mafie e dintorni esponenti delle consorterie mafiose della zona per raggiungere un accordo per limitare i sequestri di persona, gli omicidi, gli attentati dinamitardi, in modo tale che lo stato allentasse la presenza delle Forze dell’Ordine nel territorio aspromontano. Nel solo 1975 la città di Reggio Calabria contò più di 93 morti con un aumento a 101 nell’anno successivo. La morte di Giorgio De Stefano fu messa a tacere per volontà della stessa famiglia fino alla metà degli anni ottanta quando all’interno dell’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria fu ucciso don Ciccio Serraino conosciuto come “boss della montagna” alleato con la famiglia dei Piromalli e dei Mammoliti. Se la prima guerra di mafia fu uno scontro tra famiglie del Reggino la seconda, che scoppiò nell’ottobre del 1985 con l’autobomba fatta esplodere a Villa San Giovanni destinata ad eliminare Antonino Imerti ex braccio destro di Paolo De Stefano,fu un eccidio. Si contarono più di settecento morti. Fallito l’attentato, Imerti reagì e due giorni dopo fece uccidere il boss di Archi. Con la morte di De Stefano nella ‘ndrangata reggina si creò un grossa frattura con la relativa divisione delle famiglie: con i De Stefano rimasero i Libri, i Tegano, i Latella, i Barreca, i Paviglianiti, e gli Zito. Con la famiglia Imerti rimasero i Condello, i Saraceno, i Fontana, i Serraino, i Rosmini e i Lo Giudice. In quegli anni di piombo lo Stato, che aveva sottovalutato la ‘ndrangata non potè fare altro che contare i morti per le vie di Reggio Calabria dove il profumo di zagara e di bergamotto veniva offuscato dalla puzza della polvere da sparo. Le vittime di eccellenza di quegli anni furono l’Onorevole Ludovico Ligato ex presidente delle Ferrovie dello Stato ucciso presso la sua villa di Bocale (RC) il 27 agosto 1989. Le lancette dell’orologio hanno da poco superato l’una di notte, quando tre persone si avvicinano ridendo amabilmente al cancello d’uscita di una villetta estiva a Bocale, zona balneare a sud di Reggio Calabria.
15 Nelle foto Lodovico Ligato e Antonio Scopelliti
Uno dei tre è Lodovico Ligato che in quel periodo è sicuramente il politico reggino più noto. Da buon padrone di casa, Ligato accompagna due amici, ospiti a cena in quella sera di fine estate. Come spesso accade, i metri che separano dall’uscita sono l’occasione per le ultime chiacchiere e degli ultimi sorrisi. Dopo i saluti, però, i due ospiti non fanno neanche in tempo a scomparire nel buio nella notte che dalla stessa oscurità fuoriescono le sagome di due uomini. Due uomini armati. Ligato è un facile bersaglio e viene investito da una raffica di colpi, da cui cerca invano di salvarsi, ritornando verso casa. La sua corsa si ferma sul pianerottolo dove si accascia privo di vita, in un lago di sangue. Così viene trucidato, sull’ingresso della propria residenza estiva, il politico più in vista della città, con un passato da Presidente delle Ferrovie dello Stato e da deputato della Democrazia Cristiana. Al termine dei rilievi, saranno trentacinque i proiettili, provenienti da tre diverse armi, che gli investigatori, accorsi in massa nei minuti successivi al delitto, riusciranno a repertare. Ben ventisei colpi raggiungeranno la vittima. Una pioggia di piombo per eliminare Ligato: “Un impressionante volume di fuoco impiegato, assolutamente spropositato per l’omicidio di una sola persona, ad eloquente riprova della perentoria spietatezza dell’esecuzione” scriveranno i giudici. E l’integerrimo magistrato che in
cassazione avrebbe dovuto rappresentare l’accusa al maxi processo istruito dal Pool antimafia di Palermo contro le famiglie di Cosa Nostra il Dott. Antonio Scopelliti sostituto procuratore presso la Procura Generale della Corte di Cassazione.
Lo stesso fu ucciso il 9 agosto 1991 questo omicidio è stato un collante tra la ‘ndrangata calabrese e la mafia siciliane tant’è che quest’ultima dopo la strage di Capaci e l’omicidio del giudice Scopelliti cercò di convincere la ‘ndrangata calabrese a seguirla nello scontro frontale con lo Stato. Tale invito però fu respinto dalla ‘ndrangata nel 1992. Subito dopo le morti eccellenti e senza vinti né vincitori, con una volontà unanime, si strinse in un patto di non belligeranza mettendo così da parte le armi e dedicandosi ai grandi traffici di droga dividendo i guadagni. La ‘ndrangata scelse così di agire di nuovo sotto traccia, imboccando la via che illo tempore le aveva permesso di esercitare un pesante controllo del territorio senza che il suo potere fosse a tutti evidente. H continua...
Nella foto sopra La scena dell’attentato di Capaci
Polizia Penitenziaria n.209 settembre 2013