dell’Interno, con nota 12 aprile 2014, indirizzata ai Prefetti, ha chiarito che “fino alla scadenza del quinquennio gli organi in carica permangono nella piena titolarità delle proprie funzioni. Relativamente alle modalità di svolgimento delle elezioni degli organi, nonostante i commi da 58 a 83 della legge disciplinino le modalità di elezione del Presidente della Provincia e del Consiglio, la Camera ha impegnato il Governo ad adottare opportuni provvedimenti di chiarimento. UPI ha precisato inoltre la necessità di una disciplina coerente a livello nazionale sulla materia, difficilmente gestibile a livello locale, istanza parzialmente accolta dall’emanazione della circolare n.32/2014 del Ministero dell’Interno recante linee guida per lo svolgimento del procedimento elettorale. Altre criticità interpretative hanno riguardato il tema della gestione provvisoria prevista dall’art. 1 comma 82 per gli organi (Presidenti ed Assessori) che restano in carica (a titolo gratuito) oltre la scadenza naturale del mandato e fino all’insediamento del nuovo Presidente. A tale proposito UPI, a seguito di un incontro con il Sottosegretario agli affari regionali On. Gianclaudio Bressa, ha chiarito che quanto previsto dall’art. 163 comma 2, del TUEL, si applica solo agli enti che non approvino il bilancio nei termini previsti dalla legge (31 luglio 2014) e che, con il bilancio approvato prima della scadenza naturale dei Consigli, il Presidente che rimane in carica non può far altro che gestirlo, tenendo conto del parametro degli atti urgenti ed indifferibili solo in sede di eventuale variazione. Un’interpretazione diversa della norma metterebbe infatti a rischio la continuità dei servizi provinciali. Altro aspetto chiarito da UPI è stato che il comma 5 art. 38 del TUEL, che prevede che “i consigli durano in carica sino all’elezione dei nuovi, limitandosi, dopo la pubblicazione del decreto di indizione dei comizi elettorali, ad adottare gli atti urgenti e improrogabili” non trova applicazione nel periodo precedente la scadenza dei Consigli Provinciali in quanto non sono stati convocati i comizi elettorali per l’elezione dei nuovi organi di governo delle Province. I Consigli Provinciali assicurano quindi la gestione dell’ente a pieno titolo fino alla scadenza naturale del mandato.

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La Provincia dei Comuni

Le contrapposte ipotesi di riforma delle Province Il quadro di sintesi normativo sopra riportato esprime in modo esemplare la confusione istituzionale ed ordinamentale con cui, dall’ultimo governo Berlusconi ed attraverso i governi Monti e Letta, è stata affrontato il generale tema della Riforma del sistema delle Autonomie locali. Le Province sono diventate quel pezzo di amministrazione sacrificabile per ridare credibilità ai Governi italiani davanti alla richiesta di riduzione della spesa pubblica avanzata dall’Europa. Il ricorso alla decretazione d’urgenza, utilizzata dichiaratamente dal governo Monti per svuotare le Province, e la successiva pronuncia della Corte costituzionale sono emblematiche di un percorso di revisione palesemente incostituzionale e della indeterminatezza degli obiettivi da perseguire. In questa cornice, dopo l’approvazione della Legge 56/2014, sulla questione Province possono essere individuate due opposte correnti riformiste: Una posizione di riordino (legge Delrio) che, pur individuando nell’eliminazione delle Province l’unica via per conseguire la riduzione della spesa pubblica, riconosce comunque la necessità di un ente di secondo livello, non di governo, ma amministrativo; Una posizione abrogativa, sostenuta dalle istanze populiste e che vede la riforma operata dalla L.56/2014 solo come un passaggio per la definitiva abrogazione costituzionale. Essa ha come unico argomento il taglio alla spesa pubblica, conseguibile tramite la cancellazione delle Province, ma nulla di attendibile dice in merito a come le attuali funzioni e servizi delle Province possono essere trasferite e svolte da altro ente e con minor spesa. Le due citate correnti oggi assorbono l’intero dibattito nazionale, ma sono oggetto di serie e circostanziate critiche tali da far auspicare una terza e valida alternativa che superi alcuni importanti limiti che entrambe presentano.

Il riordino amministrativo: la legge Delrio Espressione dell’ipotesi del riordino amministrativo è la legge 56/2014. Che la Delrio non serva solo a traghettare le Province verso la loro abrogazione è sostenuto, tra gli altri, anche dal consigliere giuridico del Ministro Delrio, il professore Francesco Pizzetti che, all’interno delle dichiarazioni rilasciate in merito alla questione delle Province, afferma: “il provvedimento non svuota le Province, ne modifica il ruolo e le funzioni” e sostiene la tesi che “i risparmi deriveranno dal miglior funzionamento degli enti territoriali, che usufruiscono nel livello di area vasta di un coordinamento che razionalizzi le spese e le risorse”. Il nuovo ente dovrà quindi “organizzare le risorse rendendole più produttive” 7. In effetti, 7 - Lo Spiffero – mercoledì 30 ottobre 2013 - articolo “Siamo tutti Provinciali” di Antonio Saitta

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Capitolo 1 sostenere che la legge Delrio possa essere solamente un momento di passaggio verso l’abrogazione delle Province ha poco senso, soprattutto se si considera che il costo stimato per portare a compimento la riforma appena avviata è di circa 2 miliardi (cfr. l’articolo Siamo tutti Provinciali di A. Saitta). Prima ancora dell’approvazione del provvedimento, lo stesso Pizzetti nella Scheda di lettura e riflessioni su Città metropolitane, Province, Unioni di Comuni: le linee principali del ddl Delrio - (30 gennaio 2014) inserisce, fra gli aspetti essenziali della riforma Delrio il fatto che lo stesso ridefinisca totalmente il ruolo delle Province, “individuandole come enti di area vasta con limitate funzioni fondamentali proprie legate a funzioni di programmazione e pianificazione in materia di ambiente, trasporto, rete scolastica e elaborazione dati e assistenza tecnico amministrativa per gli enti locali. Funzioni tutte strettamente collegate alle esigenze proprie delle aree vaste o a attività di supporto per i Comuni. Dunque enti sostanzialmente con un ruolo servente verso le comunità locali e i loro cittadini, da un lato, verso i Comuni e gli altri enti locali, dall’altro”. Secondo quanto previsto dalla L.56/2014, infatti, non solo alle Province vengono attribuite funzioni proprie, ma ad esse viene conferito anche il ruolo di supporto tecnico amministrativo ai Comuni. In particolare, in accordo con i Comuni, le funzioni che potranno essere svolte dalle Province sono quelle inerenti la predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive (art. 1 comma 88 L.56/2014). Il comma 89 della stessa legge dispone inoltre che lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscono le funzioni Provinciali diverse da quelle di cui al comma 85, in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione (omissis). Resta quindi la facoltà allo Stato ed alle Regioni di attribuire alle Province ulteriori funzioni fra quelle ad esse delegabili; allo Stato ed alle Regioni viene inoltre data la possibilità di attribuire alle Province funzioni attualmente esercitate da enti o agenzie. Il comma 90 prevede infatti la possibilità per le Province di gestire in modo unitario importanti servizi di rilevanza economica attualmente esercitati da enti o agenzie operanti in ambito Provinciale o sub-Provinciale, che la legislazione statale e regionale dovrebbe ricondurre esplicitamente in capo ad esse. L’attribuzione delle funzioni alle Province e la soppressione di tali enti o agenzie deve avvenire con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero le leggi statali o regionali, secondo le rispettive competenze, con tempi, modalità e forme di coordinamento con Regioni e Comuni da determinare nell’ambito del processo di riordino e secondo i principi di adeguatezza e sussidiarietà, anche valorizzando, ove possibile, le autonomie funzionali. Vengono inoltre individuate misure premiali per le Regioni che approvano leggi che riorganizzano le funzioni prevedendo la soppressione di uno o più enti o agenzie. In questo la L.56/2014 sembra accogliere la posizione di UPI circa la cancellazione di enti, organismi e strutture che si sovrappongono alle istituzioni della Repubblica. Come ha avuto modo di dichiarare (per UPI) l’Assessore della Provincia di Firenze Tiziano Lepri durante l’audizione alla Commissione per la Semplificazione della Camera dei Deputati (20 gennaio 2014): “la semplificazione legislativa e amministrativa

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La Provincia dei Comuni deve essere accompagnata da una semplificazione istituzionale. Ma né questo, né i passati Governi hanno mai preso seriamente in considerazione la necessità di emanare norme stringenti per cancellare tutti quegli enti, organismi e strutture, partoriti da un’ormai stratificata legislazione statale e regionale, che si sovrappongono alle istituzioni previste dalla Costituzione come elementi costitutivi della Repubblica: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato”. La riforma proposta dal Ministro Delrio investe tutti enti di secondo livello: Province, Unioni di Comuni e Città metropolitane. In tale azione il prof. Pizzetti individua uno dei punti di forza della riforma in quanto fa sì che essa si configuri come “riforma di sistema”8. Queste le motivazioni individuate da Pizzetti a sostegno di tale tesi: a) “Tutti e tre i tipi di enti territoriali istituiti, ridisciplinati, o rafforzati da questa riforma sono enti di secondo grado, con organi composti unicamente di sindaci o, e solo in alcuni casi, da consiglieri comunali ; b) Tutti e tre i tipi di enti hanno organi che li configurano sostanzialmente come forme atipiche e obbligatorie di associazioni di Comuni; c) Tutti e tre i tipi di enti, proprio in virtù di queste caratteristiche, si configurano come enti territoriali che esprimono non la rappresentanza dei cittadini del territorio ma delle loro comunità rappresentate dai loro amministratori ; d) Le stesse caratteristiche si riscontrano peraltro anche nella fase iniziale delle Fusioni di Comuni, col che il cerchio si chiude perfettamente in una grande riforma sistemica”. Prosegue inoltre Pizzetti con l’osservazione che: “in questo quadro gli enti di secondo livello, e soprattutto le città metropolitane e le Province, non si limitano ad assumere il ruolo di enti titolari di funzioni amministrative, proprie o delegate, o assegnate dai Comuni, dalle Regioni e dallo Stato. Essi diventano, almeno potenzialmente, anche veri e propri snodi di raccordo tra il sistema degli organi degli enti territoriali comunali (e quindi delle comunità da questi rappresentati) e gli altri livelli di governo e di rappresentanza della Repubblica. Tradotto in altri termini, città metropolitane e Province assumono una nuova e originale funzione di livello costituzionale, quali enti potenzialmente intermediari della legittimazione democratica derivante dalla rappresentatività dei sindaci e dei consiglieri comunali verso altri livelli e altri organi di rappresentanza e di governo territoriali”. A seguito dell’approvazione della L.56/2014, tuttavia, UPI ha evidenziato alcune criticità sull’abrogazione del livello di governo provinciale: Innanzitutto osserva che gli amministratori comunali solo in parte rispecchiano l’equilibrio delle forze politiche del territorio Provinciale, così che l’elezione di secondo livello potrebbe portare ad una rappresentanza sproporzionata di alcune forze politiche Anche dal punto di vista della rappresentanza territoriale, il collegio unico previsto dal nuovo sistema elettorale non consente di rappresentare tutto il territorio come invece avviene con il sistema dei collegi uninominali, senza contare che non garantisce uguale rappresentatività per tutto il territorio, conferendo maggior potere decisionale al Sindaco del Comune capoluogo a scapito delle zone meno urbanizzate. L’elezione di secondo livello degli organi Provinciali, come avremo occasione di verificare in seguito, è inoltre in contrasto sia 8 - Scheda di lettura e riflessioni su Città metropolitane, Province, Unioni di comuni: le linee principali del ddl Delrio – Prof. Franco Pizzetti, 30 gennaio 2014

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Capitolo 1 con le norme costituzionali vigenti che con le previsioni della Carta europea delle autonomie locali (che prevede il mantenimento del livello di governo laddove vi sia svolgimento di funzioni proprie). La scelta operata per le Province risponde quindi alla mera esigenza di eliminare le indennità per gli organi di governo attraverso la previsione che essi siano composti solo da amministratori comunali. Le dichiarazioni del Ministro Delrio all’indomani dell’approvazione alla Camera del disegno di legge di riordino (divenuto poi L.56/2014), parlano di presunti risparmi fino a 1 miliardo di euro derivanti dall’abolizione9 delle Province. “I risparmi certi sono di 160 milioni dovuti al fatto che 5 mila politici non verranno più pagati, ma si stimano altri risparmi importanti perché le Province non si occuperanno più di alcune funzioni. Noi presumiamo risparmi attorno al miliardo di euro”, ha precisato il Ministro al quotidiano La Stampa “ma c’è chi, come l’Istituto Bruno Leoni, ritiene anche di più”. Nel documento Eliminare le Province, alcuni consigli per procedere spediti, l’autore Andrea Giuricin, fellower dell’istituto Bruno Leoni, conclude affermando che “dall’abolizione delle Province potrebbero derivare risparmi nell’ordine di 1,3-1,9 miliardi di euro, aggiuntivi rispetto a quelli ottenibili da interventi di natura diversa presso altre amministrazioni”. La riduzione di costi nell’ordine degli 1,9 miliardi di euro stimata dall’Istituto Bruno Leoni e sostenuta dal Ministro Delrio, deriverebbe in sostanza dalla riduzione delle spese per amministrazione e controllo, da economie di scala e dalla soppressione (o esternalizzazione) di alcune funzioni. Escludendo l’esternalizzazione delle funzioni, il risparmio ottenibile con la soppressione delle Province cala dai circa 2 miliardi di euro a circa 1,3 miliardi di euro (vedi tabella successiva).

Funzione Costi di amministrazione e controllo Costi della politica Economie di scala Esternalizzazioni funzioni Totale

Risparmi stimati (mil. di euro) 61 100 1038 695 1.894

Dati tratti da Eliminare le Province, alcuni consigli per procedere spediti, di Andrea Giuricin, documento n.129 - 02/12/2013 Istituto Bruno Leoni. Tuttavia le sopra citate somme sono assai controverse ed affatto pacifiche sia perché la riduzione della spesa non può essere l’unico elemento di validazione di una Riforma che sopprime enti di livello costituzionale sia perché appaiono immediatamente sovrastimate.

9 - Dal contenuto degli interventi dei vari soggetti citati nel presente paragrafo, è possibile osservare come con il termine “abolizione”, gli stessi intendano in realtà riferirsi a quanto approvato con la L.56/2014 e quindi a quella che qui è riportata come tesi del riordino amministrativo.

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La Provincia dei Comuni Come osservato da Luigi Oliveri,“il vizio principale della stima grossolana dell’Istituto Bruno Leoni è quello di aver considerato del tutto sopprimibili le spese di gestione: non è corretto, perché esse sono quasi sempre connesse alla realizzazione delle funzioni, come chi non conosce a fondo il funzionamento degli enti locali evidentemente non sa. Questa stima appare molto più realistica di stime grossolane che considerano possibile tagliare di 2 miliardi le spese di amministrazione generale, senza nemmeno provare a quantificarle. Non si tiene conto di moltissime altre voci che riguardano la gestione degli enti, come appalti di servizio per gestione di sistemi informatici o arredi, perché trattandosi di servizi di supporto alle competenze e funzioni che, comunque, passerebbero agli enti subentranti alle Province, tali costi non costituirebbero un risparmio”.10 Sempre Oliveri11 osserva che nel calcolo dei risparmi effettivi derivati dalla riforma non si tiene affatto conto dei costi necessari alla realizzazione della riforma stessa, destinati a ridurre in modo notevole i risparmi. Critica inoltre il presupposto dal quale parte Giuricin per la stima dei risparmi ottenibili ossia che le Province, di fronte ai tagli imposti negli ultimi anni, avrebbero deciso di tagliare completamente gli investimenti e ridurre i servizi erogati piuttosto che pensare ad una vera e propria riorganizzazione. “Le cose non stanno esattamente in questo modo” - commenta Oliveri -. La riduzione delle spese in conto capitale non è frutto di una decisione adottata dalle Province, ma è una conseguenza totalmente ascritta al patto di stabilità”. L’osservazione di Oliveri parte dalla considerazione che il sistema di saldi a competenza mista su cui si basa il patto di stabilità implica che gli obiettivi di risparmio che le amministrazioni sono chiamate a rispettare annualmente (per altro con parametri sempre modificati dalle leggi) presentano una correlazione diretta tra gli impegni contabili delle spese correnti (le spese che si prevede di effettuare, ma non ancora erogate per cassa) ed i pagamenti in conto capitale (le vere e proprie erogazioni dei pagamenti per appalti di opere). Gli effetti di tale correlazione sono che riducendo la capacità di spesa corrente si riduce simmetricamente la capacità di pagamento in conto capitale; a questo si aggiunge che ogni impegno di spesa corrente riduce la capacità di spesa in conto capitale.

10 - Tratto dall’articolo Province: un approccio serio alla stima dei risparmi di Luigi Oliveri - Dirigente Coordinatore dell’Area Servizi alla Persona e alla Comunità della Provincia di Verona 11 - Cfr articolo Province? Abolirle è certo possibile, ma con raziocinio—di Luigi Oliveri

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Capitolo 1 Sulla base dei dati UPI, le Province sono state le più virtuose, fra gli enti locali, a ridurre le loro spese correnti dall’anno 2008 all’anno 2013 (-11,81%), ma questo ha comportato anche una riduzione della spesa in conto capitale: SPESA CORRENTE

2010

2013

variazione quinquennio

PROVINCE

8.546.385.000

7.553.354.507

-11,81%

COMUNI

51.415.394.864

54.375.095.350

+ 5,76%

REGIONI

143.143.346.921

144.778.896.405

+1,14%

PROVINCE

2.936.934.415

2.723.975.755

-7,25%

COMUNI

15.672.320.836

13.174.849.934

-15,94%

REGIONI

19.331.677.228

19.709.326.289

+1,95%

totale spese Province

11.501.319.415

10.277.330.263

-10,64%

totale spese Comuni

67.087.715.700

67.549.945.285

+0,69%

totale spese Regioni

162.475.024.149

164.488.222.695

-1,24%

SPESA CONTO CAPITALE

(fonte: dossier Upi su base Siope 2013) UPI evidenzia inoltre l’iniquità delle manovre economiche che si sono succedute negli ultimi anni che hanno penalizzato le Province più di Regioni e Comuni. I tagli operati hanno infatti gravato per il 52% sulle Province (pur rappresentando solamente l’1,30% della spesa pubblica), per il 21% su Regioni e sanità e per il 27% sui Comuni. Il taglio sui bilanci Provinciali è stato inoltre operato a partire dalla “stima dei consumi intermedi” delle Province comprendenti però i servizi ai cittadini come la gestione delle scuole, la manutenzione delle strade, il trasporto pubblico locale, la formazione professionale, la gestione e smaltimento rifiuti. A differenza di quanto accaduto per i Comuni, inoltre, le Province sono riuscite (dal 2010 al 2013) a diminuire virtuosamente la propria spesa corrente di oltre l’11,8% (quella dei Comuni è aumentata di oltre il 5%), ma hanno anche diminuito la propria capacità di investimento di oltre il 7% a causa del patto di stabilità.

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La Provincia dei Comuni SPESA CORRENTE

2010

2013

variazione quinquennio

PROVINCE

8.546.385.000

7.553.354.507

-11,81%

COMUNI

51.415.394.864

54.375.095.350

+ 5,76%

REGIONI

143.143.346.921

144.778.896.405

+1,14%

PROVINCE

2.936.934.415

2.723.975.755

-7,25%

COMUNI

15.672.320.836

13.174.849.934

-15,94%

REGIONI

19.331.677.228

19.709.326.289

+1,95%

totale spese Province

11.501.319.415

10.277.330.263

-10,64%

totale spese Comuni

67.087.715.700

67.549.945.285

+0,69%

totale spese Regioni

162.475.024.149

164.488.222.695

-1,24%

SPESA CONTO CAPITALE

Fonte: Siope 2013

L’ipotesi abrogativa Di diversa opinione sono i sostenitori della posizione abolizionista delle Province, affezionati al nome “Svuota Province”, inizialmente assegnato al provvedimento Delrio. E’ la posizione più oltranzista sostenuta quasi esclusivamente da argomentazione per eliminazione, di facile adesione popolare. Chi depone a favore della definitiva abrogazione dell’ente intermedio vede nella riforma costituzionale il completamento di un percorso che la L.56/2014 ha solo iniziato e chiede che non esistano altri enti di area vasta se non le città metropolitane. Tuttavia, come osservato da UPI durante l’audizione alla Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica in ambito di indagine conoscitiva per l’istruttoria dei disegni di legge costituzionale di revisione dei titoli I e V della Costituzione (27 maggio 2014),“occorre evitare che le garanzie costituzionali specifiche siano previste solo per le Città metropolitane e non per le Province (o i Dipartimenti, o gli altri enti comunque denominati) che eserciteranno le funzioni di area vasta, poiché ciò porterebbe a dividere il territorio italiano tra territori di serie A (quelli metropolitani) e territori di serie B (che non avrebbero garanzie costituzionali come invece avviene in tutti gli altri paesi europei)”. Il Dossier del Servizio Studi del Senato sull’A.S. n. 1429 Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione (aprile 2014 - n. 133) relativamente all’abolizione delle Province prevede sì l’effettiva cancellazione del nome Provincia dall’art.114 della Costituzione quale ente autonomo e costitutivo della Repubblica, ma aggiunge nella scheda di lettura che “la soppressione di ogni riferimento alle Province nel testo costituzionale sembra

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Capitolo 1 comportare il venire meno delle Province come ente territoriale costituzionalmente necessario, ma non sembra costituire ostacolo di rango costituzionale alla prosecuzione delle attività eventualmente affidate dalla legislazione ordinaria già vigente ad enti territoriali intermedi con tale denominazione”.12 I dati riportati da UPI13 dimostrano che la spesa delle Province è la più piccola di tutto il comparto nazionale e locale della Pubblica Amministrazione, rappresentando solo l’1,30% del totale della spesa pubblica. SPESA PUBBLICA COMPLESSIVA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 807 miliardi di euro

Incidenza percentuale Spesa centrale*

555.268

69,50%

REGIONI **

164.389

20,58%

COMUNI

68.934

8,63%

PROVINCE

10.349

1,30%

Fonti (aggiornamento DEF aprile 2014 - conto economico PA; Siope 2013) *prestazioni sociali 319 mld – interessi sul debito 82 mld **spesa sanitaria 100 mld In questo panorama, il peso maggiore è rappresentato, evidentemente, dalle Amministrazioni centrali che, da sole, rappresentano circa il 70% della spesa. Un’altra elaborazione di UPI del marzo 201414 mostra inoltre che la quantificazione delle spese sostenute nel 2012 dalle Province per l’erogazione di servizi essenziali al cittadino depone a favore del mantenimento delle Province, visto che esse rappresentano il 99% delle spese totali sostenute. Nemmeno l’1% delle spese Provinciali sono quindi destinate agli organi istituzionali.

12 - Dossier del Servizio Studi del Senato sull’A.S. n.1429 Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione” (aprile 2014 - n. 133) - Art. 24 – scheda di lettura. 13 - Lo stato della finanza Provinciale: I dati sulla spesa centrale e locale, le manovre economiche e le conseguenze su bilanci e servizi – giugno 2014. 14 - Riformare le Istituzioni locali: le cifre reali di un percorso - I dati sulla spesa centrale e locale, i costi della politica, i costi del personale, gli enti strumentali. – UPI, marzo 2014

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La Provincia dei Comuni SPESA TOTALE SOSTENUTA DALLE PROVINCE NEL 2013 10.277 milioni di euro

Di cui: Spese per erogazione servizi essenziali al cittadino

10.199 milioni di €

Spese per organi istituzionali

99,3%

78 milioni di € 0,7%

Anche per quanto riguarda il costo per gli organi istituzionali, UPI osserva che in termini di costo pro capite, quello sostenuto dai cittadini per gli organi Provinciali (1,31 €), è molto inferiore a quello sostenuto, ad esempio, per gli organi istituzionali regionali (13,95 €). Spese per organi istituzionali Costo pro capite in euro

2013 Regioni

829.070.369 €

13,95 €

Comuni

536.457.708 €

9,03 €

Province

78.067.994 €

1,31 €

Fonte: Siope 2013 Anche in termini di costi della politica, quindi, quelli della Provincia sono di gran lunga i più bassi di tutto il comparto Regioni e Autonomie locali. Sempre secondo lo studio condotto da UPI nel marzo 2014, alcune fonti di spreco andrebbero invece ricercate, anziché nelle Province, negli enti strumentali, nelle agenzie, consorzi, ecc. Secondo il Ministero dello Sviluppo economico, che li ha censiti, tra Regioni, Province e Comuni tali organismi sono 3.12715. Il costo di enti, consorzi e società (fra cui i bacini imbriferi montani, i consorzi di bonifica, gli Ato Acqua e Rifiuti) sono costati nel 2012 oltre 7 miliardi 400 milioni di euro.

15 - I tratti di un’economics degli enti territoriali: il caso delle Province – Prof. Paolo Savona, novembre 2013

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Capitolo 1 ENTE

COSTO 2012

ATO

202.998.705

BIM

227.866.995

COMUNITA’ MONTANE

1.480.273.372

CONSORZI

459.785.622

Enti e agenzie regionali e territoriali

3.388.158.341

Aziende e Società comunali

1.370.886.162

Aziende e società Provinciali

357.496.878

TOTALE

7.487.466.075 (Elaborazione UPI su dati Siope)

Un’altra possibilità per ottenere risparmi senza affrontare riforme complicate e difficili da gestire, viene individuata da Luigi Oliveri sulla base dei dati divulgati dal Dipartimento della Funzione Pubblica sugli incarichi di consulenza e collaborazione nella pubblica amministrazione. Il censimento 2011 evidenzia infatti che le varie pubbliche amministrazioni hanno speso complessivamente 1,3 miliardi di euro per assegnare gli incarichi più svariati; come osservato da Oliveri, sarebbe necessario certamente “un lavoro certosino”16 per giungere ad una stima più certa dei risparmi effettivamente ottenibili con il contenimento delle spese per incarichi, ma “se il legislatore avesse la forza di pretendere ed imporre un forte contenimento di tale spesa, improvvisamente a regime si libererebbe una somma di un certo rilievo, utile per qualche manovra di aggiustamento dei bilanci”17. Anche formulando l’ipotesi più pessimista stimando il risparmio ottenibile in 1,3 miliardi e volendolo ulteriormente ridurre a 800 milioni per avere la certezza di escludere le spese per appalti di servizio16, basterebbe ridurre tale importo dell’80% per ottenere un risparmio di 640 milioni di euro l’anno, ossia superiore a quello stimato dal ministro Delrio all’indomani dell’approvazione alla Camera del disegno di legge di riordino delle Province come risultato dell’abolizione dei 5.000 politici che non verranno più pagati. 16 - Oliveri ritiene necessario svolgere un lavoro volto a migliorare l’attendibilità della stima perché i dati rilevati dalla Funzione Pubblica risultano “da un lato “inquinati” e dall’altro disallineati con quelli risultanti dal Conto del personale, censito dalla Ragioneria Generale.“Inquinati” perché nell’opendata messo a disposizione dalla Funzione Pubblica alcune Amministrazioni hanno imputato, sulla base di incertezze interpretative discendenti da contraddittoria giurisprudenza amministrativa e contabile, come incarichi di collaborazione-consulenza prestazioni che, in effetti, sono da considerare come appalti di servizi. Il lavoro certosino è volto quindi a distinguere con precisione, nell’ambito della rilevazione della Funzione Pubblica, quali spese siano da riferirsi realmente a collaborazioni. Risulta poi un disallineamento delle informazioni fra dati rilevati dalla Funzione Pubblica e Conto Annuale: mentre da quest’ultimo risulta che le spese per rapporti di lavoro autonomo nella pubblica amministrazione ammontano nel 2011 a 2,5 miliardi (voce “oneri per personale estraneo all’amministrzione), la Funzione Pubblica stima tali spese, sempre relativamente all’anno 2011, in 1,3 miliardi. Facendo comunque, come Oliveri, due ipotesi, una più e l’altra meno ottimistica, i risparmi realizzabili vanno comunque dai 2,5 miliardi a 1,3 miliardi. 17 - Spesa pubblica: risparmi da consulenze più certi e semplici della riforma delle Province – L. Oliveri, giugno 2013

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La Provincia dei Comuni Anche la stima massima sui risparmi effettuata dal Ministro (1 milione di euro) o quella ancora superiore effettuata dall’istituto Bruno Leoni (da 1,3 a 1,9 milioni di euro) dovrà comunque tener conto dei costi di attuazione della riforma che prevede: •

la ridefinizione di competenze e funzioni di Regioni, Province e Comuni;

il trasferimento di personale e patrimonio Provinciale

la riforma del sistema della finanza locale (per assegnare a Comuni o Regioni le entrate tributarie oggi di spettanza delle Province) e di quello della contabilità locale (per assegnare a Comuni o Regioni le altre entrate, patrimoniali e da servizi, oggi di spettanza delle Province)

la rideterminazione degli obiettivi del patto di stabilità per accollare a Comuni o Regioni l’aggravio del carico ricadente sulle Province;

la rideterminazione dei fondi trasferiti dallo Stato a Regioni e Comuni.

Esiste invece già la norma che prevede la riduzione dell’80% della spesa per consulenze. L’articolo 6, comma 7, del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, prevede infatti che la spesa per consulenze si sarebbe dovuta ridurre dell’80% rispetto al 2009 e l’articolo 9, comma 28 impone la riduzione della spesa per collaborazioni del 50%, sempre rispetto al 2009. I risparmi potrebbero quindi essere conseguiti semplicemente facendo rispettare le disposizioni normative già vigenti, mentre la serie storica del Conto Annuale rileva una sostanziale invarianza della spesa tra gli anni 2011 e 2009. Potremmo quindi concludere con le parole di Oliveri 18 che “il problema non è tanto se sia necessario o meno eliminare le Province, ma porsi la domanda se davvero ne valga la pena e, soprattutto, individuare un sistema serio per il subentro”. Dobbiamo infatti ricordare che le funzioni d i servizi attualmente attribuiti alle Province vanno oltre i confini comunali e rivestono tipicamente le caratteristiche di funzioni di area vasta per cui la loro attribuzione ai Comuni o alle unioni di Comuni sarebbe evidentemente poco efficace. Quel che preme riportare in questa sede è l’evidenza della parzialità ed erroneità delle argomentazioni a base della ipotesi di riordino e/o abrogazionista che non hanno tenuto conto nemmeno del contributo delle Autorità imparziali ed il cui parere dovrebbe qualificare le decisioni, anche quelle in via d’urgenza, del Governo. Esemplare è l’inascoltato Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica elaborato dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti: Nelle due ultime legislature le misure che regolano il contributo delle amministrazioni territoriali agli obiettivi programmatici sono state accompagnate da interventi relativi a particolari tipologie di spese correnti. Si tratta di voci riconducibili alle strutture rappresentative e a quelle amministrative spesso al centro di valutazioni critiche sulla utilità e sulla destinazione della spesa. I provve18 - Cfr articolo Province? Abolirle è certo possibile, ma con raziocinio—di Luigi Oliveri

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Capitolo 1 dimenti adottati hanno avuto un rilievo finanziario limitato e spesso ad essi non sono stati attribuiti effetti specifici traducendosi al più in strumenti per intervenire sulla composizione della spesa o a cui guardare per giustificare la sostenibilità dei contributi aggiuntivi richiesti agli enti. A questi si sono accompagnati interventi volti a semplificare la stessa impalcatura istituzionale, alla ricerca di una configurazione più efficiente ed economica in un momento di forte tensione per una riduzione della spesa improduttiva. A ciò sono stati mirati i provvedimenti sulle unità rappresentative di minori dimensioni, sulle Province, sulla revisione delle competenze tra livelli di governo. Un processo a cui non è estraneo il mutamento di indirizzo registrato sul fronte delle esternalizzazioni dei servizi che si era tradotto, nello scorso decennio, in un forte ampliamento nel ricorso a società controllate dalle amministrazioni stesse. L’osservazione delle misure assunte per il contenimento degli oneri dovuti alle strutture di rappresentanza e a quelle amministrative consente, seppur a “maglie larghe” di guardare ai risultati già ottenuti e di avere una prima misura dei risparmi cui è ancora possibile puntare. Risorse non marginali che tuttavia rappresentano solo una frazione di quei tagli alla spesa scontati nei quadri programmatici di recente esposti nei documenti di finanza pubblica (ciò senza considerare le ulteriori esigenze di rifinanziamento di interventi “a politiche invariate”). Anche la semplificazione delle strutture amministrative, in primo luogo quelle Provinciali, sono destinate a liberare risorse limitate. Nel ridisegno delle strutture non marginale importanza va attribuita al superamento di alcune problematiche relative alla ripartizione delle competenze tra livelli di governo cui non si possono non attribuire effetti negativi sull’efficacia della gestione di importanti funzioni. Anche questo aspetto è stato solo delineato negli ultimi mesi della legislatura. Per quanto detto l’argomentazione basata sulla riduzione della spesa locale appare per più motivi infondata. Infondata ed anche parziale se si considera che la riduzione della spesa non può essere l’unico elemento di valutazione quando si parla di enti locali costituzionalmente previsti. Ma anche non tenendo conto della bistrattata Carta Costituzionale la prima contraddizione è che si vuol eliminare ciò che in Europa esiste e che i singoli Stati stanno evidentemente mantenendo se pure ciascuno con diverse peculiarità. La contraddizione emerge anche fra L. 56/2014 (legge Delrio) e Carta Europea delle Autonomie Locali. La L.56/2014 attribuisce infatti funzioni proprie di area vasta alle “nuove Province” pur non facendo corrispondere a tale ente l’elettività degli organi. Per sostenere l’eliminazione del livello di governo Provinciale e rimanente coerenti con quanto richiesto dalla Carta Europea delle Autonomie Locali occorrerebbe quindi provare che anche le funzioni di area vasta possono essere attribuite ad altra autonomia locale di tipo elettivo. E’ inutile osservare che questo tipo di indagine non è stato fatto. La CEAL non ha tuttavia effetto giuridico diretto in tutti i Paesi dell’Unione; in alcuni Paesi, fra cui l’Italia, la Carta viene assunta come canone interpretativo di norme costituzionali e può dar luogo a dichiarazioni di illegittimità costituzionale di norme interne al Paese in quanto contrarie ai principi della CEAL. Occorrerebbe dunque chiedersi quale importanza si vuol riconoscere alla Carta Europea delle Autonomie al momento della formulazione e realizzazione di riforme che toccano principi da essa promossi.

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La Provincia dei Comuni A conclusione di questo impressionante quanto inconcludente esempio di riformismo all’italiana occorre chiedersi: a chi giova? A chi giova mettere in gioco interi settori della pubblica amministrazione – dalle Province alle Prefetture, dai Segretari comunali e provinciali alla dirigenza locale, dalle Camere di commercio alle Regioni – senza un percorso che tenga conto della storia e soprattutto di un futuro definito? Il subito ed adesso della urgenza mal si concilia con l’esigenza di mantenere uno standard qualitativo per funzioni e servizi ancora affidati alle stesse persone ed enti ma presentati all’opinione pubblica come costosi e non più necessari.

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Capitolo 2

Capitolo 2

credibilita’ e sostenibilita’ della riforma delle province rispetto ai parametri di sviluppo istituzionale europeo Nonostante l’approvazione della legge Delrio restano dunque ancora aperte entrambe le ipotesi (riordino-abrogativa). Si noti che i media e gli stessi rappresentanti del Governo parlano indifferentemente di abrogazione e di riordino, senza alcuna distinzione fra le due possibili applicazioni, nel mentre una legge quadro di rango costituzionale è all’attenzione delle Camere. In tal contesto, l’argomentazione principale utilizzata dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi a sostegno della Delrio è che l’Italia per essere credibile a livello europeo deve abiurare a livelli di governo su base elettiva, assunti come ridondanti e costosi. Sul punto vi sarebbe una grande convergenza di consenso politico e popolare. Partendo dunque dalle dichiarazioni condivise da quasi tutte le forze politiche, una nuova scala di valori sembra aver superato in importanza quella, costituzionalmente prevista, della sussidiarità e centralità delle Autonomie locali a favore di una drastica riduzione del sistema rappresentativo su base elettiva che, peraltro, non coinvolge solo le Province ed il livello locale. Prima di passare all’analisi dei prossimi paragrafi, occorre dire che l’Europa non sembra molto preoccupata del problema, tutto italiano, dell’efficienza dei servizi al cittadino e, qualche volta, nemmeno lo stesso cittadino italiano sembra interessarsene, accecato dall’unico discorso dell’abbattimento dei costi in chiave sacrificale, antiburocrati ed antipolitici. L’abolizione delle Province, timidamente con l’ultimo governo Berlusconi ed in modo truculento con Monti, è sembrato a molti l’unica offerta che i Governi Italiani hanno saputo formulare in materia di Riforme istituzionali da portare subito a saldo. Se queste sono le premesse, da cui partire, occorre tuttavia ancora dare spessore e coerenza a quanto approvato con legge ordinaria, nelle more della riforma costituzionale. Da Monti a Renzi, tutti i Governi italiani dell’emergenza e senza la forte autorevolezza che viene dalle elezioni hanno cercato di accreditarsi presso le Cancellerie europee con documenti di sviluppo fortemente orientati alla riduzione della spesa. Il rispetto ortodosso del Patto di stabilità in chiave tedesca ha finito però per chiarire che occorre parlare anche di sviluppo oltreché di abbattimento del debito perché una Nazione che non cresce non sarà neanche in grado di pagare i propri debiti.

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La Provincia dei Comuni Tale aspetto è il più importante in questa sede e finisce per impattare nel confronto tra regionalisti ed europeisti in chiave di sviluppo. Del resto l’Italia, come gli altri Paesi europei, rinuncia alla propria sovranità per conformare il proprio ordinamento giuridico alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10 Costituzione italiana), prime fra tutte quelle di derivazione europea. Se di credibilità occorre morire, si auspica che il sacrificio abbia almeno senso e soprattutto sia sostenuto da azioni coerenti. Per tal via, proporre in sede europea una riforma credibile significa - evidentemente – elaborare un nuovo modello di Provincia conforme ai comuni valori e criteri che l’Unione Europea ha già in più sedi proposto per qualificare l’azione e l’organizzazione delle istituzioni nazionali e locali, ovvero: 1) riduzione della spesa locale 2) lotta al fenomeno della corruzione con più adeguati sistemi di controllo centralizzato in determinate materie dell’attività amministrativa locale 3) modelli organizzativi di governo e pubblica amministrazione locale conformi al progresso ordinamentale e civile europeo.

Il modello ordinamentale proposto deve altresì essere sostenibile ovvero presentare: 1) un’organizzazione smart, snella ed informatizzata 2) funzioni e competenze amministrative distribuite in modo esclusivo e non ridondante 3) un dimensionamento in area vasta del perimetro di ricaduta di funzioni e servizi delle Province anche in chiave di sviluppo economico del territorio.

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Capitolo 2

I parametri di credibilità della Riforma 1) La riduzione della spesa locale I dati riportati da UPI nello studio Le Province in Europa (ottobre 2013) mostrano che le Province italiane sono le realtà di ente intermedio fra i meno costosi in Europa. I dati 2011 dell’Associazione Enti Locali Tedeschi riportano che il bilancio dei 40b Kreise è stato di 55 mld di euro (pari al 4,5% della spesa pubblica); In Francia, il Ministero dell’Interno quota il bilancio dei 100 dipartimenti a 73 mld di euro (6,3% della spesa pubblica); il bilancio delle 50 Deputazioni spagnole è stato invece di 16 mld di euro (pari al 3,2% della spesa pubblica – stima su dati Eurostat), mentre in Italia i bilanci delle 107 Province è stato di 10 mld di euro (1,26% della spesa pubblica – dati Siope, dato aggiornato da UPI ad 1,30%19). Ricapitolando:

Le Province italiane Le Province francesi Le Province tedesche Le Province spagnole

l’1,26% il 6,3% rappresentano

il 4,5%

della spesa pubblica

il 3,2%

Insomma, in termini comparativi, le Province italiane sono, per funzioni, costi e tipologia di governo politico, esattamente in linea con quelle degli altri Paesi, ed, anzi, costano meno. Non crediamo ipotizzabile – a funzioni invariate - un’ulteriore contrazione della spesa, rispetto a quella realizzata dalla Delrio con la soppressione dei Consigli provinciali, se non ridefinendo il perimetro delle Province, ovvero accorpandole e dimensionandole secondo il modello dell’Area metropolitana come puntualmente definito, secondo un sistema di indicatori trattato nei successivi capitoli.

2) La lotta al fenomeno della corruzione con più adeguati sistemi di controllo centralizzato in determinate materie dell’attività amministrativa locale Tale obiettivo è oggi ancora tutto da definire dall’attuale governo che ha solo ipotizzato la nascita (ma non il costo e le modalità di funzionamento) di una Autorità centrale. Occorre purtroppo registrare che nel mentre si dichiara di voler intervenire sul flagello della corruzione – talmente presente e diffuso da collocare l’Italia ai vertici della graduatoria mondiale dei Paesi più corrotti – il Parlamento ha approvato in via di delega l’abrogazione della figura dei segretari comunali e provinciali a cui poco prima era stato affidato per legge il ruolo di responsabile dell’anticorruzione e per la trasparenza in Comuni e Province. Occorre, in questa sede, non aggiungere altro, oltre al fatto che, anche in questa materia, l’attività frenetica del Legislatore nazionale si presenta 19.- Lo stato della finanza Provinciale: I dati sulla spesa centrale e locale, le manovre economiche e le conseguenze su bilanci e servizi – giugno 2014.

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La Provincia dei Comuni ancora una volta contraddittoria e perfino dannosa per il dispendio di energie e risorse già destinate alla costruzione di apparati appena creati e già smantellati. Non si comprende, infatti, perché la Provincia individuata dalla Delrio come possibile stazione unica appaltante a favore dei piccoli Comuni del territorio non possa, proprio in questa occasione ed anche in questa materia, svolgere al meglio una funzione di controllo ed anticorruzione. Si coglierebbero due grandi risultati: favorire l’aggregazione di piccoli uffici con economie di scala centralizzando al contempo il controllo in un’unica stazione appaltante.

3) Modelli organizzativi di governo e pubblica amministrazione locale conformi al progresso ordinamentale e civile europeo. Ciò che suggerisce l’Europa è che gli enti intermedi costituiscono una realtà consolidata in cui il livello di governo (e quindi di elezione degli organi) viene fatto coincidere con quello di attribuzione di funzioni proprie (art.3 comma 2 della Carta Europea delle Autonomie Locali). In altre parole: se ad un ente viene attribuita la “capacità effettiva di gestire ed amministrare una parte importante di affari pubblici”, (art.3 comma 2 CEAL) i cittadini devono poter esprimere la propria volontà politica, eleggendo i propri rappresentanti. Inoltre il principio su cui si basa la CEAL per l’attribuzione di funzioni proprie ad un ente è il principio di sussidiarietà, ossia “l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini” (art. 4 comma 3 della CEAL). L’indagine comparata realizzata dall’Unione delle Province Italiane sugli enti intermedi di governo in Europa, con l’Università degli Studi di Firenze ha confermato che gli enti intermedi “sono una realtà presente e viva”20 in tutti i paesi europei. Si presentano di seguito i principali risultati riportati da UPI. Il sistema elettorale e gli organi di governo – la durata del mandato Gli enti intermedi europei variano, sia per organi di governo previsti che per sistema elettorale. Si evidenzia comunque che sia in Francia, sia in Germania che in Spagna gli enti corrispondenti alle Province italiane sono espressamente previsti dalle rispettive Leggi Costituzionali (Legge Fondamentale in Germania). Nei Dipartimenti francesi e nei Kreise tedeschi gli organi sono eletti direttamente dai cittadini, nelle Deputazioni spagnole con un sistema elettorale di secondo grado. I Dipartimenti francesi prevedono quali organi di governo:il Presidente, un Consiglio Generale, due organi collegiali esecutivi (Bureau e Commissione permanente) che restano in carica per 6 anni. Il sistema elettorale degli organi è uninominale a doppio turno. I Kreise tedeschi hanno esclusivamente un Consiglio di distretto (Kreistag) ed un Governatore (Landrat) che durano in carica 5 anni . Il sistema elettorale degli organi è proporzionale e con scrutinio di lista. Le Deputazioni spagnole prevedono invece: una Deputazione, il Presidente della Deputazione, i vicepresidenti, una Commissione di governo. Il sistema elettorale è di secondo grado, da parte dei consigli comunali; i seggi vengono distribuiti in modo proporzionale (metodo D’Hondt) ai partiti che hanno avuto almeno un eletto nei consigli comunali. 20 - Le Province in Europa. L’organizzazione delle istituzioni territoriali nei Paesi UE – 3 Ottobre 2013

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Capitolo 2 Fino all’entrata in vigore della L.56/2014, la Provincia in Italia, come noto, prevedeva: il Presidente della Provincia; la Giunta quale organo esecutivo e il Consiglio Provinciale. Il sistema elettorale prevedeva che il Presidente fosse eletto direttamente con sistema maggioritario a doppio turno, mentre i consiglieri con sistema uninominale di collegio (corretto). La permanenza in carica di entrambi era di 5 anni. La L.56/2014 (entro il 30 settembre 2014,) prevede quali Organi della Provincia: il Presidente; il Consiglio Provinciale, l’Assemblea dei Sindaci. L’elezione, sia del Presidente che dei Consiglieri, è di secondo grado. Può ricoprire la carica di Presidente uno dei Sindaci dei Comuni del territorio e possono essere eletti nel Consiglio Provinciale i Consiglieri degli stessi Comuni. Il corpo elettorale è costituito dai Consiglieri stessi. Dimensioni e popolazione In tutti i più importanti stati europei, il sistema istituzionale è costruito su tre livelli di governo, corrispondenti alle Regioni, Province e Comuni italiani. Si riporta, di seguito, la tabella riepilogativa proposta da UPI.

Stato

Superficie e abitanti

I livello

II livello

III livello

Francia

675.417 Kmq 65.447.374 abitanti

26 Regioni

100 Dipartimenti

36.763 Comuni (Communes)

Germania

357.023 Kmq 81.772.000 abitanti

16 Länder (di cui tre città-Stato

Spagna

504.614 Kmq 46.754.784 abitanti 301.340 Kmq 60.776.531 abitanti

Italia

408 Distretti (Kreise) (301 distretti rurali – Landkreise – e 107 cittàdistretto – Kreisfreie Städte 17 Comunità 50 Province Autonome

12.302 Comuni (Gemeinde)

20 Regioni

8.092 Comuni

107 Province

8.112 Comuni (Municipios)

Fonti: www.indexmundi.com; Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d’Europa.

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La Provincia dei Comuni Quanto esposto suggerirebbe cautela – se di credibilità a livello europeo si vuol parlare – nell’usare l’argomentazione europea nel sostenere l’abrogazione della Provincia. Come vedremo di seguito i modelli organizzativi di governo e pubblica amministrazione locale possono contare su tutta una serie di criteri e principi sanciti a livello europeo ma anche internazionale con un’esperienza di amministrazione che però il Legislatore nazionale non sembra voler acquisire.

I parametri di sostenibilità della riforma Se di sostenibilità occorre parlare, il nuovo modello di Provincia deve rispettare prioritariamente taluni parametri definiti ineludibili e caratterizzanti per una organizzazione pubblica territoriale deputata ad esercitare funzioni proprie o delegate, ma con un perimetro di esercizio sovracomunale. Tuttavia anche la realizzazione dei singoli punti individuati quali elementi di sostenibilità non avrebbe senso se non si converge su una visione del ruolo dell’ente pubblico locale non confinato ad un mero ruolo amministrativo, ma attore dello sviluppo programmato, in questo caso subregionale. A favore di questo ruolo, l’esistenza di tante esperienze europee in tema di aree metropolitane ed il fatto stesso che tali iniziative siano parte di progetti promossi e finanziati dall’Unione Europea testimoniano il ruolo dei soggetti pubblici nel processo di sviluppo territoriale. Il concetto di sviluppo e competitività territoriale, come sottolineato p.e. dal progetto Urban, riguarda la capacità di un’area nel porsi in una condizione di vantaggio rispetto ad altre, con riferimento ad una molteplicità di aspetti della realtà economica e della vita sociale. Un territorio può dirsi competitivo se è in grado di attrarre imprese, investimenti, risorse umane e conoscenza grazie alla propria offerta di spazi, servizi, cultura ecc. Tuttavia il concetto di competitività non può essere slegato da quello di sostenibilità ambientale, sociale. Se dunque un primo sviluppo territoriale spontaneo può essere delegato al mercato e quindi al mondo delle imprese, lo sviluppo sostenibile di un territorio nel lungo termine richiede una valutazione di tutte le dimensioni territoriali legate allo sviluppo ed un intervento perequativo fra le stesse che solo un soggetto pubblico può garantire. La logica di mercato, infatti, non riesce da sola a garantire l’uniformità dello sviluppo, prediligendo le zone in cui sono già presenti infrastrutture che consentono di affacciarsi sui mercati con un costo contenuto o in cui il mercato è già presente. L’ente pubblico, proprio perché pubblico, ha il compito di ridistribuire le opportunità di crescita fra le varie zone, perché non vi sia una concentrazione di ricchezza e di benessere solo nelle zone più urbanizzate. Se si converge su questo ruolo allora la Provincia, con le sue funzioni e la sua posizione intermedia tra Comuni e Regione, può concretamente valorizzare i punti di forza anche delle zone più deboli, e potrà supportare il territorio con infrastrutture laddove queste possano essere utili per lo sviluppo di attività economiche o sociali.

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Capitolo 2 La valutazione della competitività richiede, infatti, di porre attenzione a tutte le varie dimensioni dell’area urbana. Essa è frutto della relazione di più dimensioni del territorio ovvero del proprio capitale territoriale definibile come complesso degli elementi (materiali e immateriali) a disposizione del territorio, i quali possono costituire punti di forza o veri e propri vincoli a seconda degli aspetti presi in considerazione. Spesso l’analisi del territorio italiano restituisce l’immagine di un territorio che presenta pochi centri sviluppati e molte aree vuote, alla stregua di una grande periferia degradata. Tale sviluppo non uniforme e la presenza di hinterlands ben delineati è frutto di scelte dettate da motivazioni di carattere economico che hanno preferito concentrare le attività produttive in prossimità di infrastrutture già esistenti che consentano un facile accesso ai mercati o laddove il mercato è già presente. Ogni hinterland corrisponde ad una rete di relazioni (interpersonali, economiche, ecc) che ogni giorno viene intrecciata e rende quella realtà unica, caratterizzandone l’identità e, se non stimolato all’apertura verso altre realtà, rischia di rappresentare una dimensione identitaria, consapevole delle proprie radici e per questo chiusa al confronto. La nuova Provincia potrà valorizzare le funzioni aggreganti all’interno delle singole filiere e relazioni, ma anche tenere aperto il confronto tra istituzioni ed espressioni organizzate della società che dovrebbero garantire le necessarie azioni di accompagnamento alla crescita. Questo macro obiettivo passa necessariamente dal rispetto dell’identità dei luoghi e dal fatto che questi, così frammentati in Italia, siano rappresentati od almeno governati da entità intermedie tra Comuni e Regione. Vediamo dunque di seguito i singoli parametri di sostenibilità:

1) Un’ organizzazione smart, ossia snella ed informatizzata Le sfide che molte aree italiane ed europee si trovano ad affrontare in questi anni (come la gestione delle trasformazioni dal punto di vista economico, i flussi migratori, le problematiche ambientali e logistiche) necessitano interventi coordinati di livello regionale ma anche sufficientemente dimensionati come livello di governo subregionale e sovracomunale. L’obiettivo è quello di costituire con la partecipazione dei Comuni e delle Province, una programmazione locale innovativa quanto partecipata dal basso. Perseguendo il modello dell’area metropolitana (ove non sia cioè presente la città metropolitana), sarà quindi compito della nuova Provincia favorire non solo i flussi già esistenti nelle comunità metropolitane individuate, ma di crearne di nuovi fra comunità in modo da creare un network di relazioni fra tutti gli insediamenti per la realizzazione di una pluricentralità d’interscambi reciproci. Questo favorirà la diffusione dello sviluppo sulla complessità dei territori Provinciali, in relazione alle specifiche vocazioni di ogni ambito, che tuttora emergono ma che non sempre sono valorizzate in maniera adeguata dal livello regionale o comunale. Ma come e con quali strumenti? La Scuola superiore S. Anna, nell’ambito dello studio Conoscenza, Innovazione & Sviluppo – Un futuro possibile per il sistema – territorio della Provincia di Grosseto (anno 2009) aveva proposto un modello di sviluppo territoriale basato sulla knowledge economy (economia della conoscenza).

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La Provincia dei Comuni Con tale termine si intendeva significare che la quantità e la qualità di conoscenza disponibile in un territorio può determinarne le opportunità di crescita, sia in termini quantitativi che qualitativi. Da questo punto di vista la ruralità e l’isolamento di alcune zone territoriali nulla tolgono alla loro possibilità di sviluppo, se solo in essi è presente conoscenza. Non solo, ma proprio l’emarginazione fisica di certi luoghi potrebbe divenire attrattiva dal punto di vista abitativo e soprattutto per alcuni tipi di persone, i cosiddetti lavoratori della conoscenza, laddove offra una migliore qualità di vita rispetto alle aree urbane (inquinate, sovraffollate, ecc) insieme però ad una rete ICT molto sviluppata che consenta un rapido collegamento di queste persone con il mondo. Lo sviluppo economico di un’area può essere determinata dall’insediamento di una particolare attività occupazionale, o semplicemente dalla presenza di una persona in grado, grazie alla conoscenza e all’innovazione portata, di creare essa stessa una sorta di filiera. La knowledge economy diviene quindi base per lo sviluppo di un territorio e la Scuola S. Anna lega la conoscenza essenzialmente a tre fattori: •

la presenza di soggetti in grado di produrre conoscenza direttamente o indirettamente (grazie a centri di ricerca, scuole, università)

la capacità delle aziende di saper utilizzare e valorizzare la conoscenza come elemento di innovazione (knowledge exploitation) o di saper produrre conoscenza (ad esempio imprese del settore high - tech)

lo sviluppo di funzioni di sostegno alla locale economia della conoscenza (ICT, creazione e divulgazione del brand, supporto all’innovazione delle imprese.

Grazie all’economia della conoscenza, sarà inoltre possibile lo sviluppo di filiere specifiche, alcune delle quali potranno essere legate anche alle tradizioni territoriali, ma rivisitate in chiave innovativa. Superando il concetto della knowlwdge economy, il modello di sviluppo che si può ipotizzare per il territorio individuabile per la nuova Provincia, è quello della smart city (città intelligente). L’idea di smart Provincia è quella di una in cui la tecnologia ha raggiunto un livello di sviluppo elevato, dotata di infrastrutture efficaci che semplificano la vita al cittadino. Se questo è uno degli aspetti richiesti ad una smart organizzazione, occorre tuttavia precisare che la tecnologia semplifica la vita a chi la utilizza se ne soddisfa dei bisogni e non in caso diverso. Se quindi una dotazione infrastrutturale di base è condizione necessaria per il trasferimento di conoscenza ed informazioni, non si può prescindere dal considerare che le comunità, sono fatte di persone dalle quali bisogna partire per indirizzare lo sviluppo delle tecnologie stesse. Non solo: ci si chiede a volte se la smartness (intelligenza) risiede negli individui o nei fili (elettrici), se cioè una Comunità sia intelligente perché molto tecnologica o perché in essa risiedono persone intelligenti; anche in questo caso non si può che concludere che sono le persone che creano la tecnologia e che quest’ultima deve servire a raggiungere le persone, ma non può sostituirle. Ecco perché anche in questa sede, come a Smart City Exibition, accoglieremo l’idea di una Human Smart Provincia.

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Capitolo 2 Con riferimento al modello individuato dalla Scuola S.Anna, viene quindi da osservare che parte della conoscenza che può migliorare la qualità della vita e l’economia di un territorio è già presente nel territorio stesso, è solo necessario trovare il modo per farla emergere. Le nuove tecnologie divengono quindi strumento per raccogliere, mettere a sistema, divulgare, utilizzare le potenzialità insite negli abitanti di un territorio. Gli attori in grado più di altri di produrre e guidare l’innovazione sono le Università, i Centri di ricerca ed i Poli tecnologici. I Poli tecnologici stimolano l’innovazione in quanto trasferiscono la ricerca dai laboratori verso contesti di vita reale. Allo stesso tempo mirano a favorire l’incontro, lo scambio di idee e di conoscenze e l’aggregazione fra scienziati e ricercatori di varie aree geografiche, rappresentando anche un’occasione di sviluppo economico, sociale e culturale per la zona. In questo ambito la Provincia di Grosseto, come altre province italiane, ha già progettato e realizzato Poli su diverse tematiche. Tecnologico ed agroalimentare sono attualmente in fase di realizzazione nel grossetano. Di fondamentale importanza è poi, per il territorio italiano, la riduzione del digital divide. Obiettivo di sicura valenza super comunale la cui realizzazione deve però poter contare su un livello organizzativo subregionale a causa della conformazione anche morfologica del territorio e della densità demografica assai ridotta, puntiforme, in alcuni casi. Infatti, il capitale tecnico non basta, da solo, a rendere smart una determinata organizzazione, ma neanche la sola intelligenza collettiva può, da sola, essere tanto efficace. Per questo è necessario fare il punto sulle dotazioni infrastrutturali del territorio prevedendo, se necessario, il rafforzamento delle c.d. tecnologie intelligenti. Nel fare questo possiamo distinguere fra tecnologie hard o infrastrutturali e tecnologie soft intendendo per esse sistemi ed applicativi per il trasferimento di conoscenza. A titolo di esempio si riporta lo stato attuale di copertura del territorio da parte della banda larga per la Provincia di Grosseto e Siena, ove sono state realizzate due reti wireless federate con la rete Free ItaliaWiFi (una per la Provincia di Siena ed una per quella di Grosseto) che consentono la rimozione di ogni ostacolo al flusso di dati fra le due Province e l’attuale diffusione dei relativi hot spot possono essere ritenute un buon punto di partenza per soddisfare le caratteristiche di base per una tecnologia hard in grado di sostenere le tecnologie intelligenti. Come Soggetto Pubblico, la Provincia dovrà, infatti, continuare a garantire il servizio proprio nelle zone di fallimento del mercato, ossia dove la richiesta non sarebbe spontaneamente elevata, in modo da fornire ulteriori strumenti di sviluppo laddove non siano ancora state colte le potenzialità territoriali. Una volta garantita la copertura territoriale, l’infrastruttura telematica di partenza potrà supportare il flusso di dati e conoscenza anche da e verso le zone più isolate, ma al contempo più attrattive e caratteristiche dell’interno. A questo proposito si potrà aderire in modo ragionato al Piano telematico 2012-2015. Banda larga, carta dei servizi e dematerializzazione approvato dall’assemblea della Rete Telematica Regionale.

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La Provincia dei Comuni Con tale piano, che prevede un quadro finanziario da 51 milioni di euro, la Regione Toscana si propone di promuovere e sviluppare l’amministrazione elettronica e la società dell’informazione nel prossimo triennio. Partendo dall’obiettivo di base (garantire l’infrastrutturazione del territorio con copertura in banda larga), il documento si articola in settori specifici: dai servizi di pagamento elettronico alla Carta nazionale dei servizi, dall’infomobilità alla lotta contro l’evasione fiscale, dai servizi nella scuola e nel socio-sanitario ai percorsi di dematerializzazione nella Pubblica amministrazione toscana. In tutto 27 obiettivi specifici riassumibili in tre concetti base: semplificazione e amministrazione elettronica, cittadinanza digitale e competitività, infrastrutture e piattaforme di servizio. Le azioni prese in considerazione per il nuovo piano sono: l’infrastruttura regionale, già esistente, di cloud computing e le conseguenti economie di scala consentite per le Pubbliche amministrazioni locali; la necessità di aiutare le imprese a superare l’attuale gap nell’uso di strumenti Ict e di Internet; il superamento del digital divide nei cittadini; le verifiche sul digitale terrestre televisivo; le potenzialità delle più recenti versioni wireless; la formazione del personale degli enti pubblici; le azioni di alfabetizzazione informatica nei villaggi digitali. La promozione di piani di digitalizzazione che ha interessato la programmazione regionale negli ultimi 6 anni è motivata in parte da quanto riportato dal rapporto 2011 La società dell’informazione e della conoscenza in Toscana secondo il quale l’Italia si colloca tra i Paesi più arretrati dal punto di vista dell’infomatizzazione. Un accesso agevole alla rete garantirebbe, soprattutto per un territorio sviluppato in modo non omogeneo come quello qui rappresentato, l’erogazione di servizi al cittadino in modo diretto e capillare, prescindendo dallo spostamento fisico dei residenti. Questo consentirebbe, quindi, lo sviluppo della residenzialità e delle attività produttive in modo più omogeneo sul territorio abbandonando, o almeno attenuando, l’attuale distribuzione della popolazione caratterizzata da accentramenti intorno ai punti di erogazione dei servizi. Occorrerà quindi procedere innanzitutto con l’informatizzazione dei servizi erogati dalla Provincia che consentano l’accesso ai cittadini a distanza, agevolando così i residenti delle zone meno collegate da infrastrutture. Le infrastrutture tecnologiche ed i software supportati dovrebbero, inoltre, consentire di raggiungere i cittadini scienziati che risiedono sul territorio, i creativi, che costituiscono il vero valore aggiunto per lo sviluppo economico e sociale. In conclusione le tecnologie soft supportate dalla rete dovrebbero agevolare l’interazione fra la pubblica amministrazione e gli abitanti di un determinato luogo per poter erogare servizi e poterne creare di nuovi grazie ai contributi degli abitanti stessi. Sulla base delle esperienze esaminate, la Provincia dovrà comunicare sempre di più con i cittadini mediante evolute tecnologie web, attraverso l’uso dei social network e con un portale che sia effettivo punto di accesso ai servizi. Partendo dal presupposto che le nuove tecnologie hanno in sé la potenzialità di far emergere l’innovazione latente, sarebbe interessante sviluppare innanzitutto gli strumenti di partecipazione. Quest’ultima potrà essere garantita innanzitutto mediante la realizzazione di open data, in modo da offrire dati su cui costruire innovazione. La Provincia dovrebbe inoltre offrire la possibilità di accesso e di conoscenza a tutti, creando un ambiente in cui i dati che potrebbero essere utili alla progettazione di interventi da proporre vengano resi leggibili e fruibili dai cittadini.

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Capitolo 2

2) Funzioni e competenze distribuite tra enti locali in modo esclusivo e non ridondante Le funzioni attualmente attribuite alle Province sono sia funzioni proprie sia funzioni delegate, ossia funzioni che lo Stato e le Regioni hanno demandato alle Province ai sensi dell’art .118 della Costituzione. Il processo di delega, stratificatosi negli anni, ha fatto sì che attualmente le funzioni delle Province italiane presentino un quadro non omogeneo (a causa delle diverse determinazioni regionali sulle modalità di svolgimento delle proprie funzioni), ma certamente importante. A titolo di esempio non esaustivo, si riportano di seguito le funzioni attribuite alle Province toscane sulla base di specifiche legge di delega, ricordando che tali funzioni verranno svolte dalle Province fino all’attuazione della legge 56/2014.

Descrizione

Riferimenti

Riferimenti normativi

normativi statali

regionali

Attribuzione agli Enti Locali e disciplina generale delle funzioni amministrative e dei compiti in materia di urbanistica e pianificazione territoriale, protezione della natura e dell’ambiente, tutela dell’ambiente dagli inquinamenti e gestione dei rifiuti, risorse idriche e difesa del suolo, energia e risorse geotermiche, opere pubbliche, viabilità e trasporti conferite alla Regione dal D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112. e successive modifiche ed integrazioni

L.R. 88/98

Viabilità

L.R. 88/98 L.R. 80/82

Controllo scarichi acque reflue Controlli in materia di inquinamento acustico

D. Lgs. 152/06 s.m.i. L. 447/95

L.R. 89/98

Tutela qualità dell’aria

L.R. 33/94

Vincolo idrogeologico e forestale

L.R. 39/00

Smaltimento rifiuti

D. Lgs. 152/06 s.m.i.

Controllo di impianti tecnici

D.P.R. 412/93

Disposizioni in materia di linee elettriche ed impianti elettrici Valutazione di impatto ambientale e Valutazione Ambientale Strategica Autorizzazione Integrata Ambientale

L.R. 25/98 L.R. 61/07

L.R. 39/05 D. Lgs. 152/06 s.m.i. parte II

L.R. 10/10 e s.m.i.

D. Lgs. 152/06 e s.m.i

L.R. 61/03

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La Provincia dei Comuni

Bonifica dei siti inquinati

D. Lgs. 152/06 s.m.i.

Adeguamento al PIT regionale

L.R. 1/05 art. 48

Apporti tecnico – conoscitivi e pareri sugli Strumenti Urbanistici Comunali e loro varianti

L.R. 1/05 art. 15

Deleghe attribuite alla Provincia in materia di controllo urbanistico-edilizio

L.R. 1/05 artt.129 e 92

Norme per il governo del territorio

L.R. 1/05

Piano delle Attività Estrattive di Recupero delle aree escavate e riutilizzo dei residui recuperabili della Provincia (PAERP)

L.R. 78/98

Piano provinciale delle aree sciistiche attrezzate

L.R. 93/93

Circolazione fuori strada dei veicoli a motore: Individuazione dei percorsi

L.R. 48/94

Funzioni e servizi delegati dallo Stato in materia MCTC Funzioni in materia di Protezione Civile

D.Lgs. 112/98 D. Lgs. 285/92 L. 225/92

Antincendi boschivi (AIB)

L.R. 39/00

Attività ittica

L.R. 7/05

Attività di Bonifica

Difesa del Suolo: competenze sulle opere di II^ e III^ categoria idraulica; sulle opere di difesa della costa; polizia idraulica, di piena e di pronto intervento idraulico; polizia delle acque, sbarramenti di ritenuta e bacini di accumulo; demanio idrico.

R.D. 215/33 R.D. 523/1904 R.D. 1285/20 R.D. 1775/33 R.D. 2669/37 D.P.R. 1363/59 D.Lgs.24.03.1982 L.183/89 s.m.i. D.M. 24.01.1996 D.C.R. 47/2003

Attività venatoria Gestione delle riserve naturali e dei parchi provinciali Funzioni amministrative e di controllo delle Agenzie per il Turismo

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L.R. 67/03

L.R. 34/94 e s.m.i.

L.R. 91/98 s.m.i. L.R. 64/09 s.m.

L.R. 3/94 L. 49/95 L.R. 42/00 modificata dalla L.R.14/05 L.R. 65/10


Capitolo 2 Esercizio funzioni amministrative in materia di agricoltura, foreste, caccia e pesca

L.R. 10/89

Diritto allo studio

L.R. 32/02

Interventi in materia di Edilizia Scolastica

L. 23/96

Impiantistica sportiva: finanziamenti

L.R. 72/00

Iscrizione e Revisione Sez. Prov.le R.R. Volontariato Istituzione Consulta Prov.le Volontariato

L.R. 29/96

Registro regionale - articolazione provinciale - delle Associazioni di Promozione Sociale

L.R. 42/02

Albo regionale - articolazione provinciale - delle Cooperative Sociali e loro Consorzi

L.R. 87/97

Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio assistenziali e socio sanitari integrati

L.R. 41/05

Interventi educativi e per l’infanzia

L.R. 32/02

Promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza

L.R. 32/02 L.R. 72/97 Art. 64 – L.R. 41/05 – L.R 59/07 – L.R. 29/09

Osservatorio Provinciale Sociale Accoglienza, integrazione partecipe e tutela dei cittadini stranieri

L.R. 29/09 L.R. 45/00 – L.R. 27/06

Piano Regionale della Cultura - Spettacolo Piano Regionale della Cultura Archivi e sistema bibliotecario

L.R. 27/06 L.R. di settore 35/99

Piano Regionale della Cultura - Musei

L.R. 27/06 L.R. di settore 89/80 L.R. 27/06 - L.R. 88/94

Educazione e formazione musica e canto corale Progetti Regionali in campo culturale

L.R. 27/06 DGR 832/07 POR FSE 2007/2013

Fondo Sociale Europeo (FSE) Gestione della formazione professionale

D.Lgs. 267/00

L.R. 32/02

Mercato del Lavoro

D.Lgs. 467/97

L.R. 32/02

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La Provincia dei Comuni Dal momento in cui la L.56/2014 verrà completamente attuata, il nucleo di funzioni proprie che rimarranno alle Province saranno quelle da essa previste e sopra ricordate. A queste potranno aggiungersi altre funzioni che Stato e Regione potranno decidere di delegare di nuovo all’ente di area vasta. Il ruolo delle nuove Province è pertanto in mano a Stato e Regioni che proprio in questi giorni dovranno decidere, mediante accordo sancito in Conferenza Unificata, su quali materie e se operare di nuovo le deleghe. Ma la nuova provincia sarà soprattutto un ente intermedio al servizio dei Comuni per quei servizi che soprattutto i piccoli Comuni non possono organizzarsi sia a causa della carenza di risorse sia di competenze. La Provincia di Grosseto, prima fra tutte le Province d’Italia, ha già avviato il sistema convenzionato con i Comuni per l’attivazione del servizio stazione unica appaltante, ufficio comunicazione, servizio legale, formazione ed aggiornamento, servizi informatici e riduzione del digital divide.

3) Un dimensionamento in area vasta del perimetro di ricaduta di funzioni e servizi delle Province anche in chiave di sviluppo economico del territorio. Le funzioni attribuite alle Province dalla l.56/2014 sono prevalentemente funzioni di area vasta che secondo la lettura fornita dal prof. Merloni21, sono quelle funzioni non attribuibili ad un Comune per la sua portata territoriale (pianificazione territoriale, ambiente, trasporti, ecc.) e tutte quelle che si configurano come funzione di coordinamento nei confronti dei Comuni del territorio (e non fra Comuni). Alle Province viene tuttavia richiesto anche lo svolgimento di funzioni di prossimità (autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, edilizia scolastica, ecc.). Nel panorama italiano ed europeo, l’unico modello di area vasta in grado di assolvere contemporaneamente alle due funzioni è quello dell’area metropolitana, così come era disciplinata agli articoli 22 e 23 del TUEL prima che l’art. 18 del D.L. 6 luglio 2012, n.95, convertito con modificazioni dalla L. 07 agosto 2012 n.135, poi dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, con sentenza 3 - 19 luglio 2013, n. 220. Sempre guardando al modello europeo, lo studio dell’UPI Le Province in Europa evidenzia la presenza di un blocco di funzioni “core” affidate a livello europeo all’ente di area vasta che riguardano ambiente (pianificazione, tutela, gestione dei rifiuti e delle acque), sviluppo economico (sostegno alle imprese e politiche per l’occupazione), trasporti (viabilità, mobilità, infrastrutture) scuola (compresa l’edilizia scolastica). Lo svolgimento di tali funzioni è possibile grazie all’esistenza di tributi propri assegnati, se pur in misura diversa, agli enti di governo intermedio. Si propone, di seguito, una tabella riepilogativa dei principali enti di area vasta europea con relative funzioni e fonti di finanziamento.

21 - Gli enti intermedi in Europa e la Carta europea delle autonomie locali - Francesco Merloni, Ordinario di diritto amministrativo – Università di Perugia e Presidente onorario del Gruppo di esperti indipendenti sulla Carta europea delle autonomie locali (Consiglio d’Europa) – 3 ottobre 2013

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Capitolo 2 Paese europeo

Funzioni

Fonti di finanziamento

Scuola e trasporto scolastico, infrastrutture, trasporti, assetto del territorio Altre funzioni: assistenza sociale e prevenzione socio-sanitaria; biblioteche centrali, musei e belle arti.

Tassa sulle abitazioni, tassa fondiaria sulle proprietĂ edili e sulle proprietĂ non edili, tassa sulle professioni, trasferimenti statali

Francia

Nome dell’Ente di area vasta Dipartimento

Germania

Kreise

Coordinamento dei compiti dei comuni; educazione ed edilizia scolastica, smaltimento rifiuti e ambiente, pianificazione. Altre funzioni: servizi sociali e sanitari.

Imposta locale sui redditi, imposta sugli immobili trasferimenti statali

Spagna

Deputazione

Entrate tributarie proprie, partecipazione ai tributi dello Stato, fondo di cooperazione economica dello Stato, fondo sanitario.

Italia

Provincia

Coordinamento dei servizi comunali, assistenza e sostegno ai comuni minori, adozione del Piano annuale di cooperazione alla prestazione delle opere e dei servizi comunali. Coordinamento e programmazione territoriale, economica e ambientale; ambiente e smaltimento rifiuti; viabilitĂ e trasporti; igiene pubblica; beni culturali; edilizia scolastica; formazione professionale

Entrate tributarie; entrate extratributarie; trasferimenti statali e regionali

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La Provincia dei Comuni

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Capitolo 3

Capitolo 3

IL NUOVO MODELLO DI PROVINCIA IN AREA VASTA. CREDIBILE E SOSTENIBILE. Quanto rappresentato nei precedenti capitoli, ed in particolare nel capitolo 1, si ritiene sia una sufficiente dimostrazione del fallimento delle ipotesi di mero riordino amministrativo o dell’abrogazione tout court delle Province. L’incertezza ordinamentale delineata e soprattutto la mancanza di un serio ed univoco programma di riordino degli enti locali legittima la speranza che il Legislatore (bicamerale perfetto o meno!) possa ancora considerare il contributo che, in modo qualificato e da più parti si cerca di far pervenire al soggetto decisore, da qualche parte collocato, anche se non in Parlamento. Viene qui presentata una terza via, pur sempre basata su scenari ritenuti concretizzabili anche da una parte dei sostenitori del riordino ex legge Delrio, ma che arriva ad una completa definizione del nuovo ente di area vasta, pertanto pensato non in via transitoria e precaria e tenuto conto dei requisiti di credibilità ricercati dall’attuale Governo. Si parte pur sempre da una posizione di abdicazione in quanto se lo sviluppo delle istituzioni democratiche oggi ha un costo, questo costo, non consiste più soltanto in un tributo economico, bensì nella rinuncia, più o meno consapevole, di importanti luoghi di rappresentatività. La ricerca del consenso imporrebbe, dunque, un secondo livello di governo sia per le Province sia per le Unioni di Comuni sia per le Città metropolitane. Tuttavia è irrinunciabile una concreta realizzazione della legge Delrio in chiave intermedia, rappresentata dal compromesso tra l’abolizione tout court ed il mero riordino amministrativo delle Province. Irrinunciabile in quanto l’abrogazione tout court non soltanto è difficilmente realizzabile ma sarebbe alla fine anche dannosa. L’ipotesi qui trattata s’interessa anche dei confini e dell’ambito ottimale di erogazione dei servizi, assegnando ad un nuovo ente di area vasta ambiti ed obiettivi di interesse nazionale e di sicuro rilievo sovra comunale; consente di raccogliere al meglio i contributi dei costituzionalisti, degli economisti e di quella parte politica che affronta il tema del riordino degli enti locali tenendo conto anche dell’esperienza europea. Quello dell’area vasta è un criterio di organizzazione del territorio riscontrabile nelle legislazioni regionali, nazionale ed europea, utilizzato per il coordinamento tra enti locali e per la pianificazione delle politiche locali, oltre che per l’ottimizzazione delle risorse ad un livello programmato di sviluppo ed ottimale, come per gli ATO. La ragione principale di una lettura ed interpretazione del territorio per aree vaste provinciali sta nel concetto di rete di relazioni, viste come il superamento della dimensione locale, da un lato, e la ricerca di una dimensione della programmazione che supera i confini comunali senza però arrivare al livello regionale dall’altro. L’Area Vasta si configura, quindi, come coordinamento di relazioni sovracomunali, ma all’interno e sub programmazione strategica del territorio regionale.

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La Provincia dei Comuni

Il modello di area vasta metropolitana Già si è detto che la Provincia è per vocazione improntata al modello di area vasta a causa delle funzioni esercitate: infatti, le funzioni attribuite alle Province dalla l.56/2014 sono prevalentemente funzioni di area vasta che secondo la lettura fornita dal Prof. Merloni22, sono quelle funzioni non attribuibili ad un Comune per la sua portata territoriale (pianificazione territoriale, ambiente, trasporti, ecc.) e tutte quelle che si configurano come funzione di coordinamento nei confronti dei Comuni del territorio (e non fra Comuni). Vi sono alcuni principi contenuti nella Carta europea delle Autonomie Locali che danno il senso di come l’Europa intenda l’area vasta. Pur lasciando liberi gli Stati di conformare il proprio assetto delle autonomie locali, richiama gli stessi al principio di sussidiarietà (“l’esercizio delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini” - art. 4 comma 3 della CEAL), insieme al principio che “per autonomia locale si intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell’ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici”(art. 3, comma1). La CEAL precisa inoltre che “l’assegnazione di una responsabilità ad un’altra autorità deve tener conto dell’ampiezza e della natura del compito e delle esigenze di efficacia e di economia” (art. 4 comma 3) e che laddove vi è un’autonomia locale (e quindi il diritto e la capacità effettiva di gestire ed amministrare una parte importante di affari pubblici ai sensi del sopra citato art. 3 comma 1) debbano esservi anche Consigli ed Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale (art. 3 comma 2). Nella Carta Europea delle Autonomie Locali, si sostiene quindi che al conferimento di funzioni proprie debba corrispondere una diretta elettività degli organi di governo. Analizzando le realtà europee, prima dell’approvazione della L.56/2014, solo in 17 dei 19 paesi europei che prevedono nel loro ordinamento la presenza di un ente intermedio politico, prevedevano anche per esso funzioni amministrative proprie, diverse da quelle comunali ed organi di governo direttamente elettivi.23 Solo in Finlandia e Spagna, infatti, gli organi di governo erano eletti indirettamente (dai consiglieri dei Comuni compresi nel territorio Provinciale), ma in tali Paesi la Provincia svolge in realtà compiti comunali (soprattutto a favore dei Comuni più piccoli) e non è dotata di funzioni amministrative proprie. La diretta elettività degli organi è quindi in stretta relazione con la presenza di funzioni proprie. Il modello di ente intermedio mutuato dalla CEAL propende per il c.d. decentramento amministrativo. In Italia, il decentramento amministrativo, è stato fortemente favorito dalla c.d. riforma Bassanini (L. 59/2007) che ha attribuito grande importanza al principio di sussidiarietà, secondo il quale gli interessi ed i bisogni di una comunità possono essere rappresentati e soddisfatti tanto meglio quanto più vicino territorialmente alla comunità è l’ente che di essi si fa carico. 22 - Gli enti intermedi in Europa e la Carta europea delle autonomie locali - Francesco Merloni, Ordinario di diritto amministrativo – Università di Perugia e Presidente onorario del Gruppo di esperti indipendenti sulla Carta europea delle autonomie locali (Consiglio d’Europa) – 3 ottobre 2013 23 - Gli enti intermedi in Europa e la Carta europea delle autonomie locali - Francesco Merloni, Ordinario di diritto amministrativo – Università di Perugia e Presidente onorario del Gruppo di esperti indipendenti sulla Carta europea delle autonomie locali (Consiglio d’Europa) – 3 ottobre 2013

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Capitolo 3 Per questo motivo, nelle grandi aree metropolitane si è optato per un decentramento sub – comunale, ossia mediante l’ulteriore divisione del livello di competenza comunale fra i Municipi di zona. Il decentramento amministrativo è di tipo funzionale, può essere cioè attuato su specifiche funzioni dell’ente centrale che mantiene il proprio potere di coordinamento e controllo. Tuttavia, sempre in Italia, sono rintracciabili diversi modelli per la gestione di funzioni di area vasta. Fra gli enti di area vasta, la città metropolitana è prevista direttamente dalla nostra Costituzione. La città metropolitana è un ente autonomo, costituente l’ordinamento dello Stato insieme a Regioni, Province e Comuni (art. 114), con propria potestà regolamentare in ordine all’organizzazione delle funzioni ad essa attribuite (art. 117), titolare di funzioni proprie e delegate sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (art.118). L’ordinamento delle città metropolitane ed il loro sistema elettorale è stato modificato con la L.56/2014 insieme a quello delle Province e a quello delle Unioni dei Comuni. E’ comunque interessante osservare che dal concetto di città metropolitana previsto dalla Costituzione si è passati, nel Tuel, a quello di area metropolitana. Gli articoli 22 e 23 del TUEL (entrambi abrogati dall’art. 18 del D.L. 6 luglio 2012, n.95, convertito con modificazioni dalla L. 07 agosto 2012 n.135, poi dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, con sentenza 3 - 19 luglio 2013, n. 220) definivano aree metropolitane quelle zone comprendenti un Comune capoluogo ed insediamenti limitrofi con cui intercorrono rapporti di stretta integrazione territoriale e relativi ad attività economiche, servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali. Il passaggio dalla dimensione di città metropolitana a quello di area metropolitana, si ritiene sia stato dovuto ai processi d’industrializzazione e d’urbanizzazione che hanno creato effetti divergenti riducendo la corrispondenza fra ampiezza territoriale ed area di potere amministrativo – istituzionale. A supporto di tale interpretazione si riporta un brano tratto dallo studio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissione per la Garanzia dell’Informazione Statistica24 “La crescita fisica dell’agglomerato urbano si è estesa oltre i confini amministrativi, la popolazione e le attività economiche si sono ridistribuite sul territorio interessando luoghi intorno al nucleo centrale. Le condizioni di vita proprie dell’agglomerazione si sono diffuse, le relazioni funzionali modificate, generando una serie di flussi che connettono le diverse parti del territorio attenuando la corrispondenza fra identità urbana ed identità istituzionale. Dall’emergere di questi fenomeni scaturisce l’interesse ad analizzare queste nuove manifestazioni e a stabilire definizioni funzionali, più aderenti alla realtà, atte ad identificare e delimitare i sistemi urbani e le aree metropolitane. Nel tempo il concetto di sistema urbano si è modificato e con esso anche quello di area metropolitana. Da una semplice agglomerazione di edifici, differenziati in relazione alle attività che vi si svolgono (abitative, lavorative, di servizio, ricreative) e di strade e suolo non edificato destinato ad attività pubbliche e private relative all’impiego del tempo libero, si passa a considerare la presenza di imprese che producono beni e servizi e una diversa “struttura sociale” relativa alla comunità di persone che vive in quel luogo. Una ulteriore evoluzione coglie le relazioni che si instaurano fra la comunità di persone e le sedi dove viene svolta l’attività 24 - “La statistica per le aree metropolitane e sulle aree metropolitane: proposta per un sistema informativo integrato” (maggio 2006)

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La Provincia dei Comuni giornaliera, mentre l’ultimo passo considera le responsabilità connesse con i compiti di governo locale. Una precisa delimitazione delle aree metropolitane, dal punto di vista statico, risulta difficoltosa a causa del continuo sviluppo delle metropoli centrali verso la campagna e perciò un’area metropolitana mal si adatta ad essere compresa in un perimetro entro il quale i problemi possono essere studiati come fatto unico ed omogeneo. (omissis) Si può affermare, semplificando, che i primi studi sul fenomeno metropolitano seguono due principali direzioni. Una prima concepisce l’area metropolitana come un tipo di “regione geografica” vista come un continuum urbanizzato, un concetto monoperimetrale di area, connesso alla contiguità degli insediamenti. Tale accezione, basata sulla contiguità spaziale o conurbazione, fin dall’inizio non ha però soddisfatto gli studiosi che hanno rivolto la loro attenzione alle interrelazioni presenti nell’area metropolitana. La seconda direzione di studi, avviata a partire dalla riflessione della scuola di Chicago, introduce una definizione di “comunità metropolitana” intesa come un sistema integrato di funzioni cui corrisponde un determinato habitat. Sia che ci si riferisca all’interdipendenza economica dell’area urbana centrale con le aree esterne che vengono, così, a costituire una struttura unica, sia che si delinei la comunità metropolitana come un complesso di sotto comunità interdipendenti, dominate dalla metropoli, sia che la comunità metropolitana si distingua in base ad una gerarchia di funzioni in essa presenti questa seconda definizione dell’area metropolitana implica un rapporto di necessità fra funzione e suo manifestarsi nello spazio. Nel mondo contemporaneo, però, la continuità spaziale non appare più connotato essenziale della realtà urbana. Lo sviluppo delle migrazioni pendolari è il fenomeno più evidente della frattura fra continuità fisica ed integrazione funzionale. Il raggio di spostamento del pendolare per lavoro viene allora assunto a criterio preferenziale per l’individuazione dell’area metropolitana.” L’area metropolitana, sulla base degli studi derivati dalla scuola di Chicago, viene definita come “un sistema di funzioni interrelate, distribuite anche discontinuamente nello spazio” e supera il concetto tradizionale di città metropolitana caratterizzata invece dalla conurbazione. All’interno di un’area metropolitana possono pertanto esserci zone che non presentano fra di loro continuità fisica (di tipo edificatorio ed abitativo), ma solo un’integrazione di tipo funzionale che induce gli abitanti di una zona a spostarsi verso un’altra. Il fenomeno delle migrazioni pendolari diviene quindi indice di presenza di un’area metropolitana. Per questo motivo la definizione dei confini territoriali di un nuovo ente dovrebbe basarsi innanzitutto sullo studio del territorio dal punto di vista della densità abitativa (strettamente collegata alla morfologia territoriale), degli insediamenti produttivi, della distribuzione dei servizi e dei flussi di pendolarismo. In questa sede dunque, si propende per la costruzione della nuova provincia in area vasta secondo le specifiche sviluppate a livello internazionale, europeo ed ora anche italiano dell’area metropolitana. Dunque, anche nelle parti di territorio non coperte dalla Città metropolitana, le Province potrebbero – per continuità ed omogeneità – proporsi come gestori dell’area metropolitana. Occorre conseguentemente escludere in modo categorico che gli obiettivi e lo sviluppo di un determinato territorio che si assume “vasto” possa essere affidato ai Comuni o ad associazioni di questi o ai c.d. ATO, come pure è sostenuto dai fautori dell’ipotesi abolizionista.

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Capitolo 3 Brevemente, ecco perché: L’ATO (ambito territoriale ottimale) è stato introdotto fin dalla legge 319/76 (legge Merli), che ne aveva previsto l’istituzione senza efficacia imperativa nei confronti dei Comuni interessati per la tutela delle acque dall’inquinamento. Successivamente, con la L. del 5 gennaio 1994, n. 36, (legge Galli), l’ambito territoriale ottimale veniva introdotto per l’organizzazione del servizio idrico integrato. Gli ambiti dovevano essere delimitati in modo da rispettare l’estensione dell’unità di bacino idrografico e superare la frammentazione delle gestioni conseguendo adeguate dimensioni gestionali. La Legge Galli venne abrogata quasi completamente dal D. Lgs. n. 152/06 (Testo Unico Ambientale) che conferisce all’ATO il compito di “organizzare, affidare e controllare la gestione della risorsa idrica” (art. 148, comma 2, D. Lgs. n. 152/06). ` Infine la legge di conversione del decreto legge del 25 gennaio 2010 n.2 recante Interventi urgenti concernenti Enti Locali e Regioni n.42 del 26 marzo 2010 ha decretato la soppressione delle Autorità d’Ambito a partire da un anno dalla sua approvazione (cioè entro il 27 marzo 2011), stabilendo che le Regioni ripartiscano le funzioni degli ATO ad altri enti, in ottica di semplificazione e di conseguimento dei risparmi. L’ATO è quindi un territorio su cui sono organizzati servizi pubblici integrati (come ad esempio quello dei rifiuti o quello idrico) in modo unitario. Il principio sul quale si fonda il concetto di ambito territoriale ottimale è quello della cooperazione tra enti locali volta ad attuare una complessiva riorganizzazione di un servizio per la gestione efficace dello stesso senza tuttavia prescindere dalla titolarità di ciascuno di tali enti per il territorio di competenza. Non essendo titolare di funzioni proprie, all’ATO non viene nemmeno garantita un’elettività di secondo grado e gli organi istituzionali sono composti da sindaci, presidenti di Provincia o loro delegati o da rappresentanti di altri organismi che già operano sul territorio (come ad esempio consorzi). La programmazione degli interventi messi in atto da un ATO, non è quindi espressione diretta del bisogno relativamente a quel determinato servizio del territorio su cui l’ATO opera, rappresentabile solamente mediante un’elezione degli organi, ma di una volontà che prende forma direttamente in organi costituiti da soggetti che hanno ricevuto il consenso dei cittadini su temi ed in ambiti (anche territoriali) diversi. L’ambito di azione delle ATO è quindi relegato nella gestionalità, relativamente alla quale vengono scelte modalità di realizzazione e di organizzazione al fine di recuperare in efficacia ed in efficienza, ma si affievolisce, rispetto alla gestione dei servizi direttamente a livello comunale o Provinciale, la possibilità da parte dei territori di esprimere, attraverso la programmazione, possibili soluzioni alle loro problematiche e scenari di sviluppo. La struttura e le finalità dell’ATO non è pertanto compatibile né con l’esercizio di funzioni proprie né per l’erogazione di servizi che, per definizione, hanno una ricaduta in area vasta e di prossimità. L’ATO ha un perimetro definito di ricaduta, assunto appunto come ottimale. Oltre all’ATO, in Italia si è abbastanza diffusa l’Unione di servizi, modello di gestione di funzioni di area vasta derivante dall’esperienza dell’unione di Comuni di cui all’art. 32 del D. Lgs. 267/2000. La disciplina dell’art. 32 inquadra l’unione di Comuni come ente locale territoriale di secondo livello, cui si applicano i principi previsti per l’ordinamento dei Comuni. Obiettivo per cui si creano le Unioni è quello di esercitare congiuntamente

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La Provincia dei Comuni una pluralità di funzioni di competenza dei Comuni, migliorando in efficacia ed in efficienza. I singoli Comuni facenti parte dell’Unione trasferiscono cioè alla stessa alcune funzioni e servizi che vengono così sottratti alla titolarità diretta del Comune. Secondo il rapporto nazionale 2010 sulle unioni di Comuni, “i servizi che determinano maggiori economie quando questi sono associati, riguardano l’area dei lavori pubblici e delle manutenzioni, seguiti dal servizio di mensa scolastica e dalla funzione Gare e Appalti. Appaiono anche molto apprezzate dagli amministratori le opportunità di risparmio generate per le funzioni di segretariato generale e affari generali: questi, unitamente ai servizi di gestione dei Tributi, rappresentano un fronte ad oggi poco frequentato, ma potenzialmente utile per aumentare la strutturazione complessiva dell’ente. Tra i diversi benefici generati dall’Unione, l’aumento della qualità dei servizi erogati tende ad essere un effetto maggiormente percepito per quei servizi che tendenzialmente non esisterebbero in assenza di Unione: URP, Turismo, Sportello unico per le imprese.” Anche l’unione di servizi si colloca, quindi, in una dimensione “gestionale” e non decisionale e programmatoria dell’attività amministrativa. L’Unione di servizi presuppone un trasferimento della titolarità di alcune funzioni all’unione dei Comuni, che tuttavia le svolgono in nome e per conto di ciascuno degli enti facenti parte dell’Unione stessa. Il trasferimento di funzioni all’Unione di Comuni avviene cioè esclusivamente per migliorare le capacità dei singoli enti che dell’unione fanno parte e che, da soli, non avrebbero le risorse (economiche, umane, strumentali) per far fronte a tutte le competenze loro assegnate. Anche per l’Unione vale quanto detto per l’ATO: la struttura e le finalità non è compatibile né con l’esercizio di funzioni proprie né per l’erogazione di servizi che, per definizione, hanno una ricaduta in area vasta e di prossimità. L’unione ha un perimetro definito di ricaduta, quello dei territori dei singoli Comuni. Ancora più che l’unione di servizi, la gestione associata di funzioni prescinde dalla dimensione programmatoria delle azioni, che resta di competenza dei singoli enti locali che si convenzionano. La convenzione prende origine dalla necessità di gestire alcune funzioni obbligatorie e costose non più individualmente, al fine di recuperare efficacia ed efficienza. La gestione associata è quindi esclusivamente una modalità organizzativa scelta da due o più enti locali per ottimizzare l’uso delle risorse, ma non assolve alcun compito in tema di programmazione e sviluppo del territorio. La gestione associata di funzioni non presuppone evidentemente alcuna titolarità della funzione attribuibile al soggetto gestore delle funzioni stesse, permanendo la stessa in capo agli enti convenzionati. Conclusioni In sintesi l’ipotesi proposta (e definita nel capitolo precedente come intermedia fra l’ipotesi di riordino amministrativo della Delrio e quella di abrogazione) recepisce quanto illustrato prevedendo un ente che: • • • •

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svolga sia funzioni di area vasta che di prossimità (anche altre rispetto a quelle attribuite direttamente dalla L.56/2014 in sostituzione parziale, ad esempio delle Prefetture) di rilievo super comunale; adotti, quale modello di area vasta, quello dell’area metropolitana; definisca i propri confini a partire dallo studio del territorio e dalla programmazione dello sviluppo a livello regionale; persegua obiettivi di sviluppo di un determinato territorio nell’ambito della programmazione statale e regionale.


Capitolo 3 Il modello di Provincia garantisce il rispetto almeno parziale dei principi e criteri europei, ripercorrendo l’esperienza di altri Stati in cui l’ente intermedio esiste e ricopre funzioni proprie ed in area vasta. Come è stato più volte rimarcato la necessità di mantenere un ente intermedio nasce, anche in altri paesi europei, dall’esigenza di gestire funzioni c.d. “di area vasta”. L’esigenza di organizzare in ambito sovracomunale alcune funzioni ha fatto propendere alcuni per l’affidamento delle stesse alle già disciplinate Unioni di Comuni. Si osserva tuttavia che se questo può effettivamente risolvere alcune problematiche laddove le funzioni assegnate alle Unioni siano di tipo esclusivamente amministrativo, i processi politico – decisionali potranno difficilmente essere correttamente interpretati e ricomposti a livello di Unione. L’interesse che sottende allo svolgimento di questi processi non può infatti essere rappresentato dalla somma degli interessi dei singoli Comuni coinvolti, ma necessita di un soggetto in grado di rappresentare l’interesse territoriale comune, che difficilmente coincide con la salvaguardia delle specificità territoriali. Ulteriori funzioni che andrebbero attribuite alla nuova Provincia sono quelle collegate ad obiettivi di rilievo nazionale e rispetto ai quali è possibile registrare ad oggi un fallimento del particolarismo e sviluppo disomogeneo che caratterizza oggi le autonomie locali. Si tratta prevalentemente di obiettivi, si pensi p.e. alla riduzione del digital divide, che prevedono realizzazioni omogenee su tutto il territorio nazionale e che invece il sistema delle autonomie locali non riesce a garantire in modo uniforme. Tali obiettivi non possono tuttavia essere raggiunti direttamente dallo Stato e nemmeno dalla Regione perché troppo distanti dai territori, né attraverso i Comuni a causa della ridotta dimensione e carenza di competenze specifiche. Per fare un esempio, basti pensare all’informatizzazione dei Comuni; in questo ambito negli ultimi anni si è assistito ad uno sviluppo a macchia di leopardo, con l’adozione di sistemi informatici diversi fra loro e con funzionalità differenti. Questo obiettivo, tanto importante per lo Stato da voler intervenire direttamente con norme proprie sull’argomento, non può essere raggiunto in modo uniforme dal punto di vista territoriale affidandolo alle singole amministrazioni. I Comuni cadono infatti in logiche particolari né sembrano riuscire immediatamente ad individuare dei centri associati di organizzazione e pianificazione di un servizio che dovrebbe essere comune a tutti. Si assiste altresì al fallimento del mercato il quale, per ragioni commerciali, spinge i singoli enti ad adottare soluzioni autonome, personalizzate e quindi differenziate, con notevole moltiplicazione di realtà e di costi. Oltre le funzioni sopra ricordate, potrebbero essere attribuite alla nuova Provincia, in stretta sinergia con le Prefetture, tutte quelle funzioni puramente amministrative oggi attribuite alla Prefettura, come ad esempio la concessione di autorizzazioni come ad esempio le patenti. In Spagna ad esempio, dove le Province non sono presenti come livello di governo ma solo come livello amministrativo (proprio come proposto dalla legge Delrio per l’Italia), la Provincia è molto simile alle Prefetture italiane. In Spagna l’ente intermedio è diventato di secondo livello perché le potenti Regioni autonome spagnole hanno inteso ridimensionare la realtà Provinciale di origine franchista. In Italia invece si registra invece il processo opposto: obiettivo dello Stato è quello di rafforzare la propria presenza sul territorio, una presenza che al contempo sia snella e poco costosa, in quanto non riesce ad organizzarla attraverso gli enti locali per cui interviene direttamente ma con poca efficacia. Nell’ipotesi in cui alcune funzioni delle Prefetture potessero essere svolte dalle Province, queste ultime dovrebbero esercitar-

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La Provincia dei Comuni le attraverso il proprio Presidente che agirebbe in rappresentanza dello Stato così come del resto sia lui che il Sindaco stanno già operando su alcune materie loro affidate dall’ordinamento (ad esempio in materia ambientale). Le Prefetture potrebbero quindi essere organizzate a livello regionale, mantenendo un vicariato a livello Provinciale. Seguendo sempre l’esempio europeo ed i principi della Carta Europea delle Autonomie Locali il permanere di funzioni proprie presupporrebbe che gli abitanti delle Province vengano messi in grado di eleggere i propri rappresentanti. Per questo sarebbe stato essenziale mantenere la rappresentatività degli Organi, escludendo l’ipotesi dell’elezione di secondo grado. Una Provincia non più elettiva diviene infatti un ente distante dal cittadino e rischia di rappresentare semplicemente il soggetto gestore di servizi ed azioni pianificati da altri soggetti, con l’unico obiettivo di migliorarne l’efficacia e l’efficienza. La terza proposta di riordino, che si pone appunto in una posizione intermedia, prevederebbe che almeno il Presidente della Provincia possa rimanere elettivo. Allo stesso tempo la non coincidenza fra la carica di Presidente e quella di uno dei Sindaci del territorio garantirebbe almeno in parte la terzietà dell’ente Provincia rispetto ai Comuni, favorendo l’affermarsi dell’interesse comune nelle scelte che coinvolgono l’interesse di più Comuni. L’Assemblea dei sindaci difficilmente potrebbe infatti rappresentare il luogo ideale per ricomporre gli interessi di un territorio, laddove ogni sindaco finirebbe per rappresentare soltanto l’interesse del proprio Comune ed il Presidente rischierebbe non solo di subire la critica e il fallimento di colui che rappresenta soltanto il suo territorio ma diverrebbe, alla fine, solo una sorta di mediatore tra gli interessi rappresentati dai vari Sindaci. A supporto della su esposta elezione diretta presidenziale depone la natura delle funzioni sovracomunali (come ad esempio il TPL, l’edilizia scolastica, la pianificazione territoriale ecc.), necessariamente organizzate in un momento rappresentativo. L’alternativa è che le Regioni o lo Stato, non riuscendo a gestirle centralmente e non volendole (o non potendole) trasferire alle Province finiscano per costituire nuove agenzie ad hoc, per altro contro le indicazioni della L. 56/2014. La presenza di un Presidente elettivo consentirebbe anche di svolgere eventuali funzioni delle Prefetture che volessero essere assegnate alle nuove Province, funzioni nelle quali il Presidente, come già precisato, rappresenterebbe direttamente lo Stato. Come ultimo elemento a sostegno di questa ipotesi aggiungiamo che con l’elezione del Presidente ridurremmo le critiche che sono state fatte a chi vuole come Presidente della Provincia un Sindaco che alla fine finisce per essere sì un Sindaco ma anche un Presidente assente. L’ipotesi qui sostenuta propende, come già precisato, per il modello dell’area vasta metropolitana e non prescinde anche da una eventuale revisione dei confini territoriali, qualora questa si rendesse necessaria. Infatti la realtà italiana ha registrato il proliferare di Province i cui confini coincidono con la Regione di appartenenza o con quello di pochi Comuni. Se infatti quello che si persegue è un maggior livello di efficienza, prima di procedere ad un qualsiasi riordino territoriale, sarebbe necessario verificare se esiste una fascia dimensionale ottimale. Questa è una delle domande cui ha cercato di rispondere lo studio Una proposta per il riassetto delle Province condotto dall’Università Commerciale Luigi Bocconi per conto dell’Unione delle Province Italiane. Le informazioni ricavate dall’analisi dei dati

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Capitolo 3 su entrate, spese e dimensioni degli enti locali ha dimostrato che non esiste una relazione statisticamente significativa tra dimensione, territoriale e demografica, delle Province e il loro livello di efficienza amministrativa. Le inefficienze presenti non possono quindi essere eliminate semplicemente eliminando gli enti più piccoli; il metodo per conseguire un miglioramento dell’efficienza potrebbe invece essere ottenuto accorpando le realtà minori, senza tuttavia che possa ritenersi applicabile in modo automatico alcun criterio di natura meramente statistica. Per individuare una fascia dimensionale di riferimento è invece necessario lo studio di più variabili. In particolare lo studio dell’Università Bocconi prende in esame il dato sulla spesa media per abitante evidenziando una relazione inversa fra questa variabile e la dimensione demografica delle Province, con un calo prima accelerato e poi sempre meno accentuato e più lineare. L’altra variabile considerata, l’autonomia finanziaria delle Province, è al contrario, direttamente proporzionale alla loro dimensione, con una curva di approssimazione che prima cresce velocemente e poi tende a divenire lineare.

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La Provincia dei Comuni

Per entrambe le variabili, il punto in cui le curve tendono a divenire lineari si colloca intorno ai 350.000 abitanti e si evidenzia che l’autonomia finanziaria degli enti cresce al crescere della dimensione demografica, con una forte crescita del tasso di autonomia fino ai 500.000 abitanti. Da queste variabili possono essere tratte indicazioni per valutare il posizionamento teorico in termini di efficacia di nuovi enti derivanti da eventuali modifiche dei confini Provinciali esistenti. Tuttavia per individuare i confini territoriali di nuovi enti non è possibile basarsi esclusivamente su dati numerici. Non è possibile, ad esempio non considerare che il territorio nazionale è un territorio vasto, ricco ma anche molto diversificato che, per la sua morfologia, non consente un’uniforme densità abitativa ed una omogenea distribuzione anche dei centri di produzione di beni e servizi. Nel definire i confini territoriali occorrerà quindi tener conto dell’intensità dei rapporti che in esso si realizzano relativamente alle attività economiche, ai servizi essenziali, alle relazioni culturali ed alle caratteristiche territoriali. Lo stesso Comitato per le Autonomie Locali della Toscana, per la formulazione delle ipotesi di riordino, ha preso in esame lo studio Quali assetti istituzionali per la Toscana condotto da Irpet al fine di individuare i principali flussi economici e di pendolarismo fra le attuali Province.

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Capitolo 3 Ma per delineare i confini come anche le specifiche funzioni delle nuove Province è necessario rivolgersi ai sistemi di area vasta metropolitana. La legge 56/2014 mantiene in capo alle nuove Province le funzioni di pianificazione territoriale e dei servizi di trasporto e di programmazione della rete scolastica, (oltre ad altre funzioni più prettamente amministrative e gestionali); questo ci autorizza a sostenere che il legislatore non intenda relegare la Provincia ad un mero ruolo gestionale. La funzione di programmazione, infatti, è propria di un ente che è in grado di esprimere le necessità e le esigenze del proprio territorio e dei suoi abitanti e che viene quindi messa in condizioni di decidere le proprie prospettive di sviluppo. La Provincia ex L.56/2014 è inoltre titolare di funzioni proprie, cosa che, insieme al profilo non esclusivamente gestionale ad essa attribuito, portano ad eliminare sia l’ipotesi dell’Ambito Territoriale Ottimale che quelli dell’Unione e della gestione associata di servizi dai modelli di area vasta accoglibili. Le nuove Province dovranno essere in condizioni di gestire contemporaneamente funzioni di area vasta e funzioni di prossimità (soprattutto se, come nell’ipotesi qui sostenuta, alla Provincia venissero attribuite anche alcune delle funzioni delle Prefetture). Tornando alla definizione di funzione di area vasta, Francesco Merloni afferma che “la prima caratteristica delle funzioni di area vasta è di essere funzioni non attribuibili ai Comuni”. Lo stesso Merloni contempla tuttavia un’eccezione:“diverso il caso delle aree metropolitane nel quale vi è un sistema speciale di distribuzione delle funzioni: al livello metropolitano vanno, insieme, funzioni di area vasta e funzioni comunali che richiedono un tasso di integrazione molto forte”25 L’area metropolitana, per quanto motivato anche dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (cfr. lo studio “La statistica per le aree metropolitane e sulle aree metropolitane: proposta per un sistema informativo integrato” (maggio 2006) – nota 23), sembra essere anche il modello in grado di accogliere quello che è il nostro principio di definizione dei confini del nuovo ente che, come sopra precisato, dovrà tener conto dell’intensità dei rapporti che in esso si realizzano relativamente alle attività economiche, ai servizi essenziali, alle relazioni culturali ed alle caratteristiche territoriali. Per questi motivi il modello di area vasta da noi accolto è quello dell’Area metropolitana con l’attribuzione sia di funzioni proprie sia di pianificazione e coordinamento sovra ed intercomunale. Sulla base di uno studio condotto dall’Avv. Giuseppe Ragadali26 sulle possibili forme associative uno dei principali motivi di fallimento del modello di governance denominato Progetto ‘8027, sta proprio nella mancanza di una legittimazione democratica, ossia nell’assenza di un livello di governo metropolitano che porta all’imposizione delle scelte del Comune capoluogo su tutta l’area, senza alcuna forma di rappresentanza politica per i cittadini dei comuni limitrofi.

25 - Gli enti intermedi in Europa e la Carta europea delle autonomie locali - Francesco Merloni, Ordinario di diritto amministrativo – Università di Perugia e Presidente onorario del Gruppo di esperti indipendenti sulla Carta europea delle autonomie locali (Consiglio d’Europa) – 3 ottobre 2013 26 - cfr. Le forme associative – Avv. Giuseppe Ragadali – aprile 2011 27 - Durante il processo di industrializzazione degli anni 50 e 60 il governo italiano lanciò un progetto ambizioso di sviluppo equilibrato che assunse il nome di Progetto 80 con gli obiettivi di risanare gli squilibri territoriali (economici e sociali) dovuti ai limiti della mancata pianificazione durante il boom economico e di ripianare i gap territoriali esistenti (es: Nord-Sud, Costa-Collina, Adriatico-Tirreno, Città-Campagna). Le iniziative del Progetto 80 non sortirono gli esiti sperati, anche se apportarono qualche miglioramento economico nelle zone in cui era prevista una linea d’azione di rilancio economico

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La Provincia dei Comuni Secondo il principio di sussidiarietà e adeguatezza, propri del decentramento amministrativo, la programmazione in area vasta non dovrebbe, quindi, trasformarsi nella semplice somma di progetti negoziati dall’alto, ma nell’accoglimento di una domanda che scaturisce dal basso. La Provincia dovrebbe avere almeno un organo elettivo per poter rappresentare al meglio le istanze territoriali e per poter svolgere il ruolo di programmazione dello sviluppo territoriale in modo autonomo. Perseguire il modello dell’area metropolitana e del decentramento, che implica anche mantenere l’attuale rappresentatività degli organi, consentirà un riordino delle Province che non garantisca solo più alti livelli di risparmio, ma anche una maggiore efficacia ed efficienza dei servizi grazie ad una programmazione aderente alla realtà territoriale. Il modello dell’area metropolitana è stato sostenuto anche dall’Unione Europea nei documenti di programmazione dell’ultimo decennio. Si ripercorrono di seguito alcuni dei documenti europei di rilievo che hanno segnato l’evoluzione del modello metropolitano in Europa.

L’esperienza di area metropolitana in Europa In occasione del Consiglio europeo di Lisbona (marzo 2000) i capi di Stato o di governo hanno avviato una strategia detta di Lisbona con lo scopo di fare dell’Unione europea (UE) l’economia più competitiva del mondo e di pervenire alla piena occupazione entro il 2010. La Strategia, basata su tre pilastri (economico, sociale ed ambientale) e sviluppata nel corso di diversi Consigli europei successivi a quello di Lisbona, prevedeva un metodo di coordinamento aperto fra gli Stati Membri che comprendeva anche l’elaborazione di piani d’azione nazionali, ma anche l’adattamento e il rafforzamento dei processi di coordinamento esistenti: il processo di Lussemburgo per l’occupazione, il processo di Cardiff per il funzionamento dei mercati (beni, servizi e capitali) e il processo di Colonia in merito al dialogo macroeconomico Un aspetto essenziale dell’applicazione della Strategia di Lisbona in riferimento all’area metropolitana è stata la governance efficace, ossia il riconoscimento dell’’esigenza d’integrare le considerazioni economiche, sociali ed ambientali. In tale quadro, la nota del Presidente di Eurometrex28 - European Metropolitan Regions and Areas, chiede che le istituzioni ed i governi degli Stati membri e le regioni legislative riconoscano le Regioni e le aree metropolitane quali: • Categoria territoriale con problemi e opportunità che vanno ben oltre i centri urbani • Entità col potenziale giusto per realizzare gli obiettivi di Lisbona • Partner nel tracciare l’Agenda di Lisbona e nel tradurla in azioni 28 - Risposta di METREX alla Comunicazione dalla Commissione europea “Lavorare insieme per la crescita e l’occupazione – Il rilancio della Strategia di Lisbona (COM( 2005)24).

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Capitolo 3 A titolo non esaustivo, si riportano alcuni esempi di area metropolitana in Europa. Dal 1993 in Germania è stato avviato un dibattito approfondito sulle aree metropolitane. Nell›analisi tedesca si è passati da un approccio tradizionale della mappa nazionale delle città, dei Comuni e dei Länder a un approccio diverso, che presenta una nuova mappa della Germania, con nuovi Leitbilder (modelli, orientamenti). Ad esempio la regione metropolitana di Norimberga comprende la città di Norimberga e una serie di Comuni urbani e rurali contigui. Altre aree metropolitane, come quelle di Francoforte/Reno/Meno e Amburgo, abbracciano in parte vari Länder; mentre altre ancora, ad esempio Monaco e la Ruhr, appartengono a un unico Land. In numerosi casi, come ad esempio nel settore della cultura, dello sport, della sostenibilità e del paesaggio, vi è già una regionalizzazione tematica. In tutti i casi il territorio comprende città, grandi e piccole, e zone rurali. In tal modo si riesce a delimitare bene il territorio delle aree metropolitane in questione. Sulla base degli orientamenti e dei programmi d’azione in materia di politica di assetto territoriale (risalenti al 1992 e al 1995), che avevano sottolineato l’importanza e i compiti delle aree metropolitane, la Germania presenta 11 regioni metropolitane, in seguito alla decisione della Conferenza interministeriale dei ministri per l’assetto territoriale del governo federale e dei Länder svoltasi il 30 giugno 2006. Per sostenere la legittimità di questo nuovo approccio, le aree metropolitane sono invitate a instaurare sistemi di rappresentanza democratica, ciascuna in base alle proprie specificità e alla propria visione. Esse sono libere di definirne le modalità, per esempio mediante elezioni dirette (come nel caso della regione di Stoccarda) o tramite una rappresentanza indiretta delle città e dei Comuni (come in quello della regione di Norimberga). Fra gli obiettivi politici da discutere e realizzare nel contesto di tali aree metropolitane (che presentano peraltro caratteristiche diverse) figurano: garantire la massa critica necessaria alla competitività, creare le condizioni per una governance efficace, chiarire la ripartizione delle responsabilità, sviluppare un’organizzazione spaziale policentrica, trovare un equilibrio soddisfacente fra urbanizzazione e protezione degli spazi rurali, sviluppare le infrastrutture di trasporto e assicurare la mobilità, sostenere l’innovazione e i cluster economici, gestire i rischi tecnologici e i rischi naturali, disporre delle risorse necessarie per gli investimenti pubblici, migliorare l’accessibilità internazionale e assicurare la promozione della regione. In Gran Bretagna l’interesse per lo sviluppo rafforzato delle metropoli risale all’inizio del secolo. Nel 2004 è stata pubblicata una nota governativa sulla competitività delle aree metropolitane diverse da quella londinese. L’obiettivo era quello di creare condizioni per accrescere l’autonomia delle città-regioni in un contesto internazionale. Ma il processo previsto è stato bloccato, soprattutto a causa dell’esito negativo di un referendum sulla creazione di un’assemblea regionale nella regione di Newcastle. Il dibattito in Gran Bretagna verte attualmente sulla ripartizione delle competenze fra il livello nazionale e il livello regionale da un lato e, dall’altro, fra le città e i Comuni delle Regioni più popolose, che erano state individuate come future aree metropolitane. L’idea di creare delle city-regions (città-regioni) rimane d’attualità. Nonostante l’ambiguità del dibattito in corso, fra

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La Provincia dei Comuni breve sarà pubblicato un Libro bianco sull’argomento. Sulla base di criteri riconosciuti si sta inoltre mettendo a punto una nuova organizzazione spaziale, simile a quella tedesca. In Francia il dibattito in materia è in corso sin dal 1960. Fino a poco tempo fa erano state prese solo pochissime misure concrete perché la dimensione politica del dibattito era stata sottovalutata. Questa mancanza di una dimensione politica è peraltro una caratteristica che si ritrova in tutta Europa. Nel 2004 la DIACT - Délégation interministérielle à l’aménagement et à la compétitivité des territoires - ha lanciato un invito a presentare progetti metropolitani per stimolare la cooperazione fra le grandi città e sostenere lo sviluppo economico delle aree metropolitane. Quindici progetti metropolitani preparati dagli enti locali sono stati selezionati da una commissione giudicatrice composta da direttori dei ministeri interessati e da esperti. Essi sono stati poi finalizzati nel 2006. Nel 2007 per la realizzazione di azioni “strutturanti” sono stati varati contratti metropolitani che beneficeranno del sostegno finanziario dello Stato. Con questa iniziativa la DIACT riconosce l’importanza delle aree metropolitane come attori chiave della competitività dei territori. In Spagna il dibattito territoriale è condizionato dall’autonomia territoriale e dalla presenza di comunità autonome (come quella Basca) che dispongono di competenze esclusive. Nel contempo, sono in atto un processo di rafforzamento delle grandi città e una prova di forza fra il governo centrale, le comunità autonome e aree metropolitane come Madrid, Barcellona e Valencia. Un modello a parte è quello di Bilbao, che rappresenta un successo sotto il profilo della metropolizzazione, con un partenariato pubblico-privati. Il processo di individuazione delle aree metropolitane non si limita ai grandi paesi né ai paesi in quanto tali. Gli esempi delle aree metropolitane di Centropa, ossia Vienna-Bratislava-Brno-Györ, regioni situate in quattro paesi diversi, e dell’area di Copenaghen-Malmö (Danimarca e Svezia) sono quelli più conosciuti. Nei Paesi Bassi è in corso un dibattito approfondito sulla governance più appropriata per la Randstad (area metropolitana dei Paesi bassi occidentali), allo scopo di eliminare la frammentazione amministrativa che ne blocca lo sviluppo infrastrutturale, spaziale e socioeconomico. Nei nuovi Stati membri è in atto un’evoluzione paragonabile a quella dei paesi menzionati precedentemente. In Polonia il governo ha individuato un certo numero d’aree metropolitane o città-regioni. Ne è un esempio la regione di Katowice, che recentemente ha acquisito uno status specifico di area metropolitana. Tuttavia, lo sviluppo urbano e metropolitano avviene di regola in modo non controllato e conseguentemente arbitrario a causa della mancanza di un’adeguata governance regionale. È per questo che alcune metropoli stanno prendendo come punto di riferimento le pratiche e il know-how di paesi che hanno una tradizione in materia di politiche decentrate. Nel processo di metropolizzazione sono coinvolte anche le camere di commercio e dell’industria (CCI) in quanto rappresentanti ben visibili e attivi del mondo degli affari a livello locale e regionale, in particolare le camere di commercio delle capitali e delle città-regioni. Esse contribuiscono ovunque a rendere attraenti i loro territori e ad accrescere l’influenza economica culturale dei loro territori, pur tenendo conto delle esigenze della qualità della vita e del rispetto dell’ambiente.

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Capitolo 4

Capitolo 4

I drivers del cambiamento La riforma delle Province è un processo normativo avviato, ma caratterizzato da una fase transitoria lunga dall’esito incerto: abolizione o riordino in area vasta? Ad oggi, con esclusione delle parti sindacali, nessuno si è dichiaratamente interessato del mantenimento qualiquantitativo di quelle funzioni e servizi ancora affidate al management delle Province. E’ indubbio che la burocrazia provinciale, nelle concitate fasi di supplenza e poi di relativa presenza dei Presidenti è chiamata ad uno sforzo di continuità e trapasso da un modello gestionale ad un altro. La pubblica amministrazione è storicamente interessata da cambiamenti continui, lenti, legati al mutare naturale dei contesti socio economici e delle realtà organizzative. Il ciclo di Deming (miglioramento continuo della qualità) procede per piccoli passi, prendendo in esame un aspetto alla volta di ciò che è necessario ottimizzare. Lo stesso D. Lgs. 150/09, di recente introduzione, richiama gli enti locali all’introduzione nella propria gestione del ciclo della performance, che mette a sistema molti degli strumenti già noti agli enti e di fatto già utilizzati (documenti di programmazione e di rendicontazione, controllo di gestione, ecc.) secondo il ciclo di Deming. Questo tipo di cambiamento viene realizzato mediante azioni di miglioramento continuo, ed è quindi costituito da tanti piccoli cambiamenti messi in atto da tutto il personale e ne presuppone il coinvolgimento. L’attuale momento di cambiamento non è assimilabile al miglioramento continuo e a piccoli passi, perché la Pubblica Amministrazione pur non vedendo modificati gli strumenti di base con i quali agire, vede ridefinire in modo repentino le proprie funzioni ed i propri ruoli. Tale cambiamento non è cioè la conseguenza di un naturale processo evolutivo maturato in seno agli enti locali, ma è indotto da fattori esterni (drivers) non controllabili la cui rapidità di attuazione fa deporre per un modello di cambiamento simile all’innovazione, meglio ancora, alla frattura. E’ un cambiamento è caratterizzato dalla discontinuità: innanzitutto una discontinuità nel modello sociale, infatti la Provincia delineata dalla riforma ha poco o nulla in comune con la Provincia ante 2012. Il cambiamento è talmente profondo che non possono essere rintracciati, nel passato, elementi di riferimento per programmare il futuro ruolo Provinciale. Tutto questo produce un forte impatto dal punto di vista sociale, ossia del comune sentire dei cittadini, che costituiscono la società territoriale ed anche dei dipendenti, sottoinsieme della società territoriale ed attori del cambiamento insieme al management.

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La Provincia dei Comuni La discontinuità nel modello sociale crea disorientamento, uno spostamento di punti di riferimento che può comportare la perdita di certezze. Il cittadino non riesce ad immaginare, finché non l’avrà sperimentato, il nuovo ruolo della Provincia e non riesce a valutare se il cambiamento porterà un effettivo beneficio al suo vivere quotidiano. Tuttavia, il punto di vista dei dipendenti e del management non può essere quello del cittadino comune. Il management, in primis, deve riuscire a guidare il processo in una direzione il più possibile favorevole al cittadino, focalizzando le funzioni che permangono in capo alle Province ed il nuovo ruolo assunto. Non sarà cioè sufficiente prendere atto che la politica è costretta ad infrangere il patto con il territorio contratto al momento dell’assunzione del mandato amministrativo, ma lavorare perché sia possibile, al più presto, stipularne uno nuovo, secondo le nuove regole e le nuove funzioni assegnate. Questo potrebbe significare mettere in gioco ruoli e competenze anche del personale, riqualificare figure professionali più funzionali alla nuova Provincia, modificare l’organizzazione in modo da assolvere a nuovi bisogni. Di seguito verranno sintetizzati i principali drivers che hanno determinato il cambiamento per le Province. Riforma istituzionale Il primo driver di cambiamento è la riforma istituzionale in atto e parzialmente conclusa con l’approvazione della L.56/2014. Tutti i tentativi di revisione della Costituzione da un lato e di riforma delle Province dall’altro che hanno caratterizzato gli ultimi anni, hanno di volta in volta proposto interventi tesi a modificare, senza soluzione di continuità, contesti e funzioni delle Province. I disegni di legge, sia costituzionale che ordinaria, di cui solo quest’ultimo andato a buon fine, hanno sempre previsto tempi ristretti per l’ultimazione del processo di revisione dello Stato, non consentendo un processo graduale di preparazione al cambiamento soprattutto delle istituzioni coinvolte nel processo di riforma. L’intervento di norme che intendono modificare senza soluzione di continuità contesti e funzioni della pubblica amministrazione può, da una parte, risultare altamente incisivo ed efficace, dall’altra, nel voler modificare aspetti sostanziali in tempi brevi, rischiare di rendere troppo lineare un cambiamento che tocca anche profili di costituzionalità. Riduzione delle risorse Il secondo driver di cambiamento qui esaminato ha espletato la propria efficacia, di fatto, precedendo gli effetti del primo. I progressivi tagli alle risorse degli enti locali, operati essenzialmente con le manovre finanziarie a partire dall’anno 2011, hanno imposto non solo modifiche ai programmi di mandato delle Amministrazioni, ma addirittura un riposizionamento dell’ente Provincia nel quadro delle istituzioni dello Stato. La mancanza di risorse ha, infatti, comportato l’impossibilità per la Provincia di agire il ruolo che le è proprio che non è solamente quello di esercitare funzioni ed erogare servizi, ma anche di essere creatrice e promotrice dello sviluppo di un territorio, ancor prima che tale ruolo le venisse tolto dalla legge.

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Capitolo 4 I dati riportati da UPI evidenziano che a partire dal 2011 “le manovre economiche sui bilanci delle Province sono andate sempre più in crescendo: la combinazione tra maggiori tagli e inasprimento di obiettivo di patto di stabilità ha portato i bilanci delle Province a rischio di disequilibrio, con conseguenze immediate sulla finanza pubblica e sullo sviluppo locale, come attestato anche dalla Corte dei Conti. Dal 2011 al 2014, cumulando gli obiettivi di Patto e i tagli operati dalle manovre finanziarie, i bilanci delle Province sono stati ridotti di oltre 9,4 miliardi.”29 Opinione pubblica La riforma istituzionale e la sottrazione di ruolo e funzioni nei fatti operata nei confronti delle Province con il taglio delle risorse ha creato nell’opinione pubblica un’aspettativa di cambiamento che non è possibile ignorare. Nonostante i sondaggi di opinione realizzati non più di un anno fa deponessero a favore del ruolo della Provincia (Ipsos)30 gli ultimi anni di provvedimenti legislativi hanno depauperato la possibilità di azione Provinciale, incidendo in negativo sul sentire comune. Come già anticipato, il cambiamento in atto non può essere gestito come un processo che si pone in continuità con il passato. Le tempistiche imposte ed i contenuti radicali delle modifiche previste creano una vera e propria frattura con il passato, che può essere rappresentata come discontinuità sotto diversi aspetti.

La discontinuità della programmazione In un momento di cambiamento, soprattutto quello ottenuto per discontinuità, non è possibile continuare a programmare l’azione amministrativa con gli strumenti tradizionali. Il cambiamento fa emergere nuovi bisogni di conoscenza e di programmazione per le Province; così non richiede tanto di adottare bilancio, PEG, PDO, piano e relazione della performance, ma si focalizza lo stato patrimoniale degli enti, le dotazioni organiche, l’organizzazione e, prima di tutto, lo stato delle finanze. Ciò non significa che tali strumenti di programmazione decadranno per le nuove Province, ma è evidente che la priorità di informazione non è più su obiettivi e progetti per un ente in scadenza e per funzioni non più assegnate di lì a pochi mesi.

29 - UPI: Lo stato della finanza provinciale. I dati sulla spesa centrale e locale, le manovre economiche e le conseguenze su bilanci e servizi – Giugno 2014 30 - “Il ruolo e l’immagine della Provincia per i cittadini” 2009-2011 Ipsos Public Affairs

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La Provincia dei Comuni

La discontinuità nelle risorse assegnate Alla ridefinizione delle funzioni parzialmente operata con la L.56/2014 corrisponderà anche una rideterminazione delle risorse assegnate. Innanzitutto, occorrerà capire quali delle deleghe regionali verranno o meno riconfermate e, con esse, competenze e risorse. Occorre ricordare che parlare di risorse in questo frangente non significa trattare solamente di risorse finanziarie; i provvedimenti regionali di delega che le Regioni hanno adottato negli anni hanno previsto, infatti, non solo il passaggio di funzioni e di finanziamenti nei confronti delle Province, ma anche di risorse umane per la gestione delle funzioni. La discontinuità nelle funzioni svolte porta quindi con sé anche una revisione del personale attribuito alle Province e, di conseguenza, uno degli aspetti sociali cui ci si riferiva precedentemente.

Change management in periodo di crisi Nel libero mercato l’azienda che resiste al cambiamento, in epoca di discontinuità, è sicuramente votata al fallimento. Il Pubblico non può rinnovarsi e progredire attraverso il fallimento, come per il mercato delle Aziende private. Per le Pubbliche amministrazioni il processo di cambiamento è diverso e più complesso in quanto oltre all’erogazione dei servizi, la PA esercita poteri ed emana provvedimenti con esercizio esclusivo di poteri pubblicistici e di controllo non assimilabili alla semplice erogazione di un servizio . Questo potere di derivazione statale non può essere improvvisato; occorre invece pianificare fasi e tempi del processo in modo da mettere in campo tutti gli strumenti e le leve idonee a generare e governare il processo. Questa complessità non è attualmente nemmeno percepita dalle Forze politiche le quali piuttosto cavalcano istanze populistiche di cambiamento come soppressione alle volte anche di categorie di individui (i politici, i dirigenti, i dipendenti, etc). Angelo Tanese ne Il cambiamento organizzativo nelle amministrazioni pubbliche: un approccio strategico osserva che il cambiamento organizzativo non è la somma algebrica di tanti cambiamenti individuali proprio perché l’organizzazione non è la somma di tanti individui, ma di un insieme di relazioni tra elementi (individui, gruppi, strutture, tecnologie, informazioni) posti in relazione di interdipendenza ed in modo ripetuto nel tempo. Il risultato di questa interdipendenza non è riconducible all’azione di uno degli elementi, ma all’esito sistemico della cooperazione che essi sono in grado di costruire (Crozier – Friedberg, 1977). Un’organizzazione quindi non cambia se tutti i soggetti che la compongono cambiano, ma quando si modificano le relazioni che li legano. Angelo Tanese propone quattro diversi modi di approccio al cambiamento, così sintetizzabili: Approccio giuridico – formale. Secondo questo approccio, il cambiamento nelle amministrazioni pubbliche passa dalla ridefinizione di norme, regolamenti e linee guida di attuazione delle leggi. Proprio perché incentrato sulla mera ridefinizione delle

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Capitolo 4 regole, questo metodo corre il rischio di divenire semplicemente un approccio adempimentale. Approccio strumentale – razionale. In questo secondo caso, il cambiamento viene perseguito a partire non dalle regole, ma dalla definizione di obiettivi da raggiungere. Anche se il modello chiarisce in modo puntuale le fasi da seguire per gestire il cambiamento, non tiene sufficientemente conto delle interazioni dei vari elementi che contribuiscono al cambiamento stesso: la razionalità del modello dà per scontata la capacità dell’organizzazione di recepirlo e di attuarlo (cfr. Tanese) Approccio processuale – culturalista. Tale approccio pone al centro la dimensione psicologica e culturale del cambiamento attribuendo la possibilità di successo di una fase di cambiamento alla capacità o meno di modificare le mappe cognitive e gli schemi di azione delle persone. In pratica, tuttavia, è stato dimostrato che non sempre il cambiamento culturale deve precedere il cambiamento concreto delle modalità di azione collettiva e di cooperazione. Approccio strategico. Un’organizzazione affronta il cambiamento solo se entra in crisi il modo di funzionare. Il cambiamento può quindi essere basato su un approccio in grado di stimolare le capacità di apprendimento e di innovazione che un’organizzazione ha già intrinseche nel proprio potenziale. Quello strategico è quindi un approccio che considera il cambiamento organizzativo come un processo di apprendimento collettivo basato su una trasformazione dall’interno del sistema di relazioni (auto – organizzazione). Resta da chiedersi quale sia l’approccio di cambiamento più adatto alle Province in fase di crisi. I drivers analizzati fanno riflettere sul fatto che il cambiamento non si sta determinando solamente perché sono in corso modifiche dell’assetto normativo, ma anche perché l’attuale sistema è entrato in crisi a causa della non sostenibilità dei tagli finanziari operati sulle Province. Il Governo centrale ha cioè operato affinché il cambiamento si innescasse in due modi diversi: innanzitutto, attraverso l’approccio definito da Tanese giuridico – formale, ossi cambiando le norme (abbracciando tuttavia anche l’approccio strumentale - razionale laddove ogni norma esistente è stata sacrificata per il conseguimento dell’obiettivo di riduzione della spesa); in secondo luogo facendo entrare in crisi gli enti a causa della scarsità di risorse (approccio strategico). A questo punto il compito delle amministrazioni locali è quello di guidare la fase di cambiamento che impatta direttamente sulle strutture organizzative sempre di più verso l’approccio strategico, cercando di cogliere opportunità per la propria crescita e miglioramento. Sarà necessario, quindi, stimolare ed orientare i processi di apprendimento nella giusta direzione partendo dall’analisi della propria situazione concreta e dirigendosi verso una visione chiara e condivisa di ciò che vogliamo far diventare la Provincia. Tale visione dovrà scaturire dal rafforzamento delle potenzialità interne all’ente dal punto di vista organizzativo e delle potenzialità territoriali per quanto riguarda la vision territoriale. Secondo uno studio prodotto da The European House – Ambrosetti, i cambiamenti complessi sono composti da 5 diversi elementi, in assenza di ciascuno dei quali il cambiamento non va a buon fine.

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La Provincia dei Comuni La vision è il primo degli elementi da prendere in considerazione; in assenza di una precisa vision si crea confusione e disorientamento. Altrettanta chiarezza deve esserci sulle risorse disponibili alle quali commisurare la vision e l’azione; in assenza di risorse si rischia di porsi obiettivi troppo alti e quindi velleitari e non raggiungibili. Il non conseguimento degli obiettivi provoca frustrazione.

Cambiamenti complessi

Visione chiara e condivisa

Risorse

Capacità di gestione del cambiamento

Incentivi / sistema premiante

Piano di azione concreto

OK cambiamento

Risorse

Capacità di gestione del cambiamento

Incentivi / sistema premiante

Piano di azione concreto

Confusione

Capacità di gestione del cambiamento

Incentivi / sistema premiante

Piano di azione concreto

Velleitarismo e frustrazione

Incentivi / sistema premiante

Piano di azione concreto

Dispersività

Piano di azione concreto

Cambiamento lento e graduale

Visione chiara e condivisa

Visione chiara e condivisa

Risorse

Visione chiara e condivisa

Risorse

Capacità di gestione del cambiamento

Visione chiara e condivisa

Risorse

Capacità di gestione del cambiamento

Incentivi / sistema premiante

Inconcludenza

Immagine tratta da “La gestione del cambiamento” – The European House Ambrosetti. Come sostenuto anche da Tanese è fondamentale saper gestire la fase di cambiamento al fine di non disperdere le energie e le azioni che vanno invece finalizzate alla realizzazione del nuovo disegno organizzativo. Non si riuscirà pertanto a concludere il processo di cambiamento nel caso in cui manchi un piano di azione concreto che traduca in fasi e tempi di azione quanto programmato. Se il livello di programmazione resta cioè troppo alto, senza entrare nel dettaglio di ciò che è necessario fare, il processo di cambiamento è destinato a fallire.

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Capitolo 4 In attesa che il Legislatore declini la fine della fase transitoria, al management della Provincia è affidato l’arduo compito di programmare e gestire in tempo di crisi sostenendo un ruolo nuovo, mai sperimentato prima, che connota il management locale di significati che oltrepassa la gestione tecnica di competenza. Questo management è oggi altresì oggetto di riforma anch’essa appena delineata in una legge delega che, almeno per i segretari provinciali, ne prevede addirittura l’abrogazione. Anche i meno esperti sapranno osservare che la somma delle abrogazioni non può che dare, come risultato, una condizione di disimpegno e depauperamento delle migliori competenze dirigenziali ed un lento declino del livello di qualità del servizio al cittadino.

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La Provincia dei Comuni

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Capitolo 5

Capitolo 5

Il caso della Toscana del Sud Lo studio che segue si pone come obiettivo l’individuazione della presenza delle caratteristiche di area metropolitana e degli indicatori di efficienza in un territorio predefinito al fine di ipotizzare i confini di un ente di area vasta adeguato per quel territorio. L’area metropolitana, modello di area vasta accolto nell’ipotesi di riordino proposta, prevede che per individuare i confini di un ente territoriale occorra infatti partire proprio dal territorio. Per verificare se in una determinata zona siamo in presenza o meno di un’area metropolitana occorre quindi riscontrare la presenza di quegli indicatori che, sulla base della definizione data dalla scuola di Chicago possono essere così riassunti: • discontinuità territoriale di tipo edificatorio abitativo • integrazione funzionale di zone territorialmente discontinue • presenza di migrazioni pendolari Oltre a ciò non possiamo ignorare alcuni studi31 che fissano intorno ai 350.000 abitanti il livello minimo di efficienza amministrativa. Per questo motivo l’individuazione delle tre caratteristiche di area metropolitana sopra ricordate non portano immediatamente a poter fissare i confini dell’ente territoriale in corrispondenza di essa. Inoltre, al di là del modello teorico, è necessario che il territorio individuato come area metropolitana presenti anche una rete di trasporti che colleghi tra loro i diversi ambiti urbani e rurali. L’analisi che segue si concentra quindi su alcuni basilari dati demografici per passare alla descrizione dal punto di vista morfologico del territorio, alla residenzialità, alla localizzazione e caratteristiche degli insediamenti produttivi (in modo da verificare eventuali integrazioni funzionali di zone anche discontinue fra di loro) ed ai flussi di pendolarismo. Il territorio preso a riferimento è quello dell’attuale Provincia di Grosseto, quello della Provincia di Siena e della Val di Cornia, con l’obiettivo di approdare ad alcune ipotesi di definizione dei confini di un’area vasta metropolitana efficiente che ricomprenda Grosseto ed il territorio provinciale.

31 - “Una proposta per il riassetto delle Province” - Università Commerciale Luigi Bocconi per conto di UPI

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La Provincia dei Comuni

Una proposta di studio territoriale Individuazione del territorio su cui improntare lo studio Il territorio da analizzare in questa sede è stato individuato avendo cura di considerare un circondario della zona grossetana sufficientemente ampio non solo in modo da conseguire i parametri di efficienza suggeriti dallo studio Bocconi, ma anche in modo da comprendere in sé il sistema di relazioni economico – sociali testimoniato dall’esperienza e da documenti scritti, in particolare lo studio Irpet “Quali assetti istituzionali per la Toscana” che focalizza la presenza di flussi (economici, sociali e di pendolarismo) con la zona senese e quella livornese immediatamente a nord della Provincia di Grosseto. Inoltre, in accordo con lo studio Una proposta per il riassetto delle Province dell’Università Bocconi, il numero di abitanti della zona individuata, circa 600.000, garantisce un elevato livello di efficienza sia in termini di percentuale di entrate proprie prevedibili per la nuova Provincia che di spesa per abitante. Il territorio considerato consta così di 74 Comuni (pari al 27% del totale regionale) di cui 28 appartenenti all’attuale Provincia di Grosseto, 36 all’attuale Provincia di Siena, 7 della Val di Cornia livornese e pisana (Campiglia Marittima, Piombino, Castagneto Carducci, San Vincenzo, Sassetta e Suvereto per la Provincia di Livorno e Monteverdi Marittimo per quella di Pisa); l’area qui considerata include inoltre, relativamente ai dati esposti per alcuni indicatori, i Comuni di Rosignano Marittimo, Cecina e Bibbona (Provincia di Livorno). Il territorio, di complessivi 9.160 kmq, corrisponde al 40% del territorio regionale e gli abitanti, 617.715, al 17% della popolazione della Regione Toscana. Tabella riepilogativa dei dati territoriali Val di Cornia livornese e pisana Grosseto

Siena

Rosignano M.mo,

Totale

Cecina, Bibbona Popolazione (dati Istat al 15° censimento della popolazione 2011) Kmq (dati Ist. G. Tagliacarte)

n. Comuni

72

220.564

266.621

130.530

617.715

4.505

3.821

834

9.160

28

36

10

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Capitolo 5

Morfologia territoriale Costa: Il territorio presenta uno sviluppo costiero di circa 200 Km comprendente buona parte di quella che viene denominata Costa degli Etruschi32 che si estende fino a Livorno. Partendo da nord, la zona costiera è prevalentemente pianeggiante ed il litorale sabbioso, fatta eccezione per il promontorio di Piombino che separa l’omonima città dal Golfo di Baratti. In corrispondenza del promontorio e del golfo di Baratti si alternano spiagge e coste alte. Andando verso sud, superato il promontorio di piombino, si apre il golfo di Follonica le cui spiagge, prevalentemente sabbiose, vedono solo alcuni tratti a scoglio. Il golfo di Follonica arriva fino a Punta Ala e da lì prosegue pianeggiante fino all’altezza di Monte argentario, fatta eccezione per il piccolo promontorio roccioso delle rocchette Da cala violina (situata poco prima di Follonica), inizia la costa maremmana che, da Monte Argentario fino a Capalbio, prende anche il nome di Costa d’Argento. La Costa d’Argento interessa i territori comunali di Monte Argentario, Orbetello e Capalbio, e si sviluppa dalle pendici meridionali dei Monti dell’Uccellina fino alla foce del fiume Chiarone al confine con il Lazio. Il litorale della Costa d’Argento è scoglioso all’estremità settentrionale (Talamone) ed in corrispondenza del promontorio dell’Argentario e della Feniglia. Il promontorio dell’Argentario, prima un’isola, si è ricongiunto alla terra ferma grazie al sollevamento dei tomboli della Giannella e della Feniglia. Entroterra: Oltre che sulla fascia costiera, si trovano zone pianeggianti anche nell’entroterra. In particolare la Maremma è la pianura più estesa, mentre altre pianure dell’interno sono: la Valdelsa, la Val di Cecina, la Val di Cornia, la Val di Pecora, la Val d’Orcia e la Valle dell’Ombrone. La pianura maremmana si trova al centro di un’area caratterizzata da colline e dal Monte Amiata. In continuità con la fascia collinare e montuosa della Provincia di Grosseto, la conformazione del territorio senese è di carattere prevalentemente collinare (93%), con una zona montana limitata (7%). Anche la zona della Val di Cornia risulta prevalentemente collinare nell’entroterra e pianeggiante lungo la fascia costiera,

32 - La Costa degli Etruschi interessa i tratti di costa ricadenti nei territori comunali di Piombino, San Vincenzo, Castagneto Carducci, Bibbona, Cecina, Rosignano Marittimo e Livorno.

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La Provincia dei Comuni

La residenzialità Tutto il territorio è caratterizzato da una bassa densità abitativa, soprattutto nelle zone del grossetano e del senese, attualmente le prime due in Regione Toscana per bassa densità di popolazione. Basti pensare che dei 28 Comuni dell’attuale Provincia di Grosseto, solo 3 superano i 15.000 abitanti (Grosseto, Follonica e Orbetello) e 18 non raggiungono la soglia dei 5.000 residenti. Analogamente, in Provincia di Siena, solo il capoluogo, ed i Comuni di Poggibonsi e Colle Val d’Elsa superano i 15.000 abitanti; dei rimanenti centri abitati, 2 (Montepulciano e Sinalunga) hanno una popolazione poco superiore ai 10.000 abitanti, mentre gli altri 31 sono al di sotto della soglia dei 10.000 abitanti. Tutte le zone prese in esame hanno subito un’espansione demografica dal 2001 al 2011, passando da una popolazione complessiva di 588.898 ad una di 617.715 abitanti.

Provincia di Grosseto

Provincia di Siena

Val di Cornia Rosignano M.mo, Cecina e Bibbona (aggregazione dei dati comunali)

Popolazione residente al 21/10/2001

211.086

252.288

125.524

588.898

Popolazione residente al 09/10/2011

220.564

266.621

130.530

617.715

Totale

Dati Istat

La seguente carta mostra la distribuzione della popolazione per Comune (dati relativi alla popolazione residente anno 2010 – Istituto G. Tagliacarne33).

33 - Per la codifica dei singoli comuni si veda allegato

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Capitolo 5 Carta n. 1 – La residenzialità - anno 2010 Dati istituto G. Tagliacarne

L’area individuata dall’attuale Provincia di Grosseto, Provincia di Siena e Val di Cornia estesa (contenente cioè anche i Comuni di Rosignano M.mo, Cecina e Bibbona) è caratterizzata da una distribuzione della popolazione residente per così dire polarizzata, ossia accentrata essenzialmente su quattro zone, individuabili nei Comuni di Grosseto (53011), Siena (52032), Piombino (49012), Rosignano Marittimo (49017), separate da territori meno popolati. Ognuno dei poli di concentrazione della popolazione crea un hinterland34 più o meno esteso di zone abbastanza popolate. In particolare, è possibile individuare i quattro hinterland come di seguito rappresentato: 34 -Hinterland: in urbanistica una fascia di territorio circostante un grande centro urbano, di cui subisce l’influenza sociale ed economica – Zingarelli 2013

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La Provincia dei Comuni Hinterland rosignanese – comprendente i Comuni di Rosignano Marittimo (49017), Cecina (49007) e probabilmente altri Comuni confinanti non ricompresi nel presente studio. Hinterland piombinese – comprendente i Comuni di Follonica (53009), Campiglia Marittima (49002), Castagneto Carducci (49006) e San Vincenzo (49018); Hinterland grossetano - comprendente i Comuni di Grosseto (53011), Castiglione della Pescaia (53006), Gavorrano (53010), Massa Marittima (53015) e Roccastrada (53021); Hinterland senese – comprendente i Comuni di Siena (52032), Castelnuovo Berardenga (52006), Monteriggioni (52016), Monteroni d’Arbia (52017), Poggibonsi (52022), Rapolano Terme (52026) e Sovicille (52034); Si osserva inoltre che l’hinterland piombinese e quello grossetano si susseguono sulla costa senza soluzione di continuità, con il territorio del Comune di Follonica a fare da anello di congiunzione fra i due hinterland. Meno popolata la zona centrale dell’area individuata caratterizzata per lo più da un paesaggio montano (Monte Amiata) e collinare; questo fa sì da assimilare, per densità abitativa, i territori dell’entroterra grossetano e senese. Vicino a Siena, altre due zone rilevanti per densità abitativa sono quelle di Poggibonsi (52022) e Colle val d’Elsa (52012).

L’economia insediata Per fornire una rappresentazione di massima dell’economia del territorio in esame si propone quale indicatore, ove disponibile, il valore aggiunto per branca di attività economica. Secondo la definizione fornita da Unioncamere, infatti,“il valore aggiunto è l’aggregato che consente di apprezzare la crescita di un sistema economico in termini di nuovi beni e servizi messi a disposizione della comunità per impieghi finali. E’ la risultante della differenza tra il valore della produzione di beni e servizi conseguita dalle singole branche produttive (output) e il valore dei beni e servizi intermedi dalle stesse consumate (input: materie prime e ausiliarie impiegate e servizi forniti da altre unità produttive), e corrisponde alla somma delle retribuzioni dei fattori produttivi e degli ammortamenti. Il valore aggiunto è quindi una misura equivalente al Pil nella determinazione della ricchezza di un territorio, al netto delle imposte indirette nette”35. Valore aggiunto a prezzi correnti per branca di attività economica anno 2012 e preconsuntivo anno 2013 Dati in milioni di euro Preconsuntivo 2013

2012 Province e Regioni

Massa-Carrara

Agricoltura, silvicoltura e pesca 46,9

Industria Industria in senso stretto

Costruzioni

Totale Industria

Servizi

Totale

Totale

582,5

281,4

863,9

3.242,1

4.152,9

4.182,9

35 - 11 giornata dell’economia, rapporto economico della Provincia di Grosseto, anno 2013 – Unioncamere

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Capitolo 5 Lucca

78,7

1.870,5

685,2

2.555,7

Pistoia

458,5

Firenze

193,3

Livorno Pisa

1.047,9

400,2

1.448,1

5.126,7

7.033,2

6.993,0

4.414,4

1.450,5

5.864,9

22.566,0

28.624,2

28.635,3

122,7

1.200,9

426,0

1.627,0

6.748,5

8.498,2

8.447,5

163,5

1.916,0

587,3

2.503,3

7.830,1

10.496,9

10.539,7

Arezzo

221,6

1.759,3

506,1

2.265,4

5.218,4

7.705,3

7.716,6

Siena

264,2

1.148,0

373,3

1.521,3

5.339,6

7.125,1

7.115,0

Grosseto

267,4

398,8

318,6

717,4

4.038,0

5.022,8

5.026,1

Prato

7.696,9

10.331,3

10.267,8

23,5

1.521,8

288,5

1.810,3

4.037,7

5.871,5

5.947,7

TOSCANA

1.840,3

15.860,0

5.317,2

21.177,2

71.843,9

94.861,4

94.871,4

NORD-OVEST

5.260,9

102.944,0

26.479,4

129.423,4

319.063,4

453.747,7

453.915,5

NORD-EST

7.168,6

75.863,8

19.599,1

95.462,9

220.914,3

323.545,9

323.760,8

CENTRO

4.546,5

40.083,5

16.914,3

56.997,8

241.238,7

302.783,0

302.611,4

SUD E ISOLE

11.192,4

36.767,1

19.361,2

56.128,3

252.861,5

320.182,2

316.498,3

DATI NON RIPARTIBILI ITALIA

0,0

1.959,9

0,0

1.959,9

554,5

2.514,0

0,0

28.168,4

257.618,3

82.354,0

339.972,3

1.034.632,4

1.402.772,8

1.396.786,0

Fonte: Rapporto economico Siena 2014 – Dati Ist. Guglielmo Tagliacarne. Dall’esame dei valori rappresentati in tabella l’economia grossetana risulta costituita in massima parte da servizi, che da soli costituiscono circa l’80% del valore aggiunto. Verosimilmente lo sviluppo di questa branca di attività è legata in prevalenza ai servizi turistici. Rilevante, anche rispetto alle altre province toscane, il peso dell’agricoltura, seconda solo a Pistoia nella produzione di valore aggiunto. L’apporto fornito dall’edilizia al valore aggiunto provinciale (pari al 6,3%), pur risentendo della debolezza del mercato immobiliare e del calo delle risorse finanziarie disponibili per opere pubbliche causato dal progressivo indurimento del Patto di Stabilità interna, rimane superiore a quello regionale, cui le costruzioni contribuiscono per solo il 5,6% . L’economia grossetana risulta inoltre “incentrata su un modello di specializzazione produttiva poco diversificato e basato su diffuso tessuto di micro e piccole imprese impegnate in settori tradizionali, a bassa intensità di capitale (agricoltura ed edilizia in particolare), con un contenuto livello di industrializzazione e da poco aperta agli scambi internazionali.”36 Nel contesto regionale, Grosseto occupa una posizione medio-bassa, avendo un “Pil pro capite di più di 1.200 euro/abitante, inferiore alla media e dunque un tenore di vita più alto rispetto alle sole Province di Massa-Carrara e Pistoia, tradizionalmente le aree più povere della Toscana”37. La struttura produttiva della Provincia di Siena presenta, invece, diversi ambiti ben sviluppati, con l’agricoltura in grado di apportare un valore aggiunto confrontabile a quello dell’agricoltura grossetana, ma con anche un forte settore secondario e terziario. 36 - 11 giornata dell’economia, rapporto economico della Provincia di Grosseto, anno 2013 – Unioncamere 37 - 10a giornata dell’economia, rapporto economico della Provincia di Grosseto, anno 2012 – Unioncamere

77


La Provincia dei Comuni Nel settore secondario si distingue l’artigianato ed il settore manifatturiero (specializzato nella lavorazione del vetro, della ceramica e nella produzione meccanica e mobiliera); il settore terziario è invece caratterizzato dal comparto turistico-ricettivo che vede il sistema termale quale elemento di sviluppo. L’andamento dell’economia senese riflette tuttavia quello nazionale, con un andamento del PIL provinciale 2012 che riflette il trend nazionale; il PIL provinciale diminuisce infatti dello 0,5 per cento a livello tendenziale trimestrale dell’1,9 per cento a livello annuale38. L’economia della Val di Cornia è invece trainata principalmente dall’industria39 da cui dipendono anche molte attività riconducibili al mondo della PMI. Tuttavia il sistema produttivo della Val di Cornia risente della crisi mondiale ed accusa un calo di produttività nonostante vi sia stato il tentativo di adottare politiche di diversificazione. Tale calo, analogamente a quanto avviene nell’economia grossetana, è in parte causato da un atteggiamento di chiusura al contesto esterno; tuttavia è al proprio interno che la Val di Cornia può rintracciare alcune potenzialità di sviluppo, affiancando al motore principale della propria economia (l’industria) altre leve come la cultura, l’ambiente rurale ed il turismo.

Settore primario Tutto il territorio è interessato da un’importante tradizione agricola che ha raggiunto livelli di eccellenza qualitativa per diversi prodotti tipici. Basti pensare alle produzioni vitivinicole ed agli olii, che si sono fregiati, negli anni delle denominazioni DOC e DOCG. Per quanto riguarda l’area senese, questa ha ottenuto il riconoscimento DOC per 45 vini (appartenenti alle tipologie: Moscadello di Montalcino, Rosso di Montalcino, Rosso di Montepulciano, Sangimignano, Sant’Antimo, Vald’arbia Valdichiana, Vin Santo del Chianti, Vin Santo di Montepulciano) ed il riconoscimento DOCG per ulteriori 9 (Brunello, Chianti, Vernaccia di San Gimignano, Vino nobile di Montepulciano). Per quanto riguarda Grosseto, nell’attuale provincia sono presenti 44 vini DOC (Ansonica Costa d’Argento, Bianco di Pitigliano, Capalbio, Montecucco, Monteregio, Morellino di Scansano, Parrina, Sovana) e 2 DOCG (Morellino di Scansano). La Val di Cornia ha il riconoscimento per 20 vini DOC (Val di Cornia, Val di Cornia Campiglia Marittima, Val di Cornia Piombino, Val di Cornia S. Vincenzo e Val di Cornia Suvereto). I riconoscimenti DOP si sono avuti anche per olii prodotti direttamente nell’area senese e grossetana; in particolare per l’olio extravergine di oliva Seggiano e per l’olio extravergine di oliva Terre di Siena. Se le produzioni collinari si caratterizzano per oliveti e vignati, nelle pianure si pratica l’orticoltura e si coltivano cereali, foraggio, girasoli, mais, barbabietole e zafferano. Nelle aree montane, invece, l’agricoltura si limita alla produzione di castagne e tartufi, con la castagna amiatina ha, fra l’altro, conseguito il riconoscimento di DOP. La Valdichiana in particolare è famosa per la produzione del tabacco che serve per la realizzazione del sigaro toscano. L’allevamento e la zootecnia si fondano principalmente sulle razze autoctone bovine e suine che forniscono carni molto pregiate. 38 - 10a giornata dell’economia, rapporto economico della Provincia di Siena, anno 2012 – Unioncamere 39 - L’economia della Val di Cornia tra limiti strutturali e nuovo sviluppo – Impresa Futura 2012 (cartello delle Piccola e Media Impresa della Provincia di Livorno)

78


Capitolo 5 In particolare, tra i bovini, si ricordano la chinina e la maremmana; tra i suini la cinta senese. Abbastanza diffusi anche gli allevamenti di ovini, mentre fra i cavalli, il più diffuso fra le razze autoctone è il maremmano. I dati Istat testimoniano che la zona grossetana e senese insieme rappresentano circa il 29% del valore aggiunto agricolo toscano e siano quelle con la maggior superficie agricola in Toscana (VI° censimento generale dell’agricoltura – anno 201040). Tuttavia il dato delle due province, così come quello toscano, è in flessione rispetto agli anni precedenti, registrando una perdita di terreno agricolo pari al 19% per la Provincia di Siena ed al 23% per quella di Grosseto contro il 27% regionale rispetto all’anno 1982. Superficie totale per provincia. Anni 1982, 1990, 200, 2010. (superficie in ettari) PROVINCE

ANNI 1982

1990

2000

2010

73.122,08

55.713,42

49.331,41

25.451,04

Lucca

104.775,94

91.058,75

70.630,03

47.200,98

Pistoia

58.817,96

58.269,93

54.158,87

46.120,86

Firenze

291.878,83

268.661,97

229.656,45

197.687,19

Prato

24.656,94

20.765,00

20.643,39

14.845,65

Livorno

68.504,90

63.670,51

61.096,05

51.450,88

Pisa

190.240,38

190.369,61

180.355,45

158.576,23

Arezzo

265.009,68

256.663,29

230.688,08

193.518,68

Siena

340.420,57

341.237,56

320.977,55

275.239,65

Grosseto

370.118,26

367.970,54

339.417,03

285.028,99

TOSCANA

1.787.545,54

1.714.380,58

1.556.954,31

1.295.120,15

Centro

4.478.193,91

4.339.831,05

3.898.891,62

3.349.801,41

22.397.832,72

21.628.354,94

18.766.895,43

17.081.099,00

Massa-Carrara

ITALIA

Fonte: ISTAT

40.- Dati tratti dal documento La Toscana al 6° Censimento Generale Agricoltura – Regione Toscana ed elaborati a cura della Provincia di Grosseto.

79


La Provincia dei Comuni Superficie totale per provincia – variazione percentuale (superficie in ettari) PROVINCE

1982

2010

Differenza

Differenza %

Siena

340.420,57

275.239,65

-65180,92

-19,15%

Grosseto

370.118,26

285.028,99

-85089,27

-22,99%

1.787.545,54

1.295.120,15

-492425,39

-27,55%

TOSCANA

Elaborazione Provincia di Grosseto su dati Istat Analogo calo, anche se più contenuto, si registra dall’anno 1982 all’anno 2010 relativamente alla Superficie Agricola Utilizzata, la cui riduzione % nelle due province resta comunque inferiore a quella regionale Superficie agricola utilizzat (SAU) per provincia. Anni 1982, 1990, 200, 2010. (superficie in ettari) PROVINCE

1982

1990

2000

2010

Massa-Carrara

39.638,42

23.433,16

19.474,28

10.253,57

Lucca

46.119,41

36.540,83

29.130,23

24.343,77

Pistoia

29.442,60

26.169,03

24.955,95

21.270,48

Firenze

150.390,63

140.471,24

123.797,43

107.518,27

Prato

11.493,97

9.129,39

10.054,60

7.211,47

Livorno

43.456,31

38.800,00

37.312,98

33.390,52

Pisa

115.599,63

114.320,75

108.595,86

95.754,35

Arezzo

133.342,49

125.866,61

111.185,56

96.740,39

Siena

196.128,36

195.351,56

184.648,58

169.284,06

Grosseto

223.828,72

215.981,74

206.445,08

188.577,95

TOSCANA

989.440,54

926.064,31

855.600,55

754.344,83

Centro

2.837.519,22

2.684.815,98

2.435.199,91

2.191.651,05

ITALIA

15.832.612,83

15.025.954,16

13.181.859,09

12.856.047,82

Fonte: ISTAT

80

ANNI


Capitolo 5 Superficie agricola utilizzat (SAU) per provincia. Anni 1982, 1990, 200, 2010. (superficie in ettari)

PROVINCE Siena Grosseto TOSCANA

1982

2010

Differenza

Differenza %

196.128,36

169.284,06

-26.844,30

-13,69

223.828,72

188.577,95

-35.250,77

-15,75

989.440,54

754.344,83

-235.095,71

-23,76

Elaborazione Provincia di Grosseto su dati Istat A fronte di una SAU di poco differente fra le due province, il numero di aziende agricole grossetane risulta essere superiore a quello senese. Aziende per classe di superficie agricola utilizzata (SAU) e provincia. Anno 2010 (superficie in ettari)

CLASSI DI SUPERFICIE AGRICOLA UTILIZZATA PROVINCE

Senza superficie

Fino a 0,99

1 -1,99

2 -4,99

5 -9,99

10 -19,99

20 -49,99

50 -99,99

100 ed oltre

Totale

Massa-Carrara

23

1.371

677

750

283

130

49

8

2

3.293

Lucca

32

2.753

1.505

1.333

515

243

117

29

16

6.543

Pistoia

12

2.609

1.847

1.664

481

186

60

22

16

6.897

Firenze

37

1.963

1.955

2.831

1.677

943

676

277

164

10.523

Prato

6

196

206

283

126

58

28

11

15

929

Livorno

7

829

674

922

564

355

223

80

42

3.696

Pisa

28

1.721

1.330

1.448

752

613

574

264

182

6.912

Arezzo

19

3.306

2.605

3.444

1.764

1.043

655

207

103

13.146

Siena

25

1.564

1.274

1.773

1.206

899

913

430

377

8.461

Grosseto

17

1.472

1.577

2.316

2.165

2.314

1.727

488

210

12.286

TOSCANA

206

17.784

13.650

16.764

9.533

6.784

5.022

1.816

1.127

72.686

Centro

579

68.740

49.319

59.712

31.967

20.162

13.909

4.711

2.913

252.012

ITALIA

5.294

493.326

326.032

357.668

186.145

120.115

87.602

29.214

15.488

1.620.884

Fonte: ISTAT

81


La Provincia dei Comuni Il dato sopra riportato indica che in media le dimensioni delle aziende senesi (circa 50 ettari) sono maggiori di quelle delle aziende grossetane (circa 15 ettari). Ancora inferiori alle dimensioni delle aziende grossetane risultano quelle delle aziende agricole della Val di Cornia, con un’estensione media di nemmeno 10 ettari41. La successiva carta 2 mostra la distribuzione delle attività agricole sull’area vasta Grosseto, Siena, Val di Cornia “estesa”. Carta 2. Agricoltura, silvicoltura e pesca - imprese registrate al 31/12/2010 Dati Istituto G. Tagliacarne

41 - Circondario della Val di Cornia – Opuscolo statistico agricoltura anno 2004 a cura del Comune di S. Vincenzo. Dati del V° censimento dell’agricoltura riferiti ai Comuni di Campiglia M.ma, Piombino, S. Vincenzo, Sassetta, Suvereto.

82


Capitolo 5 Settore secondario Si riportano di seguito i principali distretti industriali del territorio: -

Colle Val d’Elsa: insediamenti produttivi misti con prevalenza di vetro e cristalli

-

Grosseto: manifatturiero e alimentare

-

Rosignano Marittimo: Chimico

-

Piombino e Follonica:siderurgico

-

Scarlino: Chimico

-

Sinalunga: manifatturiero

-

Poggibonsi: insediamenti di tipo misto

-

Valdichiana:Manifatturiero, alimentare

-

Orbetello: alimentare (itticoltura)

Il polo siderurgico sta soffrendo profondamente della crisi dell’acciaio che ha portato recentemente ad interrompere la produzione delle acciaierie di Piombino con gravi ricadute sull’occupazione. Prossimo al polo siderurgico è il polo chimico, nato per lo sfruttamento integrale delle piriti delle Colline Metallifere dalle quali si poteva produrre sia acido solforico che pellets di ossido di ferro da destinare al polo siderurgico. A seguito della crisi del mercato del pellet di ossido di ferro, il polo iniziò a produrre acido solforico da arrostimento delle pirite ad acido solforico da combustione di zolfo (1995). I laboratori di analisi, gli impianti dimessi delle vecchie linee di produzione a pirite, compreso l’impianto di trattamento acque di scarico e 1/3 del fabbricato della centrale termoelettrica vennero acquisiti da Eni Ambiente e trasformati in impianto per il recupero energetico da rifiuti solidi non pericolosi e biomasse, con l’installazione di un nuovo generatore. Attualmente il sito produce energia a biomasse ma con la nuova Autorizzazione Integrata Ambientale del luglio 2010 è possibile riutilizzare anche il CDR42. Il manifatturiero comprende la lavorazione artistica della terracotta, dell’onice e delle pietre dure, oltre alla decorazione delle ceramiche ed alla lavorazione del cuoio. Di rilievo è inoltre l’industria alimentare, con la lavorazione di carni per la produzione di salumi, di pesce e di cereali. Oltre ai poli industriali, all’interno del settore secondario si annoverano anche le attività relative alle costruzioni che hanno rappresentato, negli ultimi anni, uno dei settori di sviluppo determinanti per l’economia locale di tutto il territorio oggetto di analisi.

42 - Fonte: Breve storia dell’area industriale di Scarlino – a cura di Scarlino Energia

83


La Provincia dei Comuni

1) Manifatturiero Il numero di imprese appartenenti al settore manifatturiero è rilevante sia per Siena che per Grosseto, che rappresentano rispettivamente il 5% ed il 3% del totale delle aziende toscane nel settore.

Riepilogo delle imprese registrate settore manifatturiero (ATECO 2007) al 31.12.2013.

C Attività manifatturiere

GROSSETO

SIENA

REGIONE TOSCANA

1.563

2.664

55.624

Fonte: Rapporto economico Siena 2014 – Dati Ist. Guglielmo Tagliacarne. Il settore manifatturiero della zona senese e grossetana ruota prevalentemente intorno alle attività della fabbricazione, produzione e lavorazione dei minerali metalliferi, l’industria del legno e del sughero, la fabbricazione di mobili, l’industria meccanica e l’industria alimentare. L’artigianato senese presenta inoltre un’esperienza consolidata in ambito di lavorazione delle terracotte e decorazione delle ceramiche. La Val di Cornia mostra invece la propria specializzazione nell’ambito delle manutenzioni e montaggi industriali, con particolare riferimento al settore della nautica. In quest’ambito, Piombino vanta alcune punte di eccellenza nella nautica artigianale, anche se i cantieri nautici della zona si occupano essenzialmente di rimessaggio, vendita, assemblaggio, e riparazione, legando la propria attività essenzialmente alla nautica da diporto. Meno affermate in questa zona sono invece le attività d’artigianato artistico tradizionale mentre alcune attività di rilievo si registrano nel campo del ferro battuto. La successiva carta 3 rappresenta la distribuzione delle imprese registrate al 31/12/2010 nel comparto manifatturiero che ricalca, in linea di massima, la carta della residenzialità.

84


Capitolo 5 Carta n. 3. Manifatturiero – Imprese registrate al 31/12/2010 Dati Istituto G. Tagliacarne

85


La Provincia dei Comuni 2) Costruzioni Sia per l’area grossetana che per l’area senese, le costruzioni hanno rappresentato, negli ultimi anni, uno dei settori di sviluppo determinanti per l’economia locale e le due aree rappresentano circa il 13% della realtà regionale, sia in termini di numero di imprese registrate che di valore aggiunto. Imprese registrate nel settore di attività economica (ATECO 2007) costruzioni al 31.12.2013. GROSSETO F Costruzioni

3.653

REGIONE TOSCANA

SIENA 4.410

64.406

% GR+SI GROSSESU RETO + SIENA GIONE TOSCANA 8.063

12,52%

Fonte: Rapporto economico Siena 2014 – Dati Ist. Guglielmo Tagliacarne.- Elaborazione Provincia di Grosseto Valore aggiunto a prezzi correnti delle costruzioni anno 2012 GROSSETO F Costruzioni

318,6

REGIONE TOSCANA

SIENA 373,3

5.317,2

% GR+SI GROSSESU RETO + SIENA GIONE TOSCANA 691,9

13,01%

Fonte: Rapporto economico Siena 2014 – Dati Ist. Guglielmo Tagliacarne.- Elaborazione Provincia di Grosseto Dal 2010 questo settore ha tuttavia iniziato a manifestare segni di sofferenza determinato in parte dalla debolezza del mercato immobiliare, in parte dal calo delle risorse finanziarie disponibili per opere pubbliche causato dalle regole sempre più rigide del Patto di Stabilità cui sono stati sottoposti gli enti locali. Tale flessione è evidenziabile dalla variazione in negativo, evidenziabile per entrambe le province dal 2010 al 2012, del valore aggiunto del settore delle costruzioni alle rispettive economie provinciali. Valore aggiunto a prezzi correnti delle costruzioni Variazione 2012/2010

Variazione % 2012/2010

2010

2012

Siena

420

373

-47

-11,19%

Grosseto

361

319

-42

-11,63%

Fonte: Rapporto economico Siena 2014 – Dati Ist. Guglielmo Tagliacarne.- Elaborazione Provincia di Grosseto

86


Capitolo 5 Anche in Val di Cornia, l’edilizia è uno dei comparti in difficoltà, e con essa tutte le attività collegate come l’impiantistica, la produzione ed installazione di infissi, i pavimentatori, i serramentisti, ecc. La contrazione della domanda, in questo caso, è legata alla situazione di difficoltà complessiva del mercato ma anche ad una fase ciclica di assestamento del settore43. Che il settore delle costruzioni abbia rappresentato, per anni e per tutto il territorio, una leva di sviluppo e di produzione di ricchezza, è evidenziato anche dalla distribuzione abbastanza uniforme del settore (cfr successiva carta 4), anche se è sempre presente la polarizzazione sui quattro hinterlands. A questi si aggiunge il Comune di Montepulciano che vede registrate un numero di imprese pari a Piombino. Carta 4. Costruzioni – Imprese registrate al 31/12/2010 Dati Istituto G. Tagliacarne

43 - L’economia della Val di Cornia tra limiti strutturali e nuovo sviluppo – Impresa Futura 2012 (cartello delle Piccola e Media Impresa della Provincia di Livorno)

87


La Provincia dei Comuni Settore terziario Come già osservato, i servizi costituiscono sia per l’economia grossetana che per quella senese, una notevole percentuale del valore aggiunto, tendenza del resto in accordo con i dati regionali che indicano il valore aggiunto complessivo come costituito dal comparto dei servizi per ben il 75,74%. Valore aggiunto a prezzi correnti dei servizi anno 2012 - Dati in milioni di euro Province e regioni

Servizi

Totale valore aggiunto

% servizi su totale

Siena

5.339,6

7.125,1

74,94%

Grosseto

4.038,0

5.022,8

80,39%

TOSCANA

71.843,9

94.861,4

75,74%

Fonte: Rapporto economico Siena 2014 – Dati Ist. Guglielmo Tagliacarne.- Elaborazione Provincia di Grosseto Come in queste due zone, anche in Val di Cornia la presenza di molte imprese appartenenti al comparto dei servizi è determinata dallo sviluppo del settore turistico, prevalentemente balneare sulla costa, ma anche ambientale, enogastronomico e del benessere. Come evidenziato dalla successiva carta 5, molte delle imprese legate al terziario sono quindi concentrate sulla costa ed in altri Comuni in cui è rilevante lo sviluppo delle attività turistiche (Siena, Montepulciano).

88


Capitolo 5 Carta 5.Servizi - Imprese attive al 31/12/2010 Dati Istituto G. Tagliacarne

L’immagine dei quattro hinterlands si ripropone anche nella distribuzione delle imprese in ambito di erogazione dei servizi che tuttavia vedono almeno altri quattro punti di concentrazione: Orbetello (53018), Follonica (53009), Cecina (49007) e, all’interno, Montepulciano (52015), probabilmente per il turismo termale.

89


La Provincia dei Comuni 1) Commercio “Grosseto, è la terza Provincia italiana per incidenza del commercio sul valore aggiunto, e la seconda in Toscana dopo Lucca”44. Nonostante Grosseto sia quindi riuscita a sviluppare una specializzazione produttiva in ambito commerciale (legata in particolare al turismo, all’agricoltura ed ai prodotti tipici locali), tale settore non sembra in grado di attirare quote di valore aggiunto da altre Province della Toscana e risulta, pertanto, poco competitivo. I dati dimostrano anzi che per Grosseto il commercio al dettaglio ha un peso molto rilevante, più del 49% del valore aggiunto commerciale Provinciale, se confrontato con la percentuale nazionale (40%). Al contrario il peso provinciale del commercio all’ingrosso si attesta al 36% circa, contro il 46% nazionale. Se ne deduce che una parte dei venditori al dettaglio del territorio provinciale si riforniscono da grossisti fuori provincia, con una conseguente perdita di competitività dovuta all’aumento del prezzo che comprende anche quello del trasporto della merce. Negli ultimi anni dimostra segni di sofferenza anche il commercio senese45, anche se con una flessione meno significativa del tasso di crescita nel confronto con altri comparti di riferimento. Per quanto riguarda la Val di Cornia invece, si registra un dato positivo riguardo al bacino di utenza del commercio, che risulta stabile nel periodo invernale ed ha potenzialità di crescita nel periodo estivo46. Tuttavia il calo di potere di acquisto dei cittadini ha avviato un processo fortemente selettivo degli esercizi commerciali che, per far fronte alla concorrenza della grande distribuzione ricorrono sempre più spesso ad accorpamenti nel settore dell’abbigliamento e delle calzature con la creazione di vere e proprie città commerciali (ad esempio: gli outlet) in grado di attrarre utenza anche a decine e decine di chilometri di distanza. 2) Turismo Nonostante per presenze totali, la Provincia di Grosseto si collochi al terzo posto delle province toscane (la Provincia di Siena è al quarto), il limite del turismo grossetano è quello di non essere sufficientemente destagionalizzato. La forma di turismo prevalente della Provincia di Grosseto è infatti quello balneare e di lunga durata, legato al possesso delle seconde case, cosa che determina un impedimento strutturale alla crescita della competitività del settore. Analogamente l’offerta turistica della Val di Cornia è di tipo tendenzialmente estivo, favorito, per altro, da alcune scelte urbanistiche che hanno consentito la realizzazione di strutture di supporto al turismo quali villaggi turistici, RTA, parchi, ecc47. Il turismo senese è invece più legato all’arte e alla cultura e quindi più destagionalizzato; nella graduatoria regionale Siena si trova infatti solo dietro Firenze, Livorno e Grosseto, queste ultime due legate al turismo balneare.

44 - 10a giornata dell’economia, rapporto economico della Provincia di Grosseto, anno 2012 – Unioncamere 45 - 10^ giornata dell’Economia della Provincia di Siena - 2012 46 - L’economia della Val di Cornia tra limiti strutturali e nuovo sviluppo – Impresa Futura 2012 (cartello delle Piccola e Media Impresa della Provincia di Livorno) 47 - L’economia della Val di Cornia tra limiti strutturali e nuovo sviluppo – Impresa Futura 2012 (cartello delle Piccola e Media Impresa della Provincia di Livorno)

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Capitolo 5 Arrivi e presenze italiane e straniere negli esercizi ricettivi delle province toscane, in Toscana ed in Italia anno 2011

PROVINCE

Arrivi italiani

Presenze italiani

Arrivi stranieri

Presenze stranieri

Arrivi Tot.

Presenze Tot.

Massa-Carrara

172.463

967.326

52.590

202.485

225.053

1.169.811

Lucca

530.911

2.072.139

416.176

1.569.988

947.087

3.642.127

Pistoia

355.807

1.012.790

536.717

1.609.658

892.524

2.622.448

Firenze

1.335.231

3.338.790

3.118.800

8.935.816

4.454.031

12.274.606

Livorno

871.102

5.441.363

419.779

3.086.168

1.290.881

8.527.531

Pisa

456.438

1.664.250

535.077

1.646.015

991.515

3.310.265

Arezzo

229.084

484.894

138.509

592.108

367.593

1.077.002

Siena

751.983

2.215.146

796.333

2.750.781

1.548.316

4.965.927

Grosseto

830.631

4.126.726

216.840

1.424.266

1.047.471

5.550.992

85.206

244.449

136.121

299.633

221.327

544.082

5.618.856

21.567.873

6.366.942

22.116.918

11.985.798

43.684.791

56.263.060

210.420.670

47.460.809

176.474.062

103.723.869

386.894.732

Prato TOSCANA ITALIA

Fonte: Elaborazioni Istituto G. Tagliacarne su dati Istat da11^ giornata dell’economia ” Rapporto economico della Provincia di Grosseto, anno 2012 – Unioncamere” L’indice di internazionalizzazione del turismo grossetano è ancora piuttosto modesto, con 1.424.266 presenze di stranieri, mentre Siena, con i suoi 2.750.781, si colloca al terzo posto in Toscana per presenze straniere; inoltre i turisti, sia internazionali che italiani, tendono a prediligere gli esercizi complementari piuttosto che le strutture alberghiere, con un risparmio sulle spese sostenute che non va a vantaggio del territorio. Oltre alla vocazione turistica principale, non mancano in tutte e tre le zone, offerte di altro tipo di turismo legato allo sport, all’ambiente, alla ruralità ed all’enogastronomia. In particolare il turismo ambientale può beneficiare della presenza del sistema dei parchi della Val di Cornia (che include 2 Parchi Archeologici, 4 Parchi Naturali, 3 Musei, 1 Centro di Documentazione), di quello delle riserve naturali comprendente 11 RRNNP della Provincia di Siena e 13 di quella di Grosseto, cui deve aggiungersi il parco naturale della maremma. Per quanto riguarda il turismo enogastronomico, per capirne la portata basta riferirsi alle numerose strade dei vini e dei sapori di cui di seguito si riporta la rappresentazione a livello regionale tratta dal sito di Toscana Promozione.

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La Provincia dei Comuni

Il turismo termale vede già alcune punte di eccellenza con gli stabilimenti di Bagni di Petriolo Saturnia, Bagnore (Grosseto), Bagni di S.Filippo, Bagno Vignoni, Chianciano, Montepulciano, Radicondoli, Rapolano, S. Casciano dei Bagni (Siena), Venturina (Val di Cornia) La successiva Carta 6 rappresenta la distribuzione dei posti letto in strutture ricettive nell’area interessata.

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Capitolo 5 Carta 6. Numero di posti letto in strutture ricettive – anno 2010 Dati Istituto G. Tagliacarne

Export Il territorio preso in esame non è omogeneo relativamente alla propensione all’export, con forti differenziazioni soprattutto fra l’area grossetana e quella senese. Quella grossetana si riconferma come un’economia poco propensa all’esportazione, con un export totale su valore aggiunto relativo all’anno 2012 di appena 5,6; nettamente migliore, anche se non particolarmente competitiva a livello regionale, è la situazione della provincia di Siena, che presenta un export su valore aggiunto pari a 15,8.

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La Provincia dei Comuni

Propensione all’export e grado di apertura al commercio estero per il totale economia nelle province toscane. Anni 20122013 Export totale su valore aggiunto totale. Anno 2012

Import-Export totale su valore aggiunto totale. Anno 2012

Export totale su valore aggiunto totale. Anno 2013

Import-Export totale su valore aggiunto totale. Anno 2013

Massa-Carrara

43,2

55,8

43,7

56,2

Lucca

31,5

47,6

32,9

49,1

Pistoia

18,1

29,4

17,8

29,1

Firenze

30,4

46,1

33,3

49,5

Livorno

27,2

84,7

22,4

80,2

Pisa

25,1

40,9

25,7

41,4

Arezzo

115,4

193,2

91,6

169,3

Siena

15,8

21,9

16,2

22,4

Province e regioni

Grosseto

5,6

9,5

5,7

9,6

Prato

36,4

63,4

35,9

62,5

TOSCANA

34,2

57,6

32,9

56,5

Fonte: Elaborazione Unioncamere su dati Istat– da : Rapporto economico Siena 2014

I prodotti “scambiati” con l’estero dal territorio grossetano sono essenzialmente prodotti alimentari e chimici. Le esportazioni della chimica, in particolare, sono legate alle performance dei grandi gruppi industriali localizzati tra i Comuni di Follonica e Scarlino, mentre quelle dell’agroalimentare alla presenza di piccole e medie imprese, legate alla filiera agricola.48 I prodotti maggiormente esportati dalla Provincia di Siena sono medicinali, preparati farmaceutici, bevande ed autoveicoli; per quanto riguarda le importazioni, invece, gli operatori provinciali acquistano all’estero principalmente oli e grassi vegetali ed animali, medicinali e prodotti farmaceutici di base.49 L’export della Val di Cornia è invece predominato da prodotti agricoli di qualità, come vino ed ortaggi.

48 - 11a giornata dell’economia, rapporto economico della Provincia di Grosseto, anno 2013– Unioncamere 49 - 10 giornata dell’economia della Provincia di Siena, anno 2012 - Unioncamere

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Capitolo 5

Dotazione infrastrutturale Rete stradale ed autostradale La rete viaria nell’area interessata è affidata all’autostrada A12 che trae origine dalla A7 Milano Genova, entra in Toscana parallelamente alla costa, passa per Pisa e giunge alle porte di Stagno. Da qui parte il raccordo per Livorno e prosegue fino a San Pietro in Palazzi, frazione di Cecina. All’altezza di Cecina l’Autostrada si collega alla variante Aurelia (superstrada a 4 corsie) che arriva fino a Grosseto. Quest’ultimo è collegato a Civitavecchia dalla via Aurelia ,che presenta numerosi incroci a raso, tratti alberati e l’attraversamento di numerosi centri abitati. L’entroterra è attraversato dall’itinerario E78, che costituisce anche il principale collegamento trasversale tra i corridoi longitudinali tirrenico ed adriatico. Il tracciato ha origine sulla Via Aurelia all’altezza di Grosseto e finisce, in corrispondenza del casello di Fano, sulla autostrada Adriatica A14 nelle Marche. In Toscana la E78 collega Grosseto con le città di Siena e Arezzo e, nelle Marche, quelle di Urbino e Fano; inoltre interseca la E45 e la fondovalle del Metauro in Provincia di Pesaro e Urbino. La E78 presenta attualmente aperto il cantiere dei lavori che porteranno alla realizzazione di un corridoio stradale a doppia corsia lungo l’intera estensione. Il Monte Amiata è collegato al territorio della provincia di Siena mediante l’ex strada statale 323 di Monte Amiata (ora SP 323 del Monte Amiata) e alla provincia di Grosseto dalla strada Provinciale 160 Amiatina (SP 160)http://it.wikipedia.org/wiki/ Strada_statale_323_di_Monte_Amiata - cite_note-3. . Porti La costa presenta 1 porto commerciale e passeggeri (il porto di Piombino) e 12 porti da diporto. Il porto di Piombino è il terzo porto passeggeri italiano e garantisce imbarchi per l’Isola d’Elba (unico punto di imbarco), la Sardegna, la Corsica, Pianosa e Capraia. Oltre a garantire il flusso passeggeri è un importante porto commerciale ed industriale. Recentemente sono stati ottenuti i finanziamenti per l’ammodernamento del porto e lo stesso, dopo aver visto svanire l’ipotesi di divenire porto di smantellamento della Costa Concordia, mira ad una nuova fase di sviluppo legata allo smantellamento di navi militari.

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La Provincia dei Comuni Fra i porti da diporto si ricorda il porto di Punta Ala, suddiviso in tre bacini, con 13 pontili e con 1.200 metri di estensione di banchine; è dotato di 893 posti di ormeggio, di cui 90 destinati al transito, per imbarcazioni con lunghezza massima 28 metri e con pescaggio massimo di 4,5 metri. Aeroporti Nell’area vasta sono presenti due strutture aeroportuali: l’Aeroporto di Grosseto (Aeroporto della Maremma “Corrado Baccarini”) e l’Aeroporto di Siena. Il primo ha due accessi, uno scalo civile situato a circa 2 km dal centro storico, mentre l’altro è alla Base Militare “4º Stormo Caccia Intercettori” sulla Via Castiglionese e quindi nella immediata periferia della città. Il “Baccarini” è uno dei principali aeroporti militari italiani, sede del 4°Stormo dell’Aeronautica Militare Italiana e base dei caccia Eurofighter Typhoon. Durante la stagione turistica, l’aeroporto civile è utilizzato anche se in modo marginale, come scalo di voli civili charter e privati. L’aeroporto di Siena è posto ad 8 chilometri dal centro abitato, ad Ovest della città. Da quest’ultimo sono possibili collegamenti quotidiani con Treviso, Bologna, Milano, Roma, Napoli e Perugia, ma non effettua voli internazionali, offerti invece da altri scali aeroportuali toscani, quali, l’”Aeroporto di Firenze – Amerigo Vespucci”, e l’“Aeroporto di Pisa – Galileo Galilei”. Rete ferroviaria Il territorio considerato è attraversato dalla linea ferroviaria Tirrenica, che collega Roma con Livorno, toccando tutte le principali cittadine della costa tirrenica ed in particolare Grosseto ed alcune località della val di Cornia. La linea è a doppio binario ed è una delle principali direttrici della rete ferroviaria italiana, che collega le regioni del nord ovest con quelle del sud. I collegamenti ferroviari fra l’entroterra grossetano – senese e le località costiere sono invece garantiti solamente da una è linea a binario unico, priva di elettrificazione che inizia presso la Stazione di Siena e si ricongiunge con la ferrovia Tirrenica presso la Stazione di Montepescali, terminando alla stazione di Grosseto dopo circa 12 km in comune. Dalla stazione di Monte Antico si dirama il tratto Asciano – Monte Antico, (precedente tracciato della Siena – Grosseto), che transita a nord del Monte Amiata e si collega alla ferrovia Siena Chiusi presso Asciano. Siena è collegata ad Empoli dalla Ferrovia Centrale Toscana che si ricongiunge successivamente alla ferrovia Firenze-Roma all’altezza di Chiusi. Anche la Ferrovia Centrale Toscana è una ferrovia a binario singolo non elettrificata, fatta eccezione per il tratto tra Granaiolo e Poggibonsi che è a binario doppio. Il tratto Montallese-Chiusi è l’intersezione Chiusi Nord della direttissima Firenze-Roma ed è stato riqualificato durante la costruzione della medesima.

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Capitolo 5

ICT- Information & Communication Technology

Tutto il territorio regionale è stato interessato, nel periodo 2006 – 2010, dal progetto portato avanti dalla Regione Toscana per il superamento del digital divide di primo livello. In particolare il progetto ha previsto la realizzazione di interventi per raggiungere, con l’infrastruttura a banda larga le aree che risultano meno favorite dalle politiche di investimento da parte degli operatori pubblici di comunicazione (OPC), zone che dunque rischiavano di essere emarginate dalle possibilità offerte dalla società dell’informazione e della conoscenza.

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La Provincia dei Comuni Tutto il territorio individuato risulta quindi supportato da una rete cablata regionale che consente l’attivazione del servizio anche nelle aree meno popolate e “fisicamente” più isolate del territorio. Oltre a questo sia la Provincia di Grosseto che quella di Siena hanno sviluppato un proprio progetto di cablaggio della Pubblica Amministrazione che ha messo in rete le sedi di uffici comunali, Provinciali e scolastici. Entrambe le Province sono inoltre dotate di una rete wi–fi per garantire collegamenti wireless gratuiti in alcuni punti particolarmente frequentati dei rispettivi territori (piazze, spiagge, parchi cittadini, ecc.). Entrambe le reti Provinciali sono federate con la rete Free ItaliaWiFi, progetto della Provincia di Roma, Regione Autonoma della Sardegna e Comune di Venezia, rivolto alle pubbliche amministrazioni per la realizzazione della prima rete federata nazionale di accesso gratuito ad Internet senza fili. Grazie a questo, tutti i cittadini che si registrano su una delle reti può navigare liberamente in tutte le reti di Free ItaliaWiFi, così che non esistono barriere oggettive al flusso di dati fra le due attuali Province. L’attuale diffusione degli hot spot Provinciali garantisce la copertura anche delle zone più periferiche sia dell’attuale Provincia di Grosseto che di quella di Siena. Dal 2013 anche la costa livornese, quindi anche parte della Val di Cornia, ha avviato il processo di copertura della connessione wifi, con hot spot, oltre che nella città di Livorno, anche a Rosignano Marittimo, Castiglioncello e San Vincenzo. I Centri Servizio per il Trasferimento Tecnologico a sostegno delle filiere Sulla base dello studio Trasferimento tecnologico e sistema istituzionale regionale dei Centri Servizio in Toscana realizzato da IRES per la Regione Toscana (2010), esistono sul territorio alcuni centri di eccellenza in ambito di Centro Servizi per il Trasferimento Tecnologico. La seguente tabella, estratta da quella a livello regionale proposta dallo studio, riporta quelli di interesse dell’area vasta Grosseto, Siena, Val di Cornia “estesa”

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Capitolo 5 Tipologia di CSTT Centri servizio per il TT (CTT) Centri tesi a favorire il contatto ravvicinato dell’utenza potenziale (le imprese) con le tecnologie e le relative applicazioni, contatto ravvicinato che implica nella pratica operativa lo svolgimento di quelle attività che nel CPUT ricadono nella macrocategoria “Trasferimento tecnologico”.

CSTT e localizzazione Consorzio Sperimentale del Mobile - CSM – Poggibonsi (Si) Etruria Innovazione - Siena Centro Servizi per l’Innovazione e il TT della Provincia di Grosseto - Grosseto CITT – Monterotondo (GR)

Centri di ricerca e servizio per il TT (CRTT) Istituzioni che associano ad un’attività di trasferimento tecnologico, più marginale, una di solito prevalente di ricerca e sviluppo,

Parco Tecnologico Magona – Cecina (Livorno) Siena Bioetch – Siena

Industrial Liaison Office (ILO)

ILO Siena – Siena

Strutture che sono dedite ad attività strettamente interne al mondo della ricerca e dell’università nello specifico, riassumibili nella definizione che la letteratura fornisce di Industrial Liaison Office, anche se nelle realtà assumono denominazioni differenti.

Incubatori e Parchi Scientifici e Tenologici (Incubatori e PST) Strutture nelle quali dovrebbero essere presente anche specifiche attività di trasferimento tecnologico accanto agli aspetti “immobiliari” della gestione delle strutture ospitate;

Centri servizio con attività di TT marginale (CTTM)

Fondazione Toscana Life Sciences (TLS) - Siena Incubatore di Campiglia Marittima (loc. Venturina) (Li) Centro Servizi di Torrita di Siena (Si) Eurobic Poggibonsi (Si)

Centri di servizio alle imprese che solo marginalmente offrono o sviluppano servizi di trasferimento tecnologico o di supporto allo stesso

Al quadro sopra rappresentato, risalente all’anno 2010, va aggiunto il centro di qualità dedicato all’agroalimentare, ed il laboratorio hight tech in via di realizzazione in Provincia di Grosseto. Il laboratorio hight tech che la Provincia di Grosseto sta realizzando in collaborazione con la Scuola Superiore S.Anna di Pisa svolgerà attività di ricerca, sviluppo e trasferimento tecnologico in settori considerati strategici come le tecnologie per la diffusione delle energie rinnovabili, la meccanica e la meccanica di precisione, l’informatica, la chimica, la nautica, la robotica con particolare riferimento alla demotica.

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La Provincia dei Comuni ll territorio della nuova Provincia è quindi interessato dalla presenza di almeno 6 Centri Servizi per il trasferimento tecnologico (compresi il polo dell’agroalimentare ed il laboratorio hight tech della Provincia di Grosseto); 2 centri di ricerca e servizi per il TT, 1 ILO, 3 incubatori e PST e 1 Centro servizi con attività marginale di TT.

Il pendolarismo

La domanda di mobilità su un territorio è motivata sia da spostamenti sistematici che asistematici Rientrano in quelli sistematici e di pendolarismo quelli legati a coprire la distanza fra residenza e luogo di lavoro o di studio, mentre gli spostamenti asistematici, ossia occasionali, sono correlati a motivazioni di svago o di ricerca di servizi. Gli spostamenti sistematici sul territorio sono dovuti al fatto che, come evidenziabile dalle carte di rappresentazione di cui ai paragrafi precedenti, la residenzialità e la collocazione delle attività produttive non sempre coincidono. I luoghi di lavoro e di studio divengono quindi poli attrattori, verso i quali è ipotizzabile un flusso di pendolarismo dai luoghi di residenza. Da un’indagine effettuata dalla Regione Toscana50 emerge che l’88,3% di coloro che si spostano utilizza un mezzo privato, sia per spostamenti sistematici che occasionali con effetti negativi sugli aspetti ambientali, dell’incidentalità e del traffico. Tipologia dei mezzi di trasporto

Spostamenti sistematici

Spostamenti occasionali

Totale spostamenti

% sul totale spostamenti

Mezzo pubblico

303.690

177.853

481.542

9,4%

Mezzo privato

2.140.346

2.367.987

4.508.333

88,3%

Mezzo pubblico + privato

86.077

20.135

106.212

2,1%

Non attribuibile

4.184

4.773

8.958

0,2%

Totale

2.534.296

2.570.749

5.105.045

100%

L’utilizzo del mezzo pubblico prevale negli spostamenti sistematici mentre risulta minore per gli spostamenti occasionali. Riassumendo brevemente i risultati dello studio regionale, l’uso del mezzo pubblico, sia negli spostamenti sistematici che occasionali, è preferito sulle lunghe percorrenze (soprattutto per un risparmio di tempo e denaro o per non dover risolvere problematiche di parcheggio) e dai non patentati. L’auto è invece il mezzo di trasporto che viene più comunemente scelto per brevi spostamenti, in particolare sulle tratte che collegano i comuni situati nelle immediate prossimità dei capoluoghi di Provincia con il capoluogo stesso. Chi sceglie l’auto, motiva la propria scelta con il risparmio di tempo, un maggior comfort, con la possibilità di trasportare cose o persone, con una maggiore libertà di orario e di percorso ma in buona parte (20% del campione) anche con l’assenza del trasporto pubblico sulla tratta di percorrenza. La stima effettiva dei flussi deve quindi essere condotta tenendo conto anche delle scelte di mobilità degli utenti e del fatto che tale scelta è fortemente condizionata dall’effettiva offerta del servizio pubblico che determina il livello di accessibilità dei territori. Al fine di migliorare tale livello di accessibilità, l’ultima gara relativa al Trasporto Pubblico Locale realizzata in Toscana ha visto 50 - I comportamenti di mobilità dei cittadini toscani – Regione Toscana, anno 2009

100


Capitolo 5 mettere a bando una rete regionale suddivisa in 14 lotti, spingendo di fatto le società che gestivano i servizi a consorziarsi e ad avviare in tal modo un primo processo di razionalizzazione del servizio. Tale processo ha determinato la riduzione del numero di gestori da 40 a 14; questo nonostante le gare abbiano in larga parte confermato i precedenti gestori del servizio, molto spesso riuniti in ATI con altri operatori del TPL già presenti sul territorio regionale. La razionalizzazione ha favorito la semplificazione complessiva dell’offerta di trasporto, con l’introduzione di un solo sistema tariffario, di un comune centro informativo e di un unico orario. Aziende del Trasporto Pubblico toscane

Km percorsi annualmente

ATAF S.p.A.

18.124.867

TIEMME S.p.A.

16.642.381

CPT Compagnia Pisana Trasporti S.p.A.

10.150.630

ATL S.r.l.u.

8.495.064

F.lli LAZZI S.p.A.

8.321.121

CAP Coop Autotrasporti Pratesi S.r.l.

8.072.878

CLAP S.p.A.

7.871.087

COPIT S.p.A.

6.685.438

RAMA S.p.A.

6.520.539

LFI S.p.A.

5.399.442

LI-NEA S.p.A.

4.955.980

ATN S.r.l.

4.812.753

ATM S.p.A.

2.019.976

TRAIN S.p.A.

101.402

Totale percorrenze annuali TPL Regione Toscana

126.847.766

Fonte: Osservatorio Regionale Trasporti Toscana Fra le aziende di trasporto toscane, la Tiemme S.p.a. 51è quella che serve in modo diretto il territorio preso in esame. A Tiemme sono stati chiesti dati sui flussi di pendolarismo da essa rilevati nello svolgimento del servizio di trasporto pubblico. Un ordine di grandezza dei flussi rilevati su alcune delle tratte principali che collegano le zone grossetana, senese e della Val di Cornia, può essere desunto dalla seguente rappresentazione.

51 - Tiemme s.p.a. - Toscana Mobilità nasce nel 2010 mediante l’unione di quattro società di trasporto pubblico locale toscane: la ATM di Piombino, la Train di Siena, la Rete Automobilistica Maremmana Amiatina di Grosseto e La Ferroviaria Italiana (LFI) di Arezzo.

101


La Provincia dei Comuni

La carta evidenzia la presenza di flussi oltre i 1000 passeggeri solo sulla tratta Siena – Firenze. Per quanto riguarda la zona grossetana, si osservano flussi di media – bassa intensità (fra 101 e 250 passeggeri) sulle direttrici che collegano Grosseto con la Val di Cornia, e, nel periodo invernale, con Castiglione della Pescaia ed Orbetello. Nella stessa fascia di passeggeri è anche la tratta Grosseto – Siena – Firenze , mentre nella fascia 0 – 50 passeggeri al giorno rientrano i collegamenti fra Grosseto e l’Argentario, la Strada del Tufo e l’Amiata. Abbastanza frequentate sono invece le corse che garantiscono gli spostamenti da e verso il mare nel periodo estivo con 251 – 500 passeggeri sulla tratta Grosseto – Marina e Grosseto e 501 – 100 su quella Grosseto– Castiglione della Pescaia. Sul versante senese si rileva invece un flusso di passeggeri compreso fra le 101 e le 250 unità su tutte le direttrici che collegano Siena con Torrita, Arezzo e San Gimignano, mentre abbastanza frequentate (251 – 500 o 501 – 1000 passeggeri) sono invece le corse che garantiscono gli spostamenti fra Siena e Sinalunga e fra Siena e Colle Val d’Elsa – Poggibonsi. Poco frequentati i collegamenti fra Siena e Chianciano (0 – 50 passeggeri). Come già precisato a tali dati andrebbero tuttavia aggiunti gli effettivi flussi di spostamento con mezzi propri, difficilmente riscontrabili.

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Capitolo 5 Anche lo studio condotto direttamente da Tiemme sull’utenza della sola Provincia di Grosseto52mostra infatti che il mezzo pubblico è utilizzato prevalentemente da studenti e da lavoratori dipendenti, ossia da chi tende alla regolarità oraria dei propri impegni; i dati sul servizio pubblico non riescono quindi ad intercettare chi, per caratteristiche lavorative, necessita di libertà di orario e di spostamento.

Conclusioni dello studio Come già osservato, il territorio prese in esame presenta almeno 4 Comuni ad alta densità abitativa (con popolazione superiore ai 30.000 abitanti): Rosignano Marittimo, Piombino, Siena e Grosseto. Intorno a ciascuno di essi sono presenti zone a densità abitativa molto inferiore a quella del centro di riferimento, tale da creare una situazione di discontinuità di tipo edificatorio ed abitativo. Tuttavia gli abitanti delle zone circostanti gravitano su tali centri per raggiungere i luoghi di lavoro e di studio e per poter usufruire dei servizi. La distribuzione della densità di impresa evidenzia infatti rappresentazioni analoghe a quella della residenzialità tranne, evidentemente, per quanto riguarda le imprese agricole in cui la sede dell’impresa non può corrispondere, per sue caratteristiche, a zone ad alta densità abitativa. Esiste quindi una continuità di tipo funzionale fra ciascuna delle zone molto urbanizzate ed i territori circostanti (che precedentemente avevamo definito hinterlands) Tale continuità funzionale è testimoniata anche dalla presenza di flussi di pendolarismo, più o meno intensi, ma comunque sempre da e verso il centro più urbanizzato e le zone limitrofe.

52 - Indagine sulla customer satisfaction di Tiemme mobilità S.P.A. . Università di Siena, dicembre 2011.

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La Provincia dei Comuni

Dallo studio del territorio all’individuazioni dei confini dell’area metropolitana Per individuare i confini di un’area metropolitana che sia anche efficiente (ossia che superi il limite del 350.000 abitanti fissati dall’Università Bocconi) Fermandosi esclusivamente ai parametri caratterizzanti l’area metropolitana (scuola di Chicago), potremmo dire che mediante lo studio esposto siamo arrivati all’individuazione di 4 aree metropolitane: una con centro Grosseto, una con centro Siena, una Piombino ed una Rosignano Marittimo. L’area metropolitana che intendiamo tracciare deve però rispettare anche criteri di efficienza, ossia una popolazione minima di almeno 350.000. Nessuna delle quattro zone individuate è in grado di rispettare tale parametro, motivo per cui dovremo comprendere il territorio dell’attuale Provincia di Grosseto in un territorio più ampio, costruito aggregando fra loro le aree metropolitane individuate. In altre parole occorrerà decidere se, per tradizioni, analogie territoriali, produzioni ecc. sia più opportuno unire il territorio grossetano a quello senese o a quello di Piombino e Rosignano Marittimo o, al limite, ad entrambi. La scelta potrebbe inoltre dipendere da specifici obiettivi di sviluppo che si intendano perseguire per il territorio grossetano. Dal precedente studio territoriale che, lungi dal pretendere di essere esaustivo, esprime le caratteristiche di massima del territorio e della sua economia, derivano alcuni elementi che depongono a favore di una sinergia grossetano – senese ed altri per una costiera che unirebbe Grosseto alla Val di Cornia.

L’area metropolitana Grosseto - Siena Il territorio grossetano dell’interno si coniuga con quello senese dal punto di vista paesaggistico, con una zona collinare e montuosa che passa dall’area grossetana a quella senese senza soluzione di continuità. Siena e Grosseto condividono la tradizione agricola, e la notevole produzione enogastronomica per le quali, proseguendo nell’esperienza consolidata da entrambe, oltre a mantenere e rafforzare la qualità delle produzioni, potrebbe essere perseguito l’obiettivo di migliorare il fronte delle esportazioni, proponendo prodotti certificati sotto un unico marchio di qualità. Il neo – nato laboratorio tecnologico per l’agroalimentare verrà ubicato, per altro, sul versante grossetano del Monte Amiata, e potrebbe quindi agevolare, sia per Siena che per Grosseto, la messa a sistema dei know how aziendali già presenti sul territorio, favorendo il miglioramento delle singole tecniche di produzione ed eventualmente la nascita di nuove. Grazie all’enogastronomia, Siena e Grosseto hanno in comune il turismo ad essa legato, supportato dal sistema degli agriturismi. Le stesse strade dei vini e dei sapori grossetane e senesi si intrecciano, creando un unicuum di gusto e tradizione. Per quanto riguarda il turismo ambientale, i due territori insieme potrebbero offrire un sistema di 24 riserve naturali più il Parco Naturale della Maremma e beneficiare entrambe di risorse e tradizioni del Monte Amiata, già in comune. Le due aree condividono anche la tradizione di giostre, palii e rievocazioni storiche che potrebbero essere inserite nell’offerta turistica anche al fine di dare visibilità a borghi grandi e piccoli del territorio di cui i due attuali capoluoghi condividono le bellezze.

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Capitolo 5 La messa in rete dei territori potrebbe inoltre rappresentare per entrambe l’occasione per la diversificazione e quindi destagionalizzazione dell’offerta turistica, con la costituzione di circuiti che prevedano il turismo culturale senese accanto a quello balneare grossetano. Sull’esperienza delle strade del vino e dei sapori, potrebbe essere utile collegare direttamente il turismo termale con percorsi nei parchi archeologici, mettendo a sistema i siti grossetani e senesi per la creazione di percorsi culturali e del benessere. Oltre alla tradizione agricola, enogastronomica ed al turismo, Grosseto e Siena condividono parte delle lavorazioni manifatturiere, in particolare l’industria del legno e del sughero, la fabbricazione di mobili, l’industria meccanica e l’industria alimentare. Dal punto di vista dei parametri di area metropolitana, il territorio grossetano e senese, oltre a presentare le caratteristiche di adeguatezza demografica (487.185 abitanti), di discontinuità territoriale in presenza di continuità funzionale (anche se prevalentemente su due “poli di attrazione” anziché su uno solo) ha in più un importante flusso di pendolarismo che relaziona Siena e Grosseto, rappresentato da tutti quegli studenti che dal grossetano si recano a Siena per la presenza dell’Università. Anche quest’ultima, con la nascita del Consorzio Universitario, ha costituito un altro forte punto di contatto e relazione fra i due territori. L’area metropolitana Grosseto – Siena è tuttavia caratterizzata dalla non competitività, per non dire debolezza, delle infrastrutture viarie, ferroviarie, ecc di cui dispone. In particolare Siena è collegata a Grosseto e quindi alla linea ferroviaria Tirrenica, esclusivamente da una linea a binario singolo a trazione diesel e l’unica arteria che attraversa l’entroterra è la E78, per la quale sono in corso i lavori per il raddoppio delle corsie transitabili. La chiusura infrastrutturale può costituire, al tempo stesso, punto di debolezza e punto di forza per lo sviluppo del territorio individuato. Punto di debolezza perché la carenza infrastrutturale determina in negativo le possibilità di accesso al territorio stesso; punto di forza perché l’assenza di grandi arterie conserva le caratteristiche peculiari del territorio, che diviene raggiungibile, almeno nelle sue parti più caratteristiche, solo per mezzo di una viabilità che non disturba il paesaggio. Da questo punto di vista potrebbe essere utile mettere a frutto la disponibilità di infrastrutture tecnologiche (di cui tutto il territorio dispone) ed ipotizzare una filiera delle tecnologie intelligenti a servizio dell’economia del territorio. Se è vero infatti che sulla rete non possono viaggiare fisicamente luoghi e persone, grazie ad internet può viaggiare il brand territoriale53 così che la rete diviene uno dei pochi modi per far conoscere ciò che rende unica questa parte di Toscana ed i suoi prodotti. Grazie alle tecnologie, gli operatori di marketing hanno la possibilità di divulgare e vendere un marchio, che contiene in sè la promessa implicita di qualità che il cliente si aspetta dal prodotto (in questo caso dal territorio). Inoltre, dopo il passaparola di parenti ed amici, la reputazione on line, delineata dai commenti in rete di chi ha già provato un determinato prodotto, è la seconda forma di pubblicità in termini di affidabilità. L’importante quindi non è quindi fare una buona pubblicità, ossia “parlare bene di noi”, ma fare in modo che molti “parlino bene di noi”.54 53.- Il brand, ossia “la marca” è una fondamentale risorsa intangibile, costruita aggregando, intorno a specifici segni di riconoscimento, un definito complesso di valori, di associazioni cognitive ed emotive, al quale i consumatori attribuiscono un valore aggiunto che eccede la performance tecnicofunzionale del prodotto/servizio identificato dalla marca stessa e che pertanto si traduce in un valore economico-finanziario differenziale per l’impresa (brand equity) - Il Brand Management – Facoltà di Scienze della Comunicazione – UniRoma 1 54 - Indagine global trust in advertising – Nielsen, Aprile 2012.

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La Provincia dei Comuni Le tecnologie intelligenti oltre ad andare a sicuro vantaggio del turismo, divengono quindi anche sostegno a tutte le produzioni del territorio che potrebbero avere mercato in Italia o all’estero. Fra l’altro, non è necessario avere grandi capitali per affacciarsi all’export in rete, visto che è possibile rispondere alla domanda quando questa si è già formata, senza dover scegliere aprioristicamente i mercati su cui proporre i prodotti e consentendo quindi di affacciarsi all’export anche ai piccoli produttori che non dispongono di grandi capitali. Le tecnologie intelligenti potrebbero altresì favorire la riduzione degli spostamenti di chi, per lavoro o per studio, è costretto a spostarsi regolarmente su un’infrastruttura fisica non adeguata.

L’ area metropolitana Grosseto – Val di Cornia La Val di Cornia rappresenta, dal punto di vista territoriale, il proseguimento naturale del territorio costiero grossetano, tanto che di essa fanno parte anche alcuni comuni della Provincia di Grosseto. La zona delle Colline Metallifere segna il punto di passaggio fra la Provincia di Grosseto e quella di Livorno, comprendendo i territori comunali di Sassetta, Campiglia Marittima, Suvereto, Gavorrano, Massa Marittima, Monterotondo Marittimo, Montieri, Roccastrada, Scarlino e la parte settentrionale del comune di Castiglione della Pescaia. Il territorio più settentrionale della Provincia di Grosseto è dunque legato a quello della Val di Cornia per gli insediamenti minerari attualmente dimessi o in abbandono che hanno tuttavia determinato la presenza dei primi complessi industriali da cui hanno avuto origine gli attuali poli di Piombino e di Scarlino. La zona costiera a nord della Provincia di Grosseto è in realtà l’unica in cui l’industria assume connotati diversi da quella alimentare e manifatturiera più diffuse nel territorio grossetano. Sulla base dei dati emersi dall’analisi territoriale, Grosseto e la Val di Cornia condividono anche la tradizione agricola, in particolare per quanto riguarda la produzione di ortaggi e di vini. Il già costituito Gruppo di Azione Costiera costituisce inoltre un esempio di sistematizzazione delle materie della pesca e dell’acquacoltura afferenti alle due zone. Anche grazie al GAC potrebbero quindi essere valorizzati e certificati ulteriori prodotti alimentari (provenienti dalla pesca) come già fatto per l’anguilla sfumata e per la bottarga di cefalo nel territorio di Orbetello. La pesca, insieme alla nautica, è infatti una filiera di rilievo per entrambi i territori, essendo gli stessi dotati di 12 porti turistici oltre al porto passeggeri e merci di Piombino. Se il sistema dei porti turistici può favorire la filiera del turismo, la presenza del porto di Piombino, per altro in via di ammodernamento, può sviluppare quella della cantieristica, che non si limiti al solo assemblaggio, rimessaggio e manutenzione, ma anche alla realizzazione di imbarcazioni che potrebbe valorizzare le maestranze artigiane già presenti sul territorio. Le tipologie di turismo condivise da area grossetana e Val di Cornia sono innanzitutto quello balneare, ma anche quello ambientale con un’offerta di parchi e riserve che, unendo quelli della Val di Cornia con quelli grossetani, costituiscono un unico sistema di parchi e riserve con 21 siti di interesse di cui uno (il parco di Montioni) è già interprovinciale per estensione territoriale. Anche con la Val di Cornia, Grosseto condivide la presenza di siti termali e di siti archeologici etruschi, che potrebbero portare allo sviluppo del turismo culturale e del benessere. Nell’ipotesi di associare Val di Cornia estesa e territorio grossetano, i parametri di area metropolitana sono rispettati, con un territorio che presenta ben tre poli di attrazione ed oltre 350.000 abitanti. La carta sulla residenzialità mostra inoltre una continuità fra i territori grossetano e piombinese, con il Comune di Follonica a fare da collegamento.

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Capitolo 5 Non è stato possibile indagare nello specifico i flussi di pendolarismo fra la zona nord della Provincia di Grosseto (Follonica e Scarlino in particolare) ed i due poli di attrazione più prossimi (Piombino a nord e Grosseto a sud), ma l’esperienza suggerisce un’intensità di flussi di spostamento almeno dello stesso ordine di misura nelle due direzioni, costituiti da persone che si spostano nelle due zone per motivi lavorativi. Per questioni di prossimità e di tradizione produttiva è possibile addirittura ipotizzare una maggiore intensità di flussi (sia di persone che di merci) da Follonica – Scarlino verso nord piuttosto che verso sud. Un ulteriore flusso di pendolarismo, non indagato perché non ricompreso totalmente all’area metropolitana analizzata, può inoltre essere previsto sulla direttrice tirrenica, sia viaria che ferroviaria, da Grosseto fino a Pisa, centro universitario e di erogazione di importanti servizi (ospedale universitario, aeroporto, ecc.). I flussi di persone e merci fra il territorio grossetano e la Val di Cornia sono agevolati dalla presenza sia della variante Aurelia, collegata poi alla rete autostradale, sia dalla direttrice ferroviaria tirrenica Roma - Livorno. Oltre a favorire i collegamenti fra i due territori, tali vie di comunicazione consentirebbero una notevole apertura dell’intera area metropolitana ipotizzata verso il nord (variante Aurelia, autostrada FI-PI-LI cui la stessa è collegata e linea ferroviaria tirrenica che intercetta la linea PI – FI all’altezza, appunto, di Pisa), verso il sud (via Aurelia Grosseto - Civitavecchia anche se attualmente la stessa non offre una viabilità del tutto fluida a causa dei numerosi incroci a raso), e verso l’interno (E78 in via di adeguamento). Rilevante inoltre la possibilità di apertura verso il mare garantita dal sistema dei porti, ed in particolare dal porto di Piombino. Il tratto di costa ottenuta dalla sinergia del territorio grossetano con parte di quello livornese, andrebbe infatti a costituire una finestra affacciata sul Mediterraneo ed in particolare su quello che viene identificato come Arco Latino. L’Arco Latino, nell’opinione più comunemente accettata, è formato dalle Province e dalle amministrazioni locali di quattro stati membri dell’Unione Europea: la Spagna, la Francia, l’Italia e il Portogallo. Tale spazio geografico individua un territorio multiforme: regioni costiere, territori insulari e zone interne adiacenti e si configura, nel contesto degli orientamenti stabiliti dalla Strategia Territoriale Europea (ETE), come “zona dinamica di integrazione nell’economia mondiale”. Attualmente la Provincia di Grosseto sta partecipando al Programma transfrontaliero Italia / Francia Marittimo, che interessa parte dei territori di Arco Latino.

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La Provincia dei Comuni

Immagine relativa al Programma Operativo Italia / Francia “Marittimo”

Per voler fare un parallelismo con la città di Lisbona, che si definisce un hub sull’Oceano Atlantico potremmo dire che l’area vasta metropolitana Grosseto – Val di Cornia costituirebbe un hub sul Mediterraneo o, volendo riprendere il principio ispiratore del piano strategico 2005 – 2015 della città di Lecce, un “ponte” verso i Paesi che si affacciano sul mediterraneo.

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Capitolo 5

L’ area metropolitana Grosseto – Siena - Val di Cornia Un’area metropolitana che comprendesse al contempo tutte e tre i territori oggetto di studio, costituirebbe una realtà ottimale dal punto di vista del parametro di efficienza (con i suoi oltre 600.000 abitanti), ma non omogenea dal punto di vista delle caratteristiche territoriali e dell’economia insediata. In questa ipotesi, Grosseto si porrebbe quale territorio di collegamento fra la “chiusura” del territorio senese e la dinamicità della costa. La Provincia di Grosseto, comprendendo infatti in sé un esteso territorio sia interno collinare – montano che costiero, costituisce il punto di incontro di due economie, quella senese più rivolta alla tradizione, alla cultura alle produzioni tipiche e quella della Val di Cornia, più protesa all’industria ed alle esportazioni. Non mancherebbero comunque anche tratti di continuità fra le tre aree; le due ipotesi di area metropolitana sopra rappresentate mostrano infatti, quali punti di contatto, le produzioni di vini, il turismo ambientale legato a parchi e riserve naturali e quello termale ed archeologico. Altri punti di contatto potrebbero inoltre essere individuati approfondendo lo studio sopra condotto ed estendolo ad ulteriori tematiche; quello che tuttavia gli elementi in nostro possesso sembrano già attestare è che il legame fra caratteristiche dell’area senese e quella della Val di Cornia risulta rafforzato dalla “mediazione” di quella grossetana, che condivide con l’una e con l’altra parte della propria economia, tradizione e morfologia territoriale. Un punto di debolezza dell’area metropolitana Grosseto – Siena – Val di Cornia potrebbe quindi essere la difficoltà di programmare politiche unitarie che siano espressione al contempo di realtà non omogenee da molti punti di vista. Un punto di forza può invece essere individuato nel fatto che la sistematizzazione di territori non del tutto simili porterebbe all’introduzione, nelle singole economie e tradizioni, di elementi esogeni e di novità. Le differenze insite nelle tre realtà considerate, se supportate dalla volontà di collaborare per la crescita di tutto il territorio valorizzando le eccellenze in esso presenti, potrebbero in realtà costituire un “catalogo” di best practices da cui le singole aree potrebbero attingere per sviluppare potenzialità in ambiti diversi da quelli tradizionali anche se contigui alla propria vocazione. La disomogeneità territoriale potrebbe quindi costituire una grande ricchezza, facendo beneficiare un territorio delle eccellenze degli altri. E’ questo anche il caso delle infrastrutture, per le quali le potenzialità di apertura della Val di Cornia in continuità con il territorio grossetano potrebbero andare a beneficio anche del territorio senese, favorendo l’apertura delle zone montane e collinari. Di questo in particolare risentirebbe positivamente il flusso delle merci e quindi l’export territoriale, ma anche il turismo garantendo una maggiore accessibilità ai territori.

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La Provincia dei Comuni

Conclusioni Le precedenti ipotesi di area vasta con relativa individuazione delle sinergie territoriali non sono evidentemente esaustive delle potenzialità che potrebbero emergere dall’unione di due o più dei territori considerati. Del resto nemmeno l’applicazione di un semplice modello può determinare in modo univoco i confini dell’area metropolitana idonea a comprendere una determinata area geografica. La scelta di quali territori unire per realizzare un ente di area vasta utile allo sviluppo di un territorio non può infatti essere operata esclusivamente sulla base di indicatori statistici ed economici; occorrerà invece tener conto di una vision territoriale, ossia degli obiettivi di sviluppo che, sulla base delle vocazioni emerse dallo studio, per quei territori si ha intenzione di conseguire. I soggetti istituzionali più idonei a fissare tali obiettivi di sviluppo mediante la lettura dei dati territoriali sono le Regioni, che tuttavia dovranno agire in collaborazione con le autonomie locali interessate, vere conoscitrici delle realtà locali. A sostegno di questa tesi, il Programma regionale di Sviluppo 2003 – 2005 qualificava l’area vasta quale “concetto” idoneo “per la definizione di priorità ed obiettivi che superano il livello provinciale […] utile sia nel processo top-down (quando la Regione si trova ad articolare gli obiettivi a scala locale) sia nel processo bottom-up (quando i livelli territoriali propongono azioni ed obiettivi di interesse locale)”; in sintesi “uno strumento, relativamente flessibile e rimodulabile, per sostenere l’azione di programmazione sia a livello regionale sia a livello locale con particolare riferimento alle tematiche connesse alla definizione e alla localizzazione dei servizi rari”55. L’individuazione di aree vaste ottenute per semplici annessioni territoriali, così come fatto in passato quando il legislatore ha tentato di migliorare il livello di efficienza degli enti mediante aggregazione di Province esistenti, non può quindi essere sostenuta. Su questa via è da ritenersi inutile anche il mantenimento di enti territoriali i cui confini coincidono con quelli regionali: i due enti territoriali si troverebbero infatti ad insistere sul medesimo territorio per la realizzazione degli stessi obiettivi di sviluppo, rappresenterebbero lo stesso sistema di flussi ed interazioni economici e sociali (trattandosi di un territorio unico) e per di più, viste le intuibili scarse dimensioni, l’ente così costituito sarebbe probabilmente poco efficiente. Al contrario, Regioni molto estese e popolate necessiteranno di individuare più enti – aree metropolitane perché la diversità dei territori non impedisca una programmazione delle politiche unitaria che tenga conto di tante differenti vocazioni territoriali. Lo studio prodotto vuol quindi essere semplicemente l’esemplificazione di un metodo e l’applicazione di un modello che tiene conto, innanzi tutto, del territorio e dei bisogni di chi vi abita.

55 - L’Area Vasta nell’esperienza della Toscana. Una realtà a due dimensioni. - Francesco Virgili

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Capitolo 5

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