Polizia Penitenziaria - Ottobre 2011 - n. 188

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

fuga anonimi plausi, in iscrizioni apparse sui muri di Pesaro e Roma. Vengono coniati giochi di parole come Un mercoledì da Liboni, e colpiscono attestazioni di stima quali Luciano Liboni, il padre che non ho mai avuto. Nato nel 1957 a Montefalco, celebre per il vino Sagrantino e gli affreschi di Benozzo Gozzoli, vicino a Foligno. Primo di sette figli, cresciuto a fame e botte da un padre alcolizzato e una madre malata. Affetto da epilessia risultò violento fin da piccolo. A 14 anni, fu espulso per un furto dall’Istituto di Beneficenza di Sant’Angelo in Pontano (Macerata), giurando ad un amico che avrebbe ammazzato il direttore. A 15 anni fu spedito in riformatorio: nell’Istituto di Rieducazione maschile di Urbino. A 17 anni, con una banda di amici, ruba una macchina, picchia un vigile e finisce al carcere minorile di Firenze. A 19 anni rapina, armato di un rasoio, un automobilista e si fa consegnare la macchina. Tra i suoi compagni d’avventura ci sono i fratelli Michelangelo e Ivo Fiorani, che emigreranno a Roma e si arruoleranno nella banda della Magliana, micidiale sodalizio criminale. Liboni non è uomo da banda. E resta ben attaccato alla sua terra il Lupo - così chiamato per il carattere scostante e asociale - si specializza in furti di opere d’arte: nel 1990 è sospettato di averne trafugate in Umbria, Toscana e Lazio, non disprezzando però le rapine alle poste. Per sfuggire all’arresto ripara spesso e a lungo in luoghi selvatici che impara a conoscere a palmo a palmo, vivendo di quel che trova: ciò gli merita, oltre all’appellativo di Lupo anche quello Cinghiale. La carriera delinquenziale del Liboni balza alle cronache dell’opinione pubblica italiana già nel 2002, quando spara, ferendolo gravemente, a un benzinaio di Todi di 38 anni, Fausto Gentili.

Il benzinaio aveva notato un uomo a bordo di una Polo bianca, rubata qualche giorno prima a una sua amica. Alla guida della sua autovettura, con a bordo la moglie e la figlia, si mise ad inseguire la Polo. Quando le due auto si trovarono una a fianco all’altra, Liboni sparò un colpo di pistola della sua “Renato Gamba calibro 38 special, copia della più celebre Magnum, sfiorando la donna e il bambino e colpendo alla testa Gentili, che ciò nonostante si salvò. Dopodiché fuggi. Nel marzo dello stesso anno, a distanza di un mese dal tentato omicidio del benzinaio, a Civitavecchia, non fermandosi all’intimazione dell’alt ad un posto di controllo della Guardia di Finanza, comincia a sparare contro di loro, fuggendo sull’Aurelia. Il giorno seguente prende in ostaggio un uomo e lo costringe a portarlo in auto fino a Roma, per poi far perdere ancora una volta le sue tracce. È la fuga senza fine di un disperato. Poi del Lupo si perdono le tracce, finché non viene arrestato, nel dicembre del 2003, a Praga per possesso di documenti falsi. Rimane in carcere quattro mesi, ma quando l’Interpol avverte le autorità italiane dell’arresto, è già tornato in libertà in Italia, latitante s’intende! A luglio del 2004 tra Guidonia e Settecamini, Liboni, ancora una volta, spara due colpi contro un Carabiniere che gli stava chiedendo i documenti. Un proiettile colpisce il cofano dell’autovettura mentre un altro raggiunge di striscio il militare. Nel bagagliaio della moto abbandonata a Roma, qualche giorno dopo, a un passo dal Viminale, i carabinieri trovano traccia di due ricoveri di Liboni in un ospedale dello Sri Lanka, nel 2003. La diagnosi: malaria. La svolta finale della sua interminabile fuga avverrà, quindi, nel luglio 2004 quando, presentando con falsi documenti e con il nome di Franco Franchini, si presenta con una frattura del setto nasale e una vistosa ferita ad una mano all’Ospedale di San Piero in Bagno. Dopo una notte di degenza viene dimesso e fa tappa per Sant’Agata Feltria, sua zona d’origine. Qui si fermerà nel bar Cicconi, per una telefonata a una donna, ed è qui che la sua vita si intreccia con quella dell’Appuntato

Polizia Penitenziaria • SG&S

Alessandro Giorgioni, che, come detto, uccide a bruciapelo. Adesso Liboni sa che la sua fuga sta per finire. Ha ucciso un Carabiniere senza alcuna pietà, sa che nessuno avrà più pietà di lui. La caccia all’uomo è aperta, centinaia di agenti sono messi alle calcagna e vengono costituite appositamente delle squadre speciali. La mattina del 31 luglio nei pressi della Bocca della Verità a Roma, una donna si era insospettita per una persona che faceva pensare a Liboni. Avvertiti due vigili urbani, questi riconobbero il sospettato e senza farsi notare iniziarono a seguirlo, chiedendo, nel contempo, ausilio a due Carabinieri motociclisti. Avendo intuito di essere pedinato il Lupo tentò l’ennesima fuga, prendendo in ostaggio una turista francese e puntando la propria pistola alla tempia della donna. «Sono un morto che cammina» gridò prima di sparare alcuni colpi contro i Carabinieri, «voi morirete con me! Vi faccio un buco in testa! Vi faccio un buco in testa!». I Carabinieri rispondendo al fuoco lo ferirono al capo, nell’area del Circo Massimo (tra Via del Circo Massimo e Piazza di Porta Capena). Nonostante fosse ammanettato e ferito il Lupo tentò, ancora una volta, disperatamente di recuperare la pistola, dimenandosi e dando calci nell’aria. Trasportato in ambulanza all’ospedale San Giovanni, vi giungerà morto. «È tanto l’odio di Liboni nei confronti dei Carabinieri - affermò dopo la morte un generale dell’Arma - che anche quando è stato messo sulla lettiga in ambulanza ormai morente, ci dava calci ferocemente. Era tanta la sua ferocia che gli abbiamo dovuto legare i piedi per neutralizzarlo definitivamente». E’ la definitiva fine della fuga del Lupo. Alla prossima...

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Nella foto dell’altra pagina foto segnaletiche di Luciano Liboni sotto la locandia del film su Liboni e la scena (reale) dell’uccisione del killer


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