crimini e criminali Il De Cristofaro è un tipo strano, vive di espedienti ed ha una vera passione per le barche a vela; inoltre fa credere, agli altri conoscenti di Annarita, di essere una specie di Rambo, uno che non si ferma davanti ad alcun’ostacolo: «viveri per il viaggio? No non servono. Si può vivere pescando, io sono capace di catturare anche tonni», faceva addirittura sfoggio di una cannuccia capace, a suo dire, di rendere potabile anche l’acqua putrida, diceva: «la usano i marines americani». Il 10 giugno del 1988, è un venerdì, alle 10,30 circa, il catamarano salpa dal porto di Pesaro alla volta delle isole Canarie. Il 28 giugno seguente, su un basso fondale dell’Adriatico, a sette miglia al largo di Marzocca di Senigallia (Ancona), un peschereccio che pesca a strascico recupera un cadavere, zavorrato con un’ancora di 35 chili, con il volto deturpato dalla lunga permanenza in acqua: è Annarita Curina.
ribattezzata nel frattempo Fly2, venne ritrovata nel porto tunisino di Ghar el Melh. Due giorni dopo la polizia tunisina arresta Filippo De Cristofaro e Diana Beyer, mentre tentavano, come riportato da qualche giornale dell’epoca, di scappare in sella ad un cammello nel deserto, nonché un altro uomo olandese, Pieter Groenendijk, 27 anni, imbarcato successivamente alla morte della ragazza e che risulterà, estraneo al delitto. Sulle prime, Filippo piangendo dichiara all’autorità tunisine: «sono stato io ad uccidere Annarita». Poi la ragazza prese su di se ogni responsabilità: «Annarita l’ho uccisa io, mentre il mio uomo dormiva». Lui conferma la versione aggiungendo che si è trattato solo di una storia di gelosia tra le due donne. Poi entrambi crollano e confessano: ad uccidere Annarita Curina è stato Filippo De Cristofaro, con la complicità dell’olandesina. E’ stata lei a ferire la donna ad un fianco con un coltello, mentre la stessa
Nel corso del processo Diana fu condannata a sei anni e sei mesi di carcere minorile per concorso in omicidio, ma in cella scontò solo 15 mesi: ottenne la libertà condizionale e quindi l’assegnazione ad una comunità di fratellanza nei pressi di Grosseto. In primo grado a De Cristofaro fu inflitta una condanna a 38 anni e rinchiuso nel carcere di Ancona Montacuto, dove nel luglio del 1990 progettò addirittura un evasione plateale: doveva aggrapparsi ad una fune calata da un elicottero che in un pomeriggio di fine giugno avrebbe dovuto volteggiare sul campo sportivo del carcere. Il tentativo fu scoperto dal personale di Polizia e dall’allora direttore Felice Bocchino e il «Rambo dei mari» trasferito nel carcere di Cuneo. Il 30 gennaio del 1991, la Corte di Assise di Ancona, nel processo di appello, trasformò la pena in ergastolo; pena confermata anche dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione, il 5 giugno 1991.
L’autopsia successivamente svelerà che la donna è stata colpita da diversi colpi di arma da taglio e uccisa con quattro colpi di machete alla testa. Del catamarano, invece, non c’è traccia, sembra svanito nel nulla. L’Italia seguì con il fiato sospeso la vicenda dell’omicidio della ragazza e della scomparsa del natante che diventò il giallo dell’estate. Sino al 19 luglio, quando la barca,
stava riposando sottocoperta. Ma è stato lui a finirla con un machete che si trovava a bordo. Entrambi hanno poi gettato il corpo in mare, dopo averlo zavorrato perché non venisse mai più trovato. Movente del delitto? Quanto mai futile: rubare ad Annarita il catamarano e raggiungere la Polinesia con la sua giovane compagna.
Dirà il suo legale, l’avv. Tomassini, al termine della propria arringa difensiva: «Come può essere, mi è stato chiesto, come può essere un assassino uno con quella faccia d’angelo, che a Tunisi si è fatto arrestare mentre stava curando un cane? ». Di Filippo De Cristofaro, si tornerà a parlare già nel 2007 quando l’uomo, approfittando di un permesso premio,
23 Nelle foto sotto a sinistra la pagina del il Resto del Carlino con la notizia del ritrovamento del catamarano a destra Diana Beyer
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Polizia Penitenziaria n.217 maggio 2014