Polizia Penitenziaria - Giugno 2014 - n. 218

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Pasquale Salemme Segretario Nazionale del Sappe salemme@sappe.it

crimini e criminali

Il killer delle prostitute ltimamente ho raccontato, in questa rubrica, la storia del “mostro di Firenze”, che ha tenuto per circa diciassette anni in apprensione i fiorentini e tutta l’opinione pubblica italiana. Il caso, come saprete, ebbe una risonanza mediatica mondiale, facendo passare “in secondo piano” un’altra escalation di omicidi che si susseguivano più a nord della Toscana, per la precisione a Torino e nel resto del Piemonte e che crearono nella città e nella regione la sindrome del mostro delle prostitute.

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Nella foto Giancarlo Giudice

Polizia Penitenziaria n.218 giugno 2014

A Torino, dal dicembre del 1983, data del primo ritrovamento di un cadavere carbonizzato di una donna, c’è un serial killer che uccide le prostitute e che semina terrore lungo il Po e nei dintorni di Torino. Per più di tre anni la sequenza delle meretrici trovate uccise è numerosa e le “donne di strada” non si sentono più al sicuro, si nascondono, non parlano con la gente, con i giornalisti nè con Polizia e Carabinieri per non essere esposte alla furia omicida del mostro. Non è ancora buio, quando una pattuglia della polizia stradale di Casale Monferrato, provincia di Alessandria, si affianca ad una Lancia Fulvia coupè rossa ferma al lato della strada, nel tratto autostradale TorinoPiacenza; a bordo, una persona

seduta sui sedili posteriori è intenta a masturbarsi mentre sfoglia una rivista pornografica. Il ragazzo, viene invitato da uno degli agenti a scendere dall’auto per i controlli di rito, mentre l’altro è intento a guardare l’interno dell’abitacolo. Quest’ultimo nota, sotto al sedile posteriore, la canna una pistola, una calibro 22, che fuoriesce da un borsello. Gli agenti chiedono spiegazioni, ma il giovane è sorpreso, ha lo sguardo perso. Immediatamente gli agenti perquisiscono l’auto e rinvengono un ulteriore pistola, una Browning 7,65, oltre a proiettili, coltelli di vario tipo e un paio di manette. Inoltre, sul sedile posteriore vi è un asciugamano macchiato di sangue e altre tracce, sempre di sangue, sono rinvenute sul sedile e sulla tappezzeria. Sul pianale anteriore destro una borsetta femminile con all’interno i documenti di identità di una donna, Maria Rosa Paoli, 37 anni e i documenti della sua auto, una fiat 500. E’ il 28 giugno del 1986 e gli agenti ancora non sanno di aver fermato un omicida seriale che sino a quel momento aveva ucciso nove donne, tutte prostitute che esercitavano sulla piazza di Torino e nel resto del Piemonte. Giancarlo Giudice, questo è il nome del serial killer, è nato a Torino l’11 marzo del 1952 da una famiglia in precarie condizioni economiche; anche se di fatto, crebbe senza genitori: la madre era malata di cuore e il padre era dedito all’alcool. Il bambino in tenera età fu rinchiuso in un collegio in provincia di Asti, dove trascorse gran parte della sua adolescenza. Alla notizia della morte della madre, quando aveva circa 13 anni, tentò il suicidio ingerendo delle quantità letali di sonnifero. Il padre, risposatosi dopo

qualche anno dalla morte della madre, decise di togliere il figlio dal collegio e portarlo nella nuova famiglia ma, la convivenza con la matrigna, a cui il Giudice riservava morbose attenzioni, si contraddistinse con dissapori e contrasti continui, tanto da far sì che abbandonasse la casa. La matrigna, durante una sua deposizione dichiarò: «Giancarlo non mi voleva accettare e in due occasioni tentò di avere un rapporto sessuale con me» (fonte ANSA, 16 marzo 1989). Sarà proprio il rapporto morboso con la matrigna il fattore scatenante della serie infinita di omicidi. Dopo il fermo il ragazzo fu portato presso la caserma della Polizia di Alessandria e successivamente alla Questura di Torino dove, dopo un breve interrogatorio, confessò di aver ucciso la donna della quale i documenti erano stati rinvenuti nella propria autovettura. Descrisse la dinamica dell’incontro e del luogo: nei pressi di un cimitero in località Rocchetta Tanaro, provincia di Asti, a circa 80 km da dove la volante lo aveva fermato; di aver poi trasportato e gettato il cadavere a Cortiglione, pochi km più a sud, in mezzo all’erba e agli arbusti. Non sa dare una spiegazione del perché ha ucciso la donna. Gli agenti decisero di fare un sopralluogo sul posto indicato dal Giudice e trovarono il corpo esanime di Maria Rosa Paoli, 37 anni, astigiana, uccisa a colpi di pistola. La vittima fu subito identificata, gli agenti hanno i suoi documenti e su di lei c’è un intero faldone nell’archivio della procura di Torino: ex affiliata a una cellula Torinese dei Nuclei Armati Proletari, organizzazione di estrema sinistra di stampo terroristico, in libertà provvisoria da pochi giorni. Confessato il primo delitto, nei giorni a seguire sottoposto ad incessanti interrogatori da parte degli inquirenti, continua a negare ogni coinvolgimento negli altri omicidi che gli vengono contestati, sino a quando, un pomeriggio, il capo della Mobile di Torino, Piero Sassi, durante un


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