Polizia Penitenziaria - Settembre 2012 - n. 198

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

La mala del Brenta

V

Nelle foto sopra il cartello di ingresso di Campolongo Maggiore in alto a destra l’ingresso dellHotel De Bains di Venezia sotto a destra Gilberto Sorgato

isitando più volte, negli ultimi mesi, alcune regioni del nord-est dell’Italia, mi sono domandato come abbia potuto proliferare un’organizzazione criminale in queste terre che, a differenza delle regioni del sud, non hanno avuto tradizioni di organizzazione malavitose a carattere mafioso per il controllo del territorio. La storia delle mafie in Italia: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, anche se quest’ultima non è considerata da taluni magistrati una mafia in senso proprio, è sempre stata caratterizzata dalla radicalizzazione sul territorio e dal forte vincolo familiare. L’associazione a delinquere di matrice mafiosa, che prese vita sul finire degli anni sessanta in Veneto e in seguito sviluppatasi in tutto il nord-est, nacque dal nulla per opera di un piccolo ladruncolo di animali e formaggi, Felice Maniero, originario di Campolongo Maggiore un paesino in provincia di Venezia. A dare impulso alla nascita dell’associazione a delinquere, considerata da alcuni giornalisti la quinta mafia, contribuì anche la presenza di esponenti della mafia siciliana costretti, dalle leggi del tempo, al soggiorno obbligato nelle regioni del nord-est. Tra gli esponenti di spicco presenti nelle province di Venezia e Padova, vi erano Totuccio Contorno, Antonio Fidanzati, Antonino Duca e Rosario Lo Nardo che sul finire degli anni settanta e l’inizio degli ottanta, predisposero le basi per la nascita di un gruppo paramafioso che potesse fare da ponte tra il Nord e il Sud dell’Italia. All’ombra di questi personaggi crebbero e trovarono maturazione le giovani leve locali di una criminalità dai contorni ancora rurali, che tentava generalmente di mutuarne le gesta, le caratteristiche e le imprese.

In quegli anni il Veneto stava iniziando a trasformare i suoi paesaggi rurali in piccole fabbriche e la povertà che attanagliava la gente della pianura padana stava, seppur lentamente, scomparendo. Il boom economico stava arrivando e di conseguenza le aspettative di chi la legge la calpesta per tradizione. Fu proprio lo sviluppo economico di queste aree che trasformò dei piccoli malavitosi locali da ladri di bestie e salami in un’associazione a delinquere vera e proprio, come fu definita dalla Prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Venezia nella Sentenza emessa il 14 dicembre 1996: «Conclusivamente, può dunque riconoscersi l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro il patrimonio, contro l’incolumità e la libertà individuale, contro le leggi sugli stupefacenti ed all’acquisizione diretta ed indiretta del controllo di attività economiche, sia lecite che illecite. La stessa risulta aver agito avvalendosi della forza intimidatrice promanante dal vicolo associativo e dello stato di assoggettamento e di omertà che ne è derivato per la popolazione del territorio, ove essa ha esercitato il proprio controllo. Appartenenti a tale organizzazione, operante dunque con modalità e protocolli operativi di tipo mafioso, sono risultati soggetti del gruppo cosiddetto della Mafia del Piovese o Mala del Brenta, molti dei quali deceduti per morte violenta conseguente a vicende, interne o esterne, comunque riconducibili alle attività svolte dai medesimi in tale contesto delinquenziale». L’ideatore e capo indiscusso di quest’organizzazione criminale soprannominata Mala del Brenta o Mafia del Piovese, è Felice Maniero, detto Faccia d’angelo o il Giuliano della Valpadana il quale, con Gilberto Sorgato, detto Ca-

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ruso, Ottavio Andrioli, Sandro Radetich, detto il Guapo, Gianni Barizza, Zeno Bertin, detto Richitina, Stefano Carraro, detto Sauna, Antonio Pandolfo, detto Marietto, e Fausto Donà, diede vita, verso la fine degli anni settanta, al sodalizio criminale più spietato, violento e temuto del Veneto, Emilia Romagna e Friuli-Venezia Giulia, trasformando la gang da ladri di polli in banda organizzata. La banda si concentra nelle rapine ai danni di laboratori orafi, istituti di credito e uffici postali, nei sequestri di persona, nel controllo delle bische clandestine e dei cambisti dei Casinò di Venezia, e nel traffico di sostanze stupefacenti. La vera specialità del gruppo è però le rapine. Famosa fu quella all’Hotel De Bains. L’albergo, situato al Lido di Venezia, è frequentato generalmente da miliardari e dai grandi giocatori del Casinò del Lido. Le sue cassette di sicurezza contengono grandi fortune. Alle 3,30 dell’estate del 1982, sei uomini si affacciarono nella terrazza deserta dell’hotel, tutti armati e a viso coperto. L’ordine fu perentorio: aprire tutte le cassette di sicurezza ma senza spargere sangue. Il commando composto da Felice Maniero, Sandro Radetich, Massimo Rizzi, Stefano Carraro e altri due malavitosi immobilizzò il centralinista, il barista e il portiere. Mentre uno rimase a fare il palo, il portiere, con la canna della pistola sul collo condusse i rapinatori dentro il caveau. Pochi minuti e con un piede di porco furono aperte 53 cassette di sicurezza. Solo alcuni giorni dopo si riuscirà a sapere l’ammontare del bottino: 2 miliardi e 340 milioni, compreso un diamante da 35 carati e un anello

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