Polizia Penitenziaria - Maggio 2013 - n. 206

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anno XX • n. 206 • maggio 2013 www.poliziapenitenziaria.it

Speakers’ Corner al Dap: il Sappe da voce alla protesta



sommario

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anno XX • numero 206 maggio 2013 Per ulteriori approfondimenti visita il sito

www.poliziapenitenziaria.it

In copertina: Lo Speakers’ Corner del Sappe

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l’editoriale & il pulpito

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Speakers’ Corner al Dap: il Sappe da voce alla protesta di Donato Capece e Giovanni Battista de Blasis

Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it

il commento

Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Stress e burnout: prova di coraggio peril DAP di Roberto Martinelli

Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it

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l’osservatorio

Redazione cronaca: Umberto Vitale Redazione politica: Giovanni Battista Durante

di Giovanni Battista Durante

Progetto grafico e impaginazione: © Mario Caputi (art director) www.mariocaputi.it

lo sport

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di Lady Oscar

e-mail: rivista@sappe.it web: www.poliziapenitenziaria.it

crimini e criminali

Le Segreterie Regionali del Sappe, sono sede delle Redazioni Regionali di: Polizia Penitenziaria-Società Giustizia & Sicurezza

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Violenza sulle donne: il femminicidio

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di Pasquale Salemme

Registrazione: Tribunale di Roma n. 330 del 18.7.1994 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma)

il punto sul Corpo

Finito di stampare: maggio 2013

Liberate la Polizia Penitenziaria 1ª parte

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

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Astrea, bilancio comunque positivo di una stagione tra alti e bassi

Direzione e Redazione centrale Via Trionfale, 79/A - 00136 Roma tel. 06.3975901 r.a. • fax 06.39733669

Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

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L’emergenza nel carcere e il sovraffollamento - 3ª parte

Redazione sportiva: Lady Oscar

“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2013 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

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di Daniele Papi

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Chi vuole ricevere la Rivista direttamente al proprio domicilio, può farlo versando un contributo di spedizione pari a 20,00 euro, se iscritto SAPPE, oppure di 30,00 euro se non iscritto al Sindacato, tramite il c/c postale n. 54789003 intestato a:

POLIZIA PENITENZIARIA - Società Giustizia & Sicurezza

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Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013


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Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

l’editoriale

Lo Speakers’ Corner al Dap: il Sappe da voce alla protesta ditoriale e pulpito si uniscono, questo mese, per raccontare l’ennesima manifestazione di protesta del Sappe davanti al Dap. Da quando è arrivato Giovanni Tamburino siamo alla sesta volta. La gente del Sappe è arrivata a Roma da tutta Italia per “gridare” davanti alla sede dell’Amministrazione Penitenziaria la rabbia degli Agenti avverso le diffuse indifferenze sui temi del carcere e sulle criticità operative dei Baschi Azzurri. Questa è la singolare ed originale manifestazione alla quale hanno dato vita mercoledì 8 maggio 2013 nella capitale i poliziotti aderenti al Sappe, il primo e più rappresentativo sindacato della Categoria, dando vita davanti al DAP ad una rappresentazione del luogo simbolo della libertà d’espressione, lo “Speakers’ Corner” di Hyde Park a Londra, dove chiunque può tenere un comizio senza autorizzazioni e senza temere conseguenze. Abbiamo voluto proporre un modo

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nuovo di protestare contro le indifferenze dell’Amministrazione Penitenziaria verso i ‘suoi’ poliziotti. Oggi in Italia ci sono quasi 66.000 persone detenute (63.000 uomini e 3.000 donne) nelle celle dei 206 penitenziari italiani. Il ‘carcere invisibile’ delle misure alternative e di sicurezza e di altre misure sostitutive della detenzione coinvolge altre 28.800 persone che, sommate a quelle in carcere, porta ad avere complessivamente quasi 100mila detenuti in Italia. Se a questo aggiungiamo che mancano in organico più di 6.000 poliziotti penitenziari, si comprenderà perché da tempo il Sappe sostiene che la situazione è allarmante ed emergenziale. Basterebbe vedere cos’è accaduto nell’Italia penitenziaria nell’ultima settimana per capire come e quanto la situazione delle carceri sia esplosiva. In pochi giorni abbiamo registrato i suicidi di un Agente di Polizia

Penitenziaria (nel carcere minorile di Lecce) e di due detenuti (a Castelfranco Emilia ed a Catanzaro), altri due suicidi di ristretti sventati in tempo dalla Polizia penitenziaria a Modena e nel carcere minorile di Catanzaro, poliziotti aggrediti in carcere a Reggio Emilia, Spoleto e Salerno ed un’aggressione contro un altro Basco Azzurro sventata ad Alessandria, due risse tra detenuti nel carcere genovese di Marassi, due incendi provocati da detenuti a Como e Montelupo Fiorentino che per il pronto intervento degli Agenti non sono finiti in tragedia, la morte improvvisa per malore di due detenuti (nel carcere di Velletri e nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia) e di un poliziotto del carcere di Firenze Sollicciano. Sul palco dello “Speakers’ Corner” si sono alternati poliziotti penitenziari delle Segreterie Regionali Sappe del Piemonte, del Lazio, della Toscana, dell’Umbria, dell’Emilia Romagna, della Liguria, della Calabria, della


il pulpito

Puglia, di Roma Rebibbia, di Orvieto, di Spoleto, di Roma Regina Coeli, di Civitavecchia, di Trani. Tutti interventi che hanno avuto un unico denominatore comune: denunciare l’indifferenza, l’apatia e le incapacità dell’Amministrazione Penitenziaria a sopperire alle gravi criticità con le quali quotidianamente si confrontano le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria nelle oltre 200 carceri italiane. Ma la grave emergenza del sovraffollamento italiano sta assumendo proporzioni tali da travalicare i confini nazionali. Abbiamo infatti preso atto, nei giorni scorsi, della inammissibilità del ricorso dell’Italia alla sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha

inviato lo scorso gennaio l’Italia a risolvere il problema strutturale del sovraffollamento delle carceri, incompatibile con la Convenzione Ue. Staremo a vedere come le nostre Istituzioni risolveranno il grave e grande problema. Certo l’emergenza carceri è sotto gli occhi di tutti e servono strategie di intervento concrete, rispetto alle quali il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, intende fornire il proprio costruttivo contributo. Il non avere dato seguito al Ddl sulle pene alternative in carcere indica quale diffuso disinteresse hanno le criticità penitenziarie in Parlamento. Noi non abbiamo creduto e non crediamo che l’amnistia, da sola, possa essere il provvedimento in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Quel che serve sono vere riforme strutturali sull’esecuzione della pena: riforme che non vennero fatte con l’indulto del 2006, che si rivelò un provvedimento tampone inefficace. Il sovraffollamento degli istituti di pena è una realtà che umilia l’Italia rispetto al resto dell’Europa e costringe i poliziotti penitenziari a gravose condizioni di lavoro: lo conferma una volta di più la sentenza della Corte europea dei diritti umani. I poliziotti e le poliziotte penitenziarie nel biennio 2011 e 2012 sono intervenuti tempestivamente in carcere salvando la vita ad oltre duemila detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che oltre 10mila atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed avere gravi conseguenze. Hanno fronteggiato oltre 1.500 episodi di aggressione e circa 8.000 colluttazioni. Ad avviso del Sindacato più rappresentativo della Polizia Penitenziaria, il Sappe, si deve potenziare maggiormente il ricorso alle misure alternative alla detenzione, espellere i detenuti stranieri e favorire nuovi circuiti penitenziari, che ad esempio, permettano ai tantissimi tossicodipendenti oggi in cella di

espiare la pena nelle comunità di recupero, magari controllati dalla Polizia Penitenziaria. Si avrà il coraggio di percorre queste soluzioni? Capece anche dello “Speakers’ Coner “ ha sottolineato infine come sia giunto il tempo «che la classe politica rifletta seriamente sulla inammissibilità del ricorso italiano alla sentenza di Strasburgo ed

intervenga con urgenza per deflazionare il sistema carcere del Paese, che altrimenti rischia ogni giorno di più di implodere. Il personale di Polizia Penitenziaria è stato ed è spesso lasciato da solo a gestire all’interno delle nostre carceri moltissime situazioni di disagio sociale e di tensioni, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Per questo auspichiamo un avvicendamento degli attuali vertici dell’Amministrazione penitenziaria che vede attualmente a capo del Dipartimento dirigenti – come il Capo DAP Giovanni Tamburino ed il Vice capo Luigi Pagano - che non sono stati in grado di trovare valide soluzioni ai problemi penitenziari.» H

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Giovanni Battista de Blasis DirettoreEditoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

Nelle foto immagini della manifestazione davanti al DAP

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Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

il commento

Stress e burnout: prova di coraggio per il DAP

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uesta Rivista, in oltre vent’anni di onorata attività, si è occupata e si occupa di Polizia Penitenziaria e carcere, approfondendo le tante criticità e problematiche di un realtà così delicata del mondo della giustizia.

Nella foto stress

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Lo abbiamo fatto e lo facciamo dal nostro punto di vista, quello dei poliziotti che stanno ventiquattr’ore al giorno nella prima linea delle sezioni detentive e pagano per primi ed in prima persona le tensioni che il sovraffollamento delle celle determina (aggressioni, tentati suicidi, ferimenti, atti di autolesionismo, incendi, evasioni): eventi critici di servizio, professionali, che incidono inevitabilmente in una sensibile diminuzione del benessere organizzativo dei poliziotti. Lo abbiamo fatto e lo facciamo perchè l’opinione pubblica capisca e comprenda davvero la specificità e la particolarità della nostra professione. Capisca, comprenda e rispetti una professione come la nostra che davvero è usurante. Non si può, ad esempio, non tenere conto che il carcere continua ad essere un grande contenitore di patologie infettive sia in Italia che in Europa: perchè accoglie al suo interno un’alta quota di persone

tossicodipendenti, prostitute, cittadini provenienti da zone ad elevata endemia. Prendete, ad esempio, i risultati dello studio, realizzato su 20 istituti di pena, dedicato proprio alle malattie infettive nei penitenziari promosso dalla Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali (Simit) e da Nps, presentata a Torino al V Congresso nazionale Icar (Italian Conference on Aids and retrovirus): la ricerca ha evidenziato l’allarme malattie infettive tra i detenuti nelle carceri italiane. Ad essere colpiti sono circa due persone su tre: un dato frutto della somma delle percentuali di alcune patologie infettive di cui sono vittime i detenuti. La positività al test dell’epatite C è, infatti, del 28%, per l’epatite B del 7%, ed il 3,5% per l’Hiv. Inoltre il 20% ha una tubercolosi latente, ed il 4% ha presentato risultati positivi per la sifilide. Ma il dato ancor più preoccupante, sottolineato dai curatori dello studio, è che una persona detenuta su tre non è a conoscenza del suo stato di salute in relazione a queste infezioni. Prendete, ancora, le conclusioni di un’altra recente ricerca che ha sottolineato come in Italia un detenuto su tre soffre di malattie mentali. Sul totale della popolazione carceraria sono quindi 20 mila quelli che convivono con una patologia psichiatrica. Psicosi, depressione, disturbi bipolari e di ansia severi sono la norma nel 40% dei casi a cui vanno aggiunti poi i disturbi di personalità borderline e antisociale. “Persone a volte già ammalate, altre che si ammalano durante la detenzione complici il sovraffollamento, i contesti sociali inimmaginabili, la popolazione

straniera di difficilissima gestione”: è questa la fotografia scattata dagli esperti riuniti recentemente a Roma per il congresso dei Giovani Psichiatri. Dal loro studio emerge che negli ultimi anni in Italia si è assistito al picco di suicidi nei penitenziari: “quelli compiuti in carcere hanno numeri 9 volte superiori rispetto alla popolazione generale con tassi aumentati negli ultimi anni di circa il 300% (dai 100 del decennio 19601969 a più di 560 nel 2000-2009 con oltre il 36% di decessi)”. La crescita dei suicidi non si arresta, hanno aggiunto gli psichiatri: nel 2011 sono stati 63 i suicidi, più di mille i tentati suicidi e oltre 5.600 gli atti autolesivi. E preoccupa la constatazione che a farne le spese sia anche l’organizzazione interna alle carceri: significativi e preoccupanti, a riguardo, i suicidi degli operatori di Polizia Penitenziaria. Non va sottaciuto che autorevoli ricerche universitarie hanno studiato i fattori di stress ed il benessere organizzativo negli operatori di Polizia Penitenziaria. Quel che è emerso, segnatamente in una ricerca dell’Università di Bologna, è che i già gravosi compiti istituzionali affidati alle donne e agli uomini del Corpo diventano ancora più complessi nel momento in cui gli appartenenti al Corpo sono chiamati a gestire e a controllare gli eventi critici di servizio che si verificano nelle carceri. Gli studi condotti sugli operatori di polizia in generale hanno portato a differenziare due tipologie di stressor presenti nel lavoro: una è inerenti alle mansioni (per esempio scontri violenti, incidenti, disastri) e riguardanti quindi eventi critici di servizio; l’atra è connessa al contesto di lavoro (per esempio clima organizzativo, norme culturali, ambiente, rapporto con i superiori) e riguardanti quindi aspetti organizzativi. Il contatto diretto con la popolazione reclusa è un altro fattore da cui può derivare un elevato affaticamento, in quanto tale rapporto è alcune volte conflittuale; esiste, infatti, una relazione positiva tra lo stress lavorativo e la percentuale di


il commento tempo passato a contatto diretto con i detenuti. Uno degli esiti lavorativi più investigati nel lavoro in polizia penitenziaria è sicuramente il burnout ma, più in generale, le relazioni significative fra benessere organizzativo, fattori di stress legati alle condizioni di lavoro ed eventi critici di servizio. I risultati ottenuti nelle varie ricerche possono considerarsi importanti perché hanno mostrato quali fattori possono essere considerati critici per il benessere organizzativo di chi lavora per mantenere l’ordine, la sicurezza e il controllo nelle carceri italiane, favorendo, al tempo stesso, la rieducazione delle persone qui recluse. Ed è proprio da qui che dovrebbe partire l’impegno una Amministrazione, come quella penitenziaria, colpevolmente silente su questi argomenti: dal favorire ed incentivare percorsi di formazione ed aggiornamento che migliorino le condizioni di vita e di lavoro di chi svolge una delicata e stressante professione come la nostra. Non c’è più tempo da perdere. H

Memorial Day SAP 2013 all’altare della Patria nche quest’anno il confratello Sindacato Autonomo di Polizia SAP ha dato vita in tutta Italia al Memorial Day, meritoria manifestazione che dal 1993 commemora i tragici fatti di Capaci e di via D’Amelio e che da otto anni gode della Medaglia di Rappresentanza della Presidenza della Repubblica. Il 23 maggio di ventuno anni fa Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro saltarono in aria a Capaci assieme a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. I nomi di Vito, Rocco e Antonio sono scolpiti in eterno nelle pareti della memoria del Sacrario della Polizia di Stato. Il 23 maggio di quest’anno la Fiaccola della Memoria del Sindacato Autonomo di Polizia è arrivata in Sicilia - grazie alla Nave della Legalità della Fondazione Falcone - dopo essere partita da Aosta, assieme ai colleghi tedofori e agli studenti, per unirsi alle

commemorazioni di Palermo e Capaci. A Roma si è celebrata una bella e commovente commemorazione all’Altare della Patria, come testimonia la bella foto di Vincenzo Coraggio. Il Segretario Generale del SAP Nicola Tanzi, assieme al Questore Vicario Carmine Belfiore, al Vice Prefetto Castrese De Rosa, all’on. Rosa Villecco Calipari e alla famiglia del collega Francesco Evangelista (trucidato dai nar), ha deposto una corona d’Alloro al sacro sacello in ricordo e in memoria di tutti i caduti in divisa. Hanno tra gli altri partecipato i Segretari Generali della Consulta Sicurezza: Donato Capece per il SAPPE, Marco Moroni per il SAPAF e Antonio Brizzi per il erremme CONAPO. H

di quel processo di riforma iniziato negli anni ‘70, ma mancano ancora precisi e fondamentali tasselli per LA FIAMMA AZZURRA raggiungere il risultato finale. Noi ALFREDO GUIDA Edtore riteniamo che uno di questi pagg. 183 - euro 15,00 imprescindibili passaggi sia quello di dare piena visibilità del lavoro svolto dalla Polizia Penitenziaria, attraverso a Legge 395 del 1990 che ha tutti i canali mediatici di cui la nostra istituito il Corpo di Polizia Penitenziaria ha ereditato, come democrazia dispone. Non ci stancheremo mai di sostenere che è è noto, gli uomini del Corpo degli assolutamente importante per il Paese Agenti di Custodia e le donne del ruolo delle Vigilatrici penitenziarie. Ma conoscere il lavoro svolto dai nostri ha ereditato non solo le persone con il colleghi e dalle nostre colleghe: è loro bagaglio professionale e culturale, importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della ma anche l’immagine di un mondo, Polizia Penitenziaria e ne comprenda i quello penitenziario, che l’opinione sacrifici sostenuti per svolgere tale pubblica interpreta attraverso attività, garantendo al contempo la stereotipi di vecchia data, generati sicurezza all’interno e all’esterno degli perlopiù da quell’alone di mistero e riservatezza di cui un carcere, per sua Istituti. Il nostro Corpo è costituito da persone che credono nel proprio natura è circondato. Oggi possiamo affermare che la Polizia Penitenziaria è lavoro, che hanno valori radicati e un sulla strada della completa attuazione forte senso d’identità e d’orgoglio.

Lo conferma una volta di più il libro di Paolo Piscitelli, che si arruolò nel Corpo degli Agenti di Custodia prestando servizio fino al 1992. Oggi Cancelliere presso il Tribunale di Ariano Irpino, proprio a seguito della sua esperienza come Agente in due penitenziari (la Casa di Reclusione di Alessandria e la Casa Circondariale di Genova-Marassi), Piscitelli mette per iscritto e racconta, dal proprio punto di vista professionale, cosa significhi per un agente “vivere il carcere”. Racconti di vita ed esperienze professionali di chi, pur senza aver commesso reati, vive la quotidianità di una vita al di là delle sbarre: gli Agenti. H Roberto Martinelli

Paolo Piscitelli

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La Consulta Sicurezza

La copertina del libro di Paolo Piscitelli

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l’osservatorio

L’emergenza nel carcere e il sovraffollamento - 3ª parte Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

oi non crediamo che l’amnistia, né tantomeno l’indulto, possano essere provvedimenti in grado di porre soluzione alle criticità del settore. Non possiamo giustificare la richiesta di amnistia e di indulto, col fatto che ci sono in carcere circa 20.000 detenuti in più rispetto ai posti previsti e qualche milione di procedimenti che rischiano di andare in prescrizione. Sarebbe come affermare che siccome la macchina della giustizia non funziona la eliminiamo:

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Nelle foto

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sono applicate a dispetto delle leggi di uguaglianza formalmente in vigore. Quindi, c’è un problema più generale di cultura della legalità che le nostre istituzioni e la società più in generale, considerato che le istituzioni sono figlie della società, dovrebbero affrontare. Notiamo, purtroppo, che, spesso, c’è in esse, sia nella società, sia nelle istituzioni, vuoi per motivi ideologici, vuoi per interessi di parte, un tendenziale disinteresse verso tutto ciò che può contribuire a migliorare la cultura della legalità. Non si nota, purtroppo, se non a parole, una condivisione generalizzata dei principi e delle regole che sottendono la cultura della legalità ma, piuttosto, chi sta al di sopra della scala gerarchica, non solo si sente, ma si mostra onnipotente, mentre il cittadino, spesso, vede le istituzioni come espressione di un potere arbitrario, sia per mancanza di eliminiamo i tribunali, autorevolezza delle stesse istituzioni, le procure, le forze di polizia e le da non confondere col dannosissimo carceri. Certo, sarebbe bello vivere in autoritarismo, sia per interesse paese così, ma sappiamo bene che è personale: è giusto pagare le tasse, impossibile. Nella storia della finché non tocca a noi pagarle, è Repubblica italiana – scrive Gherardo giusto non parlare al cellulare mentre Colombo in Sulle Regole, edito da si guida, fino a quando il vigile non ci Feltrinelli – si contano numerosi infligge la sanzione, e così via. In condoni, indulti, amnistie. Si tratta di questo contesto a dir poco misure con le quali si consente ai disarmante colui che è chiamato a far cittadini di sanare le posizioni rispettare le regole, spesso, si trova irregolari, attraverso il pagamento di difronte persone ostili, indisponibili denaro, o anche di sfuggire alla pena. Il ad accogliere consapevolmente il presupposto di questi provvedimenti richiamo al rispetto delle regole sta nella trasgressione di massa. Se stesse e ad accettare la sanzione che fossero pochi quelli che non pagano le consegue all’atto illegale, una tasse, che costruiscono dove non si può, sanzione che, spesso, non è adeguato che commettono reati, i provvedimenti e congrua alla gravità del fatto di clemenza non avrebbero ragione di commesso (nei giorni scorsi ho esistere. Mancherebbe la materia ascoltato l’intervista di una donna la prima. Condoni, indulti, amnistie cui figlia era stata massacrata a frequenti sono la dimostrazione che le coltellate dal proprio compagno che regole del privilegio, della sopraffazione era rimasto in carcere solo quattro

anni), che, a volte, arriva con molti anni di ritardo, quando magari la persona che ha commesso il reato, ovvero è indiziata di averlo commesso, si è costruita una famiglia, vive e lavora dignitosamente, nel rispetto delle regole (si veda il caso di Simonetta Cesaroni). Non dobbiamo dimenticare, inoltre, che in Italia sono più dell’80% i reati i cui autori restano ignoti, meno di dieci quelli che arrivano al processo, mentre non superano il 2/3% quelli che vengono condannati. Pertanto, coloro che commettono reati lo fanno con la consapevolezza di restare impuniti nel 97/98% dei casi. Quindi, c’è una larga e diffusa impunità che crea sfiducia e sconforto tra i cittadini onesti, soprattutto tra le vittime dei reati, che non vedono soddisfatte le loro legittime richieste di giustizia e di risarcimento del danno subito. Quale debba essere il risarcimento più giusto e più equo è sicuramente difficile stabilirlo, anche perché, se si interrogassero le persone che hanno subito il reato, sicuramente non troveremmo risposte uguali, ma per la maggior parte tendenti al massimo della pena, del castigo: un castigo che dovrebbe essere esclusivamente punitivo, retributivo. Tale tendenza, spesso, si riflette sull’intero sistema e spinge da più parti a chiedere maggiore intransigenza carceraria e maggiore carcerizzazione, sia tra i cittadini, sia tra quanti, molte volte strumentalmente, invocano maggiore certezza della pena, confondendo, però, la certezza con la flessibilità della pena. Pena certa e pena flessibile sono due concetti diversi che andrebbero chiariti, non solo ai


l’osservatorio cittadini, ma anche a molti addetti ai lavori ed a quanti li usano strumentalmente, anche a fini elettorali. Certezza della pena non significa mettere in carcere una persona condannata e farla rimanere in stato di detenzione per tutto il tempo della pena inflitta dal giudice. La pena è certa quando viene inflitta dal giudice in sentenza, è incerta fino a quando è solo comminata, cioè prevista dal codice e dalle leggi speciali. Quindi, certezza della pena vuol dire capacità di individuare i responsabili dei reati, riuscire a condannarli in tempi brevi e fargli scontare la pena inflitta dal giudice, nel rispetto dei principi dell’ordinamento. Siccome viviamo in un Paese dove il 97/98% di coloro che commettono reati restano impuniti, è per questo motivo che la certezza della pena non esiste, se non in quella piccolissima percentuale di casi che non arriva al 5%. In Italia esiste il principio della flessibilità della pena, come peraltro enunciato dalla Corte Costituzionale, in una storica sentenza del 1974. L’articolo 27 della Costituzione, in base al quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, è rimasto sostanzialmente inattuato, fino all’approvazione della legge penitenziaria, la n. 354/75, e all’emanazione del relativo regolamento di esecuzione, novellato nel 2001. La Corte Costituzionale, con una innovativa sentenza del 1974, la n. 204, essendo stata chiamata a giudicare sulla legittimità costituzionale dell’attribuzione al Ministro della Giustizia della facoltà di concedere, con proprio decreto, la liberazione condizionale, ha affermato il diritto per il condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se, in effetti, la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo; tale diritto deve trovare,

nella legge, una valida e ragionevole garanzia giurisdizionale. Istituto, quello della liberazione condizionale, che, come sostiene la stessa Corte, con la legge n. 1634 del 1962, tuttora vigente, era stato introdotto anche per l’ergastolo. Proprio in virtù di questa estensione normativa è stato possibile mantenere nel nostro ordinamento la pena dell’ergastolo, evitando così che la Corte Costituzionale la dichiarasse illegittima, proprio in relazione al principio affermato dalla stessa Corte nella citata sentenza n. 204 del 1974. Non si comprendono, quindi, le argomentazioni di quanti continuano a sostenere che l’ergastolo sia costituzionalmente illegittimo, atteso che si tratta soltanto di una pena edittale che, in virtù del richiamato istituto della liberazione condizionale, non trova concreta applicazione, tranne i casi di persone davvero pericolose. La sentenza de qua ha sostanzialmente introdotto, nel nostro ordinamento, il principio di flessibilità della pena; flessibilità che non è in antitesi con la certezza della pena, come, invece, vorrebbero far credere coloro che ritengono che la pena debba essere scontata interamente, per come l’ha inflitta il giudice in sentenza; una pena, quindi, immutabile, ma non sempre certa. Certezza della pena e flessibilità della pena, invece, non sono per nulla in contrasto tra loro, ma esprimono concetti diversi. Abbiamo detto che certezza della pena non vuol dire che un soggetto condannato alla pena della reclusione debba rimanere in carcere per tutto il tempo previsto dalla sentenza. Ciò non sarebbe possibile perché il nostro ordinamento non lo prevede, ma credo che non sarebbe neanche giusto, perché colui che ha commesso il reato, a distanza di anni, potrebbe essere una persona diversa da quella che era prima. E’ del tutto evidente che il passaggio cruciale, nell’esecuzione della pena, è proprio questo: capire se e quando, colui che ha commesso il reato e sta scontando la pena, a distanza di tempo, è cambiato, è un soggetto diverso da

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quello che era prima. E’ questa la fase più importante di tutta l’esecuzione penale. La fase in cui entrano in gioco diverse componenti: autorità penitenziarie e magistratura di sorveglianza. Rispetto a quest’ultima vorrei fare una breve riflessione. Con riferimento sempre alla citata sentenza n. 204 del 1974, la Corte ha

affermato che, attraverso l’applicazione dell’istituto della liberazione condizionale, Siamo in presenza di una vera e propria rinuncia, sia pure sottoposta a condizioni prestabilite, da parte dello Stato alla ulteriore realizzazione della pretesa punitiva nei riguardi di determinati condannati, rinuncia che non può certamente far capo ad un organo dell’esecutivo, ma ad un organo giudiziario, con tutte le garanzie sia per lo Stato che per il condannato stesso. Oltretutto si tratta di interrompere l’esecutorietà di una sentenza passata in giudicato, legata al principio dell’intangibilità, salvo interventi legislativi (art 2, comma secondo, del codice penale) o previsioni costituzionali (art. 87, penultimo comma, della Costituzione) o provvedimenti giurisdizionali (artt. 553 e 554 del codice di procedura penale) fino a determinare la estinzione della pena, una volta adempiuti gli obblighi imposti. La Consulta ha pertanto affermato un principio generale in base al quale tutto ciò che incide sull’intangibilità del giudicato, interrompendo l’esecutorietà di una sentenza, trova legittimazione costituzionale soltanto attraverso interventi legislativi, previsioni costituzionali o provvedimenti giurisdizionali. H continua...

La sede della Corte Costituzionale a Roma

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lo sport

Astrea, bilancio comunque positivo di una stagione tra alti e bassi Lady Oscar Redazione Sportiva rivista@sappe.it

Nelle foto azioni di gioco

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hiusa la stagione 2012/2013 tempo di bilanci in casa Astrea, a cominciare dalla prima squadra. E' stato un campionato da cui ci si attendeva l'assalto ai play off, la lotta alla promozione e che poi si è rivelato essere complessivamente una stagione con buoni acuti ma anche troppe stecche, soprattutto nelle gare in trasferta del girone di ritorno. Così se nel maggio 2012 l'Astrea si giocò la partita promozione fino al triplice fischio dell'ultima giornata, quest'anno il sogno si è interrotto anzitempo, assai prima che fosse la classifica a sancire che anche per quest'anno ci si dovesse accontentare di un comodo posto di medio alta posizione, senza purtroppo poter coltivare altre ambizioni.

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Cosa si può salvare dunque di questa stagione appena finita? sicuramente il gioco espresso ed il valore tecnico del collettivo biancoazzurro capace di costruire ed incantare nelle prestazioni migliori e di rendere piccole anche le grandi (emblematica in tal senso è stata la caduta della Sambenedettese tra le mura amiche di Casal del Marmo, sconfitta senza affanni). Se ciò non bastasse c'è da rimarcare l'ottimo campionato disputato da tutti gli "under" impiegati, molto spesso provenienti dal vivacissimo vivaio della juniores nazionale, che hanno saputo essere una valida risorsa per l'ottimo Mister Pino Ferazzoli. L'allenatore della squadra della Polizia Penitenziaria e quanto da lui fatto in questo

campionato può essere considerato l'altro elemento positivo da sottolineare. Già dal curriculum si è presentato come guida di alto profilo per l'Astrea. Classe 1966 è cresciuto nelle giovanili della Lodigiani con le quali ha esordito in C2 nel 1984, passando poi al Barletta, neopromosso in serie B dal 1987 al 1989. Sempre nella serie cadetta ha giocato a Como dal 1989 al 1991, nella stagione 1992-1993 è passato poi al Piacenza e, con 21 presenze ed un gol, ha contribuito alla sua promozione in serie A nella stagione 1993-1994 (in cui ha collezionato 19 presenze ed una rete). Poi Avellino, Pescara, Pontedera, Ternana, Savoia, Giugliano, Gualdo e Castel di Sangro, ultimo team da calciatore ma anche primo da allenatore. Nel 2005 è arrivato sulla panchina della Primavera della Cisco Roma, passando alla guida della prima squadra nell'ottobre dello stesso anno dopo l'esonero di Giuseppe Dossena. Sono seguite le esperienze sulla panchina del Rieti, sempre in Serie C2, e dell'Isola Liri, con cui ha ottenuto una promozione in Lega Pro Seconda Divisione nel 2008. Nella stagione 2009-2010 è tornato ad allenare a livello giovanile guidando la Primavera dell'Ascoli, mentre nella stagione 2010-2011 è stato l'allenatore dell'Aversa Normanna. Arrivato all'Astrea si è calato in pieno nel ruolo di allenatore della squadra del Corpo di Polizia Penitenziaria riuscendo con esperienza e pazienza ad armonizzarne i numerosi e differenti talenti. Non è stato semplice capitare proprio nel girone H in insieme al fratello Fabrizio, allenatore del San Cesareo per lungo tempo capolista, sopportando spesso le domande faziose di giornalisti che nei commenti del dopo partita hanno intravisto trame oscure dietro a vittorie e sconfitte delle due squadre,

sostenuto che l'Astrea combatteva solo contro le squadre forti che potevano oscurare il primato in classifica del San Cesareo dell'altro Ferazzoli, cavalcato idee complottistiche che si sono sciolte come neve al sole quando l'accesso diretto alla promozione lo ha poi vinto la Sambenedettese, con 71 punti. Solo dopo, ad inseguire la lotteria play off, il San Cesareo ed il Termoli a quota 68, la Maceratese 64, la Vis Pesaro 57, l'Agnonese e l'Ancona a 53. L'Astrea invece è finita sesta a 50 punti. Tra l'altro neppure il San Cesareo è riuscito ad avanzare nella categoria superiore perdendo nei play off contro la Maceratese ogni speranza di promozione. Per quanto riguarda i settori giovanili, l'Astrea juniores nazionale nel girone I

è finita seconda dietro alla Lupa Frascati, tornando come nel suo più florido passato ad occupare le posizioni di vertice dei campionati juniores e dimostrando che l'accordo maturato tra l'Astrea ed Aurelio unendo forze, strutture ed esperienze ha portato alla fine i suoi buoni frutti: 61 punti per la Lupa Frascati e 53 per l'Astrea. Nei play off i ragazzi di Ciambella e Miracapillo si sono fermati a pochi passi dalla sfida promozione, in semifinale, impattando contro il San Basilio, passato per 0 a 2 e arrivato a conquistare la finale contro il Fidene, vincente di misura sul Marino per 1 a 0. In ogni caso campionato positivo e grande valore complessivamente espresso in tutta la stagione da elementi che


lo sport organizzato dal Brescia che a partire dal 28 maggio impegnerà a Montespaccato sia gli Allievi che i Giovanissimi. Soddisfatto Sambucini probabilmente faranno presto parlare che sul campionato ha chiosato così: di sé anche al di fuori dei settori «Sono contentissimo del livello tecnico giovanili. Per ciò che riguarda gli raggiunto dai miei ragazzi e Allievi ed i Giovanissimi dei Mister soprattutto del comportamento che Sambucini e Salvi c'è da essere hanno sempre tenuto sul campo. soddisfatti per il campionato appena Rappresentare l'Astrea è fondamentale concluso. Per quanto riguarda gli e nel portare il suo scudetto sulla Allievi provinciali Mauro Sambucini maglia prima ancora del gioco sul l'esperienza della scorsa stagione in campo chiedo rispetto degli avversari cui i suoi ragazzi hanno disputato un ed educazione. I risultati e le campionato sotto età, in un girone più soddisfazioni oltretutto sono venuti esperti contendenti ha ben pagato in costantemente e per questi non posso termini di sicurezza e personalità non ringraziare il diesse Tolu e l'Astrea acquisite. Mauro lo aveva detto che tutta per la fiducia, i mezzi e la sarebbe stata questione di tempo e di disponibilità accordatici». maturazione del gruppo che poi è Campionato ed obiettivi diversi per il puntualmente arrivata: non è un caso settore Giovanissimi di Mister infatti che in tutto il campionato Riccardo Salvi, nell'anno d'esordio alla 2012/2013 l'Astrea ha subito solo tre guida dell'Astrea e di una squadra di sconfitte ed un pareggio, per il resto è calcio ad undici (in passato è stato stata una goleada costante su tutti i tecnico di calcio a 5 e a 7). Salvi ha campi, con il Città di Fiumicino primo avuto modo di creare un primo gruppo ed i biancoazzurri a seguire, staccati di di ragazzi e di trovare la difficile ed nove misure. Il secondo posto essenziale amalgama verso prestazioni dell'Astrea nei provinciali autorizza a tecnico-tattiche che nel corso del sperare nel ripescaggio per la tempo sono andate in direzione di una categoria Allievi regionali (fascia B continua crescita ed evoluzione. Al di là 98/99). Intanto gli allenamenti e la di qualche risultato negativo dal punto preparazione al Giannattasio di Ostia di vista del punteggio finale i non si fermano perchè in programma Giovanissimi hanno progressivamente c'è un ultimo importante preso maggior coscienza delle loro appuntamento di fine stagione: il possibilità. Così Salvi sul suo Torneo "Vincenzo Cavallucci" campionato d'esordio: «Posso

ritenermi più che soddisfatto perchè ho guidato un gruppo di ragazzi educati e con la testa sulle spalle. Posso dire senza esagerare che più che dare ho avuto molto spesso la sensazione di ricevere io dal confronto con loro a cui spero di aver dato la tranquillità piena di esprimersi. Per il futuro grazie all'ottimo campionato di Sambucini abbiamo la speranza di poter accedere ai campionati regionali e sarebbe davvero un'ottima prospettiva per prestigio e possibilità di attingere ed impiegare sul campo risorse nuove e di qualità». Una realtà in continua evoluzione dunque quella dell'Astrea, la terza squadra di Roma in quanto a risultati ottenuti dal 1948 ad oggi. Proprio per il suo passato glorioso oltre che per le sue possibilità di puntare a ritornare a militare nei campionati professionistici, l'Astrea merita tutto il rispetto che si deve ad una signora di 65 anni, con qualche ruga forse, come affermò il Presidente della Repubblica Napolitano a proposito della coeva Costituzione italiana, ma ancora tanto futuro davanti e molta freschezza da offrire per dare soddisfazioni, lustro e visibilità al Corpo di Polizia Penitenziaria cui appartiene e che ha sin qui sempre onorato. H

I “cugini” dell’Astrea: Fiamme Oro Rugby La squadra della Polizia di Stato milita nel massimo campionato nazionale utti italiani, tutti giovani, tutti bravissimi e soprattutto tutti poliziotti. Sono i quattro punti di forza delle Fiamme Oro Rugby, una delle eccellenze del gruppo sportivo guidato da Francesco Montini (dirigente della Polizia di Stato) che, nella stagione 2012/2013 appena conclusasi, ha disputato la categoria Eccellenza del rugby italiano, che corrisponde alla serie A del nostro calcio professionistico. Per i cremisi, che costituiscono per la Polizia di Stato quello che l’Astrea rappresenta per la Polizia Penitenziaria, è stato un campionato tiratissimo, con 9 vittorie (4 in trasferta), 5

T

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Nella foto una azione di gioco della squadra delle Fiamme Oro

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013


12 Nella foto giocatori durante una azione spettacolare

Nella foto la rosa delle Fiamme Oro Rugby della Polizia di Stato davanti al Viminale

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013

lo sport partite su 6 portate a casa nel Trofeo Eccellenza e una finale sfiorata, 41 punti e ottavo posto in classifica. Un rendimento straordinario che ha permesso di raggiungere la salvezza con largo anticipo. Non dimentichiamo che i “magnifici” del presidente Armando Forgione (anche lui dirigente della Polizia di Stato) si sono confrontati quest’anno con le fortissime squadre venete di Padova, Rovigo e San Donà, senza dimenticare i “cugini” romani della Lazio e il team de L’Aquila. Qualche sconfitta è arrivata e ci mancherebbe. Ma i ragazzi guidati dall’head coach Pasquale Presutti e dagli allenatori Sven Valsecchi e Alessandro Castagna non si sono mai persi d’animo, anche nei momenti peggiori del campionato. Del resto, la grinta e la forza di campionissimi come Roberto Mariani, straordinario capitano della squadra, o come il mediano di mischia Nicola Benetti, hanno costituito una costante durante l’intera stagione, assieme agli scores eccellenti di tutti i giocatori. Benetti, addirittura, si è guadagnato il “pallone d’oro” del Campionato di Eccellenza 2012/2013, aggiudicandosi il premio come miglior giocatore con 2.412 voti su un totale di 11.000 preferenze espresse dagli appassionati attraverso il sito della Federazione

2013/2014, piena riconferma per tutta l’area tecnica (da Presutti a Valsecchi, fino a Castagna) e ingresso, nello staff dirigenziale, di una nuova figura, quella del consigliere delegato. A ricoprirla sarà Vincenzo Trombadore, ovviamente dirigente della Polizia di Stato. Il suo compito sarà quello di fungere da raccordo tra il presidente Forgione e lo staff della squadra, nel quale sono confermati Bruno Pighetti (general manager) e Claudio Gaudiello (direttore sportivo). Ma le novità maggiori riguarderanno, nella prossima stagione, il settore giovanile che, allo stato attuale, conta più di 300 praticanti. Prenderà il via, infatti, il “Progetto Campus”, una vera e propria “Accademia” nell’ambito della quale gli under 16, dal martedì al venerdì, saranno seguiti da tutor qualificati negli studi pomeridiani fino alle 19,30, orario d’inizio degli allenamenti. Tutto questo, naturalmente, continuerà ad affiancarsi al settore del minirugby e alle squadre under 14, under 12, under 10 e under 8 e 6. Insomma, le Fiamme Oro Rugby dimostrano come sia possibile e vincente la sinergia tra sport e divise. Su quest’ultimo punto, in particolare, non bisogna mai dimenticare che i campionissimi cremisi sono in primo luogo poliziotti, tanto che vengono talvolta impiegati pure

Italiana di categoria. in particolari servizi di ordine pubblico, come capitò Le Fiamme Oro Rugby, con quasi sessant’anni di vita alle durante l’emergenza terremoto a L’Aquila. spalle, 3 scudetti e 5 coppe Italia nel palmares (solo per A tutto questo va aggiunto lo straordinario interesse che il citare i trionfi nazionali più importanti), stanno già Ministero dell’Interno e il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, anche su input di lavorando, grazie al convinto Pasquale Presutti, Coach Fiamme Oro Rugby risponde sindacati come il SAP, appoggio di tutto il Secondo molti, i giocatori sono tentati di venire da voi dimostrano concretamente per Dipartimento di Pubblica perché potete offrire un futuro oltre lo sport, cosa che gli le Fiamme Oro. A partire da un Sicurezza, con l’obiettivo di altri non possono fare. Una sorta di concorrenza sleale... aspetto di primaria porre le basi per il prossimo «Che le Fiamme Oro possano offrire un qualcosa che va importanza, come quello della campionato. Innanzitutto, è al di là del rugby è innegabile, ma non è affatto detto che uno voglia fare il poliziotto per tanti anni. comunicazione, con la stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un concorso (i termini E’ un lavoro, è vero, ma può essere molto duro e non tutti possibilità concessa al settore magari lo vogliono fare. Non è un lavoro per tutti.» rugby di avere un sito internet sono scaduti lo scorso 23 autonomo e ufficiale (www.fiammeororugby.it), ricco di maggio) per 27 atleti da assegnare alle Fiamme Oro, con 5 posti destinati ai cremisi: 1 pilone destro, 1 pilone contenuti e notizie sempre aggiornati, ottimamente curato sinistro, 1 terza centro (numero 8), 1 seconda linea e 1 da Cristiano Morabito. Anche per l’Astrea potrebbe essere utility back. Inoltre, in vista della nuova stagione un’ottima idea. H Massimo Montebove


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diritto e diritti

La decurtazione dello stipendio per assenza al controllo medico fiscale Giovanni Passaro passaro@sappe.it

entile collega, sono un assistente capo in servizio presso l’istituto Regina Coeli di Roma, ho ricevuto una contestazione degli addebiti con decurtazione economica per assenza al controllo medico fiscale disposto a seguito di assenza per malattia. Qualche mese fa ricordo che già ti sei occupato della materia, però, vorrei conoscere il tuo parere nel caso in questione dove mi sono allontanato dal domicilio per necessità, recandomi dal medico di famiglia e facendomi rilasciare apposita certificazione. Ringrazio anticipatamente per l’attenzione. Cordiali saluti.

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Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013

Gentile assistente, per avere una visione completa della vicenda avrei dovuto conoscere alcuni dettagli, ad es. se l’assenza dal domicilio è stata preventivamente comunicata all’Amministrazione, se il certificato del medico di famiglia è stato rilasciato nella stessa data dell’assenza contestata, quando è stata consegnata la certificazione medica prodotta , ecc.. Comunque, in linea generale, si rileva che l’Amministrazione nel qualificare priva di giustificato motivo l’assenza, in fascia oraria di reperibilità, non ha tenuto conto delle ragioni di tale assenza dando una interpretazione eccessivamente rigida dell’art. 5, comma 14 del D.L. 12 settembre

1983 n. 463; come convertito nella L. 11 novembre 1983 n. 638. Dispone il suindicato art. 5, comma 14 del D.L 12 settembre 1983 n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica) convertito nella Legge 11 novembre 1983 n. 638 che “qualora il lavoratore pubblico o privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l’intero periodo sino a dieci gironi e nella misura della metà per l’ulteriore periodo, esclusi quelli del ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo”. La disposizione quindi, con riferimento all’obbligo della reperibilità del dipendente nel proprio domicilio nelle fasce orarie indicate dalla legge, prevede che qualora questi se ne debba allontanare deve sussistere un giustificato motivo, quale ad esempio la necessità di essere sottoposto a visita medica. Con riferimento ai presupposti sulla cui base è stato adottato il provvedimento di contestazione ed individuato nell’“assenza senza giustificato motivo all’accertamento domiciliare”, è da rilevare che il certificato medico attesta che l’incolpato, nel giorno e nell’orario indicato (orario questo coincidente con quello della fascia oraria di reperibilità), è stato presso lo studio del proprio medico curante per essere sottoposto a visita. Ora vero è che l’art. 5, comma 14, della già citata Legge 11 novembre 1983 n. 638, con il far derivare dall’assenza “senza giustificato motivo” la sanzione della decadenza dal trattamento economico, ha inteso rafforzare la collaborazione del dipendente nella fase del controllo domiciliare attraverso l’obbligo della reperibilità nelle fasce orarie, ma è

altrettanto vero che l’Amministrazione è tenuta ad una ragionevole valutazione delle circostanze tutte a mezzo, se necessario anche di una più approfondita attività istruttoria dovendosi conciliare gli opposti interessi, secondo una logica di proporzionalità e di graduazione dando sempre prevalenza alle esigenze del fondamentale diritto alla salute (art. 32 Costituzione), rispetto alle non secondarie necessità connesse al contenimento della spesa pubblica. Nel caso in esame potrebbe lamentarsi una violazione di legge (vista l’ampia dizione della norma) ed un eccesso di potere in quanto la mera affermazione di assenza “senza giustificato motivo” è del tutto insufficiente ed anche contraddittoria con il contenuto legislativo, il cui rigorismo non deve essere accentuato acriticamente, ma valutato caso per caso, non potendosi ignorare l’insegnamento della Corte Costituzionale che con sentenza n. 78 del 25 gennaio 1988, nel ricordare come la funzione della norma (art. 5) è quella di assicurare l’efficienza del sistema assicurativo e di evitare il fenomeno dell’assenteismo, ha giustificato la sanzione della decadenza dal trattamento di malattia per i primi 10 giorni, solo e in quanto essa prevede la possibilità di addurre un “giustificato motivo”. In forza della suindicata considerazione, visto che tra le fasce orarie di reperibilità e l’orario di ambulatorio c’è coincidenza e la necessità della visita medica in orario ricompreso nelle fasce orarie di reperibilità, non può apoditticamente affermarsi che le giustificazioni fornite sono “insufficienti” e ciò per contemperare il “rigorismo” con cui i principi di “ragionevolezza” debbono ispirare l’azione della Pubblica Amministrazione. H


giustizia minorile

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La Polizia Penitenziaria di Nisida ospita la terza carica dello Stato l 13 maggio 2013 l’Istituto Penale Minorile di Nisida è stato onorato ancora una volta della presenza di una delle più alte cariche della Repubblica Italiana. A visitare la struttura partenopea è stata Laura Boldrini, da pochi mesi eletta Presidente della Camera dei Deputati. Anche in questa occasione, il contingente di Polizia Penitenziaria in servizio presso la struttura di Nisida ha saputo distinguersi per l’estrema professionalità e competenza con cui ha garantito il servizio di sicurezza e accoglienza. Gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria hanno difatti scortato il Presidente della Camera per oltre quattro ore che è durata la sua visita, accompagnandola nei Reparti dove sono ristretti i detenuti minorenni. La Boldrini ha visitato anche i vari

I

laboratori di ceramica, di arte presepiale e pastorale presenti nella struttura napoletana, nonché i locali adibiti a scuola, la pizzeria interna. Infine si è portata sul belvedere che affaccia su Porto Paone. I minori rinchiusi nelle strutture penitenziarie come quelle di Nisida rappresentano «una nostra sconfitta, il risultato degli errori commessi dagli adulti che non si son presi cura di loro». Questo è il pensiero che il presidente della Camera dei Deputati ha espresso in occasione della visita, aggiungendo subito dopo: «Si ritrovano così piccoli ad avere avuto esperienze così dolorose da essere finiti in prigione. A loro deve essere data la possibilità di rimettersi in piedi, altrimenti si perde il senso della misura del recupero e del reinserimento».

Non sono mancate tuttavia da parte della terza carica del Paese parole di amarezza quando parlando con i dirigenti della Giustizia Minorile, impegnati quotidianamente per il carcere ha dichiarato: «Lo Stato dà a questi giovani la possibilità di recuperare se hanno fatto un errore, ma se una volta usciti non ci sarà qualcuno che darà loro lavoro, che senso avranno avuto le ore trascorse nei laboratori?». H

a cura di Ciro Borrelli Coordinatore Nazionale Sappe Minori per la Formazione borrelli@sappe.it

Nella foto il Presidente della Camera Boldrini con il Capo del DGM Chinnici in visita a Nisida

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013


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Franco Denisi Segretario Provinciale del Sappe denisi@sappe.it

mafie e dintorni

La gerarchia della ’ndrangheta a cellula primaria della ’ndrangheta è definita cosca o ’ndrina fondata di norma da una famiglia di sangue a cui se ne aggiungono delle altre spesso tramite matrimoni incrociati. Rigida è la gerarchia all’interno di ogni famiglia, regolata da un codice che prevede distinti rituali per ogni momento della vita associativa: dall’affiliazione all’investitura del nuovo adepto, al giuramento prestato

“copiata”, la cui conoscenza risulta necessaria per ogni nuovo adepto. Al raggiungimento di una ’ndrina di sessanta affiliati, il capo famiglia ha la possibilità di costituire un’altra ’ndrina definita distaccata o bastarda con il permesso della cd “mamma” di San Luca , a cui ogni capo ’ndrina deve versare una quota annuale come gesto simbolico. L’affiliazione in gergo detta “il taglio della coda” di solito avviene nel

con solennità, al passaggio al grado successivo fino al processo cui il “tribunale” può sottoporre i propri affiliati qualora si dovessero rendere responsabili di eventuali violazioni delle “regole sociali”. Più cosche formano un “Locale” , punto di riferimento di aggregazione in una città. Per costituire un locale è necessaria la presenza di almeno 49 affiliati. E’ diretto dal capo-bastone il quale detiene il potere di affiliare soggetti esterni alla famiglia anagrafica, da un contabile che amministra le finanze e la divisione dei proventi (c.d Baciletta) e dal capo crimine, colui il quale pianifica le azioni delittuose. Tale triade viene denominata

territorio del locale, e viene definita come “ferro-fuoco-catene” con riferimento al pugnale che è l’arma propria degli affiliati, alla candela che brucia l’immagine sacra durante il rito di iniziazione e al carcere che ogni appartenente alla famiglia deve saper sopportare. Quando l’affiliazione avviene in carcere è detta “semplice” e si svolge solitamente nel cortile passeggi dell’istituto penitenziario: gli affiliati si dispongono a semicerchio a forma di ferro di cavallo con le braccia conserte di fronte al capo società il quale colloca un fazzoletto di seta, fa un nodo, lo colloca alla propria destra ed ecco che e fatta la copiata a cui quella riunione fa

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Nello schema la gerarchia della ’ndrangheta

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013

riferimento. Considerato che l’affiliazione è avvenuta in carcere il nuovo affiliato ha l’obbligo successivo di “presentazione”. Lo stesso si deve presentare entro i tre giorni dalla scarcerazione ai rappresentanti della locale del quale ha assunto la copiata. E’ rimasta inalterata la doppia suddivisione che come nell’800 anche oggi caratterizza la struttura gerarchica della ’ndrangata: Società Maggiore e Società Minore. Società Minore, di essa fanno parte: • Picciotti semplici e quelli di giornata con il compito di informare il capo bastone di tutte le novità inerenti al locale • Camorrista di fibbia : può convocare una riunione in cui vengono affiliati nuovi associati. • Camorrista formato : in alcune circostante ha il potere di sostituire il capo bastone. • Camorrista di sgarro: persona il cui valore è già stato riscontrato da azioni valide sia di sangue che di altro; essi si suddividono a sua volta in altre due subcategorie quella di “sangue” (conferita ad uomini che hanno commesso almeno un omicidio) e quella di “definitivi” (conferita ad affiliati con alta e provata fedeltà). Poi abbiamo altre figure come: il “contrasto”, il “contrasto onorato” Il contrasto: è colui che non fa parte dell’organizzazione Il contrasto onorato: è il fiancheggiatore di cui ci si può fidare e che potrebbe entrare a far parte dell’organizzazione. Società Maggiore, di essa fanno parte; la “Santa” e il “Vangelo” Santa: appare come una sorta di area riservata che consente contatti,rapporti e legami con altre organizzazioni di potere. Uno dei compiti principali di un santista è quello di impadronirsi o infiltrarsi in enti pubblici, avvalendosi del consenso elettorale. Il grado della Santa presenta una fondamentale peculiarità: è conosciuto solo ed esclusivamente alle persone che l’acquisiscono. Ha come figura di


mafie e dintorni

riferimento lo stratega di battaglia Generale La Marmora ed il generale Garibaldi come modello di giustizia e libertà. Il Vangelo: è una carica riservata a personaggi eccelsi, conoscitori dei diritti e doveri dell’Onorata Società, gli stessi hanno delle mansioni divisionarie ad alto livello. Anch’esso ha personaggi storici di riferimento, come i santi Pietro e Paolo , Giuseppe Mazzini come fondatore delle società segrete e Camillo Benso di Cavour come statista.

La suddetta struttura della ’ndrangata e anche rappresentata da un altro simbolo “L’albero della scienza” una grande quercia; questa metafora è stata ricavata, da un codice rinvenuto durante un rito di affiliazione lo stesso, rivela che l’albero della Scienza è diviso in 6 parti: la quercia rappresenta il capo di società o il mammasantissima, il fusto rappresenta gli sgarristi; il rifusto (grossi rami) i camorristi; i ramoscelli sono i picciotti le foglie rappresentano la carogne e i traditori della ’ndrangheta che finiscono per marcire ai piedi dell’albero della scienza. Il codice della ’ndrangata il codice della ’ndrangata e un codice che esiste da oltre cento anni senza

che lo stesso abbia mai subito nessun mutamento. La ’ndrangata calabrese è l’unica che il codice se lo trascrive e se lo tramanda; si tratta di una norma molto rigida con forme organizzative di tipo penale e rituale, molto simile agli ordini cavalleresche medievali, silenzio,omertà e umiltà sono le parole più utilizzate, infatti nel 1971 a Toronto in un operazione di polizia venne sequestrato un codice sul quale c’era scritto “...La mia pancia è una tomba, la mia bocca una Balata (pietra sepolcrale), parola d’umiltà e formata la società...

Giusto appunto in questo momento non faccio altro che ascoltare e accettare i pareri dei mie saggi compagni e li sotterro in questa sacra tomba di umiltà...” Lo stesso è molto rigido, duro, senza mezzi termini di un rigore che ha l’ineluttabilità del fato, “Se offendi devi morire se subisci un offesa devi uccidere”, lo stesso suddivide in “trascuranze” e “sbagli”. Le “trascuranze” sono le infrazioni minori e vengono sanzionate con un richiamo verbale o con una punizione di lieve entità

Gli “sbagli” invece comprendono le cd “tragedie”e le “infamità” le prime sono delle azioni che mettono a repentaglio la sicurezza di altri affiliati mentre l’infamità sottintendono il tradimento dei principi fondamentali dell’organizzazione, infatti chi tradisce viene punito con la morte Un altro codice venne ritrovato nel 1989 nel covo di un superlatitante di Reggio Calabria. Lo stesso conferma dei cambiamenti avvenuti con il passar del tempo in particolare dopo il summit di Montalto, il documento ritrovato è suddiviso in tre parti. La prima è dedicata alla società di sgarro e ai suoi rituali con riferimento ai mitici cavalieri spagnoli e ai tre presunti assassini di San Michele Arcangelo, Minofrio, Miscrizzi, e Misgarro. Nella seconda si parla di Vangelo. E oltre a Gesù Cristo, i referenti sono i tre Magi, Gaspare, Mechiorre e Baldassarre. Nella terza parte si parla esplicitamente della Santa. Ai re magi subentra Giuseppe Mazzini insieme a Garibaldi e La Marmora. H continua...

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Nello schema gli incarichi degli affiliati Nelle foto dall’alto in basso il generale Garibaldi e il generale La Marmora, Mazzini e Cavour

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18 di Mirella Agliastro Sostituto Procuratore della Repubblica Palermo

mondo penitenziario Una tavola rotonda a Palermo su

Sovraffollamento ed emergenza nelle carceri

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In alto accanto al titolo la locandina dell’incontro

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013

l problema dell’emergenza carceri si interseca ed interferisce con il rispetto dei diritti umani dei detenuti, provenienti assai spesso dai ceti emarginati come dimostra la composizione della popolazione carceraria, che si va caratterizzando anche per il sovraffollamento da tutti denunciato quale una «sofferenza ulteriore rispetto alla pena», e come oggi certificato dalla infamante denunciacondanna della Corte EDU nei confronti dell’Italia nella causa Torreggiani contro Italia, di recente emanata, che ha un illustre precedente nella sentenza Sulejmanovic del 16.7.2009 Sentenza della Corte EDU Sezione II dell’8.1.2013, Torreggiani contro Italia. La sentenza pilota della Cedu sul sovraffollamento delle carceri ha rilevato l’esistenza di una sistematica violazione nelle carceri italiane del diritto dei detenuti a non subire trattamenti inumani o degradanti in conseguenza delle generali condizioni di sovraffollamento in cui le carceri versano. Ha pertanto disposto che entro il prossimo anno l’Italia dovrà dotare il proprio ordinamento di un rimedio in grado di garantire una tutela effettiva del diritto convenzionale in questione. Occorre fare un breve passo indietro: la Corte EDU già il 16 luglio 2009 per la prima volta aveva riconosciuto il diritto violato di un detenuto, tale Sulejmanovic, in connessione con il sovraffollamento delle carceri ed aveva condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU dando il via ad una serie di ricorsi attualmente pendenti avanti alla Corte di Strasburgo. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo investita – dopo la sentenza Sulejmanovic contro Italia del 16.7.2009 – di centinaia di ricorsi da parte di detenuti italiani che lamentano «la violazione del proprio diritto a non subire pene o trattamenti inumani o degradanti in conseguenza del sovraffollamento carcerario» - ha pronunciato una sentenza-pilota contro l’Italia per l’accertamento della violazione dell’art. 3 CEDU in danno di sette ricorrenti, ingiungendo allo Stato italiano di introdurre nel termine di un

anno nel momento in cui la sentenza della Corte sarà definitiva, un ricorso o un insieme di ricorsi interni idonei ad offrire adeguato ristoro per i casi di sovraffollamento carcerario in conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte. La sentenza era stata decisa all’unanimità, anche con il voto conforme del giudice italiano che componeva il collegio della Seconda Camera. Nella decisione finale, la Corte aveva applicato principi ormai consolidati nella propria giurisprudenza e già applicati nel caso italiano nella sentenza Sulejmanovic. I ricorrenti erano detenuti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza e lamentavano di essere stati confinati in celle di nove mq ciascuno assieme ad altri due detenuti e di aver potuto usufruire in quantità insufficiente di acqua calda ed illuminazione. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, si considera automaticamente integrato un trattamento inumano e degradante allorché ciascun detenuto disponga di uno spazio personale pari o inferiore a 3 mq, a fronte di almeno 4 mq raccomandati dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa. La Corte EDU, con la sentenza Torreggiani, accertava la violazione dell’art. 3 CEDU, condannando lo Stato Italiano a corrispondere a titolo di equa soddisfazione per il danno subito, somme di entità variabile da euro 10.660,00 a 23.500,00 in relazione alla durata della rispettiva detenzione in condizioni di sovraffollamento. Nel caso sottoposto all’esame EDU il reclamo davanti al Magistrato di Sorveglianza aveva conseguito soltanto una pronuncia di declaratoria sull’esistenza di una violazione in atto alla quale solo tardivamente le Autorità Penitenziarie avevano dato parziale esecuzione disponendo il trasferimento del detenuto in una cella dotata di spazi più ampi. La Corte si soffermava sull’unico precedente dell’ordinanza 9.6.2011 del Magistrato di Sorveglianza di Lecce, con cui il giudice aveva assegnato un risarcimento di 220,00 euro al detenuto in chiave di riparazione

del danno esistenziale in conseguenza delle condizioni di sovraffollamento della detenzione. Tale sentenza era rimasta però unica e comunque il rimedio ideato dal Mag. Sorv. di Lecce non era percepito come un rimedio interno effettivo, idoneo e facilmente accessibile per la generalità dei detenuti italiani rispetto alle violazioni dell’art. 3 CEDU. Il profilo più importante di questa sentenza pilota è che viene posto l’obbligo a carico dello Stato soccombente di mettere in opera le misure individuali e le misure generali necessarie a superare la violazione. Tra rimedi effettivi e virtuali nel circuito CEDU e nell’ordinamento interno Nella sentenza Torreggiani a distanza di quattro anni dalla sentenza Sulejmanovic si è evidenziato il carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario in Italia. Nell’ambito di tale sentenza i titolari di situazioni soggettive di matrice convenzionale lese da una condotta dello Stato convenuto e pertanto meritevole di tutela, hanno dato lo spunto ad uno sguardo circa l’assetto complessivo del sistema penitenziario italiano. Orbene, il fenomeno del sovraffollamento carcerario, nella sentenza Torreggiani, diviene già di per sé un fatto contrastante con gli obblighi convenzionali. Infatti, il sovraffollamento in sé considerato, non è ancora un trattamento inumano e degradante, ma una situazione di fatto suscettibile di specificarsi come trattamento inumano nei confronti del singolo che la debba subire e ciò alla luce del dato che all’aprile 2012 il sistema carcerario italiano presentava un tasso di sovraffollamento pari al 148%. La sentenza Sulejmanovic aveva statuito che il detenuto inserito in un circuito penitenziario sovraffollato, fosse da considerarsi per questa sola ragione vittima di un trattamento inumano e degradante, ma non per ciò solo non meritevole di ottenere un diritto all’equa riparazione. Atteso, come già detto, che il mero sovraffollamento non dà luogo al riconoscimento del diritto all’equa


mondo penitenziario riparazione, la Corte trascende la dimensione individuale, qualifica tale situazione quale contrarietà al dettato convenzionale di cui all’art. 3 CEDU, assegnando un termine allo Stato convenuto per la riduzione. Decorso il termine assegnato, la Corte vigilerà e controllerà sull’adozione dei rimedi di “tutela effettiva” davanti agli organi di giustizia interni a favore della persona in vinculis. Tale tutela effettiva potrà essere di tipo preventivo e di tipo riparatorio: nel primo caso con riferimento alla scelta di misure alternativa alla detenzione, nel secondo caso come rimedi di tipo risarcitorio. La Corte distingue anche tra protezione diretta (eliminazione del fatto lesivo) e protezione indiretta dei diritti fondamentali (attribuzione al detenuto di una riparazione equivalente al pregiudizio subito). I rimedi compensativi nell’Ordinamento italiano Strumento di carattere compensativo è quello della legge aquiliana prevista dall’art. 2043 c.c. Questo rimedio (risarcimento danni per fatto illecito dell’amministrazione penitenziaria) è da esercitare dopo l’esecuzione con un meccanismo equivalente all’equa riparazione, ma già anticipiamo che non lo può effettuare il Magistrato di Sorveglianza, è stato invocato: • dal Magistrato di Sorveglianza di Lecce con ordinanza del 9.6.2011 con esito positivo, perché sottrae la competenza in materia di risarcimento danno al giudice civile; • dal Magistrato di Sorveglianza di Vercelli con ordinanza 18.4.2012 con esito negativo; • Cassazione Penale Sezione I Sentenza 15.1.2013 n. 4772/2013 Vizzari dalla Corte di Cassazione Penale sez. I 15.1.2013 n. 4772, ricorrente Vizzari con cui la S. C. esclude la competenza del Magistrato di Sorveglianza, decidendo su ricorso avverso l’ordinanza del 9.5.2012 del Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro che dichiarava inammissibile il reclamo proposto dall’art. 353 legge n. 354/75. Con tale ricorso, il detenuto Domenico Vizzari aveva dedotto che durante la lunga carcerazione da lui sofferta erano stati lesi diritti soggettivi per la restrizione con altri detenuti in spazi assai angusti inferiori ai limiti minimi esigibili, come previsto dalla normativa convenzionale, con conseguente richiesta

di condanna al risarcimento del danno o ad equo indennizzo in suo favore. La Corte Cass., nella camera di consiglio del 15.1.2013, adita sulla questione: “se rientri tra i poteri del magistrato di sorveglianza investito da reclamo ai sensi degli artt. 35 e 69 L. 26.6.1975 n.354 pronunciarsi sulla domanda di condanna dell’amministrazione penitenziaria al risarcimento dei danni derivanti da lesione dei diritti del detenuto”, ha sciolto il quesito in senso negativo, sostenendo: “trattandosi di materia riservata agli organi della giurisdizione civile”, quale giudice competente a conoscere di eventuali pretese risarcitorie nei confronti dell’Amministrazione Penitenziaria che si fondino sull’asserita violazione di un diritto soggettivo, quale quello che deriva dall’art. 3 CEDU, norma immediatamente precettiva nell’ordinamento in forza della legge n.848/55 di autorizzazione alla ratifica della Convenzione, è inammissibile la domanda di condanna dell’Amministrazione Penitenziaria al risarcimento dei danni da lesione dei diritti del detenuto in sede di reclamo al Magistrato di Sorveglianza. Il giudice civile è in generale il giudice dei diritti, ossia il giudice cui è affidata la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, a maggior ragione se di rilevanza costituzionale o riconosciuti dalla CEDU. I rimedi preventivi nell’Ordinamento italiano Per quanto riguarda i rimedi di natura preventiva, in chiave di protezione diretta dei diritti del detenuto, si fa riferimento allo strumento del reclamo ex art. 35 legge n. 354/75 rivolto al magistrato di sorveglianza. Un orientamento giurisprudenziale che va dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 26/99 (Corte Costituzionale 11.2.2009 sent. n. 26) alla sentenza SS. UU. Cassazione 26.2.2003 ha riconosciuto in tale strumento la via che il detenuto deve percorrere ogni qual volta sia in questione un suo diritto primario di matrice penitenziaria, laddove il Magistrato di Sorveglianza come ordine monocratico abbia competenza esclusiva ed in forme pienamente giurisdizionali, pur dovendosi riconoscere che il Magistrato di Sorveglianza non ha poteri giurisdizionali di tutela di diritti soggettivi, bensì di diritti del detenuto, cioè di un soggetto in quanto ristretto in vinculis. Con la sentenza della Corte

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Costituzionale del 3.7.1997 n. 212, la Corte configurava l’organizzazione dei giudici di sorveglianza nella forma della verifica di elementi contenuti nel programma di trattamento che possono costituire violazione dei diritti del condannato e dell’internato, e dunque può adottare disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni ai sensi dell’art. 69 comma 5° O.P. Si deve quindi trattare di violazioni che si riscontrano nel “programma di trattamento” che è di natura individuale, mentre l’organizzazione penitenziaria statale esula da tale profilo. All’Amministrazione Penitenziaria non viene riconosciuto il diritto di stare in giudizio e quindi non ha una posizione processuale in cui potersi tutelare.

E la Corte Costituzionale ha affermato che nell’ambito del procedimento per reclamo le ragioni dell’Amministrazione devono essere rappresentate in giudizio dal PM: Corte Costituzionale 23.10.2009 sent. n. 266. Nuovo inquadramento In effetti, si deve riconoscere che il reclamo offerto al detenuto per agire davanti al Mag. di Sorv. costituisce uno strumento complementare non sostitutivo dei mezzi ordinari di tutela giurisdizionale. Esso vuole garantire una tutela immediata in una situazione di particolare debolezza in cui il detenuto viene a trovarsi a causa della restrizione della sua libertà personale. Si tratta di un procedimento che ha la funzione di consentire l’adozione di un provvedimento di urgenza e che sia vincolante nei confronti dell’amministrazione, ma senza decidere definitivamente sul diritto azionato dal reclamante. Natura del reclamo Il provvedimento del Mag. di Sorv. si può definire come un provvedimento adottato nei confronti dell’Amministrazione Penitenziaria come

Nella foto l’attenta platea

‡ Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013


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mondo penitenziario obbligo di agire od omettere un contegno che si assume lesivo dei diritti della persona detenuta adottato come espressione della vincolatività e della imperatività dell’ordine del magistrato. L’azione risarcitoria davanti al giudice civile va collocata nella categoria dei rimedi compensativi a favore del detenuto mentre il reclamo va collocato nel novero dei rimedi a carattere preventivo, quest’ultimo perché l’attitudine del provvedimento del Magistrato di Sorveglianza all’esito del reclamo non può che consistere nell’eliminazione di lesioni di diritti soggettivi del detenuto, anche se manca una disposizione di legge che riconoscere la natura di titolo esecutivo nell’ordinanza in questione, sia rispetto all’esecuzione forzata civile sia rispetto al giudizio amministrativo di ottemperanza.

Nella foto i relatori al Convegno

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013

Il rilancio del tema da parte dei Giudici italiani. 1. Il magistrato di Sorveglianza di Lecce - Ordinanza del 9.6.2012 (Tarantino) Sulla premessa che il sovraffollamento del luogo di detenzione concretasse una lesione del diritto costituzionale del detenuto a «subire una pena che sia costantemente orientata verso un processo rieducativo», generante come tale un danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2059 Codice civile, era stato ritenuto da tale giudice che la pretesa in questione fosse azionabile mediante il reclamo al magistrato di sorveglianza ai sensi degli artt. 14 ter, 35 e 69, co.5 Ordinamento penitenziario. La vicenda scaturisce dal reclamo di un detenuto che ha adito il mag. sorv. – con reclamo ex art. 14 ter, 35, 69 O.P. per vedersi riconosciuta la lesione dei diritti soggettivi previsti dagli artt. 1, 5, 6, 12 L. n.354/1975 (O.P.) e art. 67 DPR n.230/2000 (reg. att.), nonché 3 CEDU, 2, 3, 27 Cost. ed il conseguente riconoscimento della liquidazione di un equo indennizzo, per essere stato

ristretto in condizioni irrispettose della dignità umana, in violazione dei diritti fondamentali dell’uomo: sarebbe infatti, stato ristretto per 18 ore al giorno in una cella di mq.11,50, con altri due detenuti, scarsamente illuminata e dotata di servizi privi di acqua calda. Il Giudice - dopo avere ricordato che l’ingresso in carcere del detenuto non può significare la perdita dei propri diritti fondamentali ma solo una parziale compressione - ritiene spetti alla Magistratura di Sorveglianza il ruolo di “guardiano” di tali diritti azionabili attraverso la procedura del reclamo. Quel Giudice intanto esclude la competenza del giudice amministrativo nella risoluzione delle questioni che insorgono tra l’Amministrazione Penitenziaria ed il detenuto in materia di diritti fondamentali. Riconosciuta la competenza del giudice ordinario, egli ritiene la competenza esclusiva del mag. sorv. per la tutela della violazione dei diritti conseguente alla sottoposizione a restrizione della libertà personale. La responsabilità dell’Amministrazione Penitenziaria deriverebbe dalla violazione degli obblighi ex lege imposti dalla Costituzione, dalle Carte Internazionali, dall’Ordinamento penitenziario e si tratterebbe di una responsabilità contrattuale in senso lato. Quanto alla liquidazione del danno, esso va riconosciuto in via equitativa, parametrandolo all’equo indennizzo riconosciuto dalla Corte EDU nel procedimento Sulejmanovic contro Italia. Ma qui il Giudice di sorveglianza di Lecce dimentica che il danno non patrimoniale quale danno-conseguenza deve essere sempre allegato e provato da chi ne chiede il riconoscimento (SS.UU. Cassazione Civile n.26972/08). Ciò nonostante, il danno viene liquidato in 220,00 euro, pari ad 1/5 del danno (euro mille) riconosciuto dalla Corte EDU a favore di Sulejmanovic. 2. Il magistrato di Sorveglianza di Vercelli - Ordinanza del 18.4.2012 Tale giudice ha sostenuto che al magistrato di sorveglianza è riconosciuto il mero potere di dettare all’Amm. le disposizioni necessarie a far cessare la violazione del diritto leso (art. 69, co.5 Legge n.354/745), ma non quello di pronunciare anche una condanna al risarcimento del danno, approdo cui non si può giungere additivamente in via interpretativa, implicando una scelta riservata al legislatore. Va dunque escluso

che mediante il reclamo possa essere azionata una pretesa risarcitoria civilistica. 3. Il Tribunale di Sorveglianza di Venezia - Ordinanza del 13.2.2013 Dopo la sentenza n. 4772/13 della C. Cass. che ha affrontato il problema della tutela risarcitoria in caso di violazione dei diritti di cui all’art. 3 CEDU, il Tribunale di Venezia si occupa del versante preventivo della tutela del diritto del detenuto a non subire in carcere una pena inumana e degradante in ossequio alla sentenza EDU dell’8 gennaio 2013. E quindi, investito del ricorso di un detenuto condannato invia definitiva mirante ad ottenere il differimento dell’esecuzione della pena, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 c.p. per contrarietà al principio di umanità ricavabile dagli artt. 2, 3, 27 co. 3 Costituzione), nella consapevolezza che l’attuale sistema pur prevedendo in capo alla magistratura di sorveglianza la tutela dei diritti in sede di reclamo giurisdizionale, rimane pur sempre privo di qualsivoglia meccanismo di esecuzione forzata finendo per generare fenomeni di ineffettività che la Corte di Strasburgo intende contrastare con le sue condanne. Il Tribunale di Venezia sostiene che la pena inumana non è una pena e dunque andrebbe sospesa o differita in tutti i casi in cui si svolga in condizioni degradanti da non garantire il rispetto della dignità del condannato. La custodia cautelare disumana potrebbe violare l’art. 13 co. 2 Cost., o 13 co. 4 come forma di violenza fisica e morale sulla persona. L’obbligo per lo Stato deriva dal dovere di rispetto degli obblighi internazionali discendenti dall’art. 117 co1 Cost. e nella specie dall’obbligo derivante dalla sentenza Torreggiani che vincola il nostro paese a dotarsi dei rimedi idonei a prevenire o far cessare le violazioni dell’art. 3 CEDU, comunque a fare tutto il possibile per evitare il prodursi o il protrarsi di violazioni del diritto convenzionale. Il giudice di Venezia ritiene che un rimedio effettivo contro la violazione del diritto fondamentale del detenuto a un trattamento penitenziario umano e non degradante possa essere individuato in soluzioni alternative rispetto alla carcerazione. Osserva il Tribunale che l’accoglimento del reclamo ex art. 35 ord. pen., concretantesi nel trasferimento di cella e nell’utilizzo di alloggio meno


dalle segreterie affollato si ripercuoterebbe su un altro detenuto che andasse a prendere il posto del detenuto trasferito, in accoglimento del suo reclamo. La strada del rinvio dell’esecuzione della pena potrebbe essere un’alternativa, secondo il potere discrezionale del giudice della sorveglianza. 4. Il Tribunale di Sorveglianza di Milano - Ordinanza del 12.3.2013 Ad un mese di distanza dalla ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Venezia del 13.2.2013, anche il Trib. di Sorv. di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.147 c.p. nella parte in cui non prevede tra le ipotesi di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena l’ipotesi in cui la stessa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità, per violazione degli articoli 27, co.3, 117 co.1 (nella parte in cui recepisce l’art. 3 CEDU), 2 e 3 Cost. e ciò sul presupposto di una impossibilità di interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 147 insuscettibile di applicazione analogica per il carattere tassativo delle ipotesi di rinvio tassative ivi previste. Il contrasto è con il principio inderogabile dell’umanità della pena. La questione rileva non infondatamente per il fatto che il detenuto non poteva sottrarsi alle condizioni detentive degradanti, essendo stato condannato per reati di cui all’art. 4 bis o. p. e quindi impossibilitato ad accedere a misure alternative o a benefici penitenziari che gli consentissero un’esecuzione extramuraria della pena detentiva. Tale iniziativa del Tribunale di Sorveglianza di Milano rivela la sensibilità maturata dai giudici di sorveglianza verso la ricerca di soluzioni al sovraffollamento delle carceri, secondo le indicazioni contenute nella sentenza Torreggiani da rinvenire all’interno dell’ordinamento penitenziario, per fare cessare la violazione dei diritti fondamentali dei detenuti all’interno degli istituti penitenziari italiani. È importante comunque rilevare che i giudici italiani, a prescindere dall’esito delle questioni proposte, hanno rilanciato di fatto il tema del sovraffollamento e di recente l’associazione “Antigone” ha presentato disegni di legge di iniziativa popolare per la legalità delle carceri. Il Procuratore della Repubblica di Milano ha emanato una circolare in cui invita a tenere in massimo conto gli auspici e le raccomandazioni delle Corte EDU. H

Trapani Il Trapani Calcio in serie B

E

ra il 5 aprile del 2012, l’A.S. Trapani Calcio, squadra militante in Lega Pro, aveva ben nove punti di vantaggio sulla diretta inseguitrice e viaggiava spedita verso la Serie B. Ebbi la felice idea di contattare per tempo i dirigenti della squadra affinchè ci omaggiassero di una visita in Istituto che avrebbe fatto contenti detenuti e personale di Polizia Penitenziaria, ma non solo. Chiesi al Direttore di poter fare entrare, per l’occasione anche i nostri figli, i primi supporters del Trapani Calcio. Un’occasione unica per loro per vedere da vicino i loro beniamini oltre che per vedere il luogo dove lavoravano i propri padri. Poi, con la collaborazione del maestro pasticciere Alessandro Sansica, insegnante del Corso Pasticcieri all’interno dell’Istituto e sfegatato tifoso del Trapani calcio pensammo di far fare ai detenuti una torta gigante, con lo stemma del Trapani Calcio; anzi due torte, una delle quali avrebbe augurato al trapani Calcio la Serie B. In realtà all’inizio avrebbe dovuto essere disputata una partita di calcio tra il Trapani ed una rappresentativa di detenuti, ma ciò non potè andare in porto a causa degli impegni della squadra che attraversava un momeno magico e delicato e non poteva rischiare uno stupido infortunio. Poco importava. L’importante era che eravamo ad un passo dalla Serie B, obiettivo mai raggiunto e la squadra ci avrebbe omaggiato di una visita. Credevamo che quel giorno si presentasse solo una piccola rappresentativa ed invece non potemmo credere ai nostri occhi quando tutta la squadra al completo, titolari e riserve, dirigenti, allenatore e Presidente si presentarono in istituto al completo. Il Trapani aveva mantenuto la parola. Quel giorno al teatro della Casa Circondariale di Trapani ci fu un tripudio di bandiere e di gioia per la nostra squadra. I detenuti accolsero i calciatori con cori da curva, che il pasticciere aveva insegnato loro qualche giorno prima e dopo la visione di un cd con tutti i goals fino a quel giorno rifilati alle altre squadre, ci fu la presentazione dei calciatori,

l’immancabile pallone firmato da tutti (quello che doveva essere il pallone della B, e comunque alla fine con un anno di ritardo lo fu, in quanto ¾ dei giocatori militarono nel campionato successivo…) e infine il taglio della torta e tante tantissime foto con i calciatori, per la gioia dei nostri figli. La signora Collart

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Nella foto il taglio della torta con il direttore Renato Persico, la Presidente del Trapani Collart Morace, Mister Boscaglia, capitan Filippi e il Commissario Giuseppe Romano

Morace, commossa aveva ringraziato i detenuti e tutti gli altri presenti per l’affetto e per l’accoglienza, distribuendo gadgets, magliette ed altro, promettendo di venirci a trovare una volta saliti in Serie B. Purtroppo quell’infausto campionato ci aveva illusi. Quei 9 punti furono rosicchiati dallo Spezia che vinse il campionato; il Trapani perse ai Play Off con il Lanciano. I più superstiziosi sostennero che quella visita al carcere aveva portato sfortuna.

Eppure io credevo invece che con quell’atto di umanità i giocatori del Trapani Calcio avessero fatto qualcosa di bello e di beneaugurante per la promozione che, infatti, anche se con un anno di ritardo non è tardata ad arrivare. Siamo entrati nella storia calcistica italiana. Il Trapani Calcio per la prima volta in Serie B. Nuovi orizzonti si aprono per la Polizia penitenziaria di Trapani, magari l’ordine pubblico allo Stadio ...chissà ... e siccome ogni promessa è un debito li aspettiamo per un’altra visita trionfante all’interno del nostro Istituto. Forza Trapani, Forza Polizia Penitenziaria.H Giuseppe Romano

Sopra foto di gruppo con i calciatori sotto il pallone donato al Commissario Romano

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dalle segreterie Perugia Corso di formazione

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Nella foto i partecipanti al corso di formazione umbro

Nella foto la squadra di calcio a 5 di Ferrara

A destra foto di gruppo con la direzione

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i è concluso il 30 aprile 2013 il primo modulo del corso di formazione sul tema droghe e carcere organizzato dal Prap dell’Umbria.

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Hanno partecipato al corso il personale di Polizia Penitenziaria delle quattro strutture umbre: Spoleto, Perugia, Terni e Orvieto. Il corso si è svolto presso l’istituto perugino di Capanne per le prime quattro giornate e la quinta ed ultima giornata, la Polizia Penitenziaria è stata ospite del comando provinciale Carabinieri, dove è presente il L.A.A.S. (il laboratorio analisi dell’Arma). Nelle varie giornate sono state affrontate tutte le tematiche che riguardano il fenomeno delle droghe, dal punto di vista storiografico, da quello dei flussi internazionali, dal punto di vista tecnico giuridico - sia di rilevanza amministrativa che penale-, sanitario, nonché dell’evoluzione socioculturale che l’uso e l’abuso delle sostanze stupefacenti ha assunto e sta assumendo in questi ultimi anni. Infatti, ogni forza dell’ordine, si è prestata ad offrire delle docenze con i loro qualificati rappresentati, a

Augusta Visita Quadri Sappe n data 26 aprile 2013 presso la C.R. di Augusta si è tenuta una visita del segretario regionale siciliano e della provincia di Siracusa. Dopo la visita si è tenuto un rinfresco con tutto il personale. H

I

partire dalla Guardia di Finanza, alla Polizia di Stato ai Carabinieri, che si sono succeduti nelle giornate del corso, portando le loro competenze tecnico giuridiche e raccontando le proprie esperienze sul campo, in materia di contrasto al traffico internazionale e allo spaccio al dettaglio. La quarta giornata del corso è stata

presente anche la procura della repubblica di Perugia con il PM

Comodi, con la quale sono stati affrontati gli aspetti tecnico giuridici da un punto di vista più pragmatico. Non in ultimo, nelle seconda giornata sono stati presenti due responsabili del SERT di Perugia, con i quali si è affrontato il tema droghe da un punto di vista socio sanitario. Il Sappe organizzazione sindacale di riferimento del Corpo intende ringraziare tutti i docenti del corso, il PRAP dell’Umbria per l’iniziativa, la quale dovrà assumere un punto di partenza, non solo dal punto di vista di una collaborazione interforze, ed istituzionale fra le varie figure impegnate al contrasto alle sostanze stupefacenti, ma per ritenere la formazione e l’aggiornamento alla base della crescita umana e professionale del personale di Polizia Penitenziaria, “perchè chi si forma non si ferma”. H Daniele Rosati

Ferrara Torneo interforze di calcio a 5

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ei giorni 11e 12 maggio 2013, il Comando di Polizia Penitenziaria di Ferrara ha

partecipato al Torneo Interforze di calcio a 5 organizzato dalla Questura di Ferrara al quale ha partecipato anche una delegazione della Polizia Slovena. La nostra rappresentativa si è classificata al terzo posto. H Antonio Fabio Renda


dalle segreterie Terni Al via il 4° Torneo di calcio a 7 Memorial “Andrea Santini” a lunedì 13 maggio e fino a venerdì 7 giugno, presso il complesso sportivo Scuola Calcio Franco Liguori A.S.D. Terni Est di Via Vulcano, si terrà il 4° Torneo Interforze di calcio a 7 Memorial Andrea Santini, organizzato dalla Polizia Penitenziaria di Terni. Il Torneo, giunto alla quarta edizione, è intitolato all'Assistente di Polizia Penitenziaria Santini in servizio presso la Casa Circondariale di Terni ed

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Sulmona Convegno dell’IPA “Morire di carcere” iovedì 13 giugno 2013, presso la Sala polivalente del Casa di Reclusione di Sulmona, si terrà il III Convegno di Criminologia dal tema: “Morire di carcere” organizzato dall’IPA (International Police Association).

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originario di Spoleto, scomparso nel settembre del 2009 in un incidente stradale. Le squadre partecipanti sono dieci, tra cui i Carabinieri di Terni, la Polizia Penitenziaria di Spoleto, Perugia e Terni (che partecipa con 2 squadre) le rappresentative delle Fiamme Gialle di Terni e Interforze di Rieti, la Forestale di Terni, e Polizia ed i Vigili del Fuoco di Terni.

Una rappresentanza della Ternana Calcio, insieme alle Autorità locali e ai Comandanti delle Forze dell'ordine hanno il calcio d'inizio al torneo. Il Commissario Fabio Gallo, Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria di Terni nonché componente del Comitato Organizzatore, ci tiene a ringraziare tutte le Forze dell'Ordine e le rappresentative che hanno accolto l'invito della Polizia Penitenziaria a partecipare a tale manifestazione che consolida i rapporti sinergici esistenti tra le Forze di Polizia del territorio e che, come da lui stesso sottolineato "standoci vicino, pur non conoscendo personalmente il nostro caro collega, ci hanno permesso e ci permettono, di ricordarlo con gioia e con momenti di puro divertimento". H

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rivista@sappe.it

Verbania Vittoria della Polizia Penitenziaria al Torneo degli Enti a squadra della Polizia Penitenziaria di Verbania si è aggiudicata il Torneo degli Enti battendo in finale la rappresentativa dei Vigili del Fuoco per 2 a 1 al termine di una partita combattuta ed incerta. Al terzo posto si è classificata la

L

Polizia Stradale seguita dai Carabinieri. Al Torneo hanno partecipato, inoltre, le rappresentative di Navigazione Lago Maggiore, Guardia di Finanza, Questura e Agenzia delle Entrate. H

Nella foto la rappresentativa della Polizia Penitenziaria di Verbania

urgenti dell’istituto piemontese. Oltre ai Quadri locali, era presente alla riunione il Segretario Nazionale del Piemonte Nicola Sette. H

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Novara Asseblea del Sappe nell’istituto

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l Sappe ha tenuto una assemblea con il personale e gli iscritti, trattando le problematiche più


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cinema dietro le sbarre

Maximum Conviction a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Nelle foto la locandina e alcune scene del film

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onostante la presenza di attori abbastanza noti per il genere (il maestro di aikido Steven Seagal, l’ex wrestler Steve Austin e, nel ruolo di antagonista, Michael Parè), per la prima volta tutti insieme, Maximum conviction è un b-movie abbastanza deludente. Si tratta di un film d’azione che ricorda molto Die hard ambientato, anzichè in un grattacielo, in una prigione. Gli agenti speciali Steele (Steve Seagal) e Manning (Sean Austin) ricevono l’incarico di smantellare un carcere di massima sicurezza e trasferire i detenuti in un altro carcere prestando particolare attenzione a due pericolose detenute. All’improvviso, però, si ritrovano ad affrontare l’assalto di un gruppo di mercenari, venuti nella prigione alla ricerca delle due donne, Charlotte (Alyiah O’Brien) e Samantha (Steph

Regia: Keoni Waxman Soggetto: Steven Seagal Sceneggiatura: Richard Beattie Fotografia: Nathan Wilson Musiche: Richard Plowman Montaggio:Trevor Mirosh Scenografia: Alexandra Rojek Costumi: Beverley Huynh Effetti: Darya Douglass-Andres

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Song), che sembrano possedere informazioni preziosissime e che costringono Steele e Manning a fronteggiare qualcosa di molto più grande di quello che si aspettavano. Il film, in definitiva, è un action molto debole, forse tra i peggiori della lunga carriera di Steven Seagal, e a nulla giova nemmeno la presenza del gigantesco Steve Austin. Le sequenze d’azione sono molto scarse e davvero poco spettacolari, a

la scheda del film

Produzione: Steamroller Productions, Voltage Pictures Distribuzione: Voltage Pictures

volte quasi ridicole, molto probabilmente a causa del budget limitatissimo. Nemmeno la scontatissimo combattimento finale tra Seagal e Parè riesce a dare slancio al film risultando coreograficamente nullo. Consigliato soltanto agli appassionati del genere prison movie per le sue ambientazioni prevalentemente carcerarie. H

Personaggi ed Interpreti: Tom Cross Steele: Steven Seagal Manning: Steve Austin Chris Blak: Michael Paré Charlotte: Aliyah O'Brien Bradley: Bren Foster Samantha: Steph Song Collins: Michael Adamthwaite Nathan: Lauro Chartrand Max: Teach Grant Terrence: Richard Stroh Jones: Dean Redman Genere: Azione Durata: 98 minuti Origine: USA, 2012


penitenziari storici

I

l 7 novembre 1299 il Consiglio dei Cento, il più importante organo deliberante della città di Firenze, approvò uno stanziamento per la costruzione del nuovo carcere. La prigione doveva sorgere nella parrocchia di San Simone, su un terreno che era appartenuto alla famiglia nobiliare degli Uberti e che era stato loro confiscato nel 1268 quando la parte ghibellina era stata bandita dalla città in seguito all’instaurarsi di un regime guelfo. La decisione di erigere un edificio appositamente destinato alla funzione di carcere risaliva a due anni prima, ma le procedure esecutive furono avviate solo alla fine del 1299, e il nuovo fabbricato terminato in un paio d’anni. In precedenza, i carcerati erano stati detenuti in luoghi adattati a prigione. L’edificio completato nel 1301 fu invece la prima prigione appositamente costruita in una città europea. L’innovazione era rappresentata dalla volontà di concentrare in un unico spazio i detenuti che fino ad allora erano stati sparpagliati in vari luoghi. Il carcere formava una grande isola trapezoidale, con le celle e i locali racchiusi all’interno di un alto muro perimetrale, con un ingresso e un portone di servizio che si aprivano su via Ghibellina. Il primo conduceva direttamente agli alloggi e agli uffici dei sovrintendenti, alla torre di guardia e a un magazzino. Il portone permetteva invece il passaggio di un carretto, che attraverso una rampa garantiva l’accesso ai magazzini, mentre un ulteriore passaggio conduceva alla corte interna, oltre la quale era un altro alloggio per le guardie. Sul cortile si affacciavano i reparti dei detenuti e una piccola cappella. Per sicurezza i reparti erano separati dalle mura esterne da un camminamento accessibile solo alle guardie. Ogni reparto conteneva delle panche per dormire, una latrina e degli spazi che fungevano da magazzini: una o più finestre davano sul cortile. Grazie a numerosi documenti

Le Stinche, primo carcere d’Europa sappiamo che alla metà del Trecento la struttura comprendeva la “prigione vecchia”, la “prigione nuova”, un reparto per le donne, uno per i magnati, l’infermeria e un reparto con due piani, il superiore dei quali ospitava le sedute settimanali del tribunale dell’esecutore degli Ordinamenti di giustizia, che puniva i reati che si commettevano all’interno del carcere, i più frequenti tra i quali erano il gioco d’azzardo, la blasfemia, il bere, le risse e i rapporti sessuali. Successivamente fu creato un reparto separato per i malati di mente. La maggioranza dei reclusi erano debitori o prigionieri in attesa di giudizio, ma il carcere pullulava di assassini, ladri, briganti, sodomiti, prostitute, falsari, etc. I condannati a pene pesanti, e quasi sempre i detenuti per motivi politici, erano tenuti in catene, ma gli altri erano liberi di muoversi nel proprio reparto. Da subito il carcere fu affidato a un apparato amministrativo, che contava alcuni sovrintendenti, affiancati da una dozzina di guardie, un camerlengo, uno scrivano, un paio di frati che si occupavano delle quotidiane necessità dei prigionieri, alcuni inservienti, un cappellano della vicina chiesa di San Simone, un acquaiolo, e poi anche un medico e un addetto alla rimozione dei corpi dei detenuti deceduti. Nel tempo si aggiunsero anche quattro “buonuomini”, uno per quartiere, che operavano insieme ai frati per la distribuzione delle elemosine. L’ampio e tetro edificio eretto sul fianco della chiesa di San Simone fu chiamato volgarmente “Le Stinche” dal 1304, quando vi furono rinchiusi i soldati fatti prigionieri dopo la presa dell’omonimo castello in Val di Greve appartenente alla famiglia dei Cavalcanti, allora nemica della fazione

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Aldo Di Giacomo Consigliere Nazionale del Sappe digiacomo@sappe.it

nera al governo di Firenze: “stinche” significava “creste”, e alludeva con ogni probabilità alla collocazione della fortezza sopra un dirupo, e, in effetti, il carcere poteva ricordare la forma di un castello per le sue alte mura. Il nome mantenne nel tempo il suo significato antighibellino e le Stinche occuparono per oltre cinque secoli il paesaggio urbano dell’area ove erano sorte, senza subire particolari modifiche. Quando all’inizio del XIX secolo cominciò a maturare una nuova sensibilità per il decoro urbano, fu deciso il trasferimento del carcere nel monastero delle Murate presso le mura, che era stato soppresso nel 1808. Il granduca Leopoldo II dispose la vendita a privati dell’isolato delle Stinche nel 1833, e i carcerati furono provvisoriamente trasferiti nell’ex convento di San Domenico a San

Gimignano. L’antico edificio fu distrutto e al suo posto sorsero abitazioni private, botteghe, una scuderia con annessa cavallerizza, un teatro diurno e una sala destinata alla Società filarmonica fiorentina. Ai nostri giorni, l’isolato è dominato dalla presenza del teatro Verdi e, dell’antico carcere, rimangono ormai solo alcune tracce nella toponomastica: il Canto delle Stinche e la via dell’Isola delle Stinche. H

Una litografia del carcere delle Stinche eseguita da Fabio Borbottoni

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

crimini e criminali

Le violenze sulle donne: il femminicidio o trattato in diversi articoli storie di donne uccise nella maggioranza delle volte con delle motivazioni apparenti, ma ho sempre ritenuto di catalogare l’uccisione di bambine, adolescenti e madri come omicidi in quanto tali, senza mai porre l’attenzione sul perché le vittime fossero donne.

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Nella foto un fiore accanto ad una vittima

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013

Negli ultimi anni l’escalation di violenze sulle donne è aumentata in maniera esponenziale tanto che un rapporto sulla criminalità, stilato nel 2010 dal ministero dell’Interno, rileva che la percentuale di donne uccise nel biennio 1992-1994 è passata dal 15,3% del totale, al 26% nel biennio 2006-2008. E mentre gli omicidi in Italia sono calati del 57%, i femmicidi sono aumentati del 98%. Ritengo personalmente che, leggendo questi dati, non si possa rimanere inermi e ognuno debba fare la sua parte affinché l’opinione pubblica, il legislatore, la magistratura e le forze dell’ordine si facciano carico di questa piaga sociale e tutelino le donne vittime in quanto tali, mitigando il dilagarsi oltremodo di questo genocidio. I neologismi «femicide» e «feminicidio» nascono con una valenza spiccatamente politica: dare un nome alle uccisioni e violenze nei confronti delle donne «perché donne», e renderle visibili in quanto tali. I due concetti femmicidio e femminicidio hanno assunto immediatamente rilevanza scientifica

quali categorie di analisi sociocriminologica in quanto, oltre ad evidenziare la natura di genere che connota la maggior parte dei crimini contro le donne, li analizzano e li classificano in quanto tali. Il femminicidio secondo Marcela Lagarde è un problema strutturale che va aldilà degli omicidi delle donne, riguarda tutte le forme di discriminazione e violenza di genere che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà non soltanto fisicamente ma anche nella loro dimensione psicologica, nella socialità, nella partecipazione alla vita pubblica. Femminicidio è la forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria. Pensiamo alle donne uccise, ma anche a tutte quelle che quotidianamente subiscono molestie sessuali sul lavoro o violenza psicologica dal proprio compagno: 84 donne nel 2005, 101 nel 2006 , 107 nel 2007, 113 nel 2008, 119 nel 2009, 127 nel 2010, 129 nel 2011, 124 nel 2012; sono i dati raccolti dalla Casa delle Donne di Bologna che dal 2005 svolge un’indagine sui femminicidi, raccogliendo notizie dalla cronaca giornalistica. Sono 37 ad oggi, dall’inizio del 2013, le donne che in Italia sono state uccise per mano degli uomini a loro più vicini: Annunziata Paoli, 78 Anni, accoltellata a Rimini dal marito nel settembre 2012, è morta dopo quattro mesi di coma; Anna Francesca Scarpati, 52 anni, uccisa a Capri dal compagno che aveva denunciato qualche mese prima per ingiurie, percosse e per violenza fisica e psicologica; Maddalena Livatino, 63 anni e Barbara Pons Livatino, 42

anni, uccise a Pinerolo nel sonno a martellate e coltellate dal marito e dal padre il quale ha motivato il gesto con: quando io fossi morto cosa sarebbe stato di loro; Carolina Picchio, 14 anni, si è lanciata dalla finestra di casa a Novara; si ipotizza istigazione al suicidio – era perseguitata da un branco su facebook; Liliana Agnellini, 65 anni, uccisa a Montesilvano dal compagno 68enne che le ha dato fuoco nell’ascensore dopo averla cosparsa di benzina al termine dell’ennesima lite; Hrieta Boshti, 36 anni, freddata a L’Aquila con un colpo di pistola vicino all’orecchio dall’ex marito; Antonia Stanghellini, 46 anni, massacrata a Bernareggio (Monza) a coltellate dall’ex convivente, per gelosia; Donika Xhafa, 47 anni, uccisa a Vercelli con 4 colpi di pistola dal convivente; Franca Iaciofano, 51 anni, uccisa ad Isernia con un colpo di fucile a pallini dal suo amante, che poi si è suicidato; Giuseppina Boi, 87 anni, uccisa a Dolianova (Cagliari) dal marito a martellate; Olayemi Favour, 24 anni, bruciata viva a Casal di Principe (Caserta) dall’ex fidanzato di una amica mentre cercava di difenderla; Bruna Porazzini, 75 anni, uccisa a Rosignano (Livorno) dal marito a martellate in testa; Giuseppina Di Fraia, 52 anni, morta a Pianura (Napoli) dopo tre giorni di agonia, investita e incendiata dal marito; Jamila Assafa, 30 anni, il marito l’ha uccisa con una coltellata al cuore e poi ha portato via i due bambini (2 anni-13 mesi); Giuseppina Saverino, 81 anni, uccisa a San Mauro Torinese dal marito perché era malata; Shedjie Mamedani, 38 anni, uccisa a Rieti a colpi di mattarello dal marito; Vivian Edehia, 24 anni, 28 febbraio trovata con cranio fracassato nei pressi della linea ferroviaria a Moriago (Pavia); Denise Fernella Graham, 42 anni, è stata uccisa con corpo contundente forse dal marito; Lucelly Molina Camargo, 32 anni, trovata nel bagno di casa a Siena con la testa spaccata da un oggetto (uccisa da ignoti); Adriana Carolo, 79 anni, uccisa dal marito nel sonno con un colpo di baionetta alla gola, perché malata di Alzheimer; Egidia Mamoli, 68 anni


crimini e criminali uccisa a Segrate (Milano) dal marito con arma da fuoco; Daniela Crispolti, 46 anni e Margherita Peccati, 61 anni, uccise a Perugia sul posto di lavoro da un imprenditore cui era stato negato il finanziamento; Maria Gandolfi, 57 anni, deceduta per un colpo alla testa ricevuto dall’ex marito; Francesca Di Grazia, 56 anni e Martina Incocciati, 19 anni, madre e figlia sgozzate a Latina dall’uomo con cui la madre aveva una relazione; Mihaela Simion, 25 anni, squarciata da molteplici coltellate; Denise Morello, 22 anni, uccisa con premeditazione con un colpo di pistola alla testa dall’ex-fidanzato che poi si è suicidato, perché “non poteva vivere senza di lei”; Michela Fioretti, 41 anni, uccisa ad Acilia (Roma) dall’ex-marito 42enne per strada, le ha sparato in un inseguimento con l’auto; Maduri Warnacula, 42 anni, morta nell’incendio della sua casa aveva le mani e i piedi legati; Ilaria Leone, 19 anni, Il suo corpo seminudo giaceva sotto un albero a Castagneto Carducci in provincia di Livorno. Ilaria è stata strangolata, forse durante un tentativo di violenza; Alessandra Iacullo, 30 anni, aggredita e uccisa a coltellate, colpita al collo e al braccio; Chiara Di Vita, 27 anni, uccisa nel suo appartamento dal compagno, guardia giurata, prima le ha sparato e poi si è ucciso; Maria Chimenti, 55 anni e Letizia Piccolo, 19 anni, Maria, imprenditrice, vicesindaco e assessore uccisa in provincia di Bari, uccise come la figlia Letizia (e il figlio) con un colpo di pistola alla testa dal marito e dal padre; Immacolata Rumi, 53 anni, morta in seguito alle lesioni riportate a causa delle percosse subite dal marito; Sofia Zerebreska, 23 anni, è stata accoltellata a Poggiomarino (NA) cinque volte e lasciata in un noccioleto, con l’arma (un coltello da cucina) ancora conficcata nella schiena. Che cosa accomuna tutte queste donne? Secondo la criminologa statunitense Diana Russell: il fatto di essere state uccise «in quanto donne». La loro colpa è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione (la donna obbediente, brava madre e

moglie, o la donna sessualmente disponibile), di essersi prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie vite, di essersi sottratte al potere e al controllo del proprio padre, marito, compagno, amante: per la loro autodeterminazione, sono state punite con la morte. Nella stragrande maggioranza dei casi riportati le donne sono state uccise per delitti che i criminologi classificano come crimini da ossessione amorosa, dove il sentimento iniziale dell’innamoramento porta alla costruzione di un rapporto fondato sull’amore reciproco. Tali stati passionali provocano dei profondi e duraturi perturbamenti psichici che sono in grado di disorganizzare l’equilibrio mentale dell’Io a tal punto da indurlo, in determinate circostanze, a commettere un gesto criminale. In particolare, l’amore è una passione che normalmente non porta ad uccidere ma, quando diventa troppo intenso ed incontrollato, si trasforma in una vera e propria ossessione che può assumere connotati patologici ed arrivare a distruggere gli equilibri familiari e relazionali. Ci sono dei fattori cosiddetti di rischio che fanno aumentare la possibilità di commettere dei delitti d’amore, tra questi rientrano fatti ed eventi accaduti nella vita della persona, tratti di personalità e circostanze in cui avviene il fatto. I fattori di rischio possono agire sia direttamente, incidendo sui pensieri omicidi e sulla possibilità di commetterli, sia indirettamente attraverso una diminuita capacità cognitiva e comportamentale del soggetto di inibire i pensieri distruttivi e di fare del male alla vittima, aumentando così il rischio di omicidio. Nella maggioranza dei casi i delitti d’amore sono preceduti da aggressioni fisiche e/o sessuali e minacce; coloro che uccidono la compagna, hanno avuto in precedenza numerosi fallimenti relazionali, contraddistinti da altrettante storie di maltrattamenti. Spesso l’omicidio per amore rappresenta il punto di arrivo in cui sfocia violentemente la gelosia, il possesso, il desiderio di un controllo esclusivo sull’altro.

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La gelosia ossessiva e il senso di possesso perdurano anche dopo la cessazione della relazione. In molti casi di uxoricidio passati in rassegna dalle sentenze dei Tribunali e dalle ricerche, spesso si rileva che l’omicida stesso giustifica il proprio comportamento come frutto di una sorda e devastante gelosia nei confronti della partner (Wilson, Johnson, Daly, 1995). Una indagine sulle molestie sessuali condotta nel biennio 2008-09 rivela che circa la metà delle donne in età tra 14-65 anni (10 milioni 485 mila, circa il 51,8%) hanno subito nell’arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato.

Un’altra indagine del 2006 sulla violenza dentro e fuori la famiglia, stima che 6 milioni 743 mila donne dai 16 ai 70 anni sono state vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita. Cinque milioni di donne hanno subito violenze sessuali (23,7%), 3 milioni 961 mila violenze fisiche (18,8%); circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (4,8%). Il 14,3% delle donne con un rapporto di coppia attuale o precedente ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner. Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% da parte del partner. A tutte le donne che hanno subito e continuano a subire violenze, voglio dedicare questo piccolo contributo e dal momento che, tale aggressività, non sembra un fenomeno che tenderà ad estinguersi col tempo emerge la necessità di progettare interventi che mirino a prevenire tali deplorevoli eventi. Alla prossima... H

Nella foto una manifestazione contro il femminicidio

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013


28 di Daniele Papi rivista@sappe.it

il punto sul corpo

Liberate la Polizia Penitenziaria - 1ª parte seguito di alcuni miei interventi sul sito web di questa rivista immagino che la mia disamina può, a giusta ragione aver irritato qualcuno; non mi scuso in quanto chi mi conosce sa che dico unicamente ciò che penso, senza alcuna riserva mentale. In fondo, non faccio altro che comportarmi di conseguenza, in altre parole porto acqua al mio mulino, come peraltro mi è stato insegnato da 28 anni di servizio. La piccola disamina storica e normativa, ovviamente non poteva restare fine a se stessa, aspiro che alimenti un confronto, uno scambio di opinioni, l’elaborazione di tesi anche contrastanti.

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Nella foto parata di Agenti di Custodia

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013

E’ ovvio che la dipendenza dal Ministero dell’Interno è una provocazione, che avrebbe modo di concretizzarsi solo nel caso in cui l’Italia si adeguasse alle direttive Europee, le quali visti i danni prodotti dalla moneta sono quantomeno opinabili. Altrettanto ovvio è che nessun Poliziotto Penitenziario aspirerebbe a fare il figlio di un Dio minore presso un altro Dicastero, cosa che purtroppo, da sempre, è in ogni caso la realtà che viviamo anche dentro casa nostra. Il mio ideale, è quello che il confronto germogli, anche con altre rappresentanze sindacali, che si arrivi come nel 1990 ad una riforma, questa volta reale, tangibile, che consegni, la meritata dignità

soprattutto agli uomini e alle donne della Polizia Penitenziaria che lavorano negli Istituti di Pena. Si parla sempre ed esclusivamente della grave situazione carceraria, solo per ciò che attiene alla popolazione detenuta. Ora, non voglio fare demagogia ma, l’ambiente se, non è salubre per chi suo malgrado ci deve soggiornare, in virtù di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, è di conseguenza e, a maggior ragione poco accogliente per chi deve esercitare la propria professione. Ambiente di lavoro non significa esclusivamente spazi, quali caserme, sezioni, ed ambienti affini, luogo di lavoro, significa soprattutto organizzazione e programmazione, atta a consentire la gestione di personale che deve rendere un servizio di vitale importanza alla comunità, in altre parole la gestione sotto il profilo esclusivo della sicurezza di soggetti, più o meno pericolosi, i quali, loro malgrado usufruiscono di vitto e alloggio a spese dello Stato. Ora, se vogliamo dare una svolta epocale ed una vera innovazione è, necessario trovare soluzioni praticabili, non scendere a patti….. come qualcuno ha fatto in ambito Dipartimentale. Il rispetto della legge, non prevede patti o accordi bilaterali, circa la sua esatta applicazione, mentre oggi, sulla materia “sicurezza” l’Amministrazione ha scelto di operare con una formula che definirei “patti in deroga”, in altre parole, l’abrogazione autonoma appunto di tutte le previsioni normative, senza però avere per se e, per il personale una adeguata copertura legislativa. Per non scendere a patti e, indispensabile rivedere l’organizzazione, quella che manca appunto.

Argomenti sull’ordinamento Dignità, organizzazione e funzionalità dell’Organismo. 1. Dignità dell’Organismo Essa può essere assicurata: • mediante il riconoscimento da parte del Governo non più sul piano meramente formale, ma su quello della concretezza, della valenza della Polizia Penitenziaria che per principio e per sostanza deve essere uguale a quella delle Forze di Polizia, se di tali Forze deve essere parte; con ciò intendendo non la parificazione, che non ha un senso diverso dall’accostamento più o meno prossimo in un momento successivo (quindi non originario), tanto meno la parità di trattamento, che di per sé è una concessione ad una forzata comunione, effettuata la selezione, ma la chiara attestazione ed il conforme comportamento sull’uguale valore istituzionale; Allo scopo, ci si arriva, modificando l’articolo 16 della legge 1° aprile 1981, n. 121, il cui contenuto attuale, riguardo alla Polizia Penitenziaria, è alle soglie della discriminazione ed assicurando la partecipazione di diritto della Polizia Penitenziaria, con pari accoglienza e, pari valore, a tutte le sedute ufficiali delle Forze di Polizia ed a quelle d’altri organi alle quali tali Forze intervengono, indipendentemente dal coinvolgimento diretto di essa sulle questioni all’ordine del giorno. E’, altresì, necessario conferire alla Polizia Penitenziaria tutte le attribuzioni di spettanza per effetto della modifica dell’articolo 16 della citata legge n. 121 del 1981, con rigetto di qualsivoglia, pretestuosa riduzione di investitura; • mediante una azione forte nei confronti dei mezzi di informazione per agevolarne l’aggiornamento giuridico e di merito sulla autentica consistenza e sulle corrette denominazioni della Polizia Penitenziaria, anche impiegando fondi di bilancio per la diffusione dell’immagine; • mediante l’inflessibile pretesa del rispetto altrui, qualora l’intensità di


il punto sul corpo

esso, per scelta o per circostanza, corresse il rischio dell’affievolimento; • mediante il riconoscimento alla Polizia Penitenziaria del potere di coordinare, di iniziativa, altri organismi, se necessario per competenza o per ragioni contingenti; • mediante una struttura interna che qualifichi e, poi, consolidi, al confronto, l’Organismo. Un’interpretazione in positivo della legge di riforma del 1990, consentirebbe senza oneri accessori già la formalizzazione circa il completamento del vertice piramidale del Corpo. La legge 395/1990, all’Articolo 2 recita: 1. Il Corpo degli agenti di custodia è disciolto ed il ruolo delle vigilatrici penitenziarie è soppresso. 2. Il personale del disciolto Corpo degli agenti di custodia e quello del soppresso ruolo delle vigilatrici penitenziarie entrano a far parte del Corpo di polizia Penitenziaria, secondo le modalità e in base alle norme di inquadramento indicate nella presente legge. Ora, una attenta lettura del comma 2, non dovrebbe ingenerare dubbio alcuno che tutto il personale del Corpo degli Agenti di Custodia entri a far parte della Polizia Penitenziaria, quindi non esclude aprioristicamente l’ingresso della categoria degli Ufficiali. Il medesimo comma due, indica poi, che tutto quel personale andava inquadrato in base alle norme di inquadramento indicate nella legge. Partendo da tale assunto, fermo restando che l’articolo 25 colloca il personale degli Ufficiali in un ruolo ad esaurimento, una attenta ed onesta e sottolineo “onesta”, esegesi del

disposto normativo, non dovrebbe rendere difficile comprendere che quel ruolo è un ruolo ad esaurimento della Polizia Penitenziaria. Automaticamente, era obbligatorio istituire da subito un Ruolo Ordinario, Direttivo e Dirigenziale, assunto normativo concretizzato solo nel 2000. E’ palese che, oltre alla cecità dolosa dell’epoca, si è operato con frode anche in seguito, non prevedendo alcun posto di Dirigenza Generale, nonostante un organico di oltre 40.000 unità. 2. Organizzazione Decentramento Un cenno introduttivo è dovuto sul decentramento, inteso quale trasferimento di attribuzioni ad organi periferici ritenuti perfettamente idonei a gestire la materia in sostituzione del centro. Trattasi di questione sovente dibattuta che sembra non trovare soverchi spazi nel presente contesto, probabilmente perché non ve ne sono. La elevazione dei Provveditorati a sedi di Dirigenza Generale, ho prodotto esclusivamente l’ascesa al potere e alla elevata retribuzione di figure di vertice territoriale, nulla ha in effetti prodotto sulla gestione, a tal proposito è eloquente il fatto che il Dipartimento, non abbia dato una univoca linea di indirizzo sull’Organizzazione degli Uffici per la Sicurezza delle Traduzioni, (UST), se non in tempi recentissimi, la denominazione univoca, ad esempio è arrivata con grande ritardo rispetto alla creazione dei Provveditorati, ciò ha prodotto all’inizio eterogenee denominazioni, addirittura in alcuni casi il Provveditore nella sua veste di deus ex machina territoriale, aveva declassato tali Uffici ad “Area”, in pratica la Sezione di un Ufficio, mantenendo, nonostante l’elevazione dei Provveditorati a sede di Dirigenza Generale, la denominazione originaria istituita dalla legge 395./1990. Altro caso eloquente, è il Regolamento Interno degli Istituti, il quale, attualmente va poco oltre lo

sviluppo dell’aspetto trattamentale, quando, le norme in vigore, indicano chiaramente anche l’organizzazione della sicurezza, la quale a priori, è rimessa alle decisioni del locale Direttore, in virtù di una normativa obsoleta, inopportuna e, non al passo con i tempi, mentre tale organizzazione, emanate stabili direttive Dipartimentali dovrebbe essere univoca e di esclusiva competenza della Polizia Penitenziaria, se la lingua Italiana conserva ancora il suo senso e la propria valenza. Infatti, il sostantivo femminile Polizia, indica: “Opera, svolta da Corpi militari e civili dello Stato o Corpi di Polizia locali, volta a prevenire e a reprimere attività illegali”. In tale locuzione, è ovvio che rientri inevitabilmente la competenza della Polizia Penitenziaria quale appartenente alle Forze di Polizia. E, chi, meglio della Polizia Penitenziaria, deve e può, garantire e mantenere la “Sicurezza” dell’Istituto, e/o di tutti i servizi dell’Amministrazione. Se vogliamo mantenerci in un profilo basso, ci accontentiamo di circoscrivere tale iniziativa nell’esclusivo ambito dell’Amministrazione Penitenziaria se, invece, secondo il mio modesto avviso, s’intendesse dare pari valenza all’Organismo, la Polizia Penitenziaria dovrebbe avere competenza in tal senso su tutte le strutture del Ministero della Giustizia. A chiarimento, il sostantivo femminile Sicurezza, indica: Prevenzione o eliminazione totale dei rischi e tutela dell’ordine pubblico e dei diritti dei cittadini, attività svolta appunto dalle Forze di Polizia dello Stato. Ora, appare ovvio, che non può, in alcun caso essere responsabile della Sicurezza, anche se circoscritta all’interno di un Istituto di Pena, un soggetto giuridico privo di quell’irrinunciabile caratteristica che è esclusiva proprietà degli appartenenti alle Forze dell’Ordine, in altre parole le qualifiche di Ufficiale e Sostituto Ufficiale di P.S. o, in sub-ordine quella di Agente di Pubblica Sicurezza. continua...

29 Nella foto l’Agente di Custodia Virgilio Di Iorio nella Cassa Circondariale di Bassano del Grappa -1980

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013


30 a cura di Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it

Polizia Penitenziaria n.206 maggio 2013

come scrivevamo enti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Cosa Scrivevamo - che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

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Sopra la copertina e la vignetta del numero di aprile 1998

Storica intesa sindacale tra tutte le categorie del personale penitenziario di Donato Capece e Giovanni Battista de Blasis

Quando di necessità si fa virtù"; Ovvero quando un episodio negativo consente un’impresa storica tra tutto il personale penitenziario. E' il caso dell'abrogazione dell'art.40 della Legge 395/90. Questa iniziativa parlamentare messa in atto con la Legge Finanziaria 1997 ha fatto si che le 00.SS. dei Direttori, dei Ragionieri, degli Educatori, dei Medici penitenziari e di tutto il restante personale si unissero alla Polizia Penitenziaria siglando un protocollo d'intesa concretizzato nel seguente documento consegnato al Ministro Flick in occasione di un incontro tenuto il 15 marzo 1998. La presente proposta di riordino dell'intero sistema penitenziario viene redatta al fine di perseguire, congiuntamente tra le varie forze sindacali, gli obiettivi comuni per una riqualificazione e professionalizzazione del personale penitenziario e per una riorganizzazione generale dell’Amministrazione Penitenziaria centrale e periferica, con la previsione di un unico modello contrattuale per il personale nell'ambito del Comparto Sicurezza. PREMESSO il pieno e incondizionato riconoscimento del carattere non afflittivo della pena e del principio del recupero sociale del reo attraverso il trattamento del detenuto sancito dalla Carta Costituzionale e dalle leggi penitenziarie, anche e soprattutto con la sostanziale partecipazione della Polizia Penitenziaria, le principali FINALITA' E SCOPI della presente bozza di programma sono quelle di: - garantire la sicurezza negli Istituti Penitenziari e nelle altre strutture dell'Amministrazione e il puntuale e

preciso rispetto delle leggi dello Stato al loro interno; - garantire il rispetto dei diritti degli operatori penitenziari attraverso il riconoscimento alla qualificazione professionale e della conseguente progressione in carriera; - garantire il rispetto delle norme per la sicurezza e l’igiene dei posti di lavoro, in ottemperanza al d. lgs. 626/1994, attivando gli interventi per migliorare la vivibilità e mettere in regola con la vigente normativa tutti gli lstituti e le altre strutture dell'Amministrazione Penitenziaria; - garantire l'osservanza del principio della differenziazione del regime penitenziario rispetto alla tipologia dei reati, alla pericolosità ed alle condizioni di salute del reo; - garantire l'omogeneizzazione di tutti gli addetti al sistema penitenziario all'interno di un unico ordinamento del personale; - garantire il rispetto della normativa vigente in materia di informazione preventiva alle OO.SS., soprattutto in riferimento di riforma dell'ordinamento del personale e di riorganizzazione dell'amministrazione penitenziaria. Per raggiungere i sopraddetti scopi e finalità appare soprattutto necessario un maggiore e più qualificato riconoscimento della specificità del personale dell'Amministrazione Penitenziaria nel suo complesso, come peraltro previsto anche dalla normativa internazionale e per detto riconoscimento la premessa indispensabile non può e non deve eludere le aspettative del personale stesso, che vanno nel senso di DECISI RIFIUTI ALLE lPOTESI: - di qualsiasi progetto che preveda l'eventuale modifica dello status giuridico di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria ed agenti di pubblica sicurezza del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, attraverso la regionalizzazione e/o privatizzazione del Corpo; - di progetti che prevedano la


regionalizzazione del servizio sociale, che deve restare prerogativa precipua dell'Amministrazione Penitenziaria: - di progetti che mirano ad accorpare le competenze della medicina penitenziaria al sistema sanitario nazionale, che per la loro specificità, legata soprattutto alla sicurezza e sorveglianza del reo, dovrebbero invece competere soltanto a un'organizzazione medico-penitenziaria dell'Amministrazione; - di privazione delle conquiste normative ottenute dai Direttori Penitenziari con l'art. 40 della legge di riforma n.395/1990; - di una inopinata e inopportuna declassificazione del Corpo di Polizia Penitenziaria a una polizia nello Stato di serie B; - di una contrattualizzazione tra Amministrazione e OO.SS. nell'ambito del comparto ministeri da cui deriverebbe, tra l’altro, la mobilità dall’esterno e l’accesso alla dirigenza dai ruoli esterni all'Amministrazione Penitenziaria. In seguito a quanto sopra esposto premettendo inderogabilmente l'assoluta necessità del rinnovo del contratto nazionale, scaduto il 31 dicembre scorso, e l'urgente emanazione del Regolamento di servizio del Corpo - le RICHIESTE E PROPOSTE che le Organizzazioni che congiuntamente redigono il presente documento formulano al Ministro Guardasigilli, che le renderà note al Governo ed all'Amministrazione, che le attuerà per quanto di sua competenza, si possono così riassumere: 1) - istituzione dei ruoli direttivi e dirigenziali del Corpo di Polizia Penitenziaria, revisione dei ruoli direttivi e dirigenziali dell'Amministrazione Penitenziaria, istituzione dei Ruoli Tecnici e istituzione del Ruolo Medico e Infermieristico del Corpo di Polizia Penitenziaria: immediata approvazione del ddl relativo all’istituzione del ruolo direttivo speciale del Corpo; 2) - prevedere e realizzare una migliore e più efficace organizzazione del servizio Traduzioni e Piantonamenti, attraverso il potenziamento di uomini, mezzi e strutture logistiche per un ottimale servizio dei Nuclei T. P.; 3) - assoluta necessità di una riserva di legge per l'organizzazione di tutto il personale dell'Amministrazione Penitenziaria; 4) - razionalizzazione e riorganizzazione del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria in cui sia previsto un unico modello contrattuale per tutto il personale dipendente nell'ambito delle contrattazioni che competono al comparto sicurezza, con l'inserimento di tutto il personale della Amministrazione Penitenziaria nella riserva di legge prevista dall'art. 2, com. 4, del d.lgs. 29/1993;

come scrivevamo 5) -proseguimento in carriera per tutto il personale dell'Amministrazione Penitenziaria, anche con procedure accelerate e compensative per il pregresso, sul modello di altre Amministrazioni dello Stato (v. ministero delle Finanze); 6) - inquadramento - o abolizione del ruolo - dei Collaboratori d'lstituto nella qualifica di Direttore Penitenziario; 7) - rafforzamento ed estensione del decentramento verso gli lstituti, i Centri di Servizio Sociale e le altre strutture dell’Amministrazione Penitenziaria; 8) -ampliamento dei posti dirigenziali, quanto meno a tutti gli lstituti e strutture dell'Amministrazione, così come avviene per altre Pubbliche Amministrazioni dello Staro (v. Comparto Scuola - Ministero della Pubblica Istruzione); 9) - assegnazione ai vertici nel Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, fino al massimo livello di Direttore Generale, di dirigenti generali provenienti dai ruoli interni all’Amministrazione Penitenziaria; 10) - adeguamento degli stanziamenti governativi sui capitoli di spesa del Ministero di Grazia e Giustizia relativi al trattamento economico di missione, al servizio straordinario, di vestiario ed equipaggiamento ed ai corsi di Formazione ed Aggiornamento del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria e di tutto il personale dell’Amministrazione Penitenziaria; 11) - riorganizzazione delle Scuole di Formazione ed Aggiornamento professionale del Corpo di Polizia Penitenziaria e del personale dell’Amministrazione, con l'individuazione di una Direzione stabile e competente e di un corpo docente omogeneo ed altamente qualificato rispetto ai principi ispiratori dell'Ordinamento Penitenziario e delle riforme; 12) - reinserimento del Corpo di Polizia Penitenziaria negli stanziamenti previsti dal "fondo di potenziamento delle Forze di Polizia dello Stato”; 13) - eliminazione di tutte le code contrattuali del DPR 395/1995, con l'immediata attivazione di tutti i corsi di specializzazione previsti per il personale del Corpo e con l’immediata istituzione di tutte le Commissioni paritetiche centrali e periferiche. In base a tale ipotesi di programma le Organizzazioni Sindacali tutto il personale si aspettano un preciso impegno del

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Ministro Guardasigilli e del Governo nell'utilizzare gli strumenti normativi più rapidi ed efficaci per la realizzazione di quanto proposto e, nel frattempo, invitano lo stesso Ministro e il Governo a bloccare tutti i progetti peggiorativi della situazione attuale rispetto a quanto formulato e previsto nel presente documento, congelando immediatamente gli effetti dell’art. 41, 4°, 5° e 6° comma della legge 449/1997 (collegato alla Finanziaria). A tal riguardo è doveroso evidenziare come le OO.SS. firmatarie del presente protocollo d'intesa raggruppano e rappresentano la maggioranza assoluta del personale penitenziario, sia complessiva che per singola categoria, e PREANNUNCIANO in mancanza di precisi ed adeguati riscontri da parte del Ministro Guardasigilli e del Governo, il ricorso a tutte le FORME Dl PROTESTA consentite, nelle sedi istituzionali, parlamentari e dei mass-media. nonché il ricorso a uno SCIOPERO NAZIONALE di tutte le categorie civili dell'Amministrazione Penitenziaria, congiuntamente a una manifestazione nazionale di protesta della Polizia Penitenziaria, a data da stabilirsi.

Il documento, sottoscritto dal Sappe, dal Sinappe, dal Sag-Unsa, dal Sialpe-Ugl, dall'Amapi e dal Sidipe-Dirstat-Confedir ha una portata storica per l'Amministrazione Penitenziaria non solo perchè raccoglie un cartello che rappresenta la stragrande maggioranza del personale penitenziario, ma soprattutto perchè mette d'accordo per la prima volta nella storia, tutte le categorie del personale su un unico progetto. La volontà generalizzata del personale, espressa a chiare note al Ministro Guardasigilli, avrà sicuramente l'effetto di vanificare la demagogica disinformazione dei Sindacati Confederali finalmente emarginati nella loro azione politica slegata dalle effettive aspirazioni della base. Lo sciopero, diventato ormai una tigre di carta nelle mani di Cgil, Cisl e Uil che continuano a minacciarlo senza alcuna reale intenzione di metterlo in atto, riassume, finalmente, grazie al neonato cartello sindacale, la sua funzione di strumento di lotta in mano al personale penitenziario. Agli altri rimarrà solamente il solito chiacchiericcio ed un pugno di mosche che ben presto voleranno via dalle mani. H

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32 a cura di Erremme rivista@sappe.it

le recensioni Mario Giordano

TUTTI A CASA ! MONDADORI Edizioni pagg. 176 - euro 17,00

S

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e avete comprato una casa pagandola fino all’ultimo centesimo, siete fessi. E se avete investito nelle quattro mura i risparmi di una vita, siete fessi al quadrato. Perché gli altri che fessi non sono, cioè i furbi, quelli che contano, che sanno muoversi, che hanno un papà importante o un marito ministro, quelli che conoscono o sono conosciuti, quelli che gestiscono il potere o perlomeno lo frequentano, la casa l’hanno avuta in ben altro modo. E, sicuramente, facendo meno sacrifici di voi. Il presidente del Senato e quello della Corte dei conti, lo sceriffo di Equitalia e il grande sindacalista, l’ex presidente della Consob e quello della Lega Calcio, il medico del Papa e il magnifico rettore, l’ex ministro dell’Economia e il capo dell’Inps, gli alti burocrati e i grand commis di Stato, il rampollo del senatore e la figlia del deputato, le star del cinema e quelle della musica: ecco alcune delle tante persone citate in questo libro. Sono diverse per età, formazione culturale, ruolo e partito politico, ma hanno tutte una passione in comune: quella per il mattone. Comprano molto e, soprattutto, comprano con lo sconto, spesso da un ente pubblico previdenziale: 30, 40, fino al 70-80 per cento in meno del valore di mercato.

Risultato: quello che è accaduto negli ultimi vent’anni in Italia è un vero e proprio saccheggio del nostro patrimonio immobiliare, avvenuto quasi sempre nel rispetto della legge, ma con meccanismi incredibilmente perversi che questa sconvolgente inchiesta vi svelerà. Per esempio, com’è possibile comprare una casa dal Comune di Roma pagandola 26.000 euro, cioè meno di un camper? Perché esistono interi palazzi di Roma che, appartamento dopo appartamento, vengono comprati e rivenduti lo stesso giorno? Dall’appartamento «a sua insaputa» di Scajola ai villoni di Lusi e Fiorito, negli ultimi tempi i potenti hanno dimostrato un debole per il settore immobiliare. Ma non avremmo mai immaginato fino a che punto. E siamo sicuri che anche voi rimarrete stupiti se avrete la forza di arrivare all’ultima pagina di questo primo rapporto completo sulla gigantesca depredazione immobiliare del nostro Paese: una denuncia forte e chiara, scritta con un linguaggio incisivo e brillante, che non si ferma di fronte a nessuna porta e a nessun portone, fa nomi e cognomi, elenca cifre e dati precisi, tirando fuori casi assolutamente inediti e documenti esclusivi. Un libro che mette a nudo tutta la verità sulle case, senza diventare mai un mattone. E che dimostra che non è vero che i politici non risolvono mai nessun problema: quello della casa l’hanno risolto benissimo. Solo della loro, però.

passeggero. Diviene un’ossessione che li divora e li inghiotte. Queste persone spariscono nel buio. Nessuno sa perché. Nessuno sa che fine fanno. E quasi tutti presto se ne dimenticano. Mila Vasquez invece è circondata dai loro sguardi. Ogni volta che mette piede nell’ufficio persone scomparse – il Limbo – centinaia di occhi la fissano dalle pareti della stanza dei passi perduti, ricoperte di fotografie. Per lei, è impossibile dimenticare chi è svanito nel nulla. Anche perché la poliziotta ha i segni del buio sulla pelle, come fiori rossi che hanno radici nella sua anima. Forse per questo Mila è la migliore in ciò che fa: dare la caccia a quelli che il mondo ha dimenticato. Ma se d’improvviso alcuni scomparsi tornassero con intenzioni oscure? Come una risacca, il buio restituisce prima gli oggetti di un’esistenza passata. E poi le persone. Sembrano identici a prima, questi scomparsi, ma il male li ha cambiati. Alla domanda su chi li ha presi, se ne aggiungono altre. Dove sono stati tutto questo tempo? E perché sono tornati? Mila capisce che per fermare l’armata delle ombre non servono gli indizi, non bastano le indagini. Deve dare all’oscurità una forma, deve attribuirle un senso, deve formulare un’ipotesi convincente, solida, razionale... Un’ipotesi del male. Ma per verificarla non c’è che una soluzione: consegnarsi al buio.

Donato Carrisi

Luca Bianchini

L’IPOTESI DEL MALE

IO CHE AMO SOLO TE

LONGANESI Edizioni pagg. 432 - euro 18,60

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C’

è una sensazione che tutti, prima o poi, abbiamo provato nella vita: il desiderio di sparire. Di fuggire da tutto. Di lasciarci ogni cosa alle spalle. Ma per alcuni non è solo un pensiero

N

inella ha cinquant’anni e un grande amore, don Mimì, con cui non si è potuta sposare. Ma il destino le fa un regalo inaspettato: sua figlia si fidanza proprio con il figlio dell’uomo che ha sempre sognato, e i due ragazzi


le recensioni decidono di convolare a nozze. Il matrimonio di Chiara e Damiano si trasforma così in un vero e proprio evento per Polignano a Mare, paese bianco e arroccato in uno degli angoli più magici della Puglia. Gli occhi dei 287 invitati non saranno però puntati sugli sposi, ma sui loro genitori. Ninella è la sarta più bella del paese, e da quando è rimasta vedova sta sempre in casa a cucire, cucinare e guardare il mare. In realtà è un vulcano solo temporaneamente spento. Don Mimì, dietro i baffi e i silenzi, nasconde l’inquieto desiderio di riavere quella donna solo per sé. A sorvegliare la situazione c’è sua moglie, la futura suocera di Chiara, che a Polignano chiamano la “First Lady”. È lei a controllare e a gestire una festa di matrimonio preparata da mesi e che tutti vogliono indimenticabile: dal bouquet “semicascante” della sposa al gran buffet di antipasti, dall’assegnazione dei posti alle bomboniere - passando per l’Ave Maria -, nulla è lasciato al caso. Ma è un attimo e la situazione può precipitare nel caos, grazie a un susseguirsi di colpi di scena e a una serie di personaggi esilaranti: una diciassettenne che deve perdere cinque chili e la verginità; un testimone gay che si presenta con una finta fidanzata; una zia che da quando si è trasferita in Veneto dice “voi meridionali” e un truccatore che obbliga la sposa a non commuoversi per non rovinare il make-up.

Ferdinand Von Schirach

I COLPEVOLI LONGANESI Edizioni pagg. 182 - euro 14,90

Q

ual è la giusta pena per chi elimina accidentalmente un serial killer? E l’imputazione corretta per una moglie che uccide un marito spietato e violento? Dove sono i limiti del diritto alla

difesa se la linea del silenzio può lasciare impuniti gli autori di uno stupro di gruppo? Sono questi alcuni degli interrogativi intorno ai quali ruotano i nuovi racconti di Ferdinand von Schirach, avvocato penalista che da anni si trova al centro di clamorosi casi giudiziari o di strabilianti vicende custodite finora dal segreto professionale. Forte di una scrittura asciutta e laconica, ma non per questo priva di una forte empatia verso molti dei protagonisti delle sue storie, Von Schirach ci conduce in un labirinto di violenze e inganni dove la verità mostra sempre più di una faccia, se non un volto dai tratti ambigui e sfuggenti. Crimini efferati che per un bizzarro gioco della sorte trovano compensazione al di fuori dei tribunali e del dibattito pubblico. Innocenti perseguitati da una giustizia assurda, che solo al termine del proprio cammino riesce a emendare errori dagli effetti devastanti. E talvolta, no - nostante i molti sforzi compiuti, l’inevitabile resa di fronte all’imperfezione dell’esperimento umano che sfugge alle briglie della razionalità.

Michele Ainis

ROMANZO NAZIONALE L’Italia e gli inganni della politica DALAI Edizioni pagg. 319 - euro 14,90

L

e elezioni del 2013 verranno ricordate come le più dirompenti della nostra storia repubblicana. Un movimento che non è un partito è diventato l’ago della bilancia di ogni politica futura. Grazie alla sua pressione l’età media dei parlamentari si è molto abbassata. C’è adesso un Parlamento con più donne e meno cariatidi dei vecchi partiti. Tante istanze della piazza sui costi e sulle regole della politica sono ormai

parole d’ordine in tutti gli schieramenti. S iamo alla vigilia di una grande svolta storica, che ci regalerà un Paese più giusto e più efficiente? Calma e gesso: per non credere alle sirene di populismi vecchi e nuovi, per capire che tipo di democrazia vogliamo, dobbiamo domandarci perché l’Italia sia perennemente un’incompiuta. E la risposta ospita un elenco di promesse tradite, di attese deluse, di riforme sbagliate. È la storia che racconta questo libro, per mettere a nudo gli inganni di ieri e di oggi della politica nazionale. Dal federalismo alla semplificazione normativa, dal fisco alle troppe Autorità che litigano sulle rispettive competenze, dalla giustizia alla legge elettorale, per non parlare poi delle province, della riduzione dei parlamentari, dei temi etici (come il testamento biologico), della lotta alle lobby. Il vero cancro della società italiana, dove armeggiano corporazioni e camarille, che fanno velo al merito e ci impediscono di sentirci un popolo coeso. Eccoli dunque i nostri mali atavici, ecco il nostro «romanzo nazionale». Riusciremo a cambiare la politica? Michele Ainis non ci dà risposte consolatorie e oracolari. Piuttosto ci ricorda che ogni identità si forma grazie a ciò che si respinge. Come nel celebre verso di Montale: «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». H

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il mondo dell’appuntato Caputo Speakers’ Corner di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2013

... ... E IL 7 MARZO DEL 1993, VERSO MEZZANOTTE ... ... ... CI CONVIENE TORNARE LA PROSSIMA SETTIMANA ...

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