Artistar jewels

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L’uomo ha sempre adornato il proprio corpo con monili di diverso genere e di svariate forme, realizzati nei materiali più vari fin dalla sua comparsa sulla terra, come molti antichissimi ritrovamenti archeologici testimoniano. Ma cosa ha spinto l’essere umano a creare questa varietà di oggetti con cui fregiare la propria persona? Le motivazioni a cui è riconducibile questa prima domanda sono differenti e complesse. Certamente a ragioni più antiche se ne sono aggiunte, se non addirittura sovrapposte altre, in tempi relativamente più recenti. Strettamente connessa a questa prima domanda, se ne impone un’altra riguardante i criteri per i quali un oggetto possa essere considerato prezioso o meno. Partendo proprio da questo secondo punto va immediatamente detto che l’inclinazione a identificare la preziosità di un oggetto con il «valore intrinseco» dei suoi materiali risulta piuttosto recente. Tale comune inclinazione, focalizzata sul processo di tesaurizzazione, si fonda su uno schema mentale che vede nel gioiello la rappresentazione simbolica dello status socio-economico di chi lo indossa. In quest’ottica, in parte ancora oggi dominante, va sotto la denominazione di «gioiello» tutto ciò che può diventare un piccolo investimento di capitale. Seguendo questa prospettiva, però, si opera una radicale restrizione della propria attenzione al solo campo dei metalli nobili, quali l’oro, l’argento, il platino, e delle pietre preziose (diamante, rubino, zaffiro, smeraldo) e semipreziose (tormalina, acquamarina, ametista ed altre ancora).

Di fronte a questa generalizzata visione su cosa possa considerarsi «prezioso» e su quali oggetti possano aspirare al titolo di «gioiello», sorprenderà considerare che in realtà uno dei metalli sopra indicati, il platino, quando venne

scoperto dagli spagnoli venne ritenuto un’imperfezione dell’argento, e per questo venne disdegnato, così come produrrà stupore riflettere sulla non rarità di alcuni minerali menzionati tra quelli preziosi, come per esempio il diamante. In prima battuta, sono stati così delineati due principi in base ai quali catalogare come «preziosi» alcuni materiali, ovvero il loro essere più o meno importanti al pari di altri metalli, da tempo fregiati di quel titolo, e la loro disponibilità in natura, per cui il loro pregio risulta inversamente proporzionale alla loro abbondanza. Soffermiamoci brevemente su alcune considerazioni relative al platino. Il nome di questo metallo deriva dallo spagnolo platina, tradotto in italiano con l’espressione «lamina d’argento» o «piccolo argento» e si deve a quei conquistadores spagnoli avidi di ricchezze, che incontrandolo per la prima volta in Colombia e scambiandolo per una tipologia di argento non pura, lo disprezzarono. Sebbene molte testimonianze rivelino l’utilizzo di questo metallo fin dalle epoche precolombiane del Sudamerica, il platino verrà classificato come metallo prezioso soltanto a partire dalla metà del Settecento. Da questo momento in poi, in base a una serie di criteri quali la disponibilità in natura, la sua estrema duttilità, l’elevata resistenza alla corrosione, la purezza, esso si imporrà come il componente più ricercato e desiderato dalle grandi Case produttrici per incastonare le pietre preziose e per aumentare il potere di luminosità dei diamanti, dando vita a piccoli capolavori di oreficeria, appannaggio di persone ricche.

Un’ulteriore rapida riflessione sulla storia dei diamanti ci offre la possibilità di delimitare altri criteri di identificazione dei gioielli. Il diamante, conosciuto fin dalle epoche più antiche, ma indossato così come si presentava in natura allo stato grezzo e non lavorato, divenne oggetto di attenzione in Europa solo a partire dal ‘500, in seguito all’affermarsi

di una serie di condizioni che ne permisero l’avvento nel settore della gioielleria. Condizione principale che determinò la diffusione dei diamanti a scapito di altri materiali, quali l’oro e le perle, fino a quel momento i componenti più preziosi, fu il consolidamento dei contatti commerciali con l’India, zona, in passato, di massima estrazione dei diamanti, nota anche come la patria dei migliori tagliatori. Nel momento in cui gli artigiani europei acquisirono la tecnica del taglio del diamante con schegge dello stesso materiale, esaltandone così la brillantezza e la trasparenza, la richiesta di questa gemma sul mercato europeo venne fortemente incentivata. Di particolare rilievo per il commercio del diamante furono le tipologie di taglio adottate, le più ricercate furono il taglio «a brillante doppio» noto anche come «Mazarino», che consisteva in 32 facce, e il taglio «a brillante triplo», corrispondente a 56 facce, entrambi in grado di aumentare la particolare luminosità del cristallo. Al di là di questi curiosi particolari circa la storia di queste gemme preziose, si vuole porre l’attenzione su uno dei criteri che le hanno rese tanto apprezzate e desiderate, ovvero la loro rarità. Su questo aspetto ci sarebbe molto da dire, sarà però interessante far notare che la rarità, se intesa da un punto di vista quantitativo, è nel caso dei diamanti più il frutto di una sorta di pianificazione commerciale. Diversamente da quanto si possa comunemente pensare, i diamanti non sono pietre tanto rare, la scoperta di nuovi giacimenti minerari è in continua crescita in varie parti del mondo, sebbene la preminenza sia da attribuire ad alcuni Stati dell’Africa centrale e meridionale (Botswana, Angola, Congo, Sudafrica), alla Russia e al Canada. A questo punto ci si domanda come mai siano così alti i prezzi dei diamanti, pur non scarseggiando in natura. Fatte salve alcune considerazioni relative ai costi legati ai processi di estrazione, lavorazione e distribuzione di queste bellissime

gemme, va detto che la principale motivazione risiede nel regime di monopolio esercitato da un’unica compagnia, la De Beers, fondata alla fine dell’Ottocento. Attraverso il rispetto di una serie di regole ferree stabilite con i principali acquirenti dei diamanti, venduti in quantità prestabilite e fisse secondo prezzi pattuiti preventivamente, è stato possibile per molti anni assicurarsi il controllo di quotazioni elevate e mantenere lo stesso standard di profitti anche nei periodi di crisi. Tali tattiche di mercato unite a una rivoluzionaria, quanto astuta, strategia di marketing, che ha insistentemente puntato sull’associazione tra i diamanti e l’amore duraturo ed eterno, in analogia con la durezza e resistenza del cristallo in questione e sulla percezione della rarità dello stesso, hanno indotto la clientela a vedere nell’acquisto dei diamanti un investimento sicuro.

In seguito alla scoperta negli anni ‘50 e successivamente negli anni ‘70 in Siberia, di due importanti giacimenti diamantiferi, il monopolio della De Beers è stato messo in seria discussione, dovendo essa da quel momento competere e confrontarsi con la Russia, divenuta il nuovo colosso a livello mondiale nel controllo del commercio dei diamanti. Le precedenti considerazioni ci permettono di individuare alcune tappe di quella dinamica relazionale del tutto privilegiata che l’uomo ha stabilito nei secoli con alcune pietre, presenti in natura. Ma soprattutto alcuni brevi cenni al platino, come ai diamanti, ci hanno dato l’opportunità di capire meglio quanto sia complesso indicare la preziosità di un gioiello, dal momento che molti aspetti non sono immediatamente evidenti o comunque non corrispondono alle opinioni correnti.

Liberando la nostra mente da quello schema mentale precedentemente indicato, riguardo al binomio, apparentemente inscindibile, tra i gioielli e il loro prestigio, possiamo ritornare al quesito da cui ha avuto inizio questa trattazione. Alla domanda sulla motivazione

o sulle eventuali plurime ragioni delle meravigliose e varie creazioni ostentate dall’uomo fin da tempi antichissimi, possiamo tracciare delle linee guida, che prescindano in parte dal valore intrinseco dei materiali. Le prime forme di ornamentazione personale erano ottenute utilizzando semplici oggetti quali pietre colorate, denti di animali, ciottoli, scheletri di pesce, conchiglie, ed altro ancora, solitamente forati in un punto da cui venivano fatte passare delle corde così da poterli indossare. I primi gioiellieri sono stati dei lapidari e la loro principale attività consisteva nella cura posta nel taglio e nella levigatura di questi oggetti. Relativamente alle ragioni della realizzazione delle prime e rudimentali forme di gioielli, si è ipotizzato che fungessero da amuleti, con cui si cercava di far fronte alle principali paure e insicurezze dell’uomo. Caricati di potere magico, visti come simboli della manifestazione della benevolenza divina, garante della salute e del benessere dell’uomo, gli amuleti venivano associati a un tipo particolare di disgrazia o di malattia che si voleva combattere, spesso anche in base alla forma dell’oggetto utilizzato.

Oltre al concetto di protezione, i primi ornamenti avevano anche la funzione di ostentare una virtù o un particolare pregio di chi li indossava, se l’oggetto in questione era raro o comunque non alla portata di tutti. Un esempio chiave che aiuta a inquadrare questa seconda funzione è rappresentato da collane realizzate con i denti di un animale feroce. In questo caso, il possessore di un tale monile sfoggiava e comunicava la sua diversità rispetto al gruppo, essendosi distinto per forza fisica e coraggio, aspetti che incidevano nell’acquisizione di una posizione sociale. Tenendo fermi due aspetti emersi in queste ultime riflessioni, ovvero la funzione magica e un linguaggio simbolico, possiamo affermare che a partire dall’Età del bronzo e con la scoperta dell’oro, viene inaugurata la storia

dei gioielli. Non è quindi casuale che per moltissimi anni il termine «gioielleria» venisse utilizzato come sinonimo di «oreficeria». Rinvenute le prime tracce d’oro, questo metallo rimase una costante nella storia degli oggetti preziosi.

L’oro inizialmente suscitò un irresistibile fascino soprattutto per via delle proprietà esteriori, simbolicamente interpretate. In virtù della sua luminosità e della sua estrema incorruttibilità, dal momento che non ha la tendenza a corrodersi e ad ossidarsi, l’oro venne associato alla divinità nei vari culti animistici. In una civiltà come quella egizia, particolarmente legata alla lavorazione delle pietre colorate, la scoperta dell’oro rappresentò una possibilità ulteriore di arricchire i propri monili. Presso questo popolo, preminente rimase la funzione simbolica associata alla gioielleria, come risulta chiaro dalla ricorrenza di determinati soggetti, come serpenti, scorpioni, scarabei, falchi e altri animali, rivestiti di precisi significati. Altrettanto fiorente era la produzione di talismani e gioielli decorativi per i defunti, affinché avessero una protezione nella vita ultraterrena. Si svilupparono, inoltre, le prime tecniche di imitazione delle pietre dure più rare, inaugurando la lavorazione delle pietre vitree e della ceramica.

Molto diffusi in Egitto erano i diademi, le corone, i bracciali e gli anelli-sigillo, questi ultimi avevano una doppia funzione, essendo usati sia come talismani che come emblemi identificativi di chi gestiva il potere. Identiche funzioni erano associate agli anelli con la pietra intagliata a forma di scarabeo, divenuti popolari presso i Minoici, abitanti dell’isola di Creta.

Altro popolo che si distinse nel Mondo Antico per la raffinatezza delle proprie abilità in questo settore, oltre che in quello tecnologico, fu l’etrusco. Abitanti dell’Italia centrosettentrionale, emigrati, secondo alcuni storici, dall’Asia Minore, gli etruschi ricoprirono un ruolo di primo piano nella storia dell’oreficeria per la pregiata lavorazione a granulazione, secondo una tecnica che non ha avuto più

eguali per abilità e perfezione. Le loro creazioni, collane, bracciali e orecchini, prevedevano un’elaborata lavorazione di teste umane, satiri, animali e altri temi con funzione sia magica che ornamentale. Un aspetto innovativo riguardante i fruitori della gioielleria nel Mondo Antico fu che essa, a partire dall’età ellenistica, sotto l’egida di Alessandro Magno, non fu più appannaggio dei reali e della nobiltà. La vastità dell’impero di Alessandro offrì la possibilità di disporre di enormi quantità di oro e di pietre dai meravigliosi colori, quali le corniole, i granati, gli smeraldi, le ametiste oltre alle perle. In seguito alla facile reperibilità di questi materiali e alla contemporanea ascesa sul piano socioeconomico di una nuova classe di commercianti, i gioielli divennero oggetti alla portata di una clientela sempre più vasta e interessata a investire nel settore. Presso un’altra civiltà, quella romana, si affermò il carattere di differenziazione sociale nell’uso e nell’ostentazione dei gioielli, come lo scrittore Petronio mise in evidenza nel suo Satyricon, in cui stigmatizzava i «nuovi ricchi», avvezzi a esibire «il proprio stato sociale al vicino di casa». I romani, inoltre, furono i primi a realizzare anelli come segno di fidanzamento o di matrimonio.

Una funzione diversa, di natura rituale, è stata ipotizzata dagli storici per identificare l’uso di catene attaccate alle corone, appartenute a due re visigoti, risalenti al VII secolo. Secondo questa ipotesi le catene permettevano di sospendere al soffitto le corone, durante le cerimonie.

Anche nell’Impero Bizantino la gioielleria era prevalentemente destinata alla funzione rituale, piuttosto che a una funzione di abbellimento della persona. La predominanza di una struttura politica di tipo teocratico, data la presenza capillare del Cristianesimo, vide il potere politico e quello spirituale personificati nella figura dell’imperatore. I bellissimi mosaici presenti nella Chiesa di San Vitale a Ravenna ci

danno un’idea della ricchezza e della complessità della gioielleria in uso presso la Corte degli imperatori bizantini. Nella stessa direzione, si mosse la produzione di gioielli nel Sacro Romano Impero, in seguito all’incoronazione di Carlomagno. Ci sono pervenuti oggetti strettamente connessi all’arte religiosa, mentre molto meno diffusa era la gioielleria profana, destinata ad uso personale, in seguito ad un esplicito divieto da parte dello stesso sovrano, che giudicava l’ornamentazione personale appannaggio esclusivo dei nobili e dei re. Questa restrizione relativa al possesso e all’esibizione dei monili in metalli nobili e pietre preziose venne ribadita e maggiormente accentuata nel Medioevo, in seguito all’emanazione in Francia di una legge che appunto li proibiva ai cittadini comuni. Si affermò un tipo di gioielleria «reale», caratterizzata dalla realizzazione di corone e diademi elaborati ed impreziositi da pietre scolpite. Nella lista dei tesori reali compaiono, ovviamente, anche tutta una serie di collane, anelli, spille e abiti arricchiti di rubini, smeraldi, zaffiri e perle. L’austerità delle leggi promulgate in Francia alla fine del XIII secolo, divenne il modello a cui si rifecero circa un secolo dopo l’Inghilterra e la Spagna. A partire dal Quattrocento, i gioielli tornano a diffondersi, divenendo parte integrante della moda. Si poté assistere in questo periodo alla perdita del valore simbolico, precedentemente associato ai monili di vario tipo, a favore della semplice decorazione personale. Le collane si diffusero anche grazie alla moda delle scollature generose. Molto frequenti furono i pendagli, senza esclusione di quelli di stampo devozionale, rappresentati ad esempio dai porta reliquie o dai crocifissi. Se la compresenza delle funzioni devozionale e accessoria segnò la parte finale del Medioevo, nell’epoca immediatamente successiva, il Rinascimento, si affermò un atteggiamento laico tipico del ceto borghese, patrocinatore della gioielleria decorativa.

Data la stretta relazione che il settore di nostro interesse stabilì con le arti figurative, non deve sorprendere la riproduzione sulle pietre, montate sui diversi monili, di temi mitologici cari ai pittori e agli scultori dell’epoca. Gioielli molto comuni nel Rinascimento, come si evince dai ritratti e dagli inventari dell’epoca, erano i fermagli per capelli, i pendagli, le fibbie per cintura, le collane con inciso un monogramma, recante le iniziali dei nomi dei coniugi, come segno di amore eterno. Sempre in questo periodo divennero frequenti nella moda soprattutto dei nobili e dei re le catene portate ad uso di collane. Questi monili erano caratterizzati da una duplice funzione, essi erano sia un accessorio decorativo per chi li indossava, sia un bene di scambio nel caso si fosse effettuato l’acquisto di una merce. Gli anelli di queste particolari collane erano realizzati in modo da valere quanto l’unità di moneta dell’epoca. In questo stesso periodo, la scoperta del Nuovo Mondo e il processo di colonizzazione di nuove terre, permise ai Reali di entrare in possesso di una spropositata quantità di gioielli, spesso utilizzati come garanzie di un prestito. La ricchezza senza pari delle civiltà dell’America precolombiana stupì senza ombra di dubbio i primi conquistadores, ammaliati dal lusso e dall’eleganza dei paramenti personali degli indigeni. Presso queste civiltà l’abbondanza di oro, argento e tutti gli altri metalli preziosi era talmente elevata, dato il ricco sottosuolo, che tutti indossavano fieramente dei gioielli. A contraddistinguere l’ordine gerarchico, e in questo si coglie la funzione esplicativa del ruolo sociale della ornamentazione, era la diversità dei monili assegnati. Nella creazione di questi preziosi rientravano anche le piume di rari e bellissimi uccelli, come il quetzal, che servivano a decorare o i nobili o coloro che si erano distinti in qualche eroica azione. Anche le popolazioni precolombiane credevano nell’aldilà come appare evidente dai ricchi corredi sepolcrali. Particolarmente

diffuse erano le maschere funerarie, facce grottesche da cui partono raggi dall’aspetto di serpenti. Accanto a questa diffusa tipologia di ornamento, sono stati ritrovati, in quantità inestimabile, collane, corone, orecchini, pettorali, ornamenti per il naso, pendagli, corazze ed altro ancora. Seguendo di pari passo i mutamenti politico-sociali della storia dell’uomo, arriviamo alla prima metà del XVII secolo, periodo in cui la guerra dei Trent’anni, la guerra civile in Inghilterra e la diffusione della peste, oltre a causare un generale impoverimento delle Case Reali, principali promotrici della produzione dei preziosi, generarono la propagazione di un radicale senso di morte con riflessi nella scelta dei soggetti della gioielleria. Ne derivò una «gioielleria funeraria» basata su monili che riproducevano teschi, scheletri e bare in gaietto, una varietà di lignite, nota fin dall’antichità come «ambra nera». Questa tipologia di ornamentazione, in sintonia con il materiale scelto, aveva la precisa funzione di comunicare lo stato di paura e insicurezza che attanagliò l’uomo in un periodo tanto difficile, in cui la vita umana era costantemente messa a rischio da molteplici calamità. Terminata l’epoca delle lunghe ed estenuanti guerre e rafforzato il settore commerciale soprattutto in direzione d’Oriente e in particolar modo verso l’India, nella seconda metà del Seicento si poté assistere all’affermazione del diamante come materiale prezioso, che relegò in secondo piano oro e perle, fino a quel momento i materiali più in voga. Se fino alla metà del XVIII secolo, la gioielleria fu prerogativa esclusiva dei membri delle Case Reali e della nobiltà, verso la seconda metà del Settecento, in seguito alla rivoluzione industriale che determinò l’ascesa socio-economica della borghesia, si diffuse un’ornamentazione personale molto simile a quella aristocratica. La differenza era rintracciabile nell’uso di materiali nuovi e relativamente meno costosi, che fungevano da surrogato dei diamanti e delle pietre preziose.

Un pregevole esempio di sostituto del diamante era il glass of lead, si trattava di un nuovo tipo di vetro a base di ossido di piombo con indice di rifrazione più elevato di altri materiali già esistenti, difficilmente distinguibile dal diamante, se osservato alla flebile luce delle candele, unica fonte di illuminazione nelle case dell’epoca. Nello stesso periodo, si affermò lo strass, un cristallo piombico elaborato da Joseph Strasser, con un indice di luminosità superiore al glass. Con questo nuovo materiale le pietre false acquisirono un notevole miglioramento delle loro qualità ottiche. In poco tempo, le suddette pietre passarono dall’essere considerate dei semplici sostituti di gioielli, preclusi ai molti, ad essere oggetto di attenzione e apprezzamento da parte di molte Case Reali. Molte parures create con queste pietre rientrarono nelle collezioni di re e nobili. Nel tentativo costante di ricreare la brillantezza dei diamanti, attraverso il ricorso a materiali a basso costo, furono utilizzati la pirite e la marcassite, entrambi minerali di ferro, e il cristallo di rocca, sottoposti agli stessi tagli dei diamanti. Come sostituto dell’oro si affermò il princisbecco, dal nome del suo inventore, l’orologiaio inglese Pinchbeck. Si trattava di una lega di zinco, rame e stagno, con cui divenne possibile creare gioielli appariscenti, che si rifacevano ai modelli in oro. Accanto a questi tentativi di riprodurre e imitare pietre e materiali preziosi con la finalità di soddisfare l’incremento della domanda di gioielli alla portata di una clientela più vasta ma eterogenea da un punto di vista delle disponibilità finanziarie, nella seconda metà del XVIII secolo e per più di centocinquant’anni si impose la gioielleria in acciaio. In grado di sostituire sia le pietre che i metalli, l’acciaio sfaccettato donava lo stesso effetto della pirite, da tempo principale surrogato del diamante. La rapida diffusione dell’acciaio, come nuovo componente dei gioielli, rese questa lega particolarmente ricercata anche presso la

nobiltà, anche in conseguenza degli alti prezzi imposti. Il periodo che intercorre tra la Rivoluzione francese e il Consolato di Napoleone vide un ridimensionamento notevole nel settore di nostro interesse, essendosi diffusa l’esigenza di ridurre lo sfarzo e il lusso, simboli di quel potere aristocratico spazzato via dalla Rivoluzione. Inoltre, la nuova classe dominante, la borghesia apprezzava una tipologia di gioielli che celebrava la libertà e lo spirito del periodo rivoluzionario. Divennero di moda orecchini a forma triangolare, simbolo della ragione e pendenti a forma di ghigliottina in miniatura. I metalli utilizzati erano rigorosamente modesti o in acciaio. I dipinti dell’epoca ci offrono un saggio della semplicità delle pettinature e dell’abbigliamento, da cui è possibile cogliere alcuni aspetti di quel preciso periodo storico, contrassegnato dalla preminenza di criteri di austerità e rigorosa linearità. Ma questi dettami nel costume subirono, nell’arco di un decennio, un ulteriore mutamento, al momento dell’ascesa al Consolato da parte di Napoleone. Non solo si ritornò ad indossare diamanti e altre pietre preziose, ma divenne obbligatorio indossare parures da sera durante i grandi ricevimenti di Corte. In controtendenza rispetto a questo ritorno alle abitudini pregresse, in Germania e in particolar modo a Berlino, si affermò la moda della gioielleria in ferro. Fibbie, bracciali, collane, medaglioni e tutti gli altri tradizionali accessori vennero realizzati in questo materiale, con cui i tedeschi accettarono di barattare i loro gioielli preziosi, quando fu necessario contribuire al finanziamento della guerra contro i francesi. Fu in seguito a questo evento che l’artigianato in ferro berlinese conquistò notevole popolarità. Il XIX secolo, da un punto di vista dei temi e degli stili adottati in questo settore, fu complesso e molto eterogeneo, se pensiamo che alla riscoperta dello stile gotico si affiancò il recupero dello stile rinascimentale.

In Inghilterra, l’Ottocento fu fortemente segnato dall’impronta della regina Vittoria, che regnò per 64 anni. L’arco di tempo in questione vide uno sviluppo notevole nelle tecniche e nei materiali nel settore artigianale, basti pensare alla placcatura, sistema che consisteva nel ricoprire completamente la superficie di un oggetto con una sottile patina di oro. Con questo procedimento vennero utilizzti anche materiali meno pregiati, dal momento che non sarebbe stato possibile riconoscerli sotto lo strato applicato superficialmente. Questo fu anche il periodo in cui vennero migliorati i sistemi di riproduzione delle pietre preziose, con un significativo calo dei prezzi, grazie al processo di industrializzazione.

In seguito alla scomparsa nel 1861 del consorte, la regina Vittoria visse un lungo periodo di lutto espresso attraverso l’uso di gioielli in gaietto, materiale abbinato alla morte, anche in epoche passate. La fortuna di questo materiale non durò a lungo, perché ben presto le sue caratteristiche di lucentezza vennero ottenute con il meno costoso «vetro nero», noto come «gaietto francese», successivamente affiancato dallo smalto nero, molto usato per gli anelli. A partire dal 1895, si affermò un fenomeno del tutto nuovo e in discontinuità con il passato, noto con il nome di Art Nouveau. In brevissimo tempo si impose una radicale e innovativa visione dell’arte a 360°. Le coordinate entro le quali si orientò l’Art Nouveau furono caratterizzate dall’alta qualità dei prodotti, dal rifiuto della meccanizzazione del manufatto artistico, dall’assenza di una linea di demarcazione tra «arti pure» e «arti applicate», dall’estensione del numero dei fruitori dell’operato artistico. Il manifesto di questa nuova concezione dell’arte venne espresso a chiare lettere nella rivista inglese Art Nouveau Illustrated, in cui si affermava la volontà di «mutare gli artisti in artigiani e gli artigiani in artisti». Principale obiettivo del movimento consisteva nell’ideazione e nella realizzazione di tutta la gamma dei prodotti

corrispondenti alle esigenze della vita pratica: i mobili, le tappezzerie, i pannelli decorativi, gli oggetti di uso comune. L’idea di base era quella di creare un’armonia perfetta, in grado di accordare ogni dimensione della vita umana. La filosofia che contrassegnò i nuovi artisti ebbe un notevole influsso sulla gioielleria, in cui prevalsero i temi prescelti per le arti decorative, ovvero disegni dalle linee libere e morbide, soggetti naturalistici e accostamenti di colore intensi e sperimentali. L’Art Nouveau pose all’attenzione dei suoi estimatori un radicale rifiuto verso il valore prettamente commerciale dei metalli usati nella realizzazione dei pezzi di gioielleria. Tale originale impostazione influì sulla scelta dei materiali che potessero essere fregiati del titolo di preziosi e, coraggiosamente, si decretò che essi fossero la madreperla, il vetro, le conchiglie, il corno e l’avorio, arricchiti dai colori brillanti dello smalto. A inaugurare il nuovo tipo di approccio alla creazione dei gioielli, in ossequio all’estro e alla creatività dell’artista, fu il francese René Lalique. Polemico contro ogni forma di utilitarismo tipico di molti gioiellieri soprattutto del passato, Lalique realizzò una serie di ornamenti impiegando, senza alcuna remora, materiali tra loro diversissimi, come l’avorio, i diamanti, l’ambra, perfettamente affiancati dal vetro, dal rame e dall’acciaio.

L’Art Nouveau ebbe fine nel 1914, anno in cui lo scoppio della prima guerra mondiale incise inevitabilmente su ogni settore della vita civile, così come sulla produzione di gioielli.

Una rinascita e rivalutazione in senso artistico, in questo campo, si ebbe a partire dal 1918, anno in cui presero l’avvio, parallelamente, due diverse tipologie di gioielleria. Una, propriamente detta «commerciale», divenne l’espressione delle grandi Case produttrici del settore. Le sue principali caratteristiche erano la quasi totale mancanza di originalità nei soggetti e il ricorso a materiali preziosi e molto costosi, dal momento che la maggior parte dei monili veniva realizzata

su committenza. L’altra tipologia, invece, era rappresentata da piccole botteghe con a capo artigiani indipendenti o gioiellieri professionisti, dediti alla creazione di prodotti artistici. Nel 1919 venne fondata la Bauhaus, una scuola di architettura che inglobava le arti applicate. La filosofia di fondo risiedeva nella volontà di approcciare l’arte in tutte le sue manifestazioni, non disdegnando il supporto della meccanizzazione, a condizione che essa venisse sempre guidata dall’artista e dall’artigiano, operativi durante il processo di realizzazione delle creazioni. Le linee privilegiate dovevano essere semplici, precise e rispettare rigorose proporzioni, elementi che si rispecchiarono nei modelli dei nuovi gioielli, dalle forme geometriche ed essenziali. Altra caratteristica tipica di questa gioielleria fu la tendenza ad accostare materiali vili e semipreziosi a diamanti e altre pietre di valore. Una scelta corrispondente ad una funzione puramente estetica e non commerciale. Gli anni del secondo conflitto mondiale portarono a un inevitabile periodo di stasi nel settore, ma a partire dalla metà del secolo scorso vi fu una rifioritura della produzione laboratoriale. Da quel momento, le strade intraprese dalle due tipologie di gioielleria sopra menzionate, quella «commerciale» e quella di stampo artistico-artigianale, risultarono ulteriormente distinte. A tale netta demarcazione contribuì notevolmente l’intervento in questo campo di artisti del calibro di Alexander Calder, George Braque e Salvador Dalí.

Braque, all’età di 81 anni, disegnò un numero impressionante di gioielli ispirati alla mitologia classica. Calder, oltre ad essere un brillante quanto originale scultore, si distinse nel campo della gioielleria realizzando dei bellissimi pezzi d’arte da indossare, in rame, vetro, legno, argento, placche di ottone martellato, cuoio e ceramica.

In questo periodo, la gioielleria acquisì una notevole valorizzazione grazie al fatto che vennero messi ai margini

l’interesse per la preziosità dei materiali, l’attenzione alle convenzioni o ai prezzi, l’asservimento al gusto della clientela, per lasciare spazio alla genialità degli orefici. In una sua pubblicazione, che accompagnava una collezione di gioielli da lui stesso realizzata, Dalí esponeva i criteri delle sue stupefacenti creazioni e, proclamandosi «paladino» di un nuovo Rinascimento, sosteneva con fierezza di non porsi alcun limite. I suoi gioielli, scriveva nella presentazione del catalogo, «sono una protesta contro l’importanza attribuita al costo dei materiali impiegati; sono concepiti in modo da mostrare l’arte dei gioiellieri nella sua vera prospettiva, per cui il valore del disegno e della lavorazione dev’essere al di sopra del valore venale delle gemme, come ai tempi del Rinascimento». Sotto l’influsso di questi positivi input per il settore artistico-artigianale si stagliano sulla scena della produzione del gioiello altre importanti esperienze che hanno segnato gli ultimi 50 anni. La libertà di espressione rappresenta, in modo inconfondibile, il contrassegno delle realizzazioni più originali. Sempre più frequentemente, inoltre, si è posta l’attenzione sull’abbinamento di materiali tecnologicamente nuovi, sulla ricerca di tecniche di lavorazione audaci, sulla creazione di componenti mobili. Sicuramente la formazione in settori distanti dall’oreficeria dei più recenti designer di gioielli, quali l’ingegneria, l’architettura, la chimica e altre specializzazioni, hanno dato vita a quel processo di costante sperimentazione ed elaborazione delle creazioni attuali, in netta frattura con la tradizione. Per avere un’idea della genialità che ha attraversato questo settore a livello internazionale, prenderemo in considerazione alcuni dei nomi emersi a partire dagli anni Sessanta.

In Olanda si impongono due personalità significative, Emmy van Leersum e il marito Gijs Bakker, le cui ideazioni, dallo stile minimalista, sono realizzate in alluminio e plastica.

In Germania, i disegnatori Claus Bury e Gerd

Rothmann hanno dato vita a una collezione di gioielli acrilici, partendo dalla convinzione che i gioielli debbano riflettere il contesto in cui nascono.

In Svizzera Gilbert Albert, un visionario e grande innovatore, ha lavorato con una vasta gamma di materiali naturali solitamente ignorati in questo settore, quali frammenti di cristalli e meteoriti, coralli, conchiglie, fino a utilizzare folgorite, ovvero un ammasso vetroso, prodotto dall’energia che i fulmini rilasciano sulla sabbia.

In Italia a distinguersi è stata l’artista fiorentina Flora Wiechmann Savioli, che ha dato vita a un’elaborazione originale di gioielli in materiali poveri e di scarto, prediligendo l’acciaio, il ferro, l’ottone, gli ingranaggi meccanici, le lenti e alcuni materiali elettrici, modellati e aggregati tra loro senza saldature. Pionieri di un nuovo modo di intendere l’oreficeria, trasformata in un banco di sperimentazione all’ennesima potenza, questi orafi-artisti hanno cercato nuove commistioni con le arti visive, avvalendosi liberamente delle tecnologie più innovative e ricorrendo a materiali inconsueti nel settore. Proprio grazie ai coraggiosi esperimenti messi in campo, negli anni successivi, il settore dell’ornamento ha visto imporsi sulla scena altre rappresentative personalità, che hanno dato nuovi impulsi nella direzione della esaltazione, attraverso i monili, di un’idea, di un concetto, di un’impronta culturale, ormai del tutto scevra da eventuali riferimenti allo status sociale dei potenziali acquirenti.

Con materiali plastici, quali acrilico, Pvc e resina, lavora l’inglese Peter Chang. Negli stessi anni, l’artista svizzero Otto Künzli realizza una serie di spille in schiuma espansa rigida, ricoperta con carta da parati. Künzli propone dei gioielli con evidente intento sovversivo rispetto agli schemi convenzionali legati a quest’arte.

Ramón Puig Cuyás, a capo del Dipartimento delle Arti Applicate della scuola Massana di Barcellona,

è un abile e originale creatore di gioielli ottenuti con oggetti trovati, umili, propri della vita quotidiana, quali bottoni, pezzetti di legno, pietre e frammenti di metallo. Altrettanto estrose quanto raffinate sono le realizzazioni in carte pregiate e colorate dell’olandese Nel Linssen, che identifica la sua fonte di ispirazione nella natura, di cui riprende e riproduce ritmi e strutture. In Italia, a partire dagli anni Novanta, è emerso l’operato di Barbara Uderzo, una designer del gioiello, in grado di ricreare, alla portata di un dito, anelli dalle originalissime micro-sculture in legno, plastica colorata, «inserendo reperti del quotidiano, reliquie e curiosità», come la stessa dichiara nel suo blog. Si è voluto far riferimento solo ad alcune delle più illustri figure contemporanee, dal momento che le loro realizzazioni rappresentano il leitmotiv che sottende l’attuale produzione artistica dei gioielli.

Secondo questa nuova impostazione, il gioiello contemporaneo, si presenta come una manifestazione della genialità del suo creatore. Il valore dell’autore e delle sue idee, diventa l’elemento rilevante da cogliere nelle creazioni. Da questa attuale prospettiva, risulta evidente che l’arte della gioielleria, in tempi passati considerata come una delle Arti Minori e dunque relegata ad una posizione subordinata rispetto alle Arti Maggiori, ha finalmente acquisito uno status privilegiato tra le espressioni artistiche. In questo modo le sono state riconosciute le molteplici potenzialità che è in grado di offrire all’estro umano.

Soltanto se si rimarrà nel solco della tradizione inaugurata, come si è potuto vedere, recentemente a partire dagli anni ‘60, fintanto che il gioiello verrà visto come il frutto di una creazione artistica, ricca di significati da cogliere e non come un semplice pezzo su cui investire del capitale, soltanto in questo modo sarà possibile abbattere ogni barriera all’innovazione e alla sperimentazione dei futuri designer.

Autori & Creazioni

Il merletto antico, riprodotto in questo bracciale con la tecnica della fusione di bronzo, è il segno distintivo di tutte le creazioni di Barbara, il punto di partenza di tutta la sua storia artistica che unisce avanguardia e tradizione. Il bracciale rappresenta in pieno l’espressione di un everyday luxury di qualità che nella sua particolare eleganza diventa un accessorio eclettico che può essere indossato sia con un jeans che con un abito da sera donando un tocco di originalità e personalità ad ogni look. Le donne per le quali è pensato sono raffinate, sempre alla ricerca di creazioni uniche e particolari, rifuggono il banale, l’ovvio e lo stereotipo per circondarsi di bellezza autentica ed armonia, la stessa bellezza ed armonia che sono valori fondanti del lavoro dell’artista. Ogni singolo pezzo è unico, realizzato solo su ordinazione con tecniche antiche di fusione del bronzo che gli conferiscono il fascino esclusivo e raffinato di un gioiello senza tempo.

È da una strana alchimia di sangue e circostanze quella da cui nasce il 14 settembre 1961 Barbara Abaterusso, artista e designer di rilievo internazionale. “Il ricordo” è uno dei processi mentali leggibili nelle sue opere, così la sua costruzione diventa il motivo centrale del suo lavoro. Il tempo della vita per lei è rappresentato dal merletto, punto di partenza di tutta la sua storia. Il suo percorso artistico testimonia tecniche decorative tradizionali e ricerca approfondita sui materiali. Le sue opere riprendono temi del pizzo e del cucito, universo femminile della madre e dell’amatissima nonna. Vive e lavora a Roma nel suo nuovo atelier di via Monserrato, dove il richiamo allo stile architettonico è molto vicino a quello dei palazzi del Salento, la terra di origine del padre.

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Ogni gioiello è concepito come un’opera d’arte dove l’artista infonde il suo vissuto personale e la sapiente tradizione famigliare. Il ricordo è uno dei processi mentali leggibile nelle sue opere, sia gioielli che complementi d’arredo in cui la costruzione della memoria diventa il motivo centrale del suo lavoro. Questi orecchini, realizzati con la tecnica della fusione di bronzo, rimandano ad un tempo antico, ad una storia passata, alla tradizione mai dimenticata dell’arte del ricamo e dell’uncinetto. Un filo ideale che lega la tradizione manuale delle donne di ieri alle donne di oggi, tra le quali l’artista si fa tramite creando gioielli allo stesso tempo antichi e contemporanei. Il merletto antico, nuovo codice espressivo, anche in questo caso, è il segno distintivo del brand che unisce avanguardia e tradizione. Realizzati su ordinazione con diversi materiali dall’oro all’argento al bronzo, possono avere diverse finiture, satinata, acidata, brunita, con l’aggiunta di perle o pietre dure.

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Il bracciale Plissè appartiene alla prima collezione Irregular caratterizzata da trame ruvide che si rifanno alle superfici scabrose e cangianti della materia.

I gioielli di questa linea hanno l’aspetto naturale e intenso della pietra levigata dal vento, della roccia scalfita dalla pioggia, della terra bruciata dal sole. È un pezzo unico, interamente lavorato a mano, una piccola ed intrigante scultura da indossare. La sua trama e la sua linea sinuosa ricordano la morbidezza e la leggerezza del pizzo, tessuto amato per la sua eleganza e carica seduttiva. È una creazione senza tempo, che conquista per l’irregolarità della forma e che trova il suo giusto equilibrio nell’imperfezione, proprio come accade in natura. Plissè è realizzato tramite un processo di metamorfosi, la fusione a cera persa che permette la trasformazione di uno stampo in cera in uno in metallo. Una tecnica scultorea antichissima che risale all’età del bronzo, e che ancora oggi ci permette di dar vita a dei veri capolavori.

Nasce nel 1987 a Roma, città che le offre da sempre infiniti stimoli artistici e creativi. A giugno 2010 si diploma all’Istituto Europeo di Design in design del gioiello e da allora realizza con passione e dedizione piccole sculture in bronzo, ottone e argento. Esuberante, curiosa, intuitiva, sempre interessata all’aggiornamento e alla formazione, Flaminia trascorre alcuni mesi del 2012 a Londra dove frequenta il prestigioso “Central Saint Martins College of Arts & Design”. L’ispirazione può venire da un viaggio, da un incontro, da un ritaglio di giornale, da una frase letta o sentita; così si ritrova a conservare materiali di ogni tipo: foto, articoli accessori, stoffe… che poi recupera e diventano suoi punti di partenza. Le sue creazioni sono realizzate a mano attraverso un delicato procedimento che assicura unicità e autenticità ai gioielli.

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Sono audaci, intriganti e sensuali i gioielli della collezione Second Skin che nascono dall’irresistibile incontro del metallo con la pelle, declinata in colorazioni originali e ardite, da indossare come una seconda pelle, con disinvoltura e malizia. Il bracciale Python è uno dei pezzi cardine della collezione. È stato realizzato e progettato in modo da imprigionare all’interno del metallo un pellame, in questo caso di pitone verde. Rappresenta una versione inedita e moderna del classico e intramontabile bracciale alla schiava. L’ispirazione nasce dalla natura, miniera inesauribile di spunti, e così anche il movimento libero e istintivo di un serpente che si avvolge su un ramo può stimolare la creatività dando vita ad oggetti come questo. I gioielli della collezione Second Skin sono rigorosamente realizzati a mano utilizzando la tecnica della microfusione o fusione a cera persa, con un successivo procedimento di ossidazione del metallo e l’applicazione, infine, del pellame prescelto.

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Creo gioielli che partono da un modulo singolo che si ripete fino a diventare l’insieme. E ogni modulo è allo stesso tempo simile e diverso dagli altri: modificando la forma del modulo, cambia il risultato finale. Ho la possibilità di inserire al loro interno gemme di qualunque forma o colore, senza dover necessariamente lavorare su di esse. Forse questa è innovazione!

La mia passione è approfondire la conoscenza dei materiali a tal punto da sfidare le leggi della natura e, nell’accostarli insieme, raggiungere un risultato unico e prezioso. È una ricerca costante che mi appassiona e mi incoraggia a continuare ogni giorno sperimentando sempre nuove combinazioni. Mi rivolgo ad una clientela raffinata, che ricerca creazioni uniche e particolari.

Quando creo non mi importa che una mia creazione piaccia o meno ad un determinato pubblico piuttosto che ad un altro. Mi sforzo perché quella creazione riscontri ciò che sento in quella determinata circostanza o momento. Per questo motivo si crea un’indissolubile unione fra quel momento della mia vita, il pezzo che decido di creare e il materiale che utilizzo.

Mio nonno ha iniziato a vendere gioielli ai soldati americani al porto di Messina durante la guerra, mio padre ha proseguito ed io ho iniziato con lui. Dopo la scuola di orafo ed alcuni anni in negozio ho deciso che non volevo solo vendere, ma creare. Traggo ispirazione da un dettaglio architettonico e dalla simbologia massonica. A volte però, il gioiello nasce intorno alla pietra.

Alla ricerca di luoghi espositivi alternativi: luoghi di lavoro dismessi, cantine, sentieri alpini che dialoghino con le installazioni ceramiche, fino a scoprire il corpo come luogo espositivo portatore di pensieri, emozioni, messaggi: gioielli sono sculture per il corpo stesso. Una persona indossa un gioiello quando se lo sente proprio e rispecchia uno stato d’animo.

Molti cercano di essere originali ad ogni costo sconfinando e oltrepassando il limite del buon gusto e dell’armonia. Forse il difetto è lasciarsi guidare dal cerebrale e non dalla “pancia”. La mia filosofia è la bellezza, l’originalità, la suggestione, ma tutto con buon gusto. Tradurre tutto ciò con la materia, in un piccolo oggetto, non è facile, ci vuole sensibilità.

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B. Abaterusso A. Averla A. Kawakubo G. Bais C. Aiello M. Balboni

La natura è la mia più grande fonte d’ispirazione, non mi limito a osservare ma cerco di fissare nella mente quello che mi colpisce. Le forme dei miei gioielli, principalmente astratte, sono il risultato di una rielaborazione personale di quelle immagini e delle sensazioni che provocano in me. Tutte le mie creazioni sono uniche e credo che questo sia il loro valore principale.

Personalmente sono attratta dagli oggetti distrutti dal tempo e dalle intemperie che trovo nelle discariche, sono per me una grande forma d’ispirazione, agire sulla decadenza dei materiali e ridare loro vita nuova è il mio primo imput da cui sviluppare forme nuove autonome. La mia innovazione è nel design e nel pensare di produrre a basso impatto ambientale.

Cerco di recuperare o ripristinare l’uso dello smalto a base di vetro fuso. Le mie realizzazioni sono destinate a quelle persone a cui piace andare al di là di quello che trovano in tutte le vetrine, che non perseguono un marchio in particolare, ma un gioiello esclusivo fatto con amore e passione che segretamente porta nascosto un pizzico di follia.

Per gli artigiani che creano gioielli particolari, di nicchia, di non sempre immediata comprensione in quanto si dissociano da quella che è la moda del momento, è importante farsi conoscere da un pubblico più allargato. E quale mezzo migliore di un libro in cui l’artigiano ha lo spazio per potersi raccontare e a cui il lettore può dedicare un po’ del suo tempo?

Per fare gioielli è fondamentale distinguersi e avere una propria personalità in uno spazio contaminato da infiniti stili. Nelle mie linee arte, artigianato e moda si fondono, traggono ispirazione l’una dall’altra al fine di partorire creazioni esclusive. Iniziative come questa sono molto utili a tenere in vita il mondo del gioiello e a far conoscere oggetti diversi e nuovi.

Perché i grandi smettono di giocare? Questa è la domanda che mi son fatta osservando il mio bimbo. I concitati tempi quotidiani permettono raramente alla nostra indole infantile di riemergere e di manifestarsi. Per questo motivo ho deciso di realizzare dei giochi che potessero essere indossati come gioielli durante le nostre attività quotidiane.

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F. Barosini D. Buffagni E. Bergonzoni V. Bulgarelli T. Tosiani V. Caffarelli

Il bracciale Elicoidale è una creazione realizzata sulla costruzione geometrica basata sulle figure del cerchio e del triangolo equilatero. Questa organizzazione razionale di rapporti ha in comune due ricorrenti numeri: il tre e il sessanta. L’artista vuole evidenziare la relazione tra le figure geometriche che in questo caso vede il triangolo, che riporta i tre lati di sessanta gradi ognuno, inscritto nel cerchio. Altra occasione in cui l’artista ripresenta la costanza nell’utilizzare il numero tre, è nelle piegature formate sul cerchio le quali sono di sessanta gradi e riportano una larghezza di un centimetro. Il rapporto tra l’altezza e la larghezza del bracciale è ricavato dalla sezione aurea. Questa relazione, ritenuta fin dall’antichità sinonimo di bellezza, crea una sequenza volumetrica regolare che abbraccia il polso dando un senso di equilibrio. Questo gioiello viene realizzato da un’unica lamina modellata, piegata, saldata e rifinita con patinatura superficiale.

Nato a Padova nel 1958, si diploma Maestro d’Arte dei metalli presso l’Istituto d’arte. Allievo di G. Babetto tra il 1979 e il 1981 diventa suo assistente lavorando nel suo studio. Dal 1980 partecipa ad esposizioni collettive e personali in Italia e all’estero collaborando con le principali gallerie del gioiello contemporaneo. Nel 1996 progetta una collezione di gioielli per la Tahiti Perles. Nel 1997 alcuni suoi lavori sono stati venduti da Sotheby’s all’asta del gioiello contemporaneo e nel 2009 all’asta Pierre Bergé in Belgio. Tra le varie esposizioni si possono citare: 10 orafi padovani al museo di Pforzheim nel 1983, Schmuck 99 a Monaco, Gioielli d’autore – Padova e la scuola dell’oro a Padova 2008. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni private e musei tra cui il Danner Stiftung a Monaco.

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L’opera Geometrie Sospese evidenzia chiaramente la volontà dell’artista di svincolarsi dai soliti canoni ideologici del classico anello. Questo oggetto si presenta come una piccola scultura, una “forma passante” realizzata in materia fredda che si scalda al contatto con la pelle del corpo caldo e morbido. I volumi geometrici, sapientemente riprodotti dall’artista, rappresentano un prisma, un parallelepipedo e una mezza sfera. Liberi da moduli prestabiliti, si sostengono in un precario equilibrio formando un gioco di forme di elevata finezza e semplicità. Questa armonia di figure geometriche sostituisce in maniera unica e originale le classiche pietre preziose. L’anello si presenta quasi come un gioco da tenere tra le dita della mano. Questa creazione è stata realizzata tramite fusione della lega al fine di realizzare la lamina ottenuta meccanicamente e con successiva spianatura a martello. La superficie viene trattata con la lima, decapaggio e passaggio finale con brunitore.

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Rivivi la semplice magia di guardare le bolle di sapone, appena soffiate che si disperdono nell’atmosfera sognante. (La) Iris è una collana della linea Contessa Rosafosca, ideata dall’artista Silvia Cesaretto. In questo gioiello riprende elegantemente questo piacere supremo dell’infanzia, un gioco simbolo di spensieratezza e leggerezza. È un pezzo di stampo ludico ma sofisticato: le 16 perle di vetro soffiato di diverse dimensioni, realizzate utilizzando la tecnica tradizionale muranese della soffiatura a lume, sono tenute insieme da un filo di nylon quasi invisibile. La composizione così ottenuta pende leggermente, sottolineando la delicatezza delle bolle che si poggiano sul collo. Ogni singolo pezzo è soffiato a bocca e lavorato a mano, e ha ricevuto con particolare attenzione la dedizione e l’abilità degli artigiani di Murano. Anche se morbida e delicata, questa collana fa una dichiarazione coraggiosa: catturare la luce, la luce degli sguardi ammirati degli spettatori.

Nata a Rovigo, nel 1977, Silvia Cesaretto è una graphic designer di origine veneta. Dopo aver conseguito la maturità presso il Liceo artistico di Rovigo, si iscrive all’Università “Cà Foscari” di Venezia ma dopo due anni cambia strada e ne dedica tre a conseguire la specializzazione grafica. Già dal 1997 inizia a lavorare con diverse agenzie pubblicitarie e nel 2004 si stabilisce in Svizzera, dove tutt’ora vive e lavora come graphic&designer indipendente. Nel 2012, con l’intento di dare risalto e continuità alle sue radici, alla cultura e ai valori della propria terra, decide di disegnare e far realizzare ai maestri vetrai muranesi suoi gioielli. Il riscontro positivo non è tardato ad arrivare. Ha partecipato a diverse mostre e suoi gioielli sono già stati richiesti da diversi musei internazionali.

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La collana (La) Livia White comprende delle forme alternate di vetro trasparente e di vetro opaco. I blocchi di vetro creano una matrice geometrica irregolare che si apre contro la scollatura. Ogni pezzo è realizzato a mano dai maestri vetrai muranesi che operano ancora come un tempo all’insegna della tradizione e dell’artigianalità. Ciascuna componente si alterna alla successiva creando questo profilo semicircolare e destrutturando il piano su cui si sviluppa, conferendo leggerezza all’effetto finale. All’interno dei blocchi di vetro ci sono delle piccole bolle d’aria che sono il segno del tipico lavoro artigianale. Considerando che il vetro di Murano è molto sabbioso è inevitabile, tuttavia, la presenza di sabbia che conferisce al vetro un colore molto più brillante rispetto ad altri tipi di vetro estero. Delicata ma audace, (La) Livia White non passa mai inosservata. La sapienza di un antico mestiere e il design innovativo si fondono in questo pezzo strutturale e seducente.

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Il bracciale rappresenta il Gasometro, un monumento di archeologia industriale romana, anticamente contenitore del gas oggi depositario della memoria di un momento di splendore per l’industria capitolina, con i suoi 90 metri di altezza si è imposto negli assi visuali prospettici barocchi delle ville dei papi divenendo un simbolo della città di straordinaria suggestione. Il gioiello è realizzato interamente a mano, con dovizia di particolari. È stato creato cercando di rispettare non solo le proporzioni del soggetto ispiratore ma riproducendone persino i bulloni agli incroci della struttura, impreziosendo poi il tutto con una pietra in cima. Partendo dalla realizzazione del modello in cera con lime, bulino e microtrapano, il gioiello prende vita attraverso l’antica tecnica della microfusione a cera persa. Il materiale utilizzato è il bronzo giallo, trattato in bagno elettrolitico nella ceramica trasparente per mantenere la brillantezza ed evitare l’ossidazione del metallo.

Costanza De

e

Giannini sono laureate in Architettura all’Università di Roma “La Sapienza”, hanno frequentato il Corso di Design del Gioiello all’Accademia di Moda e Costume di Roma. Nel 2011 danno vita a Co.Ro. laboratorio orafo e studio di design del gioiello, sintesi dei loro studi, interessi e passioni. Oggi portano avanti il loro progetto, disegnando e realizzando artigianalmente le loro particolari creazioni, che riecheggiano di razionalismo e tradizione classica, rimandando a suggestioni di carattere metafisico passando attraverso il mondo della geometria e studiando nuove relazioni dimensionali. Parallelamente alla loro attività nel settore orafo, attualmente lavorano come assistant designers del creatore Bernard Delettrez, che considerano un grande maestro.

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Cecco Giulia

L’anello, lungi dal riprodurre una pagoda in particolare, è un’architettura dell’immaginazione, tributo alle civiltà orientali e al loro modo di concepire gli spazi, i luoghi e la forma, al loro straordinario approccio al mondo e alla vita. Il gioiello è realizzato interamente a mano, attraverso l’antica tecnica della microfusione a cera persa. Il bronzo giallo viene trattato in bagno elettrolitico nella ceramica trasparente per mantenere la brillantezza ed evitare l’ossidazione del metallo. Gli studi in architettura, hanno portato le due artiste a elaborare un metodo di composizione della forma che muove da una ricerca incentrata sullo spazio e produce volumi e dimensioni che rimandano alla geometria strutturale di mondi chiusi in dimensioni minime. Questa creazione, legata ad immaginari collettivi, archetipi di età ed istanze differenti, viene riproposta con un po’ di ironia attraverso il gioco del salto di scala e funzione, da spazi da vivere ad architetture da indossare.

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Forte di un’approfondita preparazione storico-culturale, reinterpreto con un design contemporaneo le tematiche più svariate. Insoliti materiali quali perle, pietre, corallo, avorio fossile o ceramica a terzo fuoco smaltata e policromata, accostati alla lavorazione dell’oro giallo prevalentemente etrusca, attuano un ponte tra tradizione ed innovazione.

La mia passione ha radici molto lontane, da bambina trascorrevo i pomeriggi ad inventarmi piccoli accessori presso la gioielleria dei miei genitori, me ne stavo tranquilla in un piccolo laboratorio e mi divertivo a curiosare tra i materiali di scarto e gli strumenti dell’oreficeria. Nelle mie creazioni l’innovazione si lega alla volontà di generare movimento, volume e gioco.

Il vetro è un’arte antica, che nasce dalle mani dell’uomo, dalla magia del fuoco e da elementi semplici come la sabbia silicea. Il vetro è vivo e mi piace la sua capacità di catturare la luce e moltiplicarla, di mutare le proprie caratteristiche cromatiche e la sua espressione. Forse la mia creatività si identifica nella materia vetro: ogni volta è diversa.

Dal cinema come da circostanze reali, a volte immediatamente a volte a distanza di tempo, le mie scelte progettuali e le mie idee, immagazzinate in chissà quale cassetto della memoria tornano alla mente nel momento opportuno. Spesso l’idea iniziale risulta agli antipodi rispetto al progetto finale ma è stata comunque un valido stimolo per arrivare ad esso.

Sedersi a un banco di lavoro e sperimentare quotidianamente le difficoltà e le innovazioni del nostro settore, rendono questo lavoro piacevole e mai monotono. Iniziative come queste sono linfa, anzi spero che possano incrementare e abbracciare tutti gli altri settori artigianali del nostro paese, il made in Italy rappresenta la base da cui ripartire in questo momento di crisi.

La scultura è posta in un luogo pubblico o privato, il gioiello è indossato dalla persona ed interagisce con essa, ne diventa parte, ne viene attraversata, si crea un contrasto tra la rigidità del metallo e la plasticità del corpo. Il valore di un gioiello sta in due cose: nella passione di chi lo ha realizzato e nel piacere di chi poi lo possiede e lo indossa.

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G. Cecchetto L. Capossela S. Cesaretto M. Catania G. Chinca U. Chiummariello

Sono favorevole ad iniziative volte a promuovere, viviamo nell’era della tecnologia, dei social network, dobbiamo mantenere il passo e avvicinare l’artista artigiano a questo mondo globale. Una maggiore informazione e una più incisiva pubblicità sono tra le prime iniziative da intraprendere per garantire una conoscenza da parte del consumatore finale più approfondita.

La capacità di trovare nelle stole di pizzo o nei tessuti glitterati delle forme nuove che taglio, modello, coloro e decoro incastonando piccoli Swarovski o altri elementi; trasformare un semplice tessuto in un accessorio glamour e la maestria nel far maturare tra le mani un’idea partita dalla mente sono tutte condizioni che rendono unico e inimitabile ogni pezzo realizzato.

Da piccola mio padre partiva per avventure alpinistiche in luoghi lontani e affascinanti, di ritorno condivideva le diapositive dei suoi viaggi con noi. In quelle immagini proiettate sul muro poco liscio, miei occhi erano incantati dai colori, riflessi di gioielli, pietre colorate, intagli cesellati che soli vestivano di eleganza e dignità quelle donne e quegli uomini.

Il nostro punto di forza è di non aver ricevuto una formazione classica, ma di esserci avvicinate a questo mondo da autodidatte, motivate solo dalla passione e dalla curiosità, questo ci consente di mantenere un atteggiamento molto aperto a qualsiasi sperimentazione. Immancabili nelle nostre giornate un cahier ed una matita per schizzare qualsiasi impressione o fascinazione.

La mia arte si fonda su pura ed istintiva ispirazione, proviene da stimoli esterni a cui sono costantemente esposta. Un colore, una storia, un passante, un’immagine, un viaggio... qualsiasi cosa è un potenziale impulso creativo. I gioielli sono la massima espressione dell’amore per l’estetica, insieme sinuoso di forme che creano un flusso morbido e poetico.

La filosofia alla base delle nostre creazioni è di rendere la pietra leccese, di per sé pesante nell’immaginario collettivo, leggera e funzionale. Abbiamo deciso di colorarla senza usare i colori, ma solo accostandola a pietre dure, a cristalli e cordoncini di cotone colorati, per conservarne l’aspetto scultoreo e lasciare in evidenza tratti identificativi della pietra.

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C. De Cecco & G. Giannini M. Cicalese I. Cochrane E. Clerici M. De Giovanni & I. Dell’Onze F. Schneebeli

Tutto comincia con la storica e profonda connessione tra l’uomo e il gioiello, espressione d’identità come status sociale o mistica appartenenza. Simile è il rapporto intessuto con il cibo e il vino: da queste considerazioni nasce la sua collezione Una buona annata. Un sorprendente convivio di sapori e materiali preziosi, sperimentazione gastronomica e di gioielleria, gesti d’Arte e aromi di Terra. Attingere ai doni del Pianeta e dell’umana operosità, fonderli e plasmarli in un’unica portata. Il ricco filone sotterraneo dei metalli e la generosa messe agricola di superficie, amalgamati e trasformati da mani esperte: le prerogative dell’Uomo, coltivatore, artigiano e gourmet, interpretate restituendo all’argento le linee dell’ambiente, impreziosendolo e colorandolo di spezie e condimenti ossidati. Gioielli da indossare, toccare, assaggiare, sentire nell’anima. Coppe d’argento 925millesimato sfumate con aceto balsamico e spezie.

Gioielli scultura, pret-a-porter o tailor made: estro che si nutre di emozioni e metafore raccolte nel mondo e declinate nel vivere e nell’apparire quotidiano. Oggetti preziosi senza confini né barriere stilistiche, sfaccettati d’anime, colpiscono l’anima. Architetto, urbanista, designer d’interni e di giardini, poeta di parole e materia, specializzata nelle tecniche orafe, Clara Del Papa esprime una creatività a tutto tondo, riconoscibile e differente nel mainstream internazionale di settore. Personalità eclettica, italo-venezuelana, cresciuta negli ambienti artistici e culturali sudamericani, globe-trotter per passione e vocazione familiare, nelle sue realizzazioni convivono simboli e suggestioni, sapori, odori e paesaggi lontani, re-immaginati nell’argento antico, nell’oro, nel bronzo.

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Yguasù fa parte di una collezione tutta ispirata al viaggio e al suo perenne ricordo. Ci troviamo di fronte a souvenir vivi e materiali di luoghi e terre lontane, vera e propria sostanza geografica e spirituale raccolta a mano, ricostruita e fissata in nuove espressioni fisiche vibranti per cristallizzarne per sempre la vivida memoria, riunita magmaticamente, come in origine, al metallo prezioso. Gli anelli di questa serie sono capaci di stupire per la leggerezza, sembrano smentire l’apparenza solida e materica senza alcun compromesso. Le Cascate d’Iguazù, maestosa muraglia d’acqua situata tra Brasile e Argentina, come le chiamano i Guaranì, Chororo Yguasu, raccontate nelle terre che le circondano, solidificate su un anello realizzato interamente in argento. Le sabbie dell’isola ricche di pirite ed ematite vengono tutte fuse sull’argenteo metallo. Anello in argento 925, terre, sabbie e resine naturali di Iguazù.

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La collana si dispone attorno al supporto che la sostiene, come una pianta rampicante che s’inerpica lungo un traliccio e gioca con esso in modo da abbracciare il collo della donna. Termina a sinistra con un anello chiuso, che nel sostenerla, definisce il limite della composizione, mentre a destra, le volute si estendono in maniera asimmetrica, per una lunghezza maggiore e con profilo aperto, a suggerire la tendenza ad un ulteriore sviluppo e ad una crescita non conclusasi. La collana poi prosegue lungo il décolleté con curve morbide a suggerire la caduta libera verso il basso e nel farlo gioca con le curve della parte alta caratterizzate da forme ovali e a spirale, che si spezzano e poi si riprendono, creando una continuità ideale e immaginaria. Le volute, disponendosi lungo uguali distanze le une dalle altre, generano un crescendo ritmico verso il basso, e verso il seno, esaltando la femminilità e la bellezza della donna che indossa la collana.

Dopo la laurea in Architettura si dedica allo studio del gioiello, conseguendo il Master in Ingegneria del Gioiello presso Politecnico di Torino (sede di Alessandria). Dopo aver lavorato come progettista orafo, consegue il titolo di Tecnico del Design e Accessori Moda presso il For.Al di Valenza. All’origine dei suoi gioielli c’è la ricerca sulla forma e sugli aspetti psicologici ad essa correlati. Ispirati alle curve sinuose dell’Art Nouveau, all’arte gestuale, al segno stilizzato del tatuaggio e alle tendenze dark-gothic dell’attuale scena musicale, questi gioielli sono tutti pezzi unici realizzati a mano. In una costante ricerca di armonia e comunicazione emotiva, la passione per il fantasy, il surreale e l’investigazione dell’inconscio, si materializzano in sinuosi e labirintici fili di Arianna.

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In resina polimerica nera, si sviluppa lungo la circonferenza del cavetto in acciaio che lo sostiene e ne ricalca il profilo, andando a formare delle onde che si susseguono. Realizzato tramite fili di resina, sovrapposti e uniti tra loro, cerca nella fluidità delle curve, il suo elemento caratterizzante. Nasce a sinistra con un unico filo, che girando su se stesso, crea il passaggio per il cavetto e continuando a giocare con questo si distribuisce in due fili, che avvicinandosi verso il centro, come al culmine della tensione di un’onda che cresce a poco a poco, diventano tre. Si conclude nuovamente con un unico filo, come un’onda che scaricata la sua forza va a terminare dolcemente sulla riva. Volutamente semplice nelle sue forme, vuole essere un girocollo delicato, che appoggiandosi dolcemente alla base del collo, lo definisce e lo impreziosisce grazie alle sue armoniche curve. Il disegno ondulato nero è in contrasto con il colorito della pelle diventando così quasi un tatuaggio a rilievo.

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JewelryGreen con l’obiettivo di diffondere idee di sostenibilità e di benessere trova il suo spazio di espressione nell’elemento vegetale, quasi colto dalla natura come elemento di design. C’è un’emozione nel mondo vegetale, un’emozione viva, una possibilità di coinvolgere e portare lo sguardo su quel mondo, rendendo più naturali le espressioni ed i gesti di chi guarda. La necessità di cura di quanto è vivo, sia in ambiente naturale sia in ambiente artificiale, si configura come finalità espressiva. L’Anello In_vaso, richiede una piccola cura da parte dell’utilizzatore questo è necessario per la corretta conservazione del pezzo nel tempo, il muschio appunto, per rimanere in vita ha bisogno d’acqua piovana. Questa creazione è stata realizzata con legno d’olivo, levigato a mano e trattato con cere naturali. La parte in metallo è creata in fusione secondo la tecnica della cera persa, e successivamente assemblata al legno attraverso perni filettati.

Gioielli vivi quasi colti dalla natura nascono come evoluzione delle storie dell’architetto Clelia Stincheddu e della designer di gioielli Giulietta Piccioli. Il marchio si concentra sui gioielli emozionali di Giulietta e sulla ricerca di Clelia di integrare piante e design per promuovere nuovi gesti e mantenere vivo un oggetto. La ricerca di Clelia è continua nella progettazione, nella cultura del progetto e nella sperimentazione innovatrice con forme e funzioni lontano dai rigori della moda. Giulietta ha una carriera decennale nel mondo della gioielleria: ha collaborato con importanti aziende del settore dando vita a collezioni haute couture nel mondo del fashion jewelry. Si è interessata al mondo del gioiello d’arte partecipando con le proprie opere a mostre ed eventi sperimentando forme e materiali alternativi e innovativi.

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È una collezione versatile con muschio incastonato nel bracciale. È in questo modo che nasce l’intuizione di integrare piante e gioielli, di dare alle piante un altro senso che non esclude, ma anzi rafforza, il senso istintivo della loro vocazione. Da qui l’idea di fare di alcuni oggetti di uso comune, un gioiello di design, un gioiello d’erba, che continui ad evocare quanto la natura e il verde, sono capaci di evocare al nostro corpo. Il contesto evocativo della collezione In_vaso richiede per essere conservato nel tempo dell’intervento di chi porta il gioiello, il muschio per vivere ha bisogno d’acqua, acqua piovana. Oltre ad essere un ornamento da portare può anche diventare un ornamento domestico, come il bracciale appoggiato su un tavolo. Il Bracciale In_vaso è realizzato con legno d’olivo, levigato a mano e trattato con cere naturali. La parte in metallo è creata in fusione secondo il procedimento della cera persa, e assemblata al legno attraverso perni filettati.

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Una grossa perla grigia e l’intricata bellezza delle colorate barriere coralline dei mari tropicali hanno dato il nome a questo particolare anello, finemente intagliato e di grande impatto visivo. Un castone in argento racchiude due sottili lastre di legno, una sottostante in ebano e una in radica a cui è stata applicata la perla, creando un gioco di trasparenze e colori che impreziosiscono notevolmente il gioiello rendendolo unico nel suo genere. L’elemento superiore viene fissato alla base grazie ad una serie di incastri studiati appositamente per questo modello e che creano una continuità sia estetica sia strutturale. Ogni singolo elemento viene lavorato esclusivamente a mano e la difficoltà di lavorazione rende questo anello uno dei modelli più preziosi del marchio Essenze gioielli. Reef è un anello importante e vistoso, adatto a chiunque non voglia passare inosservata e desideri indossare ed esibire un gioiello particolare ed originale.

Nasce a Como nel 1988. Conseguita la Maturità Classica, si laurea in Design al Politecnico di Milano. Appassionata di arte e fotografia, realizza diversi progetti fotografici per privati e collabora con lo studio di design di Paolo Nava. L’interesse per il gioiello si manifesta sin dalla giovane età grazie alla presenza del padre, artigiano orafo, che le inculca la sua passione e la avvicina al settore. Il 2012 vede la nascita del marchio Essenze gioielli, da lei fondato, con cui si avvia alla produzione di gioielli in legni pregiati e metalli preziosi realizzati a mano, risquotendo successo grazie al design fresco e giovane. Nel 2013 partecipa al concorso Roberto Capucci per giovani designer, posizionandosi tra trenta finalisti su oltre 650 iscritti, con il progetto di un anello in argento.

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Elegante collana dalla linearità estrema e dalle forme semplici e pulite. Il richiamo alle decorazioni antiche è evidente e per questo prende il nome dalla più famosa dea del Mondo Classico. Composta di una serie di elementi ripetuti, la collana viene impreziosita da tre maglie in argento 925 della medesima forma di quelle in legno di radica. Ogni elemento viene realizzato interamente a mano, e il legno da cui verrà ricavata l’intera collana viene scelto con estrema cura per dare il maggior risalto possibile alla bellezza naturale delle venature del legno stesso e per garantire armonia e un colore uniforme al prodotto finito. Dopo aver creato ogni singolo elemento, si procede alla legatura di ciascuno, che avviene per mezzo di anellini in argento 925 saldamente ancorati alle varie parti della collana. Indossabile in ogni occasione, Minerva è un oggetto prezioso e caratteristico, che non passerà inosservato nonostante la sua semplicità.

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L’artista ha voluto proporre un oggetto a cui è particolarmente affezionata e che rappresenta parte della sua vita: un piccolo libro colorato da poter portare sempre con sé. Oggetto solido e mobile allo stesso tempo, l’anello Libretto nasce dal tentativo di utilizzare e piegare materiali tradizionali, come l’argento e il vetro, per realizzare un gioiello dalla forma insolita, mobile, morbida e allo stesso tempo scultorea: il libro. Non solo un oggetto di grande fascino e “solidità” culturale, ma anche un oggetto dinamico: colpito da una folata di vento, il libro diventa leggero, scapigliato, amico. Realizzato completamente con la tecnica della vetrofusione viene applicato su una base in argento 925. Le sue creazioni sono un tentativo di unire passato e futuro: le conoscenze, le pratiche e gli usi tradizionali “rovesciati” in un oggetto dal significato impensato e nuovo. Ogni suo gioiello provoca un lieve stupore, un piccolo piacevole spaesamento in chi lo indossa.

Vive e lavora a Roma, dove la sua formazione inizia al Liceo artistico e prosegue all’Accademia di Belle Arti. Si diploma in scenografia e, dopo varie incursioni nel cinema, nel teatro e nella fotografia, ritrova l’artigianato artistico, sua antica e vera passione. Per molti anni sperimenta le possibilità creative di vari materiali: ceramica, legno, cartapesta, tessuti, vetro. Apre un laboratorio nel cuore di Roma, a Trastevere. La lunga ricerca su materiali e forme la portano a scoprire il design di bijoux. suoi gioielli in vetro spesso si contaminano con altre sostanze: carta, legno, Plexiglass, alluminio e materiali riciclati ottenendo prodotti particolari, con un’anima mista e in evoluzione, mai scontata, mai seriale. Alcune sue creazioni sono state selezionate dal MoMA design store di New York.

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Nella collana la tecnica tradizionale dell’uncinetto s’incontra con un materiale inusuale come il PVC. Questa tecnica fortemente legata al passato è utilizzata in questo caso non più per creare pizzi e merletti o elementi decorativi per la casa, ma per realizzare un gioiello indossabile e fruibile ricreando la simbolica forma della spirale, anzi di più spirali che si susseguono attorno al collo in un gioco di ripetizione all’infinito. Nella collana Spirals usa l’uncinetto (antico sapere sedimentato dentro di lei) in maniera anticlassica: i fili non sono più di cotone ma di PVC. La plastica è lavorata a maglia per ottenere una forma ornamentale e altamente simbolica come la spirale, espressione dell’infinito, della ripetizione e della non fine. Attingendo a numerose fonti d’ispirazione come la natura, la metropoli, una scala a chiocciola, un insetto o una strana ombra sul muro, immagina e produce oggetti che sebbene godibili dal punto di vista estetico, sono però indossabili e utilizzabili.

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Racchiude due spazi architettonici in miniatura con spazi di attraversamento come quello che ospita il dito e altri spazi che contengono creature a volte solitarie a volte riunite in grandi folle. Pur mantenendo una fondamentale indossabilità, senza la quale non si può parlare di gioiello, ma di scultura, questo è un gioiello inteso come forma autonoma con varie prospettive; uno di quei gioielli che potrebbero tranquillamente, se ingranditi diventare scultura. Questo in particolare, come altri anelli da mignolo quadrati, sono pensati come contemporanee porte d’ingresso alle nostre città medievali, magari collocate al posto di quelle distrutte da guerre e bombardamenti. L’anello è stato costruito saldando vari elementi di lastra in oro o argento. Una volta ultimata la struttura portante si saldano gli elementi interni sempre di lastra o filo. La rifinitura è stata fatta ossidando alcune parti in argento con fegato di zolfo e lucidandone altre comprese le lamine in oro.

Nata a Volterra in una famiglia di alabastrai, le prime sperimentazioni da autodidatta risalgono ai primi anni ’80, ma affina le sue competenze ed acquisisce padronanza nella tecnica durante gli anni ‘90. Nel 1998, apre il suo primo laboratorio e sviluppa alcuni dei temi ricorrenti della sua ricerca, come quello del totem, dei tagli, degli interni vuoti e delle strutture. materiali che utilizza sono prevalentemente argento e oro, accostati a legno, perle e diamanti. La sua attenzione si concentra sui contrasti di superficie e l’accostamento tra materiali diversi. La necessità di “amplificare” la scala delle sue creazioni l’ha portata a realizzare nel 2004 un totem in acciaio, rame e vetro di circa due metri e nel 2011 un bracciale si è trasformato nella scultura Il cerchio luminoso in ferro nero e led.

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In questo anello c’è un gioco volumetrico e cromatico tra i cilindri in argento che si sviluppano in altezza e i coni in oro che scendono in profondità. Pur essendo una struttura compatta racchiude in sé un grande movimento e un concetto che spesso ritorna nei suoi gioielli; l’apparenza, l’esteriorità, la parte più immediatamente visibile, in questo caso un castello nero turrito che spesso custodisce un‘anima opposta, sorprendente, luminosa oppure qualcosa di molto prezioso. L’anello è stato costruito partendo dalla realizzazione di quattro cilindri piegando la lastra in argento su di un tassello di acciaio scanalato. Successivamente sono stati realizzati i coni sempre da lastra in oro girata a mano. Le due parti poi vengono saldate. Una volta ultimati, quattro cilindri sono a loro volta saldati insieme e soltanto alla fine viene aggiunto il gambo. La rifinitura è ottenuta brunendo l’argento con fegato di zolfo e lucidando e graffiando le parti in oro.

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Parto quasi sempre col disporre sul banco da lavoro alcuni materiali diversi fra loro, per forma, natura e colori. Tutto quello che inizialmente sembra freddo e statico, man mano prende forma e comincia ad avere un’anima. Solo in quel momento mi rendo conto che le idee stanno materializzandosi fino a diventare dei corpi che giocano con le proprie ombre.

I miei gioielli sono creazioni artistiche e non nascono come “oreficeria di ricerca”, ma semplicemente da emozioni istintive e naturali che provo quando siedo al banco. Mi rivolgo a chi si emoziona davanti all’arte, davanti ad una mia creazione e riconosce in essa un valore aggiunto dato dal lavoro artigianale e dall’estro creativo. Mi rivolgo quindi ad estimatori.

Le mie fonti d’ispirazione sono moltissime: la natura, la metropoli, una scala a chiocciola, un film appena visto, un insetto o una strana ombra che vedo improvvisamente sul muro. Spesso l’ispirazione non nasce prima ma durante la realizzazione di un progetto, quasi per caso, per fatalità, dalle suggestioni che materiali stessi procurano nella fase di lavorazione.

Creare allena la mente e la fantasia, la sera mi rendo conto di quanti oggetti mi sono passati davanti agli occhi nel corso della giornata e sono stati tramutati in un’idea. L’ispirazione arriva da tutto, creare aiuta a vedere oltre quello per cui gli oggetti sono stati effettivamente creati, tutto si può trasformare in una forma che forgiata dà vita ad una creazione.

Mettere in discussione i concetti classici del mondo del gioiello utilizzando materiali che esulano dall’oro o l’argento mantenendo la tradizione delle lavorazioni artigianali orafe. L’accurata selezione delle gemme, le antiche tecniche di assemblaggio si sposano alle esigenze della donna moderna, che ama la ricercatezza dei particolari e apprezza l’unicità del gioiello.

Se c’è una difficoltà in questo settore è proprio riuscire ad inserirsi, farsi conoscere e apprezzare, ampliare il proprio pubblico, dire all’esterno “esisto anche io!”, per cui ritengo che iniziative di questo genere possano esser davvero utili e fare la differenza per chi desidera farsi conoscere ed avere qualche possibilità in più per mostrare all’esterno le proprie creazioni.

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L. Satta M. Panero A. Retico F. Rossi M. G. Ronco A. Raele

Amo le forme elementari e geometriche: il cerchio, il quadrato che altero con calibrate deformazioni. La formazione classica mi spinge verso una condizione di ordine ed equilibrio, delle masse, delle tessiture e dei colori. Il carattere informale delle mie opere sottende una composizione rigorosa, che si sviluppa per momenti successivi, mai frutto di gesti rapidi e istintuali.

Il valore di una creazione non è dato dal valore delle pietre o dei materiali preziosi che utilizzi, sarebbe troppo facile. Il valore è determinato da come vengono utilizzati questi materiali, dalle proporzioni, dall’armonia dell’oggetto stesso. Il mio target è rivolto a tutti, a chi piace il bello a chi cerca qualcosa di particolare sia che i miei oggetti siano preziosi o no.

L’ispirazione può arrivare inaspettatamente in qualunque momento. Il metallo il mio mezzo espressivo per eccellenza, dare forma ad un’idea saldando, piegando, tagliando pezzi uno dopo l’altro è parte integrante del processo creativo. Non è un caso che anche le esperienze scultore che ho fatto sono anch’esse legate al metallo, nello specifico acciaio e ferro.

Qualsiasi forma d’arte sviluppa Anima e Spirito. Anche questo settore è arte e rimarrà vivo solo se sempre più persone potranno conoscerlo e avvicinarvisi. Tutte le iniziative volte alla divulgazione e alla promozione dell’arte sono un grande aiuto, un valido strumento che permette la conoscenza, il contatto e la condivisione della creatività umana.

Il mondo dell’oreficeria sta attraversando un momento di transizione sotto il profilo commerciale e dello sviluppo tecnico della lavorazione; un cambio generazionale, le tecniche classiche ed artigianali si confrontano con la modellazione cad ed i macchinari di nuova generazione. La più grande sfida è trovare un punto d’incontro tra queste realtà senza perdere la tradizione.

Un settore in crescita, tanti i giovani designers desiderosi di rivedere nel proprio gioiello, una forma di arte e un’espressione della propria creatività. Iniziative come questa aiutano a promuovere le proprie creazioni, considerando il momento storico che noi giovani stiamo vivendo è bene cercare di mantenere vivo tutto ciò che può essere uno stimolo per la creatività.

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R. Pacifico L. Scanavini V. Scibetta S. Scarselli V. Sibilano O. Rossi

Trae ispirazione dal mare e lo cita con le trasparenze della prasiolite e con il delicato verde acqua del medaglione centrale, in pelle di razza. Il collier gioca con la texture ruvida e scintillante del galuchat come le onde del mare giocano con il vento e gli scogli, scelto come materiale portante per il proprio “cuore”, grande e circolare e lo sovrappone ad un’anima morbida in legno. Equilibrio tra corpo e spirito, tra ordine e casualità è un tema che ricorre in ogni dettaglio del gioiello: dal taglio nugget delle pietre volutamente irregolari, alla presenza totalizzante della sfera, dal movimento disinvolto delle semipreziose che cadono libere sulla schiena, alla rigidità impenetrabile del galuchat stesso, pelle famosa per la sua durezza, dalla leggerezza del filo intorno al collo all’imponente presenza del disco centrale. Uno sguardo che insegue gli opposti, ove l’argento 925/1000, lavorato con tecnica a filo, coniuga il desiderio di sobrietà ed eleganza.

Milanese debutta nel design di gioielli artigianali dopo una lunga carriera nella consulenza manageriale. Nel 2009 lascia una prestigiosa società internazionale per fare della passione di sempre la sua professione. In seguito a un corso di design del gioiello presso il Politecnico di Milano, nel 2010 fonda la Lorella Tamberi Canal Jewels. Nella realizzazione dei suoi gioielli ama spaziare negli accostamenti e giocare tra cromie e consistenze materiche diverse. Alle pietre e ai metalli abbina materiali inconsueti come la pelle di pitone, di coccodrillo, d’agnello, di razza e di rana. Le sue creazioni sono state pubblicate su Vogue Accesory, Vogue Pelle, Vie del Gusto, Vogue.it, IoDonna.it, Elle. it, Preziosa Magazine. Nell’edizione 2013 della Milano Design Week Lorella ha esposto una selezione di monili al Fuori Salone.

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Ammiccanti e vivaci rose rosse sono le protagoniste del collier. Un gioiello frutto di accostamenti tra elementi diversi: la pelle, il bronzo, le pietre e l’ottone, uniti in una sintesi di naturale complicità e sintonia, portatrici di emozioni e stile. I fiori scenografici e maestosi, sono realizzati in morbida pelle d’agnello, piacevoli al tatto e ammalianti alla vista. La cornice del collare, lavorata con tecnica a rosario, è costituita da quarzi rutilati, trasparenti, delicati e con un segreto al loro interno: le pagliuzze color oro che brillano ad ogni movimento. Il tocco eclettico del gioiello è dato dai fili in ottone che s’intrecciano rapidi e disordinati fino all’estremità della chiusura bronzea. L’unicità si insinua nella scelta dei metalli, che sono volutamente poveri, ottone e bronzo, in contrasto con l’allure regale della coppia di rose rosse e con l’oro celato tra le pieghe del quarzo. Un mix di materiali e tecniche di lavorazioni artigianali che rendono unica ogni mise.

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Riparare e rammendare sono pratiche con le quali tutte le nonne del mondo sistemavano e sistemano abbigliamento e biancheria da casa, nelle maniere più improbabili, per riuscire a prolungarne la vita. Triciclo vuole recuperare quello che prima era un sapere scontato. La Cura è il pensiero creativo rivolto a riconsiderare un oggetto povero, di scarto, destinato a morte sicura per un’altra funzione originariamente non prevista. Attraverso il lento atto del ricucire Triciclo vuole vivere il senso della trasformazione di qualcosa in qualcos’altro. Ogni pezzo che compone l’insieme della collana è stato pensato a sé e prende il suo posto accanto agli altri, ma se scomposto ognuno di essi può vivere autonomamente come unico ciondolo. Una volta completata la prima fase compositiva, l’oggetto viene reso impermeabile e lucidato ed infine interamente rivestito con la pelle sul retro per donare una maggiore morbidezza a contatto con il collo.

Adele Giuntini è nata a Firenze nel 1985 e si è diplomata presso l’Istituto statale d’arte di Firenze in Conservazione e Tecniche Antiche Bidimensionale nel 2004/2005; Costanza Nannoni è nata a Firenze nel 1986 e si è diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze in Scenografia, nel 2011. Triciclo nasce nel 2010 dall’unione dei percorsi individuali delle due artiste. La volontà è quella di unire la loro ricerca nel mondo dell’arte con il riciclo. Triciclo ha partecipato ad iniziative culturali in vari comuni della Toscana. Dal Dicembre 2012 fa parte del progetto Museo del Riciclo. Nel 2013 espone a Roma Tree_ciclo, un’installazione costituita da un albero fatto di materiali di recupero, per il Festival Internazionale di Arte e Riciclo, Riscarti, in collaborazione con Madrid e Barcellona.

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Le Mille e una notte: stoffe, colori e aromi d’Arabia. Si celebra così la relazione tra passato e presente, tra origini che sembrano lontane, ma che oggi sono sempre più vicine e tra loro si completano, si intrecciano ed esaltano la mancanza di distinzione tra oriente ed occidente, tra mondo reale e immaginario. Gli orecchini sono parte di una linea che prende il nome di Gleba. Triciclo gioca con la materia prima da cui nasce questa linea: la gomma linoleum, solitamente utilizzata nel rivestimento di camper e palestre. Un pavimento da calpestare liscio e pulito dove le orme non rimangono, dipinto con colori che evocano la terra. L’elasticità della gomma permette di creare una miriade di forme diverse. Gli orecchini pur pensati in coppia, si distinguono tra loro. L’intera linea viene dipinta a mano e lucidata, una striscia di gomma sulla quale vengono disegnate e tagliate le forme. Successivamente con ago e filo creano effetti compositivi associando al linoleum il rame e la pelle.

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È un modello tecnicamente complesso, riesce a combinare armonicamente materiali con forme e geometrie molto diverse tra di loro, che unite creano un effetto visivo tridimensionale. piccolissimi cilindri di serpentino verde scuro, uniti alla morbidezza delle pietre di crisoprasio verde brillante, creano un netto contrasto che risulta sapientemente bilanciato. L’ispirazione s’intuisce dal nome stesso Papyrus che richiama l’antico Egitto, dove l’opulenza dei materiali, la ricchezza delle lavorazioni e lo splendore dei colori fanno da maestri supremi e indiscussi. Nelle sue creazioni l’artista si esprime con una meravigliosa gamma cromatica, colori caldi e vivi che richiamano il mondo arabo. Questo è un gioiello dalle linee decise, e dall’eleganza insolita, che esprime tutto il suo carattere senza alcuna paura. gioielli di Ziio, sintesi di molte culture, esprimono un’anima antica e regalano a chi li indossa un senso di eleganza senza limiti di tempo.

Elisabeth Paradon, creatrice francese della straordinaria linea Ziio Designer Jewellery, cominciò la sua avventura all’inizio degli anni ottanta. suoi gioielli, in argento, vetro di Murano e pietre semipreziose, interamente realizzati a mano, vantano una tecnica di lavorazione innovativa e particolare che si è sviluppata ed affinata durante i suoi viaggi. paesaggi mistici dell’Egitto, suoi luoghi incantati e surreali sono stati fonte d’ispirazione e di fascino per la stilista che ha trovato giovanissima le migliori condizioni per esprimere la propria arte. Animata da una costante sete di conoscenza, prosegue suoi viaggi e a Venezia impara l’antica arte dei vetrai di Murano. L’Italia sarà il paese nel quale deciderà di stabilirsi e fondare la società, partecipando a varie fiere, e creandosi uno stile che diventa pian piano inconfondibile.

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La linea Cosmic ha rappresentato uno dei modelli di maggior successo delle recenti collezioni Ziio. In questo caso, la collana Nk Cosmic Pearl realizzata in bianco e nero, è riuscita ad interpretare il connubio perfetto tra tradizione ed innovazione. La tradizione ci insegna che un giro di perle non deve mai mancare tra gioielli di una donna, e questo modello regala a chi lo indossa la luminosità, la sontuosità, la raffinatezza e l’eleganza delle perle, che vengono abbinate a materiali classici come un tocco d’argento e di onice nero. L’innovazione si riflette nel design, che in questo caso ci sorprende con delle forme sferiche, che unite una all’altra creano un effetto visivo cosmico, avvolgente, particolare e importante. Quindi un gioiello classico e dalla facile vestibilità, ma allo stesso tempo estremamente moderno e con una forte identità. Le creazioni Ziio si trovano nelle migliori gioiellerie e boutique del mondo, e sono indossate da personalità delle più celebri.

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www.artistar.it

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