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Cronaca
Sabato 4 Gennaio 2014
I marubini, una ricetta dalle terre dell’Islam
Il “sambusuch” è una sfoglia di pasta ripiena di carne, originaria dell’India e diffusa ancor’oggi tra Iran e Arabia Saudita
L’involucro di sfoglia
Così, nelle Tavole della Salute di Ibn Butlan, viene descritto il Sambusuch, nella traduzione latina fatta alla corte di Re Manfredi: «Il Sambusuch è un calzoncino di pane la cui pasta è difficile da digerire quando non è ben cotta. E’ un piatto, chiamato anche “ravioli”, fatto di carni tritate, uova ed erbe: e la digestione è appesantita dalla sua stessa pinguedine». E’ interessante notare come il traduttore stabilisca una corrispondenza tra il sambusuch e i nostri ravioli, indicandoci quale fosse la strada che la preparazione araba aveva preso in Occidente. Nel Duecento inoltre, termine ravioli (la cui etimologia è incerta) poteva indicare sia il composto risultante da una farcia soda inserita in una piccola sfoglia di pasta, sia una semplice polpettina di farcia bollita o fritta. Ed il rimedio («remotio nocumenti») ad un’indigestione di sambusuch ripieno di mudacathat è indicato da Giambonino (a partire dal testo arabo) con «acqua di sommacco» (infuso agro simile al limone ottenuto dai frutti di una pianta delle anacardiacee, Rhus Coriaria): più o meno come oggi consigliano un succo di limone a chi è vittima di indigestione dopo una scorpacciata di marubini al pranzo di Natale. mi.sco.
Il ripieno di carne
Così Giambonino traduce la ricetta del Mudacathat (o Mudaqqaqat) descritto nel compendio di Ibn Jazla, ossia il trito di carne utilizzato per riempire la sfoglia all’uovo del Sambusuch: «E’ migliore perché è fatto con carne di montone; ed è calda e umida e rafforza il corpo e conviene ai consunti per stravizi o per lavoro o per afflizione, o angoscia o paura e provoca nausea. [...] E si fa così, ed è chiamata mudacathat: prendi petti di gallina e tagliali in piccoli pezzetti e aggiungici una libbra di carne di montone e tagliala con un coltello in piccoli pezzetti e mescolaci 20 dracme di grasso di pollo, ovvero di strutto di pollo, e rimestalo nella pentola finché il grasso si sia ben mescolato con la carne, e aggiungici 20 dracme di salgemma e 20 dracme di cipolla bianca tagliata fina, e un poco di coriandolo e cannella, e quando ti sembra che abbia un buon sapore, aggiungici una libbra di acqua e fai bollire finché sia mezzo cotto; e poi prendi 30 dracme di mandorle pelate e pestale con acqua di rose facendole diventare come latte, e aggiungilo e mescolalo nella pentola, e getta nella pentola un pugno di ceci puliti e un sacchetto di lino in cui siano racchiusi cumino e zenzero pestati, e quando è cotto versaci sopra due uova sbattute, e dallo a chi vuoi». mi.sco.
N
di Michele Scolari
el fondo manoscritti della Biblioteca Nazionale di Parigi è conservato un misterioso codice miscellaneo su pergamena (segnalato all’inizio del ‘900 dal filologo medievista Cremonese Francesco Novati). La sigla, Ms. Lat. 9328, non dice nulla ai non esperti, ma dietro quella sequenza di numeri si cela una serie di manoscritti latini raccolti insieme, l’ultimo dei quali, profondamente rovinato, risale al XIII secolo e contiene una ricetta che mostra come il “razionale” dei ravioli, inclusi quindi i marubini cremonesi e i tortelli cremaschi, derivi da una specialità arabo-persiana giunta in Pianura Padana dall’oriente islamico attraverso Venezia e il Meridione italiano nel XIII secolo assieme ad altri piatti (tra cui le lasagne e, duole ammetterlo, gli spaghetti). L’operetta, intitolata “Libro delle vivande e dei condimenti” (“Liber de ferculis et condimentis”) altro non è che l’estratto in traduzione latina della monumentale enciclopedia "Cammino dell'esposizione di ciò che l’uomo utilizza" (AlMinhaj fi Al-Adwiah Al-Murakkabah) redatta dal medico iracheno Ibn Jazla nella Baghdad dell’XI secolo, la sfarzosa ed elegante capitale del califfato abbaside, centro della cultura araba persianizzata dopo le conquiste dell’VIII secolo. L’edizione critica del Liber de ferculis è stata pubblicata nel 2001 da Anna Martellotti (La gastronomia araba in Occidente nella trattatistica dietetica), ricostruendo parte del testo latino sulla versione tedesca conservata in un manoscritto della Staatsbibliothek di Monaco. Ebbene, in una delle 83 ricette tradotte nel Liber dall’enciclopedia di Ibn Jazla (dove si trova anche la ricetta del Chaloe, uno degli antenati orientali del torrone), compare anche il precursore islamico dei nostri ravioli (introdotti nella Pianura Padana intorno al XIII secolo), inclusi i marubini cremonesi: è il sambusuch, prelibato tipo di sfoglia all’uovo (di forma triangolare o semicircolare) riempita con un trito di carni speziato (chiamato Mudacathat kafuriya, ossia “trito di Kafur”), descritto sia nel Cammino di Ibn Jazla, sia nelle Tavole della salute di un altro medico iracheno, Ibn Butlan (entrambi vissuti in nell’Oriente islamico nell’XII secolo). Di origine probabilmente indiana e diffusa nei califfati arabi tra il IX e il XII secolo tramite la mediazione persiana, questa sfoglia ripiena antenata del nostro raviolo europeo è diffusa ancor oggi tra Iran e Arabia Saudita con i nomi di Sanbusaj (persiano Sanbusak) o Samosa. Ma una suggestiva somiglianza (nella ricetta e nella forma) si nota anche con i tortelli di Crema, non meno orientaleggianti dei marubini cremonesi: essi contengono amaretti, mostaccini (biscotti speziati con dentro Armelline di Damasco, ovvero piccole mandorle contenute nei noccioli delle albicocche – frutto introdotto in Occidente dagli arabi), uvetta, menta e no-
Nei trattati di due medici di Baghdad si trova il prototipo dei ravioli, tradotto nel Duecento da un cremonese
I marubini cremonesi
Il sambusuch arabo-persiano
A Venezia tradusse 80 ricette dell’enciclopedia di Jazla
Giambonino da Cremona, medico e filosofo Giambonino da Cremona, che Enrico Carnevale Schianca identifica con Zambonino da Gazzo, docente di filosofia a Padova, doveva essere con tutta probabilità un medico, come sembra indicare l’appellativo “magistro” posto accanto al suo nome nel frontespizio del manoscritto di Parigi. Probabilmente conosceva la lingua araba di prima mano, anche se non è escluso che per la traduzione del compendio di Jazla si fosse fatto affiancare da un mercante di madrelingua araba per individuare le esatte corrispondenze degli ingredienti. L’intestazione del Liber riferisce anche che Giambonino tradusse il libro di Jazla proprio a Venezia, città che, a partire dalle Crociate, intrattenne intensissimi rapporti commerciali da un lato con Cremona e Crema, dall’altro con con l’Oriente. Gli interessi arabistici di Giambonino, se da un lato possono essere visti come prosecutori di quella scuola di traduttori dall’arabo che esistette a ce moscata: il tutto sapientemente amalgamato in un delicato equilibrio di sapori che richiama proprio il tipico gusto arabo-persiano per le miscele dolci-salate. Sia i marubini che i tortelli cremaschi non vengono menzionati prima del 1400. Ma si potrebbe andare ancor più indietro. Già nei ricettari in latino e in volgare tra Duecento e Trecento, compaiono i termini batuta e rafiole: il primo indica in genere i pastumi di carne per diversi tipi di ripieni, il secondo è il femminile del termine “ravioli”, dove l’impasto di carne può essere racchiuso in una sfoglia. I ravioli, sia asciutti che in brodo di carne, compaiono nel Liber de coquina della corte angioina (XIII sec.) e nell’Anonimo Veneziano (XIV sec.). Certi “ravioli di pasta senza crosta” (“raviolos sine crusta de pasta”), considerati un’ambita leccornia, sono ricordati, assieme alle lasagne, nell’anno 1284 della Cronica del francescano di Parma Salimbene de Adam. E di «raviuoli cotti in brodo di capponi» parla addirittura il Decamerone di Giovanni Boccaccio (XIV sec.), nella descrizione del paese di Cuccagna all’interno
La sfoglia ripiena è introdotta in pianura padana nel XIII sec.
Cremona nel monastero di S. Lucia a partire dal grande traduttore dall’arabo del XII secolo Gerardo da Cremona, dall’altro sono collocabili nella cornice di quella cultura medica, nutrita della medicina araba, che si era impiantata nel Duecento in area emiliano-veneta, a partire dalle Università di Bologna e Padova: una cultura, assieme a quella della celebre Scuola Medica di Salerno, in cui si collocano parecchi testi di carattere igienico-dietetico destinati all’igiene personale - come il De Regimine di Adamo da Cremona - e legati soprattutto all’interesse per la conservazione della salute espresso dalle élites di corte, di Federico II di Svevia o di quella pontificia. Una versione latina delle enciclopedie di Jazla e Butlan è tutt’oggi conservata alla Biblioteca Statale di Cremona, incluse nella miscellanea a stampa di Johann Schott (impressa a Strasburgo nel 1531). mi.sco.
della novella di Calandrino e l’Elitropia. Ora, venendo a Cremona e ai marubini, gioverà sottolineare che fu proprio un cremonese, Giambonino da Cremona, a redigere il Liber de ferculis. Sul frontespizio del manoscritto si legge «tradotto a Venezia dall’arabo in latino dal Maestro Giambonino Cremonese» (“translatus in Veneciis a magistro Jambobino Cremonensis ex arabico in latinum”). La Martellotti avanza addirittura l’ipotesi che la stessa Repubblica avesse commissionato al cremonese la traduzione dell’opera araba. A Venezia infatti doveva essere ben conosciuto il Cammino di Jazla (oltre alle Tavole di Butlan), che sul finire del Duecento rappresentava la più completa enciclopedia di tutti i prodotti alimentari e medici disponibili sui mercati orientali (con tanto di caratteristiche merceologiche, paese di provenienza, applicazioni terapeutiche, preparazione, grado di efficacia e rimozione del danno). La tendenza all’esotismo culinario nell’Europa medievale era rafforzato dalle importazioni delle spezie orientali che aumentavano sempre più con l’arricchirsi dell’Occidente e
I ravioli in brodo compaiono anche nel Decamerone
Il “sambusuch” si ritrova anche nel ricettario quattrocentesco del Platina La versione di Ibn Jazla del Sambusuch e del Mudacathat, tradotta da Giambonino, si riconosce anche nel De honesta voluptate et valetudine (“Il piacere onesto e la buona salute”), composto nel 1475 dall’umanista piadenese Bartolomeo “Platina” Sacchi (del quale esiste una meravigliosa traduzione di Luisa Piccioni, “Pàan e sapiéensa”, pubblicata nel 1978 e corredata con poesie in dialetto di Silvano Bottoni). Dal riso con latte, mandorle e noce moscata, a certe frittelle fatte con mandorle, latte, albume e acqua di rose, il trattato quattrocentesco del Platina richiama troppo spesso e troppo da vicino, vuoi pietanze dei compendi arabi di Butlan e Jazla, vuoi chiari riferimenti al Compendio delle vivande (Kitab alTabikh) del medico Al-Baghdadi, vissuto nel XIII secolo (due secoli dopo Butlan e Jazla). Basta scorrere il De honesta voluptate fermandosi alla vo-
ce “Pasticcio in olla” (Pastillus in olla) per constatare che è in tutto e per tutto simile al Mudacathat descritto nelle ricette arabe di Jazla e Butlan. E il composto di sfoglia e ripieno di carne di derivazione arabo-persiana, da cui derivano anche i nostri ravioli, si riconosce nel “Piatto di carne” (nella sezione dedicata alle Minestre), che sembra contenere qualcosa sia dei marubini che dei tortelli cremaschi: «fai cuocere bene una libbra di addome suino o di vitello, tagliala poi finemente e aggiungici mezza libbra di cacio stagionato grattugiato, erbe odorose sminuzzate, pepe, zenzero e chiodi di garofano. C’è chi mette anche un petto di cappone ben pestato. Prepara intanto una sfoglia, lavorando bene la farina, e tirala molto sottile. Con l’impasto fai delle palline non più grosse di una castagna e avvolgile in un pezzo di sfoglia, poi falle cuocere in brodo grasso e colorato con
zafferano: richiedono breve cottura. Servi nei piatti e spolvera con cacio grattugiato e aromi dolci». Riguardo alle «palline non più grosse di una castagna», è interessante notare come una delle possibili etimologie de termine “marubini” sia fatta derivare proprio dalla castagna, “marù”, la cui dimensione avrebbe dato la misura per la quantità di ripieno.
trovavano in Venezia il centro di scambi sia per gli antichi legami della città con Bisanzio sia per i nuovi rapporti instaurati in seguito alle Crociate. Dalla Serenissima dunque, il sambusuch (come altre specialità arabe), si diffuse nella pianura padana, assumendo poi caratteristiche proprie da luogo a luogo per forma, farcitura e dimensioni (già nella traduzione di Giambonino, talvolta le specialità arabe vengono adeguate ai gusti e alle abitudini culinarie della tradizione occidentale più povera). Insomma, Cremona è debitrice per molte cose alla gastronomia ed alla scienza islamiche del Medioevo e non soltanto per il torrone (come abbiamo riportato su queste colonne nell’edizione de Il Piccolo di sabato 19 ottobre 2013). Come molti tipi di ravioli, anche i nostri tortelli cremaschi e i marubini (“nemici” di vecchia data), vantano una discendenza comune, arabo-persiana o comunque riconducibile ad un contesto gastronomico orientale, giunta in Pianura Padana nel Medioevo, attraverso la mediazione dei commerci con Venezia e il compendio di Giambonino.
E’ possibile che il Platina nel ’400 avesse ancora sottomano il manoscritto del Liber de ferculis di Giambonino e che, al contempo, la ricetta dei ravioli, derivati dal sambusuch arabo-persiano, fosse già ampiamente diffusa in Pianura Padana a partire da Venezia. Del resto, non sfugge neppure il fatto che gli stessi presupposti medici rinascimentali sui quali si incardina il compendio del Platina non differiscano poi molto dalle premesse su cui si basavano la medicina e la dietetica umorale islamiche, contenute in numerosi compendi analitici di cibi usati come medicinali semplici fioriti dall’Andalusia a Baghdad tra l’VIII e l’XI sec. d.C.: ovvero, il cibo inteso come elemento al centro d’interessi che fanno riferimento alla medicina, alla cura del corpo e al desiderio di “star bene” (in latino, appunto, valetudo). mi.sco.
I Signori Singh Parneet e Kaur Sandeep nati in India e residenti in Colorno (PR) via Milano n° 8
hanno chiesto la celebrazione solenne del matrimonio presso il Consolato Generale dell’India a Milano, se qualcuno avesse delle obiezioni potrà rivolgersi al Consolato al seguente numero: 02 8057691.