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PoliziaPenitenziaria Società Giustizia e Sicurezza anno XXIII • n.236 • febbraio 2016

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Pietro Buffa è il nuovo Direttore Generale del Personale e delle Risorse



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24 Polizia Penitenziaria

In copertina: Pietro Buffa il nuovo Capo del Personale del DAP

04 EDITORIALE Mancano più di settemila poliziotti penitenziari di Donato Capece

05 IL PULPITO Pietro Buffa è il nuovo Direttore Generale del Personale di Giovanni Battista de Blasis

06 IL COMMENTO A tutela delle vittime dei reati di Roberto Martinelli

09 DIRITTO & DIRITTI Il diritto all’istruzione delle persone detenute di Giovanni Passaro

10 MINORI La Polizia Penitenziaria specialista nel trattare i detenuti minorenni di Ciro Borrelli

Società Giustizia e Sicurezza

anno XXIII • n.236 • febbraio 2016 14 L’OSSERVATORIO POLITICO Ognuno ha i governanti che si merita di Giovanni Battista Durante

17 IN ATTESA DEL BICENTENARIO In attesa del bicentenario del Corpo

18 CRIMINOLOGIA La criminogenesi minorile di Roberto Thomas

Short track: due ori in Coppa del Mondo di Lady Oscar

24 CINEMA Crimini di Stato a cura di G. B. de Blasis

Società Giustizia e Sicurezza

Direttore responsabile: Donato Capece capece@sappe.it Direttore editoriale: Giovanni Battista de Blasis deblasis@sappe.it Capo redattore: Roberto Martinelli martinelli@sappe.it Redazione cronaca: Umberto Vitale, Pasquale Salemme Redazione politica: Giovanni Battista Durante Comitato Scientifico: Prof. Vincenzo Mastronardi (Responsabile), Cons. Prof. Roberto Thomas, On. Avv. Antonio Di Pietro Donato Capece, Giovanni Battista de Blasis, Giovanni Battista Durante, Roberto Martinelli, Giovanni Passaro, Pasquale Salemme

Madri che uccidono i propri figli - parte I di Pasquale Salemme

26 COME SCRIVEVAMO La memoria del dolore: le Fosse Ardeatine di Assunta Borzacchiello

28 DIRITTO DI REPLICA Il terremoto a L’Aquila

30 WEB E DINTORNI

20 LO SPORT

PoliziaPenitenziaria Organo Ufficiale Nazionale del S.A.P.Pe. Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria

25 CRIMINI & CRIMINALI

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“l’appuntato Caputo” e “il mondo dell’appuntato Caputo” © 1992-2016 by Caputi & de Blasis (diritti di autore riservati)

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Più di un quarto del malware della storia mondiale è stato scaricato nel 2015 di Federico Olivo

32 LE RECENSIONI Editori: LoGISMA, CAROCCI, LAURUS ROBUFFO, CHIARELETTRE, SENSIBILI ALLE FOGLIE, DAP

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Cod. ISSN: 2421-1273 • web ISSN: 2421-2121 Stampa: Romana Editrice s.r.l. Via dell’Enopolio, 37 - 00030 S. Cesareo (Roma) Finito di stampare: febbraio 2016 Questo periodico è associato alla Unione Stampa Periodica Italiana

Edizioni SG&S

Il S.A.P.Pe. è il sindacato più rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria

Polizia Penitenziaria n.236 • febbraio 2016 • 3


L’EDITORIALE

Donato Capece Direttore Responsabile Segretario Generale del Sappe capece@sappe.it

Mancano più di settemila poliziotti penitenziari. La priorità è quella di far scorrere le graduatorie

N

onostante quello che sostengono i male informati o coloro che sono in malafede, uno dei problemi più grandi che continua ad avere il Corpo di Polizia Penitenziaria è quello della carenza dell’organico. Fino a prova contraria (o modifica delle tabelle di legge), a fronte di un organico previsto di quarantaquattromilacinquecento unità, ad oggi abbiamo in servizio effettivo non più di trentasettemila poliziotti penitenziari.

Nella foto: poliziotti penitenziari schierati

Con tale stato di cose, se la matematica non è un’opinione, mancano all’appello ben settemilacinquecento unità. La cosa più preoccupante, però, non è tanto la mancanza o l’insufficienza di nuove assunzioni che vadano a coprire le vacanze, ma l’enorme numero di pensionamenti che il Corpo subisce ogni anno che passa e che andranno ad aumentare, oltre ogni misura, la mancanza del personale. Eppure, a fronte di tale preoccupante situazione, nel 2016 non avrà luogo alcun incremento di personale del ruolo degli agenti. E’ di tutta evidenza che, allo stato delle

cose, abbiamo l’obbligo di rammentare all’amministrazione ed al Governo, che le vacanze in organico ammontano complessivamente a circa settemilacinquecento unità e che nessun incremento è stato previsto in occasione del Giubileo della Misericordia (così come per le altre forze di polizia) e, tantomeno, nella legge di stabilità 2016, anzi un’emendamento finalizzato all’aumento di ottocento unità, da attingere dalle graduatorie degli idoeni non vincitori dei concorsi per gli anni precedenti, non è stato approvato. L’evasione di due detenuti dalla casa circondariale di Roma Rebibbia, avvenuto il 14 febbraio 2016, non è che è una conseguenza, un riflesso naturale, di una situazione ormai cronica e senza dubbio gravissima, in considerazione che la vigilanza, nella circostanza, era demandata a due solo unità del Corpo a fronte di oltre centocinquanta reclusi. Né si può escludere che quanto accaduto nell’istituto capitolino possa verificarsi in altre sedi, tenuto conto di un’attività lavorativa stressante e di una sicurezza sempre più precaria, con rischi ordinari ed immanenti per tutti gli operatori oltre che per la stessa popolazione detenuta. Eppure, il Sappe ha fatto più volte presente che nell’anno 2015 sono state collocate in congedo milletrecento unità, per raggiunti limiti di età e/o per riforma, e per il corrente anno era previsto il ripianamento del turn-over al 100%. Inoltre, le procedure del concorso bandito a luglio 2015 consentiranno l’immissione in ruolo di trecento agenti non prima della primavera del 2017. A tutto ciò si devono aggiungere le aggressioni e le violenze a cui è sottoposta quotidianamente la Polizia Penitenziaria, nonché i tentativi di

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suicidio e gli atti di autolesionismo dei ristretti, che può risultare difficile contrastare adeguatamente, sempre a causa di una sorveglianza del tutto carente e foriera di ogni ulteriore evento critico. Certo è che l’incrementarsi di eventi critici, tra i quali sempre più spesso dobbiamo annoverare le evasioni, dovrebbe imporre una rivisitazione del modello di sicurezza più noto come “vigilanza dinamica”, dal momento che l’ampliamento dello “spazio di libertà”, non sufficientemente sorretto da attività trattamentali, lungi dall’avere migliorato l’esecuzione della pena, o di averlo fatto solo in parte, ha in sostanza aumentato le occasioni per il verificarsi di fenomeni turbative dell’ordine e della sicurezza. Non può sfuggire, perlomeno a questa organizzazione sindacale, come le carenze di organico richiamate non siano solo il frutto di turn over limitati bensì anche di una razionalizzazione delle risorse non sempre oculata, come dimostra, a titolo significativo, quell’aliquota di personale che ancora presta servizio presso istituti penitenziari ormai chiusi da tempo o dismessi. Proprio a causa di tutto ciò non deve essere assolutamente abbassata la guardia rispetto al problema carcere, in quanto, se il sovraffollamento può dirsi parzialmente rientrato secondo la logica dei dati aggregati, il problema carcere continua a persistere con riflessi non sempre responsabilmente valutati, per cui occorre agire sotto un duplice profilo sia prevedendo nuovi arruolamenti, sia ottimizzando le risorse a disposizione rispetto ad un’amministrazione che si presenta alquanto pletorica nella dimensione apicale. F


IL PULPITO

Pietro Buffa è il nuovo Direttore Generale del Personale e delle Risorse

...

E alla fine un meduriano è arrivato ai vertici dell’amministrazione penitenziaria. Ad undici anni dall’entrata in vigore della famigerata Legge Meduri, un dirigente inquadrato per effetto di quella norma, dopo aver ottenuto la dirigenza generale e le funzioni di provveditore regionale, arriva a sedersi sulla poltrona di direttore generale del personale e delle risorse. Quel dirigente è Pietro Buffa, già Provveditore Regionale dell’Emilia Romagna e torinese di nascita. Il dottor Buffa vanta un curriculum accademico di tutto rispetto: una laurea in Scienze Politiche ed una seconda in Programmazione delle Politiche e dei Servizi Sociali, specializzazione in Criminologia Clinica indirizzo psicologico–sociale, perfezionamento in Psicopatologia Penitenziaria ed Istituzionismo, in Psicologia Investigativa e Psicopatologia delle Condotte Criminali, in Psicologia Forense e in Psicologia Penitenziaria e, infine, un Dottorato di Ricerca in Sociologia del Diritto. Prima di entrare nell’amministrazione penitenziaria Pietro Buffa ha vinto una borsa di studio del Ministero per l’Università e la Ricerca Scientifica diventando interno presso l’Istituto di Psichiatria Forense e Criminologia Clinica dell’Università di Genova, poi Esperto Criminologo presso il Tribunale di Sorveglianza di Torino e quindi Esperto in Criminologia nel Distretto di Corte d’Appello di Torino. Infine, nel 1993, ha vinto il concorso per Direttore di Istituto Penitenziario, 8ª qualifica funzionale, con assegnazione presso la Casa Circondariale di Torino Le Vallette, per andare, poi, alla Casa Circondariale Asti e agli Istituti Penali di Alessandria. Nel 1999 diventa Direttore della Casa di Reclusione S.Michele di Alessandria e, poi, Direttore Reggente della Casa di Reclusione di Saluzzo. Nel giugno del 2000 è Direttore reggente della C.C. Torino Le Vallette. Nel 2007 ha una breve esperienza al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, all’Ufficio per l’Attività Ispettiva e del Controllo per lo sviluppo dei sistemi applicativi SID ed eventi critici, assumendo anche l’incarico di Segretario della Cassa delle Ammende. Il 15 settembre del 2008 rientra alla Casa Circondariale di Torino con le funzioni di Direttore titolare. Il 5 aprile 2012 è nominato dirigente generale e, a luglio dello stesso anno, gli viene conferito l’incarico di Provveditore Regionale dell’Emilia Romagna; il successivo 6 dicembre assume anche la reggenza del Provveditorato Regionale per il Triveneto, che terrà sino a giugno del 2014. A dicembre del 2015, infine, assume l’incarico di

Direttore Generale del Personale e delle Risorse del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Il dottor Buffa è stato autore di numerose pubblicazioni, tra le quali le più significative sono: Pirfo E., Pellegrino A., Buffa P.: “La psichiatria carceraria in Italia: La Casa Circondariale Le Vallette di Torino”. Buffa P., Ferrero A., Moretti M., Sarzotti C., Vidoni O.: “La legge è uguale per tutti: gioco di ruolo sui temi del rapporto società, legalità, pena, carcerazione e giustizia”, Sensibili alle foglie, Roma, 2002. “La pratica sportiva tra le mura del carcere” in Bal Filoramo L. (a cura di) “Lo sport nelle età della vita”, Celid, Torino, 2003. “I territori della pena: alla ricerca dei meccanismi di cambiamento delle prassi penitenziarie”, EGA, Torino 2006. Buffa P., Pellegrino A., Pirfo E.: “Attenzione al disturbo psichico e territorializzazione della cura: nuovi metodi dell’intervento psichiatrico in carcere”, in Nòos aggiornamenti in psichiatria, 12, 1, gennaio – aprile 2006. “Prigioni: Amministrare la sofferenza”, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2013. “L’umanizzazione del carcere: alcune riflessioni su una sfida organizzativa al management penitenziario” in Democrazia e Diritto, “Carcere, giustizia e società nell’Italia contemporanea”, LI, 3/2014. “Umanizzare il carcere: Diritti, resistenze, contraddizioni ed opportunità di un percorso finalizzato alla restituzione della dignità”, Laurus, Roma, 2015. In buona sostanza, a differenza della stragrande maggioranza dei suoi predecessori, il neo Direttore Generale del Personale è un dirigente che ha nel DNA la galera ...quella vera. Chissà che questa prerogativa possa imprimere una qualche svolta alla politica del Dap? Per quello che ci riguarda, come abbiamo sempre fatto, non possiamo che concedere tutta la nostra fiducia al nuovo Capo del Personale, offrendo la consueta costruttiva collaborazione. Non mancheremo, poi, di trarre le nostre conclusioni tra qualche mese, alla prova dei fatti. Un augurio di buon lavoro al dottor Buffa anche a nome dei diecimila iscritti del Sappe.F Polizia Penitenziaria n.236 • febbraio 2016 • 5

Giovanni Battista de Blasis Direttore Editoriale Segretario Generale Aggiunto del Sappe deblasis@sappe.it

Nella foto: Pietro Buffa


IL COMMENTO

Roberto Martinelli Capo Redattore Segretario Generale Aggiunto del Sappe martinelli@sappe.it

A tutela delle vittime dei reati

L

a tutela delle vittime di reato attiene alla sfera dei diritti fondamentali della persona e costituisce uno degli aspetti essenziali cui occorre avere riguardo, sia nell'ambito del procedimento giudiziario sia soprattutto nelle fasi preliminari e successiva ad esso. Con riguardo a tutti questi aspetti, nel nostro Paese si verificano, purtroppo, ancora molti ritardi, malfunzionamenti e colpevoli inadempienze.

Nelle foto: alcune immagini di vittime di reati

Giova ricordare, in proposito, che l'Italia è risultata messa in mora a seguito del procedimento di infrazione promosso a suo carico da parte della Commissione europea (201174147) per la «cattiva applicazione» della direttiva 2004/80/CE, che stabilisce che «tutti gli Stati membri provvedano a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime», nel caso in cui il condannato non abbia i mezzi per farlo. In tale ottica deve essere valutata con favore l’entrata in vigore, il 20 gennaio

scorso, del decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 gennaio 2016, che attua la delega normativa conferita al Governo dalla legge 6 agosto 2013, n. 96, con riferimento alla direttiva 2012/29/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, sostituendo la decisione quadro 2001/220/Gai. Il provvedimento si rivolge in modo particolare a chi, vittima di un reato, si dovesse trovare in condizione di particolare difficoltà come, ad esempio, le donne, i minori, gli stranieri con difficoltà con la lingua italiana e a chi ha subito violenza. La vulnerabilità della vittima. In particolare, nel decreto legislativo è introdotta la definizione di vulnerabilità della vittima, che ora è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Nella valutazione della condizione della persona offesa si deve tener conto quindi se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile a criminalità organizzata, terrorismo o tratta degli esseri umani, se ha finalità di discriminazione e se la vittima è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato. I n caso di delitti commessi con violenza alla persona, alla vittima è riconosciuta la possibilità di essere informata della scarcerazione o dell’evasione dell’imputato o del condannato. Viene inoltre consentito al giudice di estendere alle persone offese

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particolarmente vulnerabili le particolari cautele oggi previste solo per i procedimenti penali relativi a specifiche tipologie di reato: • l’obbligo della riproduzione audiovisiva delle dichiarazioni anche al di fuori delle ipotesi di assoluta indispensabilità; • l’assicurazione che la persona particolarmente vulnerabile non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni;

• la previsione che l’esame della persona offesa particolarmente vulnerabile, in incidente probatorio e in dibattimento, sia condotto con modalità protette. In caso di dubbio sulla maggiore o minore età della persona offesa, è imposto al giudice di procedere ad accertamento tecnico, sancendo al contempo che, ove il dubbio permanga pur all’esito della verifica disposta, si presuma la minore età ai soli fini della applicazione delle norme processuali (di garanzia). Inoltre, in attuazione della disposizione di cui all’articolo 2, lettera b), della direttiva che prescrive di includere nella nozione di familiari, oltre al coniuge, "la persona che


IL COMMENTO convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo". Viene previsto che, qualora la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, le facoltà e i diritti previsti dalla legge siano esercitati, oltreché dal coniuge, dalla persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente. Le garanzie della persona offesa. Il decreto legislativo 212/2015 recepisce talune disposizioni della direttiva, la cui ratio è quella di consentire alla persona offesa, sin dal primo contatto con l’autorità, di ricevere, in lingua a lei comprensibile, una serie di informazioni utili ad orientarla durante lo svolgimento delle indagini e nell’eventuale fase processuale. Tali informazioni riguardano • le modalità di presentazione degli atti di denuncia o querela, il ruolo che assume nel corso delle indagini e del processo, il diritto ad avere conoscenza della data, del luogo del processo e della imputazione e, ove costituita parte civile, il diritto a ricevere notifica della sentenza, anche per estratto; • la facoltà di ricevere comunicazione dello stato del procedimento e delle iscrizioni di cui all’articolo 335, commi 1 e 2 del Cpp; • la facoltà di essere avvisata della richiesta di archiviazione; la facoltà di avvalersi della consulenza legale e del patrocinio a spese dello Stato; • le modalità di esercizio del diritto all’interpretazione e alla traduzione di atti del procedimento; • le eventuali misure di protezione che possono essere disposte in suo favore; i diritti riconosciuti dalla legge nel caso in cui risieda in uno Stato membro dell’Unione europea diverso da quello in cui è stato commesso il reato; • le modalità di contestazione di eventuali violazioni dei propri diritti; le autorità cui rivolgersi per ottenere informazioni sul procedimento; • le modalità di rimborso delle spese sostenute in relazione alla partecipazione al procedimento

penale; • la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni derivanti da reato; • le strutture sanitarie presenti sul territorio, le case famiglia, i centri antiviolenza e le case rifugio. Qualora la competenza ad avviare il procedimento non sia esercitata dallo Stato membro in cui è stata presentata la denuncia, il procuratore della Repubblica è tenuto a trasmettere al procuratore generale presso la Corte di appello le denunce o le querele per reati commessi in altri Stati dell’Unione europea, affinché ne curi l’invio all’autorità giudiziaria competente. Gli obblighi di informazione Il decreto legislativo dà, inoltre, attuazione all’articolo 6, paragrafo 5, della Direttiva che obbliga gli Stati membri a garantire alla vittima la possibilità di essere informata senza ritardo della scarcerazione o dell’evasione della persona indagata, imputata o condannata. Sempre conformemente alla direttiva, si è introdotto l’inciso "salvo che risulti il pericolo concreto di un danno per l’autore del reato" che costituisce per il giudice motivo ostativo al compimento di tali comunicazioni qualora emergano concreti elementi da cui con evidenza desumere la possibilità di azioni ritorsive contro l’imputato, il condannato o l’internato in stato di libertà. Con la finalità di accrescere il diritto di partecipazione e le aspettative di tutela delle vittime di reati, il decreto legislativo interviene, infine, sulla materia dell’interpretariato e della traduzione, dettando specifiche disposizioni che integrano quelle recentemente modificate in sede di Dlgs n. 32/2014 di attuazione della direttiva 2010/64/Ue sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Per rispondere alle esigenze di celerità e di immediatezza, si consente che l’assistenza dell’interprete possa essere assicurata, ove possibile, anche mediante l’utilizzo delle tecnologie di

comunicazione a distanza, sempreché la presenza fisica dell’interprete non sia necessaria per permettere alla persona offesa di esercitare correttamente i suoi diritti o comprendere il procedimento. Viene previsto specificamente, in favore della persona offesa che non conosce la lingua italiana, la facoltà di presentare la denuncia o proporre la querela utilizzando una lingua a lei conosciuta, sempre che presentazione o proposizione avvengano dinnanzi alla procura della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto. La direttiva, di cui si dà attuazione, contempla infatti l’obbligo di assicurare una tale facoltà, senza però escludere che l’esercizio della predetta, in ragione degli oneri organizzativi e finanziari che comporta, possa essere regolato in

maniera tale da selezionare gli uffici giudiziari maggiormente capaci sul territorio di dotarsi della necessaria traduzione in lingua italiana. Forse, la nuova normativa avrebbe potuto compiere uno sforzo maggiore sul risarcimento dei danni subiti dalle vittime di reati violenti da parte dello Stato nell’ipotesi in cui non sia possibile ottenerlo dall’autore del reato. Questa è infatti una grande lacuna dei moderni sistemi giudiziari, soprattutto di quelli dei paesi più civili ed in particolare di quello italiano. Ma ciò non inficia il complesso normativo introdotto dal decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212. Dalla parte di Abele. Sempre. F

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L’OSSERVATORIO POLITICO

Giovanni Battista Durante Redazione Politica Segretario Generale Aggiunto del Sappe durante@sappe.it

Ognuno ha i governanti che si merita

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gni società ha in sé la storia e la cultura che si sono formate nel corso dei secoli, attraverso gli accadimenti che l’hanno caratterizzata, in maniera più o meno consapevole, nel senso che ci sono avvenimenti che, spesso, sfuggono alla nostra volontà. Ogni avvenimento lascia sempre e comunque delle tracce che nel tempo contribuiscono a determinare nuovi scenari e nuovi sviluppi della stessa società.

quindi a realtà statuali, quando ciò avviene si ha una perfetta simbiosi tra Stato e cittadini, quindi, tra governanti e governati. Potrà sembrare un’affermazione ideale, un’Utopia alla Tommaso Moro, un’isola che non c’è, alla Bennato, ma guardandosi bene intorno si può notare come esistano Stati, o unione di Stati, dove alcuni valori, alcuni principi, se proprio non sono condivisi al 100% da tutti, costituiscono comunque valori e principi su cui quella stessa società è

Si formano nelle coscienze principi e valori che si sedimentano nel tempo, ma non possono mai considerarsi immutabili, perché nel futuro ci saranno altri accadimenti che formeranno nuove coscienze che andranno a mutare, in maniera più o meno rilevante, quelli esistenti. Ci sono società dove questi processi sono più lenti di altre, ma, soprattutto, ci sono società che, rispetto ad altre, hanno valori e principi che resistono nel tempo, perché probabilmente condivisi da tutti, e così diventano immutabili. Riferendoci a società organizzate,

stata fondata e continua a reggersi. Il riferimento è ovviamente a società democratiche. Ci sono società che chiedono ai propri governanti valori e comportamenti rispetto ai quali non è assolutamente possibile derogare, pena l’immediata esclusione da qualsiasi incarico di governo, ovvero da qualsiasi aspirazione a ricoprire incarichi pubblici di rilievo. Quando ciò accade sono previste anche pesanti sanzioni, penali o amministrative, nei confronti di chi è venuto meno ai valori e ai principi richiesti.

Nella foto: l’Aula parlamentare vuota

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Da questo modo di essere e di concepire la società e gli incarichi di responsabilità all’interno di uno stato discende evidentemente tutta l’organizzazione della società e dello stato medesimo. In alcuni paesi, valori come la giustizia, la sicurezza, sono fondamentali e impongono il sacrificio di qualsiasi altro bene. Ci sono società dove pagare le tasse è un atto che tutti o quasi i cittadini fanno, più o meno spontaneamente, perché ritenuto indispensabile e utile al progresso della società stessa. Altre società, invece, non esigono questo. Per alcune società la giustizia e la sicurezza non sono beni cosi importanti da richiedere la massima condivisione, il massimo sforzo per realizzarle, cosi come non è fondamentale pagare le tasse, essere onesti. Anzi, a volte sembra quasi il contrario. Forse è questo uno dei motivi per cui i nostri governanti, o almeno molti di essi, non pongono questi problemi al centro del loro agire, ovvero quando lo fanno è solo per soddisfare esigenze contingenti, o elettorali. Abbiamo infatti assistito in questi anni a fenomeni del genere: anche molti di coloro che hanno posto al centro dei loro programmi la giustizia, la sicurezza, l’onestà, quando hanno avuto l’opportunità di gestire settori importanti delle istituzioni, sono venuti meno agli impegni assunti. Basta vedere alcuni esponenti politici di primo piano come hanno gestito i rimborsi elettorali, in alcuni casi una vera e propria truffa; politici che li hanno usati per ristrutturare le loro abitazioni, ovvero per comprare oggetti personali, per cene presunte elettorali, e così via. Ma molti di quei politici sono ancora in carica, è questo ciò che è più grave;


GIUSTIZIA MINORILE in un paese un po’ più normale, dove, cioè, quei valori sono ritenuti indispensabili per assumere incarichi pubblici, sarebbero stati messi immediatamente da parte. I n Italia, invece, vengono ricandidati e, come dicono loro, ci mettono la faccia, ma quale faccia? Quella di disonesti autorizzati dagli stessi partiti di appartenenza. Questi sono solo piccoli esempi di un sistema che nel nostro Paese ha creato voragini che tutti i cittadini onesti, e sono tanti, stanno pagando da almeno vent’anni, con sacrifici enormi, senza che ci sia più la speranza di ritornare ai livelli di benessere del passato, forse un benessere più virtuale che reale, ma pur sempre benessere che le generazioni future dovranno riconquistarsi, rimboccandosi le maniche e andando a lavorare anche all’estero, come hanno fatto i nostri nonni. Sono già tanti i giovani che ormai si rivolgono al mercato del lavoro inglese, tedesco e di altri paesi europei ed extraeuropei. Si tratta di lavoratori di ogni settore e di intellettuali, giovani laureati, con il massimo dei voti, che nel sistema universitario italiano non trovano sbocchi. Spesso i concorsi per ricercatore universitario li vincono persone prossime ai cinquant’anni, rispetto a giovani che avrebbero molto di più da dare, nel campo della ricerca. Negli altri paesi a cinquant’anni si è gia titolari di cattedra da un po’ di anni, perché c’è un sistema che premia il merito e non le baronie, ma, soprattutto, negli altri paesi si investe molto di più di noi nella ricerca, così come si investe molto di più nella sicurezza e per la giustizia. Si investe e si pretende serietà, impegno ed onestà. Questo non è un caso, ma è il frutto di quella condivisione di valori a cui si faceva riferimento prima. E’ rispetto a questi valori e principi che la politica del futuro si gioca la propria credibilità ma, soprattutto, la ripresa dell’Italia. F

La Polizia Penitenziaria specialista nel trattare i detenuti minorenni

L

e attività formative rivolte alla Polizia Penitenziaria del contingente che opera nelle strutture per minorenni sono riprese come da programma. Infatti dal 7 al 20 febbraio 2016 si è tenuto presso l’ICF di Roma la diciassettesima edizione del corso di “Specialista nel trattamento dei detenuti minorenni”. Le ultime notizie avute dal Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità ci dicono che il Corso di Specializzazione continuerà presumibilmente fino a marzo 2016. Inoltre da un conteggio fatto a febbraio, risulta che sono stati formati 602 poliziotti penitenziari con un’anzianità di servizio di oltre cinque anni nel settore minorile. Con il modulo di marzo 2016 si doveva concludere la prima fase del progetto ma secondo alcuni addetti ai lavori ci sarebbe un cospicuo numero di giovani Agenti che in questi oltre 3 anni di corso hanno maturato i 5 anni di anzianità nei servizi minorili. Come abbiamo già detto in passato, il restante personale di Polizia Penitenziaria, che opera nei servizi minorili da meno di 5 anni, qualora intendesse conseguire la specializzazione nel trattamento dei detenuti minorenni, potrà partecipare in futuro (previa ammissione mediante selezione per titoli) ad un corso articolato in moduli didattici di carattere teorico e pratico riguardanti gli aspetti normativi, deontologici e educativi. Detto corso avrà la durata di tre mesi. Nel suo aspetto pratico, è previsto un tirocinio di durata non inferiore ad un terzo del percorso formativo (un mese circa) sul posto di servizio, in affiancamento nei servizi minorili. Al termine del corso è inoltre prevista una prova di verifica in forma scritta e orale tendente ad accertare l’apprendimento delle competenze specifiche per il settore minorile.

Ciro Borrelli Dirigente Sappe Scuole e Formazione Minori borrelli@sappe.it

Si evidenzia che lo “Specialista nel trattamento dei detenuti minorenni”, per la specificità delle funzioni di sicurezza e trattamento, deve possedere: • attitudine e soprattutto una personalità equilibrata e corretta dal punto di vista deontologico in linea con le nuove teorie psico-pedagogiche. La qualità dei rapporti che deve instaurare rappresenta una condizione imprescindibile per la buona riuscita dei progetti educativi elaborati per i minorenni; • capacità di saper valutare in ogni momento le molteplici situazioni ed avvenimenti che possono incidere positivamente o negativamente sul processo evolutivo del minore detenuto.

Per concludere, ricordiamo che l’Istituto centrale di formazione del personale della giustizia minorile (ICF) ha il compito di progettare e realizzare le attività formative, di aggiornamento e qualificazione professionale rivolte al personale della giustizia minorile e di svolgere attività di studio, ricerca e sperimentazione di indirizzi e metodi in materia di formazione, nonché di produrre documentazione scientifica e culturale inerente le materie di pertinenza. A tal fine declina gli obiettivi definiti dalle linee di indirizzo e di programmazione generale, individuando le opportune strategie formative ed i relativi metodi in materia di formazione (di primo ingresso e permanente). F

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Nella foto: il Capo Dipartimento Minorile Cascini incontra il personale


DIRITTO E DIRITTI

Giovanni Passaro Segretario Provinciale del Sappe passaro@sappe.it

Il diritto all’istruzione delle persone detenute

L’

istruzione ha subito un mutamento nel passaggio dalla normativa del 1931 a quella del 1975. Nell'ordinamento fascista l'istruzione del detenuto era collegata con la religione ed aveva entro certi termini carattere obbligatorio. Infatti, l'elevazione del grado di istruzione era considerato come uno strumento necessario per la diminuzione dei comportamenti criminali. Si trattava quindi di una sorta di indottrinamento coattivo della persona reclusa. Con la riforma del 1975 si decise, in virtù anche delle statuizioni costituzionali al riguardo, di non far valere più il suddetto obbligo, limitandosi a favorire l'istruzione delle persone detenute con vari mezzi. Il fine non era quindi più quello dell'indottrinamento, grazie anche al diverso rapporto che nel mentre si era venuto a delineare nelle dottrine criminologiche tra istruzione e criminalità, ma quello del trattamento e della garanzia del rispettivo diritto del soggetto recluso. Con l'approvazione della Costituzione infatti il diritto all'istruzione veniva ad acquistare nuovo valore all'interno della schiera dei diritti sociali, anche in virtù della sua funzione di rimozione degli ostacoli che si frappongono al libero sviluppo della personalità del soggetto Fondamentali in quest’ambito sono le previsioni normative contenute negli artt. 33 e 34 Cost., all’interno delle quali si pongono, nella prima, i principi fondamentali relativi all’organizzazione scolastica, e nella seconda, il diritto di accedere a tale organizzazione e usufruire le prestazioni che essa è chiamata a fornire. Alla luce di ciò, anche l’ordinamento penitenziario ha previsto la regolare organizzazione di corsi della scuola d’obbligo (art. 19 comma 1 Ord. Pen. recita: “Negli istituti penitenziari la formazione culturale

e professionale è curata mediante l’organizzazione dei corsi della scuola d’obbligo”), mentre rimette alla discrezionalità delle autorità amministrative l’istituzione di scuole d’istruzione superiore (art. 19 comma 3 stabilisce, infatti, che “con le procedure previste dagli ordinamenti scolastici possono essere istituite scuole di istruzione secondaria di secondo grado negli istituti penitenziari”). Nei protocolli d’intesa tra Ministero della Giustizia e Ministero della Pubblica Istruzione e nella concertazione tra Ufficio scolastico regionale e Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria sono indicate le modalità per attivare tali corsi. Ciascun istituto penitenziario è impegnato a costituire una commissione didattica (composta da direttore, responsabile dell’area trattamentale e insegnanti) con il compito di formulare il progetto di istruzione; per l’istruzione universitaria, invece, il medesimo art. 19, si limita ad affermare che “è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati”, ma poiché i corsi di studio universitari non sono organizzati direttamente dall’amministrazione penitenziaria, l’impegno e il profitto, non rilevano ai fini dell’ammissione, ma soltanto al fine di essere esonerati dalle attività lavorative. In ogni caso, diversamente da quanto stabiliva il regolamento del 1931, le attività scolastiche hanno un carattere facoltativo. Dalla partecipazione facoltativa discende il tentativo di stimolare la partecipazione stessa (data anche dalla consapevolezza dei vantaggi che possano derivare sul piano della prevenzione speciale dei condannati), con la possibilità riconosciuta all’amministrazione penitenziaria di concedere delle specifiche forme di ricompense a seguito del particolare impegno e profitto scaturente dai corsi

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scolastici e di addestramento professionale, di modo che, legandoli alla valutazione della partecipazione all’opera rieducativa, sia utile al fine della concessione per la liberazione anticipata (art. 76 e 103 Ord. Pen). Dirette ad agevolare la partecipazione ai corsi d’istruzione, sono anche quelle norme che prevedono la concessione di benefici economici ai detenuti meritevoli e capaci, ma privi di mezzi, al fine di rendere effettivo il diritto allo studio e incentivare la partecipazione dei detenuti. Dobbiamo considerare inoltre come gli stessi artt. 41 e seguenti del regolamento penitenziario stabiliscono, ad esempio, che sono da evitare, per quanto possibile, i trasferimenti dei detenuti - studenti in altri istituti e, qualora questi vengano effettuati, devono comunque essere rivolti, sempre se possibile, verso istituti che permettano continuità didattica sia per i frequentanti i corsi d'istruzione primaria che i corsi di formazione. I corsi devono essere possibilmente strutturati in orari che siano compatibili con l'attività lavorativa e vi può inoltre essere, su richiesta dello studente universitario o di scuola superiore, il suo esonero da ogni tipo di incarico lavorativo. Altri benefici sono poi previsti tanto sotto l'aspetto dell'ammissione alle misure alternative alla detenzione che dei benefici economici. Per quanto attiene ai mezzi di tutela dei quali può avvalersi il detenuto per il riconoscimento del proprio diritto d’istruzione, è configurabile in primo luogo, lo stesso diritto di prestazione che spetta a ogni consociato nei confronti di una determinata scuola, o il diritto a essere ammesso al servizio scolastico con le modalità e alle condizioni previste dalla legge. Da quanto appena detto si potrebbe configurare in capo al detenuto "il diritto di essere ammesso al servizio scolastico con le modalità e alle condizioni previste dalla legge", diritto che non potrebbe essere limitato da alcuna forma di discriminazione (art. 34 Cost. e art. 1 Ord. Pen.). Tale pretesa potrebbe essere difesa attraverso il procedimento per reclamo previsto dall'art. 35 Ord. Pen. o in alternativa mediante la giustizia civile. F


IN ATTESA DEL BICENTENARIO

In attesa del bicentenario della fondazione del Corpo

C

orreva l’anno 1817 e delle Famiglie di Giustizia, nelle Regie Patenti, si scopriva l’esistenza! Emergeva, cioè, in tutta la sua portata, storica ed evolutiva, l’esistenza di un drappello di servitori della Legge all’interno del settore più angusto, da sempre considerato il tabù: il carcere, quel luogo di perdizione dei dannati e della vittoria del bene sul male, temuto dai più, agognato da tanti e conosciuto fino ad allora, come professione, da nessuno! Ed era FORSE un anno di grandi sogni, con poca ricchezza ma evidentemente tanta forza: emergeva l’innovazione penitenziaria senza precedenti, quel coraggio che ufficializza una professione articolata e complessa, destinata a mediare tra la sofferenza dei reclusi e la sete di giustizia dei liberi! Molto il tempo trascorso da allora, tante le evoluzioni, di non eguale portata o caratura, numerose le involuzioni. Tanti sono gli attori intervenuti nel mondo penitenziario: i custodi, i guardiani del Regno d’Italia, gli Agenti di Custodia, la Polizia Penitenziaria! Tutti figli di quelle Famiglie di Giustizia portate alla ribalta, per avere luce, quasi duecento anni or sono. E se anche il 2017, nella ricorrenza di questo bicentenario, fosse un anno di grandi sogni, con poca ricchezza ma evidentemente tanta forza? Se fosse, nonostante la cronica carenza di fondi, l’anno della ribalta per il Corpo di Polizia Penitenziaria, in fondo nipote, bistrattato, di una importante evoluzione dei tempi che furono? Se fosse l’anno di postivi risultati, oggettivi riconoscimenti, concrete prese di coscienza anche per questo Corpo così relegato, di fatto, nell’ombra di lunghi corridoi e di padiglioni sempre meno decorosi? Immagino un anno rivoluzionario, con cambiamenti dotati della stessa portata storica del 1817. In primis, la più eloquente sebbene legata ad un aspetto solenne e formale: la riconquista di uno spazio, oramai perso da anni, che continua a chiamarsi “Festa annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria” ma che, di fatto, è divenuta l’occasione per le indebite sfilate dei Dirigenti al potere. Una Festa spesso costretta all’interno delle mura di cinta, sovente in nome di quelle notorie esigenze di economicità e che, ad attenzionare solo per un attimo gli sprechi cui

quotidianamente si assiste soprattutto a livello centrale, prendono sempre più le sembianze di una leggenda metropolitana. Ci vorrebbe una Festa del Corpo “esplosiva”, capace di riportare al centro ogni singolo appartenente, ancor più quello che non popola le ingolfate scrivanie. Una Festa che sappia risvegliare concretamente l’orgoglio dell’appartenenza, dell’umile lavoro svolto, dal 1817, nelle patrie galere; lo stesso orgoglio che promana dagli sguardi fieri del plotone passato in rassegna, vestito di tutto punto, ben addestrato a movimenti sincronizzati ed attento all’esecuzione di quanto appreso durante l’addestramento in piazza d’armi. Un plotone effettivamente rappresentativo dei 206 Istituti penitenziari, cui confluiscono, gli Uomini e le Donne che quotidianamente lavorano nelle sezioni detentive ed avverso il quale nulla può il burocrate estensore del provvedimento di missione con vitto ed alloggio a carico dell’Amministrazione penitenziaria. “I have a dream”: mi piacerebbe poter festeggiare questo bi-centenario alla luce del sole, magari come accadeva negli anni migliori, proprio al centro della parte più bella della città. Sugli spalti, quali ospiti d’onore, per poter assistere da pulpito privilegiato, il Presidente della Repubblica, i figli, le mogli, i mariti, i genitori degli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria e tutt’intorno gente comune, folla curiosamente stupita da cotanta presenza e dall’assenza delle auto blu dirigenziali. E mentre suona quell’Inno d’Italia, le stonate voci, a squarcia gola, raccontano la fierezza d’un mestiere nato in un tempo lontano, fatto di quotidiane amarezze, notorie difficoltà e solerti accortezze. Raccontano di un mondo dove, ora come allora, essenziale resta il ruolo dell’appuntato più anziano, che, al di là delle nozioni libresche, tende la mano a quella guardia appena arrivata per insegnare il mestiere, quello del quotidiano più puro. Raccontano di un mondo che guarda al futuro, presentando a tutti le sue nuove leve schierate in prima fila, pronte ad ereditare un mestiere difficile ma dignitoso che li accompagnerà per tutta la vita o, per dirla con le parole di Leopardi “ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte” . Ho un sogno ...chissà che si avveri: in fondo, per festeggiare il bi-centenario nel 2017, c’è ancora un po’ di tempo affinché le coscienze maturino! F Polizia Penitenziaria n.236 • febbraio 2016 • 11


Roberto Thomas già Magistrato minorile, docente di criminologia presso l’Università di Roma La Sapienza rivista@sappe.it

CRIMINOLOGIA

La criminogenesi minorile derivata dall’emulazione del contenuto dei mass media

L

a comunicazione costituisce il fondamentale processo umano di trasmissione delle informazioni sia direttamente, da un soggetto ad un altro, mediante parole e gesti, che, nel significato mediato, per il tramite di messaggi inviati dai diversi mezzi di comunicazione (lettere, telefonate, giornali, radio, televisione, cinema, trasmissione elettronica mediante internet).

e violente. Invero la crisi della famiglia - con la sempre maggiore “evaporizzazione” dei ruoli genitoriali a causa dei conflitti familiari e degli orari prolungati di lavoro - e della scuola – che ha perso il suo fine fondamentale di educazione, limitandosi a quello della mera istruzione - ha prodotto un progressivo distacco affettivotemporale degli adolescenti, con gravi

Il predetto termine nasce dal latino communicatio, che deriva, a sua volta, dall'aggettivo communis, che significa comune a tutti, come appartenenza alla stessa umanità. Della comunicazione diretta si è già accennato in questa Rivista (nel numero 230 del luglio/agosto 2015), dove ho sintetizzato la mia teoria psico-pedagogica della comprensione affettiva a proposito di siffatta comunicazione. Qui si parlerà di quella indiretta che, a mio parere, è fra le cause che possono originare i comportamenti criminali degli adolescenti, per il suo potere invasivo realizzato dall'informazione di azioni aggressive

ricadute psicologiche e emotive per questi (“i miei genitori li vedo poco, sono sempre fuori a lavorare ed io mi sento spesso solo ...vorrei che fossero più presenti, anche se dopo diventassero più 'rompiballe' ...la scuola che noia ! ...vale solo per farsi una tiratina di 'fumo' con i compagni...” ) . I numerosi studi psicologici sull’impatto della visione da parte degli adolescenti di immagini di violenza criminale sui mass media tradizionali, mediante i giornali (in particolare i fumetti “neri” ), la televisione o il cinema, non sono giunti ad un risultato univoco sulla potenziale imitazione effettuata dai

Nella foto: mezzi di comunicazione

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giovanissimi di ciò che abbiano visto. Infatti, da un lato, si sostiene che la visione di scene di violenza possono indurre nei minori un senso di riprovazione morale a tal punto da costituire un argine sicuro contro la sperimentazione da parte loro delle medesime riprovevoli azioni. Dall’altro, vi è la tesi opposta - a cui aderisco convintamente - che, soprattutto per le personalità già in una condizione potenzialmente depressiva, vi può essere un'attrazione fatale, subendo il “fascino” del crimine al fine di emularlo nella realtà. A riprova della prima tesi si cita l’esempio delle generazioni che hanno subito la violenza e il terrore della seconda guerra mondiale e che ne sono risultate fortificate nel carattere, resistendo ai gravissimi patimenti subiti dalla guerra. In particolare per i minori, nati nell’immediato dopoguerra, si citano anche i giochi dei bambini improntati alla guerra appena finita con l’uso di armi di latta (spade, pugnali ecc. ) e fuciletti ad aria compressa che sparavano piccoli proiettili di gomma (cosiddetti gommini ), assai pericolosi per l’integrità degli occhi dei bambini (di questo sono stato un diretto testimone quando, a sei anni , giocando alla guerra con mio fratello maggiore Gianfranco, un gommino del suo fuciletto mi colpì all'occhio sinistro, solo sfiorando miracolosamente l'iride, che se colpita mi avrebbe causato la cecità: quanti pianti si fece Gianfranco perchè mai avrebbe voluto farmi del male, povero fratello mio che sei scomparso così prematuramente ! ) . Di più si ricordano, sempre a favore


CRIMINOLOGIA della prima tesi, i film dell’epoca che riproducevano nelle loro trame le terribili vicende belliche, ovvero i popolari film westerns pieni di pistolettate ed uccisioni. Certamente ciò che rendeva innocuo (se non addirittura educativo) per i minori la visione di tali film stava nel fatto che la violenza trasmessa nelle immagini, non era generalmente una pura crudeltà in sé e per sé, per il gusto di essere violenti, ma era, per lo più, ispirata al canone del suo uso per far trionfare il bene sul male, la legge sul crimine, come, ad esempio, i film western dove il cattivo - fosse il pistolero rapinatore di banche o il crudele pellerossa scotennatore dei poveri bianchi - finiva per morire, ovvero i film di guerra - dall’antica Roma a quelli di “cappa e spada”, per finire ai film ambientati nelle due guerre mondiali – ove i difensori della patria trionfavano sempre. In altre parole vi era, di norma, la visione di una violenza educativa, esercitata per la difesa dei più deboli, e della Patria (uno dei tre valori fondamentali dell'epoca, insieme a Dio e alla famiglia ) in pericolo, che si poteva, anzi si doveva, imitare. Pertanto al dilemma se la trasmissione di immagini violenti da parte dei mass media tradizionali (radio, televisione, cinema) possa o meno indurre i minori, per la loro fragilità, alla imitazione di tali comportamenti devianti, mi pare che si possa rispondere che sussiste un concreto e probabile rischio emulativo, anche se non la certezza assoluta. A tal proposito Albert Bandura , nel suo scritto “Social Learning throug imitatio”, Nebraska Symposium om Motivation, Lincol, Nebraska University, 1962, pagg. 211-369 e nel suo libro “Social Learning Theory”, Englewood Cliffs, N. J., Prentice Hall,1977, getta le basi della teoria dell'apprendimento sociale attraverso l'introiezione che gli individui ricevono mediante l'imitazione dei modelli culturali appresi in famiglia e dalla televisione o dai film. In particolare egli rileva che la violenza non costituisce una qualità innata dell'essere umano , ma viene

appresa dai bambini emulando dei modelli aggressivi recepiti dai loro genitori, ma anche provenienti dai mass media in generale, pure qualora sussiste nel soggetto la coscienza della loro riprovazione , in quanto possono subentrare varie forme di meccanismi psicologici che si riportano tutte al “disimpegno morale” che fa evaporare il senso etico che già si possiede con una simulata giustificazione del comportamento aggressivo posto in essere. La tesi, invece, di chi sostiene, la non rilevanza emulativa dell'adolescente rispetto alla visione di scene di violenza provenienti dai mass media tradizionali, rileva anche l'utilità di una siffatta visione per prevenire azioni similari di reato, in quanto l’informazione concernente i delitti commessi dagli adolescenti e, soprattutto, quella della relativa sanzione irrogata all’autore del reato, dovrebbe dissuaderli, per paura, dal commetterli. Però tale considerazione, a mio parere, costituisce un'arma a doppio taglio: se, da un lato, può scoraggiare i coetanei del soggetto attivo del delitto dal commettere reati analoghi, per il timore della pena del carcere minorile, realizzandosi , in tal maniera, una prevenzione generale, dall’altro, può incentivare proprio la commissione di delitti della medesima natura, per la possibilità di un forte potere emulativo negli adolescenti, in relazione alla loro fragile ed influenzabile personalità, a causa dell’amplificazione di siffatte azioni criminali mediante i mezzi informativi che, sovente, senza consapevolmente volerlo, le mitizzano agli occhi degli adolescenti, facendo superare loro anche il timore della sanzione in cui potrebbero incorrere. Si pensi, ad esempio, al caso concreto del fenomeno dei sassi lanciati dai cavalcavia da gruppi prevalentemente composti da minorenni annoiati e frustrati, sulle automobili di passaggio, che coinvolse l’intero nostro Paese, cagionando anche dei morti, diversi anni fa. In quel periodo, giornali e telegiornali, quasi quotidianamente, stampavano i loro “bollettini di

guerra” sul precitato fenomeno, con grandissimo risalto mediatico, cagionandone una diffusione pericolosissima fra i giovani, a livello di imitazione e stimolandone l’ebbrezza della trasgressione. Dopo che i mass media, finalmente, cessarono di dare una smodata rilevanza a tale “gioco” pericoloso (grazie anche al sistema di autoregolamentazione della stampa, previsto nella Carta di Treviso del 5 ottobre del 1990, con l’intento di disciplinare i rapporti fra infanzia ed informazione, salvaguardando il diritto di cronaca, però contemperandolo con la responsabilità del rispetto dei diritti e dell’immagine dei minori, cui deve essere sempre garantito un serio anonimato, per evitare qualsiasi curiosità ingiustificata nei loro confronti; Carta aggiornata il 30 marzo 2006 con la sua estensione

all’uso dei mezzi di comunicazione digitale da parte dei minori) e, altresì, al fatto che le autorità eressero delle alte reti di protezione su moltissimi cavalcavia, il tragico fenomeno ludico è praticamente scomparso nel nostro Paese !!! Del resto la legislazione italiana, aderendo in un certo senso alla nostra preoccupazione, ha già giustamente previsto, a tutela della riservatezza del minore che delinque e di quello della vittima minorile del reato – ma, crediamo, anche per evitare una eccessiva curiosità morbosa, che comporterebbe certamente dei fenomeni emulativi da parte di altri adolescenti – l'obbligo per gli organi

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Nella foto: bambini consultano un tablet

Á


CRIMINOLOGIA d’informazioni di non pubblicare immagini , né dati anagrafici dei medesimi (ex art. 50 e 130 del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196 ). Da quanto detto, pur non volendo mettere alcun bavaglio alla libertà d’informazione , espressione della libertà di pensiero, prevista dall’art. 21 della Carta Costituzionale, che, al secondo comma, prevede che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure”, occorre ribadire il rischio che una eccessiva sottolineatura a ripetizione,

da parte dei mezzi d’informazione, delle notizie criminis riguardanti i minori, possa essere recepita da questi in senso abnorme, che li induce a soddisfare il proprio senso di egocentrismo, soffrendo una specie di frustrazione, qualora non le imitassero (se l’hanno fatto loro e sono diventati “famosi”, perché non posso farlo anche io ?), e condurli alla commissione di comportamenti penali simili. Riprendendo e ampliando il predetto dilemma (pericolo o meno di emulazione minorile) sugli effetti mistificativi della realtà derivanti dall'uso della comunicazione che avviene attraverso i nuovi mass media digitali autogestiti (personal computer, smartphone, tablet ) - e cioè quei mezzi di trasmissione d'informazioni di massa usati individualmente dalla stragrande maggioranza dei minori, per molte ore al giorno, mediante l'uso della rete internet - si deve rilevare che il loro uso, soppiantando di fatto gli strumenti tradizionali di

comunicazione (radio, televisione, cinema), ha la peculiarità di non essere, come quello per i precedenti, un mero sistema di ricezione di informazioni passive, bensì costituisce un mezzo di trasmissione individuale di messaggi, attraverso il web, al pubblico globale della rete , in una forma di interazione reciproca, tale da costituire un meccanismo di creazione di sempre nuove ed autonome basi informative autogestite dai minori che navigano in rete (cosiddetti internauti). Pertanto i soggetti che vi partecipano mediante la rete, in particolare i minori, possono essere considerati “chatto - formati” (per l'assonanza con le socials chat che collegano al mondo globale ) e altresì “ricetrasmittenti”, in quanto – al pari degli apparecchi radio ricetrasmittenti - da un lato, ricevono il messaggio (che può essere comprensivo di immagini) leggendolo sul loro computer, dall'altro, scrivendo sulla tastiera (“chattando”), trasmettono il loro messaggio (che possono unire con immagini ) da condividere con gli altri internauti . Viene a crearsi così un gigantesco spazio virtuale, che si estende per l'intero mondo informatizzato, di centinaia di miliardi di comunicazioni che interagiscono fra di loro in tempo reale. Nasce, per così dire, una televisione globale che si implementa costantemente e liberamente attraverso le informazioni interattive dei suoi utenti dislocati nel nostro pianeta, che la gestiscono autonomamente con il semplice uso del loro personal computer . Questa produzione globale del “sapere informatico” da parte degli internauti che ne sono anche, al tempo stesso, i diretti fruitori - mediante quella che ho definito la ricetrasmittenza dell'informazione della rete-, da una parte, ha prodotto una possibilità di conoscenze straordinarie , assolutamente impensabili prima, che ha fatto progredire in maniera esponenziale tutte le scienze umane mediante l'elaborazione dei loro dati in tempo reale, dall'altra, però,

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essendo assolutamente libera e incontrollata, ha avuto anche delle ricadute negative, soprattutto per gli utenti minorenni, per quanto concerne l'accesso ai numerosissimi siti informativi dal contenuto propagandistico di estrema violenza e sopraffazione umana. Invero l'“Indagine conoscitiva sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia 2012”, redatta da Telefono Azzurro ed Eurispes, ha messo in evidenza gli inquietanti dati che il 33,9% degli adolescenti frequenta siti pornografici; il 19,3% accede a quelli che incitano alla violenza ; il 13,1% visitano i siti che affermano l'odio razziale; il 12,1% si collega con quelli che invitano a commettere un reato; il 9,9% frequenta quelli in cui si esalta l'anoressia e il 4,9% visita i siti in cui si danno consigli su come suicidarsi. Ciò ha aperto ha aperto un enorme e pericoloso spazio irreale – una vera e propria mistificazione della realtà come fosse riflessa in uno specchio distorsivo - assai dannoso per tutti i minori per la loro nota fragilità . Invero non può nascondersi, fatte queste premesse, che un potenziale grave rischio di inquinamento mentale possa derivare dai contenuti violenti contenuti nella rete, in cui spesso viene esaltata la modalità della violenza per la violenza, soprattutto in rapporto alla fragilità emotiva dell’adolescente, e, conseguentemente, al rischio concreto di un comportamento emulativo. Ne esce un quadro assai preoccupante, in cui in nessun modo si possono considerare le precitate dinamiche telematiche come assolutamente neutre , bensi incidenti in maniera assai invasiva sulla formazione della personalità dell'adolescente: ecco perchè mi sembra appropriato definire il computer come “chatto formatore” di una generazione “chatto formata”, in quanto spesso sostitutivo delle due tradizionali agenzie educative primarie, e cioè la famiglia e la scuola, entrate, come si è già detto , in un circuito di grave crisi identitaria. Da quanto detto sopra mi sembra


CRIMINOLOGIA importante affermare che, alle tradizionali cause che motivano il delitto studiate in criminologia, occorre aggiungerne una nuova, e cioè l'uso invasivo del computer - che definerei “la sindrome da computer”- diffusosi progressivamente negli anni novanta del secolo scorso, che, nato come mezzo di trasmissione di comunicazione globale (come fosse un telefono potenziatissimo), è diventato anche, tramite internet, un formatore culturale di coscienze nel bene e nel male . Credo che in molti casi siffatta sindrome possa definirsi una vera e propria dipendenza, dal punto di vista della salute mentale, anche se il nuovo Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5), redatto dall'associazione degli psichiatri americana (APA), uscito negli Stati Uniti nella primavera del 2013, non lo cita fra le oltre 400 “nuove dipendenze”, fra le quali vengono elencate fenomenologie assai meno allarmanti quale, ad esempio, l'astinenza da caffè. A tal proposito mi piace ricordare, condividendone pienamente il contenuto, quanto scrisse il compianto Cardinale Carlo Maria Martini durante un suo discorso : “I media non sono più uno schermo che si guarda, una radio che si ascolta. Sono un'atmosfera , un ambiente nel quale si è immersi, che ci avvolge e ci penetra da ogni lato. Noi stiamo in questo mondo di immagini, di suoni, di colori, di impulsi e di vibrazioni come un primitivo era immerso nella foresta, come un pesce nell'acqua. E' il nostro ambiente, i media sono un nuovo modo di essere vivi.” . La mia certezza sul rischio dell'imitazione per i minori a seguito di un “bombardamento” dell’informazione di comportamenti devianti - soprattutto per quella di natura informatica - sembra essere stato condiviso sempre di più dai gestori dei mass media, al fine dell’autolimitazione dell’uso dei mezzi informatici, con l’approvazione di un codice di autoregolamentazione,

intitolato “Internet e minori”, promosso dal Ministero delle Comunicazioni, dedicato specificatamente ai sistemi di trasmissione telematica in rete, che ha visto la luce nel settembre del 2003 (pubblicato dalla fondazione Ugo Bordoni ). Ne è seguito, altresì, la ricerca e l’uso, da parte dell’autorità statuale (tramite la polizia postale), di filtri, relativi ad informazioni sensibili, disposti a livello centrale sul funzionamento del generale sistema informatico, a tutela del pubblico dei minori. Da ultimo mi piace riportare le testuali affermazioni tratte dalla prefazione del X Rapporto nazionale sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza , redatto da Telefono Azzurro e Eurispes secondo cui: “Le moderne tecnologie dovrebbero facilitare la libera espressione di sé e della propria creatività, non ingabbiarla nella routine e nell'autoreferenzialità improduttiva. Dovrebbero favorire l'incontro - un incontro aperto e sincero - non la chiusura o un confronto vuoto o mascherato con il mondo esterno. Le tecnologie multimediali potrebbero costituire, anche per i ragazzi, un'enorme risorsa da sfruttare al meglio. Ma non sempre accade. Anzichè essere stimolati a comunicare più agevolmente in tempo reale, disimparano l'italiano con il codice “sms”. Anzichè utilizzare i social network per esprimere opinioni, pensieri e passioni, alcuni li banalizzano con la sintesi e la futilità – si pensi al “cosa stai facendo in questo momento” e al “ mi piace non mi piace più” di facebook - mentre la possibilità di incontrare e conoscere altre persone talvolta si riduce alla logica dell'accumulo (avere 400 “amici” virtuali e non sapere cosa farne). In questo senso proprio facebook uno dei maggiori fenomeni propri degli ultimi anni (vi partecipa il 71,1% degli adolescenti) rappresenta un nuovo esempio emblematico delle potenzialità spesso sprecate dei nuovi media.”. F

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LO SPORT

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Short track: per Cecilia Maffei due ori in Coppa del Mondo in staffetta

P

er Cecilia Maffei oro nella penultima prova di Coppa del Mondo con la staffetta azzurra. Dal 5 al 7 febbraio a Dresda (Germania) sulle piste dell’EnergieVerbund, l’Italia dello short track è tornata a vincere dopo cinque anni di attesa. Da Nagoya 2011 il tricolore non sventolava sul gradino più alto del podio, ed il merito di questo successo va tutto ad un team femminile eccellente di cui Cecilia costituisce l’elemento esperto e performante nei momenti che contano. Sicuramente importante è stato il contributo della capitana Arianna Fontana -bronzo olimpico agli ultimi

guidata dal c.t. Gouadec ha comunque fatto registrare tempi di assoluto valore : 4’10”291 davanti a Russia, Cina e Germania in semifinale. In finale, con 4’12”175, la squadra italiana ha preceduto l’Ungheria, staccando Giappone e Russia. Nel weekend successivo è andata in scena l’ultima tappa olandese di Coppa del Mondo e la staffetta italiana si è concessa il bis vincendo ancora l’oro al termine di una prestazione maiuscola. Oltretutto la seconda vittoria consecutiva di una gara di tale livello di short track, nella storia dei colori azzurri, non era ancora mai stata registrata. Allo Sportboulevard di Dordrecht Arianna Fontana, Lucia Peretti, Elena

Viviani e Arianna Valcepina (a cui va aggiunta anche Cecilia Maffei, impegnata in semifinale) hanno di nuovo colto l’oro in 4’16’’466, chiudendo alla grande la stagione. In classifica stavolta hanno preceduto Russia (4’16’’571) e Francia (4’16’’861) in una finale molto intensa in cui sono riuscite a tenere a bada le fortissime compagini cinese e coreana. Cecilia Maffei è stata impiegata anche nei 1000 metri femminili. Arrivata fino alle decisive semifinali di ripescaggio, la campionessa delle Fiamme Azzurre ha subito una penalty che ne ha impedito il possibile ingresso nel tabellone principale. Alla fine si è classificata ventitreesima. F

Nelle foto: da sinistra Arianna Fontana, Elena Viviani, Cecilia Maffei, Lucia Peretti, Federica Tombolato e Arianna Valcepina a destra Cecilia Maffei

giochi invernali e atleta delle Fiamme Gialle- al suo rientro dopo quasi un anno di stop, ma il plauso va indistintamente a tutte le ragazze scese in pista. In finale (come in semifinale), il quartetto d’oro, oltre che dalla nostra Cecilia Maffei e da Arianna Fontana, è stato composto da Elena Viviani e Arianna Valcepina. Nei primi due turni erano scese sul ghiaccio anche Lucia Peretti e Federica Tombolato. Se è vero che l’assenza della Sud Corea (vincitrice in tutte le prime quattro prove di Coppa) e del Canada (due volte argento e una bronzo) ha semplificato l’opera, la squadra

Scherma: Aldo Montano vince il Luxardo e si qualifica per Rio 2016

C

on la vittoria al Trofeo Luxardo di Padova, tappa italiana di Coppa del Mondo nella sciabola maschile, Aldo Montano ha strappato il pass per i Giochi olimpici e volerà a Rio 2016, per la sua quarta partecipazione olimpica in carriera a partire da Atene 2004. Il fuoriclasse della Polizia

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Penitenziaria in finale ha battuto il campione olimpico di Londra 2012, l’ungherese Szilagyi, per 15-12. Una vittoria che bissa a distanza di poco più di un mese l’altro trionfo del circuito a Boston, sulle pedane dell’Università di Harvard. Tripudio di applausi alla Kioene Arena di Padova quando Montano ha chiuso


LO SPORT la sua giornata con in tasca la qualificazione olimpica e la quattordicesima vittoria in Coppa. Ora per i livornese sono quattordici le prove di Coppa del Mondo centrate in carriera in giro per il globo. Vinte ovunque ma finora mai a Padova al “Luxardo”. Nonostante la condizione fisica fosse minata da vari problemi e ai quarti persino i crampi ne avessero disturbato la prova, il campione livornese ha capitalizzato ogni assalto per arrivare fino in fondo, gestendo la sua gara da buon stratega e grande opportunista. Il pass per Rio era già in tasca dopo la vittoria in semifinale sul coreano Kim Junghwan 15-12. Dopo le vittorie per 15-12 sul georgiano Beka Bazadze e sul belga Sepp Van Holsbeke col punteggio di 15-10, Montano si è imposto sul russo Veniamin Reshetnikov per 15-14. Stesso punteggio ai quarti di finale, quando ha poi sconfitto l’iraniano Mojtaba Abedini per 15-14. F

Stefano Pressello ai campionati Europei Open di Jiu-jitsu

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umeri da campionato del mondo per l’appuntamento sportivo annuale dei Campionati Europei Open di Brazilian Jiu-jitsu organizzato dall’IBJJF. Dal 20 al 24 gennaio oltre 3500 atleti provenienti da tutto il mondo si sono confrontati a Lisbona. Le lotte divise in faixa e classi d’età, sono state molto competitive e coreografiche: oltre a ricercare la vittoria gli atleti presenti hanno potuto esibirsi in una vetrina internazionale di assoluto rispetto. Non poteva mancare la presenza di Stefano Pressello, Assistente Capo e judoka veterano con la passione del Brazilian Jiu-Jitsu. Proveniente dal team Mushin club Barbosa Italy, e attivo nel far crescere il suo Jiu jitsu in campo internazionale confrontandosi con altri prestigiosi gruppi, come i Gracie Barra e altri numerosi team internazionali, Stefano nell’ultimo periodo è stato autore di una stagione agonistica da incorniciare. Per andare nei dettagli Stefano Pressello, dopo la partecipazione agli European di Bjj nel 2015 con la fascia Viola, conquistando due Ori tra la categoria e la fase Open, è stato promosso nel 2015 dal suo Maestro Marco Antonio Barbosa nella faixa Marrone. Quest’anno, l’atleta si è ripetuto con una doppietta di medaglie: argento nella sua categoria e oro nella fase Open, nonostante problemi fisici al ginocchio della vigilia, rimediati dopo il bronzo mondiale open di Judo 2015, non facessero presagire nulla di buono. Il suo recupero, malgrado ciò, è stato rapido, grazie ai trattamenti del dott. Campagna e agli allenamenti intrapresi nei venti giorni prima dell’appuntamento europeo,

in Brasile, presso la filiale del maestro Marcel Ribeiro di Santos (BR) e del maestro Marco Antonio Barbosa presso San Paulo. Nelle foto: Stefano Pressello mostra orgoglioso le medaglie conquistate ai Campionati Europei Open di Lisbona

Le lotte sono state tutte molto intense: alla fine sono stati quattro gli incontri vinti tra finalizzazioni e punti a favore. Nella finalissima per categoria Pesado (Heavy) dei 94,3 kg, nonostante sia terminata con punteggio pari con l’inglese Phillip David Ounsley (Combat Base UK), a pari discrezionalità, è stata decretata dall’arbitro presente, la vittoria a favore dell’inglese. Nella fase Open invece Pressello ha conquistato due lotte per punteggi che lo hanno portato sul gradino più alto del podio, per la soddisfazione sua e dei suoi più accaniti sostenitori, come gli amici del ristorante Da Gabriele.F

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a cura di Giovanni Battista de Blasis

CINEMA DIETRO LE SBARRE

Crimini di Stato

Regia: Carl Franklin Titolo originale: High Crimes Soggetto: Joseph Finder Sceneggiatura: Cary Bickley, Yuri Zeltser Fotografia: Theo van de Sande Montaggio: Carole Kravetz Scenografia: Paul Peters Musica: Graeme Revell Costumi: Sharen Davis Arredamento: x Effetti: Spectrum Effects Inc., F/X Concepts Inc., Digiscope, Lou Carlucci

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Nelle foto: la locandina e alcune scene del film

l film di Carl Franklin, interpretato da Ashley Judd, James Caviezel e Morgan Freeman, è un thriller di quelli in cui niente è quello che sembra. La protagonista, Claire Kubik è una brillante avvocatessa californiana felicemente sposata con Tom, un imprenditore di successo. Ad un certo punto, però, subito dopo un tentativo di rapina nella propria villa, la vita apparentemente meravigliosa di Claire viene sconvolta da una serie di avvenimenti inquietanti. Il Federal Bureau of Investigation, la polizia nazionale americana, arresta Tom con la gravissima accusa di essere, in realtà, un pericoloso latitante, Ronald Chapman, ex agente segreto militare colpevole, quindici anni prima, di una strage di civili in Salvador. Tom, in prigione, confessa alla moglie di essere veramente Ronald Chapman e di essere stato coinvolto in passato in azioni militare segrete per conto del Governo, ma, allo stesso tempo, le

la scheda del film

giura di essere innocente e di essere stato scelto come capro espiatorio per la strage salvadoregna che non ha mai commesso. Claire decide di credergli ed assume la sua difesa davanti al Tribunale Militare ma, ben presto, si rende conto di non avere nessuna esperienza con le procedure penali militari e che tutte le sue conoscenze forensi in quel contesto non servono a nulla. Decide, allora, di rivolgersi ad un ex avvocato militare che, in cerca di riscatto dopo un brutto periodo della propria vita nel quale aveva ceduto all’alcolismo, accetta di buon grado di assumere la difesa di Tom. Mano, a mano che il processo va avanti, e proprio quando Claire sembra sicura dell’innocenza del marito, cominciano ad emergere nuovi elementi e nuovi fatti che la inducono a pensare che, forse, l’uomo che ama non è affatto quello che conosceva lei... Ma, poi, tre dei cinque testimoni che accusavano Tom di essere l’autore

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Produzione: New Regency Pictures, Manifest Film Company, Monarch Pictures, Epsilon Motion Pictures, Regency Enterprises Distribuzione: Medusa Distribuzione Personaggi e interpreti: Claire Kubik: Ashley Judd Charles W. Grimes: Morgan Freeman Tom Kubik / Ron Chapman: James Caviezel Ten. Terrence Embry: Adam Scott Jackie Grimaldi: Amanda Peet Gen. Bill Marks: Bruce Davison Agente FBI Mullins: Tom Bower Troy Abbott: Michael Shannon Colonnello Farrell: Jude Ciccolella Procuratore Distr.: Joe Mazza Ramona Phillip: Jesse Beaton Genere: Drammatico, Thriller Durata: 115 minuti, USA, 2002 della strage muoiono in circostanze misteriose e cominciano ad apparire sempre più evidenti le manipolazioni delle alte gerarchie militari. F


DALLE SEGRETERIE Roma Delegazione del Sappe a Regina Coeli

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n ogni occasione il leader del SAPPe, il Segretario Generale Donato Capece, si pone quale portavoce del lavoro degli uomini e delle donne appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria. Ed ecco, come non poteva non esserci la sua viva testimonianza al carcere romano di Regina Coeli, nella giornata di mercoledì 27 gennaio 2016, accompagnato dal Segretario Generale Aggiunto Giovanni Battista De Blasis, dal Segretario Regionale Maurizio Somma e dal Segretario Provinciale di Roma Giovanni Passaro. All’ingresso, sono stati ricevuti con viva accoglienza da parte del Direttore Dott.ssa Silvana Sergi e dal Comandante Commissario Rosario Moccaldo, i quali hanno seguito la visita per l’intera durata. Alla data del 31 dicembre 2015 i numeri del carcere romano, restano comunque piuttosto alti, ovvero 853 detenuti rispetto ai circo 600 posti letto regolamentari: 684 gli imputati, 169 i condannati. I detenuti stranieri

Cassino Delegazione del Sappe visita il carcere di Cassino

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l 2016, non è ancora del tutto iniziato, ed ecco che dopo la visita del 27 gennaio al carcere romano di Regina Coeli, il Segretario Generale Donato Capece giunge presso la Casa Circondariale di Cassino, accompagnato dal Segretario Generale Aggiunto Umberto Vitale e dal Segretario Regionale Lazio Maurizio Somma, nonchè dai quadri sindacali locali. La delegazione del primo e rappresentativo sindacato dei Baschi Azzurri, è stata ricevuta dal Vice Direttore dott.ssa Daniela Puglia e dal

sono circa 503, pari a quasi il 60% dei detenuti presenti. A tal proposito, il Segretario Generale tiene a sottolineare come il problema del sovraffollamento e la mancanza di risorse, siano costantemente al centro dell’attenzione, quale passo fondamentale per far funzionare al meglio gli istituti penitenziari. Aggiungendo, inoltre, come i detenuti che lavorano rimangono numeri davvero irrisori rispetto ai ristretti presenti. Di particolare intensità, è stato l’incontro con chi tutti i giorni, costantemente, svolge il proprio servizio tra le mura del carcere: gli uomini e le donne del Corpo di Polizia Penitenziaria. Un lavoro di particolare complessità, che si riesce a comprendere soltanto nel momento in cui, davvero ci si “immedesima” nel quotidiano di “chi indossa una divisa”, e che, nonostante tutte le difficoltà, s’impegna ogni giorno per svolgere al meglio le proprie mansioni, e lo fa con professionalità ed umanità, sempre! Ma, d’altronde, questo è il Corpo di Polizia Penitenziaria, e tutti noi ben conosciamo la realtà degli uomini e delle donne in divisa! Per tale motivazione, in ogni istante, si sceglie di rappresentarli al fine di tutelare i diritti di ognuno: questa è da sempre la missione del Sindacato. Commissario. La realtà di Cassino è anch’essa di difficile gestione, purtroppo sovraffollamento e scarsità delle risorse, rimangono quale tematica comune, simile molto alla precedente visita avvenuta presso il penitenziario romano di Regina Coeli. Ad oggi, Cassino ospita circa 239 detenuti quando, regolamentati sono invece circa 200 posti letto. In ambito di detenuti consta di 64 imputati, 175 i condannati, mentre i detenuti stranieri sono più di 100, quasi il 50% dei detenuti presenti. Nell’occasione si è avuto modo di ribadire come ad oggi, obiettivo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, non può e non deve essere soltanto quello di far uscire i detenuti dalle stanze detentive, necessario dovrebbe essere, invece, quello di trovare una soluzione alternativa valida ed

E proprio nell’occasione della visita al penitenziario romano, le parole chiavi del Segretario Generale Donato Capece, sono state: “La mia, la nostra presenza a Regina Coeli, vuole essere una testimonianza ed un segnale di solidarietà e di vicinanza ai colleghi, che svolgono il proprio lavoro, ogni giorno, nel carcere romano”.

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Perché il SAPPE è chi, per il Corpo della Polizia Penitenziaria, continua a volere il meglio e per questo sarà sempre in prima linea. F

efficiente, capace di impiegare in modo costruttivo la popolazione detenuta, evitando quindi di creare condizioni di completo ozio, che potrebbero diventare principale causa di eventi critici. Il personale del Corpo di polizia penitenziaria, non può ritrovarsi a lavorare continuamente in condizioni di disagio. Incontrare i colleghi del Corpo, significa essere vicini e testimoni, di

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Nelle foto: alcuni momenti della visita dei rappresentanti del Sappe agli istituti laziali

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quelle che sono le loro esigenze, perché quando si è il primo e più rappresentativo sindacato questo diventa il principale obiettivo. Il leader dei Baschi Azzurri, Donato Capece, al termine della visita ha incontrato i giornalisti ed i principali argomenti trattati sono stati inerenti alle seguenti tematiche: formazione del personale, incremento degli organici e distribuzione del personale, rinnovo del contratto, riordino delle carriere, laboratorio DNA, nuovi compiti della polizia penitenziaria, controllo del territorio, potenziamento delle misure alternative, maggiori risorse per l’edilizia penitenziaria. E’ davvero il principio dell’anno e la visita per le carceri ha appena avuto inizio, come si suol dire: “la storia continua...” F

Civitavecchia Il Leader dei Baschi Azzurri visita gli Istituti Penitenziari

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l primo tour di visite del Sappe all’interno degli istituti penitenziari della Regione Lazio, prosegue con la visita presso la Casa di Reclusione e la Casa Circondariale di Civitavecchia. E’ il 16 febbraio 2016, quando a fare ingresso presso la Casa di Reclusione di Civitavecchia,

sono il Segretario Generale Donato Capece accompagnato dal Segretario Regionale del Lazio Maurizio Somma e dal delegato Nazionale Mirko Manna. La delegazione viene ricevuta dal Direttore, dott.ssa Patrizia Bravetti, con cui intrattiene un dialogo inerente le criticità della struttura e tematiche di interesse generale. Ogni istituto si presenta con le proprie caratteristiche, ognuno diverso dall’altro, ed il nostro sindacato non si accontenta di farne un mix comune, preferisce invece prendersi dei momenti da dedicare interamente agli uomini e alle donne in divisa, per conoscerli da vicino. Regina Coeli, è stato solo l’inizio, Cassino e le due realtà di Civitavecchia, sono state le tappe successive, questo perché il Sappe, non si ferma a guardare sotto il proprio naso, sarebbe troppo semplice! Anche per questo, a tutt’oggi riusciamo a confermarci come il sindacato con il maggior numero di iscritti e per tale motivo la nostra mission viva ed accesa è quella di cercare sempre le soluzioni più idonee ed efficaci per risolvere le problematiche di tutti i giorni. E’ un nostro dovere verso i nostri iscritti che di volta in volta ci rinnovano la loro fiducia! La rappresentanza del Sindacato viene accolta dal Direttore, dott.ssa Rossella Santoro e dal Vice Commissario Emanuela Anniciello, responsabile del N.T.P.. Con particolare e dedita attenzione, si é proseguito con la visita sui posti di lavoro del personale del Corpo. Di grande intensità entrambe le visite ai due penitenziari, ove il Segretario Generale Donato Capece, ha dato voce ad argomenti di grande attualità e di interesse comune, toccando con mano quella realtà che i poliziotti di Civitavecchia, vivono ogni giorno durante lo svolgimento del proprio servizio. Una grande e positiva esperienza, questo primo viaggio tra le mura di alcune carceri laziali, “un primo tour”, si, perché non mancheranno future occasioni in cui il Sappe, si renderà protagonista di nuove visite presso le carceri! Questo è il nostro sindacato : Res non verba, fatti e non parole! F

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Trieste SAP, SAPPE e CONAPO insieme per il Carnevale dei bambini 2016 e per solidarietà con i bambini vittime di guerra

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el pomeriggio di venerdì 5 febbraio 2016, presso la sede del S.A.F.O.C. (Sindacato Autonomo Forze dell'Ordine in Congedo) di Trieste si è tenuta la festa di carnevale per i bambini.

Grande successo e apprezzamento da parte dei numerosi bambini e familiari intervenuti, al Carnevale dei bambini 2016 organizzato dal SAP (Sindacato Autonomo Polizia) SAPPe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) e CONAPO (Sindacato Autonomo Vigili del Fuoco). Anche in questa edizione il SAP, SAPPe e CONAPO, che assieme rappresentano il Comparto Sicurezza, hanno voluto condividere questo momento di divertimento e felicità con chi non ha avuto le stesse fortune e opportunità dei nostri bimbi, invitando i Bambini vittime della guerra della Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin. Un bel pomeriggio di felicità e allegria, condiviso dalle famiglie di chi ogni giorno garantisce la Sicurezza e il Soccorso Pubblico ai cittadini con quei bambini che nella vita non sono stati così fortunati. Un enorme ringraziamento va alla Pizzeria Mancini di via San Marco, 23 in Trieste che ha spontaneamente regalato tranci di pizza per la festa. Un ringraziamento va anche


DALLE SEGRETERIE

all’Associazione Gaia Eventi, che con l’ormai collaudata bravura, ha animato in modo perfetto la festa con giochi, balli, magia e attirando l’attenzione dei numerosi presenti con spettacolo di illusionismo. Un ringraziamento particolare va a tutti i partecipanti che con le loro maschere hanno contribuito ad animare la festa. F La Segreteria Provinciale

Massa Festa della Befana 2016. Polizia Penitenziaria e Telefono Azzurro attori protagonisti

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nche quest’anno, nella splendida cornice di Piazza degli Aranci a Massa, si è svolta la Festa de “La Befana di SOS il Telefono Azzurro Onlus” in collaborazione con Polizia Penitenziaria della Casa di Reclusione di Massa, la Polizia Stradale, la Polizia Municipale, il Motoclub Massa di “Aldovardi moto” e i Vigili del Fuoco, con il patrocinio della Provincia di Massa Carrara del Comune di Massa e CCN Massa da Vivere. Dopo le Missioni “Un mondo di pace, un mondo di sorrisi per tutti i bambini del Kosovo” e “Missione

Bucarest 2013” ancora una volta Polizia Penitenziaria e Telefono Azzurro di Massa Carrara insieme per i bambini, questa volta della Provincia. La befana del Telefono Azzurro si avvale, per il 3° anno consecutivo, della collaborazione della Polizia Penitenziaria, in quanto i volontari apuani gestiscono all’interno della struttura penitenziaria massese la “ludoteca”, realizzata per gli incontri tra i papà detenuti e i loro figli, nata per cercare di mantenere saldi i rapporti tra genitore recluso e bambini, e far si che i più piccoli vivano in maniera meno traumatica l’ingresso in una struttura penitenziaria. La manifestazione, ideata dai volontari apuani inizialmente in collaborazione con la Polizia Municipale di Massa giunta alla 15° edizione, ha avuto quest’anno anche la presenza dei motociclisti della Polizia Stradale, che insieme a quelli della Polizia Penitenziaria e al Motoclub Massa “Aldovardi-Moto” e ai Vigili Urbani, fin dalla mattina hanno accompagnato la befana nella consegna dei doni a bambini, ricoverati all’O.P.A., il famoso Ospedale Pediatrico Apuano del Cuore, alle Case famiglia e agli anziani ospiti in due strutture della città. La manifestazione ha avuto il suo apice nel pomeriggio alle 15,30 e anche i Vigili del Fuoco del Comando Provinciale, presenti in piazza con il personale e un autoscala, l’hanno arricchita inscenando il “salvataggio della vecchietta”. La befana, dopo essere partita dalla Casa di Reclusione di Massa accompagnata e scortata dai motociclisti, è arrivata in piazza Aranci, a Palazzo Ducale, sede della Prefettura e della Provincia di Massa Carrara, con il mezzo della Polizia Penitenziaria e, purtroppo, una volta salita sul tetto per prendere le “calzine“ piene di dolci da donare ai bambini, si è trovata nel bel mezzo di un incendio. Prontamente, i Vigili del fuoco, con tanto di sirena e stupore dei più piccoli, l’hanno fatta uscire dalla finestra e riportata “sana e salva” in piazza con la loro autoscala, tra gli applausi dei bambini che aspettavano gioiosi, non solo le

calzine che la befana e i volontari di Telefono Azzurro hanno cucito e riempito per loro, ma anche per la curiosità di di fare tante domande alla vecchina e di raccontare tante filastrocche e poesie a lei dedicate. Come nelle precedenti edizioni, la calza lunga 7 metri cucita dai volontari di Telefono Azzurro è stata appesa al terrazzino di Palazzo Ducale. A tutti i Comandanti Provinciali delle varie FF.PP., al Direttore della Casa Reclusione di Massa Maria Martone, al Comandante del Reparto Commissario Luisa Mainenti, al Vice Comandante e Coordinatore del locale Nucleo Traduzioni e Piantonamenti Commissario Andrea Gavarrino, nonchè a tutto il personale del Corpo

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che, anche quest’anno, hanno reso possibile l’evento, lasciando una bellissima immagine e una emozione negli occhi e nel cuore dei bambini presenti, e non solo. Un doveroso e particolare ringraziamento allo staff di Telefono Azzurro ed alla sua responsabile, Maria Giovanna Guerra. Arrivederci alla Befana 2017! F Mario Novani Segretario Provinciale Sappe

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Nelle foto: gli eventi che hanno visto protagonisti i bambini

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Torino Operazione “Vallette” della p.g. del Provveditorato di Torino coordinata dal NIC in collaborazione con la Squadra Mobile del capoluogo piemontese

C Nelle foto: il materiale equestrato

on l’esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Torino Luca Del Colle nei confronti di un dipendente della Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa circondariale torinese “Lo Russo e Cutugno” e di altre cinque persone, responsabili di reati quali corruzione, induzione alla corruzione, traffico di stupefacenti e medicinali, si è conclusa l’operazione “Vallette”, condotta in sinergia dalla Sezione Antidroga della Squadra Mobile di Torino, dall’Ufficio attività di P.G. del locale Provveditorato Regionale della Polizia Penitenziaria coordinato dal Nucleo Investigativo Centrale, sotto la direzione del Sostituto Procuratore

Teramo Rinvenuti telefoni cellulari all’interno dei Reparti detentivi

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el corso del mese di gennaio il personale della Polizia Penitenziaria in forza all’istituto di Teramo in due occasioni ha rinvenuto all’interno delle sezioni

Paolo Toso. Nelle prime ore del 15 febbraio, il provvedimento cautelare è stato eseguito a carico di: Leonardo Cici, nato a Santeramo in Colle (BA), classe ’86; Ismet Sulejmanovic, nato in Bosnia, classe ‘89; Fadila Sulejmanovic, nata in Bosnia, classe ‘73; Antonio Di Meo, nato a Torino, classe ‘89; Andrea Micci, nato a Catania, classe ‘85; Simona Linguaglossa, nata a Torino, classe 89, collocata agli arresti domiciliari. Nel corso dell’operazione sono stati inoltre indagati in stato di libertà altri tre dipendenti della Polizia Penitenziaria, in servizio presso la medesima Casa Circondariale, indiziati anche di simulazione di stati di malattia per assentarsi dal lavoro. L’operazione, scaturita da una indagine condotta dalla Polizia Penitenziaria del reparto torinese all’interno del carcere e sviluppatasi poi attraverso numerosi presidi tecnologici ed attività di osservazione diretta e pedinamenti, ha consentito di assicurare alla giustizia i responsabili

di un consolidato commercio di droga, medicinali, telefoni ed altri beni, che si sviluppava tra alcuni detenuti ed i loro complici all’esterno della struttura penitenziaria, con la compiacenza di alcuni appartenenti alla Polizia Penitenziaria. Talvolta, lo stupefacente, i telefoni cellulari ed altri oggetti proibiti dal regolamento carcerario venivano “lanciati” con fionde oltre le mura del carcere, ove venivano quindi recuperati dai detenuti, altre volte venivano introdotti dai pubblici ufficiali corrotti. Nel corso dell’attività investigativa - protrattasi per più di un anno - erano state arrestate altre tre persone (due detenuti ed un operaio, dipendente di una ditta esterna, addetto alla manutenzione delle caldaie dell’Istituto, che introduceva la droga sfruttando la propria funzione lavorativa) e sono stati sequestrati complessivamente kg. 1,5 di hascisc gr. 50 eroina e 10 telefoni cellulari, caricabatteria, medicinali, ed altri beni il cui possesso non è consentito dalla vigente normativa. F

detentive telefoni cellulari completi di schede SIM. Il primo cellulare è stato rinvenuto sulla persona di un detenuto a seguito di controllo ordinario mentre il secondo è stato rinvenuto durante la perquisizione ordinaria abilmente occultato all’interno del telaio della porta d’ingresso di una cella. Da primi accertamenti sembrerebbe che i telefonini sono stati introdotti all’interno dell’istituto con la complicità di famigliari in occasione di visite per colloqui, nascondendoli

nelle parti intime. La Segreteria Sappe di Teramo nel compiacersi con il personale di Polizia Penitenziaria teramano per le brillanti operazioni senza l’ausilio di idonei strumenti dimostrando grande professionalità, si auspica che l’Amministrazione decida nel più breve tempo possibile di installare nei punti sensibili per l’ordine e la sicurezza idonei “metal detector” come quelli in uso nei tribunali, potenziare il sistema di videosorveglianza e automatizzare le postazioni di servizio. F

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DALLE SEGRETERIE Biella Il Sappe incontra la direzione dell’istituto

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l giorno 19 febbraio 2016, presso la Casa Circondariale di Biella, la delegazione del Sappe

Napoli SuperMareCross: spettacolo di motocross agli Internazionali d’Italia di Miliscola

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el fantastico scenario di Bacoli nella Baia dei Campi Flegrei il 24 gennaio si è svolta la prima prova dei Campionati Internazionali d’Italia su sabbia “Supermarecross” Trofeo Gaetano Di Stefano e la prima prova del Campionato Italiano Supermare Quadcross. La baia è stata completamente invasa dal pubblico stimato oltre 20.000 persone tutti a godersi il fantastico evento di apertura ufficiale della stagione motocrossistica in Italia. Il bel tempo, la location scelta dagli organizzatori, i MotoClub Cerbone e Cumaricambike con le iniziative promosse dal Lido Turistico beach park che hanno fatto la

composta dal Segretario Regionale Vicente Santilli, dal Segretario Nazionale Nicola Sette e dai Segretari Locali Sebastian Pisano, Alessio Larocca e Roberto Cesarini si è incontrata con il Direttore dell’Istituto piemontese Antonella Giordano e il Vice Comandante Commissario Domenica Notarfrancesco. La direzione è stata molto disponibile a

valutare e risolvere alcune criticità rappresentate dal Sappe. Sono stati esaminati alcuni punti che investono la materia della organizzazione del lavoro del personale del Corpo. E’ stato visitato, inoltre, il nuovo padiglione dell’istituto, una struttura interamente automatizzata e i relativi posti di servizio. F

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differenza, tanto da poter dire tranquillamente che questa gara è sicuramente tra gli eventi più belli e di successo di questi ultimi anni. La ciliegina sulla torta sono stati i piloti in gara che hanno offerto grande spettacolo dando vita a fantastiche gare in ogni categoria, la pista ben realizzata ha permesso che lo spettacolo si amplificasse tanto che il pubblico è rimasto incollato a bordo pista per tutta la giornata. A dirigere la manifestazione c’era il Sovrintendente della Polizia Penitenziaria Ciro Borrelli in veste di Ufficiale Nazionale della Federazione Motociclistica Italiana. F

Nelle foto: alcune fasi dell’evento motociclistico

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CRIMINI E CRIMINALI

Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

Madri che uccidono i propri figli - parte I

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Nella foto: Megan Huntsman

uccisione di un bambino – e peggio ancora di un neonato – per mano di sua madre è il fatto di cronaca più impressionante della nostra società e sicuramente anche della nostra civiltà, un gesto così violento che è impossibile giustificarlo.

questo caso è una vendetta, uno strumento di potere e di rivalsa nei confronti del coniuge. In questo si scorge il raggiungimento da parte della madre di un vero e proprio delirio di onnipotenza, giudice supremo di vita e di morte (“io ti ho dato la vita, io posso togliertela”).

Le ragioni che spingono a compiere un atto così orribile sono tante, si tratta di un insieme di situazioni, di sofferenze, di violenze psicologiche, di incomprensioni, di abbandoni, di solitudini e di miserie, che nella stragrande maggioranza dei casi durano da tempo. In psicologia questo particolare quadro clinico viene definito Sindrome di Medea e sta ad indicare una madre che uccide la sua stessa prole. Nella mitologia Medea uccise i propri figli per punire Giasone, il suo sposo, reo di essersi innamorato di un’altra donna. Seppur la Sindrome di Medea o Complesso di Medea venga menzionato talvolta solamente in relazione al dramma dell’uccisione dei figli, essa è definita come il comportamento materno finalizzato alla distruzione del rapporto tra padre e figli dopo le separazioni conflittuali: così l’uccisione diventa simbolica e ciò che si mira a sopprimere non è più il figlio stesso ma il legame che ha con il padre (1). L’infanticidio in

Le madri Medea sono afflitte da gelosia patologica e, nel trattare la gelosia come un sentimento, non si può non sottolineare il carattere profondo e la sua progressiva intensificazione, oppure considerarla anche come una passione (visto che deriva dal greco “patire”, pathêin), in quanto il geloso non agisce, ma subisce o più precisamente prima di agire subisce (2). Parlare solo del “complesso di Medea” appare comunque riduttivo rispetto alle cause che possono portare all’uccisione del proprio figlio. La categoria è molto vasta e appare doveroso fare cenno anche ad altre possibili cause: l’atto impulsivo delle madri che sono solite maltrattare i figli e usare la violenza fisica contro di loro; le madri che uccidono i figli avuti da gravidanze non desiderate e che collegano la nascita del figlio a qualche evento per loro traumatico: come l’abbandono da parte del partner o la violenza sessuale subita; le madri che trasformano i loro figli in capri espiatori di tutte le loro

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frustrazioni e che ritengono l’unica e angosciosa rovina della propria esistenza; le madri che ripetono sul loro figlio le violenze che hanno subito; le madri che uccidono il figlio perché pensano di “salvarlo”; le madri che uccidono il figlio per non farlo soffrire. Spesso una categoria non esclude l'altra o, meglio, talvolta potrebbe esserci una sovrapposizione di cause. La storia, anche recente, purtroppo è piena di casi di infanticidi ma in questa prima parte dell’articolo ho ritenuto accantonare, solo due, molto diversi tra loro. Il primo “americano”, caratterizzato dal numero elevato di vittime di bambini e dalla circostanza di aver continuato a vivere nella quotidianità, con altri tre figli, nonostante il peso degli omicidi; il secondo, “italiano”, per la grande risonanza mediatica, caratterizzato, anche in questo caso, dall’assassina che vive l’immediatezza della morte in maniera lucida e tranquilla, addirittura presentadosi, a distanza di qualche mese, al “Maurizio Costanzo show”. Nella storia recente, per il numero di uccisioni, la vicenda di Megan Huntsman è senza dubbio quella più atroce. Megan è una donna di 40 anni, di Pleasant Grove, nello Stato americano dello Utah, accusata e condannata all’ergastolo, nell’aprile del 2015, per aver ucciso sei dei suoi figli neonati e di averne occultato i cadaveri in garage. A denunciare la donna era stato l’ex marito, Darren West, il quale mentre puliva il garage con la figlia, aveva rinvenuto, all’interno di una scatola dalla quale proveniva un odore nauseabondo, un cadavere putrefatto di un neonato. Era l'aprile del 2014 e l'uomo era da poco tornato a casa dopo aver scontato otto anni di carcere per reati legati alla droga. Megan Huntsman aveva vissuto nella casa dell’ex marito fino a tre anni prima. Megan Hunstman non ha mai negato le sue responsabilità, confessando gli omicidi giustificandosi dicendo di essere stata troppo dipendente dalle metanfetamine per potersi prendere cura dei bambini. Raccapricciante la ricostruzione dei


CRIMINI E CRIMINALI delitti emersa durante l'inchiesta: per non essere scoperta, la Huntsman nascondeva le gravidanze, dava alla luce i piccoli in casa e poi li soffocava e strangolava con le sue mani, pochi minuti dopo la loro nascita. Gli omicidi sarebbero avvenuti fra il 1996 e il 2006. Raccapricciante è la circostanza che la donna aveva altre tre figlie, fra i 13 e i 20 anni all’epoca della condanna, e quindi alcuni degli omicidi sarebbero avvenuti proprio mentre le altre figlie erano già in vita e nella stessa abitazione. Certamente, in questo caso, l’uso abituale di metanfetamine, con i relativi effetti irreversibili sulle cellule cerebrali, ha contribuito a porre in essere comportamenti cosi atroci che hanno portato all’uccisione dei neonati, ma che certamente non spiegano come può una madre uccidere per ben sette volte i propri figli e continuare a svolgere una vita normale e, soprattutto, a nascondere a sé e ai suoi ulteriori tre figli di essere un’assassina. Anche Samuele, di anni 3, è morto per mano della sua mamma, nella loro casa a Montroz, una frazione di Cogne. La mattina del 30 gennaio del 2002, verso le ore 8,28, Annamaria Franzoni telefona al 118 per comunicare il rinvenimento del figlio riverso sul letto matrimoniale con sangue alla bocca. La prima persona ad arrivare sul luogo del delitto è il medico di famiglia, la dottoressa Ada Satragni, chiamata poco prima. Il medico rileva delle profonde ferite sulla teste del piccolo e ipotizza un aneurisma cerebrale, tenta, inoltre, disperatamente di fare qualcosa con manovre di rianimazione. I soccorritori del 118, sopraggiunti poco dopo in elicottero, data la difficoltà di raggiungere quei luoghi, comprendono da subito la gravità della situazione del bambino. Vengono quindi avvisati i Carabinieri che effettuano un primo sopralluogo nella villetta della famiglia, mentre Samuele viene trasportato in ospedale. Alle 9.55 il piccolo Samuele muore. L'autopsia rileverà che il bimbo è morto a causa di diciassette colpi inferti sulla testa con un corpo

contundente. La madre, unica persona presente in casa, viene interrogata per più di due ore dagli inquirenti e racconta che, mentre Samuele dormiva, aveva accompagnato Davide, l’altro figlio, allo scuola-bus e che al ritorno aveva trovato il figlio che vomitava sangue ininterrottamente. La madre, inoltre, sostiene che qualcuno si è introdotto nella villetta e ha ucciso Samuele. La tesi sostenuta dalla Franzoni, da subito, non convince la Procura, che il 7 marzo, dopo l’iscrizione nel registro degli indagati, ne chiede l’arresto. La notte del 14 marzo, la Franzoni viene arrestata con l'accusa di omicidio volontario del figlio Samuele e condotta nel carcere delle “Vallette” di Torino. Il successivo 30 marzo, la donna viene scarcerata. Il GIP dispone una perizia psichiatrica sulla donna le cui conclusioni la dichiarano: “sana di mente e capace di intendere e di volere. Il riferimento, come più volte ribadito, è esclusivamente di tipo cronologico, non potendo prendere compiutamente in considerazione la relazione col fatto” (conclusioni finali della perizia psichiatrica del 2002). La donna, inoltre, nel corso delle sedute, fa una particolare dichiarazione agli psichiatri: dice di non poter più mettere al mondo altri figli in una società che gliene ha tolto uno. Nel successivo mese di maggio, la Franzoni era già in attesa del terzo figlio, che nascerà nel gennaio dell’anno successivo! Il 19 luglio 2004, il gip di Aosta Eugenio Gramola condanna Annamaria Franzoni, con rito abbreviato, a 30 anni di reclusione ritenendola responsabile dell'omicidio di Samuele. Il 27 aprile 2007 la Corte d'Appello di Assise condanna la Franzoni a 16 anni di reclusione riducendo la pena, rispetto alla sentenza di primo grado, perché le vengono riconosciute le attenuanti generiche. La Corte di Cassazione nel 2008 conferma sia la condanna che la pena per la Franzoni che finisce definitivamente in carcere col divieto di vedere i figli fuori dal carcere stesso perché una nuova perizia psichiatrica ha stabilito il pericolo di reiterazione del reato. Il movente dell’omicidio

sarebbe stato un semplice capriccio del figlio Samuele che ha spinto la Franzoni a uccidere. Anche se non è stato possibile per la Suprema Corte individuare con "certezza" la "causale od occasione che originò il gesto criminoso", si suppone che la donna abbia reagito a qualche capriccio del bambino (come ha raccontato la stessa Annamaria, Samuele si era svegliato e alzato proprio mentre lei stava uscendo con l'altro figlio, Davide) e abbia agito in preda ad uno "stato passionale" momentaneo. Secondo quanto scritto nella sentenza, la donna era, senza motivi concreti,

preoccupata "per la normalità ed il regolare sviluppo di Samuele, tanto da avere manifestato il presagio di una sua possibile morte prematura". Il 26 giugno 2014, la Franzoni esce dal carcere della Dozza di Bologna per fruire degli arresti domiciliari. Nel febbraio 2015 la Procura di Bologna fa ricorso in Cassazione contro la concessione dei domiciliari in favore di Annamaria Franzoni. Ma il 28 aprile 2015 il Tribunale di Sorveglianza le proroga i domiciliari e continuerà a scontare la pena nella sua casa di Ripoli Santa Cristina. Oggi la Franzoni fa la mamma a tempo pieno e terminerà di scontare la pena nel luglio 2019. Alla prossima... F (1) Jacobs, J.E., M.D. (1988). Euripides medea: A psychodynamic model of severe divorce pathology. American Journal of Psychotherapy, 42(2), 308-319. (2)Van Sommers P. (1993), La gelosia, Laterza, Roma-Bari.

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Nella foto: Annamaria Franzoni in carcere


a cura di Giovanni Battista de Blasis

COME SCRIVEVAMO

La memoria del dolore: le Fosse Ardeatine di Assunta Borzacchiello Più di venti anni di pubblicazioni hanno conferito al mensile Polizia Penitenziaria Società Giustizia & Sicurezza la dignità di qualificata fonte storica, oltre quella di autorevole voce di opinione. La consapevolezza di aver acquisito questo ruolo ci ha convinto dell’opportunità di introdurre una rubrica - Come Scrivevamo che contenga una copia anastatica di un articolo di particolare interesse storico pubblicato tanti anni addietro. A corredo dell’articolo abbiamo ritenuto di riprodurre la copertina, l’indice e la vignetta del numero originale della Rivista nel quale fu pubblicato.

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cinquantanni dalla Liberazione, dalla vittoria sul nazifascismo, dal ritorno della democrazia dopo la dittatura fascista, il dibattito tra destra e sinistra è aperto su un tema che, alla luce dei recenti cambiamenti del panorama politico italiano, è oggi di grande attualità. Da diverse parti politiche si pone l'esigenza di legittimare la nuova destra che aspira ad essere inserita a pieno titolo nelle forze democratiche del Paese, ma nella fretta di compiere tale operazione si prendono le distanze dal passato, mettendo sullo stesso piano partigiani e repubblichini, si gettano ombre sinistre sulle formazioni partigiane protagoniste della lotta di liberazione, ridimensionando il ruolo delle popolazioni civili che stabilirono una catena di solidarietà indispensabile per la lotta di Liberazione. L'eccidio delle Fosse Ardeatine ha segnato una delle pagine più dolorose della storia del nostro Paese. Le Fosse Ardeatine, all'indomani della Liberazione, furono trasformate in mausoleo dove giacciono le 335 vittime della strage a perenne ricordo della furia e dello scempio nazista. l FATTI l fatti che condussero all'eccidio si inquadrano nella situazione verificatasi in Italia all'indomani dell'armistizio dell’8 settembre 1943. In breve ne percorriamo le principali tappe: il 2 5 luglio dello stesso anno, nella sala del mappamondo di Palazzo Venezia a Roma, in una drammatica seduta del Gran Consiglio del Fascismo, e di concerto con il re, era stato votato l' ordine del giorno a firma Dino Grandi con il quale Mussolini veniva deposto e successivamente messo agli arresti, al Gran Sasso, da Vittorio Emanuele II. Al suo posto, come Capo del Governo, subentrava il Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio che firmò appunto l'armistizio dell’8 settembre. La notizia fu accolta dalla gente con un'esplosione di giubilo, resa visibile

dalla distruzione nelle strade dei simboli del fascismo. Era la fine della dittatura. Poco dopo il Re, che in questo modo aveva sciolto il sodalizio con il fascismo, che pure aveva appoggiato e avallandone le scelte per circa due decenni, incluse le leggi razziali del 1938, e Badoglio fuggirono a Brindisi sotto l'ala protettiva degli Alleati determinando una situazione drammatica dovuta alla decisione unilaterale di interrompere il conflitto: era l'inizio della guerra civile. Il 12 settembre1943 i tedeschi liberarono Mussolini che, proclamando la continuazione della guerra, fondò la Repubblica Sociale Italiana, più nota come Repubblica di Salò, ovvero un Governo fantoccio in contrapposizione al Governo badogliano. Fu ricostituito anche il partito fascista che assumeva il titolo di "Repubblicano" (PFR). L'Italia veniva riconosciuta "cobelligerante" e il 13 ottobre dello stesso anno Badoglio dichiarava guerra alla Germania. l tedeschi, man mano che gli anglo americani occupavano il sud, si ritirarono nei territori posti a nord della cosiddetta linea gotica, ma che fino al giugno 1944 comprendeva anche Roma. Nei territori occupati dai tedeschi, soprattutto al nord, si costituiva il Comitato di Liberazione Nazionale (CNL) con i principali partiti antifascisti: PCI, DC Partito d'Azione, PSI, PLI, Democrazia del Lavoro. Roma diventa "città aperta", posizione riconosciuta internazionalmente, ma non rispettata dai tedeschi, che rastrellano persone da inviare ai lavori forzati in Germania, lo stesso avviene nelle altre zone occupate. La ferocia degli occupanti si scaglia sulla capitale con inaudita violenza, con un rigore maggiore di quella attuata nelle altre città, probabilmente perché era noto che nella capitale si erano raccolti molti esponenti dei partiti antifascisti e molti erano gli oppositori del regime fascista rifugiati nelle chiese e nei conventi all'indomani della seduta del Gran Consiglio del 25 luglio.

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L'OCCUPAZIONE TEDESCA A Roma la polizia militare tedesca era guidata da Herbert Kappler, feroce protagonista ed esecutore della barbarie nazista. Roma, capitale di un Paese oltraggiato, diviso, martoriato, diventa l'obiettivo privilegiato della vendetta del regime nazista che, oltre a rastrellare uomini destinati a lavorare per i tedeschi sia in Germania che in Italia, attuava una caccia spietata verso coloro che erano ritenuti pericolosi oppositori dei tedeschi. Tra gli episodi più vergognosi attuati dai tedeschi ai danni della comunità ebraica di Roma ci fu l'arrogante richiesta di cinquanta chilogrammi d'oro fatta da Kappler il 26 settembre 1943 alla comunità israelitica. Il 28 settembre, dal Tempio Maggiore degli Ebrei, venivano asportati numerosi documenti e la somma di Lire 2.021.540 custodita nella cassaforte del Tempio. Nei giorni successivi dalla biblioteca della comunità ebraica e del Collegio Rabbinico furono asportati e inviati a Monaco i preziosi volumi. Il pagamento dei cinquanta chili d'oro, secondo lo falsa promessa fatta da Kappler ai vertici della comunità ebraica, doveva costituire una sorta di riscatto affinché non si procedesse al rastrellamento degli ebrei, ma gli accordi non vennero rispettati e il 16 ottobre 1943 inizia la caccia agli abitanti del ghetto. Uno speciale reparto delle SS al comando del capitano Donneker, al quale erano stati affiancati altri 20 agenti di P.S. inviati dal questore di Roma Caruso, eseguì un tragico rastrellamento, durante il quale vennero catturati circa mille ebrei destinati ai campi di concentramento tedeschi, altri mille furono catturati nei mesi successivi. Alla fine della guerra solo dieci


COME SCRIVEVAMO internati nei lager nazisti fecero ritorno a Roma. L'ATTENTATO DI VIA RASELLA Le reazioni delle organizzazioni clandestine a carattere militare, che si erano costituite dopo 1'8 settembre, si manifestavo con atti di sabotaggio, attentati contro autocolonne tedesche o comandi militari che continuano a percorrere la città e dintorni. L'attentato di via Rasella si colloca in questa strategia di opposizione al giogo nazista, nello lotta contro un' occupazione che appariva ancor più odiosa per le persecuzioni perpetrate ai danni dello popolazione civile e inerme. L'attentato fu predisposto da un gruppo di 16 partigiani appartenenti ai G.A.P., il giorno scelto era il 23 marzo 1944, ricorrenza della fondazione dello milizia fascista. Era stato notato che ogni giorno una colonna di SS transitava per via Rasella alla stessa ora, un gruppo di patrioti, travestiti da netturbini, collocò nella strada un carretto della spazzatura contenente 12 chilogrammi di esplosivi. Al passaggio di una compagnia di 160 SS del Battaglione Bozen, al segnale convenuto venne accesa la miccia e la bomba esplose. Erano le ore 14. Subito dopo lo scoppio alcuni giovani che sostavano all’angolo di via Boccaccio lanciarono bombe a mano contro il resto della compagnia. Il bilancio finale delle vittime fu di 26 militari uccisi all'istante, 6 morti in ospedale nella notte del 23 marzo, 1 deceduto nella mattina del giorno successivo, per un totale di 33 vittime e numerosi feriti. Oltre ai militari tedeschi rimasero uccisi due civili, un bambino, morto per lo scoppio e un adulto, morto a causa della sparatoria che seguì all'attentato. LA RAPPRESAGLIA E L’ECCIDIO Lo rappresaglia tedesca venne organizzata immediatamente, non appena il generale Maeltzer, comandante della città di Roma, che stava banchettando con altri gerarchi nazisti nel vicino hotel Excelsior, arrivò sul posto. I testimoni raccontarono che si scatenò una feroce caccia all'uomo, di casa in casa, di bottega in bottega, per strada. Furono arrestate circa duecento persone, decine di esse furono allineate presso i cancelli di Palazzo

Barberini e fucilate sul posto, molte altre furono inviate nelle famigerate carceri di via Tasso, via Romagna e Palazzo Braschi. Kappler giunse in via Rasella alle 15,30 circa, dove si incontrò con Maeltzer da cui ottenne l'incarico di provvedere personalmente alla rappresaglia. Hitler fece arrivare l'ordine di uccidere dieci italiani per ogni soldato tedesco morto nell'attentato. Kappler stilò una lista di 270 persone detenute nelle prigioni di via Tasso e di Regina Coeli, i nominativi di oltre 50 furono scelti dal prefetto Caruso tra i detenuti a sua disposizione. I ntanto era arrivata la notizia che un altro soldato tedesco era deceduto o causa dell'attentato e Kappler aggiunse altri dieci nominativi, ma per un "eccesso di zelo", pensò di inserire nella lista altri 5 ostaggi, per un totale di 335 prigionieri.

ostaggi venivano fatti scendere dai camion all'ingresso delle cave e condotti all'interno delle gallerie illuminate da alcune torce. L'esecuzione avveniva con un unico colpo alla nuca, secondo le direttive degli ufficiali nazisti. Kappler intervenne personalmente in molte esecuzioni. La notizia dell'attentato apparve sulla stampa il 25 marzo, ad esecuzione avvenuta: " ...32 uomini della polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. ...il comando tedesco perciò ha ordinato che per ogni tedesco assassinato dieci criminali comunisti badogliani saranno fucilati. Quest'ordine è stato già eseguito". Completate le 335 esecuzioni furono fatte brillare alcune mine per ottenere il crollo delle gallerie e impedire la scoperta dei cadaveri.

Durante il processo a cui il gerarca nazista venne sottoposto dopo la fine dello guerra, la difesa cercò di giustificare l'inserimento delle 5 vittime in soprannumero sostenendo che vi era stato un errore nella trascrizione degli elenchi. Le modalità con cui furono prelevati i prigionieri per essere condotti sul luogo dell'eccidio furono ricostruite dall'inchiesta eseguito dal Comando di Polizia Alleata all'indomani della strage. Le vittime erano state caricate su alcuni camion in uso per il trasporto di carne macellata, in gruppi di 70, 80 per volta e condotte alle cave Ardeatine, antiche gallerie di pozzolana che si sviluppano su una lunghezza che varia dai cinquanta ai cento metri, un'ampiezza di tre metri e un'altezza oscillante dai quattro ai sei metri, percorrendo la via Appio antica, mentre le strade erano presidiate dai tedeschi. Le mani legate dietro la schiena gli

LA SCOPERTA DEL MASSACRO Nonostante le precauzioni usate dai nazisti per tenere segreto il luogo dell'eccidio, ben presto esso venne individuato dalla popolazione di Roma. Il primo sopralluogo ufficiale alle cave venne fatto dalla Commissione d'Inchiesta all'inizio del luglio del 1944. Rimosse le frane che ostruivano le cave si procedette all'identificazione dei punti in cui erano ammassate le salme, il 26 luglio si diede inizio all'esumazione. Nelle grotte venne allestito un gabinetto igienico-sanitario per lo studio medico-legale dei cadaveri. La scena che si presentò agli occhi della commissione era agghiacciante: mucchi di cadaveri ammassati l'uno sull'altro ricoperti da melma, terriccio, in avanzato stato di decomposizione, in parte saponificati e in parte mummificati, membra sparse, teste staccate dal busto, insetti e roditori che

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Nel box: accanto al titolo la copertina del numero di giugno 1995

sopra a sinistra Herbert Kappler a destra il carrettino dell’attentato di Via Rasella

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COME SCRIVEVAMO

Nella foto a destra la lapide posta all’ingresso del Mausoleo delle Fosse Ardeatine

Nei box: la vignetta ed il sommario del numero di giugno 1995

si accanivano sui corpi. Il lavoro di ricomposizione dei cadaveri fu arduo e ancor più lo fu il riconoscimento di essi. L'ammasso di salme e la loro

andati distrutti durante tutto il periodo che i corpi erano rimasti sepolti nelle cave, materiale messo a confronto con oggetti fatti pervenire dai parenti delle vittime.

posizione, mani legate e ginocchia piegate in avanti permise di stabilire che l'ostaggio vivo era stato condotto sullo strato di cadaveri e lì ucciso, ciò stava o dimostrare che alla barbarie dell'esecuzione si era aggiunta una ulteriore quanto inutile ferocia. La cronaca di quei terribili giorni dell'esumazione e del riconoscimento dei cadaveri fu documentato dal prof. Attilio Ascorelli dell'Università di Roma, coraggioso protagonista dell'indagine tecnica per le identificazioni.

L'identificazione fu possibile per 323 salme, 12 sono rimaste vittime ignote. Le vittime furono così classificate: 247 cattolici, 73 ebrei e 2 di religione non accertata; per l'età: 1 ragazzo di 14 anni, 1 di 15, 2 di 17, 5 di 18 anni, 10 tra i 60 e i 70 anni e 1 di 70, gli altri avevano un'età tra i 18 e i 60 anni. Relativamente alla professione: 39 militari, 54 commercianti, 28 impiegati, 24 professionisti tra cui l l avvocati, 3 medici, 5 ingegneri, 9 studenti, e poi professioni varie quali operai, artigiani, e infine, un sacerdote: Pietro Pappagallo di 56 anni. Al recupero dei corpi presero parte 10 ufficiali e 30 fra sottoufficiali e vigili del fuoco per un totale di 1200 giornate lavorative.

La commissione da lui capitanata svolse un'indagine meticolosa per il recupero di tutti gli elementi quali oggetti personali, foggia e qualità degli abiti, fotografie dei familiari, pezzetti di carta e documenti che non erano

IL PROCESSO Il processo ai responsabili dell'eccidio fu celebrato nel 1948, Kappler venne ritenuto responsabile di omicidio volontario continuato aggravato, in quanto per ciascuno degli omicidi si ero agito con crudeltà verso le vittime. Come si è visto esse, condotte all'imbocco delle cave, sostavano in attesa che arrivasse il proprio turno e intanto udivano gli spari e le urla di chi le avevo precedute, entrate poi nelle grotte scorgevano i corpi e venivano costrette a salire sugli ammassi dei cadaveri dove venivono infine uccise. Venne provato che Kappler non aveva agito per l'impeto, ma sussisteva il dolo riflessivo sfociato dalla ulteriore designazione delle dieci vittime aggiunte alla notizia del 33° morto tedesco. Herbert Kappler venne condannato dal Tribunale Militare alla pena

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dell'ergastolo per il reato di omicidio pluriaggravato e a quindici anni di reclusione per il reato di requisizione arbitraria con isolamento diurno per quattro anni. La sentenza fu emessa il 20 luglio 1948. Il condannato interpose ricorso per nullità avanti al Tribunale Supremo Militare il 21 luglio 1948. La sentenza passò in giudicato il 24.7. 48. Con sentenza del 25.10.52 venne rigettato il ricorso di Kappler, nello stesso giorno la sentenza divenne esecutivo. Il 19.12.53 la Corte Suprema di Cassazione dichiarò inammissibile il ricorso di Kappler avverso la sentenza del Tribunale Supremo Militare del 25.10.1952. l coimputati di Kappler vennero assolti dal reato di omicidio continuato in quanto agirono per ordine superiore.

IL MAUSOLEO Sul luogo dell'eccidio venne creato il Sacrario delle Fosse Ardeatine solennemente inaugurato nel 1949. Le salme sono state collocate in un vasto sepolcro interrato, ricoperto da una grande pietra tombale che rievoca simbolicamente l'oppressione e l'occultamento delle vittime. Le tombe, tutte uguali, in granito, sono state riunite in 7 doppi filari. La sequenza delle tombe rispetta l'ordine di esumazione dalle grotte. All'interno delle gallerie, su una lapide di marmo nero, si legge il seguente messaggio: "Fummo trucidati in questo luogo perché lottammo contro la tirannide interna per la libertà e contro lo straniero per l'indipendenza della Patria. Sognammo un’Italia libera, giusta, democratica. Il nostro sacrificio ed il nostro sangue ne siano la sementa ed il monito per le generazioni che verranno." F


DIRITTO DI REPLICA

Lettera al Direttore Oggetto: chiarimenti relativi all’articolo pubblicato sulla rivista numero 234 di dicembre 2015 «Una relazione di servizio» all’indomani del gravissimo evento sismico di L’Aquila

C

on riferimento all’articolo richiamato in oggetto la sottoscritta ritiene doveroso partecipare alle SS.LL. la visione completa di quanto narrato dall’autore dell’articolo, documentata negli atti in possesso della Direzione della CC di l’Aquila e del DAP, sul reale svolgimento delle operazioni di attuazioni del piano antisismico dell’istituto aquilano in occasione del sisma dell’aprile 2009. L’articolo dell’allora coordinatore del Rom, infatti, offre un punto di vista parziale degli avvenimenti narrati come se lo stesso li avessi gestiti in totale autonomia e nel loro complesso. Alla Direzione della rivista si chiede di voler pubblicare lo scritto che segue. Alla Direzione Generale del Personale si segnala detto scritto perché si ritiene opportuno che venga a conoscenza dell’esistenza dello stesso, prodotto nell’ambito di un servizio che avrebbe dovuto esaltare le specificità di un settore del Corpo. La sottoscritta, all’epoca Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria della CC di L’Aquila, come emerge dall’articolo richiamato, nella notte del 6 aprile era presente nell’alloggio di servizio ed è scesa tempestivamente nel piazzale antistante gli alloggi di servizio per dare corso al coordinamento del piano antisismico (previsto dal piano sicurezza della struttura detentiva). L’evento, ben noto per la sua serietà e conseguenti devastanti, ha determinato da subito preoccupazione e sgomento sia tra il personale sia tra la popolazione detenuta. Non appena raggiunto l’esterno degli alloggi, infatti, ho trovato diverso personale in condizioni di notevole spavento ed allorquando mi si è avvicinato il coordinatore del Rom per chiedermi

determinazioni gli ho riferito di precedermi in istituto ed iniziare con il personale a disposizione le operazioni di verifica ed evacuazione delle camere detentive dei reparti 41 bis, poiché io avrei dovuto contattare il direttore e coordinare la Sorveglianza Generale per l’attuazione del piano antisismico in tutto l’istituto. Dopo essermi accertata dello stato del personale presente nel piazzale e nei diversi posti di servizio dell’istituto (vigilanza armata, portinerie, sala regia ecc.) ed aver condiviso i protocolli di intervento con l’autorità dirigente, sopraggiunta sul posto, provvedevamo ad accertarci personalmente delle condizioni di sicurezza del personale, dell’Istituto e di tutta la popolazione detenuta che constava non soltanto di detenuti sottoposti al regime detentivo dell’art. 41 bis O.P. ma anche di detenuti comuni. Le operazioni di messa in sicurezza dei ristretti e di coordinamento del personale si sono svolte non soltanto secondo le rigorose previsioni del piano antisismico ma con una fermezza e lucidità da parte della scrivente e del direttore tale che a ripensarci a quasi sette anni di distanza ci si sorprende! I riconoscimenti della gestione dell’evento sia verbali che scritti ottenuti dagli uffici superiori ne sono conferma. Ciò è stato possibile grazie a tutti i poliziotti presenti quella notte in istituto e la provvidenzialità della presenza e del pronto intervento di un cospicuo numero di personale Rom è stato un elemento decisivo ed apprezzato da subito. Per tali motivi e per non aver avuto nessun sospetto, né dichiarazione da chicchessia di inefficienza o di titubanza sia della sottoscritta che dell’intero reparto che allora comandavo (per tale si intende ovviamente sia il personale del quadro permanente che l’aliquota del Rom) non si comprende l’artata ricostruzione fatta dall’allora coordinatore del Rom. Infatti, si ritiene che aldilà dell’abbigliamento della sottoscritta (che non era un pigiama) e di “una collega del Rom” andava menzionato tutto il personale aquilano che è accorso in istituto qualche ora dopo l’evento per dare manforte ai colleghi ed anche nei

giorni successivi è stato presente in maniera encomiabile nonostante le case diroccate e le famiglie nei campi della Protezione Civile ed in seguito anche sulla costa abruzzese. Andava evidenziato altresì il personale del reparto che ha ricevuto onorificenze per operazioni connesse all’evento a testimonianza della costante e preziosa presenza in quei frangenti e nei giorni successivi! A fronte di tali iniziative appaiono inezie i numeri del personale di L’Aquila che ha raggiunto i propri cari in seguito all’evento sismico. Tanto mi è doveroso sottolineare rilevato che l’allora coordinatore del Rom ha illustrato un punto di vista parziale, sebbene dalla narrazione si lasci intendere che le intere operazioni di evacuazione dell’istituto, sfollamento notturno e sistemazioni della camere di pernottamento siano state non soltanto poste in essere ma addirittura gestite in totale autonomia dallo stesso a fronte di un comando e di una direzione totalmente assenti. Le suddette circostanze che è doveroso moralmente e professionalmente ricordare sono quelle fondamentali e necessarie per dare luce a molti punti oscuri che ad un attento lettore non sono sfuggiti, in un articolo che avrebbe dovuto evidenziare tutte le professionalità che hanno operato. Gli avvenimenti sismici e post sismici sono stati sempre narrati da chi scrive con gratitudine professionale ed umana verso tutti coloro che hanno dimenticato la paura, trascurato gli affetti e superato gli egoismi per contribuire alle operazioni sopra descritte a prescindere dagli abiti o dalla specifica professionalità posseduta. E tra questi anche il personale del reparto operativo mobile presente presso la CC di L’Aquila che è stato sempre parte integrante dell’unico reparto di Polizia Penitenziaria di L’Aquila che ho avuto l’onore di comandare per tre anni. F Roma, 1 febbraio 2016 Commissario Capo di Polizia Penitenziaria Maria Lancieri

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inviate le vostre mail a rivista@sappe.it


WEB E DINTORNI

Federico Olivo Coordinatore area informatica del Sappe olivo@sappe.it

Più di un quarto del malware della storia mondiale è stato rilasciato nel duemilaquindici

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ecentemente è stato diffuso il Report annuale di Panda Security (www.pandasecurity.com), un’autorevole organizzazione privata che si occupa di sicurezza online e antivirus aziendali. Il primo dato è davvero sconvolgente: più di un quarto dei “malware” di tutto il mondo nella storia (il 27,63%) è stato individuato e registrato nel 2015. Attualmente sono catalogati 304 milioni di malware.

Nelle foto: virus e bit-coins

Solo nel 2015 Panda Security ha rilevato e neutralizzato oltre 84 milioni di nuove minacce (+9 milioni rispetto all’anno precedente) il che significa la creazione di 230.000 nuovi esemplari di codice malware ogni giorno. I Trojan sono stati ancora una volta la principale specie di malware, con il 51,45%, seguiti da virus (22,79%), worm (13,22%), PUP (10,71%), e spyware (1,83%). Di sicuro hanno influito gli attacchi portati a termine nei confronti di grandi aziende e siti web che si sono visti sottrarre i dati di milioni dei loro clienti. Le catene alberghiere, per esempio, sono state uno dei principali bersagli del cybercrime per l’enorme quantità di dati che gestiscono, in particolare i dati delle carte di credito. Una “menzione d’onore” l’ha ottenuta Criptolocker, un trojan comparso nel tardo 2013, che ha letteralmente devastato il mondo delle imprese. Il trojan in questione infetta i sistemi Windows e rende illeggibili i dati della vittima criptandoli con un algoritmo informatico, chiedendo un pagamento per la decriptazione. Circa il 3% delle vittime decide di pagare, ma non è detto che ottenga poi lo sblocco. E la tendenza non sembra affatto tranquillizzante, come 30 • Polizia Penitenziaria n.236 • febbraio 2016

spiegato da Luis Corrons, Direttore Tecnico dei Pandalabs: «Prevediamo che il numero di nuovi malware continuerà a crescere. E non possiamo dimenticare che la creazione di milioni di Trojan e di altre minacce corrisponda alle esigenze dei cyber criminali di colpire sempre più utenti per ottenere ritorni maggiori». Ma è la diffusione del cosiddetto “internet degli oggetti” (IoT - Internet of Things) a destare le preoccupazioni maggiori nello scenario del prossimo futuro. Sempre più elettrodomestici e oggetti di uso quotidiano (dalle scarpe alle autovetture) sono collegati a internet, dialogano tra loro ed accedono ad informazioni esterne. Lo scopo è quello di migliorare l’efficienza, il risparmio energetico, l’assistenza medica, la salvaguardia dell’ambiente. In pratica però, siccome la sicurezza di questi dispositivi è relativamente scarsa, sorgono pesanti interrogativi per quanto riguarda la privacy e la sicurezza. Basti pensare all’esperimento di due ingegneri della DARPA, l’Agenzia della Difesa Americana che si occupa di progetti speciali, Charlie Miller and Chris Valasek che già nel 2014 alla Black Hat Conference di Las Vegas hanno mostrato le vulnerabilità di 21 modelli di auto venduti negli Stati Uniti. I due ricercatori hanno studiato a fondo la documentazione (disponibile online sui siti delle case automobilistiche e dei loro fornitori) relativa ai sistemi elettronici delle auto e, grazie a banali errori di progettazione nell’hardware o nel software con cui sono equipaggiate le vetture, Miller e Valasek hanno introdotto il loro software attraverso il bluetooth di uno smartphone connesso al vivavoce dell’auto o attraverso la traccia infetta di un CD musicale inserito nello stereo di bordo. Stando comodamente seduti davanti al proprio PC, sono riusciti ad alterare alcuni parametri dell’auto: temperatura interna, indicatori di benzina, tergicristalli, ma anche la velocità e la pressione degli pneumatici: «Dobbiamo ancora raffinare la nostra capacità di controllo dello sterzo» avrebbero commentato i due, ma questo avveniva nel lontanissimo 2014... Aziende e Governi sono già al lavoro per correre ai ripari e la collaborazione si fa sempre stringente, ma non è affatto facile prevedere tutti i rischi e sostenere i costi di tutte le contromisure necessarie. F (inquadra questo codice con un lettore QR e vai al REPORT COMPLETO PANDA SECURITY)


WEB E DINTORNI

È

bastato cliccare sul link allegato per vedersi criptare tutti i file del computer, il virus poi ha sfruttato la rete interna e si è replicato sugli altri computer. Così la scorsa estate, soprattutto i Tribunali di Udine e Trento, sono stati messi praticamente in ginocchio. Alcuni Magistrati avevano incautamente aperto delle email di un corriere postale che li avvisava di una giacenza di un pacco. Così il famoso “Criptolocker” si è introdotto nel dominio e-mail “@giustizia.it”, bloccando i computer di giudici, pubblici ministeri e funzionari degli uffici giudiziari di varie sedi dello Stivale, prima che la Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia lanciasse un’allerta a tutti gli utenti possessori di una casella email di @giustizia.it, dopo essersi accorta del dilagare del fenomeno. Cliccando sul link inserito nella mail, si avvia l’esecuzione in locale di un programma che procede alla cifratura dei files presenti sul disco e nelle cartelle condivise tramite la rete locale dell’ufficio, in genere quelli relativi a documenti MALWARE Nella sicurezza informatica il termine malware indica un qualsiasi software creato allo scopo di causare danni a un computer, ai dati degli utenti del computer, o a un sistema informatico su cui viene eseguito. Il termine deriva dalla contrazione delle parole inglesi malicious e software e ha dunque il significato di "programma malvagio"; in italiano è detto anche codice maligno.

TROJAN Un trojan o trojan horse (in italiano Cavallo di Troia), deve il suo nome al fatto che le sue funzionalità sono nascoste all’interno di un programma apparentemente utile; è dunque l’utente stesso che installando ed eseguendo un certo programma, inconsapevolmente, installa ed esegue anche il codice trojan nascosto. VIRUS Un virus è un software che è in grado, una volta eseguito, di infettare dei file in modo da riprodursi

o contenuti multimediali, rendendoli inaccessibili. Per ottenere le chiavi per decrittare i file gli hacker chiedono il pagamento di un “riscatto” (dai 300 ai mille euro tramite bit-coin, la valuta virtuale). Gli esperti informatici degli uffici giudiziari si sono messi subito al lavoro per recuperare tutti i file grazie alle copie dei backup che vengono fatti regolarmente su server scollegati dalla rete. La Polizia Postale poi ha avviato un’indagine per individuare i criminali informatici e nell’ambito dell’operazione denominata “Cryptowash”, ha denunciato sette hacker italiani per associazione a delinquere finalizzata all’accesso abusivo informatico, estorsione e riciclaggio dei proventi realizzati. I “pirati”, residenti a Padova e tra le province di Brescia e Bergamo, hanno tra i 23 e i 27 anni, disoccupati, tranne uno di 40, con un’attività nel settore informatico. Circa 277 mila euro circa il bottino incassato dal gruppo, più di 1.500 le persone truffate, secondo le prime risultanze. F

facendo copie di se stesso, generalmente senza farsi rilevare dall’utente. Questi tipi di software/eseguibili sono creati dagli hacker, che sfruttando le vulnerabilitá (exploit) di un sistema operativo arrecano danni al sistema, rallentando o rendendo inutilizzabile il dispositivo infetto. WORM Un worm (letteralmente “verme”) è una particolare categoria di malware in grado di auto-replicarsi. È simile ad un virus ma, a differenza di questo, non necessita di legarsi ad altri eseguibili per diffondersi ma si diffonde spedendosi direttamente agli altri computer, ad esempio tramite e-mail o una rete di computer. PUP I PUP (Potentially unwanted program, acronimo utilizzato per indicare software potenzialmente non gradito) sono programmi generalmente installati come parte di altri programmi gratuiti (su accordo commerciale tra l’azienda produttrice del programma gratuito e quella produttrice del PUP). L’utente è avvisato al momento dell’installazione di un programma che verrà installato anche un altro programma (il PUP). A volte però, l’avviso relativo al PUP è poco chiaro

e l’utente automaticamente completa l’installazione, installando quindi sia il programma desiderato che quello non desiderato. Altre volte, se l’utente sceglie di non installare il PUP perde la possibilità di installare il programma gratuito. SPYWARE Uno spyware è un tipo di software che raccoglie informazioni riguardanti l’attività online di un utente (siti visitati, acquisti eseguiti in rete etc) senza il suo consenso, trasmettendole tramite Internet ad un’organizzazione che le utilizzerà per trarne profitto, solitamente attraverso l’invio di pubblicità mirata oppure attività illegali quali la redirezione su falsi siti di e-commerce (phishing) o l’installazione di dialer truffaldini per numeri a tariffazione speciale. Gli spyware, a differenza dei virus e dei worm, non hanno la capacità di diffondersi autonomamente, quindi richiedono l’intervento dell’utente per essere installati. In questo senso sono dunque simili ai trojan.

Polizia Penitenziaria n.236 • febbraio 2016 • 31

Nelle foto: i Tribunali di Udine e di Trento

DEFINIZIONE DEI VIRUS

IL CASO: TRIBUNALI ITALIANI BLOCCATI DA CRIPTOLOCKER


a cura di Erremme rivista@sappe.it

LE RECENSIONI Vivaldo Pagni

Luigi Manconi e Giovanni Torrente

IL CARCERE DEI VINTI (fascisti o presunti tali)

LA PENA E I DIRITTI. Il carcere nella crisi italiana

LoGISMA Edizioni pagg. 247 - euro 17,50

CAROCCI Edizioni pagg. 275 - euro 17,00

G

uai ai vinti! La locuzione è divenuta proverbiale in molte culture e viene più frequentemente utilizzata come amaro commento dinanzi ad una crudele sopraffazione o a un beffardo accanimento di chi ha di fronte un avversario non più in grado di difendersi. Vivaldo Pagni, con il casuale ritrovamento di un Registro di entrata del carcere del Comune di Pescia datato 1945/46, lo conferma una volta di più. Denuncia, con la riproduzione anastatica originale, degli ingressi nel penitenziario toscano l’accanimento dei vincitori sui vinti, dei fascisti diventati antifascisti più per opportunismo che per convinzione, vista l’aria che tirava dopo l’8 settembre 1943 e l’arresto di Mussolini, raccontato bene prima da Giorgio Pisanò e poi, con più fortuna e più risonanza editoriale, da Giampaolo Pansa. Un libro da leggere per comprendere a cosa le degenerazioni delle dispute ideologiche, dovute spesso più ad opportunismo che non a precise scelte di campo, possono portare.

S

e c’è una cosa che non manca a Luigi Manconi, che con Giovanni Torrente ha scritto questo libro, è l’effervescenza editoriale che lo porta a realizzare saggi e trattati sulla questione penitenziaria, anche oggi che al Senato della Repubblica presiede la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. Sia chiaro: il libro è interessante e, nelle oltre 270 pagine, affronta la questione penitenziaria con il supporto di importanti dati e utili considerazioni. Sarebbe forse stato utile evidenziare maggiormente che la Polizia Penitenziaria, nelle oltre 200 carceri italiane, è formata da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio, e che ogni giorno in carcere fanno tutto quanto è nelle loro umane possibilità per gestire gli eventi critici che si verificano quotidianamente, soprattutto sventando centinaia e centinaia suicidi di detenuti. E poi va detto che Luigi Manconi, da Sottosegretario alla Giustizia nel secondo Governo Prodi (2006-2008), con delega all’amministrazione penitenziaria, è stato il primo responsabile della mancata programmazione da parte del Ministero della Giustizia (e quindi del Governo) dei necessari interventi strutturali per il sistema carcere che dovevano essere adottati contestualmente all’approvazione dell’indulto, chiesti anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Non fece nessun progetto concreto di formazione e aggiornamento professionale dei poliziotti, senza

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alcun atto concreto sulle importanti questioni attinenti al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria, ma pensò bene di appoggiare iniziative formative assurde, come i corsi di boxe per detenuti, pur sapendo delle centinaia di aggressioni, ferimenti e colluttazioni che avvengono ogni anno in carcere, spessissimo contro i poliziotti penitenziari. Bene, se Manconi avesse tradotto in concreto anche solo una minima parte delle proposte che oggi rilancia nel libro scritto con Giovanni Torrente, sarebbe stato ricordato come innovatore per l’evoluzione e il cambiamento della vita quotidiano. Ma niente di quel che lui fece al Ministero della Giustizia ha lasciato traccia, e quindi...

Vincenzo Tedeschi, Luca G. Cioffi, Dario Sopranzetti, Gennaro Tramontano e Diego Serra

IL TRATTAMENTO ECONOMICO DEL COMPARTO SICUREZZA-DIFESA LAURUS ROBUFFO Ed. pagg. 208 - euro 28,00

Q

uesto libro non può mancare in un corso di formazione ed aggiornamento sindacale ma in realtà è di interesse di tutti gli operatori del Comparto Sicurezza e Difesa. Gli Autori, tutti militari della Guardia di Finanza prevalentemente in servizio presso l’Ufficio Legislazione del Comando Generale della Guardia di Finanza, affrontano un tema alquanto complesso, quello della disciplina del trattamento economico del personale non dirigente delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, stratificato su ben 24 provvedimenti negoziali (!) in oltre quindi anni di applicazione del Decreto legislativo n. 195 che istituì, appunto, il Comparto. L’analisi dei provvedimenti, ai quali si accompagna il commento della giurisprudenza e della dottrina, è fatto con estrema chiarezza, in maniera


LE RECENSIONI puntuale ed organica, sì da rendere accessibile a tutti un argomento che si è sempre pensato appartenere, a torto, alla competenza dei “tecnici”. Se è vero che la conoscenza e l’informazione permettono di tutelare efficacemente i propri diritti e salvaguardarsi da abusi e arbitrii, ebbene questo libro va nella giusta direzione e la sua lettura e consultazione diventa, per tanto, un dovere.

Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone, Federica Resta

ABOLIRE IL CARCERE. Una proposta ragionevole per la sicurezza dei cittadini CHIARELETTERE Ediz. pagg. 121 - euro 12,00

S

trutturato su una serie di considerazioni che gli Autori usano per denunciare l’inutilità del sistema penitenziario così come oggi è strutturato in Italia, il libro propone un decalogo di modifiche al sistema penale e penitenziario quale presupposto necessario per l’abolizione del carcere. Non convince e non mi convince una imposta ideologica di questo tipo per risolvere i problemi che attanagliano le carceri italiane. Pensare di risolvere i problemi del sovraffollamento delle carceri dando la possibilità a chi si è reso responsabile di un reato di non entrare in carcere, è sbagliato, profondamente sbagliato ed ingiusto. Le soluzioni possono essere diverse: nuovi interventi strutturali sull'edilizia penitenziaria, l'aumento di Personale di Polizia e del Comparto ministeri e di risorse, espulsione dei detenuti stranieri, introduzione del lavoro obbligatorio durante la detenzione, anche modifiche normative sulle disposizioni penale, riservando il carcere ai casi che lo meritano

davvero. Ma intaccare la certezza della pena per coprire le inefficienze e le inadempienze dello Stato è sbagliato. Certo, il dato oggettivo è che il carcere, così come è strutturato e concepito oggi, non funziona. Questo lo sanno bene per primi i poliziotti che stanno nella prima linea delle sezioni detentive 24 ore al giorno. Ma il carcere – e l’ergastolo – devono esistere, eccome. Per porre netta la differenza tra buoni e cattivi!

Maria Grazia Greco

MATRICOLA N.20478. Il carcere che si prende la vita SENSIBILI ALLE FOGLIE Edizioni pagg. 96 - euro 14,00

Q

uesto libro nasce per denunciare la spersonalizzazione che caratterizzerebbe le persone coinvolte nell’esperienza carceraria, siano essi detenuti che operatori. E l’Autrice l’ha scritto avvalendosi anche dell’esperienza di docente nel carcere romano di Rebibbia. Ma non è un racconto: è la raccolta di giudizi, estrapolati dal loro contesto naturale, di chi ha parlato del carcere in epoche diverse. Perde di consistenza quando riporta giudizi del tutto anacronistici, come quelli su coloro che in carcere lavoravano redatti almeno 40 anni fa o su critici sullo Stato canaglia.

Liliana Cerqueni

STORIE DI VITA E DI CARCERE SENSIBILI ALLE FOGLIE Edizioni pagg. 96 - euro 13,00

C

onoscere per capire. L’Autrice focalizza in un questo agile volumetto dodici storie di altrettante persone transitate per una casa famiglia dopo un percorso di

detenzione carceraria. Ognuna di queste persone è ‘storia a sé’, portatrice di deviazione e disagio, e sebbene nulla possa a mio avviso giustificare o attenuare le responsabilità di quando si commette un reato e un crimine, facilita la comprensione di quali e quanti drammi sociali possono incidere nella scelta di una deriva delinquenziale. Utile da leggere, per non restare – su questi temi – superficiali.

Rass. Penit. 1-2/2014

VERSO L’USCITA DALL’EMERGENZA Centro Riproduzione DAP pagg. 199

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uesto è un numero speciale della Rassegna penitenziaria dedicata agli scritti di Giovanni Tamburino durante l’incarico di Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dal febbraio 2012 al maggio 2014. Introdotto dalla prefazione del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, raccoglie i vari interventi e discorsi tenuti in più contesti da Tamburino nelle sue funzioni di Capo Dipartimento. 25 interventi che hanno riguardato il senso della pena, la giustizia, il Corpo di Polizia Penitenziaria, proposte e soluzioni ai problemi atavici dell’Istituzione carceraria. F

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L’ULTIMA PAGINA a cura di Valter Pierozzi Dirigente Sappe Esperto di sicurezza sul lavoro valter60@live.it

Le radiazioni ionizzanti e gli effetti sull’uomo

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e radiazioni ionizzanti sprigionate da un macchinario, non schermato dalle barriere protettive come il piombo spesso almeno un centimetro, possono interagire con le nostre cellule e danneggiare il nostro DNA. Nel caso specifico parliamo dei colleghi al controllo pacchi, laddove, se anche è vero che la macchina è in sicurezza certificata dal costruttore, nel rispetto delle direttive della Comunità Europea, non si può escludere un eventuale rischio residuo. Nella verifica della sicurezza del macchinario deve essere nominato un medico specialista che, ogni anno tramite verifica strumentale, rilascia una certificazione di idoneità del macchinario. La domanda che ci poniamo è: il datore di lavoro ha assolto gli obblighi inerenti all’art 15 del D.lgs 81/08, e nello specifico per il rischio biologico? In tutta verità no, perché non si può escludere nel tempo, che nel macchinario si possano allentare le paratie di piombo di sicurezza, per urto o per eventuali vibrazioni, con il rischio di emissioni di radiazioni ionizzanti. Quindi, a mio parere, oltre alle procedure di lavoro, alle distanze operative dalla macchina, un’informazione obbligatoria in merito all’art 36 del D.lgs 81/08, si dovrebbe dotare il personale di dosimetri, da indossare

Il passaggio del testimone di Mario Caputi e Giovanni Battista de Blasis © 1992-2016 rivista@sappe.it

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sulla divisa all’altezza del petto, per valutare l’esposizione alle radiazioni ionizzanti, da verificare e sottoporre a un controllo di una ditta specializzata. Lo scopo è quello di abbassare il rischio residuo, aiutare il personale a livello psicologico e a sentirsi tutelato nel lavoro, da parte della amministrazione. Purtroppo ci troviamo a confrontarci con i tagli continui di fondi destinati alle amministrazioni, ma comunque la sicurezza dei lavoratori dovrebbe essere primaria. Per questo è indispensabile in fase di contrattazione sindacale al tavolo tecnico del DAP in merito ai capitolati di spesa, individuare un capitolato unicamente per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro; Per i DPI, gli ESTINTORI, gli AUTORESPIRATORI, gli INPIANTI ANTINCENDIO; tutti strumenti di vitale importanza per l’istituto e per la salute dei lavoratori. Purtroppo si continua, con la scusa di tagli sulle spese, a relegare in secondo piano questi dispositivi a mio parere di primaria importanza. Dall’avvento dell’ex 626/94 e con l’avvento del Dlgs 81/08, si nota statisticamente l’aumento d’incendi e infortuni sul lavoro, senza trascurare che la Corte di Cassazione impartisce severe sanzioni ai datori di lavoro e ai responsabili delle negligenze e imperizie sugli obblighi previsti dalla normativa vigente. F


www.mariocaputi.it

Per ora é uscito il libro! Raccolta antologica delle vignette dell’Appuntato Caputo pubblicate dal 1994 al 2014 sulla Rivista mensile Polizia Penitenziaria - Società Giustizia & Sicurezza Da che parte é l’uscita? si puo’ acquistare in tutte le librerie laFeltrinelli oppure sui siti www.lafeltrinelli.it e www.ilmiolibro.it

Formato 15 x 23 cm Copertina morbida 240 pagine a colori ISBN: 9788891092052



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